BOZZE NON CORRETTE

Stenografico Aula in corso di seduta

Seduta n. 578 dell'1/2/2005

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(Misure a favore dei dipendenti di Poste italiane Spa assunti con contratto a tempo determinato - nn. 3-01851 e 3-02991)

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per le comunicazioni, Giancarlo Innocenzi Botti, ha facoltà di rispondere alle interrogazioni Delmastro Delle Vedove n. 3-01851 e n. 3-02991 (vedi l'allegato A - Interrogazioni sezione 4), che, vertendo sullo stesso argomento, saranno svolte congiuntamente.

GIANCARLO INNOCENZI BOTTI, Sottosegretario di Stato per le comunicazioni. Signor Presidente, si risponde congiuntamente ai due atti parlamentari in esame, che presentano analogo contenuto, attenendo entrambi alla situazione del personale precario della società Poste italiane.
In proposito, la medesima società ha ritenuto opportuno rammentare, in linea generale, le diverse posizioni del personale dipendente assunto con contratto a tempo determinato (i cosiddetti trimestrali) che, secondo quanto sostenuto dall'onorevole interrogante, avrebbe potenzialmente diritto alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
La società Poste ha riferito di aver sottoscritto nel 1996, con le organizzazioni sindacali, un piano per l'assunzione di 4.000 unità a tempo indeterminato e di circa 1.000 unità part-time. Delle prime, 3.200 unità sono state assunte ai sensi dell'articolo 9 del decreto legge n. 510 del 1996, convertito dalla legge n. 608 del 1996. Tale norma disponeva per i lavoratori che avevano prestato la loro opera con contratto a tempo determinato a decorrere dal 1o dicembre 1994, alle dipendenze dell'allora ente Poste italiane, il diritto di precedenza, nei termini ed alle condizioni delle norme contrattuali e di apposito accordo stipulato con le organizzazioni sindacali, nel caso di assunzioni a tempo indeterminato effettuate nel medesimo ente Poste per la stessa qualifica e/o mansione, fino alla data del 31 dicembre 1996.
Le assunzioni di personale con contratto di lavoro a tempo determinato effettuate dall'ente Poste, a decorrere dalla data della sua costituzione e, comunque, non oltre il giugno 1997, non potevano dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato e sarebbero decadute allo scadere del termine finale di ciascun contratto.
Successivamente la società Poste italiane, nell'ottica dell'attuazione del nuovo modello organizzativo aziendale, e su richiesta delle organizzazioni sindacali con le quali veniva stipulato un nuovo accordo (in data 29 settembre 1998), al fine di provvedere alla sostituzione dei numerosi dipendenti transitati in posizione di comando presso enti e/o altre pubbliche amministrazioni, ha dato corso all'assunzione a tempo determinato di 1.775 lavoratori, ricorrendo al personale che nel periodo aprile-settembre 1998 aveva già prestato la propria opera in favore della società con contratto di lavoro semestrale.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 419 del 9 ottobre 2000, si è pronunciata sul contestato articolo 9 del decreto-legge n. 510 del 1996 affermando la legittimità costituzionale della norma in esso contenuta ed individuandone la ratio nella volontà del legislatore di salvaguardare il processo di privatizzazione del servizio postale.
La sentenza in questione ha chiarito, infatti, che «l'imprevista assunzione coattiva con rapporto di lavoro a tempo indeterminato di migliaia di lavori» avrebbe pregiudicato il risanamento finanziario dell'ente, imprescindibile presupposto per la trasformazione dello stesso in società per azioni, disponendo pertanto l'inoperatività


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fino al 30 giugno 1997 della conversione ex lege dei rapporti di lavoro a tempo determinato comunque stipulati.
La menzionata sentenza ha risolto a favore della società Poste italiane tutto il contenzioso di merito che era stato sospeso o rinviato in attesa della pronuncia della Corte ed ha conseguentemente chiarito la legittimità di numerosi contratti a termine di coloro che, sebbene non avessero intrapreso un'azione giudiziale contro la società, avrebbero potuto aspirare a vedere trasformato, in via giudiziale, il rapporto di lavoro a termine in quello a tempo indeterminato.
Al fine di arrivare alla definizione della materia in argomento e in attuazione degli impegni sottoscritti di volta in volta con le organizzazioni sindacali, Poste italiane, a partire dall'aprile 1998, ha trasformato in assunzione a tempo indeterminato dapprima l'assunzione a termine di circa 3.200 dipendenti, successivamente quella di 1500 sui 1775 dipendenti assunti in sostituzione di personale comandato e, da ultimo, a seguito dell'accordo del 18 gennaio 2001, quella dei 700 lavoratori che avevano ottenuto - in via cautelare o con sentenza di merito - l'accoglimento della domanda giudiziale volta ad ottenere la conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato.
Ciò chiarito in merito alla situazione dei dipendenti «trimestrali», per quanto concerne la sentenza della Corte di cassazione cui fa riferimento l'onorevole interrogante nell'atto ispettivo in questione, la società Poste italiane ha significato di ritenere che, in assenza di precise indicazioni, tale pronuncia possa essere individuata in quella n. 19695 depositata il 23 dicembre 2003.
Stando a quanto riferito, con la suddetta sentenza la Cassazione ha corretto in modo significativo un orientamento ormai consolidato dei giudici di primo e secondo grado in base al quale le assunzioni a termine devono necessariamente rispondere a tutti i requisiti, limiti e vincoli indicati dalla legge n. 230 del 1962, evidenziando, in proposito, che l'articolo 23 della legge n. 56 del 1987 ha riconosciuto alle parti ampia libertà nell'individuazione di nuove ipotesi di contratto a termine rispetto a quelle previste dalla legge n. 230 del 1962 con possibilità per le parti stesse di svincolarsi dai limiti, anche di carattere temporale, imposti dalla legge stessa.
Tale sentenza, pertanto, non mette in discussione la legittimità della causale utilizzata dalla società Poste italiane - le cosiddette «esigenze eccezionali» - o la sua validità, ma si sofferma esclusivamente su un profilo di merito - circoscritto a tale fattispecie - in base al quale la causale non sarebbe idonea a «coprire» i contratti a termine stipulati in un determinato arco di tempo.
D'altra parte, ha proseguito Poste italiane, numerosi giudici di primo e di secondo grado (a titolo di esempio quelli appartenenti alle corti d'appello di Roma e di Salerno) si pronunciano sul punto in senso favorevole alla società, ritenendo che la causale in argomento mantenga la sua operatività nel tempo, non sussistendo accordi limitativi della sua efficacia.
Quanto alle temute ripercussioni che potrebbero derivare alla società Poste italiane sia sul piano economico sia su quello occupazionale dalla pronuncia in parola, la medesima società, nel sostenere che tale sentenza non rappresenta ancora un «orientamento di legittimità» propriamente detto, ritiene che sia necessario attendere ulteriori decisioni dalla stessa Corte di cassazione perché possano essere valutate concretamente le conseguenze che potrebbero derivarne. Da parte sua l'azienda ha precisato che dal gennaio 2003 sono stati adottati specifici criteri gestionali al fine di limitare il contenzioso esistente al periodo pregresso.
Ciò ha comportato la significativa riduzione del ricorso ai contratti a termine, per i quali si opera - dallo stesso mese di gennaio 2003 - in applicazione del decreto legislativo n. 368 del 2001, mentre in considerazione dell'introduzione nel quadro normativo-contrattuale di nuovi istituti, sono state avviate iniziative tese ad ampliare le forme di lavoro flessibile nella prospettiva di rendere più organiche ed


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equilibrate le forme di accesso al lavoro nell'ambito della società Poste italiane.

PRESIDENTE. L'onorevole Delmastro Delle Vedove ha facoltà di replicare per le sue interrogazioni n. 3-01851 e n. 3-02991.

SANDRO DELMASTRO DELLE VEDOVE. Onorevole sottosegretario, nel ringraziarla per la sua articolata esposizione non posso onestamente non esprimere anche talune osservazioni e perplessità.
Onorevole sottosegretario, io provengo da una zona ricca di una piccola e media imprenditoria privata, e quindi un mio concittadino, probabilmente, in una situazione come quella che lei ci ha esposto, si porrebbe una domanda di questo tipo: perché dovrebbe essere consentito allo Stato ciò che lo Stato stesso non consente in alcun caso all'imprenditore privato? La seconda domanda, più esplicativa, che potrebbe porre è la seguente: che senso ha, sul piano giuridico ma prima ancora sul piano del comune buonsenso, che vi siano «trimestrali» che sono tali da lustri? La terza domanda, conseguenziale, sarebbe la seguente: si poteva prevenire quella che io continuo a considerare una autentica catastrofe giudiziale, determinata da centinaia e centinaia di ricorsi al tribunale in funzione di giudice del lavoro? La mia risposta è sì; si poteva articolare un discorso più ampio da parte dell'azienda con le organizzazioni sindacali, si poteva stabilire prima ciò che Poste Italiane, in questa serie di comunicazioni trasmesse a lei, onorevole sottosegretario, perché le riportasse in quest'aula, ha riconosciuto affermando che dal 2003 si farà molta più attenzione: ma perché si dovrà fare molta più attenzione soltanto dal 2003?
Onorevole sottosegretario, ritengo che un problema di questo genere avrebbe dovuto già da tempo essere affrontato in maniera molto più seria e articolata, non dico dal precedente Governo D'Alema: forse i «trimestrali» avranno detto «abbiamo a capo del Governo uno che certamente tiene conto delle esigenze sociali»; io certamente non avevo questa pretesa, ma immagino che quando governano «quelli che tengono conto delle esigenze sociali» si faccia ciò che neppure i peggiori veterocapitalisti farebbero nei confronti dei lavoratori. È chiaro dunque che nulla è stato mai fatto riguardo a questo problema! Ma pretendevo dal Governo di centrodestra, e lo pretendo dal ministro, che fa oltretutto riferimento al mio partito, Alleanza Nazionale, che rivolgesse un forte richiamo all'azienda, perché non è lecito né serio che vi siano - ripeto - «trimestrali» che sono tali da anni.
Non è vero che sono stati presentati pochi ricorsi; ve ne sono molti, moltissimi, per la gioia degli avvocati giuslavoristi, che stanno incassando parcelle significative in ragione della esecutività delle sentenze di primo grado. Significativamente, ella ci ha ricordato che Poste Italiane fa riferimento a due corti di merito, ma in Italia, onorevole sottosegretario, sono molte di più le corti di merito; dopodiché, Poste Italiane fa riferimento alla sentenza n. 419 del 2000 della Corte costituzionale, che, con tutto il rispetto per la Corte medesima, io non esito a definire vergognosa, in quanto la Costituzione è una cosa troppo seria per consentire alla Corte di affermare che ritiene legittima la norma in questione perché, se non la ritenesse legittima sul piano costituzionale, verrebbe pregiudicato il risanamento finanziario dell'ente. La Costituzione è stata scritta per ben altre cose, non per stabilire che il parametro sulla costituzionalità o meno di una norma sia la condizione economica in cui versa l'ente nel quale lavorano centinaia e centinaia, migliaia di lavoratori i cui diritti possono essere conculcati o meno a seconda della situazione di cassa dell'ente medesimo. Purtroppo, la Corte ha da tempo preso questo andazzo, che ritengo francamente vergognoso!
Nell'esprimere queste perplessità e nel riconoscere che Poste Italiane ha una sua autonomia decisionale, mi permetto, nel dichiararmi parzialmente soddisfatto della sua risposta, di chiedere che lei rappresenti al ministro l'opportunità, se non la necessità, di un intervento che ponga fine a tale situazione in via transattiva ed in


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piena collaborazione con le organizzazioni sindacali dei lavoratori, che in molte circostanze hanno avanzato articolate, concrete e accettabili proposte per risolvere questo grave problema. Invito il Governo ed il ministro ad intervenire in modo deciso nei confronti di Poste Italiane, proprio perché non è lecito - ripeto - che lo Stato o enti o società a capitale pubblico possano permettersi di fare ciò che gli ispettori, i giudici del lavoro e tutti gli organismi preposti alla valutazione dei diritti dei lavoratori non consentono di fare alle imprese private e tollerano invece quando si tratta di imprese pubbliche.

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