Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 598 dell'8/3/2005
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Si riprende la discussione.

(Dichiarazioni di voto)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fassino. Ne ha facoltà.

PIERO FASSINO. Signor Presidente, signor ministro, rivolgendosi a questo Parlamento il Presidente della Repubblica, nel luglio del 2002, scriveva in un messaggio alle Camere: «La garanzia del pluralismo e dell'imparzialità dell'informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta. E, tuttavia, il pluralismo e l'imparzialità dell'informazione non potranno essere conseguenza automatica del progresso tecnologico. Saranno necessarie nuove politiche pubbliche per guidare questo imponente processo di trasformazione». E ancora: «Il pluralismo e l'imparzialità dell'informazione così come lo spazio da riservare nei mezzi di comunicazione alla dialettica delle opinioni sono fattori indispensabili di bilanciamento dei diritti della maggioranza e dell'opposizione. Parametro di ogni riforma devono essere, infatti, i concetti di pluralismo e di imparzialità diretti alla formazione di una opinione pubblica critica e consapevole, in grado di esercitare responsabilmente i diritti della cittadinanza democratica». Il Presidente della Repubblica chiudeva poi con queste parole: «Non c'è democrazia senza pluralismo e imparzialità dell'informazione».
Signor ministro, ho iniziato il mio intervento dalle parole espresse dal Presidente della Repubblica perché in questi due anni quelle parole sono state del tutto dimenticate e smentite dalla conduzione che voi avete tenuto in un campo così delicato e difficile per la vita di una nazione.
Potrei fare un lungo elenco, ma i minuti che ho a disposizione sono pochi. Potrei citare un conflitto di interesse che voi non avete mai regolato in modo significativo e risolutivo, che incide innanzitutto esattamente sull'assetto del sistema televisivo e del sistema informativo italiano. Signor ministro, potrei ricordarle che sono stati estromessi, con provvedimenti basati sulla pura discriminazione culturale e politica, uomini della professionalità di Enzo Biagi, di Santoro, della Guzzanti, di Luttazzi, di Freccero. La satira, quella che non piaceva a chi governa questo paese, è stata estromessa dalla RAI; e con essa sono stati estromessi professionisti di provata e riconosciuta capacità, a dispetto di sentenze della magistratura che riconoscono la illegittimità di quei provvedimenti di allontanamento.
Potrei ricordarle l'informazione asservita dei telegiornali. Signor ministro, si faccia dare quotidianamente o settimanalmente i dati dell'Osservatorio di Pavia e guardi qual è lo spazio che viene riservato a chi governa, e alla maggioranza che lo sostiene, nella informazione televisiva e, in particolare, nei telegiornali, e veda poi se siamo in un sistema equilibrato e pluralista. L'episodio dell'altra sera, un episodio che soltanto lei, ministro Gasparri, può permettersi di difendere invocando la prudenza tenuto conto che tutti i telegiornali in quelle ore davano notizia vera, mentre il solo telegiornale di Mimun riteneva di dover ritardare l'informazione veritiera agli italiani, è soltanto l'ultimo di un telegiornale che è fatto così da anni e che, sempre da anni, si preoccupa di tutelare prima di tutto gli interessi di informazione della maggioranza di Governo.
Poi, se ce n'è, qualche briciolo di informazione anche per l'opposizione, perché serve a rendere più veritiera, naturalmente,


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l'unilateralità dell'informazione a favore del Governo e della maggioranza che lo sostiene!
Potrei ricordare che tutto il mondo della cultura protesta ...

CARLA CASTELLANI. Cultura di sinistra!

PIERO FASSINO. ... contro un modo di fare televisione che sacrifica la produzione culturale e che un uomo certamente non di sinistra come Albertazzi ha espresso, nelle ultime settimane, giudizi particolarmente severi sulla programmazione televisiva, sulla compressione della dimensione culturale della produzione televisiva.
Insomma, la verità è che c'è una situazione intollerabile, una situazione scandalosa: siamo l'unico paese al mondo nel quale c'è un signore che, come imprenditore, del tutto legittimamente, è proprietario del 50 per cento del sistema televisivo e, come primo ministro, ritiene di condizionare, ogni giorno, l'altro 50 per cento del sistema, per di più dicendo che lo controlliamo noi, il che mi sembra un paradosso piuttosto significativo!
La verità è che siamo in una situazione del tutto anomala, che questo consiglio di amministrazione della RAI ha reso più acuta. Il consiglio di amministrazione era stato costituito dai Presidenti delle Camere, nell'esercizio delle loro funzioni e prerogative, sulla base di un equilibrio che era tale in quanto il consiglio medesimo fosse mantenuto nella sua composizione originaria, con un presidente di garanzia che era un elemento di bilanciamento in un organo in cui erano nettamente prevalenti i consiglieri che facevano riferimento alla maggioranza di Governo.
Si è fatto di tutto per impedire al presidente della RAI di esercitare le sue funzioni, per spingerla alle dimissioni e per estrometterla e, il giorno dopo, si è proceduto a guidare l'azienda come se il fatto non fosse accaduto, alterando il criterio che aveva ispirato la formazione del collegio.
Vorrei ricordarle, ministro, che il Presidente della Camera, interpellato in proposito qualche settimana fa, ha ritenuto di dover dire che il consiglio di amministrazione della RAI in carica non era più quello che lui aveva nominato. Lo dice il Presidente della Camera, non lo diciamo noi dell'opposizione! Persino nelle parole di chi ha avuto la titolarità del potere di insediare questo consiglio di amministrazione c'è l'ammissione che è avvenuto qualcosa che ne ha intaccato l'autorevolezza, la legittimità e, quindi, la funzione.
Soltanto voi vi ostinate a non vedere tutto questo, per una ragione molto semplice: ritenete che la RAI, come le pubbliche amministrazioni e qualunque altro soggetto che dipenda dal potere pubblico, sia qualcosa di cui potete disporre secondo una concezione proprietaria e padronale. Voi avete messo in discussione, alla RAI come in tante pubbliche amministrazioni, un bene fondamentale: l'imparzialità, l'imparzialità che deve caratterizzare servizi che non possono essere asserviti a questa od a quella casa politica, a questo od a quel Governo, a questa od a quella maggioranza politica.
Questa è la ragione per cui rifiutate ostinatamente di fare quello che perfino la vostra legge dovrebbe indurvi a fare. La fusione tra RAI Radiotelevisione italiana Spa e RAI holding è stata già realizzata e, sulla base della legge che lei ha fatto approvare da questo Parlamento, ministro, il consiglio d'amministrazione che dovrà essere nominato sarà investito della titolarità di funzioni molto più rilevanti di quelle che normalmente spettano al consiglio di amministrazione di un'azienda. Proprio per questo si porrebbe la necessità di nominare un consiglio d'amministrazione da cui tutti fossero garantiti e che fosse garante dell'imparzialità di conduzione dell'azienda.
Ciò non avviene. Invece, mantenete in carica, a tutti i costi, un consiglio d'amministrazione che è garante della faziosità, garante della vostra parzialità, garante soltanto per voi e non per gli altri! Questa è una cosa intollerabile ed inaccettabile! Avete una coda di paglia così lunga che, all'ultimo minuto, avete dovuto annunciare, oggi, che presentate una risoluzione


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nella quale anche voi, finalmente, dite che bisogna cambiare il consiglio di amministrazione (naturalmente entro il 30 aprile, perché è evidente che quello che vi preoccupa di più è ciò che succederà il 3 e 4 aprile). Potete continuare così, ma badate che non vi basterà! In questi tre anni, avete esercitato il controllo sulla televisione in questo modo, ministro.
Le ricordo che, in questi tre anni, tutte le volte che si è votato, le avete sonoramente prese e capiterà anche il 3 ed il 4 aprile (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-l'Unione)! Non si faccia alcuna illusione, perché gli italiani non si fanno imbonire né dalla vostra propaganda né da questo uso distorto e fazioso del sistema televisivo (Commenti del deputato Ascierto)!
Non c'è alcuna ragione perché questo consiglio di amministrazione continui a rimanere lì; non ce n'è soprattutto una, che va al di là del carattere fazioso e parziale che quel consiglio di amministrazione garantisce a voi e non ai cittadini italiani nel sistema televisivo: quel consiglio di amministrazione sta comprimendo e sacrificando l'azienda e le sue possibilità, sta compromettendo un patrimonio di professionalità, di competenza, di capacità che la RAI ha rappresentato e tuttora rappresenta!

GIORGIO BORNACIN. Ma senti chi parla!

PIERO FASSINO. La vostra RAI rischia di diventare più piccola e meno credibile agli occhi dei cittadini. È una RAI che fornisce un servizio qualitativamente discutibile ed opinabile. State compromettendo un patrimonio nazionale che non vi appartiene, perché appartiene all'intero paese!
State mettendo in discussione...

PRESIDENTE. Onorevole Fassino...

PIERO FASSINO. Sto per concludere, Presidente.
State mettendo in discussione la funzione pubblica del servizio televisivo, quando non c'è paese europeo (e in tutti i paesi europei il sistema è misto) in cui non si riconosca che dentro un sistema misto la funzione pubblica del servizio televisivo continua ad essere essenziale.
Allora, sono queste le ragioni per cui abbiamo presentato questa mozione. Esprimeremo un voto favorevole, ma, al di là della mozione, rinnoviamo in questa sede una proposta che, nelle scorse settimane, abbiamo più volte avanzato: siamo pronti a sederci ad un tavolo e a discutere seriamente sulla scelta di un vertice della RAI che sia caratterizzato da professionalità, imparzialità ed indipendenza. Se lo si facesse, ci impegneremmo a non sostituirlo, quand'anche vincessimo le elezioni e fossimo noi a governare questo paese!
Vi sfidiamo su questo terreno, perché abbiamo questa idea della RAI e dell'informazione, un'idea che privilegia innanzitutto i cittadini e il loro diritto ad un'informazione pluralista ed imparziale (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-l'Unione)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gentiloni Silveri. Ne ha facoltà.

PAOLO GENTILONI SILVERI. Signor Presidente, se la televisione fosse quella che vede il ministro Gasparri, ossia una televisione corretta, equilibrata e bene informata, con i bilanci in ordine e che funziona, le ragioni di questo dibattito sarebbero abbastanza oscure. Invece, credo che il paese ed il Parlamento abbiano a che fare con una televisione che sempre meno gode della fiducia del suo pubblico, la cui qualità è sempre più messa in discussione e soprattutto nella quale siamo di fronte ad una vera e propria emergenza democratica.
Non era mai successo, negli ultimi trent'anni, che il governo della RAI, il vertice del servizio pubblico televisivo, ve


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desse rappresentate al suo interno soltanto le aree politico-culturali della maggioranza. Non è mai successo in trent'anni, colleghi e amici! Risale al maggio 1975 l'insediamento del primo consiglio di amministrazione dopo la riforma. Da allora, per trent'anni, il vertice RAI ha avuto al suo interno una pluralità di posizioni! Da dieci mesi nel vertice della RAI è rappresentata soltanto una parte del paese. Si dirà che, in fondo, è sempre stato così, che in RAI la politica ha sempre pesato e condizionato le scelte. Ed è vero, naturalmente, che la politica in RAI ha sempre contato: la lottizzazione, la polemica partigiana, anche la faziosità delle trasmissioni da una parte e dall'altra. Ma l'emergenza di questi mesi non ha precedenti, cari colleghi! Non ha nulla a che fare con la lottizzazione e l'influenza della politica degli ultimi trenta, quaranta, cinquant'anni, per due ragioni.
La prima, più volte richiamata nel corso del nostro dibattito, è la presenza, a capo del Governo, del proprietario della televisione commerciale; l'aspetto più grave, cari colleghi, è che egli, ormai, tenda addirittura a negare l'esistenza del problema. Alcune settimane fa, forse con la scusante di una febbre alta, il Presidente del Consiglio, addirittura - lo ricordava poc'anzi il collega Piero Fassino -, si è lamentato del controllo della sinistra sulla televisione, lui che controlla, con la sua famiglia e la sua maggioranza, il 90 per cento della televisione italiana.
La seconda ragione è meno episodica - ci auguriamo, infatti, che la leadership di Berlusconi costituisca un fatto episodico -; connessa con il sistema maggioritario, essa, colleghi, dovrebbe interessarci tutti. In tale sistema, la RAI avrebbe avuto tutto l'interesse ad essere meno, e non più, dipendente dal Governo; in tal senso, sono stati compiuti alcuni tentativi. La legge del 1993, ad esempio, che ha affidato ai Presidenti delle Camere il potere di nominare i vertici della RAI, era frutto, appunto, del tentativo di evitare che, nel sistema maggioritario, vi fosse un eccesso di dipendenza del servizio pubblico dal Governo. I Presidenti delle Camere, a loro volta, hanno sperimentato diverse soluzioni, ultima quella del presidente di garanzia (da cui nasce la crisi di questi ultimi mesi).
Ma voi, colleghi della maggioranza, avete seguito una direzione opposta approvando una legge con la quale, formalmente, la RAI viene a dipendere dal Governo; non vi è più, tra il Governo e l'azienda, neanche l'intercapedine dell'IRI o di RAI Holding, tant'è che oggi ascoltiamo il ministro delle comunicazioni difendere - non so bene in base a quali poteri - il direttore del TG1, quasi fosse il suo controllore o l'azionista o comunque, in qualche modo, il proprietario.
La stessa soluzione, imposta con la cosiddetta legge Gasparri, voi, poi, non l'avete portata avanti. Si fa notare da parte di alcuni - e mi rivolgo in particolare ai colleghi dell'UDC - che ormai si è giunti alla scadenza dell'attuale consiglio di amministrazione; persino in una risoluzione presentata dalla maggioranza si nota come, ormai, atteso che tra un mese, un mese e mezzo, il consiglio di amministrazione verrà rinnovato, si possa evitare di insistere. Ritengo, invece, onorevoli colleghi, che insistere sarebbe stato giusto, e tuttora lo sarebbe. Infatti, se la situazione attuale del vertice RAI è inaccettabile - se lo è, come voi stessi, colleghi dell'UDC, avete riconosciuto votando, il 14 luglio scorso, in Commissione di vigilanza, un atto con il quale si chiedevano le dimissioni del vertice stesso -, la situazione non diviene meno inaccettabile perché si protrarrà solo per un mese, un mese e mezzo. Infatti, si tratta del periodo, cari amici, collegato con la campagna elettorale; questo vertice RAI, nel quale non è rappresentata metà del paese e delle sue aree politico-culturali, gestirà la campagna elettorale delicatissima delle regionali in una situazione resa ancora più grave dal fatto che domani sera, a mezzanotte, come è noto, scade la vigenza dell'attuale Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Oggi stesso lo ha comunicato alle massime autorità dello Stato il presidente dell'authority, professore Cheli; domani a mezzanotte non potrà intervenire neanche


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l'autorità. Chi controllerà quello straccio di par condicio che rimane nel nostro servizio pubblico televisivo?
Perciò, anche oggi, a proposito della RAI, chiediamo che si vari un decreto per costruire le condizioni perché, almeno per la durata della campagna elettorale, sia prolungato il mandato dell'Autorità.
Non intendiamo seguire l'attuale maggioranza sulla china che interpreta il servizio pubblico come una parte del sistema delle spoglie di cui appropriarsi quando si vincono le elezioni; per tale motivo, chiediamo un gesto di responsabilità oggi con l'approvazione della mozione Violante ed altri n. 1-00428 e ponendo fine allo scandalo in atto nel servizio pubblico televisivo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Butti. Ne ha facoltà.

ALESSIO BUTTI. Signor Presidente, dopo lo svolgimento di questi primi interventi, mi sia consentito di approfittare dell'occasione per ribadire la nostra stima ad un consiglio di amministrazione umile, silente, laborioso, poco sensibile ai richiami partitici e culturalmente lontano anni-luce dal vostro modello di gestione aziendale.
È la terza volta che tentate di cacciare il consiglio d'amministrazione della RAI, sostenendo tesi clamorose, a volte anche ardite, senza il benché minimo supporto giuridico e regolamentare, sintomo della vostra scarsa dimestichezza con le regole, delle quali invocate il rispetto solo se vi fanno comodo. Avete valutato attentamente il calendario politico per questo dibattito ad orologeria, godendo della complicità e della pressione esercitata da certa stampa quotidiana e dei pasdaran dell'informazione RAI, sempre ben disposti ad attaccare genericamente il centrodestra.
Ad inaugurare la stagione dei veleni e delle accuse ingiustificate alla RAI fu proprio Lucia Annunziata, che nessuno costrinse alla fuga: anzi. Voi ne state proseguendo l'azione, disconoscendo scientemente i meriti dell'azienda RAI nel suo complesso, anche quando questi appaiono imbarazzanti per la loro evidenza. Perseverando nella politica demonizzatrice del suo consiglio d'amministrazione, state danneggiando l'immagine dell'azienda culturale più importante del paese: si tratta di un attacco sconsiderato ed irresponsabile.
Ci costringete alla banalità, ma questa è la RAI che ha sanato i bilanci, riportandoli in attivo. Sono ben lontani gli scenari apocalittici, finanziariamente parlando, che disegnava l'ex presidente Zaccaria, ogni volta che si presentava alle audizioni parlamentari in sede di Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi: ricordo che era un frequente piagnisteo per la carenza di risorse!
Ebbene, da tempo la RAI - questa RAI - non si autocommisera più per difficoltà di bilancio, poiché la nuova strategia aziendale ha drasticamente tagliato l'inefficienza ed ha riposto con massima attenzione nella gestione delle risorse e nella costante ricerca della qualità, che consente già oggi, colleghi della sinistra, alla RAI degli italiani di competere, a testa alta e senza complessi di inferiorità, nel mondo.
Ricordiamo i tempi in cui qualcuno voleva svendere rami d'azienda (mi riferisco a RAI Way), mostratisi successivamente determinanti nella svolta digitale, agli americani della Crown Castle. Oggi la RAI non è più terra di conquista da parte dello straniero, e ne siamo orgogliosi.
State facendo la guerra al vertice aziendale che ha riportato la RAI a vincere stabilmente la guerra degli ascolti con il competitore privato: non accadeva da lustri. Ricordo le dichiarazioni alla stampa, quando accusavate Cattaneo di essere funzionale alla vittoria di Mediaset, a scapito del servizio pubblico RAI. Complimenti: siete degli ottimi imprenditori e degli esperti di televisione! Che cosa dire delle profezie puntualmente sbagliate sull'appeal della RAI verso gli investitori pubblicitari?


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Vorrei evidenziare che oggi la SIPRA è ai massimi livelli registrati negli ultimi anni!
Quello che intendete cacciare è il consiglio d'amministrazione che ha elaborato un piano industriale degno di tale nome. Si tratta di un piano strategico, che ci ha consentito il lusso di abbandonare «i quattro cenci sporchi» che, agli occhi del broadcasting europeo, ci caratterizzavano quale fanalino di coda tra i servizi pubblici del vecchio continente.
Che senso ha questo dibattito? Che senso ha l'astio nei confronti di seri professionisti, che hanno già anticipato la volontà di «togliere il disturbo» appena possibile? Che senso ha, quando il ministro Siniscalco ha ribadito che il consiglio d'amministrazione decadrà, come prevede la legge, dopo l'approvazione del bilancio 2005? Che senso ha tutto ciò, quando il direttore generale ha confermato l'intenzione di approvarlo quanto prima?
Riesco a capire che il tema della RAI e l'informazione rappresentino, per voi, l'unico collante politico, specie dopo i «mal di pancia» procurati dal congresso di Bertinotti. Ma non si può brandire un tema così delicato quasi fosse una clava politica ed elettorale, peraltro senza avanzare proposte attendibili e serie.
Questa volta, una cosa la pretendiamo noi: fateci sapere qual è la vostra strategia industriale sulla RAI e sul servizio pubblico. Raccontateci qualcosa che non abbia il sapore del solito slogan, perché state giocando con 11 mila dipendenti, sparsi in tutta Italia, che non mangiano pane e demagogia! State giocando con le loro famiglie, con il prestigio della RAI, con la sua credibilità internazionale, e quindi anche con l'immagine del paese!
Siete confusi ed ossessionati dalle posizioni dominanti che nemmeno la recente delibera dell'authority del settore ha citato, onorevole Fassino. Siete ossessionati dal mercato pubblicitario al punto tale che, se dipendesse da voi, obblighereste per legge la Barilla o la FIAT ad investire sui mezzi imposti dallo Stato, ad esempio sui giornali, pensando - e sbagliando - di risolvere così i problemi della carta stampata!
L'editoria è in crisi da tempo, nonostante gli introiti delle vendite in edicola, che ovviamente la TV non ha, nonostante i novantacinque milioni di euro previsti dalla legge finanziaria quale sostegno al settore e il disegno di legge Bonaiuti in itinere. C'entra assai poco l'anomalia del duopolio televisivo, che voi avete creato e noi abbiamo ereditato e regolamentato. Avete parlato di molte questioni, senza indicare soluzioni plausibili, perché subite ancora quelle contraddizioni che vi hanno lacerato per cinque anni, impedendovi di giungere ad una legge di sistema, ad una visione organica e globale del servizio pubblico e delle prospettive della carta stampata. La verità è che siete alla preistoria e non è certo con i Flintsones che potrete accreditarvi in questa delicata materia!
Da questa parte vi è un progetto serio, che può anche non essere condiviso, ma - appunto - è un progetto. Vi è una legge nella quale, per la prima volta, si parla di RAI, di privatizzazione (peraltro, fattibile e ben impostata, dice l'advisor della Rothschild). Vi sono già i primi risultati e, dunque, confrontiamoci sui fatti e sui progetti. A proposito di progetti, Prodi vorrebbe dividere in due la RAI: il servizio pubblico allo Stato e le reti commerciali al privato. A quale privato? Intende farlo con gara? E se, poi, paradossalmente, fosse Mediaset ad acquistare? Oppure pensate, nel massimo della vostra democrazia, di non fare nemmeno partecipare il competitore privato?
L'ipotesi di Prodi, dicono tecnici scevri da condizionamenti politici, condurrebbe all'aumento del canone e metterebbe a rischio il lavoro di migliaia di dipendenti della RAI. E, poi, quale delle otto reti RAI in digitale vorrebbe vendere Prodi? Delle altre sette cosa ne fareste? Avete capito che state parlando ancora di reti analogiche, mentre, tra un paio di anni - forse tre - si ragionerà in termini di digitale? Avete capito o no ciò che sta accadendo in Italia, dove, al 31 dicembre dello scorso anno, il settanta per cento della popolazione era già coperta dal segnale digitale?


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Non è possibile confrontarci con una Babele, in cui la Margherita parla la sua lingua, i DS ne parlano un'altra e, su tutto, vi è la confusione e ancor sopra di essa vi è Prodi, una «mammola», che oggi grida all'emergenza democratica; quello stesso Prodi che era l'IRI, quando lo stesso IRI era la RAI! Non è uno scioglilingua, onorevoli colleghi, ma la storia del paese, la storia che abbiamo ereditato (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia)! Il vostro modello di RAI affonda lì le sue radici, quando all'angolo di via Veneto si faceva il bello ed il brutto tempo e si divideva la RAI in tre, affinché una rete fosse controllata dalla Democrazia cristiana, un'altra fosse appaltata ai socialisti e la terza appaltata ai comunisti. Ma chi volete prendere in giro, con il moralismo «un tanto al chilo»?
Sono passati venticinque anni, durante i quali il centrosinistra a viale Mazzini ha comandato, imposto e deciso. La privatizzazione della RAI, ancorché parziale, vi terrorizza, perché da essa può veramente iniziare una decisa limatura dei poteri dei partiti all'interno di tale azienda. Prodi non gridi alla faziosità dell'informazione; si limiti ad accendere la televisione ed a constatare quanto sia forte ed aggressiva la presenza in video della sinistra, attraverso giornalisti militanti, sindacalisti, inviati di chiarissima provenienza politica: Badaloni, Marrazzo, Gruber, Santoro, Fava...

FRANCESCO GIORDANO. Per questo li avete cacciati!

ALESSIO BUTTI. Tutta gente che diventa famosa e popolare grazie al video del servizio pubblico, pagato dal canone dei cittadini e che, poi, partecipa alle feste di partito della sinistra, arrivando anche a candidarsi alle elezioni e pretendendo perfino di tornare al servizio pubblico - ovviamente, in video -, come se nulla fosse. Dov'è il codice etico e deontologico della RAI? Chi paga il canone, onorevoli colleghi, ha diritto di godersi il pluralismo anche su RAI3, o no?
L'onorevole Rutelli ha espresso il desiderio di cambiare la legge di sistema; lo ha fatto anche l'onorevole Gentiloni, poco fa.

PRESIDENTE. Onorevole Butti, concluda.

ALESSIO BUTTI. Concludo, signor Presidente. L'onorevole Rutelli non dimentichi che anzitutto occorrerebbe vincere e, poi, che c'è la legge del centrodestra, che ha consentito al gruppo l'Espresso di acquistare Rete A. Non dimentichi le oltre duecentoquaranta licenze per la sperimentazione in digitale, ma - soprattutto - non dimentichi di leggere il testo della legge, prima di esprimere desideri tanto impegnativi.
All'onorevole Fassino vorremmo ricordare che vi è già una legge che prevede che il presidente della RAI debba godere della fiducia dei due terzi della Commissione di vigilanza. Ecco il consiglio condiviso! È di una legge che abbiamo fatto noi, che ha fatto il centrodestra. Ciò significa agire moralmente e, quindi, con coerenza. Ciò significa gettare il seme buono, indipendentemente da chi ne raccoglierà i frutti.
La vostra reazione è grottesca, è grottesco il vostro moralismo. Il vostro rimprovero moralista non è nemmeno accompagnato dal rimorso per quello che avete combinato in RAI. Non sapete chiedere scusa per il fallimento del vostro modello.
Orwell diceva che si può essere moralisti ad una condizione: essere innocenti. E questa non è, certamente, la vostra condizione (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisicchio. Ne ha facoltà.

PINO PISICCHIO. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, nella vicenda RAI esistono certamente due registri interpretativi: il primo di carattere giuridico-formale e il secondo evidentemente di carattere politico. Del piano giuridico-formale è stato detto. Come è


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possibile immaginare che, dopo le dimissioni rese quasi un anno fa dal presidente di garanzia, il consiglio possa, nella sua formazione incompleta e parziale (circoscrivendo tra virgolette l'espressione «parziale»), continuare imperterrito a svolgere le sue funzioni, non solo rinnegando il principio del simul stabunt simul cadent, su cui era stata costruita la norma di garanzia, individuando nel collegio e non nei singoli il centro di imputazione della riforma, non solo disattendendo una risoluzione della Commissione di vigilanza, ma anche contraddicendo la lettera stessa della legge n. 112 del 2004, che all'articolo 21 dettava i termini della mission del consiglio di amministrazione, teso a completare la fusione tra RAI Holding e RAI Spa entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge, fusione, peraltro, compiuta oltre il termine fissato e, per ciò stesso, conclusiva del ciclo dell'attuale consiglio di amministrazione?
La condizione incongrua in cui si viene a trovare un consiglio di amministrazione sopravvivente a se stesso è, dunque, quella di un organo dotato di rappresentatività imperfetta, inidoneo, quindi, dal punto di vista del ruolo cui viene chiamato per lo svolgimento di un servizio pubblico di rilievo costituzionale, a svolgere la sua specialissima funzione garante del pluralismo culturale, funzione più volte e opportunamente richiamata dalle più alte magistrature dello Stato, a cominciare dal Presidente Ciampi e anche da lei, Presidente Casini.
Ma vi è un profilo politico, di rilievo immenso, che si connette proprio a quest'ultimo nodale aspetto legato al pluralismo dell'informazione e, ancora una volta, concerne lo specialissimo ruolo della TV nel sistema dell'informazione e nella politica. La psicologia sociale, a partire dagli studi americani, ci ha abituato da tempo a considerare la televisione come la più importante agenzia formativa della società. La TV produce cultura a tal punto che il livello stesso della alfabetizzazione di un paese viene condizionato dalla qualità della televisione. La TV produce comportamenti e orientamenti di consumo. I pubblicitari non spenderebbero certamente quelle enormi cifre per comprare brani del nostro tempo e, dunque, della nostra vita di telespettatori attraverso gli spot, se non avessero la certezza dell'efficacia di quegli spot.
La TV produce politica o, meglio, produce orientamenti politici. Secondo l'osservatorio del professor Ricolfi del Politecnico di Torino, nel 1994, in una stagione di totale sregolatezza, di deregulation dell'intervento politico in televisione, ben il 13 per cento dell'elettorato cambiò opinione di voto, attingendo suggestioni televisive specialmente dalle reti Mediaset. Si badi bene: non vi è stato un mutamento di scelta in ragione delle tribune elettorali, ma in forza delle inserzioni nei contenitori di informazione, spettacolo e cultura dei messaggi aventi contenuto politico. Per l'elettore vale la regola del massmediologo Marshall Mcluhan, quando dice che ciò che fa credibile il messaggio è l'emittente: se questa è attendibile, rende attendibile anche il messaggio.
Dunque, non con le tribune elettorali e la par condicio giudicate a priori dai telespettatori, ma con la programmazione complessiva dei contenitori non politici viene costruita una campagna di sensibilizzazione politica, che in una stagione come questa, totalmente affidata alle virtù dei media, vede nel mezzo televisivo lo strumento principale.
In mezzo a tutto questo c'è la RAI, con la sua particolarissima natura di risorsa pubblica che deve offrire elementi di garanzia per un confronto alla pari.
Onorevoli colleghi, nelle corti europee del Settecento si aggirava un personaggio, un po' mago, un po' alchimista e un po' taumaturgo: si chiamava Messmer e sosteneva di essere in grado di salvare la gente dai suoi acciacchi utilizzando il magnetismo. Naturalmente una commissione di scienziati, composta da Beniamino Franklin e Lavoisier, si incaricò di smascherarlo.
Noi dell'UDEUR non vorremmo che altri signori Messmer si aggirassero per l'Italia di oggi adoperando, invece del magnetismo, il tubo catodico. Per questo


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voteremo e inviteremo a votare la mozione sottoscritta dal centrosinistra (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Popolari-UDEUR e Misto-socialisti democratici italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Caparini. Ne ha facoltà.

DAVIDE CAPARINI. «Onorevole Vespa, lei è stato sconfitto come l'onorevole Forlani. Se ne deve andare». Con queste parole Giorgio La Malfa, allora segretario del PRI, era chiamato a commentare la disfatta della DC alle elezioni politiche del 1992 che aveva aperto gli occhi al paese.
Il giorno dopo Vespa replicava: il mio editore di riferimento è la Democrazia cristiana. È il tramonto del consiglio di amministrazione composto con la regola dei 6 democristiani, 4 comunisti, 3 socialisti, un repubblicano, un socialdemocratico e un liberale. Tale schema si riflette anche nelle redazioni, con una fantasiosa variante: una fetta della torta spetta anche all'USIGRAI, il potente sindacato dell'azienda, perché - come disse l'ex sindacalista Gianni Scipioni Rossi (oggi ancora in RAI) - in RAI sono lottizzati anche i sanpietrini del cortile.
Questa è la RAI, un'azienda che in 48 anni di vita è costata agli italiani, fra aiuti e canone, 62 mila miliardi. In passato, per ogni buco in bilancio, per ogni spreco, c'è sempre stata una leggina pronta. Questa è la regola aurea che ha governato i rapporti tra RAI e Parlamento sino al 2002.
Nel 1968 Alberto Ronchey inventa la più italiana delle parole: lottizzazione. Egli la conia proprio in occasione della prima grande infornata rossa in viale Mazzini. In 14 anni Bernabei firma 6.089 contratti, raddoppiando gli organici, stipula 44 mila contratti a tempo determinato e prende 100 mila collaboratori. Siamo a metà degli anni Settanta. Vi sono 12 mila dipendenti, 1.500 giornalisti circa e un costo del lavoro che incide per il 38 per cento sul fatturato.
La RAI degli sprechi inizia qui ed inizia con l'apertura proprio al centrosinistra, che oggi tanto si lamenta. Per capire meglio le cifre, basti pensare che i dipendenti di Mediaset sono un terzo e i giornalisti sono 219, ossia 1 contro 8 della RAI, ma vi assicuro, onorevoli colleghi, che la differenza non si vede.
Il peso del costo del lavoro sul fatturato è del 15 per cento. Questa è l'eredità di Bernabei. Questa è l'eredità del compromesso storico che sino ad oggi nessuno è riuscito ad eliminare.
Comincia poi l'era socialista delle presidenze RAI dal 1975 al 1993 e quella della Democrazia cristiana alle direzioni generali. Negli anni Ottanta è tutto più facile per la sinistra con Biagio Agnes direttore generale, vicino a Ciriaco De Mita direttore generale proprio con l'appoggio del PCI. Lui baratta la direzione generale con Telekabul regalando la nascente Raitre, quella che avrebbe dovuto essere la rete federale per eccellenza, a Guglielmi e Curzi. Non per niente in sette anni di mandato assume 3.858 persone, il 60 per cento delle quali con la tessera del PCI in tasca. Infatti, L' Unità era l'anticamera per l'assunzione in RAI. Per questo il PDS, 15 anni dopo, non ha perso tempo a lottizzare: lo aveva già fatto in precedenza (Commenti del deputato Cè). Loro sono sempre distratti quando si tratta di parlare delle loro malefatte...
Gli stipendi di quell'epoca sono, ovviamente, favolosi. Donatella Raffai per Chi l'ha visto? guadagna più di un miliardo l'anno, seguita da Enzo Biagi. Nino Frassica per farci ridere in siculo prende 884 milioni l'anno; Gianni Ippoliti filosofeggia per altri 580 milioni, Chiambretti si accontenta di 529 milioni e l'ex allenatore Aldo Agroppi regala pareri sul calcio a soli 216 milioni l'anno. I giornalisti RAI hanno un'indennità assurda: quella del video. Pensate, trattandosi di un'azienda televisiva dovrebbe essere normale che un giornalista vada in video. No, in RAI vi è l'indennità video. Come se un panettiere chiedesse l'indennità per panificare!
Vi era poi un altro privilegio veramente medievale: il diritto alla successione familiare assunto a prassi aziendale. Tra il 1993 ed il 1994 un'assunzione su quattro è regolata dallo scambio genitori-figli: il padre esce dall'azienda e subentra il figlio.


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I conti, ovviamente, non tornano e proprio dieci anni fa Umberto Bossi comincia a parlare di privatizzazione - vi ricordo che fu il primo - ed a teorizzare il decentramento: spostiamo una rete a Milano ed una Palermo, disse dieci anni fa. Se togli da sopra la casa scopri i topi. Come aveva ragione! Li stiamo scoprendo in questi giorni!
Nel luglio 1996 - la stagione così cara a Fabio Fazio, Jovanotti e tutti i miracolati dell'Ulivo tanto cari a Walter Veltroni - alcuni di questi topi cominciano a ben disporsi nell'entrare nelle già folte fila della RAI. Durante la TV ulivista per guadagnare o perdere la poltrona di consigliere d'amministrazione era sufficiente un cenno di Walter Veltroni. L'attuale sindaco di Roma è riuscito nell'ineguagliata impresa di attraversare tutto il palinsesto della RAI in una sola settimana: Napoli capitale, Telecamere, Speciale Parlamento, Tempo reale, Mixer, Speciale Tg1, Linea tre. Inoltre, a Notte cultura ci ha elencato i suoi libri da comodino, a Storie ha raccontato il suo cinema di formazione e da Bruno Pizzul la sua passione per la Juventus: tutto in una settimana! Questa è la televisione pluralista dell'Ulivo (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA (ore 15,30)

DAVIDE CAPARINI. Questo è l'inizio della RAI dell' Ulivo, l'antipasto che, purtroppo, ci ha condotto fino al 2002, ad un anno dalla sconfitta alle elezioni, con l'uscita di scena di Zaccaria che era ancora abbarbicato alla sua poltrona.
Nell'aprile del 1996 il carrozzone RAI, devastato da quarant'anni di lottizzazione e pieno di debiti, viene occupato militarmente dalla nuova tecnocrazia di centrosinistra. Gli eccessi sono da subito evidenti. A Carramba Raffaella Carrà incensa un giovane attore col suo ovviamente splendido spettacolo teatrale: Francesco Siciliano.
È solo un caso che sia il figlio del Presidente della RAI. Nella fiction Un posto al sole, firmata da Giovanni Minoli, i protagonisti si soffermano ad ogni piè sospinto sulle bellezze di Napoli, per poi vantare le virtù dell'allora sindaco Bassolino.
Continua l'esodo dall'Unità e così arrivano in RAI Rosanna Cancellieri, Antonello Caprarica, Guido Dell'Aquila. Nell'altro foglio di sinistra, Paese Sera, hanno invece militato Lamberto Sposini (che poi è andato al TG5), Neliana Tersigni, Anna Maria Pinnizzotto, i più fedelissimi Francesco Malloni, Bianca Berlinguer, Flavio Fusi, Massimo Locke e potrei continuare. In tale periodo, che è stato un vero e proprio periodo d'oro per il centrosinistra - che immagino tanto rimpiangete, ma che non vi è servito per vincere le elezioni (ciò peraltro sia di monito anche per il centrodestra) -, a dominare la scena è Roberto Morione, il coordinatore della campagna dell'Ulivo (pensata che in RAI lo chiamano Pol Pot!), il quale nel 1998 è diventato direttore di RAI International, per non parlare di RAI News, che è quella che ancora oggi purtroppo siamo costretti a sorbirci oppure dell'ideologicamente - quello sì, secondo voi - corretto Michele Santoro, il quale non ha fatto altro che seguire il solco tracciato dal suo predecessore Enrico Deaglio, ex direttore di Lotta Continua.
Sono sicuro che farei del torto a non citare alcuni recenti direttori del TG1, di comprovata fede ovviamente di sinistra: Lerner che è il ghost writer di Prodi, Brancoli, capoufficio stampa di Prodi, Volcic, che è stato senatore per il centrosinistra, Fava, che è stato candidato per il centrosinistra, Longhi, La Volpe, Rizzonervo: questi sono alcuni dei vostri campioni di pluralismo, dei vostri campioni di imparzialità (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Onorevoli colleghi, privatizzazione e decentramento sono la ricetta per risolvere questo problema, che il paese si trascina ormai da troppi decenni. Questo


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è quello che stiamo faticosamente realizzando, passo dopo passo, mattone dopo mattone. Il vostro nervosismo, colleghi della sinistra, la vostra agitazione, il vostro accanimento, con il quale tentate invano di fermare la storia e questo inarrestabile processo, mi conforta e mi tranquillizza. Siamo veramente sulla strada giusta (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giordano. Ne ha facoltà.

FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, signor ministro, siamo già da tempo in una campagna elettorale difficile e combattuta. D'altronde gli echi di questa campagna elettorale si sentono anche qui in aula. Tuttavia, la coalizione che sostiene la compagine di Governo - vorrei che qualcuno mi confutasse ciò che sto per dire, perché sembra di stare a discutere di altro! - può disporre del controllo e della gestione della gran parte della TV privata e di tutta l'azienda pubblica radiotelevisiva. Tutta!
Tra due giorni, come ha ricordato l'onorevole Gentiloni, scade il mandato dell'authority per le comunicazioni. A fronte di un monopolio informativo non c'è nessuna garanzia di controllo? Chi garantirà la par condicio in campagna elettorale? Oppure avete deciso che questa legge, prima ancora che cancellarla formalmente in quest'aula, la volete cancellare nella pratica, in maniera tale che nessuno potrà controllare quello che accadrà in questa campagna elettorale? Facciamo un'operazione di buonsenso: facciamo vivere l'authority per le comunicazioni almeno fino alle elezioni!
Così siamo messi sul terreno informativo, ministro Gasparri! Non so di quale televisione lei stia parlando. La televisione di cui oggi dispone il nostro paese è questa. Questa è la cronaca, nessun commento. È questo il modello da esportare e che viene imitato all'estero, al quale lei prima si riferiva?
Dal 4 maggio, ministro Gasparri, la dottoressa Annunziata non è più presidente della RAI.
Come tutti ricorderanno, era stata prevista la formula di una presidenza di garanzia per garantire gli orientamenti prevalenti di quest'aula parlamentare. È da un anno che vi è una sorta di monocolore nel consiglio di amministrazione della RAI, nonostante vi fosse nella Commissione di vigilanza una presa di posizione, per cui il consiglio di amministrazione avrebbe dovuto cessare di rimanere in carica non da aprile, ma dal 30 settembre scorso.
In Commissione di vigilanza era emerso, senza alcuna cogenza formale, questo orientamento politico preciso che non è stato votato solo dalle opposizioni, ma anche da una parte della maggioranza (forse, quindi, vi era una qualche ragione di merito e di metodo nel nostro agire). Vi siete, così, attrezzati - oggi ce lo ha spiegato il ministro Gasparri - al fine di privatizzare l'azienda pubblica.
A tale riguardo, vi vogliamo dire con grande tranquillità e semplicità il nostro pensiero: siamo contrari alla privatizzazione di questa azienda pubblica e cercherò di spiegarne le ragioni nel prosieguo del mio intervento.
Non mettiamo in discussione, come, purtroppo, emerge anche da questo dibattito, la vostra gestione unilaterale del pluralismo politico e partitico. Non stiamo chiedendo più spazi per questa o quell'altra formazione, ma per una pluralità di culture o di esperienze critiche (quelle pacifiste, quelle no global). Vogliamo che sia cancellata dall'azienda pubblica l'omologazione culturale, che vi sia un'inchiesta sulla società italiana, sul dolore sociale che esprime tanta parte della società italiana, nonché sul malessere di fondo che pervade tanta parte del lavoro dipendente in Italia.
Non vogliamo che si compia una sorta di geografia dei potenti, ma che vi sia finalmente uno spaccato reale, un'inchiesta vera sul nostro paese, sulle sue culture di fondo e sulle sue realtà critiche! Avete, ad esempio, provato a far vedere finalmente quella che è stata l'esperienza, a


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mio avviso, la più interessante e la più significativa, tra quelle dinamiche sociali che si sono registrate nel nostro paese e mi riferisco al movimento no global?
Lo avete fatto con grande attenzione in una trasmissione in cui lei, signor ministro, ha partecipato, criminalizzandolo, in un processo ignobile e senza controparte. Sto parlando della trasmissione Punto e a capo, nel corso della quale avete dato la piena immagine di ciò che è la vostra parzialità! Non mi riferisco al fatto che vi sia un po' di spazio in meno per questo o quell'altro partito, ma al fatto che avete interpretato unilateralmente, criminalizzandolo, un intero movimento, con una modalità, francamente, inaccettabile! Persino l'ufficio legale della RAI, come ha rilevato il direttore generale della stessa azienda, era contrario alla sua messa in onda in quella trasmissione. In particolare, avete mandato in onda alcune intercettazioni telefoniche ed è stato fatto perché vi era la garanzia - mi dispiace dirlo, signor ministro - della sua presenza in trasmissione.
In questo modo, contravvenendo alle più elementari norme di professionalità, legalità e civiltà, avete sostenuto e difeso quella trasmissione. Non vi è stata alcuna trasmissione di riparazione.
Quando Report ha proposto un'indagine sulla mafia, avete preteso, in tempo reale, l'immediato risarcimento politico nei confronti di chi, secondo voi, veniva offeso in quella trasmissione, ma non vi era bisogno di alcuna riparazione, perché Report ha messo in luce i fatti. Pertanto, con riferimento alla trasmissione Report, chiedete che si ripari a quanto avvenuto, mentre, per quanto riguarda Punto e a capo, non vi passa per la testa di esprimere una critica, un giudizio negativo, nemmeno di chiedere una qualche forma di riparazione.
Dopo i repulisti di Santoro, di Biagi, di Paolo Rossi, della Guzzanti e di Oliviero Bea - ve lo diciamo noi che non siamo stati teneri neanche con la vecchia gestione della RAI -, ecco l'effetto della nuova RAI, quello di poter agire indisturbati.
Siete a tal punto desiderosi di identificarvi con una gestione privatistica, che dagli uffici della direzione generale arriva un fax nel quale si dice esplicitamente di sponsorizzare un'associazione che si chiama «Scienza e vita», che ha una precisa posizione politica nel referendum.
Per tale motivo, crediamo ad una RAI pubblica e plurale, in quanto la sua privatizzazione significherebbe nei fatti moltiplicare disparità e differenziazioni.
Quando il ministro Siniscalco è venuto in Commissione di vigilanza, alla domanda se fosse vero che la privatizzazione della RAI avrebbe potuto produrre una riduzione del personale, ha risposto di non poterlo escludere. Si parlava di 3 mila dipendenti, quasi tutti concentrati nel Lazio.

MAURIZIO GASPARRI, Ministro delle comunicazioni. Non è vero!

FRANCESCO GIORDANO. Recito le parole del ministro Siniscalco in maniera assolutamente tranquilla e serena, ci sono gli atti della Commissione di vigilanza!
Vi chiediamo di rendere effettivamente pubblica questa azienda, perché un'azienda pubblica può determinare una redditività differita, può promuovere una cultura diffusa. La più grande azienda culturale del paese può segnare il grado di civiltà e di protagonismo anche dell'Italia negli assetti produttivi e nello sviluppo.
C'è una nuova legge, è la sua ministro Gasparri! Noi l'abbiamo contrastata, ma è legge dello Stato e voi siete i primi ad averla disattesa non nominando il nuovo consiglio di amministrazione della RAI; è un'operazione assai singolare!
Non penserete certo che producendo una stretta sul terreno informativo - una stretta che definisco autoritaria - riuscirete a colmare il deficit di consensi che avete accumulato nella società italiana? Quel deficit di consensi ve lo porterete fino alle elezioni e sarà maturato dalla volontà reale di tutti gli italiani (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!


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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Romani. Ne ha facoltà.

PAOLO ROMANI. Onorevoli colleghi, la materia della RAI e quindi dell'informazione è assai delicata ed importante, dunque non può essere trattata con la superficialità dimostrata dall'opposizione soprattutto stamattina in quest'aula.
Il problema dell'informazione non riguarda solamente la televisione, ma tutto il sistema della comunicazione nel suo complesso (giornali, radio, settimanali, Internet, digitale, televisione satellitare). Dunque, se proprio dobbiamo valutare il peso politico dei programmi televisivi, non dobbiamo dimenticare il peso politico altrettanto importante dei diversi segmenti dell'informazione. E qui mi fermo, ma potrei sicuramente andare oltre.
A questo punto, pongo alcune domande. Dove erano i difensori del pluralismo e della libertà di informazione quando la RAI dell'Ulivo trasmetteva programmi militarizzati e militanti, che avevano quale unico scopo quello di conservare il consenso alle aree di maggioranza di allora? Chi ha inventato la teoria dei tre terzi - ovvero un terzo dei programmi dedicati all'opposizione, un terzo alla maggioranza e un terzo al Governo -, con il 66 per cento di tempo riservato a chi governa ed il 33 per cento l'opposizione? Mi pare che costui sieda ora in Parlamento e, se non erro, nei banchi dell'opposizione.
In questo Parlamento c'è ancora qualcuno che intende difendere programmi di presunta satira, che in realtà sono manifestazioni di pensiero unilaterali, dando al contempo giudizi sul nostro paese che non troveremmo nemmeno sui volantini che si distribuiscono in campagna elettorale.
Perché non parliamo delle lottizzazioni che, negli scorsi decenni, hanno consentito l'ingresso di persone di sicura fede politica, ma probabilmente di non altrettanta professionalità?
Non sono forse quegli stessi partiti che, dopo aver cambiato nome, oggi si lamentano del servizio pubblico? Dove sono quegli esponenti di partito dell'attuale opposizione che oggi criticano il cauto processo di privatizzazione, ma che nell'era dell'Ulivo volevano fare «spezzatino» della RAI, vendendo o svendendo reti e telegiornali, probabilmente ai soliti noti, distruggendo quel patrimonio unitario di servizio pubblico che oggi la privatizzazione a piccoli passi, attuata da questo consiglio di amministrazione, invece garantisce e preserva?
Stiamo parlando di un servizio pubblico che nell'era della RAI dell'Ulivo non ha saputo competere né sugli ascolti né sul mercato della pubblicità, impegnato come era a difendere una parte politica ed a garantire programmi di informazione che poco o nulla avevano a che fare con la difesa del pluralismo e con la libertà dell'informazione.
Come ben capite, se vogliamo abbassare il tono di questo dibattito parlamentare ad un livello becero di contrapposizione, siamo anche noi capaci di mettere in campo un numero incredibili di episodi che mal si conciliano con la qualità che un servizio pubblico dovrebbe garantire. Il tema trattato oggi è invece di tutt'altro genere, ovvero quello di definire un percorso - ammesso che questo sia il compito di una risoluzione, come secondo me non è - attivato dagli articoli 20 e 21 della legge Gasparri.
Detto per inciso, dovremmo parlare di questo problema con una certa cautela perché si tratta di un patrimonio del paese, anzi di una ricchezza e di una risorsa dell'Italia, sia in termini economici che culturali. Non possiamo non dare atto a questo consiglio di amministrazione e al suo direttore generale di avere svolto un difficile compito, in un contesto reso ancora più complicato dalla presenza, voluta e condivisa dalla maggioranza, di un presidente cosiddetto «di garanzia», che poteva e doveva anticipare per certi aspetti lo schema introdotto dalla legge Gasparri. Si trattava di un presidente votato dai due terzi della Commissione di vigilanza e, quindi, per definizione «di garanzia».
Questa mattina ho sentito parlare di un consiglio di amministrazione monocolore.


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Ma che differenza può esserci in un consiglio di amministrazione di maggioranza con un presidente non di garanzia? Nessuno ha cacciato Lucia Anunziata; è lei stessa che si è dimessa volontariamente dal suo incarico improvvisamente ed improvvidamente.
L'attuale consiglio di amministrazione è riuscito nel difficile compito, anche dal punto di vista tecnico, di attivare il percorso di privatizzazione, secondo quanto previsto dalla legge Gasparri. Tale percorso è stato recentemente ricordato dal ministro Siniscalco in sede di Commissione di vigilanza.
La politica tende superficialmente a semplificare processi che semplici non sono e che hanno su di loro l'occhio attento ed implacabile dei mercati. Di questo dobbiamo parlare oggi e non di altro, anche se possiamo tranquillamente non sottrarci alla rissa perché abbiamo probabilmente molti più strumenti polemici da mettere in campo rispetto alle opposizioni.
Tornando al tema, come recentemente ricordato dal ministro Siniscalco nel corso dell'audizione presso la Commissione di vigilanza, l'advisor nominato dal ministro dell'economia ha ritenuto che la legge n. 112 del 2004 e le misure adottate da questo consiglio di amministrazione, soprattutto in vista della privatizzazione, siano da considerare importanti stimoli per raggiungere quegli elevati standard qualitativi e di redditività che sono componenti essenziali per una valida privatizzazione in grado di soddisfare le aspettative degli investitori.
In primo luogo, questo consiglio di amministrazione, a partire dalla seconda metà del 2003, ha avviato un percorso di ristrutturazione finalizzato al miglioramento delle performance operative che consente via via un allineamento dei parametri economici ed operativi della RAI alla media europea.
In secondo luogo, questo consiglio di amministrazione ha approvato le linee guida del piano industriale 2005-2007 ed il budget 2005. Anche se tali azioni sono ambiziose e credibili, tuttavia sono indispensabili per presentare al mercato finanziario una società appetibile.
In terzo luogo, il consiglio di amministrazione, per quanto attiene alla separazione contabile, essenziale non solo per il servizio pubblico ma anche per quanto concerne la credibilità della società in borsa, ha predisposto alcune linee guida che lo scorso 10 febbraio sono state approvate dall'Autorità per le garanzie. L'attuale consiglio di amministrazione, attraverso la nascita della nuova RAI Radiotelevisione SPA, ha concluso la prima tappa del processo di privatizzazione, costituita dalla fusione per incorporazione della RAI SPA nella società RAI Holding. Tale fusione costituisce l'elemento cardine per l'avvio della privatizzazione RAI, fusione prevista dall'articolo 21 della legge n. 112 del 2004.
Tale articolo, in riferimento alla generale disciplina sulle privatizzazioni e sulle procedure fino ad oggi seguite in altri casi di alienazioni di partecipazioni statali in società, richiama specificatamente la legge n. 474 del 1994 sulle privatizzazioni e la cosiddetta «legge Draghi», che, prevedendo un sistema di offerta pubblica di vendita e dunque di vendita di partecipazioni, sia dirette sia indirette, dello Stato, quando abbia ad oggetto il trasferimento del controllo delle società operanti nel settore dei servizi pubblici, detta anche speciali norme finalizzate a tutelare gli interessi collettivi degli utenti, gli interessi generali dello Stato nonché la promozione della concorrenza e la trasparenza della procedura di vendita.
Sono stati raggiunti buoni risultati per quanto attiene agli ascolti, e l'anno 2004 è stato certamente l'anno d'oro. Va ricordato che fra il 2000 e il 2003 vi era stata una perdita di ricavi per la RAI pari a 200 milioni di euro. Nello scorso mese di febbraio, la RAI ha raggiunto 10 milioni di euro di ricavi derivanti dai canali del digitale terrestre.
Pertanto si ritiene opportuno, anche al fine di garantire un servizio pubblico di informazione in vista delle prossime elezioni regionali, mantenere in carica l'attuale


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consiglio di amministrazione, fino all'approvazione, entro il 30 aprile prossimo, del bilancio per il 2004, per poi procedere alla nomina secondo le disposizioni di cui alla legge n. 112 del 2004, sottolineando tuttavia la necessità di rapportare tutto ciò con l'esigenza primaria di garantire che all'interno del consiglio di amministrazione vi sia una rappresentanza anche degli azionisti di minoranza.
Dichiaro pertanto il voto favorevole del gruppo di Forza Italia sulla risoluzione a mia prima firma n. 6-00102 (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pecoraro Scanio. Ne ha facoltà.

ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, il dibattito odierno risulta, per alcuni versi, paradossale. L'Assemblea si deve pronunciare su una mozione, presentata da tutte le opposizioni, che riguarda un tema delicatissimo all'attenzione di tutta l'Europa. Siamo giunti nella situazione paradossale per cui la televisione pubblica svedese si fa carico di produrre uno spot in cui cita l'Italia come esempio di concentrazione antidemocratica della proprietà dei mezzi di comunicazione di massa, e vi sono esponenti della maggioranza che fingono di non capire che il nostro paese è divenuto un caso emblematico a livello mondiale.
In queste condizioni abbiamo il servizio pubblico decapitato, con una presidente che si è dimessa da quasi un anno, e il residuo consiglio di amministrazione, rimasto in carica in modo assolutamente surrettizio, di fatto sfiduciato da una risoluzione approvata dalla Commissione parlamentare di vigilanza il 14 luglio 2004. Nel frattempo, forzando peraltro il dibattito parlamentare, avete voluto approvare una legge che prevede un diverso meccanismo di nomina del consiglio di amministrazione. Il Presidente della Repubblica ha inviato un messaggio, tra i pochi che ha ritenuto di indirizzare al Parlamento, per porre il tema della libertà di informazione, del pluralismo e dell'accesso ai mass media.
Di fronte a tutto ciò continuate a ipotizzare, in modo assolutamente irresponsabile, di andare avanti, violando ogni elementare regola europea sulla parità delle condizioni di accesso ai mass media e gestendo la RAI come una struttura sostanzialmente asservita a logiche di Governo e di maggioranza. È evidente che non possiamo che chiedere non soltanto il voto favorevole sulla mozione in esame, ma anche attenzione: per la prima volta dopo anni vi è un dibattito in Assemblea su tale materia, purtroppo nelle condizioni penose in cui si discute nell'aula parlamentare, con deputati che chiacchierano in astratto, ben sapendo che con la forza dei numeri eviteranno di discutere sulla sostanza del problema.
Siamo sbeffeggiati in tutta Europa e in tutto il mondo per la vicenda relativa a Berlusconi e al sistema radiotelevisivo.
Siamo diventati la barzelletta d'Europa, veniamo svergognati sulle televisioni anche degli altri paesi ma voi, assolutamente indifferenti (come in un Parlamento non democratico che fa finta di discutere), continuate a violare ogni elementare regola nazionale e internazionale.
A ciò si aggiunga che sono in scadenza i vertici di alcune authority e che circolano voci relative ad un vostro tentativo di blitz per la presidenza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Dovremo, allora, essere molto attenti, anche perché il mandato del presidente Cheli scade stasera: non vorremmo che, mentre è in corso il dibattito sulla necessità di un maggior pluralismo e di una maggior attenzione e mentre si fa finta di dibattere in Parlamento, il Governo tenti un blitz anche sulla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, competente in materia di conflitto di interessi (questo grazie alla «leggina», per quanto precaria, che avete voluto proprio sul conflitto di interessi)...
Signor Presidente, quando si discutono certi temi sarebbe opportuno maggior silenzio in aula: mi sembra si stia veramente esagerando.


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PRESIDENTE. Purtroppo vale per tutti!
Invito i colleghi ed essere comprensivi con chi parla.

ALFONSO PECORARO SCANIO. Inoltre, signor Presidente, non vedo il ministro Gasparri, che si è allontanato. Sarebbe opportuno che egli fosse presente.

PRESIDENTE. Il ministro è appena rientrato. Prosegua pure, onorevole.

ALFONSO PECORARO SCANIO. Tra i segnali di allarme rivolti al Governo vi è quello teso ad evitare che, mentre il Parlamento dibatte sulla RAI, voi compiate un blitz sulla presidenza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Poiché tale Autorità svolge un ruolo strategico ed importante in quanto sovrintende anche al conflitto di interessi di Berlusconi, sarebbe opportuno che si prestasse la necessaria attenzione per evitare un ulteriore imbarbarimento del dibattito e delle garanzie ed un ulteriore scadimento di quanto, purtroppo, già stiamo rappresentando a livello internazionale ed europeo.
Pertanto, annuncio il voto favorevole dei Verdi sulla mozione Violante n. 1-00428 e colgo, inoltre, l'occasione per lanciare un forte allarme affinché le scelte relative all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in particolare alla sua presidenza (che spetta a voi indicare) rappresentino il segno del rispetto del messaggio del Presidente Ciampi e delle regole democratiche di accesso ai mass media e non costituiscano, invece, un altro blitz, un altro attacco alla libertà di informazione nel nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-l'Unione e Misto-Popolari-UDEUR).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole De Laurentiis. Ne ha facoltà.

RODOLFO DE LAURENTIIS. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, intendo svolgere alcune brevi riflessioni sul tema oggi all'attenzione di questa Assemblea. Intervengo dopo avere ascoltato con grande attenzione il dibattito svoltosi in quest'aula e le considerazioni dei colleghi di maggioranza ed opposizione. Ma, soprattutto, intervengo consapevole che tutto il dibattito svoltosi oggi verte su un tema centrale, un tema di fondo: il mercato radiotelevisivo dovrà essere sempre più segnato da elementi di concorrenza regolamentata, intesa come garanzia dell'efficienza e del pluralismo nel sistema, cui ci auguriamo possa contribuire in modo efficace e determinante il nuovo quadro normativo che abbiamo introdotto in questo Parlamento.
È il tema di un doveroso rispetto del pluralismo, della qualità, dell'imparzialità dell'informazione: sono questi principi essenziali per la valorizzazione di una moderna e compiuta democrazia, che rappresentano, al tempo stesso, un valore appartenente al nostro patrimonio indisponibile.
Abbiamo lavorato in questi anni ed in questi mesi, come Unione dei democratici di centro, cercando di cogliere le sfide della modernità che i tempi nuovi ponevano davanti a noi, sforzandoci però di coniugarla con questi obiettivi e con questi valori, certi che la formazione di una opinione pubblica attiva e consapevole sia necessaria per esercitare i diritti di cittadinanza democratica, estendendola al maggior numero possibile di cittadini.
Abbiamo lavorato in questi mesi con attenzione, senza scivolare però nella facile polemica politica, che non serve e non aiuta soprattutto la RAI, che è alla vigilia di una fase estremamente delicata, una fase nella quale viene avviato un processo di privatizzazione, che deve essere gestito, come tutti i processi delicati e complicati, con grande cautela ed attenzione.
Ci auguriamo che, e questo è il nostro auspicio, questo processo di privatizzazione possa in realtà rappresentare un rafforzamento delle sue capacità gestionali, del suo ruolo di maggiore azienda culturale del nostro paese; ci auguriamo che essa possa divenire sempre più strumento di pluralismo e di confronto democratico:


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questo è il nostro auspicio all'interno di detto processo di privatizzazione.
In questo senso, la risoluzione del 14 luglio, approvata dalla Commissione bicamerale di vigilanza della RAI, partiva dalla constatazione che la presidenza della RAI, quella presidenza, era parte di un disegno politico-istituzionale fondato e diretto a garantire il pluralismo dell'informazione; venuti meno questi presupposti, venivano meno gli equilibri che si intendevano esprimere attraverso la composizione di quel consiglio d'amministrazione.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI (ore 16,05)

RODOLFO DE LAURENTIIS. La risoluzione del 14 luglio scorso non entrava - e lo voglio sottolineare ancora una volta, ammesso che ve ne sia bisogno - nel merito dell'operato del consiglio di amministrazione stesso; non rappresentava un giudizio negativo sull'attività svolta dall'organo amministrativo dell'azienda, non aveva assolutamente questo obiettivo, ma voleva raffigurare la situazione così come noi l'abbiamo davanti oggi: la nostra preoccupazione era ed è la stessa del ministro Siniscalco, che nel corso di un'audizione sul tema della RAI ha sottolineato come la mancanza di una governance dell'azienda stabile, condivisa e, soprattutto, rappresentativa di tutte le culture del paese, rappresenti un ostacolo alla sua valorizzazione rispetto allo scenario che ci troviamo di fronte.
La nostra preoccupazione è tutta qui e rimane all'interno di questo confine preciso, netto e chiaro: lo dico soprattutto ai colleghi dell'opposizione che in queste ore hanno voluto sottolineare il nostro atteggiamento.
La risoluzione che abbiamo sottoscritto pone invece un punto fermo, una data certa, quella del 30 aprile, per l'approvazione del bilancio dell'esercizio 2004 e quindi per il rinnovo del consiglio di amministrazione. In questo modo, si esclude una proroga prevista anche dal codice civile per le società per azioni, cioè quello dell'allungamento del termine per l'approvazione del bilancio fino al 30 giugno di ogni anno.
La risoluzione trova quindi la sua ratio nella opportunità che il consiglio di amministrazione, nella composizione che ha gestito l'ultimo esercizio finanziario, dia informazione ai soci e ai creditori dei risultati conseguiti nel periodo di attività, assumendosi la responsabilità del proprio operato dinanzi all'assemblea dei soci. Essa è coerente con tutto quello che abbiamo detto e fatto su questo tema; è coerente con la posizione dell'UDC sui temi del pluralismo che abbiamo espresso in ogni sede.
Tale risoluzione - dicevo - pone un punto fermo, mi auguro che possa porlo, che possa chiudere una lunga querelle che si è svolta e snodata intorno alla permanenza o meno del consiglio d'amministrazione della RAI e possa invece avviare una nuova pagina nella storia di questa azienda, affinché essa sia segnata da una sua rinnovata capacità di essere elemento fondamentale e prezioso per il pluralismo dell'informazione nel nostro paese.
Sono queste alcune delle considerazioni che mi portano ad esprimere una dichiarazione di voto favorevole alla risoluzione Romani, sottoscritta anche da me e dal collega Giuseppe Gianni (Applausi dei deputati del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Villetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, con la mozione Violante ed altri n. 1-00428 si è sollevata formalmente la questione del consiglio di amministrazione della RAI, chiedendone le dimissioni ove già i consiglieri non siano decaduti.
Ci si può chiedere perché le opposizioni diano una grande rilevanza a tale questione. Ho ascoltato attentamente il dibattito parlamentare svoltosi in questa materia ed ho anche ascoltato l'intervento svolto dall'onorevole Romani. Che cosa ha detto il presidente


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Romani rivolgendosi all'opposizione? Ha detto: voi, durante il periodo della scorsa legislatura, avete avuto un comportamento nei confronti della RAI che non è stato equilibrato e neutrale.
Onorevoli colleghi, e questo lo voglio dire ai colleghi della maggioranza, noi non ci troviamo di fronte a questo problema perché non c'è un uso strumentale della RAI da parte della maggioranza. Non è questo il problema fondamentale. Noi ci troviamo di fronte ad una situazione che presenta un'anomalia tanto unica quanto rara in tutte le democrazie liberali: il Presidente del Consiglio dei ministri, in quanto proprietario, controlla Mediaset e, in quanto leader della maggioranza, controlla la RAI. Onorevole Romani, ci troviamo dunque di fronte ad un monopolio politico di fatto dell'informazione. E lei, presidente Romani, di fronte a questa situazione, non ci dà nessuna risposta dal punto di vista democratico e delle libertà proprie di questo paese! Questo è il punto di fondo che voi non potete ignorare!
Del resto, il monito autorevole rivolto dal Capo dello Stato riguardava proprio tale questione: il pluralismo, la libertà e la democrazia, non si assicurano soltanto attraverso regole ma, come ci insegna il pensiero liberale, attraverso la pluralità dei soggetti; e, nella società dominata dai mass media, la pluralità dei mezzi di informazione, e soprattutto dei mezzi di informazione televisiva, è fondamentale! Allora, le argomentazioni addotte dal ministro Gasparri non corrispondono alla situazione reale che si registra nel paese. È da questo che nasce l'allarme delle opposizioni. Non si tratta quindi della volontà di rendere caricaturale la situazione nella quale ci troviamo, di demonizzare il Presidente del Consiglio dei ministri, di descrivere una situazione con ombre più scure e torbide di quanto la realtà ci presenta, ma si tratta di sollevare un problema che non è stato risolto né con la questione del conflitto di interessi né con gli interventi che sono stati fatti in materia legislativa.
Onorevoli colleghi, è in questo quadro che è, a mio avviso, grave la situazione del consiglio di amministrazione della RAI; infatti, in un quadro caratterizzato da una situazione patologica, noi non abbiamo neppure quelle garanzie all'interno del consiglio di amministrazione che la stessa maggioranza ritiene che siano necessarie per rispettare un corretto rapporto con l'opposizione.
Onorevoli colleghi, è per questo motivo che voteremo a favore della mozione Violante ed altri n. 1-00428 sottoscritta, per la componente politica dei socialisti democratici italiani del gruppo Misto, dall'onorevole Intini. Il nostro invito, rivolto anche al Presidente della Camera nel suo ruolo istituzionale, è che sulle questioni che attengono alle libertà le risposte che debbono essere date all'opposizione non possono essere soltanto formali e di maniera, ma debbono essere sostanziali e date con molta rapidità perché toccano principi e valori fondamentali della nostra convivenza civile e politica (Applausi dei deputati del gruppo Misto-socialisti democratici italiani).

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