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PRESIDENTE. L'onorevole Grandi ha facoltà di
ALFIERO GRANDI. Signor Presidente, la differenza tra l'interpellanza in esame e altri atti di sindacato ispettivo risiede nel fatto che essa parte da una situazione concreta. Non intendiamo in questo momento sollevare una discussione di carattere generale, con rischi di approdo di natura ideologica in quanto vi sono contrasti politici molto forti sulla legge Bossi-Fini, bensì cercare di enucleare alcune questioni riguardanti il mancato funzionamento o l'incongruenza di tali norme di legge e di richiamare l'esigenza, rappresentata da diverse parti, di intervenire su di esse, attraverso l'elaborazione e l'individuazione di soluzioni volte a superare le contraddizioni emerse.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, senatrice Sestini, ha facoltà di
GRAZIA SESTINI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Con riferimento all'interpellanza in esame, vorrei far presente che il testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998), all'articolo 5-bis, comma 1, prevede espressamente che: «Il contratto di soggiorno per lavoro subordinato stipulato fra un datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia e un prestatore di lavoro, cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione europea o apolide, contiene la garanzia da parte del datore di lavoro della disponibilità di un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica e l'impegno al pagamento da
parte del datore di lavoro delle spese di viaggio per il rientro dei lavoratori nel paese di provenienza».
PRESIDENTE. L'onorevole Grandi ha facoltà di
ALFIERO GRANDI. Onorevole sottosegretario, non mi aspettavo, per la verità, che lei desse una risposta in grado di risolvere il problema del tutto e subito, anche se, con qualche ottimismo, attendevo qualcosa di più della risposta da lei fornita.
svolge un'attività in termini del tutto legali e con una presenza altrettanto legale in Italia. Dunque, la prima necessità è quella di ascoltare.
interessati, a partire dai rappresentanti degli immigrati, sarebbe un fatto per noi positivo.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.
Il nuovo regolamento di attuazione (decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 31 agosto 1999, come modificato dal decreto del presidente la Repubblica n. 334 del 18 ottobre 2004), in vigore dal 25 febbraio 2005, stabilisce inoltre, all'articolo 8-bis, che: «Il datore di lavoro, al momento della richiesta di assunzione di un lavoratore straniero, deve indicare con un'apposita dichiarazione, inserita nella richiesta di assunzione del lavoratore straniero, nonché nella proposta di contratto di soggiorno di cui all'articolo 30-bis, comma 2, lettera d), e comma 3, lettera c), un alloggio fornito di requisiti di abitabilità e idoneità igienico sanitaria, o che rientri nei parametri previsti dal testo unico, e deve impegnarsi, nei confronti dello Stato, al pagamento delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel paese di provenienza».
L'impegno del datore di lavoro relativo alla sistemazione alloggiativa del lavoratore si configura come una garanzia sussidiaria, che è soddisfatta con la dimostrazione dell'esistenza di un alloggio idoneo in quanto rispondente ai requisiti previsti dalla legge, che il lavoratore straniero ne ha la legittima disponibilità e vi può effettivamente abitare per tutta la durata del contratto di lavoro.
La documentazione atta a comprovare l'effettiva disponibilità dell'alloggio e l'avvenuta richiesta di certificazione di idoneità alloggiativa viene presentata dal datore di lavoro allo sportello unico per l'immigrazione, ove lo stesso si reca entro 8 giorni dall'avvenuto ingresso nel territorio dello Stato per la sottoscrizione del contratto di soggiorno.
La sussistenza dei parametri di idoneità viene autocertificata all'atto del rinnovo del permesso di soggiorno, ai sensi dell'articolo 13, comma 2-bis.
L'impegno del datore di lavoro si sostanzia di un contenuto obbligatorio, ai sensi dell'articolo 30-bis, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999, solo nell'ipotesi in cui il lavoratore straniero non disponga di un alloggio. In tale caso, grava sul datore di lavoro l'obbligo di individuare una sistemazione alloggiativa idonea, con facoltà di rivalersi delle spese eventualmente sostenute, trattenendo dalla retribuzione mensile una somma pari ad un terzo del suo importo netto. Non si fa luogo alla decurtazione solo con riferimento a quei rapporti di lavoro per i quali il corrispondente contratto collettivo nazionale di lavoro fissa il trattamento economico, presupponendo che il lavoratore fruisca di un alloggio messo a disposizione dal datore stesso.
La circolare ministeriale n. 9 dell'8 marzo 2005, relativa all'entrata in vigore del nuovo regolamento di attuazione, si limita a fornire immediate indicazioni secondo le disposizioni di legge.
Vorrei segnalare, comunque, che nella modulistica ufficiale, attualmente in corso di predisposizione e che dovrà essere approvata con decreto interministeriale per essere adottata dagli sportelli unici dell'immigrazione, nell'ipotesi in cui la richiesta di assunzione non riguardi i «primi ingressi» dall'estero dei lavoratori stranieri, bensì si riferisca a lavoratori stranieri già in possesso di permesso di soggiorno in corso di validità, con i quali deve essere stipulato un nuovo contratto di soggiorno (per variazioni del rapporto di lavoro o rinnovo del contratto di lavoro), si è dell'avviso che debba ritenersi sufficiente una dichiarazione da parte del datore di lavoro di sussistenza della sistemazione alloggiativa, rispondente ai requisiti di legge, con indicazione della sua esatta ubicazione, fermo restando l'obbligo in capo al datore di lavoro di garantire l'alloggio ove non esistente.
Infine, per quanto concerne l'impegno al pagamento da parte del datore di lavoro delle spese di rientro del lavoratore nel paese di provenienza, si precisa che esso si riferisce ad un impegno nei confronti dello Stato quando ricorre un rimpatrio definitivo per espulsione.
Comunque, poiché il problema è reale e occorre risolverlo (e mi auguro che ve ne sia la possibilità e lo spazio), vorrei pregarla di considerare, e soprattutto di trasmettere al ministro e ai colleghi di Governo, tutti gli elementi che possano consentire di riaffrontare la questione sotto il profilo legislativo, anche con alcuni aggiustamenti, attraverso una discussione che ci aiuti a comprendere se tale legge abbia avuto o meno effetti positivi.
Si tratta di una discussione nella quale, in certa misura (anche se tali elementi contribuiscono, a mio giudizio, ad esprimere una valutazione non positiva), vi sono aspetti che potrebbero essere oggetto di aggiustamenti in ogni caso utili perché riguardano persone in carne ed ossa che a volte sono lavoratori immigrati e altre, invece, aziende che si trovano in difficoltà ad affrontare le questioni.
Qual è, in breve, il problema? Partiamo dal presupposto che gli immigrati costituiscono una risorsa: mi sembra che su questo la discussione dovrebbe essere risolta, poiché (e lo ricorda non solo il Presidente della Repubblica) è del tutto evidente che l'economia nazionale ne ha bisogno; tra le altre cose, la richiesta di utilizzazione di quelle risorse continua a crescere malgrado le difficoltà occupazionali: quindi, gli immigrati costituiscono una risorsa per il paese.
Occorre riuscire ad adottare una politica di accoglienza in grado di rispondere alle esigenze e, soprattutto, fare in modo che l'ingresso dei lavoratori immigrati non costituisca un'alimentazione dell'economia «nera».
In questi giorni il suo collega di Governo, il ministro Siniscalco, ha detto che tra gli orientamenti del Governo che portano a non prevedere un condono fiscale per il 2003, vi è l'obiettivo di riprendere la lotta all'economia «nera» e, di conseguenza, chi deve pagare paghi. Il nero è tutto nero, mezzo nero, bianco e nero: dipende...! Evidentemente, vi sono diverse graduazioni di economia «nera». Potremmo essere d'accordo almeno sull'obiettivo di combattere in modo deciso la creazione, l'alimentazione o lo «spingere verso» o il non contrastare sufficientemente l'economia «nera» e, di conseguenza, il lavoro nero svolto dagli immigrati.
Se le normative e la loro attuazione sono tali da creare, in una condizione economica non particolarmente allegra, un eccesso di carico, alcune aziende decidono, a quel punto, di ricorrere al lavoro nero: è, d'altra parte, questa la situazione con la quale ci si misura.
Il punto di vista che abbiamo cercato di raccogliere parla di coloro che non vogliono il lavoro nero, anzi lo ritengono (in particolare, lo sfruttamento, fino a lambire lo schiavismo degli immigrati) una condizione di concorrenza assolutamente sleale, che finisce per incidere e creare difficoltà e che, paradossalmente, mette in difficoltà anche coloro che non vorrebbero assolutamente ricorrere a tale tipo di condizione lavorativa.
Questa è la ragione per cui abbiamo richiamato nell'interpellanza diverse disposizioni che potrebbero essere oggetto di una rivisitazione, il presupposto della quale (è questa la prima questione che rimane irrisolta e che mi auguro il Governo voglia affrontare) sarebbe quello di costruire, innanzitutto, un tavolo in cui ascoltare. Ascoltare non costa nulla, anzi può essere utile a valorizzare i punti di vista della realtà di chi vi partecipa, lasciando naturalmente al Governo e al Parlamento l'onere di decidere se ciò che ha ascoltato sia meritevole o meno di una risposta.
Costituire una sede in cui si possano ascoltare i diversi settori economici che si occupano di questi problemi sarebbe importante; ne costituisce presupposto il fatto che il lavoratore immigrato abbia gli stessi diritti del lavoratore italiano ed è dunque da tutelare pienamente, soprattutto perché si tratta di un lavoratore che
La seconda questione riguarda gli oneri che vengono posti indirettamente alle aziende.
Oggi c'è l'assemblea di Confindustria alla quale parteciperà il Governo e immagino, credo di essere un facile profeta, che il presidente degli industriali italiani chiederà al Governo di eliminare tutti gli orpelli che costituiscono per il mondo delle imprese un di più che finisce per rappresentare un costo improprio per le aziende (burocrazia, lungaggini, e così via). Immagino, inoltre, che i rappresentanti del Governo presenti raccoglieranno, come disse quel signore che ha contribuito all'unità d'Italia, questo grido di dolore. Vi è quindi consonanza nell'esigenza di eliminare tutto quello che non è utile e che pone le imprese in enormi difficoltà.
Nella normativa cui si fa riferimento in questa interpellanza, per rispondere ad esigenze non proprie, forse per una sorta di eterogenesi dei fini, alle imprese viene chiesto, in buona sostanza, di svolgere non poche pratiche. Anche il sottosegretario Sestini, quando ha risposto alla mia interpellanza, fornendo una risposta che ho immaginato cercasse di essere positiva, ha affermato che, in ogni caso, ci vuole una dichiarazione; quindi, bisogna dichiarare, bisogna confermare. E tutto ciò comporta lo svolgimento di pratiche, richiede del tempo e, a volte, richiede anche di controllare quali siano le condizioni.
Ho l'impressione che, per rispondere alle esigenze poste da alcuni settori della maggioranza e dell'opinione pubblica, alla fine si è un po' esagerato nelle pratiche e negli obblighi cui devono assolvere le aziende. Tutto ciò, evidentemente, crea un problema alle imprese. E molte fra esse, di fronte a tutti questi obblighi, preferiscono seguire le vie brevi e finiscono per alimentare il cosiddetto lavoro nero. La questione impone, quindi, di distinguere quello che è necessario da ciò che non lo è, quello che può e deve fare l'apparato statale e quello che deve essere a carico delle aziende.
Vi è poi anche l'altra questione concernente le contraddizioni interne a questo mondo del lavoro. Con una normativa di questo tipo si è finito con il coinvolgere anche persone che erano già in Italia e che avevano dei contratti di lavoro. Conseguentemente, si è creata una condizione di parificazione che pone problemi ulteriori per quei lavoratori che svolgono lo stesso lavoro. Insomma, a noi pare che l'aver voluto esagerare nella durezza delle normative per ottenere delle garanzie, che peraltro non hanno dato il risultato che si voleva ottenere, ha creato una condizione per la quale si rischia di giungere ad un risultato diverso da quello che ci si era prefissato.
Può darsi che non tutte le opinioni espresse a questo riguardo siano giuste, può darsi che le proposte avanzate siano soltanto queste e può darsi anche che ve ne siano altre migliori. Tutto può essere a questo mondo, ma l'unica cosa che mi sento di chiedere con grande forza al Governo è di ascoltare, offrire, cioè, delle sedi di confronto in cui coloro che hanno questi problemi possano almeno suggerire delle modifiche. In sede di valutazione politica, mi riserverò comunque di richiamare tutte queste contraddizioni, in particolare quella che per inserire misure draconiane, non a caso la legge è la cosiddetta Bossi-Fini, si è finito per guardare poco per il sottile, creando una situazione di ingovernabilità, piena di contraddizioni e, non a caso, di problemi.
Il nostro obiettivo è fare in modo che i lavoratori immigrati, che rappresentano una risorsa per il nostro paese, siano pienamente garantiti e, in questo senso, utili per la nostra economia e per le nostre aziende.
Se il Governo decidesse di superare la risposta data oggi alla mia interpellanza la quale, mi consenta sottosegretario Sestini, mi è parsa un pochino troppo burocratica, e decidesse di aprire almeno un tavolo di ascolto nei confronti di tutti i soggetti