Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 617 del 27/4/2005
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Discussione sulle comunicazioni del Governo (ore 9,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione sulle comunicazioni del Governo.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi sarà pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.

(Discussione)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del Governo.
È iscritta a parlare l'onorevole Mazzuca Poggiolini. Ne ha facoltà.

CARLA MAZZUCA POGGIOLINI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, dei tre minuti di tempo concessi ai Repubblicani europei (troppo pochi per svolgere un discorso organico) ne userò uno per la crisi politica, uno per la crisi economica e, infine, uno per valutare le sue proposte.
Crisi politica: con tentennamenti e poco chiari ritardi, il suo Governo si è finalmente dimesso. Ma nel suo intervento di ieri qui alla Camera dei deputati lei non ha spiegato perché è stato costretto a dimettersi, né perché sia stato abbandonato dal Vicepresidente del Consiglio e da alcuni ministri.
Signor Presidente, perché siamo qui? Perché vi è una crisi del suo Governo, delle cui cause lei non ha ritenuto di dover informare ufficialmente il Parlamento ed il popolo italiano. Tuttavia, gli italiani che hanno votato contro la sua maggioranza, spostando milioni di voti dalla Casa delle libertà all'Unione di centrosinistra, conoscono benissimo il motivo per cui lei è


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stato costretto a dimettersi pur non avendone (come è apparso più che chiaro) nessuna voglia.
Crisi economica: essa non è più nascondibile; oramai è accertata, anche a livello internazionale, e la stanno pagando duramente le famiglie italiane. Tuttavia, lei ne ha preso pubblicamente atto soltanto ieri, senza un'analisi seria ed attribuendo tutte le colpe alla congiuntura internazionale, all'euro, all'Europa, senza un cenno di autocritica riguardo alla sottovalutazione e all'indifferenza da voi dimostrata in questi anni. Ricordiamo con rabbia il tempo da voi perso a parlare di inflazione percepita, senza fare nulla per bloccare il carovita, attivando quei controlli che negli altri paesi dell'Unione europea hanno salvato il potere d'acquisto nel delicato periodo del passaggio all'euro; passaggio che in tutti gli altri paesi europei è avvenuto senza danni per i cittadini e per le famiglie.
Infine, vi è il suo programma, colmo di impegni e di promesse. Signor Presidente del Consiglio, gli italiani si chiedono il motivo per cui i provvedimenti promessi, di fronte ad una crisi già evidente da anni, non siano stati presi tempestivamente. Perché non quattro anni fa, all'inizio della legislatura, tre anni fa, due anni fa o un anno fa? Al contrario, questo Parlamento si è occupato a fondo di cercare di stravolgere la Costituzione. Si è occupato per anni della legge Gasparri per consolidare il monopolio delle TV e si è occupato per anni di leggi giudiziarie a favore di questo o di quello, ma mai a favore dei cittadini oberati dai tempi lunghi della giustizia. Sono state leggi mai a favore della totalità dei cittadini e delle famiglie, che si trovano in evidente e sempre maggiore sofferenza economica e sociale.
In conclusione, onorevole Berlusconi, di fronte al suo inadeguato, reticente, deludente e sicuramente tardivo discorso programmatico, non si può non pensare che questo sia l'inizio della fine dell'esperienza governativa di centrodestra in Italia. Molto meglio sarebbe stato finirla qui!
Signor Presidente, a nome dei Repubblicani europei, mi auguro che questa agonia da lei imposta non produca ulteriori e troppi danni all'Italia che noi tanto amiamo (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Verdi-l'Unione).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.

MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, alzandosi questa mattina con il pensiero di dover affrontare queste ore di dibattito in aula, lei avrà pensato a questo rituale un po' scontato ed a quante cose utili si sarebbero potute fare oggi, non tanto senza perdere tempo, ma certamente senza dover ascoltare tante persone.
Allora, brevemente, cercando di far fruttare il tempo, ascolti qualche semplice parola di chi si occupa di politica estera, cerca di fare politica e di stare in mezzo alla gente.
Chi ci ha votato nel 2001 è stato sconcertato da questa crisi (condivido il suo punto di vista: in buona parte non l'ha compresa), ma anche di più dal fatto che, in questi anni, il nostro Governo non sia stato in grado di raggiungere quegli obiettivi che lei, in un modo assolutamente diretto, persuasivo e convincente, aveva proposto agli italiani. Glielo dico con affetto: chi conosce i meccanismi sa bene quanti rallentamenti, difficoltà e boicottaggi si incontrano quando si vuole lavorare bene. Forse, quattro anni fa non ci rendevamo conto di quanto l'apparato burocratico, certi poteri forti, certe strutture sedimentate negli anni si muovano per non consentirle e per non consentirci di lavorare. Per carità, vi saranno stati anche errori da parte nostra; ma, in fondo, signor Presidente, vi è una pervicace volontà della macchina a non voler funzionare, anche perché, per funzionare, bisogna lavorare e lavorare costa fatica. Quindi, tutto si rallenta, si complica, si rinvia.
Se posso permettermi di muovere una critica al Governo, essa riguarda la capacità di trasmettere agli italiani la percezione di quanto, invece, è stato fatto e di spiegare il motivo per cui non è stato possibile fare alcune cose.


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Lei ha un innato buon senso, nato dalla gestione delle cose concrete e quotidiane e dalla capacità di prendere decisioni rapide, altrimenti in azienda si muore affogati. Sono convinto che, se ci si rende conto che per governare bene oggi è necessario il coinvolgimento dell'opinione pubblica nell'affrontare i problemi, il primo obiettivo del Governo debba essere quello di coinvolgere la gente, perché se la gente capisce, giudica e vota.
Signor Presidente, oggi si apre una pagina rinnovata: la gente ci guarda e ci rimette alla prova. È una specie di sessione di appello della durata di un anno durante la quale dobbiamo tornare a conquistare la fiducia della gente. Lei giustamente ha citato pochi punti programmatici, sui quali si impone un segnale di chiarezza, di coesione e di scelte. Si tratta di una scommessa del Governo che deve essere accolta con impegno, tuttavia, anche dalla maggioranza parlamentare, perché le responsabilità vanno condivise e anche noi in quest'aula abbiamo la responsabilità di permettere al Governo di lavorare in maniera più scorrevole.
Cerchiamo di far conoscere agli italiani cosa si sta facendo. Per esempio: lei ha accennato a come oggi l'Italia sia ben presente nel mondo e con un ruolo molto più apprezzato e conosciuto. Andiamo avanti su questa strada senza paura di tenere il punto. Ieri ha citato il caso Calipari; nei confronti dei nostri amici ed alleati americani non dobbiamo avere posizioni supine o subalterne. L'Italia ha conquistato e deve difendere la propria autorevolezza. Lo stesso vale per la situazione in Iraq, dove la presenza del nostro contingente è fondamentale e dovrebbe essere conosciuta di più dagli italiani attraverso i media. È ovvio che bisogna cominciare a pensare ad un progressivo rientro del nostro contingente, ma facciamo vedere quanto di buono stanno facendo i nostri ragazzi! C'è da essere orgogliosi in Iraq, come in Afghanistan, in Africa e nei Balcani. Il Governo, per esempio, deve trovare i mezzi per consentire una maggiore presenza dell'Italia nel mondo nell'ambito della cooperazione allo sviluppo. Anche questo è il modo di portare avanti una politica intelligente che il ministro degli affari esteri, ancora due settimane fa, ha dimostrato di saper ben condurre a livello di riforma del Consiglio di sicurezza dell'ONU.
Nel suo intervento di ieri, inoltre, ho inteso la volontà - questo è l'aspetto politico - di stringere maggiormente i rapporti all'interno della Casa delle libertà in una progressiva e più forte unità tra i partiti politici che la compongono. Penso che sia assolutamente giusto, ma se vogliamo proseguire su questa strada dobbiamo con serietà trovare anche più tempo per affrontare i temi politici, che non sono solo quelli di tipo amministrativo e di Governo, ma anche etici, culturali, sociali e programmatici. Questo è il cemento per costruire una Casa comune, così come tutti devono capire che certi slogan, certe polemiche e certe eccessive visibilità danneggiano proprio la Casa comune.
Con alcuni amici leghisti sottolineavo come certi loro atteggiamenti abbiano portato sì un piccolo aumento dei voti, ma hanno causato disastri in molte parti d'Italia. Alla fine quel voto in più alla Lega è per l'intera Casa delle libertà. Vedo qui di fianco l'amico ministro Maroni: i voti che abbandonano la Casa delle libertà, tuttavia, sono ben maggiori e fanno un danno a tutta la coalizione. Quindi lei, signor Presidente, ha il diritto e il dovere di imporre a tutti delle regole del gioco condivise, perché la gente oggi vuole vedere unità nella Casa delle libertà rispetto ad una sinistra che, al solo scopo di creare un cartello elettorale, seppur in dissenso su tutto e soprattutto divisa su concetti e principi profondi, non riesce a mettere insieme questa base comune ma vuole dirigere una nazione.
Buon lavoro, Presidente, a nome di tanti, tantissimi italiani anonimi e silenziosi, che guardano e giudicano, magari con distacco perché sono disamorati e scettici, ma in fondo non possono che provare simpatia per chi rischia in proprio e per chi ha avuto il coraggio vero di scendere in campo quando tutto sembrava difficile e perduto. Non sono elettori, sono


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cittadini e sono la nostra forza perché è gente che fa funzionare l'Italia e soffre se non raggiunge il proprio obiettivo. Essi chiedono un Governo e una maggioranza parlamentare efficienti, grintosi e convinti di voler far bene. Il mio e il nostro dovere è quello di aiutarla. Il suo dovere è quello di raccogliere questo messaggio di speranza che oggi, proprio oggi, viene comunque da tantissimi italiani che sono pronti - noi non li deluderemo - a stare al nostro fianco. Buon lavoro, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Rossi. Ne ha facoltà.

NICOLA ROSSI. Onorevole Presidente del Consiglio, non più tardi di quattro anni fa, esattamente in quest'aula, lei ebbe modo di affermare testualmente: «Per il Sud abbiamo un piano preciso, un piano che ho cominciato a studiare durante il nostro primo Governo nel 1994, al quale ho lavorato durante tutti gli anni dell'opposizione e sul quale sono assolutamente certo si possa davvero contare».
Penso di poter francamente dire che lo svolgimento della estenuante verifica durata un anno e poi la crisi di Governo, con tutto ciò che ne è seguito, in realtà segnalino che questo piano, sul quale lei riteneva si potesse contare con assoluta certezza, non c'era e forse non c'è mai stato.
Per quattro anni il Governo si è mosso a tentoni finendo per condividere, più per impreparazione e per subalternità culturale, molte delle scelte della passata legislatura, associandovi la riedizione di vecchie pratiche, più che di vecchie politiche, come le relazioni clientelari, la costruzione del consenso, dispute di potere ed estenuanti compromessi, ed inaugurando - coraggiosamente, devo dire - la via lessicale allo sviluppo, cioè promuovendo le aree del Mezzogiorno da aree depresse ad aree sottoutilizzate.
Se è vero, com'è vero, che le scelte per il Mezzogiorno definiscono come poche altre l'identità delle forze politiche e la loro idea del paese, tale idea - detto con franchezza - nel secondo Governo Berlusconi non c'era. Del resto, ed i dati lo testimoniano, nel Mezzogiorno registriamo una crescita stentata del prodotto: vi sarebbe bisogno di oltre un secolo per avvicinare il Mezzogiorno al centro-nord. Il prodotto lordo pro capite è ancora al di sotto dei livelli degli anni Ottanta e cresce - quando cresce e se cresce - solo perché all'appello della popolazione meridionale mancano ogni anno tra i 70 e gli 80 mila giovani diplomati emigrati nel centro nord. Il mercato del lavoro trova un suo equilibrio solo espellendo giovani lavoratori o costringendoli a sommergersi. La capacità di attrazione degli investimenti esteri provenienti da aree diverse dall'Unione europea sfugge alle misurazioni correnti tanto è piccola. Infine, le condizioni di sicurezza sono in diminuzione costante da quattro anni: sono tutti dati forniti, con la consueta trasparenza, dal Ministero dell'economia. Questo è il Mezzogiorno che vi apprestate a consegnarci e che vi ha allontanato con il voto.
Non basta sottolineare, come è stato fatto in questi giorni, che sul Mezzogiorno avete riversato risorse ingenti. Sappiamo bene anche noi che le risorse aggiuntive, almeno di competenza, negli ultimi quattro anni sono state tra i 40 e i 50 miliardi di euro. Tuttavia, questa è un'aggravante, non un'attenuante: quando si spendono risorse pubbliche per ottenere risultati così labili e così scarsi il problema è molto serio e se lo sperpero di denaro pubblico è di solito inaccettabile diventa intollerabile in aree in cui mancano gli asili nido e le residenze per anziani. Ho osservato con molta curiosità quanto stretto sia il rapporto tra la Casa delle libertà ed il concetto di merito, visto che il principale responsabile di tale disastro è stato nominato ministro.
Questo è il Mezzogiorno per il quale, da molte parti della maggioranza, si chiedeva a gran voce una discontinuità. A quella richiesta, signor Presidente del Consiglio, lei ha risposto dicendo: utilizzeremo gli stanziamenti in conto capitale previsti dalla finanziaria 2005; penseremo ad una


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fiscalità di vantaggio; cercheremo di rendere operativo il fondo rotativo; accelereremo la spesa per le infrastrutture; difenderemo le ragioni del Mezzogiorno nella trattativa sul quadro comunitario di sostegno 2007-2013. Mi rivolgo, in particolare, agli amici dell'UDC ed ai colleghi di Alleanza nazionale che con più forza hanno chiesto una discontinuità nelle scelte di politica per il Mezzogiorno: c'è da trasecolare sentendo dire tali cose al Presidente del Consiglio. Mi spieghi: intendeva, per caso, il precedente Governo non usare gli stanziamenti in conto capitale previsti dalla legge finanziaria 2005? Intendeva, forse, il precedente Governo non applicare una norma già approvata come quella sul fondo rotativo? Intendeva, forse, il precedente Governo non accelerare le infrastrutture? Intendeva, forse, il precedente Governo non difendere le ragioni del Mezzogiorno nella trattativa sul quadro comunitario di sostegno 2007-2013? C'è da non credere alle sue parole, glielo dico con franchezza.
A cosa si riduce tutta la discontinuità? Alla fiscalità di vantaggio? Signor Presidente del Consiglio, c'era già: si chiamava credito d'imposta e l'avete azzerata voi. Dobbiamo forse considerare parte integrante del programma del nuovo Governo le estemporanee proposte del nuovo Vicepresidente del Consiglio Tremonti? Ebbi modo di osservare, tre anni fa, che si trattava e si tratta certamente di un ottimo fiscalista, ma spesso molto poco a suo agio quando bisogna affrontare questioni economiche, anche semplici. Così è stato anche in tale occasione. Prendete, ad esempio, la questione dell'allungamento delle concessioni demaniali, questione sulla quale - non ci sono dubbi - la maggioranza ha saputo rubare la scena all'opposizione con critiche sferzanti.
Ebbene, quella proposta ci dice sostanzialmente due cose. Primo: per quanto riguarda il turismo nel Mezzogiorno, non è stato fatto niente, altrimenti, non ci sarebbe stato bisogno della proposta. Secondo: non ci sono i soldi per il futuro, perché, se così non fosse, anche qui non ci sarebbe stato bisogno della proposta. Tuttavia, essa ci offre soprattutto l'ennesimo esempio di un modo di intendere l'economia. Vorrei che il ministro dell'economia e delle finanze, il quale ha certamente competenza per spiegarci queste cose, spiegasse gentilmente all'onorevole Tremonti che la finanza non è quella cosa che ci permette di prendere le risorse dei nostri figli e dei nostri nipoti per fare una campagna elettorale! Di solito, essa serve ad altro!
Di cosa dovrei parlarvi? Forse della banca del sud? Anche in questo caso vorrei che il ministro dell'economia ci aiutasse veramente a spiegare al vice primo ministro Tremonti che la ricchezza di una banca - lei, signor Presidente del Consiglio lo sa benissimo - non è data dall'identità dei suoi azionisti, bensì dal radicamento e dalla forza del rapporto con i clienti. Quando questo rapporto manca, lo si sostituisce, di solito (nella valutazione di una banca), con il rapporto con il potere politico: di questo tipo di banche ne abbiamo avute fin troppe nel Mezzogiorno!
Né tanto meno, detto con franchezza, possiamo trovare un segno di discontinuità sul fronte istituzionale, per il quale lei, signor Presidente del Consiglio, ha confermato il percorso voluto ed imposto dalla Lega, devo dire anche perfettamente compreso dagli elettori meridionali. Si tratta di un percorso pericolosissimo per le regioni del Mezzogiorno, ma soprattutto per l'unità del paese. È peraltro un percorso segnato da un problema di particolare gravità, che vi ricordo. Come sapete bene, una parte della riforma costituzionale in discussione entrerà in vigore immediatamente dopo il referendum confermativo; si tratta della parte relativa alla modifica dell'articolo 117, la cosiddetta devolution. Vi rendete conto di cosa significa portare gli elettori a votare nel 2006 per il Parlamento, in presenza di un referendum pendente, chiedendo loro di votare per i propri rappresentanti, senza sapere quali poteri legislativi essi potrebbero poi esercitare, viste le modifiche intervenute sul nuovo Titolo V? Si tratterebbe di una scelta, per molti versi, al buio. Da parte


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della maggioranza si obietta che così è stato fatto nella passata legislatura. Mi permetto di segnalarvi che un paese nel quale una parte politica adotta come metro per i propri comportamenti gli errori dell'altra parte...

PRESIDENTE. Onorevole Nicola Rossi, la invito a concludere.

NICOLA ROSSI. ... non va francamente molto lontano! Nel concludere, osservo che, a fronte di questa posizione della maggioranza, in questo campo l'Unione ha una sua proposta politica; essa è già in atto, perché il coordinamento dei presidenti delle regioni meridionali è già un'azione politica, è già un'idea diversa del Mezzogiorno, è già un'idea del Mezzogiorno come area omogenea, che come tale va intesa.

PRESIDENTE. Onorevole Nicola Rossi, deve proprio concludere.

NICOLA ROSSI. La proposta politica dell'Unione parte dall'idea che il Mezzogiorno sia un problema di politica estera, prima che un problema di risorse. Vedete, la differenza tra noi e voi si riduce ad un qualcosa di molto semplice. Voi avete messo in campo un nuovo ministero, che non avendo la forza di chiamare ministero del Mezzogiorno, avete chiamato di sviluppo e coesione. Ma qui sta la differenza. Noi pensiamo che la questione meridionale esista: lo affermiamo e la vogliamo affrontare. Voi, non potete e non volete farlo (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rotondi. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO ROTONDI. Signor Presidente del Consiglio, la Democrazia Cristiana le darà con piacere i tre voti di fiducia, perché si compone in Parlamento di tre deputati che sono stati eletti con il simbolo «Berlusconi Presidente». Noi non crediamo a questo sistema elettorale, che reputiamo superato per l'evidenza dei fatti; tuttavia, poiché esiste un'etica anche nei sistemi elettorali, questi tre voti non fanno parte di una possibile trattativa. Pertanto, la ringraziamo di aver voluto lanciare il segnale politico di non consultarci nemmeno, perché questo è un messaggio politico chiaro, quale un premier dovrebbe sempre dare ai suoi alleati: cioè, con questo sistema elettorale il Presidente del Consiglio, che viene eletto perché il suo nome è sulla scheda, non ha alcun bisogno di consultare i suoi deputati, perché essi vivono ed operano con la sua maggioranza, finché essa ha una missione da compiere.
Noi reputiamo che la sua missione di Governo non sia completata e che per certi aspetti questi 13 mesi possono completarla con maggiore efficacia rispetto ai quattro anni precedenti. Tuttavia, con questo riconoscimento - non saremmo la DC se non facessimo una critica nel complimento! - c'è anche una critica.
Credo, signor Presidente, e con me i deputati della DC, che, difficilmente, le analisi circolanti sulle ragioni della crisi possano essere spiegate all'opinione pubblica.
Si è votato per le elezioni regionali, ma la sua maggioranza non ha discusso in ordine alle regioni per cui ha perso le suddette elezioni, elezioni politiche ed amministrative contraddistinte da un sistema elettorale che prevede semplicemente che chi ha più liste ha più candidati e chi ha più candidati e più liste vince di più, mentre c'è chi ne ha di meno, perché le «butta dalla finestra» o le regala ai terzi poli o agli avversari, amministrando la coalizione come un condominio rissoso.
Siete gli ultimi in Italia ad adottare i regolamenti dei circoli ottocenteschi, conseguendone la necessaria unanimità dei soci perché si fosse accolti. Con questo brillante risultato avete messo fuori interi partiti potenzialmente della vostra coalizione; successivamente, signor Presidente, l'hanno convinta, osservando il pallottoliere, che, togliendo una palla a destra e una a sinistra, si potesse essere di più. Quando, alla fine, il pallottoliere degli altri ha esibito più palle, le hanno detto che era


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colpa sua e che bisognava aprire la crisi di Governo. Lei, signor Presidente, oggi è qui in seguito ad una crisi che, ai tempi del partito di cui porto il nome, si sarebbe chiamata (si usava anche allora) crisi congressuale!
Ricordo il suo vice premier Follini per l'unico episodio divertente della sua breve presenza al Governo. Quando nevicò in Calabria, l'opposizione ebbe l'acume di dire: «Nevica, Governo ladro» e il suo Governo, nella persona del vice premier, rispose: «Avete ragione, il Governo si scusa»! Bene, al congresso, lei gli risolve i problemi, allestendogli la squadra. Per quanto riguarda il gruppo di Alleanza nazionale, che auspicavamo un tempo divenisse più democristiano (lo è divenuto troppo, essendo pieno di correnti), lei, con la crisi, gli aggiusta le cose!
In particolare, il collega di Alleanza nazionale ha affermato che lei rischia in proprio in questo momento. È normale che un premier rischi in proprio, ma il suo problema è che rischia da solo!
Per quanto ci riguarda, noi le daremo i nostri tre voti, nulla chiedendo per il nostro partito, molto chiedendo per la sua assunzione di responsabilità! Auguri!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Brugger, al quale ricordo che ha a disposizione quattro minuti. Ne ha facoltà.

SIEGFRIED BRUGGER. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, il Südtiroler Volkspartei è il partito di raccolta della minoranza sudtirolese, un richiamo, come sempre, per i governi rispetto ai programmi ed ai valori che esprimono ed ai fatti concreti che ne seguono; è un partito popolare, di centro, posizionato al di fuori dei cosiddetti blocchi nazionali del centrodestra o del centrosinistra, che fa parte anche del partito popolare europeo.
Non abbiamo votato la fiducia nel 2001, ma abbiamo dichiarato che avremmo seguito senza pregiudizi il lavoro del Governo. A distanza di quattro anni, constatiamo - lo facciamo con il distacco di un partito piccolo ed indipendente che guarda oltre i confini nazionali e segue, con attenzione, la politica negli altri paesi europei - che questa maggioranza non solo non è riuscita a mantenere quanto promesso, ma non potrà nemmeno onorare quanto lei, signor Presidente del Consiglio, con grande enfasi, aveva siglato davanti ai riflettori televisivi di Porta a Porta, vale a dire il cosiddetto contratto con gli italiani. La promessa aveva riguardato anche le due aliquote IRPEF che non compaiono più nel programma e ciò basta per constatare l'inadempimento grave degli obblighi contrattuali, per parlare in termini di diritto civile. In particolare, in diritto civile, la controparte può sempre chiedere, in ogni momento, la risoluzione per inadempimento, mentre in politica è un po' diverso, perché sarà l'elettore a giudicare.
La prima conclusione è la seguente: se lei farà ciò che ha sempre sostenuto, prima o poi dirà che non si ripresenterà più come leader della coalizione alle prossime elezioni politiche.
A mio avviso, dovrebbe almeno avere l'umiltà di ammettere di aver commesso errori nella propria gestione politica ed offrire, anche se in extremis, soluzioni tali da non compromettere ulteriormente la posizione dell'Italia nei confronti dell'Europa.
La vendita delle spiagge non sembra la soluzione migliore per procedere in questa direzione.
Presidente Berlusconi, anche ieri lei ha sostenuto che la drammatica situazione economica dipende da fattori esterni. Ciò non è vero; basta considerare ad esempio l'Austria, paese governato da una coalizione di centrodestra, che negli ultimi anni ha notevolmente migliorato la propria posizione economica attraverso riforme anche incisive, o la Germania, paese governato da una coalizione di centrosinistra, che si trova in grosse difficoltà ma che ci ha provato sul serio, chiedendo grandi sacrifici alla propria popolazione. Il risultato è che, in base a tutte le stime, l'anno


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prossimo la Germania rientrerà nei parametri euro, mentre temo che l'Italia ne uscirà.
Ci si aspettava che questo Governo reagisse con forza, magari chiedendo ulteriori sacrifici, ma nulla di ciò è accaduto e il programma di fine legislatura proposto non sembra affatto all'altezza di risolvere neanche uno dei problemi del paese.
Dopo la sonora sconfitta elettorale in occasione delle elezioni regionali ci si aspettava innanzitutto un rafforzamento della politica moderata all'interno della maggioranza, invece è avvenuto esattamente il contrario. L'unica forza moderata, l'UDC, è stata indebolita, mentre si è rafforzata la destra con l'entrata nel Governo del ministro Storace. Per non parlare del rientro di Tremonti che, non meno di un anno fa, era considerata persona non gradita da AN e UDC e che adesso rientra a far parte del Governo con tutti gli onori.
Si tratta di contraddizioni che, a nostro avviso, non possono garantire unità e stabilità all'interno della maggioranza nei prossimi mesi. Perciò - seconda conclusione -, ci troviamo di fronte anziché ad un Governo moderato - come da noi auspicato -, ad un compromesso con un minimo denominatore comune: un Governo debole non in grado di affrontare le emergenze del paese.
Concludo, signor Presidente, e chiedo l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.

SIEGFRIED BRUGGER. Comunque, poiché valutiamo negativamente il nuovo esecutivo, non voteremo la fiducia allo stesso (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Minoranze linguistiche e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Craxi. Ne ha facoltà.

BOBO CRAXI. Presidente, onorevoli colleghi, la fase di crisi che ha investito la maggioranza, uscita vincitrice dalle elezioni del 2001, senza robuste correzioni e iniezioni di fiducia politica non si concluderà certamente con il voto di oggi.
Tuttavia, per noi socialisti del Nuovo-PSI, resta in piedi un vincolo di lealtà nei confronti innanzitutto della persona del Presidente del Consiglio ed un atteggiamento di sostegno per garantire in questo ultimo anno di legislatura un esecutivo che svolga un'azione in favore, in primo luogo, dei ceti meno garantiti e del Mezzogiorno, così come avevamo sollecitato sin dall'inizio della crisi, invocando un nuovo programma di Governo concentrato su pochi ma mirati obiettivi di natura politica e programmatica.
Presidente Berlusconi, la lealtà verso la sua persona non ci impedisce di vedere i problemi per quelli che sono. Innanzitutto i problemi di natura politica, sui quali vi sono idee diverse; non nascondiamo che la nostra presenza all'interno della Casa delle libertà resta certamente una presenza di carattere tattico e non con finalità strategiche.
Tuttavia, ritengo che una alleanza possa essere rilanciata se il rinnovato spirito unitario consentirà alla stessa una vita futura. D'altra parte, un'alleanza politica che deve avere un profilo unitario è cosa diversa da partiti unici che non si fondino su valori e ideali comuni, unificanti, appunto unici.
Il mastice per i maggiori partiti della Casa delle libertà in questo caso si chiamerebbe partito popolare europeo e non sarebbe affatto sbagliato animarne la sezione italiana. Tuttavia, per gli amici popolari italiani, si tratta non di applaudire il Presidente del Consiglio, ma soprattutto di riflettere sul fatto se la sua proposta convenga alla democrazia italiana ed al suo sviluppo ben ordinato in questa confusa transizione politica.
Da parte nostra cerchiamo di osservare ciò che accade - o potrebbe accadere - in un quadro di alleanze comunque naturale per i socialisti.


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Tuttavia, guardando naturalmente alla nostra sinistra, si tratta di rompere - e mi rivolgo agli amici, ai compagni e ai fratelli del gruppo Misto-SDI-Unità Socialista - l'anacronistico patto di azione che li lega a forze di ispirazione post-comunista. In una situazione dinamica non mancheremmo di fare la nostra parte per dar corso ad un serio tentativo di creare un'area riformista di stampo socialista adatta ai nostri tempi, superando i contrasti recenti, le divisioni recentissime e anche quelle più antiche, purché tale sforzo sia compiuto con spirito concreto per garantire la stabilità, la governabilità e la fine della tenebrosa transizione politica italiana.
Per il momento restano molte cose da fare per il nostro paese; mi riferisco alle questioni internazionali che gravano sul futuro dell'Europa e su quello del Medio Oriente, ovvero problemi su cui lei direttamente si è impegnato con forza, autorevolezza e prestigio riconosciuti in campo europeo ed internazionale. Per questo mi auguro che l'ultimo anno della legislatura non si trascini stancamente, bensì sia un cantiere politico aperto nel superiore e definitivo interesse del nostro paese e dei nostri concittadini.
In conclusione annuncio naturalmente il voto favorevole del gruppo Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI, svolgendo una riflessione che la riguarda, ma che è aperta verso i colleghi. Mentre il Presidente Berlusconi ieri pomeriggio completava il suo discorso programmatico con un colpo di teatro, che oserei definire ad «orologeria politica», lo stesso Presidente veniva rinviato a giudizio. Vorrei parafrasare il poeta Pascoli: «C'è qualcosa di nuovo oggi nell'aria, anzi d'antico». Mi auguro che, di fronte a queste incursioni della giustizia ordinaria italiana nel campo della politica, il suo Governo e lei, signor Presidente del Consiglio dei ministri, sappiate reagire con tutta l'energia e la capacità democratica di cui disponete (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI e di Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella, alla quale ricordo che ha a disposizione sette minuti. Ne ha facoltà.

LUANA ZANELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi e rappresentanti del Governo, l'esito finale - ammesso e non concesso di essere davvero all'epilogo della crisi di Governo - ci lascia a dir poco stupefatti e a dir meglio indignati.
Ma come, a fronte di una situazione economica, sociale ed ambientale talmente grave da configurarsi come vera e propria emergenza, dopo un risultato elettorale con cui il popolo sovrano in modo netto ed inequivocabile ha revocato la fiducia al centrodestra, il Presidente incaricato della formazione del nuovo Governo si presenta al Parlamento con una proposta programmatica assolutamente vaga e generica, senza fare un minimo di autocritica, tacendo sugli errori commessi, non mettendo a fuoco i problemi più stringenti ed ignorando l'urgenza di un cambiamento radicale nelle politiche di Governo!
A detta di autorevoli esponenti del centrodestra, sarebbe dovuto essere il Governo della «discontinuità e della svolta», in grado di contrastare la deriva della stagnazione della nostra economia, capace di arrestare la caduta di competitività del sistema-paese e di rispondere al bisogno di sicurezza e di prospettive che drammaticamente emerge dal corpo sociale. Invece, il Berlusconi-bis appare una fotocopia sbiadita, un inquietante replicante del Governo precedente. Il premier è sicuramente più debole e costretto a percorrere controvoglia il rito e l'iter della crisi, a riproporsi al paese senza slancio, dopo avere ricontrattato il patto di potere con alleati sempre più litigiosi, divisi e molto preoccupati innanzitutto di mantenere le rispettive rendite di posizione.
Per tenere insieme, non si sa fino a quando, la «baracca», Berlusconi ha raggiunto un altro record, quello del numero dei componenti della compagine governativa: novantanove, alla faccia dell'ammodernamento della pubblica amministrazione che a suo tempo si era prefisso. Ma


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il tratto che contraddistingue il nuovo esecutivo è, purtroppo, l'assoluta autoreferenzialità e l'abissale distanza rispetto al paese reale, alle sue necessità, ai suoi diritti, alle sue giuste pretese.
È evidente che, al momento dell'elaborazione concreta delle proposte politiche, così vagamente presentate nell'intervento del premier, tutte le contraddizioni e le divergenze emergeranno nella maggioranza, producendo instabilità e conflitti. Ci sarà, a fare chiarezza, la durezza dei conti e della scarsità delle risorse a disposizione: dopo quattro anni di cura a colpi di condoni, di una tantum, di scudi fiscali, di cartolarizzazione, di vendite di patrimonio pubblico, il fondo del barile è stato ripulito. Dunque, come impostare una politica fiscale che favorisca con efficacia le famiglie, le imprese, il sud e la competitività complessiva? Come fare? Ad esempio, se si applicasse il quoziente familiare, sarebbero necessari da 6 a 13 miliardi di euro, quasi un punto di PIL; ma per sistemare i conti e contenere il disavanzo sono necessari altri 12 miliardi, e altri ancora per la riforma dell'IRAP e per la riduzione del cuneo fiscale. Dal momento che non vi sono grandi aspettative di crescita, a chi si toglie per finanziare scelte di politica fiscale necessarie ma estremamente costose?
Di tutto ciò il premier sembra non preoccuparsi: evidentemente ritiene che possano ancora funzionare le armi della propaganda e delle promesse, come se dopo quattro anni di Governo non fosse arrivato ormai il tempo della verifica, del bilancio, della resa dei conti. Invece, caparbiamente, presenta un esecutivo ridondante nei numeri, praticamente monosessuato, con due grandi novità, la prima delle quali è costituita dalla sostituzione del ministro Sirchia con l'ex governatore del Lazio, la cui politica sanitaria è stata sonoramente bocciata dal voto democratico dei cittadini e delle cittadine di quella regione.
La seconda novità è data dal rientro trionfale e trionfalistico di Tremonti. In tal caso, siamo davvero al paradosso: forte dell'appoggio della Lega Nord e dell'alto gradimento del premier, sembra tutt'altro che preoccupato del disavanzo di bilancio, dello stato drammatico dei conti pubblici, della spada di Damocle dell'Eurostat. Anzi, con rinnovata arroganza si rimette in cattedra e presenta l'ultima ricerca per il nostro bel paese, accolta con entusiasmo dal neoministro per lo sviluppo e la coesione sociale, la madre di tutte le una tantum: l'alienazione delle coste meridionali per fare cassa e finanziare un non meglio precisato piano di sviluppo turistico del sud. Ciò dice della cultura ambientalista di questo Governo e del centrodestra italiano.
La crisi formale si concluderà fra qualche ora, ma la crisi sostanziale di questa maggioranza, che non è più maggioranza nel paese, continuerà a corrodere le relazioni e sarà tanto grave da destabilizzare e inficiare l'azione del Governo, che continuerà a logorarsi a causa dei veti incrociati, delle visioni differenti e degli interessi divergenti presenti al proprio interno. È stata persa l'occasione, purtroppo, di perseguire l'interesse nazionale, prima di tutto riconsegnando la scelta fondamentale sul futuro del paese all'elettorato, ripartendo con un Governo forte, coeso, legittimato e responsabile, in grado di far uscire l'Italia dal tunnel e di farla davvero ripartire (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-l'Unione e Misto-SDI-Unità Socialista - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto parlare l'onorevole Dario Galli. Ne ha facoltà.

DARIO GALLI. Egregio signor Primo ministro, siamo qui per celebrare una crisi di Governo che, francamente, abbiamo compreso a fatica. Forse, la situazione di difficoltà che attualmente attraversa il paese rappresenta il momento meno opportuno per una «liturgia» che speravamo appartenesse al passato. In ogni caso, riteniamo che in quanto sta avvenendo vi sia una qualche utilità, perché sarà possibile, quanto meno, chiarire alcune posizioni e stabilire la rotta per i prossimi 12 mesi.
Signor Presidente del Consiglio, nel discorso da lei svolto ieri alla Camera -


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breve ma pieno di concretezza e di argomenti - ha elencato i temi importanti da affrontare nel prossimo anno (sud, famiglia, imprese e riforma costituzionale). Entriamo quindi nel merito di tali aspetti, che riteniamo più interessino i cittadini del nostro paese.
In relazione al sud, è sicuramente intervenuto un problema di comunicazione. Tutti i giornali, tutti gli organi di informazione (anche quelli schierati dalla parte avversa) hanno evidenziato come questa maggioranza, in realtà, abbia concesso alle regioni meridionali fondi maggiori, più della media degli anni precedenti. Sicuramente è mancata un'adeguata politica di comunicazione, ma, soprattutto, mi permetta signor Primo ministro, abbiamo forse mancato nel centrare perfettamente la politica di sovvenzione alle regioni meridionali. Si è, piuttosto, continuato con la precedente politica di finanziamento dei vecchi mezzi di intervento nelle regioni settentrionali, mentre il meridione sicuramente necessita di misure diverse.
Le regioni meridionali hanno ricchezze proprie, non comparabili con quelle delle altre regioni del paese e del resto d'Europa: queste caratteristiche andrebbero valorizzate. Vi è un problema di valorizzazione delle bellezze paesaggistiche, della cultura, della storia (di cui queste regioni sono ricche) e, nella sua complessità, del turismo, che, invece, è assolutamente trascurato e posto in secondo piano rispetto alla inutile politica di industrializzazione seguita nel passato.
Vi è anche un problema di cultura industriale. I giovani del sud, anche quelli più preparati, che studiano, si laureano e vogliono imparare un mestiere, continuano a mettersi in fila per un posto nel pubblico impiego. La cultura di fare impresa, l'orgoglio di realizzare qualcosa in proprio e creare ricchezza per sé, la propria famiglia e i propri concittadini, è ancora troppo assente nelle giovani generazioni meridionali. Ne abbiamo testimonianza anche in questa sede: pochi anni fa, alla Camera dei deputati, si è tenuto un concorso per 150 posti, al quale hanno partecipato 100 mila giovani, in gran parte laureati. Nessun paese può permettersi che 100 mila ragazzi, dopo aver passato 18 anni della loro vita a scuola, si mettano in fila per due, tre o, magari, cinque anni, sperando in un posto pubblico, per quanto ben retribuito e sicuro. È uno spreco che il nostro paese non si può assolutamente permettere.
Pertanto, oltre ad una maggiore comunicazione su quanto già realizzato, questo Governo dovrebbe avere la capacità ed il coraggio (non è facile affermare certe realtà) di far comprendere alle giovani generazioni che, certo, gli aiuti possono anche giungere dal resto del paese e dell'Europa, ma l'aiuto più grande deve spontaneamente nascere nelle regioni meridionali.
Vi è poi il problema del reddito delle famiglie e delle difficoltà che queste stanno incontrando negli ultimi anni, soprattutto dopo l'introduzione dell'euro. Al riguardo, comprendiamo a fatica la posizione dei colleghi di maggioranza: in realtà, questo Governo ha realizzato una politica sulla famiglia, anche e soprattutto per iniziativa della Lega Nord. Ricordo, negli scorsi anni, gli interventi in favore degli asili nido. Il primo modulo fiscale di due anni fa, di fatto, ha ampliato la no tax area e aumentato le deduzioni; l'ultimo modulo fiscale, poi, ha ulteriormente ampliato l'area di non tassazione e le deduzioni per i familiari a carico. Ovviamente, si poteva - a nostro avviso si doveva - realizzare un intervento più deciso e consistente (la Lega ha indicato una strada in tal senso). Ritengo, però, che essere comunque intervenuti e avere, per una volta, invertito la rotta nella direzione di una riduzione delle tasse, per quanto modesta, abbia rivestito un'importanza psicologica e strategica per il paese, che sicuramente è stata sottovalutata. Probabilmente, un intervento numerico maggiore avrebbe dato alla riforma, da lei fortemente voluta e da noi fortemente appoggiata, maggiore consistenza mediatica.
Vi è comunque tempo per rimediare anche in questo senso, e siamo assolutamente d'accordo (è infatti questo uno dei punti fermi della politica della Lega negli


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ultimi anni) sul fatto che l'intervento sulla famiglia sia fondamentale, non solo perché i nostri concittadini, soprattutto quelli appartenenti alle fasce più deboli, hanno spesso difficoltà a chiudere positivamente e tranquillamente il mese per le spese familiari, ma perché la famiglia resta comunque la base insostituibile della nostra società.
Debbo dire che molti problemi che oggi sono di fronte a noi, molte difficoltà in settori lavorativi, nonché quelle morali nell'impostazione della vita dei giovani, derivano dalla crisi della famiglia (e non certo da quella del Governo), quella degli ultimi trent'anni, allorquando, dopo i primi due o tre decenni del dopoguerra in cui l'Italia era ancora un paese normale, con ambizioni normali ed un modo di intendere la vita normale, è arrivata la follia globalizzatrice comunista, che ha portato avanti una serie di idee che hanno contribuito fortemente a distruggere la famiglia.
Oggi il problema della mancanza di famiglie, o di quelle senza figli o, quando va bene, di quelle con un solo figlio, è uno dei problemi più seri del nostro paese, che si sta sostanzialmente impoverendo dal punto di vista umano. Una mancanza che non potrà essere certo sostituita dall'arrivo di persone che con il nostro paese hanno poco a che fare da un punto di vista culturale, che difficilmente si integreranno e che in gran parte torneranno, dopo avere «raccattato» qualche soldo in Italia, nei paesi d'origine. Ogni paese deve pensare alla propria salvaguardia ed al proprio futuro, ed è in questa direzione che va avviata una politica seria sulla famiglia.
Mi sembra che la Lega abbia dato il suo contributo; il ministro Maroni, che siede accanto a lei, ha fatto la sua parte per ciò che riguarda il welfare, e tutto quello che si poteva fare fino a questo momento in tale direzione è stato fatto. Certo, serve uno sforzo ulteriore, perché l'investimento sulla famiglia nel suo complesso rimane in generale l'investimento più importante di qualunque paese, ma in modo particolare del nostro, che da decenni vive tale crisi.
Vi è poi il problema delle imprese, insiste sul quale la Lega batte da anni con argomentazioni spesso derise, oltreché da molti colleghi, soprattutto dagli organi di informazione, anche quelli più altisonanti, che dovrebbero essere specializzati nel settore economico, i quali immancabilmente ritornano sulle proprie posizioni e ci danno, quando spesso è troppo tardi, ragione su tutta la linea.
Il problema delle imprese italiane viene da lontano; non è certo imputabile a questo Governo e, debbo dire, neanche agli ultimi esecutivi precedenti a quello attuale, anche se questi vi hanno contribuito in maniera seria! È un problema dagli ultimi trent'anni: dal dopoguerra, negli anni Cinquanta e Sessanta, fino alla metà degli anni Settanta, in cui l'Italia è molto cresciuta dal punto di vista industriale ed economico perché basata ancora su princìpi lavorativi assolutamente corretti, quando l'introduzione della mentalità antindustriale e antieconomica e la demonizzazione verso chi crea ricchezza per sé e per gli altri hanno sostanzialmente distrutto il nostro paese da un punto di vista industriale.
Oggi l'Italia è l'unico grande paese dell'Unione europea che non ha più grandi industrie: le imprese più grandi sono ormai i comuni o le imprese statali; chi ha tanti dipendenti è il comune di Roma, quello di Milano, l'Alitalia, le Ferrovie dello Stato, l'ENEL, la Telecom, dunque solo le grandi aziende di Stato.

PRESIDENTE. Onorevole Dario Galli...

DARIO GALLI. Anche in tal senso, un intervento è assolutamente indispensabile, ad esempio sull'IRAP, come chiediamo da anni, sulla riduzione degli oneri, soprattutto quelli impropri; oggi le imprese pagano per la malattia, come è giusto che sia, del dipendente: ma il fatto che una persona si ammali non deve essere a carico dell'impresa, bensì della fiscalità generale.
Vi è poi il problema specifico riguardante la concorrenza dei paesi emergenti (la Cina ed altri), su cui la Lega ha dato segnali precisi da anni ed in tempi non


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sospetti. Fino a qualche settimana fa, il commissario Mendelson ci dava dei «pazzi», perché diceva che occorreva controllare le importazioni del tessile, come se non si sapesse già qualche mese prima ciò che sarebbe poi accaduto: oggi anche lui ci dà ragione e, anche in questo settore, occorre intervenire pesantemente.

PRESIDENTE. Onorevole...

DARIO GALLI. Signor ministro, occorre portare a termine il programma che lei ieri ha indicato con decisione. Lo si deve fare perché il paese ha bisogno di questo, perché non si può permettere un Governo di sinistra nei prossimi anni. Non è mia intenzione fare polemica con gli alleati ma, se si è perso in questa tornata elettorale, ciò non può essere imputato alla Lega Nord Federazione Padana ma, forse, ad una scarsa informazione sulle cose che effettivamente si devono fare.

PRESIDENTE. Onorevole Dario Galli, concluda.

DARIO GALLI. Concludo, Presidente.
Non si debbono rincorrere gli elettori di sinistra, quelli cioè che votano per Bassolino, il quale non riesce neanche a raccogliere quattro sacchetti di spazzatura per strada, ma si deve, a mio avviso, riprendere a fare una politica di centrodestra: più sicurezza, meno Stato e meno tasse, più libertà, più famiglia ed impresa.
Signor Presidente del Consiglio dei ministri, il compito che le spetta è particolarmente difficile ma fondamentale per il nostro paese. Forza e coraggio, dunque; la Lega Nord Federazione Padana è, come sempre, con lei, con spirito critico ma con lealtà e trasparenza sugli obiettivi, anche in quest'ultima e decisiva battaglia (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Oricchio. Ne ha facoltà.

ANTONIO ORICCHIO. Signor Presidente, signor Primo ministro, onorevoli colleghi, la formazione del nuovo Governo chiude una fase di verifica all'interno delle forze politiche di maggioranza seguita, come è noto, anche, ma non solo, dai risultati elettorali delle recenti elezioni regionali del 3-4 aprile scorso.
Se questo è un dato innegabile, non si può oggi non partire proprio da quel dato e, in genere, dai risultati elettorali delle ultime consultazioni, europee e suppletive, per comprendere al meglio la grave crisi di fiducia del paese nei confronti del modo in cui si è governato negli ultimi quattro anni e, quindi, per cogliere pienamente la validità o meno di quanto è emerso dalle dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio dei ministri e, conseguentemente, compiere l'esatta valutazione della fondatezza o meno della richiesta di un voto di fiducia.
I Popolari-UDEUR ritengono che permanga l'insufficienza e l'inadeguatezza politica delle risposte ai bisogni del paese che le forze di maggioranza ritengono di dare con la formazione di questo nuovo Governo. Permane soprattutto il complesso di motivi e ragioni della crisi dell'attuale maggioranza e dei rapporti di democrazia interna e di collegialità fra i partiti che continuano a comporla. E, ciò nonostante, i ritocchi della compagine ministeriale sono stati numericamente corposi ma politicamente ininfluenti. Tali motivi e ragioni sono stati percepiti da tempo dagli italiani che, non solo con l'espressione del voto, che ha portato ad una verifica, hanno dimostrato di aver ben chiaro e presente un innegabile dato di fatto: le annunciate speranze di cambiamento sono state deluse.
Questa realtà ha condotto alle consequenziali scelte e all'abbandono delle forze politiche di maggioranza da parte di milioni di elettori e, fra l'altro, in più momenti, di vari e non isolati singoli parlamentari, consiglieri regionali ed esponenti politici. D'altra parte, non si poteva e non si può far finta di nulla al cospetto della realtà.
Il famoso «contratto con gli italiani», tuttora sbandierato da chi crede ancora nella forza e nella capacità di convinzione


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di carattere esclusivamente mediatico, appare oggi come esempio non di puntuale adempimento, ma di contratto da dichiarare risolto per grave e colpevole inadempimento. La maggioranza, oggi ricomposta con la formazione del nuovo Governo, non ha evidentemente ben presente la gravità dei problemi affrontati dal paese e, in particolare, dai ceti meno abbienti, dal sud e dalle imprese; e neppure, al di là di proclami e ricostruzioni fantasiose di ciò che sarebbe stato già fatto, vi è la consapevolezza dell'eloquente e persistente assenza della maggioranza rispetto a domande e richieste dei cittadini. Una maggioranza permanentemente esposta a diktat di talune parti della stessa ed ai conflitti, sempre meno ineludibili, fra chi al suo interno opera per scelte di carattere generale e, quindi, di natura politica, e chi per opzioni di altro genere.
Oggi il nostro è un paese senza risposte proprio da parte del Governo, destinato a rimanere tale anche con il Governo ricostituito dalla maggioranza che oggi si ricompone. Questa prospettiva è ben conosciuta dal mondo dell'imprenditoria e dalle famiglie, dai ceti meno abbienti e dal Mezzogiorno, nonché da quanti non si sono piegati e non si piegheranno all'idea di un esecutivo ancora oggi soggiogato a linee politico-economiche e a proposte di riforme dettate solo da una parte minoritaria della maggioranza e del paese, che, a nostro avviso, non interpreta neppure le migliori e prevalenti tradizioni di solidarietà nazionale e di civiltà ben presenti non solo nel sud ma anche nel nord del nostro paese. E tutto questo con la grave responsabilità di voler perseguire grandi riforme, più enunciate che seriamente realizzate, e, comunque, malamente portate avanti senza cogliere lo spirito e l'opportunità di unità del paese e senza voler ascoltare le ragioni che dovrebbero presiedere ad interventi come quello sulla Carta costituzionale.
Ma cosa garantisce, oggi, il nuovo Governo, al di là di una perpetuazione in larga parte di uomini, di idee e di programmi ripetutamente enunciati e destinati a rimanere, ancora una volta, solo tali?
Il Presidente del Consiglio ha parlato di «ragioni di fondo», di «stare insieme» e di «coesione di intenti», ma l'eloquente mancanza di applausi, che pure si è rilevata ieri in quest'aula, se non addirittura un malcelato imbarazzo da parte di taluni non insignificanti settori dello schieramento delle forze di maggioranza, la dice lunga sull'infondatezza di quelle ragioni, come al solito meramente enunciate ma, di fatto, concretamente smentite.
Il discorso di ieri del Presidente, nel suo insieme, è apparso - inaudito per chi ha ed avrebbe dovuto avere già ben governato per quattro anni! - come un succedersi di verbi coniugati non al passato prossimo, ma al futuro, con un incerto susseguirsi di «opereremo», «accompagneremo», «daremo», e così via, ma con una sola, innegabile ed assicurata certezza, quella - per noi Popolari-UDEUR, folle e sciagurata - della riforma costituzionale non condivisa e della realizzazione, ad ogni costo ed in modo gravemente sbagliato, della cosiddetta devoluzione.
In tale ottica, il disegno riformatore di una coalizione falsamente presentata come adeguata, con numeri, capacità e carte in regola per un disegno riformatore teso alla modernizzazione ed al cambiamento del nostro paese, appare, per l'ennesima volta, ed ancor più, come vana e mera enunciazione. Non ci sono e non ci saranno riforme importanti senza lo spirito giusto e la condivisione non solo con altre forze politiche, ma con il paese nel suo complesso, che ha sancito anche con il voto il rifiuto di quel modo di governare e di pretendere di riformare.
Riduzione fiscale, interventi per imprese, sud e famiglie sono apparsi, nelle disinvoltamente concise dichiarazioni del Presidente, più enunciazioni che linee programmatiche autenticamente fondate e comprovate nella loro sostenibilità e probabilità di realizzazione. Il promesso mantenimento del rapporto del 3 per cento tra deficit e PIL, così come fugacemente


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espresso, sa tanto di ennesimo impegno di sicura insolvenza, allo stesso modo delle rassicurazioni a suo tempo vanamente date, dopo la finanziaria, quanto all'assoluta insussistenza del pericolo di apertura di procedure comunitarie di avviso per deficit eccessivo nei confronti del nostro paese.
Se tutte queste sono, in sintesi, le ragioni che rendono impossibile votare a favore di questo Governo e che impongono una lotta allo stesso in Parlamento e nel paese, devesi tuttavia rilevare e concludere che, parallelamente alle espresse ragioni di contrarietà al Governo, le forze politiche di opposizione devono coltivare, con non minore impegno, le ragioni della coesione e del rispetto tra tutti i partiti dell'Unione, proprio per predisporre, adeguatamente e per tempo, il cambiamento non assicurato, oggi, dalla maggioranza, ma richiesto dal paese.
Riteniamo, come Popolari-UDEUR, forti di un consenso decisivo e crescente nel paese intero e non solo nelle regioni meridionali, di un consenso clamorosamente accresciuto non per autocertificazione, ma per innegabile attestazione elettorale e, come tale, non smentibile né sminuibile, di dovere ancora una volta rammentare le nostre ragioni, che sono quelle della moderazione, del rispetto e dell'equilibrio, valori tradizionalmente idonei ad assicurare la fiducia ed il consenso del paese.
È assolutamente necessario, nel ribadire la nostra contrarietà all'attuale Governo, ricordare a tutte le forze dell'odierna opposizione parlamentare il dovere di preparare una vera svolta politica, quella svolta che non è garantita e non sarà garantita dall'attuale Governo, e ricordare che le forze dell'Unione, già maggioranza elettorale nel paese, hanno il dovere di preparare quella svolta per vincere davvero, senza cadere nell'illusione di avere già vinto, ma con il ricorso proprio a quei valori che costituiscono il viatico sicuro per porsi e proporsi non come gioiose macchine da guerra, ma come credibile, affidabile e vincente alternativa...

ANTONINO LO PRESTI. Vergogna!

ANTONIO ORICCHIO. ... a tutto ciò che, come il Governo che chiede la fiducia, oggi non ci convince e non convince più gli italiani (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Popolari-UDEUR, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-l'Unione).

ANTONINO LO PRESTI. Questa faccia di bronzo!

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Oricchio.
È iscritto a parlare l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Presidente del Consiglio, il Governo e la maggioranza parlamentare si sono dimostrati rispettosi delle regole e della logica di una trasparente democrazia e consapevoli di dover affrontare i problemi più acutamente avvertiti dal paese nell'ultimo scorcio della legislatura.
Approviamo, dunque, gli intendimenti del Governo frutto di un rinnovato patto di valori e di priorità operative assentito dalle forze costituenti la Casa delle libertà.
Onorevole Presidente del Consiglio, è di straordinaria importanza che la nostra coalizione, portata al Governo dalla non dimenticata né dimenticabile ribellione democratica contro il pessimo quinquennio del centrosinistra, abbia l'energia, la lucidità e l'onestà di dire a chi ha apprezzato questi quattro anni di lavoro che continueremo a perseguire, in mezzo alle difficoltà epocali ricordate dallo stesso Presidente Berlusconi, stabilità e rinnovamento, ma anche di dire a chi, nelle settimane scorse, ha manifestato con il voto o con il «non voto» uno stato di malessere che sono state comprese le sue ragioni, che saranno raccolte le indicazioni più diffuse che salgono dalla sovranità popolare.
Tali priorità ci sono chiare: iniziative più penetranti contro il dilagato aumento dei prezzi ed il non giustificabile aumento delle tariffe pubbliche; abbattimenti fiscali


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percepibili per le famiglie in difficoltà, rinunciando, nel breve periodo, alle pure auspicabili riduzioni generalizzate; incentivazioni più semplici, selettive e meglio attivabili per le imprese delle aree svantaggiate che documentino innovazione tecnologica ed aumento dell'occupazione stabile; più risoluta semplificazione amministrativa e burocratica; accelerazione concludente dei principali contratti di categoria che coinvolgono grandi ed ormai impazienti interessi legittimi.
Vorremmo, in questo senso, che si rendesse anzi visibile il programma mirato, non tanto come di fine legislatura, quanto per il primo di sei anni di un progetto governativo che ha tutta la potenzialità di riscuotere nuovamente nel 2006 consenso e fiducia da una motivata maggioranza del popolo italiano. E poi si vada serenamente alla scadenza naturale verso le elezioni politiche, se possibile, signor Presidente, con una riforma elettorale che concili la rappresentanza proporzionale con il consolidamento della tendenza bipolare; se ciò non è possibile, garantendo, quanto meno, il corretto funzionamento del sistema vigente contro la ridicola truffa delle liste civetta e, dunque, rivedendo in estensione i territori dei collegi e rendendo obbligatorio lo scorporo di coalizione, cosa per la quale io stesso ed altri colleghi siamo firmatari di proposte all'esame approvabili rapidamente con il voto di tutti i settori del Parlamento.
Cari colleghi, nel sentire di Alleanza nazionale - ma penso di quasi tutti i cittadini -, non basta ricordare, pur legittimamente, ai gruppi del centrosinistra le profonde devastazioni che essi hanno indotto nel sistema economico e nel clima civile ed istituzionale dell'Italia o contestare loro il rancoroso atteggiamento con cui, senza quasi mai fare proposte, hanno accompagnato qualsiasi iniziativa del nostro esecutivo o rinfacciare loro che stanno osando riproporre per il Governo del paese quel Prodi che è il simbolo di tutti gli sfasci patiti dall'Italia recente e che proprio per ciò fu precipitosamente esonerato dagli stessi che oggi vorrebbero nuovamente rifilarcelo in «salsa rossa». Considerazioni sacrosante, ma che, in verità, non bastano per rinvigorire il rapporto di confidenza profonda con la gente, cui, invece, deve ambire una coalizione di forze popolari e nazionali, come la nostra, nata sui grandi richiami di libertà sposata all'ordine, modernizzazione collegata alla sicurezza sociale, centralità e primazia dei valori spirituali e culturali, economia di impresa qualificata da penetranti processi di partecipazione.
Il voto di fiducia della destra al ricomposto Governo è, dunque, il voto in favore di un'alleanza politica - diciamolo forte al paese - oggi, più di ieri, necessaria all'Italia, ma che proprio per questo deve allungare il passo delle riforme che semplificano la vita del cittadino e delle misure che tutelino il mondo delle famiglie e delle piccole imprese.
Una coalizione, infine, che senta di più l'esigenza e l'orgoglio di comunicare alla propria gente i successi, illustrandoli e documentandoli, le difficoltà, anche ammettendole più esplicitamente, le scelte e le soluzioni adottate, sempre pazientemente e doverosamente spiegandole, mantenendo così quella feconda tensione democratica che dà senso ai sacrifici ma anche garantisce e ben equamente distribuisce la crescita morale e materiale di una degna identitaria comunità nazionale (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ruzzante. Ne ha facoltà.

PIERO RUZZANTE. Signor Presidente del Consiglio, l'unico motivo per il quale il suo terzo Governo rimarrà nella storia dell'Italia repubblicana è il record assoluto di ministri, viceministri e sottosegretari; peraltro, lei stesso, quando appare in televisione, fornisce al paese dotte lezioni sui risparmi necessari, sui tagli agli sprechi ed alle spese inutili. Novantanove membri di Governo sono decisamente uno spreco; ogni cinque parlamentari della sua maggioranza, uno è al Governo. Come capirà nel corso dei mesi, infoltire la squadra non significa rafforzarla.


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Ma l'elemento più assurdo è il seguente. Non solo lei, ieri - come d'altra parte quattro anni fa -, non ha prestato la benché minima attenzione ai problemi delle giovani generazioni; addirittura, pur potendo contare su novantanove membri di Governo, non ha trovato lo spazio per affidare una sola delega alle politiche giovanili, come avviene in Francia o in Germania, dove sono istituiti veri e propri ministeri per le politiche giovanili. Non una parola del suo programma è stata spesa a favore del mondo giovanile; non si sorprenda, poi, se le estemporanee onde azzurre organizzate a Firenze falliscono miseramente. Ciò non è colpa del povero Scelli; piuttosto, è conseguenza della politica del suo Governo: quattro anni, bilancio zero; anzi, sottozero!
Ascolti il mondo della scuola, dell'università, della ricerca; raccolga le opinioni di studenti, insegnanti, genitori, docenti e ricercatori circa la riforma Moratti: l'ottica nella quale vi siete mossi è solo repressiva contro una generazione che, tra l'altro, probabilmente, vi aveva anche votato nel 2001. I giovani ricordano i suoi Governi per il cosiddetto decreto Urbani, contro chi utilizza Internet, e per il cosiddetto disegno di legge Giovanardi, sulla chiusura anticipata dei locali delle discoteche e dei circoli, quasi si potesse decidere per decreto l'ora di rientro a casa dei nostri figli. Anziché affrontare in termini educativi i problemi connessi all'uso delle droghe leggere, voi proponete, con il cosiddetto disegno di legge Fini, di comminare ai consumatori la pena della reclusione in carcere da uno a sei anni. Al riguardo, le riporto le parole della campagna «Non incarcerate il nostro crescere», che vede coinvolte associazioni laiche e cattoliche, come il CNCA o il Gruppo Abele, impegnate da decenni nel volontariato: «Punire e basta non è solo un cattivo modo di educare, ma è anche e soprattutto inutile». E potrei continuare l'elenco delle disattenzioni di questo Governo verso le nuove generazioni ricordando, ad esempio, i mancati investimenti per il prestito d'onore e per il credito di imposta alle imprese che assumono giovani lavoratori o che investono nella ricerca. Il decreto sulla competitività, poi, non reca alcun elemento né di apertura degli ordini professionali né di riconoscimento delle nuove professioni; il lavoro, quando c'è, diventa sempre più precario e con meno diritti.
Signori del Governo, interrogatevi, dunque, sul perché, secondo l'indagine del Censis, il 25 per cento di chi ha scelto il centrosinistra nelle ultime elezioni abbandonando il centrodestra è rappresentato da giovani di età compresa tra i diciotto ed i ventinove anni: per il 40 per cento, diplomati o laureati; per il 55 per cento, inoltre, coppie con figli.
È dagli anni Settanta che non registriamo un successo di queste dimensioni tra i giovani che per la prima volta si recavano alle urne: oltre il 59 per cento - 7 per cento in più del dato complessivo - ha scelto i candidati dell'Unione. Se sei giovani su dieci scelgono il centrosinistra, ciò significa che la logica emergenziale con la quale vi siete mossi in questi quattro anni è sbagliata. Le giovani generazioni non rappresentano un problema di ordine sociale o addirittura di ordine pubblico; sono una risorsa, una risorsa sulla quale un paese serio dovrebbe investire: investire nei giovani, credendo in essi, significa investire nel futuro del paese.
La fiducia ottenuta nell'ultima tornata elettorale restituisce al centrosinistra una grande responsabilità. Ed è per questo che abbiamo recentemente presentato una proposta di legge che ha come primi firmatari, oltre al sottoscritto, gli onorevoli Fassino e Violante, e che è stata sottoscritta da oltre cento deputati dell'intera Unione, avente ad oggetto l'accesso al futuro delle giovani generazioni. Si tratta di un provvedimento quadro che tenta di coniugare la parola «giovani» con «innovazione» e «saperi». È il frutto di una campagna di ascolto durata sei mesi, nel paese e tra le centocinquanta associazioni giovanili più rappresentative. In tale proposta di legge sono trattati temi centrali, quali la partecipazione dei giovani, attraverso l'istituzione di un Ministero per le politiche giovanili e la realizzazione di un


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consiglio nazionale dei giovani - signor Presidente del Consiglio, lei forse non sa che l'Italia, insieme alla Polonia, è l'unico paese nell'Europa dei 25 che non ha un forum della rappresentanza giovanile, ossia un luogo in cui le giovani generazioni siano coinvolte nel governo del paese -, nonché quello relativo alla possibilità di diventare deputati a 18 anni, ossia ad un'età in cui il nostro ordinamento prevede che si possa diventare sindaci, anche di grandi città, presidenti di regioni, ministri, anche Presidente del Consiglio, ma non deputato.
Nella nostra proposta di legge abbiamo inserito anche altre idee più concrete, con particolare riferimento agli investimenti nella ricerca e nell'innovazione tecnologica; all'accesso alla casa, considerato che un terzo dei giovani tra i 30 e i 35 anni vivono ancora in casa con i genitori e che per i lavoratori a contratto è impossibile avere accesso ad un mutuo; all'accesso alla cultura, in particolare promuovendo la musica dal vivo, sostenendo le opere prime di giovani autori nel campo letterario, teatrale, musicale, delle arti visive o cinematografiche e diffondendole soprattutto all'estero. Altre idee sono contenute nella nostra proposta di legge: dalla realizzazione della carta giovani al raddoppio delle ore di educazione fisica, dal sostegno al servizio civile volontario alla riduzione dell'IVA sui CD musicali, ossia l'esatto contrario di quanto avete fatto voi negli ultimi anni, aumentando le tasse ed i costi dei CD vergini.
Signor Presidente del Consiglio, «il futuro appartiene a coloro che credono alla bellezza dei propri sogni»: è una frase di Eleanor Roosvelt, che nel 1936 fondò una Freedom House, una Casa delle libertà per la libera informazione, un po' diversa da quella che lei ha costruito in Italia.
Siamo certi che i giovani non rinunceranno ai propri sogni e che, assieme a loro, potremo davvero cambiare l'Italia e contribuire a costruire un mondo più giusto (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani e Misto-Socialisti democratici italiani - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Intini. Ne ha facoltà.

UGO INTINI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, sul piano politico il meno che si possa dire è che ad una crisi finta si è data una soluzione finta. Questo Governo ha, infatti, tre caratteristiche. La prima è di essere non solo la «fotocopia» del precedente, ma una «fotocopia balneare», ossia con l'obiettivo principale di superare l'estate, in attesa di tempi migliori per la maggioranza.
La seconda caratteristica è quella di un Governo elettoralistico, nei termini più tradizionali. Sono stati eliminati, infatti, ministri tecnici per far posto agli uomini di partito e delle correnti di partito, specialmente nei dicasteri in cui si spera di poter spendere in modo clientelare.
La terza caratteristica è lo squilibrio a favore della Lega. I ministri leghisti, infatti, si sono dimostrati gli unici inamovibili: l'UDC ed AN hanno voluto l'allontanamento di Tremonti dal Ministero dell'economia, individuandolo - a torto od a ragione - come il simbolo del fallimento economico e dell'«asse nordista». Ora si ritrovano lo stesso Tremonti quale Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Si potrebbe concludere con il vecchio detto popolare: «andarono per suonare e furono suonati».
A questo punto, dalla capacità di ricatto della Lega scaturisce la prima preoccupazione di carattere programmatico. La stessa Lega, infatti, nata e cresciuta con la retorica del secessionismo e dell'antimeridionalismo ha, oggi, un solo obiettivo: ottenere una nuova Costituzione che sancisca, con la devolution, la sua vittoria propagandistica. Noi avanziamo, dunque, soprattutto verso UDC ed AN un ragionamento di buon senso: cambiare la Costituzione in Parlamento «a colpi di maggioranza» che dividono il paese è una manifestazione di insensibilità democratica.


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Si vuole andare oltre? Si vuole cambiare la Costituzione a colpi di una maggioranza parlamentare che oggi non è più maggioranza nel paese? Ci si vuole piegare, sino a tal punto, alla volontà di un partito che rappresenta - non dimentichiamolo - un ventesimo degli italiani?
Si vuole per forza una riforma che significa più spese pubbliche, più divisione dell'Italia, più conflitti di competenza e, di conseguenza, più immobilismo nelle decisioni? Siamo preoccupati per la Costituzione e per i suoi valori, a cominciare da quello della Resistenza.
Sottolineiamo un punto. La destra italiana è l'unica destra europea che non si riconosce pienamente nei valori della Resistenza: l'unica! Churchill e De Gaulle rappresentano il mito della destra europea e, nello stesso tempo, il simbolo dell'antifascismo. In Italia, i sentimenti della destra sono esattamente all'opposto e anche questo ci allontana dall'Europa.
Qui, proprio partendo dal tema dell'Europa, si ritorna ai problemi centrali della politica economica e della politica estera. Non c'è trasparenza nei conti dello Stato, che tutti gli esperti indipendenti considerano molto più negativi di quanto dichiarato ufficialmente. Lo stesso allarme è condiviso dall'Unione europea, ma la risposta è quella di polemizzare con chi si preoccupa e non di affrontare la causa della preoccupazione. La spesa pubblica è fuori controllo, ma non perché la si è orientata verso lo sviluppo. Al contrario: quanto allo sviluppo, siamo gli ultimi tra i paesi industriali avanzati. Ad una crisi strutturale il Governo risponde con trovate estemporanee e una tantum, non con una politica economica coerente, giusta o sbagliata che sia, ma con una politica delle promesse propagandistiche, dal taglio delle tasse (che non c'è e non ci sarà) all'annuncio delle grandi opere pubbliche (che non ci sono e non ci saranno).
Pagano soprattutto i più deboli, i giovani, le donne e il Mezzogiorno. Paga il Mezzogiorno! E come si risponde quando la situazione arriva ad un punto di rottura per gli interessi elettorali della maggioranza? Si risponde con un ministero che neppure si ha il coraggio di chiamare «Ministero per il Mezzogiorno», come sempre si era denominato. Lo si chiama - già questo la dice lunga - con un nome oscuro per non irritare la sensibilità delle orecchie leghiste: «Ministero per lo sviluppo e la coesione territoriale», una definizione fumosa per un ministero che venderà fumo.
Se la crisi economica fa scivolare lentamente l'Italia verso il basso, la politica estera la fa scivolare verso i margini dell'Europa. Per decenni, infatti, i Governi democristiani e socialisti hanno posto il paese in prima fila nella costruzione dell'unità europea. Oggi, per la prima volta, siamo in ultima fila o, addirittura, remiamo contro. L'Iraq è il simbolo del nostro isolamento: siamo l'unico grande paese dell'euro impegnato militarmente con gli americani. Guardiamo più al Texas che a Nizza o a Monaco di Baviera, contro l'interesse nazionale e con scarsa gratitudine da parte della Casa Bianca, come dimostrano le umiliazioni che l'inchiesta americana sull'assassinio del dottor Calipari ci sta procurando.
Anche il discorso di ieri del Presidente del Consiglio ha sottolineato la deriva antieuropea del Governo, perché, anziché cambiare politiche, si è lanciato un messaggio fuorviante. Si è detto, in sostanza, che la crisi economica dell'Italia è provocata dai vincoli e dalle politiche europee. Ancora una volta, si è cercato di dare agli altri la colpa dei propri errori.
Signor Presidente, insieme al dato politico e programmatico, preoccupa, per il nostro paese e per la nostra democrazia, la lontananza del Presidente del Consiglio dalla realtà. Preoccupa persino di più! Il Presidente è lontano dalla realtà, perché ieri ci ha raccontato una favola: ci ha descritto un'economia ed una società italiane che non esistono, come qualunque cittadino tocca ogni giorno con mano e come sanno bene i sindacati, la Confindustria e le associazioni di categoria.
Il Presidente è lontano dalla realtà, perché mette in scena qualcosa di peggio del teatrino della politica cui spesso si riferisce: mette in scena un teatrino del


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l'assurdo, dove nulla di ciò che accade sembra avere una logica ed ottenere una spiegazione. Perché si è aperta la crisi, perché si è chiusa, perché Tremonti era stato cacciato, perché è tornato, quale differenza, tale da interessare gli italiani, esiste tra il «Berlusconi uno» e il «Berlusconi bis»? La maggioranza tace, sembra non sapere o non volere dare una risposta. Ma in questo modo - sì - la politica diventa un incomprensibile gioco di potere. In questo modo - sì - le istituzioni si allontanano dall'opinione pubblica.
A sentire il Presidente del Consiglio, dalla sconfitta alle elezioni regionali sino ad oggi sembra non sia successo nulla. Succederà molto alle elezioni politiche! Ma più tardi esse arriveranno e più grave sarà il danno per il paese. L'inevitabile ritorno alla realtà sarà più amaro per i cittadini e più carico di responsabilità per l'attuale opposizione (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-SDI-Unità Socialista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani e Misto-Verdi-l'Unione - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.

GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente del Consiglio, le difficoltà in cui vi trovate e in cui nasce questo nuovo Governo sono già nelle parole con cui lei lo ha presentato. Lei ha dovuto ripetere più volte che in questi quattro anni vi siete trovati in una contingenza internazionale negativa: il terrorismo internazionale, il cambio della moneta, il rallentamento dello sviluppo e la crisi economica.
Lei ha cercato di dimostrare che il fallimento della vostra politica è un fatto oggettivo derivato dal contesto e non dalle vostre responsabilità, ma le sue parole sono la prova più evidente della vostra debolezza, della consapevolezza che i vostri consensi sono in caduta libera e che non sapete come e cosa fare nei prossimi mesi. Così, invece di parlare del programma, parlate del partito unico.
D'altra parte, nel voto regionale avete subito una sconfitta, forse irreversibile, verticale ed omogenea sul territorio nazionale che cambia la maggioranza reale del paese. È una crisi strategica: è la crisi del «berlusconismo», cioè di quel progetto politico organico, liberista e populista che vi ha permesso di tenere insieme in questi anni la Lega Nord e Alleanza Nazionale, ma che ora non regge più. Essa parla di un processo di disgregazione del vostro blocco sociale, alimentato dalla crescita dei movimenti, il cui centro, tuttavia, va ricercato nelle condizioni sociali del paese e nella percezione di massa di una condizione insostenibile di precarietà nel lavoro e nella vita. Si tratta di una precarietà prodotta dalle vostre politiche, dalla famigerata legge n. 30 del 2003, che continuate a rivendicare e che propone 48 modelli di contratti atipici per tenere i giovani che entrano nel mercato del lavoro in una situazione di perenne incertezza. Proprio contro questa precarietà, il 1o maggio manifesteranno migliaia e migliaia di giovani in 20 città europee.
Avete ragione, signor Presidente del Consiglio, a dire che le famiglie sole hanno sulle spalle il peso dei figli e degli anziani. Appunto: i tagli ai servizi sociali, da una parte, e l'assenza di una politica del lavoro per un'occupazione stabile e qualificata, dall'altra, producono precarietà, povertà e una percezione di insicurezza drammatica. Sono le politiche prodotte da questa globalizzazione capitalista, determinata dalle sedi internazionali, come il WTO, il Fondo monetario internazionale e le banche centrali, non a caso contestate e contrastate in questi anni dal movimento dei movimenti, ossia quel movimento no global contro cui avete agito una repressione inaudita a Genova in occasione del G8.
È vero, come lei ha detto, signor Presidente del Consiglio, che i margini di manovra dei governi nazionali si sono ristretti, ma voi siete responsabili esattamente di quelle politiche decise in sedi tecnocratiche e ademocratiche dove contano solo gli interessi delle multinazionali. Infatti, trasferite le sedi decisionali per sfuggire al controllo del Parlamento, agli


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scontenti e alle proteste dei cittadini, ma non siete riusciti lo stesso a sottrarvi al conflitto sociale. Avete tutti contro: dai metalmeccanici agli statali, dai tranvieri agli insegnanti, dai giovani ai pensionati. La vostra leale collaborazione con regioni ed enti locali si è tradotta in tagli ai bilanci e al personale del pubblico impiego.
Siete protagonisti e complici esattamente di quella politica di bassi salari e della competitività internazionale che cancella i diritti dei lavoratori. Per far fronte alla crisi non serve chiudere le frontiere con la Cina, ma occorre produrre politiche industriali e investire sulla qualità dei prodotti e sulla ricerca. Invece, le aziende chiudono, i ricercatori, se possono, vanno all'estero e le università non hanno neanche i soldi per bandire i concorsi.
Citate il terrorismo internazionale per giustificare i vostri fallimenti, ma non dite una parola sulla guerra in Iraq, sui morti e sulle torture, già assolte dai tribunali americani, e sul disastro totale in cui si trova quel paese. Altro che esportazione della democrazia! D'altra parte, di questi tempi è sempre più difficile dare lezioni di diritto e di diritti umani.
Gli Stati Uniti hanno Guantanamo, dove ancora a centinaia di persone viene negato il diritto ad un processo e ad una difesa. Il vostro Governo tratta gli stranieri che vengono a chiedere rifugio e lavoro come merci: se servono per la nostra economia, i nostri profitti o il nostro quieto vivere, li teniamo per un po' (sempre precari, naturalmente); altrimenti, è l'espulsione, magari in Libia. Bell'esempio di democrazia!
Forse, nel vostro bilancio di questi quattro anni, dovreste contemplare anche il cinismo della Bossi-Fini, le vostre politiche per la giustizia, forte con i deboli e debole con i forti, l'aumento di detenuti e le condizioni drammatiche in cui si trovano le carceri. Ancora insistete con le politiche proibizioniste ed autoritarie, sul fumo come sulle droghe, perché vi è più facile reprimere, vietare, piuttosto che confrontarvi, conoscere. Tali politiche producono sempre affari per qualcuno, magari qualche amico che può trarre profitto da un carcere privato per tossicodipendenti.
Anche sui desideri di maternità e paternità sapete rispondere solo con i divieti, come è il caso della legge sulla procreazione assistita. Quando i cittadini italiani vi chiedono di potersi esprimere con un referendum, fate di tutto per ostacolare la partecipazione, fissando date come il 12 giugno.
Signor Presidente, il paese è in crisi e la gente vive male. Per tale motivo è urgente un'alternativa a questo Governo. Una cosa ci preoccupa persino più delle condizioni di vita delle persone: si chiama democrazia. Nella pretesa e nell'arroganza di cambiare da solo la seconda parte della Costituzione, il centrodestra ha prodotto un mostro giuridico che mina strutturalmente gli equilibri istituzionali dei poteri e delle garanzie, producendo squilibri e divisioni nel paese, cancellando i poteri del Parlamento per consegnare lo scettro ad un uomo solo al comando. Si tratta di una revisione della seconda parte che mette in discussione i principi ed i diritti fondamentali contenuti nella prima parte della Carta.
Signor Presidente del Consiglio, il fastidio che lei ha mostrato e dichiarato per l'iter istituzionale che è stato costretto a seguire nei passaggi parlamentari di questa crisi, la pretesa di non rimettere subito il mandato nelle mani del Presidente della Repubblica, neanche di fronte alle dimissioni dei ministri di un intero partito, rivelano esattamente tale cultura, parlano, cioè, del tentativo di porsi personalmente quale garante della crisi in corso. Si tratta di un'esemplificazione di fatto del modello di premierato assoluto che vorreste introdurre con la riforma costituzionale.
Il 25 aprile a Milano c'erano decine di migliaia di persone, una folla che non si vedeva da anni, e non certo per commemorare retoricamente il sessantesimo anno della Liberazione. Se tanti giovani ancora sentono il bisogno di testimoniare quei valori fondanti di democrazia e di giustizia sociale è anche per l'attualità della Carta costituzionale, per ricordare a


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voi che il lavoro dei nostri padri e delle nostre madri costituenti è prezioso e non abbiamo alcuna intenzione di lasciarvelo manomettere. Anche per questo, non siete in sintonia con i sentimenti del popolo italiano e la vostra riforma verrà bocciata dal referendum popolare (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gibelli, al quale ricordo che ha cinque minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

ANDREA GIBELLI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio Berlusconi, oggi servono poche parole ma bisogna dare spazio ai fatti. Riflettere sul programma delle grandi opere oggi non vuol dire elencare ciò che è stato fatto, ma poter comprendere le ragioni che non hanno fatto percepire le buone cose che abbiamo messo in cantiere fino ad ora. Ciò è accaduto non per limiti della legislazione attuale, non per limiti di disponibilità delle risorse finanziarie, come i colleghi di centrosinistra sottolineano in tante occasioni, ma per l'atteggiamento, contrario all'interesse dei cittadini, di regioni guidate dal centrosinistra che hanno espresso pareri ondivaghi, ideologici e chiaramente strumentali. Altro che il bene del paese! Ora è più importante per loro minare le buone leggi che dare un contributo costruttivo nei pareri espressi sulle grandi opere.
La logica che li ha sempre mossi è stata quella del «tanto peggio, tanto meglio», tanto la colpa è sempre del Presidente Berlusconi! Cito qualche esempio pratico, per dimostrare quello che sto dicendo. Pensiamo al caso dell'alta velocità. Essa era stata prevista anni fa, al fine di modernizzare il paese, dicendo che era una cosa buona. Ebbene, per il semplice fatto che noi del centrodestra abbiamo velocizzato le procedure e resi certi i finanziamenti, l'alta velocità, da buon progetto per il paese, è diventata cattivo progetto per il paese. Questa è ideologia politica! Altro che essere al servizio del paese!
Vi è poi un altro caso, molto più emblematico, che riguarda il nord; lo cito peraltro per conoscenza e non perché voglia individuare una priorità. Si tratta di un caso di scuola di project financing: mi riferisco alla BreBeMi, unica autostrada in Europa totalmente pagata da un sistema industriale che l'ha chiesta, progettata e voluta. Ebbene, considerato che gli enti locali devono esprimere un parere al riguardo, è accaduto che il presidente della provincia di Milano, che non è di centrodestra, in maniera tardiva, ideologica e fuori tempo massimo, ha cambiato opinione, solo per non farla partire prima del 2006 e per dare la colpa a noi! Noi, contro queste persone, contro questi amministratori, dobbiamo rispondere con leggi, affinché si vada incontro alle necessità del paese, superando le visioni strumentali. E poi oggi hanno il coraggio - lo sentiremo qui in aula - di presentarci il conto sulle grandi opere, di dirci che la legge Lunardi (la prima riforma che abbiamo messo in cantiere) non funziona! E pensare che abbiamo sommato ritardi proprio per questi atteggiamenti ideologici! Questi ritardi infatti ci sono, ma ci impongono di individuare soluzioni nuove.
Cosa possiamo fare? Possiamo migliorare le leggi e possiamo evitare le lungaggini delle doppie procedure, proprio perché, guarda caso, sono proprio le regioni del centrosinistra che con i loro pareri in materia di valutazione di impatto ambientale modificano, ad orologeria, quelli espressi in sede nazionale; e ciò al solo fine di far ritardare di qualche mese la realizzazione di opere che servono ai loro cittadini, agli abitanti delle loro grandi aree metropolitane, quindi al solo fine di ritardare la realizzazione di infrastrutture che servono al paese e non solo al Governo di centrodestra.
È dunque importante che in questi ultimi mesi della legislatura si dia corso all'ipotizzata riforma di alcune procedure amministrative, al fine di eliminare quei lacci e laccioli che oggi vengono posti a questo Governo da alcuni enti locali, che non hanno alcun interesse per i cittadini e che lo fanno solo per un motivo molto


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semplice: quello di essere loro a tagliare il nastro delle più importanti opere. Opere che noi siamo stati capaci di mettere sulla carta! Non dobbiamo quindi permettere loro di appropriarsi di meriti che invece essi non hanno (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tocci. Ne ha facoltà.

WALTER TOCCI. Dal discorso del Presidente del Consiglio si è capito solo che è probabile che il nostro paese perda un altro anno di tempo. È probabile che l'Italia resti ferma, senza iniziative concrete per il rilancio dell'economia, della competitività e della ricerca. Ciò è tanto più grave se pensiamo a quello che invece stanno facendo gli altri paesi europei. L'innovazione tecnologica è infatti al primo posto nell'agenda di tutti i Governi europei. Mentre noi discutiamo del ritorno di Tremonti e di come trovare una poltrona allo sconfitto Storace, il Governo francese - solo per fare un esempio - sta discutendo il piano Beffa: 10 politiche industriali per l'innovazione, con 1 miliardo di euro all'anno per i settori strategici dell'economia moderna.
Ebbene, anche da noi sono stati spesi 6 miliardi di euro, con le varie Tremonti-bis e tecno-Tremonti, ma sono stati soldi buttati al vento. È infatti sotto gli occhi di tutti che esse non hanno prodotto alcuna innovazione tecnologica. Fate un gran parlare della ricerca nelle imprese. Ebbene, quelle che ci hanno provato hanno trovato le porte sbarrate. In particolare, il FAR e il FIT, che rappresentano incentivi per la ricerca e l'innovazione, sono diminuiti, rispettivamente, del 50 e del 70 per cento.
Da due anni, le aziende del centro nord non possono neppure presentare progetti di ricerca; inoltre, il famoso Istituto italiano di tecnologia che fine ha fatto? Fu istituito nel 2003 e, a certe condizioni, poteva anche essere una buona idea, ma, dopo due anni, non ha attivato neppure un programma di ricerca, e nel settore della tecnologia perdere due anni di tempo è una enormità!
Questo è il vostro bilancio, ma il paese ha bisogno di altro. Non basta più declamare genericamente le priorità in ricerca e innovazione, ma occorre un piano organico che coinvolga tutte le risorse del paese.
Le proposte ci sono: Confindustria, sindacati e, recentemente, anche le regioni hanno concordato e condiviso documenti molto impegnativi che indicano provvedimenti concreti da adottare. Noi li condividiamo totalmente!
Signor Presidente del Consiglio, le parti si sono invertite: lei, nel 2001, a Parma fece suo il programma di Confindustria; noi facciamo nostro non il programma di una parte, ma quello condiviso da tutte le forze sociali. Le misure sottoscritte da Confindustria e dai sindacati sulla ricerca e l'innovazione rappresentano il nostro programma.
Aiutare l'Italia, quindi, a compiere questo salto tecnologico dovrebbe essere la priorità nazionale. Occorre lavorare contemporaneamente su due fronti: creare nuove imprese tecnologiche e favorire la diffusione delle tecnologie nelle imprese mature. La decisone più urgente da adottare è quella di posizionare l'Italia sulle frontiere tecnologiche: scienza della vita, scienza della materia e dell'informazione sono teatro di profonde rivoluzioni tecnologiche. Il ritardo è molto forte e rischiamo di perdere il treno. Se non saremo in grado di presidiarle, pagheremo un declassamento del rango del paese. La prima proposta che avanziamo concerne dunque un programma straordinario di finanziamento di queste frontiere tecnologiche.
Per quanto riguarda i settori maturi, bisogna dare priorità a quelli più esposti nella competizione internazionale. La crisi del settore tessile è molto grave: l'iniziativa europea di controllo sull'export può dare, a breve, un po' di respiro, ma, per il futuro, dobbiamo riuscire a intrecciare la tradizionale creatività italiana con la ricerca di nuovi materiali: ciò non può avvenire per caso, ma occorrono politiche coerenti e stabili.


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Nel settore dell'auto, oltre alla FIAT, è cresciuta una filiera di piccole e medie imprese di buon livello tecnologico. Occorre agire sulla domanda per sostenere l'innovazione. Il settore può trovare nuove opportunità da forti politiche pubbliche che affrontino grandi priorità nazionali: la riconversione ambientale dei mezzi di trasporto, le tecnologie di guida automatica per migliorare la sicurezza stradale e la qualificazione del trasporto pubblico. I francesi lavorano ad un nuovo treno-tram; i tedeschi esportano in Asia il treno a levitazione magnetica e noi, che abbiamo saputo realizzare in passato il Settebello e la Vespa, oggi non abbiamo nessun nuovo mezzo di trasporto da inventare.
Infine, molta attenzione deve essere riposta su due settori che hanno grande impatto sul sistema produttivo: l'energia e l'informatica. Il salto tecnologico è possibile se alimentiamo i giacimenti della scienza. Trascurare la ricerca fondamentale significa arretrare dal punto di vista del sistema paese. Smettetela, quindi, di denigrare i ricercatori italiani, di commissariare gli enti o di mettere i bastoni tra le ruote alla ricerca italiana! Tutte le analisi internazionali dimostrano che è alta la produttività scientifica dei nostri ricercatori (siamo al terzo posto tra i paesi del G7). Aiutiamo, quindi, la ricerca italiana!
In questi mesi, in Europa si sta discutendo la costituzione del consiglio europeo per le ricerche ed il Governo italiano si rifiuta di partecipare. È una decisione grave: non è il momento di chiudersi in una penosa autarchia. La ricerca italiana è sempre stata aperta a livello internazionale: da Voltaire ad Amaldi, a Ruberti.
Il nostro futuro è nella politica integrata dello spazio europeo della ricerca. Vi chiediamo, quindi, di ripensare questo strappo e, in ogni caso, ci impegniamo, quando torneremo al Governo, a riportare l'Italia alla testa della politica comune europea per la ricerca.
Rispetto ad altri paesi europei, in Italia si registra la metà dei laureati. È la vera arretratezza, quella più grave, nell'epoca della società della conoscenza! Eppure, dai giovani italiani provengono buone notizie: negli ultimi anni, sono aumentate le iscrizioni alle università del 20 per cento! Sono germogli di una ripresa che dovevano essere coltivati, ed invece siete passati con il diserbante, facendo mancare le risorse all'università proprio nel momento in cui ne aveva più bisogno.
Invece di soldi, avete proposto nuove leggi: quella sulla docenza, nuove regole, nuova burocrazia, nuove norme in un paese che possiede già 700 leggi dedicate alla sola università. Sulla proposta Moratti deve ancora iniziare la discussione in quest'aula, poi vi dovrà essere al Senato e poi ancora alla Camera: non farete in tempo! Ma ciò non ci fa gioire, anzi ci dispiace che l'università rimanga senza alcuna decisione. Avanziamo quindi una proposta precisa: accantonate questo disegno di legge, troviamo invece un'intesa per il bene dell'università italiana e dei nostri giovani studenti in un pacchetto di fine legislatura.
Vi proponiamo pochi punti a nostro avviso essenziali. In primo luogo, occorre aprire le porte ai giovani talenti. Da quattro anni avete bloccato gli accessi dei giovani ricercatori ai centri di ricerca ed alle università. Ad un'intera generazione avete detto: cambiate mestiere o andate all'estero! Invece, l'Italia ha bisogno di questi giovani talenti; dunque, proponiamo di aprire le porte con un piano di assunzione di 2 mila ricercatori l'anno. In secondo luogo, bisogna introdurre a tutti i livelli procedure severe di valutazione dei risultati e dei meriti, ma con strutture di valutazione indipendenti dal Governo e che diano garanzia a tutti. In terzo luogo, occorre valorizzare la figura dei ricercatori attraverso l'istituzione della terza fascia e dello statuto dei ricercatori tramite il recepimento della raccomandazione europea.
L'Italia non può permettersi il lusso di perdere un anno. Dall'opposizione continueremo a proporre soluzioni ai problemi del paese, cercando di anticipare le politiche che poi realizzeremo con il nuovo


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Governo di centrosinistra (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Peretti. Ne ha facoltà.

ETTORE PERETTI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, siamo arrivati ad un passaggio politico delicato e difficile e, poiché il rischio è quello di non essere compresi, abbiamo il dovere della chiarezza, innanzitutto nei confronti dei nostri elettori, ma anche nei confronti di tutti coloro che guardano alla politica con la speranza di vedere risolti i propri problemi.
Le elezioni regionali di aprile sono state un profondo ed inequivocabile segnale di sfiducia nei confronti del Governo e hanno costituito la richiesta forte e precisa di un cambio di marcia e di direzione. In tutte le democrazie occidentali ciò avviene in modo molto netto e deciso: un nuovo programma e un nuovo Governo. Questo ha chiesto l'UDC con chiarezza di comportamenti, con linearità, con responsabilità, senza secondi fini.
Noi dell'UDC volevamo tenere la crisi politica della Casa delle libertà - perché di crisi politica si tratta - sul piano del confronto politico; volevamo, insieme ai partner, mantenere il confronto sui significati della sconfitta elettorale e sui rimedi su un piano - ripeto - esclusivamente politico. Si è pensato, invece, di nascondere la testa sotto la sabbia, si è ricorso a categorie di comportamento che nulla hanno a che vedere con i contenuti e i rapporti della politica, con ciò che essa rappresenta. Si è parlato di amicizia e di inimicizia, si è parlato di fedeltà e di tradimento, si è parlato di gratitudine e di ingratitudine, con il risultato di perdere di vista i contenuti della crisi e il segnale che ci è stato fornito dagli elettori. In tal modo, il Governo si trova a proporre un programma tutto da verificare nella sua concreta realizzazione con nessuna garanzia di una discontinuità di comportamenti.
Tuttavia, siamo determinati, siamo ostinati e continuiamo a chiedere un cambio di marcia e di direzione, parlando di contenuti, se possibile, e non di contenitori. Ciò, a nostro avviso, significa parlare di tre punti ben precisi. Innanzitutto, l'azzeramento dello schema del 2001, che prevedeva una naturale e sostenuta crescita economica che avrebbe fornito le risorse per realizzare importanti riforme, come quella del fisco, con il consenso sociale. Uno schema suggestivo, che poi si è dimostrato irreale, che non c'è più: è stato sostituito - e lo sarà per lungo tempo - da una crescita zero, con la quale dobbiamo imparare a convivere.
Esistono settori economici tenuti sotto scacco da una concorrenza subdola, a volte anche scorretta, difficile da interpretare, ma che siamo obbligati ad accettare. Quindi, bisogna saper leggere meglio, capire ed interpretare la crisi economica. Ciò comporta dover porre una particolare attenzione alle famiglie numerose, alla loro perdita di potere d'acquisto; bisogna tener conto della flessibilità laddove essa significa precarietà; bisogna pensare alle piccole imprese che non possono competere nel mare della globalizzazione e ai piccoli comuni, ormai al limite della loro capacità operativa. Inoltre, bisogna capire, interpretare e declinare meglio anche la complessità del nostro paese.
L'Italia è un paese complesso, complicato e difficile da governare. Può governarlo chi meglio riesce a tenere insieme tutte le sue diversità: le ragioni del nord insieme a quelle del sud, le ragioni delle imprese e quelle dei lavoratori, le ragioni dei più fortunati e quelle dei meno fortunati. Ignorare tale complessità è un esercizio irresponsabile e miope.
Inoltre, non si deve mostrare insofferenza o fastidio per la complessità della politica e l'articolazione delle sue istituzioni. Infatti, la politica è complessa proprio perché è complessa la società. Spesso, anche se non sempre, abbiamo avuto l'impressione che questo Governo non avesse nelle sue corde la consapevolezza della complessità del paese, né la misura della gravità della crisi economica, né l'inevitabilità dei rapporti politici. In proposito, vorrei suggerire alcuni esempi: la devolution,


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giocata in esclusiva da una forza politica del nord e quindi vista come la rivincita di un territorio su una altro; la polemica sul mancato rinnovo del contratto di lavoro degli statali; il ritardo con cui il Governo italiano si sta muovendo presso l'Unione europea per fronteggiare la crisi del settore tessile; l'inutile e dannosa battaglia sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Si tratta di esempi che denotano scarsa responsabilità ma anche miopia politica. Tali prese di posizione ci sono costate un capitale di consenso sociale e politico, tanto che il Governo e la sua coalizione sono logorati come se fossero usciti da una stagione di pesanti riforme, senza tuttavia averle effettivamente realizzate.
Signor Presidente, l'Italia è un grande paese con la straordinaria virtù di saper rispondere nelle situazioni di emergenza. Tuttavia, l'Italia conserva una sorta di fragilità come la difficoltà a farsi governare, l'inerzia al cambiamento e il rifiuto di saper guardare oltre il quotidiano.
In questo particolare momento storico tali difetti rischiano di essere esiziali e di portare al declino. Il paese ha bisogno di essere governato e di riscoprire valori di fondo come il merito, il rischio e la competizione, persi dal Sessantotto in poi. Governare significa guidare, non lasciare fare; significa prendere per mano, non assecondare; per una classe dirigente governare significa essere condannata al realismo, alla serietà e alla responsabilità, senza fare alcuna concessione al populismo e alla demagogia.
Oggi siamo come in tempo di guerra e in tempo di guerra chi guida la nazione non promette l'esenzione dal servizio militare, ma sa guardare con realismo a quello che accade, sa chiedere sacrifici ed indicare una prospettiva. Inoltre, sa indicare ed imporre con il proprio esempio comportamenti virtuosi. Il paese può uscire dalle secche di una crisi che è morale e culturale prima ancora che economica, ma solo con l'impegno di tutti, nessuno escluso. E la politica deve indicare fino in fondo la sua strada (Applausi dei deputati del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monaco. Ne ha facoltà.

FRANCESCO MONACO. Signor Presidente del Consiglio, vi sono vistose contraddizioni che balzano subito agli occhi nelle comunicazioni da lei rese al Parlamento. La prima risiede laddove si sostiene che i quattro anni appena trascorsi sono stati gli anni più difficili della nostra storia recente. Si tratta di una tesi quanto meno discutibile, palesemente mirata a cercare giustificazioni per un bilancio fallimentare dell'esperienza di governo e comunque a giustificare la distanza abissale fra la dura realtà e il miracolo promesso.
Signor Presidente del Consiglio, lei ha sostenuto che con l'integrazione europea i margini di manovra dei governi nazionali si sono notevolmente ristretti, e i governi stessi possono influire poco sulla dinamica della crescita. Peccato che su una crescita di dimensioni esorbitanti, quasi miracolistiche, lei avesse imperniato le sue promesse, il suo ambiziosissimo programma e tutta la scommessa politica del suo Governo. Ha fallito, è seguita la disillusione e, di riflesso, la sconfitta politico-elettorale, al limite della disfatta. Dopo aver rilevato, tardivamente e strumentalmente, in chiave autoassolutoria, che i governi hanno margini ristretti - in verità lo sapevamo da tempo - ci sciorina, per l'anno scarso che ci attende, un'agenda politico-programmatica fitta di impegni, per cui non basterebbe un'intera legislatura: sostegno alle famiglie, imprese, sud, risanamento della finanza pubblica, riduzione della spesa pubblica, che è notoriamente cresciuta, ammortizzatori sociali, riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro, abolizione dell'IRAP in tre anni, contratto del pubblico impiego e dei medici. Con il dialetto milanese che le è caro, usando le parole di un cantautore molto amato, Enzo Jannacci, si potrebbe dire: e po' cusé?
Dopo quattro anni di politiche che hanno penalizzato il Mezzogiorno, chi può


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credere a una svolta che si basi sulle levate di ingegno di un improbabile, improvvisato Tremonti meridionalista? O su un ministero del sud, che non è esattamente la risposta che ci si attende? O su un'imbarcata di sottosegretari meridionali? Dubito che sia questa la svolta che ci attende in tema di politiche per il Mezzogiorno.
Sfuggono alcuni dettagli. In primo luogo, siamo alla stretta finale della legislatura e il tempo è davvero scaduto. In secondo luogo, le risorse sono esigue: i nostri conti pubblici sono già in condizioni allarmanti, come attestano tutte le più autorevoli istituzioni internazionali e nazionali. Un Governo serio avrebbe isolato poche ed essenziali cose da fare, credibilmente ed effettivamente. Ma evidentemente quella delle promesse e della demagogia è la cifra della quale il Presidente Berlusconi non sa, forse non può spogliarsi: è una sorta di sua seconda natura!
Un'ulteriore contraddizione è costituita dal fatto che il premier rivendica di aver dato vita a un nuovo modo di affrontare la politica e le sue sfide (sono sue parole). In verità, lo fa un po' flebilmente: deve quasi convincere se stesso. È infatti questo, come è noto, il terreno sul quale incassa la sconfitta forse più bruciante: l'innovatore politico, il preteso riformatore, colui che avrebbe introdotto nella prassi, prima che nella Costituzione, il Governo del premier, è inchiodato qui dai suoi inquieti e rissosi alleati. È dovuto passare attraverso una crisi logorante e umiliante, rimettersi al volere dei partiti e delle correnti, dar vita al più rétro dei governi esapartito.
Cito soltanto due eloquenti segnali di tale contraddizione con la sua pretesa di innovatore. Il primo è costituito dall'ineguagliato record per quanto riguarda il numero di poltrone - sono ben novantanove - di cui si compone il suo esecutivo, che ha superato il VII Governo Andreotti.
Il secondo indizio di novità: mai si erano visti, neppure nella «prima Repubblica» dei partiti - mi rivolgo al vicepremier Fini - dei ministri firmare le proprie dimissioni in bianco e consegnarle nelle mani del proprio segretario di partito, in barba ad ogni regola di carattere istituzionale e costituzionale. È questo l'inglorioso epilogo dello spavaldo innovatore politico. Il Cavaliere è caduto da cavallo, è caduto dal piedistallo sul quale si era issato e si è dovuto sottoporre - come egli afferma - ai riti e alle prassi più desuete. Lo ha fatto controvoglia, recalcitrante, contro il suo istinto e la sua ambizione, contro il consiglio di un suo amico e consigliere, Giuliano Ferrara, che gli suggeriva di uscire di scena preservando una qualche coerenza con se stesso.
Ma non lo ha fatto. Ed eccolo qui, sulla graticola, bersaglio delle critiche, delle manovre e delle dissociazioni dei propri alleati, al punto che, personalmente, non scommetterei un euro sulla tenuta di un Governo che, letteralmente, potrebbe essere un esecutivo balneare.

ALFREDO BIONDI. Potresti perdere...

FRANCESCO MONACO. Vi è un che di patetico e suona a dir poco velleitario, nel tempo della massima divaricazione politica della Casa delle libertà, il rilancio del partito unico del centrodestra, o di qualcosa che gli somigli. Mentre si celebra una crisi tutta politica, mentre visibilmente non sta insieme l'alleanza a sostegno di un «governicchio» di fine legislatura e mentre tutti, partiti e leader, già si smarcano e si posizionano per il dopo Berlusconi, egli azzarda l'idea del partito unico.
Non vorrei essere frainteso: sono a favore dei processi di aggregazione e semplificazione, ma so quanto questi siano difficili, complessi e travagliati. Fa, quindi, piacere che a destra si provi a realizzare qualcosa di simile a quanto positivamente già avviato nel centrosinistra. Ma che ciò possa riuscire ad un leader dimezzato, nel tempo della più profonda sfiducia e diffidenza tra alleati, è francamente inverosimile. Ha il sapore di una velleitaria scorciatoia cui nessuno crede davvero.
Qual è dunque la verità di questa crisi tutta politica, voluta da UDC e da AN? Un soprassalto di consapevolezza del declino, della crisi in cui versa il paese? Purtroppo no! La ragione non è questa. Le motivazioni


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sono altre e - come dicevo - sono tutte di natura genericamente politica: la batosta elettorale (solo l'ultima di una serie ininterrotta da tre anni), il giudizio su una leadership a perdere (Berlusconi è ormai avvertito, anche nel suo campo, come un handicap ed un problema, anziché come una risorsa) ed il cosiddetto asse del nord, con la Lega che la fa da padrona, come fosse il dominus della coalizione (sono parole di esponenti di Alleanza Nazionale).
Osservo, tra parentesi, che comprendo il disappunto, l'irritazione di Berlusconi verso AN e UDC, che grazie a lui - e sotto di lui - hanno campato a lungo e che, solo ora, tardivamente, si smarcano, profittando della sua debolezza. Troppo facile, amici. Troppo comodo. Anche AN e UDC devono rispondere in solido del bilancio critico - noi riteniamo fallimentare - di quattro anni di Governo, di cui hanno condiviso tutto, davvero tutto, comprese le leggi che noi abbiamo denominato «vergogna» e di cui - lo sappiamo - anche loro un po' si vergognano.
Del resto, anche dalla crisi da loro aperta, AN e UDC escono nuovamente e puntualmente sconfitte. Con la riconferma dei ministri leghisti e la riproposizione della devolution (terreno politico e simbolico dell'«asse del nord», non è un mistero) e con il reingresso, vorrei dire quasi la provocazione beffarda di Tremonti come vicepremier, si certifica - se posso usare questi termini - l'impotenza, fino all'umiliazione, di Alleanza Nazionale e dell'UDC.
Stendiamo, poi, un velo pietoso sull'esordio balneare (sì, è proprio balneare, come il Governo) del redivivo Tremonti, che ha suscitato sconcerto e ilarità tra i suoi, e lo ha costretto a maldestre e affannose rettifiche. Vedete, nel disincanto dell'opinione pubblica, nella sua irritazione verso il Governo, quello che ieri poteva essere considerato un genio (da noi incompreso...) della finanza, dell'economia e della politica, oggi, con uscite come questa, risulta solo bislacco, stravagante - lo definisce l'Osservatore Romano - disinvoltamente incline a coniare ricette bizzarre, ispirate, piuttosto, dalla disperazione.
Osservo che questo bilancio politico fallimentare non basta a trattenere, vedo, il compiacimento del loquacissimo Tabacci, che sembra compiacersi, appunto, non si sa bene di cosa se non di un suo personale protagonismo.
È curioso, infatti, che egli, anziché prendere atto semplicemente, e anche onestamente, della sconfitta del suo Polo, quello in cui milita, ancorché a disagio, ci spieghi con sussiego che sarebbe il sistema, il bipolarismo, che non funziona, proprio quando semmai, al contrario, il bipolarismo mostra esattamente di funzionare, sanzionando chi ha dato cattiva prova di sé e spostando i consensi e le attese su un'alternativa possibile.
La verità è che siamo di fronte ad una crisi strutturale irreversibile e, ribadisco, tutta politica della Casa delle libertà. Si sono sgretolati i tre pilastri sui quali essa si reggeva: la leadership, decisiva per dare forma unitaria alla Casa delle libertà ieri, e dunque, per converso, decisiva per la sua dissoluzione oggi; il conflitto d'identità - sono parole di Follini e scusate se è poco! - politica della Casa delle libertà tra due destre tra loro sempre più divaricate e incompatibili: una destra moderata e un'altra populista; terzo, il programma, dal momento che, Presidente, la lunga e velleitaria lista di impegni enunciati non riesce a dissimulare la cruda evidenza della formale archiviazione del contratto con gli italiani, di cui è nostro dovere chiederle politicamente conto e di cui è suo dovere dare politicamente conto al paese: è qui che sta la moralità del bipolarismo e della democrazia competitiva!
Concludendo, come in ogni prova elettorale, i cittadini ci hanno trasmesso tre messaggi, mai così chiari! Il primo di questi è: basta bugie, basta illusioni, siate seri e responsabili; finalmente diteci la verità! Il secondo è: vogliamo cambiare, dateci un'alternativa di governo! Terzo: non chiediamo la luna, ma dateci una speranza ed una opportunità!


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Non è facile, nelle condizioni in cui versa il paese. Noi, tuttavia, ci predisponiamo a raccogliere quei messaggi e quelle attese: la nostra responsabilità, lo sappiamo, è grande ma cercheremo di esserne all'altezza (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leo. Ne ha facoltà.

MAURIZIO LEO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, un merito che va sicuramente riconosciuto al Presidente Berlusconi ed al suo precedente Governo è quello di non avere incrementato, in un momento di bassa crescita, la pressione fiscale, e, anzi, di avere cercato di ridurla (basti pensare alle ultime leggi finanziarie approvate). Precedenti governi, invece, avevano incrementato la pressione fiscale in un momento in cui la crescita era sostenuta: basti pensare all'eurotassa, all'IRAP o al prelievo forzoso applicato sui proventi finanziari maturati.
Responsabilmente, il Presidente del Consiglio ha messo in evidenza, nelle linee programmatiche dell'azione di Governo, che incentrerà la sua attenzione in modo particolare su tre temi: quelli del Mezzogiorno, della famiglia e delle imprese. A tale proposito, ci permettiamo di suggerire alcune ipotesi di riflessione e di approfondimento su di essi, in particolare per ciò che attiene alle questioni fiscali.
Relativamente alla famiglia, obiettivo prioritario di Alleanza nazionale è quello dell'introduzione del quoziente familiare; Alleanza nazionale è però anche consapevole che non vi sono risorse sufficienti per introdurre questo istituto a regime. In tale fase, quindi, sarebbe auspicabile che si seguisse la strada delle deduzioni per carichi di famiglia, cioè a dire, sulla scia di ciò che è già stato fatto con la precedente legge finanziaria, di elevare la deduzione per carichi di famiglia sia per il coniuge a carico sia per gli altri familiari a carico.
Inoltre, bisognerà pensare ad introdurre una serie di misure per contrastare il rincaro dei prezzi; a tal fine, si potrebbe affidare un compito rilevante ad un organismo, già istituito presso il Ministero delle attività produttive, quello che si occupa di monitoraggio dei prezzi, ed, in caso di scostamento rispetto a determinati parametri di riferimento, effettuare incisivi controlli con l'applicazione di sanzioni.
Per quanto riguarda le imprese, occorrerà affrontare seriamente e responsabilmente la questione IRAP, questione vieppiù urgente alla luce di quelli che saranno gli imminenti pronunciamenti da parte della Corte di giustizia.
Questo tributo, introdotto dai Governi di centrosinistra, non è stato neanche difeso dall'allora presidente della Commissione europea che, dinanzi alla Corte di giustizia, ebbe modo di dire che l'IRAP era un duplicato dell'IVA. Ci meravigliamo, quindi, che il presidente Prodi sostenga questo tributo in sede nazionale e affermi, invece, in sede europea, che si tratti di una misura in contrasto con l'ordinamento comunitario.
Che cosa va fatto in materia di IRAP? Va fatto un intervento immediato per scongiurare tutte le conseguenze negative che potrebbero presentarsi laddove i contribuenti non effettuassero i versamenti in sede di saldo e di acconto per il 2005. A questo proposito, l'invito che rivolgo è di adottare, prima delle scadenze previste per i versamenti, con un decreto-legge, una misura immediata.
Un'altra questione che occorrerà affrontare è quella di consentire la deduzione del costo del lavoro. Come andrà fatto? In modo responsabile, consentendo alle imprese la deduzione del costo del lavoro nei limiti degli oneri contributivi. Ciò comporterebbe una riduzione del gettito, che si attesterebbe intorno ai quattro-cinque miliardi di euro. Questa è, a mio avviso, sicuramente la strada da seguire per ottenere in questo campo significativi risultati.
Infine, la questione del Mezzogiorno. In questo caso la strada da intraprendere è quella della fiscalità di vantaggio, che non deve riguardare solo l'IRAP, ma anche le


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imposte sui redditi (in particolare, l'IRPEF, per le persone fisiche, e l'IRES per le società). La fiscalità di vantaggio va introdotta, previo assenso dell'Unione europea, in modo tale che non derivino aggravi per i conti pubblici. E questo lo si può fare, verosimilmente, tenendo conto del fatto che la detassazione, ai fini delle imposte sui redditi, dovrebbe riguardare solo i nuovi insediamenti produttivi, in tal modo non si determinerebbero aggravi per i conti pubblici. È questa, a mio parere, la strada sulla quale occorre muoversi al fine di consentire un effettivo rilancio delle imprese del Mezzogiorno.
Da ultimo, mi permetto di segnalare altre due importanti questioni. Si è detto che le risorse non sono parametri estremamente significativi al fine di realizzare quegli interventi sostanziosi che questa maggioranza, e in particolare Alleanza nazionale, desidererebbe porre in essere. In questo contesto si può pensare a misure di detassazione per gli incrementi reddituali. Ciò potrebbe riguardare le persone fisiche (lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi), le imprese e potrebbe riguardare anche le concentrazioni aziendali. Non trovo, infatti, nulla di strano a pensare che, laddove più imprese si concentrino, anche nel Mezzogiorno, esse possano usufruire sul reddito incrementale, rispetto al reddito prodotto negli anni precedenti da ciascuna di esse, di un meccanismo di detassazione. Queste misure sono pro sviluppo e contro l'evasione fiscale. Non mi meraviglierei se i contribuenti, di fronte a disposizioni di questo tipo, mostrassero maggior favore a versare le relative imposte.
Accanto a queste misure occorre pensare anche ad una serie di semplificazioni tributarie. Nel provvedimento sulla competitività sono contenuti molti interventi significativi sul versante delle semplificazioni amministrative. Allo stesso modo, si deve fare qualcosa sul versante delle semplificazioni in materia tributaria. Non dimentichiamoci che sono molti gli adempimenti, in termini di dichiarazioni e di versamenti, che debbono osservare i contribuenti. Semplificare la vita dei contribuenti significherebbe fargli ottenere un vantaggio quasi equivalente ad una riduzione del carico fiscale. A questo riguardo, penso, ad esempio, a tutte le difficoltà gestionali che debbono affrontare le imprese nella gestione del parco auto aziendale e degli oneri deducibili in tema di telefonini (strumento, quest'ultimo, ormai ineludibile nella vita delle imprese). Occorre, quindi, prendere atto di tutte le difficoltà - i lacci e i laccioli - insite nella gestione amministrativa e contabile delle imprese. Ciò lo si può fare, e lo si deve fare magari dando vita ad un organismo - una commissione - che, nello specifico, riesca a cogliere gli aspetti richiamati.
Penso che queste misure - famiglie, IRAP, Mezzogiorno, detassazione degli incrementi di reddito, semplificazioni - possano rappresentare il pilastro delle scelte e degli interventi di politica economica che il Governo dovrà affrontare in questo scorcio di legislatura e possano rappresentare la base per una successiva svolta da porre in essere nella prossima legislatura, nella quale ci auguriamo di essere ancora noi al Governo.
Invito il Governo ad approfondire tali aspetti. Ritengo che, in questo modo, riusciremo a dare una risposta concreta, sincera e vera ai cittadini, in modo tale che essi possano tornare di nuovo a votare per lo schieramento di centrodestra (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Raffaella Mariani. Ne ha facoltà.

RAFFAELLA MARIANI. Signor Presidente, abbiamo ascoltato, dalla bocca del Presidente del Consiglio, un'analisi dell'attuale situazione del paese che - tutta rivolta a sottolineare i meriti, la modernità e la capacità della Casa delle libertà - ci è sembrata miope ed anche superficiale.
Nella generale e compiaciuta attribuzione che, a partire dal Presidente del Consiglio, anche ieri, è stata ribadita in quest'aula per le novità della proposta politica della Casa delle libertà, in grado di


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dare coesione e identità alla maggioranza moderata e liberale del paese - sono queste le testuali parole del Presidente del Consiglio -, ci si è allontanati, a mio avviso, dai problemi reali del paese, dalle esigenze dei cittadini. Si dice da quella parte che si tratta di un nuovo modo di affrontare la politica e le sue sfide. Su questo non c'è dubbio! Ma quanta delusione hanno suscitato, in questi giorni, le solite liturgie che, ancora oggi, qualcuno ha tenuto a sottolineare!
Il voto espresso nelle recenti elezioni regionali ha provocato un notevole rimescolamento tra le forze politiche dell'attuale maggioranza di Governo. Non tocca a me, oggi, ricordare - ma lo faccio per chi ci ascolta - che il centrosinistra governa in sedici regioni italiane ed in molte delle principali città del paese.
L'analisi del voto ha permesso a tutti noi di compiere un'attenta riflessione sui fattori sociali, economici e sociopolitici capaci di spiegare un passaggio politico-istituzionale di tali dimensioni. Si è trattato di un indicatore che ha offerto un'efficace percezione di una situazione più volte denunciata. Abbiamo assistito ad un impoverimento di alcuni blocchi sociali consistenti e si sono prodotte un'insicurezza ed una paura del futuro che stanno minando e mettendo a dura prova la sempre ricercata fiducia nelle istituzioni pubbliche e nelle proposte che da esse possono scaturire. Nei ceti medi, fallite le aspettative generate dalla proposta risolutiva del taglio delle tasse, si è aperta una pericolosa sfiducia.
E cosa si chiede oggi? Più tutela, nuova tutela, sicurezza, garanzie.
Il welfare è rimasto la principale preoccupazione degli italiani, i quali lamentano servizi sanitari pubblici insufficienti in alcune regioni. La risposta qual è stata? La date con la sostituzione del ministro della salute, incuranti del messaggio che è arrivato, netto ed inequivocabile, dai cittadini del Lazio.
Preoccupano le scarse garanzie sulla previdenza e le insufficienti risposte nell'organizzazione di una scuola pubblica all'altezza delle aspettative e dei diritti di tutti.
Quale impatto ha avuto sull'economia di molte famiglie italiane la riforma fiscale voluta con determinazione dalla vostra maggioranza? Quale incremento di reddito familiare si è prodotto?
Stiamo dibattendo da circa due anni sui temi del declino e dell'impoverimento e la percezione prevalente nella nostra società è che così non va. Togliere speranze per un futuro di aspettative, ma anche di benessere e sicurezza è la colpa più grave di cui una classe politica possa essersi resa responsabile.
A questo punto, nella situazione data, non basta più l'elencazione di argomenti né ci sembra utile lo scaricabarile sul rallentamento dello sviluppo europeo e della crisi globale dell'economia. Quando il Presidente del Consiglio ribadisce di aver fatto molto - ad esempio, sulla famiglia - lascia intendere di avere già dedicato all'argomento il massimo delle soluzioni possibili che, dalla sua visione strategica, potessero essere utili. Per questo, restiamo preoccupati.
Dove sono le proposte? Non le abbiamo sentite! Come rispondere ad una crescente domanda di politiche pubbliche? Come invertire lo spostamento di risorse dal basso verso l'alto? Come far sì che la flessibilità nel mondo del lavoro non diventi precarietà?
Le faccio solo un esempio, signor Presidente: la recente riforma del lavoro non riesce a dare garanzie di diritti minimi alla donna. Sapete tutti che tra le proposte per la famiglia che noi avremmo voluto ascoltare, avremmo voluto trovare un'indennità di maternità per le lavoratrici a progetto che, in questo momento, non esiste. C'è soltanto l'assegno di maternità istituito dal Governo di centrosinistra.
Sono queste le proposte per la famiglia? Sono queste le attenzioni che vogliamo dedicare al futuro delle nostre generazioni? Come reperire le risorse per garantire i livelli essenziali di assistenza, quello che, in molte regioni, ancora ci viene chiesto? Come faremo a sostituire le


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risorse che saranno eliminate con la soppressione dell'IRAP? Chi si occuperà di trovare le risorse per garantire alle regioni e gli enti locali adeguati livelli di assistenza? Non sarà mica la proposta di vendita delle spiagge che ieri, in maniera abbastanza creativa, ci siamo sentiti fare dal Vicepresidente del Consiglio dei ministri?
Le leggi finanziarie elaborate fin qui dall'attuale maggioranza di Governo hanno ridotto gradualmente i fondi per le politiche sociali e i trasferimenti agli enti locali e alle regioni. Con ciò si è provocata una riduzione dei servizi locali sul territorio, che spesso sono gestiti grazie alla proficua collaborazione tra le amministrazioni locali, il volontariato, l'associazionismo, le cooperative sociali, una rete di solidarietà cui non vorremmo rinunciare, ma che vorremmo alimentare. Anche con riferimento al recente disegno di legge sulla competitività, non arrivano segnali tranquillizzanti in direzione delle forze del volontariato, che vedono ridotte le risorse per i loro centri servizi.
L'effetto è stato quello che molti italiani hanno manifestato, esprimendo apprensione e chiedendo maggiore attenzione nei confronti dei servizi socio-sanitari, di assistenza istituzionalizzata e domiciliare. Ma l'effetto di una discutibile e sempre contestata riduzione di tali trasferimenti si è riprodotto anche sui servizi dedicati alla famiglia, a partire dal sistema integrato dei servizi all'infanzia. Oggi, l'Italia è il paese che spende meno in Europa per i bambini e per le famiglie. Una nostra proposta di legge d'iniziativa popolare sottolinea questo bisogno ed amplia i diritti nei confronti dei bambini e dell'educazione all'istruzione, dalla nascita a sei anni.
In quest'aula, non si parlerà mai abbastanza delle politiche relative ai problemi sociali della casa. Sono a tutti note la situazione dei prezzi e le difficoltà per intere fasce sociali nell'affrontare un'esigenza fondamentale per un progetto di vita. Il nostro obiettivo deve essere il completamento della riforma che regola l'intervento pubblico in materia di politiche sociali della casa, una completa lettura delle esigenze e delle possibilità che, in assenza di politiche, hanno prodotto incertezze, precarietà, fino a situazioni di gravissimo disagio, di cui siamo stati testimoni anche negli ultimi mesi. Il settore del disagio abitativo è quello dove più forte e drastico è stato il taglio delle risorse. Riteniamo necessario affrontare l'argomento, con la consapevolezza che, a partire del diritto della casa, molte delle aspettative delle nuove famiglie saranno inserite in un più consapevole progetto per il futuro.
Abbiamo avanzato proposte attraverso progetti di legge, ci siamo confrontati nelle discussioni in Assemblea e nelle Commissioni, abbiamo indicato, nell'elaborazione della legge finanziaria, quelle che, secondo noi, erano le priorità da indicare e da valutare per dare segnali chiari ed immediati rispetto ai principali problemi che affliggono gli italiani.
In questa discussione, elencando i principali punti e trascurandone molti altri altrettanto importanti, non possiamo far altro che porre l'accento sulla nostra lista delle cose non procrastinabili da fare. Lo chiedono le persone che incontriamo tutti i giorni, con le quali vogliamo condividere i problemi della vita quotidiana, quelle persone che ci chiedono azioni per ridurre il costo della vita. Anche questa è innovazione, è modernità a partire dai diritti, è condivisione, solidarietà e tolleranza. È questo il nostro progetto per il futuro.
A partire da subito, siamo pronti a metterci sotto sforzo per fronteggiare le sfide per un nuovo ciclo crescente di benessere. La proposta dell'Unione parte dal lavoro tra regioni ed enti locali, nella condivisione di più attente politiche pubbliche.
Di tutto questo non abbiamo visto segnali nella proposta dell'attuale Governo, e per tali motivi non possiamo votargli la fiducia (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e di Rifondazione comunista - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Costa, al quale ricordo che ha sei minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.


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RAFFAELE COSTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo tutti ascoltato con interesse le comunicazioni rese ieri dal Presidente del Consiglio. Esse sono andate in una direzione che giudichiamo opportuna. Sono stati toccati essenzialmente alcuni nodi fondamentali: le aziende, le famiglie, il Mezzogiorno. I temi sono stati trattati con semplicità, brevità ed attenzione. Si è colta la volontà di fare. Dopo le buone intenzioni, sarà utile dare indicazioni su come fare per raggiungere gli obiettivi o, quanto mano, per avvicinarli nei prossimi dieci mesi.
Non mi sarà possibile, in pochi minuti, passare in rassegna i molti argomenti trattati; darò solo qualche indicazione, molto semplicemente e con poche parole, con riferimento a tre temi: la spesa pubblica, la delegificazione, i «marchesati» che governano l'Italia.
Lei ha annunciato, signor Presidente del Consiglio, una possibile riduzione delle tasse; molto bene, ma lo potrà fare - lo sostengo come farebbe un buon padre di famiglia - solo se ridurrà, almeno di un po', le spese: compia l'ennesima verifica della macchina dello Stato e constaterà (ma sono convinto l'abbia già appurato) l'esistenza di quote di spesa assurde, da «potare» ovvero da ridimensionare. Se non lo farà, se almeno non tenterà di farlo, non potrà compiere la, pur meritevole, scelta di ridurre le tasse.
Mi lasci ora accennare alla delegificazione, che in quattro anni ha compiuto ben pochi passi avanti; eppure, si tratta - lo dichiaro anche da amministratore locale - del maggior ostacolo alla riacquisizione di competitività da parte del paese. Faccia lavorare il suo Governo nella direzione di una semplificazione della legislazione; ne godrà molto nella prossima legislatura.
Terzo tema, i «marchesati». Lei si sarà certamente chiesto perché, complessivamente - un po' meno ciò è vero per noi cuneesi, che abbiamo riversato sulla coalizione di centrodestra oltre il 61 per cento dei voti -, abbiamo perso le elezioni. Lo avrà fatto certamente; ebbene, lo faccia ancora perché, se non si affrontano le cause, non si risolvono i problemi. Lei ha vinto nel 1994, e sempre lei ha vinto nel 2001; non può ritenere, ora, di avere perso. Se ritiene, come sono convinto che sia, di poter vincere nel 2006, deve far sì che si dia luogo ad un monitoraggio attivo dei prezzi. In un'economia liberale, non si può incidere più di tanto sul mercato, ma la legge della domanda e dell'offerta risente non poco dell'elemento psicologico dato dal controllo dei prezzi.
Ovviamente, questo discorso non è «facile», ma va affrontato insieme al ridimensionamento dei moderni potenti «marchesati» che si chiamano ancora: ENEL e «sorelle», ENI, Autostrade, Telecom, e via dicendo, appena sfiorati dalle deboli scelte delle varie authority.
I temi da me sottoposti alla sua attenzione sono forti e vanno affrontati con calma nelle sedi opportune; sono convinto che le sue capacità, non del tutto rafforzate dalla squadra di Governo, potranno consentirle di superare un momento difficile. Lei non deve passare alla storia come colui che litiga con il pur capace Follini; si confronti con i grandi temi della politica, e ovviamente con la sinistra, con dignità e coraggio, ma anche con umiltà. Gli italiani capiranno; ammetta che accanto a tanti interventi positivi - invero, ne sono stati compiuti molti, anche se non adeguatamente percepiti - qualche misura, per così dire, non è riuscita bene. Apra con tutto il Parlamento una riflessione sulla funzione della nostra ulteriore - mi auguro di no - presenza in Iraq; la capiranno in tanti, forse tutti. La sua missione, signor Presidente del Consiglio, è tutt'altro che finita; chi parla del dopo Berlusconi non fa una previsione ma un azzardo.
Vorrei concludere con un rilievo, un modesto rimprovero al lombardo efficientista Berlusconi. Perché dimentica il mondo liberale? Guardi la sua compagine di Governo e, per così dire, cerchi con il lanternino un liberale dichiarato che non sia allo scomodo Dicastero della difesa: erano tre fino ad oggi. Non parlo a titolo personale perché, dopo quanto avvenne quattro anni fa, svolgo un'attività di natura


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prevalentemente amministrativa; parlo un po' da piemontese, un po' da liberale sabaudo. Buon lavoro, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.

GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente siamo certamente ad un passaggio di fase politica; il «berlusconismo» come operazione politica organica, come tentativo di costruire un blocco sociale, mi sembra, in ogni caso, finito. È come se fosse entrato in uno stato di dissolvenza perché il progetto iniziale, fallito, è inemendabile. Aldilà dei politicismi e dei volontarismi, a volte grotteschi, vi è comunque un nocciolo duro: una crisi strutturale alla quale Berlusconi tenta di rispondere con pressappochismo e confusione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO MUSSI (ore 11,35).

GIOVANNI RUSSO SPENA. Mi viene in mente un esempio storico-militare. Si racconta che la marina borbonica, quando era in difficoltà in combattimento, riceveva dal comandante un ordine disperato, facite ammuina: chi sta a destra, va a sinistra, e chi sta a sinistra, va a destra; chi è a poppa, va a prua, e viceversa. Dunque, ci si affidava al caso indistinto; ebbene, mi sembra che a ciò siamo giunti: la maggioranza fa ammuina.
L'asse Berlusconi-Bossi doveva indebolirsi; invece, si è rafforzato. Il voto nel Mezzogiorno, metafora delle politiche economiche del Governo e dell'insopportabilità per le comunità meridionali di territori diventati luoghi di precarizzazione assoluta, come relazione sociale, può trovare - mi chiedo - una risposta esauriente nel ministero del pur volenteroso Micciché, nell'inverosimile proposta di Tremonti sulla privatizzazione dei «bagnasciuga» meridionali? Il Governo pensa, forse, ad una torsione delle sue politiche liberiste, in direzione clientelare, corporativa e familistica. Anche per tale motivo, forse, si spiega il «diluvio» numerico dei sottosegretari meridionali. Ma non funzionerà, perché si è indebolito ed estenuato il meccanismo leaderistico e gerarchico, ossia quella formula aziendale che teneva insieme liberismo, devoluzione e populismo autoritario. Nelle parole dell'onorevole Berlusconi non vi è nemmeno l'ombra di un profilo programmatico: imprese, famiglie e sud sono per lui «tre caciocavalli appesi», per usare la formula filosofica classica.
La distanza dal paese reale e dai suoi problemi strutturali è sempre più profonda ed assoluta. Imprese, famiglie, sud sono, per il Presidente del Consiglio, non una linea programmatica, non una chiave di lettura della politica economica, ma «orpelli». Non viene affrontato alcun tema di fondo, neppure dal punto di vista dell'economia politica borghese: il provvedimento sulla competitività è schiacciato tra l'invocazione dei dazi e l'inesistenza nei settori avanzati. Non viene previsto alcun investimento pubblico, oggi fondamentale nelle politiche economiche dei maggiori paesi europei.
Crolla anche la grande industria matura. I consumi sono fermi. Al depauperamento di massa corrisponde solo un'esigua fascia di consumi sempre più opulenti. La riduzione delle tasse accompagna questo processo di feroce selezione sociale. Gli investimenti sono pressoché azzerati. Le esportazioni diminuiscono. Saremo, tra breve, di fronte al DPEF e, successivamente, alla legge finanziaria. Di quali dimensioni sarà la manovra di Tremonti e Siniscalco? Di 35 miliardi di euro? Di 18 miliardi di euro, come sembra affermare il ministro Siniscalco? La manovra, poi, sarà espansiva o deflattiva? Sono nodi di cui dovremo discutere anche oggi, oppure no? Se la manovra finanziaria sarà basata sulla fiscalità, con quali modalità e con quali redistribuzioni ciò avverrà?
Non noi, comunisti bolscevichi e trinariciuti, ma Eugenio Scalfari scriveva, domenica scorsa su la Repubblica: «Bisognerebbe tassare severamente i patrimoni,


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quelli mobiliari e quelli immobiliari». Quando si parla di «declino del paese», anche se tale termine non piace al Presidente del Consiglio, esso appare come la «bancarotta» di una politica economica. Quando, infatti, si parla semplicemente, per quanto riguarda il Mezzogiorno, di «zona franca», cosa succede? Vengono a cadere perfino ogni concezione, ogni percorso, ogni idea di sperimentazione di segmenti di sviluppo e si finisce con l'alludere a territori gerarchicamente subordinati, nella divisione dei lavori e delle produzioni a livello internazionale. Si parla, quindi, di nuovo «caporalato» di massa, di moderna schiavitù, mentre il rilancio del Mezzogiorno è possibile da intravedere soltanto in un orizzonte ben più ampio e complesso di regione euromediterranea.
Noi saremo molto attenti, nelle prossime settimane, perché proprio l'estrema debolezza del Governo ne accresce - a mio avviso - la sua pericolosità nei prossimi mesi. Il Governo tenterà, infatti, un improbabile e disperato recupero elettorale, cercando di rendere la società più cattiva e rancorosa, organizzando le pulsioni peggiori, attaccando a fondo lo Stato di diritto, con politiche ancora più accentuate di «tolleranza zero», di legge ed ordine, di emergenzialismo, di proibizionismo e di attacchi ai migranti.
Noi accogliamo, come opposizioni, la sfida democratica. Tenteremo di bloccare i descritti tentativi del Governo, nel Parlamento e nel paese, come già affermato, nei giorni scorsi, da Romano Prodi, ma anche riecheggiando le parole, alte e precise, che solo quarantotto ore fa, nelle grandi manifestazioni di massa del 25 aprile, sono state pronunciate dal Presidente della Repubblica.
Noi bloccheremo la controriforma della Costituzione, che, con l'uso illegale del potere legale di revisione previsto dall'articolo 138, sta travolgendo gli equilibri fra poteri costituzionali ed autonomia dei poteri stessi. Si sta tentando di estenuare la funzione di rappresentanza politica del Parlamento in nome del premierato assoluto, di indebolire gli organi neutrali di garanzia, dal Presidente della Repubblica alla Corte costituzionale. E con la devoluzione si mette in moto un processo di competitività liberista tra i territori e si abbattono i diritti universali dello Stato sociale, trasformandolo in uno Stato residuale e caritativo.
Siamo di fronte a tre grandi, preoccupanti processi: una crisi della sovranità, a partire dalla chiusura degli spazi di cittadinanza; un emergenzialismo ed un passaggio dallo Stato sociale allo Stato penale globale (come direbbe Eligio Resta). E qui la dittatura della maggioranza è un punto fondamentale: non significa regime fascistico, signor Presidente del Consiglio. La dittatura della maggioranza significa che la legittimazione elettorale è considerata tutto, come suffragio universale, quasi fosse un lavacro di ogni problema; mentre l'autonomia dei poteri e il controllo di legalità, come previsto dalla nostra Costituzione, per voi non significa nulla.
Il terzo punto concerne il federalismo, che dovrebbe unire. Il federalismo statunitense, il federalismo dei Länder tedeschi unisce; il vostro divide ciò che è unito. È un federalismo liberista che disgrega la società, mette in concorrenza e in competizione i territori. La devoluzione di questo Governo sfibra il paese e finisce con alludere al premierato forte come unico punto unitario di riferimento. Ma, in tal modo, il premierato diventa una satrapia.
Dahl - nemmeno lui, in verità, era un comunista - parla acutamente del tratto autoritario delle società postdemocratiche, che s'inserisce in quella fuga della democrazia che è nelle viscere dei processi della globalizzazione liberista, i quali a livello istituzionale si traducono nella compressione della sovranità popolare esercitata dal mercato assoluto, che diventa luogo della transazione e, nel contempo, autonomo produttore di norme.
Questo è il moderno sovversivismo dei ceti proprietari, come l'avrebbe chiamato Gramsci. Di questo vi accusiamo! Infatti, il sovversivismo dei ceti proprietari non è solamente nella politica economica, ma è anche nella politica istituzionale, simbolicamente


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determinata e segnata anche dai processi di personificazione delle norme, di cui in quattro anni avete dato prova, financo sfibrante per la Costituzione e per la vita democratica del paese.
Per questo motivo, con grande forza e determinazione, ma anche con grande tranquillità - confidando sul conflitto sociale e sull'unità programmatica che stiamo ricercando con lena fra tutti i partiti dell'Unione, confidando sulla preparazione fin da ora di un referendum contro la controriforma costituzionale (che siamo sicuri il paese avvertirà come grande prova di democrazia, come grande sfida democratica e come grande discussione di massa sul tema della democrazia) -, attenderemo le prossime settimane ed i prossimi mesi con grande politicità e con grande tranquillità.
Tutto ciò, senza fare del male al paese, senza giocare al «tanto peggio, tanto meglio», ma sapendo che, comunque, la fase del tentativo berlusconiano (definiamolo così) è finita. Da quell'intreccio fra liberismo, populismo, devoluzione - fallito ormai anche a livello istituzionale, oltre che nel paese - dovrà nascere una nuova stagione di riforme e di progresso, che sappia riavvicinare le istituzioni democratiche alle istanze, ai bisogni ed alle pulsioni popolari (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di Sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Luciano Dussin. Ne ha facoltà.

LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, risistemata la squadra di Governo, resta ora da riconquistare la fiducia dei cittadini elettori. Mentre gli elettori del centrosinistra votano, probabilmente, per principio, a prescindere dalle politiche dei partiti, il nostro è un elettorato completamente diverso.
La sinistra può inserire nei programmi la sicurezza, salvo poi approvare una legge, come la Turco-Napolitano, che ha aperto le porte a mezza malavita mondiale nei nostri territori. Essa può parlare di famiglia, mandando poi i propri europarlamentari a Bruxelles per votare indirizzi affinché le coppie gay possano adottare i bambini. Il loro elettorato comunque li segue, mentre il nostro è diverso. Per nostra fortuna esso non vota così, ma lo fa in modo coerente con i propri sentimenti e non si lascia imbrogliare.
Quando si parla di sicurezza nella Casa delle libertà, il nostro elettorato vuole che sicurezza sia. Sulle infrastrutture, l'elettorato vuole vederle realizzate e vuole, magari, poter seguire in televisione lo stato di avanzamento dei lavori, perché è gente concreta. In TV ogni tanto vorrebbe vedere partire, oltre alle carrette del mare che portano i clandestini sulle nostre coste, qualche aeroplano che riporti nei territori di provenienza i clandestini. Quindi, ha voglia di toccare con mano i frutti del lavoro del nostro programma e del nostro Governo.
Tuttavia, servono anche sistemi di comunicazione più diretti, che ci consentano di difenderci. Infatti, non è possibile perdere le elezioni regionali con la sinistra che inneggia al migliore dei governatori possibili. Mi riferisco a Bassolino in Campania, che riesce a vincere con il 60 per cento dei voti quando la Campania è l'unica regione in tutta Europa che è assediata dai rifiuti! Noi dobbiamo poter comunicare queste informazioni attraverso i mass media e rendere chiare ai cittadini le responsabilità di chi li governa.
Mi ricordo, come esempio di mancata comunicazione, quando la Casa delle libertà ha vinto a Bologna. Abbiamo scritto una pagina di storia nuova in questa Repubblica, ma in cinque anni non ho mai visto il sindaco Guazzaloca su un telegiornale. Egli non ha governato male, tanto che non ha neanche perso male.
Quindi, dobbiamo vendere ciò che riusciamo a realizzare. Dobbiamo spiegare, ad esempio, per quanto riguarda il rilancio del sud, che lo Stato deve riconquistare quei territori e deve garantire la sicurezza anche agli imprenditori del nord, che non si riesce a capire come mai siano costretti a delocalizzare a migliaia di chilometri di


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distanza e continuino a non fidarsi di investire nelle regioni del meridione aprendo nuove attività.
Vede, Presidente, nella prossima finanziaria potremmo impegnare tantissimi milioni di euro per il rilancio del sud, ma, finché persistono questi problemi, al di là dell'aumento delle spese correnti, in realtà i nostri imprenditori comunque non si fideranno di investire in territori che molto spesso - ahimè, ne pagano care le conseguenze anche i cittadini del Meridione - sono ancora fuori dal controllo dello Stato.
Dobbiamo spiegare tutto ciò che siamo riusciti a fare. Abbiamo aumentato le pensioni, raddoppiandole, a 2 milioni di anziani e probabilmente bisognava scriver loro a casa tre volte per renderli edotti di quanto era stato fatto e con quale sacrificio. Invece, in televisione gli esponenti del centrosinistra, che nel loro Governo non sono riusciti a fare nulla al riguardo, andavano dicendo che vi erano 6, 7 o 8 milioni di pensionati che avevano bisogno di vedersi raddoppiata la pensione. Meglio due milioni che niente, come hanno fatto loro! Però, certe volte, parlando chiaro, si potrebbe anche riuscire a coinvolgere emotivamente i nostri cittadini.
Probabilmente serve anche un po' di populismo, quello sano che nasce dai bisogni dei cittadini. Mi viene in mente la campagna elettorale di Bush: lo davano perdente, però, insistendo su temi cari ai cittadini, quali la sicurezza e la famiglia naturale, via via è riuscito a coinvolgerli e ad ottenerne la fiducia, al di là delle finanziarie che si concretizzano realmente negli anni, perché ha parlato chiaro, dimostrando un modo diverso di governare rispetto a chi continua un po' ad imbrogliare.
Mi auguro, francamente, che nel 2006 si riesca a presentarsi con una credibilità rinnovata per evitare che il paese venga nuovamente governato da un centrosinistra che subito cambierebbe la legge sull'immigrazione, rimettendo in pericolo i nostri territori, e bloccherebbe tutte le infrastrutture per i veti incrociati dei Verdi. Ci ricordiamo quanto successe con loro: ci furono cinque ministri dei lavori pubblici. Ne «bruciarono» uno l'anno senza aprire un cantiere per i ricatti dei Verdi e noi continuiamo ad essere attaccati nei telegiornali perché le nostre infrastrutture non si inaugurano.
È su tali aspetti che dobbiamo lavorare per riconquistare la fiducia dei nostri cittadini. Buon lavoro, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ranieri. Ne ha facoltà.

UMBERTO RANIERI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, lei ha scelto di non fare alcun riferimento, nel suo discorso, alla politica estera seguita dal suo Governo e di non parlarci del modo in cui intende affrontare nei prossimi mesi complesse questioni che attengono alla politica europea ed internazionale. Tuttavia, la politica estera è un aspetto essenziale nel bilancio dei suoi quattro anni di Governo.
Come lei ben sa, non crediamo che quella portata avanti dal suo Governo sia stata la migliore politica estera possibile per il nostro paese. Per la verità, non siamo convinti che l'Italia abbia goduto, nel quadriennio trascorso, di una così grande influenza e di un così indiscusso credito internazionale. È per questo che ci permettiamo di invitarla non ad un ripensamento, non si preoccupi, ma a riflettere su aspetti della politica estera seguita dal suo Governo che non ci hanno convinto. Non ho molto tempo, quindi mi limito ad alcuni cenni, ma credo che il senso della nostra posizione possa emergere con chiarezza.
Signor Presidente del Consiglio, pensiamo che nel corso di questi quattro anni il Governo di centrodestra abbia teso a modificare in profondità l'equilibrio storicamente esistente tra i due pilastri tradizionali della politica estera italiana: quel ruolo di ponte esercitato a lungo dall'Italia tra Stati Uniti ed Europa e la natura dell'impegno del nostro paese nel processo di integrazione europea. Crediamo che ciò


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sia avvenuto perché il suo Governo ha deciso di inseguire una sorta di partnership privilegiata dell'Italia con gli Stati Uniti in un crescente allineamento fino alle più dirompenti scelte unilaterali compiute dalla Casa Bianca. Non crediamo che tale politica fosse obbligata per l'Italia. Sarebbe stato possibile, ad esempio, dinanzi al tema drammatico del ricorso unilaterale alla forza, senza mettere in discussione la lealtà atlantica o rincorrere posizioni subalterne verso il cosiddetto asse franco-tedesco, avere da parte del Governo italiano una funzione di contenimento critico delle spinte unilateralistiche statunitensi.
Il suddetto orientamento si è accompagnato ad un sensibile affievolimento dello spirito europeista: tra i due movimenti, del resto, vi è una stretta relazione. La verità è che l'insofferenza verso la costruzione europea non è stata solo alla base dei comportamenti della Lega: un rilevante segmento della maggioranza l'ha coltivata. Non vorremmo che oggi, per un calcolo politico che si rivelerebbe velleitario, si cercasse di farsi portatori di un'interpretazione strumentale delle difficoltà economiche dando il via ad un'operazione volta ad individuare nell'Europa il capro espiatorio dei guai del paese. Sappiamo bene che problemi nella costruzione europea ci sono e vanno affrontati, ma una condotta del genere non porterebbe molto lontano il paese e non aiuterebbe l'Italia a venire fuori dei suoi problemi. Non si illuda il centrodestra: non è questa la via per recuperare consensi.
Ci auguriamo ancora una riflessione critica del centrodestra su questioni di tale natura e portata.
L'Europa è a un passaggio cruciale. Forte è la preoccupazione che, nel referendum per la ratifica del trattato costituzionale in Francia, possa prevalere il «no». Ma perché si è giunti a questo? Certo, i limiti della costruzione europea. Ma c'è o no la responsabilità di chi ha fatto un permanente ricorso al ritornello dell'Europa come un peso, che serve solo ad aggravare la nostra vita di oneri burocratici fastidiosi ed inutili? Ciò ha contribuito ad un'immagine dell'Europa arcigna, fatta apposta per alimentare l'ostilità dei cittadini. Inviterei il ministro Tremonti a riflettere su tutto ciò. Si tratta infatti di questioni di fondo.
Voi vi proponete di governare il paese in questo anno conclusivo della legislatura. Ma se non si giungesse alla ratifica del trattato costituzionale in Francia, come pensa il Governo italiano che dovrebbe essere affrontata la situazione? Chi prenderà in mano l'iniziativa per il futuro dell'Europa? Potrà l'Italia mantenersi nel gruppo di testa dei paesi che decidono? E, più in generale, l'Italia si sta preparando a giocare un ruolo propulsivo su alcuni dossier, dalla Turchia al Caucaso, al Medio Oriente, all'Iran?
Noi manteniamo un giudizio critico sull'indirizzo di politica estera seguita dal Governo. Ciò tuttavia non impedirà in ogni caso di sostenere orientamenti ed atti, come quello per la riforma delle Nazioni Unite, che condividiamo, né ci impedirà di continuare a chiedere che il Governo italiano sappia difendere - fiduciosi che ciò accada -, nell'inchiesta in corso per accertare le responsabilità della morte di Nicola Calipari, la correttezza del comportamento dei suoi funzionari, fino al punto, se necessario, di contrapporre pubblicamente la propria versione dei fatti a quella degli Stati Uniti d'America (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Antonio Leone. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. L'azione svolta dal secondo Governo Berlusconi ha portato, in questi primi quattro anni della XIV legislatura, all'attuazione pressoché integrale degli impegni programmatici solennemente assunti dalla Casa delle libertà durante la campagna elettorale del 2001. A tale proposito, occorre fare giustizia di tutte le mistificazioni sistematiche dell'opposizione, che, nello svolgere la propria fisiologica funzione critica nei confronti


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della maggioranza e del Governo, ha spesso superato ogni limite di ragionevolezza e di decenza, arrivando a negare la realtà dei fatti.
Vorrei ricordare, prima di tutto, che, pure in un quadro economico internazionale, ed europeo in particolare, estremamente difficile, sono stati attuati impegni molto onerosi: l'aumento ad 1 milione di lire al mese delle pensioni minime; il varo dei primi due moduli della riduzione dell'IRPEF, per complessivi 12 miliardi di euro; l'eliminazione dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni; la riduzione delle aliquote IRPEG; la riduzione dell'IRAP (un'imposta, è bene ricordarlo, che venne istituita dal centrosinistra, a firma dell'allora ministro Visco); l'esclusione della prima casa di abitazione dall'imponibile IRPEF; l'informatizzazione della pubblica amministrazione e la diffusione dell'e-government; la coraggiosa ed innovativa riforma promossa dal ministro Moratti (è bene ricordare, voluta dall'Europa); la semplificazione burocratica; l'avvio di un sostanzioso programma di grandi opere; la riforma delle pensioni; la riforma del mercato del lavoro; la detassazione degli utili di impresa reinvestiti.
Ho voluto ricordare solo gli aspetti principali dell'azione del Governo, che si è sviluppata pressoché in tutti i settori, con una spinta innovativa e di modernizzazione che sta già dando frutti concreti. In particolare, la riforma del mercato del lavoro ha comportato come effetto importantissimo la sostanziale riduzione del tasso di disoccupazione. Si tratta di un risultato di grandissimo rilievo socioeconomico, soprattutto se si considera che in molti importanti paesi europei, quali ad esempio la Germania, si registrano tuttora tassi di disoccupazione a due cifre. Altro risultato innegabile, di grandissimo rilievo tecnico e politico, è quello di aver mantenuto sotto pieno controllo la finanza pubblica, facendo rispettare al nostro paese il vincolo del rapporto deficit/PIL non superiore al 3 per cento (limite largamente superato, ormai da oltre due anni, da altri paesi europei).
Infine, per quanto riguarda i conti pubblici, vorrei ricordare che è proseguita, pur tra le mille difficoltà, la riduzione dell'enorme debito pubblico, triste eredità della prima Repubblica, che è sceso a poco più del 106 per cento del PIL e che il Presidente Berlusconi si è impegnato a ridurre al di sotto dell'importante soglia psicologica del 100 per cento.
Mi è sembrato del tutto doveroso riassumere i risultati principali dell'azione del precedente Governo, perché è in tale contesto che vanno considerati gli impegni programmatici che il Presidente Berlusconi ha esposto in questo ramo del Parlamento.
È evidente che, in una situazione economica difficile, con sfide commerciali di carattere globale come quella che proviene dall'Estremo Oriente, occorre aggiornare il programma di legislatura, anche per fornire una risposta adeguata ai segnali che l'elettorato ha espresso nei confronti della maggioranza. Tutto ciò per dire che è giusto integrare ed aggiornare le linee programmatiche, nella piena consapevolezza, tuttavia, che il precedente Governo ha svolto, fino in fondo e con efficacia, il proprio compito ed ha attuato puntualmente gli impegni.
Condividiamo in pieno gli impegni principali illustrati dal Presidente Berlusconi: il completamento del cammino delle riforme, la tutela del potere d'acquisto delle famiglie dall'erosione che si è verificata con l'introduzione dell'euro, la riduzione del cuneo fiscale che grava sulle imprese ed, in particolare, sulle paghe dei lavoratori attraverso una rimodulazione degli oneri sociali e una revisione dell'IRAP, anche alla luce dei rilievi che, in proposito, ci muove l'Unione europea ed il rilancio della politica meridionalistica, perché è in quelle regioni che è localizzata gran parte della disoccupazione ed è lì che si giocano le prospettive di rinnovato sviluppo del nostro paese.
È del tutto naturale che il gruppo di Forza Italia appoggi in pieno le indicazioni programmatiche svolte dal Presidente del Consiglio Berlusconi; ciò, tuttavia, non costituisce per noi un dovere di ufficio,


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bensì il frutto di una profonda condivisione degli obiettivi indicati dal premier.
È evidente che le riforme devono essere completate con elementi fondamentali della modernizzazione del nostro paese, che deve riguardare non solo l'economia in senso stretto, ma tutto l'assetto delle istituzioni e delle articolazioni amministrative, ivi compresa l'esigenza del rapido completamento della riforma della giustizia, al fine principale di rendere il servizio giustizia più efficiente e con tempi adeguati ad una moderna società industriale e di ridurre il tasso, purtroppo ancora eccessivo, di politicizzazione di una parte della magistratura che si evince, ancora volta, dalla cronometrica precisione della procura di Milano, che rinvia a giudizio il Presidente del Consiglio proprio nel giorno in cui questi espone alla Camera il programma del suo terzo Governo.
Come possiamo dimenticare l'avviso di garanzia inviato al Presidente del Consiglio nel novembre del 1994 in diretta mondiale, mentre era in corso a Napoli la conferenza mondiale sulla criminalità, per un reato che ha visto il premier assolto con formula piena ed in via definitiva (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Lega Nord Federazione Padana)?
Tornando agli impegni programmatici di natura economica e sociale e preso atto del proposito, di cui, peraltro, non avevo mai dubitato, di mantenere la finanza pubblica in linea con i parametri del trattato di Maastricht, recentemente rivisitati, vi è da dire che è di grandissimo rilievo l'impegno a sostenere il potere di acquisto delle famiglie, che ha subito un'obiettiva erosione per effetto della introduzione dell'euro, i cui contraccolpi, evidentemente, il precedente Governo di centrosinistra non aveva ben valutato.
Condividiamo, pertanto, in pieno l'impegno del Governo per sostenere il reddito delle famiglie che, peraltro, hanno già beneficiato sia dell'aumento delle pensioni minime sia dei primi due moduli di riduzione dell'IRPEF, che hanno avvantaggiato prevalentemente le fasce di reddito più basse.
È, tuttavia, giusto fare di più, attraverso il rapido rinnovo dei contratti di lavoro per i lavoratori dipendenti, a partire dal settore pubblico, ed ulteriori benefici fiscali, in particolare, per le famiglie numerose.
Per quanto riguarda la competitività, sono pendenti innanzi al Parlamento due distinti e complessi provvedimenti: un decreto-legge ed un disegno di legge che contengono misure di grande efficacia per il rilancio dell'economia e la ripresa degli investimenti produttivi. Ci impegneremo affinché tali provvedimenti siano approvati nei tempi più brevi possibili.
Strettamente connesso con il problema della competitività è sicuramente quello annoso dell'eccessiva differenza fra salario netto percepito dai lavoratori e costo del lavoro per le imprese. Su tale versante, riteniamo particolarmente importante l'impegno ad incidere in misura significativa per ridurre questo cuneo che rappresenta, da un lato, un handicap competitivo per le nostre imprese e, dall'altro, un'eccessiva compressione dei redditi netti dei lavoratori.
Sono di grande rilievo gli impegni per una revisione complessiva dell'IRAP, concepita secondo le previsioni dell'onorevole Visco, ed una riduzione degli oneri sociali impropri che gravano sul costo del lavoro.
Ci rendiamo conto che non si tratta di un'impresa agevole, in quanto occorrerà muoversi in un quadro finanziario difficile e perché le risorse in gioco sono molto ingenti. Tuttavia, si tratta di un aspetto decisivo per far riprendere la crescita economica di questo paese che passa, inevitabilmente, per un miglioramento della competitività nei confronti della sempre più dura concorrenza internazionale che, a volte, utilizza anche pratiche illegali, come la contraffazione su larga scala dei marchi italiani.
Tuttavia, l'impegno del nuovo Governo Berlusconi assume accenti particolari sul versante della politica meridionalista che, peraltro, non è stata mai trascurata, come vorrebbero far credere al paese le opposizioni di centrosinistra.


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Vorrei, in primo luogo, ricordare che le risorse impegnate a favore del Mezzogiorno sono state, in questi anni, particolarmente ingenti e che sono stati utilizzati, in misura molto maggiore rispetto al passato, i finanziamenti messi a disposizione dall'Unione europea per le aree svantaggiate.
Tuttavia, vi è un aspetto qualificante degli impegni programmatici del terzo Governo Berlusconi, che riguarda in prevalenza il Mezzogiorno, ed è quello del programma delle grandi opere, che privilegia necessariamente le regioni meridionali, in quanto è in queste zone che la dotazione delle infrastrutture è tuttora fortemente carente rispetto a quella media dell'intero paese.
Certamente, si sono dovuti affrontare ostacoli burocratici pesanti e, soprattutto, si è dovuto fare i conti con l'assoluta carenza progettuale pregressa. Il Governo ha trovato i cassetti completamente vuoti, anche perché lo sforzo compiuto dai Governi di centrosinistra per contenere il disavanzo in misura tale da consentire l'entrata nell'area dell'euro è stato realizzato in prevalenza comprimendo ogni altra logica e la già esigua spesa pubblica per investimenti in infrastrutture.
Il risultato di questa miope ed irresponsabile azione è stato quello di rallentare ulteriormente la modernizzazione del nostro sistema paese e di allargare in tal modo il gap infrastrutturale tra l'Italia e la parte più avanzata dell'Unione europea. Tutto ciò ha nociuto pesantemente alla competitività del nostro sistema ed ha contribuito a far perdere all'Italia significative quote di mercato nel commercio internazionale.
A tali gravi guasti si può porre rimedio solo con un'opera di lungo respiro, che si potrà sviluppare nell'arco di più anni attraverso una programmazione opportuna, la realizzazione di una adeguata progettazione e l'apertura di cantieri sostenuta da adeguati finanziamenti. Tale opera, avviata sin dall'inizio di questa legislatura, è attualmente a metà del guado e sta producendo i primi frutti, e ci conforta l'impegno del Presidente del Consiglio di fornirle ulteriore impulso sia dal punto di vista amministrativo sia dal punto di vista finanziario.
Sul piano complessivo, gli impegni programmatici esposti dal Presidente del Consiglio ci appaiono del tutto adeguati a fronteggiare la situazione economica, a rilanciare gli investimenti produttivi e ad avviare a soluzione i problemi del paese, che non sono pochi e le cui origini affondano le loro radici molto lontano nel tempo.
Abbiamo di fronte un'opposizione che non pratica una critica costruttiva, ma indulge solo ad azioni di tipo distruttivo e denigratorio. Non è così che ci si candida alla guida di un grande paese industriale come l'Italia e di una società complessa come la nostra!
Questa maggioranza ha invece fornito ampia dimostrazione di senso dello Stato e di avere a cuore gli interessi di fondo del paese, che sono poi quelli di tutti i cittadini. Abbiamo tutelato, in condizioni economiche difficili, lo Stato sociale, in particolare le pensioni, la sanità pubblica, alla quale sono state assicurate risorse adeguate, smentendo così quanti da sinistra ci avevano accusati di voler privatizzare previdenza e sanità. I fatti hanno dimostrato esattamente il contrario e, soprattutto, una grande attenzione per le esigenze dei cittadini con reddito più modesto e per le fasce più deboli della popolazione. Il terzo Governo Berlusconi è impegnato a proseguire sulla medesima strada di promozione dello sviluppo economico e di salvaguardia delle esigenze di tutela sociale.
A proposito di mistificazione, a proposito di modi comportamentali dell'opposizione, intendo rivolgere un appello a tutti gli uomini che hanno creduto nel progetto avviato dieci anni fa e che ancora ci credono. Dobbiamo intraprendere una grande operazione, che potremmo tranquillamente chiamare «operazione verità». Un'opera di demistificazione delle bugie, rappresentata agli italiani dal cartello elettorale posto in essere dalle opposizioni.
Le opposizioni ci hanno accusato di aver prodotto una serie di leggi ad personam,


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dimenticando o facendo finta di dimenticare o di rappresentare agli italiani gli effetti di queste leggi, che non si sono mai visti e sono del tutto nulli. Quindi, erano false le interpretazioni rappresentate dalle opposizioni, dimenticando o facendo finta di dimenticare che nella scorsa legislatura fu modificato un articolo del nostro codice penale, quello relativo all'abuso d'ufficio, per salvare un uomo che oggi si ripresenta come una candida animella alla guida dell'opposizione stessa.
Ci avete accusato di aver approvato importanti riforme a colpi di maggioranza, dimenticando o facendo finta di dimenticare che nella scorsa legislatura si approvò con soli quattro voti di differenza una modifica del nostro sistema statuale che, se non opportunamente corretta - come abbiamo fatto -, avrebbe messo in ginocchio le regioni meridionali (vedi, ad esempio, il decreto n. 56 del 2000, a firma dell'onorevole D'Alema, che avrebbe determinato una vera e propria spaccatura del nostro paese).
Ci avete accusato di non aver saputo tenere alto il nome dell'Italia all'interno dell'Europa, dimenticando o facendo finta di dimenticare che per il nostro ingresso in Europa avete letteralmente svenduto la quasi totalità dell'economia del Mezzogiorno.
Ci avete deriso quando abbiamo avuto il coraggio di chiedere la revisione del patto di stabilità, salvo non ridere più quando la medesima richiesta è pervenuta anche da altri paesi europei, giungendo alla revisione auspicata.
Siete insorti quando questo Governo, per primo in Europa, ha sollevato il problema della concorrenza dei paesi asiatici, salvo poi non poter più insorgere quando altri paesi europei, come in questi giorni, hanno sollevato lo stesso problema. Con una congiura di palazzo, avete mandato in vacanza il vostro premier, per poi riproporlo agli italiani a distanza di qualche anno. Il nostro premier ha avuto la nostra fiducia nel 2001, così come continua e continuerà ad averla (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
Signor Presidente, è vero che dobbiamo essere orgogliosi di quanto abbiamo fatto, ma è ancor più vero che con sempre maggior orgoglio dobbiamo pensare ad una nuova via, ad un nuovo percorso di coesione tra la politica reale e quella virtuale (come quella voluta dalla sinistra) per ricucire gli strappi operati nel paese da un'opposizione bugiarda e becera, fomentatrice di odi e scollamenti, e per raggiungere sempre più alti traguardi grazie ad una grande opera di ricomposizione dei valori comuni agli italiani moderati (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, onorevoli colleghi: vorrei rivolgermi a lei, signor Presidente del Consiglio, con simpatia e tentare di aprire un dialogo politico senza pregiudiziali e senza nascondere le ragioni critiche che mi hanno portato, talvolta, a dissentire dall'azione sua e del Governo.
È ovvio che lei abbia chiesto un voto di fiducia; è ovvio che tale fiducia venga data, quasi come se fosse una necessità sancita dal patto elettorale, che non viene certamente messo in discussione. Questo suo nuovo Governo consente però di affrontare il nodo politico che lei ieri ha correttamente posto nella parte finale del suo intervento. Mi riferisco al passaggio dal Governo del Presidente, in qualche modo indicato dal voto elettorale, al Governo parlamentare di coalizione. Ebbene, ritengo che si possa affermare che non si tratta di passaggio sgradevole, ma anzi costituzionalmente chiarificatore. Non mi pare che noi pensiamo di diventare una Repubblica presidenziale; io, comunque, non credo a tale soluzione. Allora, è opportuno che in maniera condivisa rendiamo più efficace la nostra democrazia parlamentare, evitando di inseguire modelli che mal si adattano alla nostra tradizione e alla nostra storia.


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Qui non è tanto in discussione la devoluzione, largamente interpretata come correttiva dell'azione stravolgente adottata a maggioranza nel corso della passata legislatura dal centrosinistra, quanto i rapporti tra Governo e Parlamento, che richiamano il ruolo dei partiti e della coalizione dopo una lunga transizione. Ebbene, si tratta di un punto assai delicato e non credo che vi sia bisogno di indicare con uno schema presidenziale una struttura democratica che resta parlamentare.
Invece, credo che il Parlamento resti il punto centrale della democrazia nel nostro paese e che intorno a questo schema si debba lavorare perché così sente in larga misura la pubblica opinione. In questo passaggio va recuperato il ragionamento sulla ristrutturazione dei partiti. Non credo che si possa realisticamente parlare di un partito unico: così come sul fronte del centrosinistra non esiste un unico partito, vedo molto difficile la realizzazione dell'ipotesi di formare un partito unico sul fronte del centrodestra. Non mi pare che si proceda verso una deriva bipartitica, anche se la logica «bi-leaderistica» di questi anni sembra trascinare in quella direzione.
Piuttosto, credo che si possa dar vita in Italia ad un contenitore politico nuovo, avendo come riferimento l'esperienza del Partito popolare in Europa. Questo si può fare, ma certo lo si deve realizzare con una robusta base programmatica e con grande spirito democratico.
Quello che lei ha fatto in questi anni è probabilmente irripetibile, e ciò è sotto gli occhi di tutti. Ritengo tuttavia che si debba fare qualcosa di diverso, costruendo dal basso una struttura democratica nella quale possano convivere anche tradizioni diverse, ma avendo il metodo democratico come riferimento sostanziale. Credo che lei possa aiutarci a far diventare normale il nostro paese, uscendo da uno schema bipolare senza qualità, non dal bipolarismo.
È la scarsa qualità di questo bipolarismo che mi preoccupa. Esso, infatti, è competitivo sul piano numerico, ma spesso non lo è sul piano politico. La vicenda del corteggiamento dei radicali cosa dimostra, se non questo? Si tratta del tentativo di «fare 51», vale a dire del tentativo, di uno schieramento o dell'altro, di diventare prevalente, senza porsi il problema della qualità della proposta politica. È la cattiva qualità di questo bipolarismo a richiedere, a mio avviso, un'iniziativa politica adeguata.
Quanto ai punti programmatici dell'azione del Governo, vi è la necessità di un confronto costante con il Parlamento. Ritengo corretto il richiamo al patto di stabilità: d'altra parte, non possiamo scherzare con l'euro, e se vi fosse un andamento al rialzo dei tassi di interessi, non sapremmo come chiudere il bilancio. Analogamente, ritengo corretto considerare prevalente la ripresa dello sviluppo: piuttosto che il taglio dell'IRPEF, condizionato dal sommerso, dobbiamo impegnarci a sostenere le ragioni della competitività per le imprese, considerando il Mezzogiorno come valore.
Condivido inoltre il riferimento del collega Costa ai mercati concorrenziali nei monopoli ex statali: vi sono troppi settori che precedentemente appartenevano allo Stato e che oggi sono finiti in mano a privati, i quali operano come se, in realtà, fossero anche depositari del monopolio (mi riferisco alle banche, alle assicurazioni, alle autostrade, all'energia, alle telecomunicazioni). Ciò non è opportuno, in quanto si toccano duramente le tasche dei cittadini, ed è auspicabile un'azione incisiva delle autorità indipendenti volta a fare in modo che la politica delle tariffe tenga conto complessivamente della politica sociale nel nostro paese. Ciò richiama una riforma dello Stato sociale che aiuti effettivamente i più deboli: troppa gente deve fare i conti con l'asprezza della quarta settimana, anche per i consumi basilari.
Ritengo che occorra restituire ai nostri concittadini la speranza di una politica fondata certamente sulla libertà, ma nella ricerca costante e puntigliosa dell'interesse generale: ecco l'abbinamento tra la cultura della libertà e la difesa dell'interesse generale, intransigente, forte, rispettosa di tutti, ma autorevole. Vi sono troppi odiosi particolarismi, piccoli e grandi, che non


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possono diventare la cifra rappresentativa di una stagione politica: si rischia la rottura con la dimensione più profonda dell'elettorato popolare.
In tale contesto è giusto collocare, nel sessantesimo anniversario, il ricordo della Liberazione, e così pure della dignità degasperiana e delle grandi scelte della ricostruzione. È bene che esse ci guidino ancora e che non vengano guardate con distacco, come se fossero superate. Quello che abbiamo alle nostre spalle era un paese ideologicamente diviso, ma civilmente unito nell'impegno e nella passione politica, con la voglia di credere nel proprio riscatto. Questa è la cifra che lo rende diverso dal paese di oggi, che appare più rassegnato, più ripiegato, talvolta senza valori unitivi, alla ricerca dei miti del successo facile e politicamente molto diviso e rissoso. Non mi preoccupo delle divisioni politiche, mi preoccupo delle divisioni politiche di scarsa qualità: quando esse si scatenano in una rissa inspiegabile, non danno certamente un contributo utile non soltanto alla comprensione della politica, ma anche alla sua alta attuazione. Il nuovo sogno da proporre agli italiani è un paese più civile, più moderno, più sincero, meno ambiguo e furbesco. Su questo terreno vi è probabilmente spazio per una forte iniziativa di una coalizione moderata, prudente, rassicuratrice, eppure coraggiosa e innovatrice.
Onorevole Presidente Berlusconi, se la sente di aiutarci a coltivare questo disegno politico limpido e onesto? Una politica siffatta potrebbe aiutare a chiarire politicamente e programmaticamente le idee anche a una coalizione di centrosinistra che oggi appare immobile nell'attesa di un risultato nel quale spera, perché ha investito unicamente sui nostri errori e nella personalizzazione dello scontro leaderistico. Ritengo sarebbe molto utile da parte sua aiutare tutti noi a compiere questo percorso.
In questo senso, il suo nuovo Governo deve avere il compito di preparare una nuova fase di stabilizzazione della vita politica italiana.
In tale contesto sono del tutto disponibile a dare un contributo, certo personale: come è noto, non coinvolgo mai nessun altro al di fuori di me stesso. Questo è un contesto politico nel quale vale la pena di spendersi e penso che lo faremo fino in fondo, al servizio del nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e di deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lusetti. Ne ha facoltà.

RENZO LUSETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non so se la nostra sia una minoranza becera, distruttiva e piena di odio, come dichiarato dai colleghi che mi hanno preceduto. Sono, però, preoccupato perché ho letto una dichiarazione rilasciata all'agenzia ANSA alle ore 11,32 dal Presidente del Consiglio, il quale ha affermato che: «Anche dopo l'esperienza dei sottosegretari e dei ministri di questi ultimi giorni, io personalmente non sono più disposto a rifare l'identica esperienza, né sono disposto a ripresentarmi agli elettori nelle condizioni attuali; non vedo perché gli elettori dovrebbero dare fiducia ad una squadra che ha dimostrato di non sapere stare insieme». Si tratta - lo ripeto - di affermazioni testuali del Presidente del Consiglio, riportate tra virgolette in questa agenzia. Mi chiedo, allora, Presidente Berlusconi, perché mai dopo queste dichiarazioni il Parlamento dovrebbe concedere fiducia al suo Governo!
Signor Presidente, il premier ha ieri indicato la rotta verso la penisola che non c'è... L'Italia di cui parla questo Governo non esiste, ma assomiglia molto all'isola che non c'è, all'isola di Utopia raccontata da Tommaso Moro e a quella cantata da Edoardo Bennato. Assomiglia al programma di «Alice nel paese delle meraviglie», la cui realizzazione richiederebbe tre legislature. Auguro buona fortuna a chiunque abbia tutta questa pazienza.
Il vero problema non è quello evidenziato dal Presidente del Consiglio: le solite


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banalità, ovvietà e luoghi comuni di cui gli italiani sono stanchi. È molto eloquente il risultato elettorale dei giorni scorsi (so che il «12 a 2» brucia molto).
Il vero problema è quello non citato dal Presidente del Consiglio. La struttura del Governo e le sue scarne e risibili proposte programmatiche lasciano irrisolti i problemi della nazione: non viene preso in considerazione il fortissimo rischio di declino del paese; la distribuzione dei redditi è fortemente sperequata; i consumi non vengono sbloccati; il lavoro resta precario; il welfare non viene né ripensato né tutelato.
Onorevoli colleghi, si parla di un Governo fotocopia, di un Governo sbiadito. Sbaglia chi lo pensa, anche nel centrosinistra. Questo è un Governo fortemente connotato sul piano politico e poco attrezzato per la guida di un paese stanco e stremato. Questo è il Governo «Berlusconi-Tremonti». Forse la casa comune, di cui si parla in questi giorni nella Casa delle libertà, riparte proprio dall'asse Berlusconi-Tremonti. Francamente, onorevoli colleghi, abbiamo compreso più dalle esternazioni, nemmeno tanto bizzarre, del Vicepresidente del Consiglio Tremonti che non dal discorso tenuto ieri del Capo del Governo.
Questa maggioranza fa perno ormai da tempo sull'asse Forza Italia-Lega Nord, relegando in secondo piano le altre forze della coalizione. Il Governo Berlusconi-Tremonti ingenera l'idea di una sorta di esecutivo padano con qualche deriva socialpopulista. Mi riferisco alla fantomatica «banca del sud» e alla fantasiosa vendita delle spiagge, cui ha fatto cenno l'altro giorno il Vicepresidente del Consiglio Tremonti, ormai ospitato anche nella trasmissione Porta a Porta (il salotto che dà il via ai leader) cui ha partecipato ieri sera insieme al leader dei DS. In tal senso leggo anche l'altra dichiarazione resa dal Presidente del Consiglio alcuni minuti fa: un Presidente prossimo alla pensione che punta su un delfino quale potrebbe essere lo stesso Tremonti.
Ebbene, onorevoli colleghi, le spiagge - di cui parla il Vicepresidente del Consiglio - valgono, secondo uno studio di Nomisma, 13 miliardi di euro, cioè l'1 per cento del PIL, valore molto simile al buco nei conti pubblici operato con la prima riduzione delle tasse, e ben lungi dal risolvere il problema del Mezzogiorno con tale cifra.
Si ripropone la solita logica che non paga, del rapporto tra debito pubblico e dismissioni, privatizzazioni o cartolarizzazioni che siano, ed il risultato, onorevoli colleghi, è che il patrimonio del paese si assottiglia sempre di più al servizio di un debito che non viene mai estinto: altroché, come diceva il collega Antonio Leone, l'abbassamento sotto il 100 per cento!
Tra poco il Governo Berlusconi-Tremonti ci proporrà di vendere il mare, le Alpi, gli Appennini e forse anche la fontana di Trevi: è proprio una penisola che non c'è questa nostra, una penisola che non c'è più! Tra poco venderemo tutto e gli stranieri compreranno l'Italia! La tanto decantata e riproposta riforma fiscale, misera ed iniqua, non ha fatto e non farà crescere i consumi, la povertà aumenterà e le risposte ai problemi della gente saranno sempre più inadeguate.
Ancora una volta il Governo non è riuscito ad anteporre agli slogan («meno tasse per tutti») un'attenta analisi dell'economia reale: forse il reingresso di Tremonti serve a proteggere Siniscalco, non lo so! Ci saremmo però aspettati da questa destra che governa il paese, e che ora vuole diventare Casa comune, qualcosa di più, meno proposte generiche e più fatti concreti. Ci saremmo aspettati misure a sostegno dei redditi più bassi, una maggiore tutela della competitività, una sorta di via libera a progetti strategici di ricerca e sviluppo nell'eccellenza, una sorta di via libera ad un piano straordinario per finanziare in tre anni cinque o sei mila contratti di ricerca, una sorta di impegno per un Fondo per lo sviluppo tecnologico e l'alta formazione: non ve n'è traccia!
E ancora, ci saremmo aspettati qualche misura per la lotta al carovita, magari rivedendo il paniere ISTAT, tenendo conto delle fasce di reddito, e pensando in particolare agli ultrasessantenni o alle famiglie


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monoreddito, ma non vi è nulla! Ci saremmo aspettati qualche cosa di più sull'ambiente e la cooperazione, maggiori risorse per applicare il protocollo di Kyoto; ci saremmo aspettati qualcosa sul tema della povertà e della precarietà, un aumento della indennità di disoccupazione, oggettivamente oggi aumentata, la trasformazione dei contratti di formazione-lavoro in contratti a tempo indeterminato, più insegnanti di sostegno, più detrazioni per i figli a carico: non vi è nulla di tutto ciò! Ci saremmo aspettati qualcosa di più innovativo e forte sul Mezzogiorno. La nostra parola d'ordine, onorevoli colleghi, signor Presidente, è secca: va letteralmente invertita la politica di abbandono del sud. Non basta un ministro senza portafoglio per invertire questa rotta!
Ebbene, onorevoli colleghi, non vi è più né equità né sviluppo: vediamo solamente slogan! Allora, io mi chiedo, signor Presidente, onorevoli colleghi, a chi serve questo Governo? Forse serve ai settantadue sottosegretari, record nella storia repubblicana! Quale paese consegnerete all'Italia al termine del vostro mandato?
Noi siamo molto preoccupati anche per le riforme a costo zero, la tutela del risparmio, la riforma degli ordini professionali. Vi era prima in aula il sottosegretario Vietti: dato che si occupava di questo tema, non si comprende perché sia stato destinato ad altro incarico.
Mi riferisco alla riforma costituzionale: veramente pensate che l'aggiunta di una sottosegretario di Alleanza Nazionale garantisca una correzione di tiro sul tema delle riforme costituzionali? Su, onorevoli colleghi: non prendiamoci in giro! Mi viene da pensare che la forte connotazione leghista del Governo Berlusconi-Tremonti diventi un monocolore per garantire una riforma non condivisa, insensata e a senso unico: una riforma, onorevoli colleghi, costituzionale che indebolisce la qualità della democrazia.
Onorevoli colleghi, concludo, facendo riferimento allo sceneggiato, trasmesso ieri sera e visto da molti di noi, dedicato ad Alcide De Gasperi, molto bello e sotto la regia di Liliana Cavani. De Gasperi, l'uomo della speranza, si diceva! Onorevoli colleghi, le condizioni sfavorevoli nelle quali De Gasperi ha governato erano tante e ben più grosse e preoccupanti delle condizioni di cui ha parlato ieri il Presidente del Consiglio: le macerie della guerra, la fame e la povertà che erano presenti nella maggior parte della popolazione, il passaggio dalla monarchia alla Repubblica, il piano Marshall, l'uscita dei comunisti e dei socialisti dal Governo e la scelta atlantica, la Carta costituzionale! Vigeva ancora lo Statuto albertino, ma essa venne ampiamente condivisa dall'intero arco costituzionale e non a colpi di maggioranza!
Ebbene, onorevoli colleghi, ricordo, e lo ricordo anche al Presidente del Consiglio dei ministri, che De Gasperi invitava i candidati a promettere meno di quanto fossero in grado di mantenere. Non sarebbe quindi male che questo Governo, che ha perso un ministro ogni trentuno giorni - altro che stabilità! - traesse qualche esempio da Alcide De Gasperi.
Per tutti questi motivi, noi, del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo, negheremo la fiducia al Governo Berlusconi-Tremonti e ci auguriamo che parte della maggioranza condivida in corso d'opera le nostre posizioni (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fiori. Ne ha facoltà.

PUBLIO FIORI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, onorevoli colleghi, prendo la parola per dare voce ai 17 milioni di pensionati delusi dal mancato rispetto di ciò che avevamo promesso nel corso della campagna elettorale. Mi riferisco alla grande questione della perequazione delle pensioni.

ALFREDO BIONDI. Parla anche a nome mio.

PUBLIO FIORI. Mi dice l'onorevole Biondi di parlare anche a nome suo: lo faccio con grande piacere.

ALFREDO BIONDI. Grazie.


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PUBLIO FIORI. Qual è la grande questione sociale che abbiamo dinanzi in questo momento? I pensionati, nel momento in cui escono dalla fase produttiva del lavoro, non usufruiscono più di quegli aumenti che i lavoratori in servizio continuano a percepire a seguito delle contrattazioni aziendali e nazionali. Questo vuol dire che il singolo pensionato perde ogni anno qualcosa che oscilla tra il 3 e 4 per cento del potere di acquisto della sua pensione. Questo significa che in dieci anni perde il 50 per cento del suo potere di acquisto. Ci troviamo, quindi, di fronte a 17 milioni di pensionati (praticamente, un pensionato per ogni famiglia) i quali vedono diminuire il peso della loro pensione e si vedono costretti a prendere atto che la loro pensione diventa via via sempre meno una retribuzione differita nel tempo (come sarebbe sostenuto dalla Corte costituzionale) per diventare, invece, una specie di assegno assistenziale.
Non possiamo ulteriormente ignorare tale questione; non possiamo cioè far finta di non vedere il dramma in cui si trovano milioni di italiani come conseguenza di un sistema che non tutela il potere di acquisto delle pensioni. Non mi riferisco all'aggancio dovuto alla svalutazione che, in qualche modo, anche i pensionati recuperano, ma al fatto che i pensionati, essendo esclusi dalla contrattazione, perdono quella percentuale cui ho fatto cenno all'inizio del mio intervento.
La Corte costituzionale, più volte, e la Corte dei conti, un mese fa, hanno ribadito che esiste questo diritto dei pensionati italiani. È un diritto, ma io direi che si tratta, prima ancora, di una questione morale. Riconoscere che anche alle pensioni si debbono applicare gli articoli 36 e 38 della Costituzione, proprio nel presupposto che la pensione è una retribuzione differita nel tempo e come tale deve avere tutte le caratteristiche della retribuzione, è, ripeto, una questione morale che noi, signor Presidente del Consiglio dei ministri, dobbiamo porci. Le chiedo, quindi, di svolgere una riflessione su questo argomento. Mi rendo perfettamente conto che introdurre una modifica di questo tipo significherebbe un aggravio notevole per le casse dello Stato; però, si tratta di una questione non solo di diritto costituzionale ma, ripeto ancora una volta, di carattere morale. Ritengo, pertanto, sia opportuno farci carico di tale questione, eventualmente iniziando con un aggancio parziale riferito alle pensioni di anzianità.
Signor Presidente del Consiglio dei ministri, pensi che coloro che sono andati in pensione 15 anni fa hanno ormai praticamente una pensione puramente simbolica. E questa è una situazione dinanzi alla quale noi non possiamo far finta di niente, anche perché sappiamo che la storia ha battuto inesorabilmente coloro i quali pensavano di realizzare una società dove ci fosse un'utopia di giustizia senza libertà.
Allora, non dobbiamo correre il rischio di arrivare ad un processo inverso e, cioè, di muoverci nella direzione di una società libera, ma senza giustizia.
Capisco i problemi dello sviluppo, del successo, dell'individualismo, che talvolta esaltiamo; tuttavia, non dobbiamo dimenticare che individualismo e collettivismo sono due facce della stessa medaglia e che il mercato non può essere un'ideologia: esso è uno strumento che, in alcuni casi, serve ad elevare la condizione di alcune persone ma, in altri casi, serve per discriminare, per allontanare la gente da una condizione di vita degna di tale nome.
Signor Presidente, signori del Governo, noi chiediamo che nella replica vi sia un segnale. Non si tratta, onorevole Berlusconi, di dire: «Bene, da domani facciamo la perequazione ed agganciamo le pensioni alle retribuzioni ed ai salari!», però le chiedo un segnale, un momento di attenzione; le chiedo di dare la testimonianza della consapevolezza, da parte del Governo e della maggioranza, dell'esistenza di un problema che è come un macigno che pesa sulle nostre coscienze; le chiedo di dirci che il problema esiste e di indicarci anche come risolverlo gradualmente.
I pensionati capiscono le difficoltà finanziarie nelle quali si trova il nostro paese (e non solo il nostro), ma una cosa è far finta di non sapere e di non sentire ed un'altra è riconoscere: «Il problema


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esiste. Pensionati, avete diritto all'aggancio e noi ve lo garantiremo in questo modo ed in questi tempi».
Signor Presidente, quello del progresso e del successo è un treno che corre veloce, che va avanti e che fa un grande rumore; talvolta, questo rumore non ci fa sentire i lamenti di coloro che sul treno non riescono a salire.
Le chiedo una svolta sotto il profilo sociale; le chiedo attenzione per questo problema ed attendo da lei una risposta nella replica. La ringrazio (Applausi del deputato Biondi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Armando Cossutta. Ne ha facoltà.

ARMANDO COSSUTTA. Molti attendevano e prevedevano un Governo fotocopia - così si diceva - del precedente. Non è stato così: non di fotocopia, ma di brutta copia si tratta. Di male in peggio! È proprio vero che non c'è limite al peggio!
Traggo questa valutazione molto severa guardando sia la composizione sia il programma che è stato presentato dal Presidente del Consiglio: la composizione del Governo ed il suo programma.
Circa la composizione, è stato già detto che il numero di ministri, viceministri e sottosegretari è esorbitante: il più alto di tutti i tempi! Molti ministeri e viceministri, ma pochi cambiamenti: pochi, ma significativi. La nomina di Tremonti, la stessa persona che, pochi mesi fa, fu cacciato dal Governo a furor di popolo - concretamente, dal dissenso di Alleanza nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro -, grida vendetta. La sua accoppiata con la conferma di Calderoli è, in effetti, la conferma di un rifiuto netto a cambiare politica: la priorità rimane l'asse del nord; la priorità è l'alleanza tra Berlusconi e la Lega. Come prima, peggio di prima!
Circa il programma, c'è da restare sbalorditi, onorevoli colleghi! Lo dico anche per conoscenza del passato: non c'è mai stato - mai - un discorso programmatico da parte di un Presidente del Consiglio tanto deludente e tanto insignificante come quello che ha svolto qui, ieri, l'onorevole Berlusconi! Non un cenno di riflessione sulle cause della sua sconfitta! Avete perso milioni di voti, avete perso in dodici regioni su quattordici, avete perso il consenso nel paese, si è scompaginato il vostro blocco sociale: nessun cenno!
No, non chiedo autocritiche - non mi interessano -, ma non vi è stata alcuna riflessione da cui partire per superare la crisi!
Il comandamento che segue l'onorevole Berlusconi è uno soltanto: noi tireremo dritto.
Non è stato fatto cenno alla condizione degli italiani, al lavoro che non c'è, che è precario, regolato da una legge assurda ed ingiusta, come la legge n. 30 del 2003, ai salari e alle pensioni che non sono sufficienti a fare fronte al costo della vita, alla perdita di competitività internazionale, disarmati, come ci troviamo, a fronteggiare la concorrenza che arriva da oriente. E potrei continuare, ma a quale scopo?
Le vostre promesse hanno dell'incredibile. Vorreste realizzare, in pochi mesi, quello che non avete saputo fare in quattro anni. Mezzogiorno, famiglia, imprese sono parole, soltanto parole, tant'è che proiettate gli obiettivi che intendete raggiungere non entro i pochi mesi che vi rimangono prima del normale scioglimento del Parlamento, ma addirittura entro i prossimi tre, quattro anni.
Il contratto con gli italiani, onorevole Berlusconi, non c'è più.

SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei ministri. Come non c'è più...?

ARMANDO COSSUTTA. È finito, fallito. Resta la prosopopea, quella sì, dura a morire. Avreste potuto anche dirci, onestamente: la situazione è grave e pesante, non so se ce la faremo a superarla; dunque, siamo qui a proporvi qualche rimedio o, se volete, anche qualche semplice palliativo. Sarebbe stato onesto, ma con ciò avreste dovuto riconoscere il vostro fallimento. E questo, Berlusconi, non intende mai riconoscerlo. Egli non si arrende


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e, pur di rimanere a galla, si accontenta di continuare a sopravvivere e non a far vivere una politica ed un Governo. Ma non riuscirete neppure a galleggiare. State sprofondando. Potrebbe essere cosa buona per noi dell'opposizione, ma, con il vostro Governo, fate sprofondare gli interessi del paese, l'Italia.
La coscienza nazionale è insorta contro il tentativo di sovversione della Costituzione ed è stato questo, credete, il punto più sentito dall'opinione pubblica nel momento in cui ha condannato la vostra politica con il voto. Ma voi siete sordi, non dite nulla, lontani dal grido di preoccupazione, di protesta e di lotta sorto dall'Italia intera, dalla coscienza antifascista del nostro paese. Noi tiriamo dritto: ecco quello che afferma Berlusconi.
L'Italia attende verità e giustizia sulla tragedia per la liberazione di Giuliana Sgrena (Commenti del deputato Bornacin). Voi rinviate. Tutti sanno che gli Stati Uniti hanno deciso: tutti assolti i loro militari. Ma voi fate finta di niente.
Si sarebbe dovuti andare a votare subito per fronteggiare in modo concreto le necessità del paese, invece perderemo un anno inutilmente. Restano pochi mesi di lavoro. Per questo motivo, intendiamo batterci concretamente per poche cose concrete.
In primo luogo, chiediamo di poter contribuire a migliorare le condizioni di vita degli italiani, firmare subito i contratti (quello degli statali e quello dei metalmeccanici), introdurre meccanismi concreti per adeguare salari e pensioni all'aumento del costo della vita ed introdurre provvedimenti precisi e concreti per il Mezzogiorno.
In secondo luogo, chiediamo di bloccare la cosiddetta legge sulla devolution. Signori del Governo, onorevoli colleghi, volete davvero andare fino in fondo, imporre un voto definitivo di questo Parlamento su quel progetto così grave e così preoccupante grazie alla forza dei numeri di cui godete in queste nostre aule parlamentari? Una decisione definitiva neanche voi riuscirete a adottarla, perché con il referendum, che obbligatoriamente farà seguito all'approvazione della devolution, bocceremo le vostre intenzioni, i vostri progetti.
Voi siete sordi, insensibili a tale esigenza che, viceversa, è così forte e presente nella coscienza del nostro popolo.
L'Italia - lo ribadisco - attendeva verità. È questo il terzo punto che intendo sottolineare. Bisogna sciogliere i nodi riguardanti la nostra presenza in Iraq. Non mi meraviglio dell'atteggiamento degli Stati Uniti rispetto alle questioni sorte con l'uccisione di Calipari; no, non mi meraviglio, già era accaduto con la tragedia del Cermis.

PRESIDENTE. Onorevole Cossutta...

ARMANDO COSSUTTA. I militari americani non possono né essere giudicati né, tanto meno, puniti; dinanzi a tale situazione, come reagite? Noi vi chiediamo un atto di dignità; ne sarete capaci? Non credo. E sarete capaci di attuare quella mezza promessa di Berlusconi di ritirare le truppe dall'Iraq a partire dal mese di settembre? Allora, forse, il Presidente del Consiglio lo dichiarava perché si era alla vigilia del voto e voleva accaparrarsi qualche simpatia. Ora, le elezioni non vi sono; ma vi saranno, e vi saranno presto. Vi rimane l'illusione, onorevole Berlusconi; una fuga in avanti è quella da lei indicata ieri in questa sede proponendo la nascita di un partito unico di tutta la destra.

PRESIDENTE. Onorevole...

ARMANDO COSSUTTA. Ma non vi rendete conto che Berlusconi è sempre più solo e che anche i suoi stessi alleati, oggi, vorrebbero potersene liberare?
È l'Italia, è l'Italia che presto potrà liberarsi di lei e del suo stesso Governo (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani e dei Democratici di Sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lussana. Ne ha facoltà.

CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli membri


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del Governo, signor Presidente del Consiglio, la rinnovata fiducia al Governo rappresenta la giusta occasione per sollecitare la massima attenzione sulla definitiva approvazione di alcune tra le riforme intraprese da questo Esecutivo nel settore della giustizia. Alcune di esse sono particolarmente coraggiose ed animate dalla volontà di dare efficienza al sistema giustizia; tra queste, spicca quella dell'ordinamento giudiziario, che propone una rivisitazione complessiva di un settore in attesa di essere riformato da oltre mezzo secolo per giungere ad una disciplina unitaria ed organica conforme ai principi costituzionali.
Eppure, sulla riforma dell'ordinamento giudiziario si è, per così esprimermi, detto di tutto e di più; si è fatta molta disinformazione, compiendo addirittura una forte opera di demonizzazione. A fronte della volontà chiara del Governo, più volte manifestata, di dialogare e di trovare soluzioni il più possibile condivise - che non snaturassero, comunque, i principi cardine del provvedimento -, si è incontrata una totale chiusura, non solo del centrosinistra - quasi un «muro contro muro» -, ma anche della magistratura. Quest'ultima è andata ben al di là del suo dovere di critica, aprendo un forte fronte di scontro con l'Esecutivo ed assumendo iniziative - quali quelle dello sciopero - che hanno sconfinato dai limiti costituzionali e dalle competenze attribuitele, con toni politici assolutamente inaccettabili. A mio avviso, del resto, asserire che nel nostro paese esista una magistratura fortemente politicizzata ormai non scandalizza più nessuno; la recente vicenda della candidatura a sindaco di Venezia del giudice Casson ne è solo uno degli ultimi esempi.
La riforma dell'ordinamento giudiziario non è per qualcuno o contro qualcuno; basta con questo «tormentone» portato avanti e più volte ripetuto dal centrosinistra. Si tratta di una riforma per la giustizia e per i cittadini, a favore degli stessi; non comprometterà l'autonomia e l'indipendenza dei giudici o dei pubblici ministeri ma consentirà al nostro paese di avere una migliore giustizia, con una magistratura più professionale, più efficiente, più terza ed imparziale. La magistratura, peraltro, non può, e non deve, sempre «resistere e resistere»; deve fare una seria autocritica, senza arroccarsi, per così dire, sull'Aventino a difesa di prerogative che assomigliano sempre di più a privilegi. Deve accettare quei cambiamenti che la gente comune ed il paese chiedono; non è possibile che l'Italia sia il paese che a livello europeo ha il maggior numero di magistrati ed il maggior numero di processi che cadono in prescrizione.
Tutto ciò deve far riflettere. Siamo, tuttavia, consapevoli che non è questo il solo intervento necessario. Per restituire efficienza al sistema giustizia occorre muoversi su più fronti: quello dell'ordinamento giudiziario è solo il punto di partenza. Bisogna anche occuparsi del piano normativo, del diritto sostanziale e procedurale. Da tale punto di vista, è necessario proseguire sulla strada avviata dal provvedimento di riforma del processo civile, ora all'esame del Senato, cercando di eliminare tutti i tempi morti che caratterizzano la fase di cognizione, attraverso un sistema più snello, in cui la fase antecedente la decisione sia gestita maggiormente dalle parti ed in cui il giudice intervenga solo per dirimere le controversie, rendendo la decisione della causa possibile anche dopo poche udienze.
Merita di essere segnalata la decisione di innalzare e di estendere la competenza del giudice di pace e di valorizzare tutta la magistratura onoraria, che oggi svolge un ruolo fondamentale di supplenza nell'amministrazione della giustizia.
Per quanto concerne la riforma del codice penale, ci auguriamo che non vada disperso il lavoro della commissione ministeriale presieduta da Carlo Nordio, caratterizzato da una tendenziale riduzione dell'area dell'illecito penale, che riserva solo a condotte connotate da particolare disvalore e che risultino essere particolarmente offensive. A nostro avviso, la pena, che non deve essere necessariamente di lunga durata, deve essere applicata in base a criteri più certi e che siano rigorosamente individuati.


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Occorre anche procedere sulla strada della depenalizzazione di alcuni reati divenuti ormai anacronistici, in quanto non più percepiti come tali nel comune sentire dei cittadini. Occorre, signor Presidente del Consiglio, porre una particolare attenzione ai delitti contro la personalità dello Stato. Molte fattispecie di tali reati sono, infatti, fortemente connotate ideologicamente e finalizzate ad affermare valori ormai non più riconosciuti nel nostro contesto politico e ideologico. Occorre depenalizzare i reati di opinione: non è possibile essere perseguiti, ancora oggi, nel nostro paese, per avere espresso un'opinione. Non è possibile che vi siano giudici che condannano liberi cittadini...

PRESIDENTE. Onorevole Lussana...

CAROLINA LUSSANA ... alcuni che rivestono anche importanti cariche istituzionali, perché hanno raccolto firme contro un campo nomadi abusivo e, poi, rimettere in libertà terroristi solo perché li si definisce «guerriglieri».
Occorre proseguire nella strada della legittima difesa, sempre al fine di evitare decisioni favorevoli a chi i reati li commette, anziché a coloro che i reati li subiscono.
È necessaria una particolare attenzione, signor Presidente del Consiglio, anche alla famiglia. Vi è stato un espresso richiamo ad essa, nel suo discorso di ieri. La famiglia deve essere sostenuta non solo sul piano economico, ma anche su quello del diritto. Non percorriamo la strada di provvedimenti quali i Pacs, il riconoscimento delle coppie omosessuali, che disgregano la famiglia. Difendiamo i nostri bambini! Possiamo farlo. Diamo attuazione alla decisione quadro - grande impegno del ministro Castelli - sulla pedopornografia...

PRESIDENTE. Onorevole Lussana, concluda.

CAROLINA LUSSANA. Riconosciamo il diritto alla bigenitorialità! Vi è la legge sull'affido condiviso: i bambini devono poter mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, anche in caso di separazione e divorzio. Riprendiamo il tema di una riforma più generale del diritto dei minori! Ci avevamo provato, con la riforma del tribunale dei minorenni. Riprendiamo questo dialogo, questo discorso per avere una giustizia specializzata: giudice unico per la famiglia e per i minori.
Coraggio, signor Presidente del Consiglio: la strada è ambiziosa, ma vi è il tempo per riconquistare la fiducia dei cittadini (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Forza Italia)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, illustre Presidente del Consiglio, nelle sue dichiarazioni programmatiche svolte ieri, sono stati esposti i principi sui quali si muoverà l'azione del nuovo Governo nel finale della presente legislatura. Costo della vita e potere d'acquisto delle famiglie: è questo il terreno di impegno, da un lato, per combattere gli effetti distorsivi della nuova moneta, dall'altro, per introdurre maggiore equità fiscale per le famiglie con figli e familiari a carico.
Le sue parole evocano quattro anni di nostri propositi, di nostre proposte e mozioni parlamentari approvate dall'intero Parlamento.
Illustre Presidente del Consiglio, ci sarebbe da chiedersi come mai, negli ultimi quattro anni, la via da noi indicata - e ieri anche da lei fatta propria - sia stata poco percorsa. Con la riduzione fiscale per moduli, che pure qualche vantaggio ha ottenuto, non si sono colti la grande opportunità e il diffuso desiderio presenti nel paese di veder passare dalle parole ai fatti i politici, in questa materia.
Diversamente da ciò che molti pensano, dal mio punto di vista, le sconfitte elettorali amministrative hanno segnato un percorso di difficile credibilità per l'azione del Governo. Ad esempio, si dice: volete prenderci


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in giro quando affermate che avete ridotto le tasse. Questa appare a molti cittadini la ragione per la quale si è espresso anche un voto contrario in questi ultimi tre anni.
In questi anni si sono usati toni roboanti, a volte annunci anche pirotecnici. A volte, si è corsi sul filo della sottile lama che divide la genialità dall'invenzione. Tutto ciò per seguire un bel ragionamento, una bella conclusione teorica, ma che prescindesse dalla realtà dei bisogni e delle aspettative comuni.
Illustre Presidente, nella via di cospicue deduzioni per le famiglie attraverso l'unico modulo che interessa agli italiani, quello dell'equità fiscale, noi l'accompagneremo con forza e con determinazione, con il puntiglio che ci ha sempre contraddistinto. La sua è una buona intuizione ed una buona misura, sia contro la denatalità di questo paese - uno degli elementi fondamentali della crisi di competitività - sia anche per valorizzare ciò che i Governi precedenti non hanno mai fatto. Mi riferisco alla valorizzazione del capitale sociale familiare che molte agenzie internazionali indicano come un elemento fondamentale di valore per il nostro paese.
Il provvedimento sulla competitività è un primo passo urgente e ampiamente integrabile della rinnovata attenzione del nostro Governo alle imprese. Vi abbiamo contribuito fortemente e desideriamo venga presto sottoposto all'attenzione e al voto delle Assemblee del Senato e della Camera. Vi sono, però, delle modifiche, a nostro avviso peggiorative, intervenute al Senato: mi riferisco alle modifiche peggiorative sul «più dai, meno versi» o all'esclusione della riforma delle professioni, che va in una direzione opposta rispetto agli stessi desiderata del Governo ed anche ai nostri, oltre che ai suoi intendimenti. Il tema della competitività si sarebbe dovuto affrontare - come lei ricorderà - in un provvedimento collegato alla legge finanziaria e non le sfuggirà che, allora, chiedemmo a gran voce - non solo noi, ma tutto il Parlamento - di approvarlo al più presto. Ora, stiamo sforando i 9 mesi e siamo, forse, al limite del tempo massimo. Lì la sussidiarietà è presente nelle misure che riguardano la famiglia, le imprese, la semplificazione burocratica ed amministrativa. È una sussidiarietà di grado elevato; ma un impegno più forte deve essere posto su un ulteriore elemento: l'Italia è al centro del Mediterraneo, è il sud dell'Unione europea. Si è detto che il termine «sud», a volte, facesse venire l'orticaria ad una parte del paese o ad una forza politica all'interno della coalizione. Noi riteniamo che non sia così e che ci voglia anche un po' di realismo.
Per troppi decenni, onorevole Presidente del Consiglio, i Governi che l'hanno preceduta hanno pensato di governare non l'Italia, ma il Baden Württemberg. Per troppi decenni abbiamo dimenticato di vivere sulla più grande piattaforma geografica al centro di un mare: l'Italia, crogiolo di culture, razze, merci e generosità.
Oggi, l'azione di difesa dei nostri prodotti deve coincidere con una forte ripresa di identità e di opportunità di cui siamo portatori. Se l'Italia è questa, il sud Italia e il sud Europa coincidono e, ancor più, rappresentano un'opportunità. Un esempio (lo prenda come tale, onorevole Presidente): il ponte sullo stretto. O, forse, è meglio riflettere anche su un grande aeroporto intercontinentale in Sicilia? Forse, è meglio riflettere anche su grandi porti che diventino i nuovi caselli autostradali delle autostrade del Mediterraneo? Sono esempi di approcci ancora da approfondire.
Illustre Presidente, mi consenta ancora due riflessioni. Il debito pubblico: i conti pubblici devono essere posti in ordine e il suo impegno, serio e solenne, è completamente condiviso da parte nostra. Noi daremo il nostro contributo per evitare possibili scivolate. A nostro giudizio, il debito pubblico non è un moloc, una parolona; è, invece, il debito che questa classe dirigente, io personalmente, lei e tutti noi, lasciamo sulle spalle dei nostri figli. Non possiamo consentirci di lasciare altri debiti sulle spalle dei nostri figli!
Infine, illustre Presidente, ieri lei ha ribadito l'idea di un nuovo soggetto unico.


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Certo, potrebbe essere una novità affascinante, ma personalmente ritengo sia finito il tempo delle ricette pronte per far vincere la nostra coalizione. Qualche settimana fa alcuni colleghi di maggioranza pensavano che la ricetta fosse quella dell'allargamento al partito radicale italiano; oggi alcuni suoi commentatori ritengono sia quella dell'unione di tutti intorno alla volontà di battere la sinistra.
Io penso che questi elementi debbano essere oggetto di riflessione, ma non sono esattamente quelli cui penso io. Abbiamo perso credibilità nell'azione di Governo, nel riemergere di assi privilegiati e nel sottovalutare le sconfitte delle elezioni comunali, provinciali e suppletive.
Oggi è il giorno di un duplice compito: spendere bene i pochi soldi che ci sono e sfruttare al meglio il poco tempo che rimane nell'azione di questo Governo per tentare l'ultimo comma. Quanto al resto, sarebbe meglio riflettere a fondo e partire dalle cause e dai cambiamenti desiderati dagli elettori che hanno espresso con il voto in queste ultime tornate elettorali.
Ritengo sia finito quel tempo in cui si inneggiava al sindaco d'Italia: ricorderà anche lei gli anni Novanta. C'è bisogno, invece, di indicare un programma realistico e coerente sul quale iniziare subito a lavorare per la coalizione e per la prossima legislatura. C'è bisogno di individuare una leadership che possa incarnare la prossima campagna elettorale e questa rinnovata coerenza e l'impegno del programma di legislatura. C'è urgente necessità di coordinare meglio sul territorio la nostra coalizione.
Innanzitutto, però, oggi c'è bisogno di dare il via ad un percorso dell'attuale nuovo Governo in quest'ultimo anno. Noi parteciperemo a questa sfida di responsabilità con coerenza e condivisione. Vogliamo condividere l'oggi proprio perché vogliamo fortemente e comunemente decidere insieme ai nostri alleati sulle responsabilità di domani che riguardano il paese e la coalizione. Si tratta di una serie di responsabilità che implicano sacrifici, riflessioni e scelte condivise e pazienti. A queste responsabilità, illustre Presidente, come sempre, noi non ci sottrarremo (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e di Forza Italia).

PRESIDENTE. Saluto gli allievi della V classe dell'Istituto professionale per i servizi alberghieri di Termoli e la V classe del Liceo ginnasio Stabili di Ascoli Piceno, che sono qui per la XXII giornata di formazione a Montecitorio (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Boccia. Ne ha facoltà.

ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, il Presidente del Consiglio Berlusconi ieri ha cominciato il suo discorso - rivolgendosi alla maggioranza - dicendo: «Sono convinto che la vicenda di queste settimane abbia portato ad una più forte consapevolezza delle ragioni del nostro stare insieme ed abbia posto le basi per proseguire il nostro cammino comune anche in vista di un'auspicabile trasformazione dell'alleanza di oggi in un soggetto unico destinato a segnare per decenni la storia della politica italiana».
Mi consenta di dirle, signor Presidente, ovviamente con uno spirito critico ma anche con molta comprensione, che, viste le dichiarazioni nella discussione di questa mattina e anche di poco fa dell'amico e collega Volontè e visto ciò che è accaduto in questi giorni, che lei oggettivamente ha avuto una bella faccia tosta perché questa affermazione contrasta con tutto ciò che la circonda.
Nella relazione non c'è una parola - questo sarà il motivo - sulle cause della crisi, non una spiegazione, non una parola sui motivi del comportamento, non una spiegazione. È andato in scena un teatrino mai visto, che peggio non si può. Non c'è stata una sola parola di autocritica, come se le dimissioni dei ministri dell'UDC fossero state una goliardata, la minaccia delle dimissioni di quelli di AN uno scherzo e le contrapposizioni sull'apertura formale della crisi una farsa. Non una parola è stata detta sulla disdicevole sceneggiata della salita al Colle con la promessa delle dimissioni ed il ritorno con la beffa del


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«Non mi dimetto!». Non una parola sulla capitolazione. L'onorevole Giorgetti dovrebbe commentare: cross di Bossi, rovesciata di Berlusconi, parata di Fini e Casini. Io aggiungerei: fischi sonori del pubblico al grido di «A casa! A casa!».
Si tratta di un teatrino vergognoso: non una parola su tutto questo, non una giustificazione, ma l'affermazione falsa ed apodittica che «tutto va bene, madama la marchesa».
Così non si governa il paese, così non si accreditano le istituzioni. Noi, che pure trarremo vantaggi dal pateracchio scaturito, siamo seriamente preoccupati.
Vedo che il Presidente del Consiglio si è allontanato e questo mi preoccupa ancora di più perché significa che vuole continuare a non ascoltare il Parlamento.

GIORGIO BORNACIN. È qui dalle 9!

ANTONIO BOCCIA. Nei prossimi mesi, infatti, la crisi latente, il «si salvi chi può», farà compiere alle diverse forze della maggioranza atti inconsulti con veti, ricatti, imposizioni, ritorsioni che porteranno solo danni per il paese aggravando una situazione di per sé già molto preoccupante. Non basteranno nemmeno i cento incarichi di Governo per calmare le acque, né la promessa di altre leggi-mancia ai parlamentari, né l'annunzio di altri provvedimenti e di una finanziaria preelettorale. Purtroppo, per tutto ciò pagheranno gli italiani e sarà un problema anche per noi, quando torneremo al Governo, risanare il paese dai guasti di questi cinque anni e, soprattutto, da quelli di quest'ultimo anno.
Vedo dalle sue dichiarazioni che anche il Presidente del Consiglio avverte tale preoccupazione e si rende conto che non vi è un clima idilliaco. Forse, immagina di non conquistare la maggioranza domani nel voto e già mette le mani avanti. Di tutto questo sarebbe stato utile che il paese ed il Parlamento fossero stati messi a conoscenza in maniera che i rischi di ciò che potrà accadere siano davanti agli occhi di tutti.
Il Presidente del Consiglio nel suo intervento ha detto: nonostante queste difficoltà il Governo negli ultimi quattro anni ha tenuto sotto controllo i conti pubblici, ha diminuito la pressione fiscale, ha messo in atto una serie di riforme volte alla crescita e allo sviluppo dell'Italia. Ci vuole una bella faccia tosta! Altro che conti pubblici sotto controllo! Siamo all'avvertimento da parte dell'Unione europea, all'allarme della Banca d'Italia, all'apprensione dei mercati. Il Presidente del Consiglio ha detto che si è sempre rispettato il vincolo del 3 per cento sull'indebitamento. Tuttavia, il 3 per cento era il massimo imposto a Maastricht. Noi, dopo averlo consistentemente ridotto dal 1996 al 2001, ve l'abbiamo lasciato all'1,2 per cento: su questo è stato costruito tutto il gioco del buco. In quattro anni, da quell'1,2 per cento, il buco si è triplicato: siamo al 3 per cento, forse. Il tendenziale dice che corriamo verso il 4,4 per cento. Pensare che nel 2004, stando al trend di impegni con l'Europa, avreste dovuto azzerare il disavanzo. Non solo avete superato il 3 per cento - e vedo presente il nuovo ministro La Malfa che, da presidente della Commissione finanze, ha potuto seguire tali problematiche e non potrà darmi torto - ma avete sperperato tre punti di avanzo primario che noi faticosamente avevamo messo insieme.
Per rimanere sotto il 3 per cento - sempre ammesso che sia così, ed io ha forti dubbi nonostante la riformulazione del patto di stabilità - siete ricorsi solo a misure una tantum: oltre alle cartolarizzazioni e alla vendita degli immobili, avete reintrodotto i condoni con il vergognoso provvedimento sul rientro dei capitali dall'estero. Non vi è stata alcuna misura strutturale per aumentare le entrate sul fronte della lotta all'elusione ed all'evasione, nessuna misura strutturale per ridurre le spese.
Nel 2006, quando non saranno più possibili le una tantum, dovremo farci carico noi di risanare i guasti che avete compiuto e magari dovremo anche ascoltare, in quest'aula, critiche da parte di chi ha procurato tali guasti. Dice il Presidente del Consiglio: abbiamo ridotto il debito. Certo, dal 110 si è scesi, in questi quattro


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anni, al 106 per cento. Dal 1996 al 2001, noi scendemmo di ben 13 punti. Bisognava continuare con quel trend, come ci eravamo impegnati a fare in sede di Unione europea; quindi, al traguardo del 100 per cento saremmo dovuti arrivare nel 2006. Si badi che il debito si è ridotto di soli quattro punti percentuali e, d'altronde, le previsioni più ottimistiche dello stesso Governo prevedono che quest'anno esso non possa scendere ulteriormente. L'anno prossimo, tuttavia, è molto probabile che il debito pubblico riprenda a crescere. Altro che conti pubblici sotto controllo!
Dice il Presidente del Consiglio che il Governo ha diminuito la pressione fiscale. Sicuramente fino ad oggi ciò è falso. Vedremo cosa accadrà quest'anno, dopo la modifica delle aliquote. Ma, attenzione, perché bisogna verificare la fiscalità complessiva che pesa sulle famiglie. Se si tagliano i fondi verso Roma e si obbligano gli enti locali e le regioni ad aumentare il carico fiscale o a peggiorare i servizi, questo è il gioco delle tre carte! Non si danno i soldi a Roma, per farli tirare fuori dagli enti locali. Dice Berlusconi che il Governo ha messo in atto una serie di riforme volte alla crescita e allo sviluppo. Ci vuole una bella faccia tosta! Da quando c'è la destra al Governo, l'economia del paese è pressoché in recessione. Gli italiani stanno peggio, crescono le aree di povertà, peggiora la qualità della vita, cala il potere di acquisto degli stipendi, dei salari e delle pensioni, a causa di una crescente inflazione. Le nostre imprese perdono di competitività. Siamo retrocessi di una ventina di punti, nella classifica tra gli Stati. Il PIL, che noi avevamo portato al 3 per cento nel 2000, è sceso praticamente a zero, e forse solo ora comincia a dare segni di ripresa, con tre anni di ritardo rispetto agli altri paesi europei. Altro che crescita e sviluppo!
Noi però di tutto questo non siamo contenti. Abbiamo una cultura di Governo e non ci piace la logica del «tanto peggio, tanto meglio». Il Governo annunzia grandi cose per i prossimi sette mesi. Ci pare tardivo e molto velleitario, visti i chiari di luna, nonché pressoché impossibile. Tuttavia, nell'interesse dell'Italia, siamo qui, pronti a collaborare, sia per predisposizione naturale a costruire e non a distruggere, sia per non ereditare fra un anno una situazione fallimentare, sia soprattutto perché abbiamo a cuore gli interessi degli italiani e la vita della nazione. Sui conti pubblici si intende fare un'operazione verità ed adottare misure strutturali per ridurre indebitamento e debito? Bene, apriamo il confronto. Certo, quando si annunzia la vendita delle spiagge, per far fronte alle difficoltà, non so se dobbiamo ridere o piangere! Ad ogni modo, vogliamo essere comunque costruttivi: sediamoci intorno ad un tavolo e discutiamo. Si vuole irrobustire la politica delle deduzioni fiscali per le famiglie più deboli? Noi siamo pronti! Si dice di voler favorire la chiusura dei contratti? Bene, noi siamo pronti. Si vuole uno sgravio dell'IRAP sul lavoro? Anche su questo siamo pronti e possiamo discuterne!
Se nei prossimi sette mesi si fanno cose buone e giuste per l'Italia e per gli italiani, noi ci siamo! Non ho l'autorità, né l'autorevolezza per assumere impegni, ma penso di poter dire che se servono i voti per fare cose buone e giuste, l'opposizione c'è, anche per sostituire i voti mancanti della maggioranza. Tante volte in questi quattro anni abbiamo sostenuto emendamenti e provvedimenti giudicati positivi. Ad esempio...

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Boccia.

ANTONIO BOCCIA. ...che senso ha approvare una riforma della Costituzione che divide il paese, turba l'assetto sociale, compromette gli equilibri istituzionali e peggiora la democrazia? Discutiamone.
Vorrei concludere, Presidente, sul tema del Mezzogiorno, con la stessa logica: verità, autocritica, proposte costruttive. Ebbene, occorre fare verità e dire che in questi quattro anni il Governo ha remato contro il sud!
Mi riferisco alla Tremonti-bis, alla riduzione del credito d'imposta per le imprese, alla trasformazione dei contributi


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da fondo perduto in conto interesse, alla riduzione del bonus per l'occupazione, ai tagli alle risorse traslati quest'anno al 2007-2008, al blocco degli investimenti per le infrastrutture. Non è stato raggiunto l'obiettivo del 30 per cento di spesa, né sono stati rispettati la previsione del 45 per cento e l'impegno con l'Europa di costituire fondi strutturali, fondi addizionali e via seguitando. È stata posta in essere una politica contro il sud!
Il Presidente Berlusconi continua a parlare di 22,5 miliardi, ma è falso! Secondo le disposizioni della legge finanziaria, quest'anno è possibile spendere 6,5 miliardi. Questa è la verità! Rilevato che le misure proposte possono financo andare bene, non posso che sollevare, in conclusione, qualche dubbio in merito alle affermazioni del Presidente del Consiglio per quanto riguarda il Mezzogiorno.
Con riferimento alla fiscalità di vantaggio, è prevista la deduzione dell'imponibile IRAP sul costo dei nuovi assunti, ma sono trascorsi quattro mesi e non si è smosso nulla! Per quanto riguarda l'attrazione degli investimenti, nella legge finanziaria è prevista una misura...

PRESIDENTE. Onorevole Boccia, è trascorso il tempo a sua disposizione.

ANTONIO BOCCIA. Con riferimento a Sviluppo Italia, ancora non si conclude il diciassettesimo bando previsto dalla legge n. 488 del 1992. È fermo! I contratti di localizzazione non sono stati avviati e non si perfeziona l'accordo per i fondi strutturali intorno all'1,1 per cento.
Per quanto riguarda le infrastrutture, la Salerno-Reggio Calabria è ferma ai lotti finanziati dal centrosinistra; dei lotti finanziati dal centrodestra non è partito nulla! Siamo lontani dall'obiettivo del 30 per cento della spesa e non se ne parla per quanto riguarda quello del 45 per cento. I fondi strutturali non sono addizionali!
Signor Presidente del Consiglio - che, in questo momento, non è in aula - se si vogliono intraprende misure serie anche per il Mezzogiorno, noi ci siamo! Ho tuttavia l'impressione che anche la sua relazione dimessa si muova nella vecchia logica delle promesse e degli annunzi!
Purtroppo, il Presidente Berlusconi passerà alla storia come il Presidente del fallimento! Non posso, pertanto, che concludere, dicendo: «Dio protegga l'Italia» (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bornacin. Ne ha facoltà.

GIORGIO BORNACIN. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, onorevole Boccia, lei poco fa ha lamentato l'assenza per qualche minuto del Presidente del Consiglio. Non credo che abbia bisogno di difensori d'ufficio, ma, il Presidente del Consiglio, contrariamente a lei, è presente in aula, come me ed altri colleghi, da questa mattina alle 9, per seguire il dibattito. Lei, se non sbaglio, è arrivato in aula qualche istante prima del suo intervento. Ognuno è libero di fare le scelte che crede, ma, forse, è un po' meno libero di sollevare critiche che risultano aprioristiche.
Per quanto riguarda il merito della questione, devo ringraziare il Presidente del Consiglio per l'intervento di ieri per due ordini di motivi: mi riferisco, in primo luogo, alla seguente frase di apertura del suo intervento: «La Casa delle libertà non è nata come un cartello elettorale: è nata da una profonda condivisione di valori e di intenti che lega i nostri elettori ancora prima dei nostri partiti»!
Onorevole Boccia, onorevoli colleghi, la politica è certamente buon governo, è capacità di interpretare gli interessi della gente, del popolo italiano, ma è anche capacità di avere (alle spalle del buon governo) dei valori condivisi che si traducano in azione politica.
Questa è la nostra maggioranza! Questa è la Casa delle libertà! Un insieme di valori di persone che credono in un'Italia diversa, che non è la vostra Italia! Mi ricordo ancora bene, onorevoli colleghi, la «gioiosa macchina da guerra» di Achille Occhetto nel 1994 che doveva stravincere!


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Già tutti i ministri si sentivano Presidenti del Consiglio.
Arrivò Berlusconi, arrivarono Forza Italia, Alleanza Nazionale, la Lega e, insieme, riuscimmo a governare l'Italia. Quel Governo, quella maggioranza, fu cacciata solo da una congiura di palazzo, grazie ad un sagrestano del regime, il Presidente della Repubblica Scàlfaro, il quale approfittò di quella legge che noi abbiamo modificato proprio al fine di evitare i ribaltoni.
Vede, Presidente, stamattina l'onorevole Zanella, forse per un moto freudiano o per una «voce dal sen fuggita», auspicava nella prossima legislatura un governo forte, deciso e legittimato. E, naturalmente, questo governo forte, deciso e legittimato era un governo di centrosinistra! Infatti, colleghi del centrosinistra, voi avete nella mente che gli unici legittimati a governare in Italia siate voi, che gli unici legittimati a governare siano esclusivamente la sinistra, i DS, con tutti i cambiamenti che hanno subito nel corso dell'anno, nonché i vostri amici e i poteri forti che vi stanno vicino, mentre gli altri possono soltanto assistere alle vostre sceneggiate, tutt'al più partecipando al gioco come perdenti (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia). L'alternanza vi sta bene solo quando siete voi a vincere!
Ricordo molto bene quando l'onorevole Violante riconobbe addirittura le ragioni dei ragazzi di Salò, che poi oggi ha ampiamente rinnegato. Tuttavia, poiché in quel momento costituivate la maggioranza, si poteva anche condividere qualcosa con l'allora opposizione. I Governi legittimati sono quelli legittimati dalle maggioranze elettorali, dal consenso popolare!
In Francia, Chirac ha perso le elezioni regionali in maniera ancor peggiore di quella con cui le ha perse il centrodestra in Italia. Nessuno si è sognato di chiedere un cambio di maggioranza, nessuno si è sognato di affermare che Chirac fosse delegittimato, perché quel sistema maggioritario è radicato nella vita del paese.
Presidente Berlusconi, condivido l'appello che ha rivolto ad una sorta di contenitore unico della Casa delle libertà, dei partiti del centrodestra, perché quella è la strada! Il nostro elettorato è molto più avanti di noi, il nostro elettorato non guarda più se sei di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC o della Lega; il nostro elettorato guarda alla Casa delle libertà, guarda al centrodestra, guarda alla sua maggioranza. Non vi sono distinzioni di singoli o di partiti tra noi deputati, tutti eletti all'interno della Casa delle libertà!
Il nostro elettorato non ci vuole più vedere divisi o rissosi. Aveva ragione stamattina il collega Zacchera affermando che probabilmente in un sistema in parte proporzionale si potrebbe guadagnare l'1 o lo 0,5 per cento, perdendo tuttavia in credibilità nei confronti dell'opinione pubblica.
Presidente Berlusconi, il secondo motivo per cui la ringrazio è perché il suo intervento di ieri è stato scarno, preciso ed efficace, individuando tre obiettivi precisi. Se avesse parlato per due ore, citando lo scibile umano, probabilmente, anziché dire che il suo era un intervento scarno avrebbero affermato che il suo era un libro dei sogni. In effetti, da adesso alla fine della legislatura, altro non si poteva fare che indicare specifici obiettivi.
Onorevole Berlusconi, il segretario dei Democratici di sinistra, onorevole Fassino, e, se non sbaglio, anche l'onorevole Violante hanno definito il suo intervento deludente. In realtà, deludenti sono esclusivamente loro, dimostrando anche scarsa fantasia; infatti, sono anni che ripetono esclusivamente le stesse cose!
Mi ricordano, in qualche modo, Carlo X d'Orleans, uno dei due re succeduti in Francia a Napoleone Bonaparte prima di Napoleone III, Luigi Bonaparte. Si trattava di un re così spaventato da Napoleone Bonaparte e dal bonapartismo da reintrodurre alla Corte di Francia le parrucche, la cipria e quanto era stato cancellato dalla Rivoluzione francese e dal bonapartismo. Ebbene, siete rimasti al «vecchio», non volete il «nuovo» e siete incapaci di fare qualsiasi tipo di riforma (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).


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Siete stati cinque anni al Governo, ma vi sfido, nel bene e nel male, a ricordare una vostra riforma, giusta o sbagliata che fosse. Vi sfido a citare quello che avete portato a casa in cinque anni. Per un caso strano, la vostra riforma delle pensioni - che vi fece perdere le elezioni regionali del 2000 - non viene più nominata. Infatti, il centrodestra ha effettuato una riforma seria, che ha arrecato beneficio ai conti dello Stato e dato all'Italia credibilità in Europa. Insomma, si tratta di una riforma piaciuta ai cittadini, tanto è vero che è in vigore.
Non intendo menzionare l'Europa e l'euro perché l'Unione europea vi aggrada solo in alcuni momenti. Vi chiedo se siete stati voi ad inventare l'euro. In proposito, avete anche imposto una tassa, mai restituita agli italiani (o almeno ad una larga parte di essi), per far parte dell'area dell'euro. L'IRAP, che adesso stiamo tentando di ridurre, è stata inventata da voi; l'Europa ha dichiarato illegittima quella che è stata una vostra scelta. Vorrò vedere cosa l'Europa dei ragionieri farà se in Francia prevarranno i «no» al referendum sulla Costituzione europea.
Signor Presidente, la ringrazio delle tre scelte fatte, compiute e condivise da tutta la Casa delle Libertà perché questa è la strada giusta. Colleghi dell'opposizione, illudetevi e sognate che nel 2006 sotto i vostri «sederini» tornino le rosse poltrone! Mi dispiace tanto, ma nel 2006 continueremo a vincere per difendere gli interessi puliti e legittimi degli italiani (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Agostini. Ne ha facoltà.

MAURO AGOSTINI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, vorrei dire che persino io, uomo di opposizione, ascoltando il suo intervento di ieri sono stato colto da un certo senso di avvilimento.
Infatti, il suo intervento in materia di temi economici è stato improntato all'idea che il Governo abbia in proposito le mani legate. A fronte delle dichiarazioni «prometeiche» rilasciate nel 2001, quando sembrava che si fosse aperta e si stesse aprendo ulteriormente una stagione di sviluppo clamoroso dell'economia italiana (il «miracolo italiano»), oggi le sue affermazioni appaiono come un tentativo - a dire il vero maldestro - di dissimulare la vostra incapacità.
Riguardo alla crescita, non si può rappresentare l'economia internazionale come una specie di notte buia in cui tutti i gatti sono bigi. Il vero problema della crescita italiana consiste nel fatto che si sta fortemente accentuando il gap rispetto agli altri paesi europei ed internazionali. Il Fondo monetario internazionale - non l'Internazionale socialista, Presidente Berlusconi - ripete che da diciotto anni non si verificava una crescita così consistente e generalizzata nel mondo come quella avvenuta nel corso del 2003 e del 2004.
Non bisogna citare soltanto la Cina, l'India o gli Stati Uniti d'America, perché basta guardare anche all'America latina o addirittura all'Europa. La crescita media del PIL in Europa nel 2004 - mi riferisco alla cosiddetta «zona euro» - è stata del 2 per cento. Se a questo dato aggiungiamo anche il Regno Unito, la crescita media sale al 2,2 per cento. Se in dettaglio analizziamo i paesi più grandi, ovvero i nostri competitori più immediati, la tanto vituperata Francia ha chiuso il 2004 con una crescita del 2,5 per cento, la Spagna con il 2,7 per cento e la stessa Germania con l'1,8 per cento.
Ebbene, lo score dell'Italia da questo punto di vista è imbarazzante. Infatti, nel 2002 il PIL è cresciuto dello 0,4 per cento, nel 2003 dello 0, 3 per cento e nel 2004 dell'1 per 100 cento. Le previsioni più ottimistiche per il 2005 parlano di una crescita dell'1 per cento, mentre quelle più equilibrate di uno 0,7-0,8 per cento.
Si tratta di un disastro. Il differenziale di crescita tra l'Italia e l'Europa si accentua, e ciò accade sotto la vostra guida. Non sono abituato a dare dell'Italia una visione pessimistica, di declino inarrestabile: tutt'altro. Ritengo infatti che vi siano molte


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energie in questo paese - lei è uomo d'azienda e ama sempre ricordarlo - pronte ad imboccare una strada diversa. La verità è che la guida politica non sta indicando questa strada diversa. Portate a casa uno splendido risultato: non solo niente crescita, ma anche conti fuori controllo. Siamo nella paradossale situazione per cui Eurostat non ha ancora certificato i conti del 2004. Si tratta, Vicepresidente Tremonti, di cifre e partite consistenti: le Ferrovie, l'ANAS (la famosa vendita delle strade), le cartolarizzazioni degli immobili pubblici. Quanto rappresentano, 6 o 7 miliardi di euro?

GIULIO TREMONTI, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Le Ferrovie sono di prima...

MAURO AGOSTINI. Si tratta dei frutti della finanza creativa! Il commissario europeo Almunia ci dice che il deficit per il 2005 è al 3,6 per cento nel rapporto con il PIL e che la previsione per il 2006 è del 4,6 per cento, e tutto ciò al netto di Eurostat e delle promesse che ancora ieri, Presidente Berlusconi, ha ribadito a proposito degli sgravi fiscali per l'IRPEF, vale a dire un altro regalo per i ricchi.
La invitiamo formalmente, Presidente Berlusconi, a presentare la trimestrale di cassa al Parlamento: presentatevi con la trimestrale di cassa e discutiamo finalmente sulle cifre! Siete già ampiamente in ritardo e ogni altra discussione rischia di essere un vaniloquio, in quanto occorre un'operazione verità sui conti, per capire su cosa siamo seduti. Sarà o meno necessaria una manovra aggiuntiva? Leggiamo sui giornali l'importo di tale manovra aggiuntiva: venite, per favore, a dircelo in quest'aula.
Inoltre, Presidente Berlusconi, lei ha affermato che il rapporto debito-PIL verrà portato al cento per cento. Tuttavia, ha omesso di dire entro quanto tempo, e così in azienda non si fa: chiunque di noi, amministrando un'azienda, dicesse alle banche e ai soci che intende dimezzare il suo debito ma non dicesse entro quando verrebbe sbeffeggiato. Ritengo che tale discussione debba essere affrontata.
Nel 1996, anno in cui iniziò a governare il centrosinistra, il rapporto debito-PIL era pari al 122,6 per cento. In cinque anni, vengono abbattuti 11, 5 punti. La destra inizia governare nel 2001, con un rapporto debito-PIL pari al 110 per cento: oggi esso è pari al 105,8 per cento, dunque non è diminuito di neppure cinque punti in quattro anni. Gli altri 5,8 punti per arrivare al cento per cento vorreste realizzarli in otto mesi di Governo? Magari! Vi facciamo gli auguri, ma rischiano di essere cifre in libertà.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 13,35)

MAURO AGOSTINI. Negli stessi anni, la spesa corrente, appunto, corre: vi abbiamo lasciato l'avanzo primario al 5, 8 per cento; abbiamo chiuso il 2004 al 2 per cento e si stima che si chiuderà il 2005 all'1 per cento scarso. Sono, dunque, spese che corrono.
Quanto alle tasse, Presidente Berlusconi, esse sono aumentate, come abbiamo dimostrato a più riprese, durante l'esercizio in corso, di 12, 5 miliardi di euro. Avete ridotto le tasse di 6 miliardi scarsi per i ceti più ricchi, senza ottenere, per il nostro paese, alcun effetto di rilancio economico.
Il provvedimento sulla competitività, sul quale si profila addirittura una blindatura, è stato presentato tardivamente e prevede, Presidente Berlusconi, uno stanziamento di 4 miliardi di euro in quattro anni.
Per il 2005 sono previsti circa 800 milioni di euro, di cui 250 provenienti dall'incremento delle accise su alcuni prodotti (tra i quali alcool e tabacchi) e 600 derivanti da uno spostamento di risorse dal Mezzogiorno. Non è così che si affronta il tema della competitività e dell'Italia.
Sempre con riguardo al Mezzogiorno, vorrei ricordare che l'agevolazione per i nuovi assunti (ossia la deduzione dell'imponibile IRAP per i nuovi assunti) sarà pari a circa 4.500 euro all'anno per ogni


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nuovo assunto; nelle aree sottoutilizzate il beneficio sarà pari a 2.700 euro, mentre nel resto del territorio nazionale sarà di circa 900 euro.

PRESIDENTE. Onorevole Agostini, concluda.

MAURO AGOSTINI. Sto terminando, signor Presidente.
Vorrei ricordare che la misura sul credito d'imposta (la famigerata legge n. 388 del 2000, del Governo di centrosinistra) prevedeva un importo di 800 mila lire su tutto il territorio nazionale, ossia 413 euro al mese, mentre per le aree sottoutilizzate era prevista un'agevolazione di un milione 200 mila lire, ossia 620 euro al mese. Voi giungete a questi risultati, inferiori a quelli del 2000, dopo averci pensato e riflettuto per oltre quattro anni!
È necessario rilanciare seriamente lo sviluppo varando provvedimenti immediati e di prospettiva, consolidando l'esistente e sviluppando contemporaneamente il nuovo ed intervenendo, inoltre, con una dose significativa di liberalizzazioni, su cui non vi siete neanche affacciati, ma anche con interventi fiscali.
Avete citato tra le priorità l'IRAP. Premetto che non siamo minimamente d'accordo con l'idea di un altro regalo ai ricchi derivante dal cosiddetto terzo modulo, dalla riduzione delle aliquote dell'IRE. Avere come priorità l'IRAP vuol dire intervenire immediatamente sul costo del lavoro. Se imboccherete questa strada, vi seguiremo con grande attenzione; controlleremo, altresì, affinché portiate a termine il famoso impegno di ridurre di 4,5 miliardi in tre anni il costo del lavoro per le imprese, alzando contemporaneamente la no tax area per le fasce di reddito basso e medio: non possiamo, infatti, realizzare interventi solo per...

PRESIDENTE. Onorevole Agostini, concluda. Ha superato di due minuti il tempo a sua disposizione.

MAURO AGOSTINI. Ho concluso.
Noi lavoreremo per questa prospettiva, perché bisogna restituire fiducia al paese. E questo obiettivo lo si può ottenere con crescita ed equità sociale: tutto il contrario di quanto avete fatto voi.

CESARE RIZZI. Avete avuto cinque anni per farlo!

MAURO AGOSTINI. È per tale motivo che gli italiani, con le elezioni, hanno suonato la campanella del vostro ultimo giro (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Agostini. In realtà, la campanella l'ho suonata io per invitarla a concludere!
È iscritto a parlare l'onorevole Cicchitto. Ne ha facoltà.

FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo abbia fatto bene, poco fa, l'onorevole Bornacin a ricordare le ragioni ideali della costituzione della Casa delle libertà, nata nel 1994 per interrompere una deriva giustizialista che stava chiudendo l'Italia in una morsa di autoritarismo. Dico ciò perché qualche eco di questa deriva la avvertiamo ancora adesso, con strane e paradossali concomitanze.
Credo che il Corriere della Sera non abbia nessuna ragione di fare delle ironie, visto che proprio il Corriere della Sera si rese responsabile, nel novembre del 1994, dell'invio in anticipo al Presidente del Consiglio Berlusconi di un avviso di comparizione, che poi ricevette il giorno seguente, e che, anche questa volta, con i suoi cronisti giudiziari si dimostra informato in anticipo su quello che fa la procura di Milano. Rinviamo quindi al mittente le ironie che oggi fa il Corriere della Sera. Le rinviamo al mittente e sottolineiamo che il comportamento del Corriere della Sera è una delle testimonianze del valore e dell'importanza che la Casa delle libertà attribuisce all'esigenza di impedire la ripetizione, ancora una volta,


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dell'uso politico della giustizia, della quale voi vi siete serviti anni fa e che, fortunatamente, Silvio Berlusconi e la Casa delle libertà hanno interrotto, introducendo un quadro di democrazia liberale nel nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
Ciò premesso, voglio anche dire all'onorevole Agostini che la sua è la testimonianza di una visione assolutamente unilaterale, in base alla quale la storia di questo paese avrebbe avuto i momenti più alti dal 1996 al 2001, mentre dal 2001 in poi si sarebbe abbattuta su questo paese qualunque catastrofe, ad iniziare dalla competitività.
Onorevole Agostini, ma lei pensa forse che la crisi della FIAT è iniziata da quando si è formato il Governo Berlusconi o non invece molto indietro nel tempo, a seguito di quello che fecero i sindacati all'interno della FIAT e quando Romiti liquidò Ghidella nonché coloro che sapevano costruire le auto nel nostro paese? Questo discorso potrebbe riguardare tanti altri settori: il fatto che voi poniate la crisi della competitività come un problema riguardante oggi la responsabilità di questo Governo è la testimonianza più evidente della vostra faziosità.
Io credo invece che questa occasione, che come tante altre è probabilmente persa (mi auguro, però, che nel pomeriggio vi siano interventi più costruttivi e di maggiore riflessione), ci dovrebbe far riflettere su un dato che denota una difficoltà, forse una crisi di sistema, concernente il quadro istituzionale e quello economico, che riguarda noi e che riguarda voi!
La difficoltà di sistema dal punto di vista istituzionale è evidente: l'esistenza di un forte bipolarismo, che arriva fino alla faziosità ed allo scontro frontale, e, innestato in esso, di un pluripartitismo, che mette in evidenza una conflittualità continua all'interno di ognuna delle due coalizioni.
È una riflessione necessaria, perché vi è un dato paradossale, e cioè che tale contraddizione viene vissuta maggiormente da chi sta al Governo e diversamente da chi sta all'opposizione. L'avete vissuta voi al massimo livello di esplicazione, al punto che nel periodo dal 1996 al 2001 vi sono stati ben tre Governi e avete cambiato cavallo per ciò che riguardava il vostro rappresentante nel 2001; la stiamo vivendo noi, tale contraddizione, in questa fase di Governo. Vi è dunque nel sistema qualcosa che dovrebbe portarci ad una riflessione: a voi e a noi, perché è interesse reciproco che il Governo funzioni, sia quando si è in maggioranza sia quando si è all'opposizione.
Vi è poi un altro nodo, quello economico, che va affrontato anch'esso in termini non propagandistici, in quanto il nodo economico è obiettivo.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO MUSSI (ore 13,45)

FABRIZIO CICCHITTO. A voi che avete chiesto, nel corso di questo dibattito perché la maggioranza non abbia svolto una riflessione sulle sue difficoltà, vorrei far notare che l'intervento del Presidente del Consiglio è stata una risposta a queste difficoltà, nonché ad una analisi sul voto e sulle forze sociali, entrate in crisi nel loro rapporto di consenso con la Casa delle libertà.
Voi non avete vissuto una esperienza analoga? Non solo avete vissuto le contraddizioni al punto che il professor Prodi gridò al complotto nei confronti dell'onorevole D'Alema, quando il suo Governo cadde per un voto nella precedente legislatura, ma avete perso le elezioni, evidentemente, anche per ragioni attinenti alla politica economica e sociale, pur avendo in quel quadro una congiuntura diversa ed una situazione europea meno stringente, la quale però dovrebbe preoccuparci tutti.
Al centro del vostro blocco sociale vi era un patto corporativo fra grande impresa e sindacato e, quindi, siete stati costretti a fare un'operazione di politica economica assai difficile che ha poi provocato forti dissensi sociali. Voi, infatti, avete mantenuto un alto livello della spesa


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pubblica e avete dovuto adottare una politica fiscale durissima nei confronti delle piccole imprese, e, invece, molto più morbida nei confronti delle grandi imprese perché ciò era l'espressione dell'establishment economico e finanziario che stava, e sta forse tuttora, dietro le vostre spalle. Questa operazione, però, voi l'avete pagata a duro prezzo. Pertanto, il nodo istituzionale e quello della politica economica costituiscono una questione che riguarda tanto noi quanto voi, e, come tale, andrebbe affrontata con uno sforzo di riflessione costruttiva e non con battute polemiche.

MAURO AGOSTINI. Noi siamo pronti!

FABRIZIO CICCHITTO. Colleghi dell'opposizione, ma quello dell'Europa è un nodo che voi potete trascurare con battute facili? Ritengo che tutti quanti stiamo vivendo una fase - quella della globalizzazione - che si sta esprimendo in termini che sono al di fuori di tutti gli schemi e di tutte le previsioni precedenti.
Lo schema neo-marxista, secondo il quale la globalizzazione era la forma moderna e contemporanea dell'imperialismo e della sopraffazione economica dell'Occidente nei confronti di tutti i paesi sottosviluppati, è saltato. Ed esso è saltato con una paradossalità che dobbiamo cogliere. Le grandi direttrici di sviluppo mondiali sono, per un verso, gli Stati Uniti d'America. Al riguardo, però, occorre riflettere sulla politica monetaria che Greenspan sta portando avanti negli USA; difatti, negli Stati Uniti d'America si stanno combinando insieme diversi elementi: un'alta tecnologia, una collocazione nei settori alti dello sviluppo, una forte spesa pubblica, anche militare, ma non solo, e una gestione del dollaro che lo porta in basso. Tutto questo crea una capacità di competitività dell'industria americana formidabile. Per altro verso, al polo opposto, la Cina, l'India e così via, che praticano una fortissima capacità di concorrenza e di competitività collocandosi proprio in quegli stessi settori nei quali il nostro paese è rimasto. Non è certo, quindi, colpa di Silvio Berlusconi se l'industria italiana è rimasta quasi tutta collocata nei segmenti tradizionali. La Cina e l'India si sono collocati nei settori tradizionali, e vi pongono al loro interno capacità di imitazione, grande spregiudicatezza nei rapporti commerciali e un costo del lavoro quasi a costo zero.
Si hanno, quindi, questi due poli e, in mezzo ad essi, si pone l'Europa. Un'Europa che presenta una situazione ben diversa da quella che in questa sede è stata rappresentata. Dico ciò perché tutta l'Europa è in difficoltà. Non solo, voi avete fatto tante battute sulla cosiddetta finanza creativa; finanza che io definisco in maniera diversa, ma non è questo il punto. Quello che occorre porre in rilievo è che, con grande difficoltà, con la cosiddetta finanza creativa questo paese - che era ed è strutturalmente più debole della Francia, della Germania e dell'Inghilterra, perché la storia evidentemente non inizia nel 2001 ma l'abbiamo tutta alle spalle come dietro alle spalle abbiamo un certo deficit pubblico - non ha fatto tagli selvaggi alla spesa pubblica ed ha comunque fatto un'operazione fiscale limitata ma significativa. Gli altri paesi - guardiamoci un attimo in giro -, ma quando mai la Germania ha avuto cinque milioni di disoccupati? Inoltre, il socialdemocratico Schroeder ha operato un taglio sugli ammortizzatori sociali, che sono il corrispettivo tedesco delle nostre pensioni, che noi ci sogniamo! Ancora, Blair che cosa sta facendo sui dipendenti pubblici? Una cosa che se noi l'avessimo semplicemente pensata sarebbe successa una sorta di rivoluzione. E che cosa ha fatto Raffarin nei confronti del taglio delle pensioni?
Tutte queste cose questo Governo non le ha fatte! Inoltre, in controtendenza rispetto alle cifre che il collega ha fornito, voglio ricordare che questo paese, anche attraverso la cosiddetta legge Biagi (che voi avete così fortemente contrastato), è l'unico, in Europa, che vede un aumento dell'occupazione. Questo aspetto non va dimenticato perché risulta dai dati con i quali ci dobbiamo misurare (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!


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Quindi, la vostra analisi è assolutamente forzata e maschera un'altra mistificazione. È indubbio che esiste il problema dell'Europa. Ed è singolare, molto singolare, che una forza che si dichiara riformista non si ponga il seguente problema: a fronte degli Stati Uniti, dell'India e della Cina e, per una fase, pure del sud est asiatico, l'Europa è una zona di sofferenza economica e sociale. Ebbene, noi rivendichiamo a merito di questo Governo di aver posto il problema di una modifica delle politiche economiche, sociali e monetarie dell'Europa: senza una modifica, queste politiche rischiano di strangolare il nostro continente e di uccidere la nostra industria. Questa è la realtà! Su questo problema, piuttosto che le esercitazioni di faziosità, avremmo auspicato un contributo costruttivo al confronto in Parlamento e nel paese. Questo è il nodo con il quale ci dobbiamo misurare.
Vedete, colleghi, mentre Greenspan adotta, negli Stati Uniti, una politica monetaria che, innestandosi su un paese che ha una grandissima forza tecnologica, porta il dollaro al ribasso e, di conseguenza, moltiplica a dismisura la capacità di competizione statunitense, noi abbiamo una Banca europea che, invece, fa l'opposto: l'industria italiana e l'industria europea, che già versano in una condizione di difficoltà tecnologica, vengono ulteriormente colpite da una moneta, l'euro, che va sempre più forte! Questa forza si traduce in debolezza delle economie reali.
Qui veniamo al nodo della vostra contraddizione. Siete paradossali perché, contemporaneamente, siete un misto di keynesismo esasperato e di monetarismo. Perché di keynesismo esasperato? In tutti i vostri interventi, di qualunque cosa parliate, sostenete che ci vorrebbe più spesa, non spiegate mai come questa spesa vada finanziata e, nel contempo, state lì a rimproverarci: «Non rispettate il tetto del 3 per cento!»; «Il rapporto tra debito e PIL è salito al 3,2, al 3,5, al 3,6!».
Sembrate una variante dei «guardiani del faro» in una situazione che può essere spiegata soltanto con il fatto che giocate al «tanto peggio, tanto meglio!» e, anzi, sperate che la politica monetaria europea sia più stringente per impiccare il Governo al cappio del monetarismo e per costruire su questo un'alternativa! La mescolanza di monetarismo e di keynesismo esasperato che vi caratterizza, assolutamente perversa, è l'unica espressione che sentiamo di un'alternativa - tra virgolette - di politica economica e sociale! Noi non abbiamo assolutamente lezioni da prendere. Dobbiamo riflettere e, evidentemente, dobbiamo farlo con grande attenzione.
Questo Governo ha dovuto fare i conti con una situazione tra le più difficili e travagliate del mondo contemporaneo nella quale si sono combinati tanti elementi (oltre all'imprevedibilità della globalizzazione, anche il terrorismo e tante altre cose). Cerchiamo di dare una risposta riflettendo anche sui nostri errori e sulle sconfitte elettorali.
La comunicazione che il Presidente del Consiglio ha fatto, con l'accordo della maggioranza, ha fatto i conti con un dato: abbiamo fatto una serie di cose che, però, non hanno dato una risposta ad alcuni problemi, in particolare a quelli che riguardano il lavoro dipendente, il lavoro a reddito fisso, le famiglie e, per certi aspetti, ma solo per certi aspetti, il Mezzogiorno (perché al Mezzogiorno notevoli risorse sono state attribuite). Di qui il programma del Governo che è stato presentato.
Vorrei ricordare anche all'onorevole Peretti, che evidentemente si è concesso qualche distrazione durata tre o quattro anni in questo Parlamento (Commenti del deputato Agostini), che questo Governo ha realizzato grandi riforme. Forse, su questo Governo pesa l'incisività di alcune riforme di lungo periodo: ricordo, in particolare, la riforma della scuola, delle pensioni e del mercato del lavoro, la legge Bossi-Fini - lo rivendico ancora come atto sociale -, che, malgrado le demonizzazioni, ha rappresentato la normalizzazione per seicento, settecentomila persone giunte in Italia per motivi di lavoro e l'impegno nell'ambito delle infrastrutture; tutto ciò costituisce un grandissimo impegno di questo Governo,


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ma forse non ha avuto ricadute immediate sul terreno economico e sociale (che, per altro aspetto, era colpito dal quadro cui precedentemente ho fatto riferimento). Altro che Governo che non ha fatto riforme! Non sempre le riforme determinano un consenso nell'immediato.
Siamo favorevoli alla correzione degli errori e all'avvio di una riflessione. Inoltre, vorremmo mettere insieme, in modo serio e non provocatorio, un dato politico con un dato istituzionale - se vi fosse un'intesa generale -, per fare un salto di qualità. Lo ha ricordato il Presidente del Consiglio come dato istituzionale e come dato politico, compiendo una riflessione sulla vicenda della Casa delle libertà e su quella dei nostri colleghi del centrosinistra. Infatti, sempre così accade con il bipolarismo, ma un bipolarismo contraddetto dal pluripartitismo concorrenziale: quando una maggioranza (o anche una minoranza) ha in sé stessa forti elementi di conflittualità, parti di elettorato si riconoscono in ogni singolo partito, ma una grande parte di elettorato resta tifoso o del centrosinistra o del centrodestra come tali e non sopporta tale conflittualità; quindi esso decide di astenersi, se questa conflittualità all'interno della conflittualità aumenta.
Il Presidente del Consiglio, all'inizio e alla conclusione del suo intervento, ha proposto un progetto politico, quello del soggetto unico. Ciò vuol dire buttare il cuore oltre l'ostacolo e fare in modo che la Casa delle libertà compia una riflessione seria, di fondo, sui suoi lati positivi, che sono storici e politici e di grande rilievo, specialmente sul terreno della garanzia della libertà, e sulle contraddizioni e i problemi che ha avuto, e, quindi, vedere se è possibile andare oltre, con una casa comune (sappiamo tutti quante riflessioni e problemi esso ponga)...

PRESIDENTE. Onorevole Cicchitto...

FABRIZIO CICCHITTO. Colgo, come contributo positivo su questo punto, l'intervento svolto poco fa dall'onorevole Tabacci.
È un dato che offriamo al dibattito e che può interessare (molto meno) i colleghi del centrosinistra. Ognuno fa la sua parte, ma tutti dovremmo essere interessati ad un bipolarismo fisiologico, non caratterizzato da spostamenti di campo da una parte e dall'altra, da smottamenti, da trasformismi, un bipolarismo fisiologico (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione sulle comunicazioni del Governo.

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