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ANTONIO BARBIERI. Di fronte alla grande importanza, per la vita quotidiana del cittadino comune, dei temi affrontati nell'odierno progetto di legge, non può prescindersi da una disamina storica sulla evoluzione in Italia del dualismo Stato-regioni e da una presa di coscienza circa l'attuale diffusa resistenza, se non aperta ostilità, da parte delle opposizioni, nei confronti di qualunque tipo di vera innovazione politica, tal che sia cioè consapevole di una prospettiva politica non dirigista e personalistica; come purtroppo ampiamente ha dimostrato anche il caso dell'altra riforma altrettanto epocale quanto quella urbanistica, cioè - oso dirlo - quella della scuola italiana.
La storia della legislazione italiana per il territorio mette in risalto il fallimento di due grosse questioni: il governo del territorio e il potere delle regioni per il suo esercizio. In questo settore non si può fare a meno di rilevare il perdurare in Italia di posizioni di arroccamento difensivo, aggravate dalla mancata definizione dei rapporti fra i vari livelli di potere; con particolare riferimento alla mancata attuazione fino all'inizio degli anni settanta delle norme costituzionali sulla istituzione delle regioni. Infatti è soltanto a partire dal decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616; che ha avuto inizio l'effettivo trasferimento di poteri e funzioni dallo Stato alle regioni.
Le disposizioni contenute in quel provvedimento in materia di assetto del territorio si prestavano, allora, ad una lettura generica e si ponevano come anticipatrici rispetto alla moderna nozione di governo del territorio. Tuttavia, non si può fare a meno di ricordare che le regioni sono state a loro volta artefici di una tendenza centralistica, che ne ha accentuato il ruolo anche sulla materia del governo del territorio, a scapito di province e comuni. Tendenza ampiamente poi confermata dalla ostilità con cui è stata accolta la legge 8 giugno 1990, n. 142, sull'ordinamento delle autonomie locali, con particolare riferimento all'articolo 3.
Se il primo tentativo serio di legificazione nel settore urbanistico è stato rappresentato dalla cosiddetta «legge Bucalossi», tutta la produzione normativa degli anni Ottanta è stata caotica e ha concorso ad approfondire la condizione di separatezza tra Stato e regioni.
Nel corso della XIII legislatura sono state presentate numerose proposte di legge che si limitavano a disciplinare aspetti procedurali e, in generale, la maggioranza di allora ha bloccato ogni più serio progetto di riforma in questo settore.
La Casa delle Libertà, ed in particolare Forza Italia, si è invece mostrata, fin dai primi attimi della XIV legislatura, assolutamente decisa a realizzare, con chiarezza di principi liberali e con forza di potere democratico, questa epocale riforma.
Fin dall'ottobre del 2002, l'onorevole Lupi e con lui io stesso, a nome e per incarico della direzione di Forza Italia, abbiamo organizzato un seminario di studio tenuto nell'ambito del nostro gruppo parlamentare a Palazzo Marini, con l'ambizioso ma strenuamente realistico scopo di pervenire ad un testo di riforma legislativa concepito su una piattaforma di principi suggeriti dagli esimii studiosi che
intervennero al seminario, tra i quali qui torno ancora una volta a ringraziare, tra i tanti, il professor Stella-Richter.
Fin dall'inizio io, come modesto ex amministratore locale, sono andato alla mia memoria: alla programmazione negoziata, alla normativa europea che di fatto ha partorito questo strumento; ed al fallimento, quasi totale, della programmazione negoziata che ha poi comportato, a mio avviso, l'incapacità delle regioni a spendere i soldi della capacità economica fornita dalla comunità europea.
Sempre in quella estesa e dotta sede aggiungevo che bisognava sperimentare anche nuove ipotesi, nuovi concetti, che superano quello del piano in senso statico, offrendo al cittadino ed alla comunità strumenti flessibili, mentre il piano è il contrario è l'antitesi della flessibilità. Con la programmazione negoziata effettivamente si può realizzare, si può passare alla fase attuattiva in tempi più rapidi, ma soprattutto essa si porta al concetto della orizzontalità per superare il concetto della rete di pesantezze nel governo del territorio per puntare al concetto di risorse, a parità tra soggetti, e questo potrà darci nuovi scenari e su questo possiamo qualificarci sperimentando nuove strade.
Ivi apparve subito chiaro che era necessaria una legge di principi e che anche in vista della nuova formulazione devolutiva degli articoli 116 e 117 della Costituzione, riconoscesse nel Comune il soggetto primario del governo del territorio.
I diversi progetti presentati nella XIV legislatura, a partire da quello depositato immediatamente e tempestivamente già il 30 maggio del 2001 dall'onorevole Bossi, hanno trovato consapevolezza della situazione, urgente e critica, di una nuova legislazione in tutta l'VIII Commissione, che ne ha iniziato l'esame nel giugno-luglio 2003, allorché poi ne ha demandato l'unificazione ad un Comitato ristretto. Nel marzo 2004 il relatore onorevole Lupi ha presentato il testo base, poi ulteriormente emendato fino all'attuale testo approvato or è una settimana.
Il testo unificato definito dal relatore si propone di attuare anch'esso validamente la riforma del Titolo V della Costituzione, come richiesto da deputati anche dell'opposizione, facendosi carico dell'annoso problema del dualismo Stato-regioni e cercando di rendere concretamente attuabili le funzioni dello Stato, delle regioni e degli enti locali in materia di governo del territorio. La proposta di legge in esame si impone per la fondamentale e urgente esigenza di innovare la disciplina di un settore che, al momento, risulta ancora inquadrata da una legge del 1942. Nel lunghissimo corso degli anni successivi all'entrata in vigore dì tale provvedimento, si erano progressivamente evidenziati e aggravati fenomeni che imponevano il riassetto della materia urbanistica e, in modo specifico, del complessivo ambito al quale si riferisce il concetto di governo del territorio. Ad essi poi nel tempo sono subentrati quelli legati all'esigenza di riqualificazione e recupero del patrimonio urbanistico.
Nell'attuale fase hanno finito pure per assumere un ruolo fondamentale, nondimeno, le questioni legate al rapporto pubblico-privato, nonché i problemi connessi al riparto delle competenze. L'opportunità odierna di configurare finalmente un intervento legislativo unificatore in principi chiari in materia, pertanto, sarà felicemente produttiva di accresciuti spazi di libertà e di opportunità di sviluppo, appunto in ciò che il legislatore ora ha il coraggio di limitarsi all'elaborazione di chiari liberali principi generali, evitando la tentazione, sempre comoda e nascosta, di introdurre norme dirigistiche di dettaglio.
L'intento del Governo - confermato dal ministro La Loggia nel corso di un'audizione in Commissione e che non può essere dimenticato particolarmente dalle forze della Casa delle Libertà - è quello di procedere anche ad un'ulteriore riformulazione del Titolo V della Costituzione, stavolta chiaramente liberale, che avrebbe effetti anche sulle competenze in materia di governo del territorio, nel senso di prevedere l'attribuzione alle regioni della competenza esclusiva in tale settore, conferendo alle autonomie un contenuto concreto al tema del governo del territorio,
attualmente rimesso alla legislazione concorrente. Lo sforzo comune dovrà però essere orientato a definire fin da ora principi generali assolutamente certi, anche per evitare che le regioni possano intervenire in una materia tanto delicata adottando criteri e metodologie non univoci a seconda delle diverse realtà territoriali di riferimento.
Si tratta inoltre di evitare il rischio di conflitti tra i diversi poteri dello Stato. Perciò qui ora si tende a stabilire quali debbano essere questi chiari principi generali, definendo una legislazione statale snella che riaffermi il principio della programmazione negoziata come principale strumento di governo del territorio e tenendo conto dei diversi strumenti di pianificazione.
Dunque, la pianificazione urbanistica non potrà più ripercorrere vecchi modelli, dovendosi porre qui la distinzione di fondo tra atti di pianificazione, di carattere strutturale e strategico, riferiti alle grandi scelte di indirizzo, e atti di contenuto operativo, con le scelte di merito e l'indicazione degli specifici interventi di trasformazione del territorio, cercando di elevare la qualità urbana. Vanno anche assicurati adeguati spazi alla partecipazione dei privati. La stessa evoluzione della recente dottrina in materia urbanistica evidenzia la necessità di sostituire la tradizionale esperienza della potestà normativa della pubblica amministrazione con percorsi concertati tra pubblico e privato che sfocino in contratti di diritto privato in campo urbanistico. Peraltro il metodo ordinario della pianificazione urbanistica operativa non è più quello dell'espropriazione, previo indennizzo, della, proprietà privata per la realizzazione delle opere e per il rispetto degli standard urbanistici, ma è l'affermazione e la generalizzazione del principio della perequazione e della compensazione, come possibilità di trasferimento dei diritti edificatori dei privati. È necessario, pertanto, in linea con l'evoluzione urbanistica, tenere presenti ed affermare in linea generale i meccanismi di perequazione e compensazione.
Tenendo conto del passaggio operato dal legislatore costituzionale dalla nozione di pianificazione urbanistica a quella di governo del territorio, il provvedimento non può dunque limitarsi alla disciplina delle procedure e dei contenuti dell'urbanistica, ma coglie questa funzione di governo del territorio nella sua trasversalità, nella esigenza, cioè, che la pianificazione realizzi innanzitutto il raccordo e la riconduzione a sistema delle più diverse politiche settoriali e specialistiche che incidono sul territorio.
Gli interessi pubblici alla tutela del suolo, dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, non sono visti come un limite esterno alla materia del governo del territorio. Questa separatezza veniva sospettata come la conseguenza del nuovo testo dell'articolo 117 della Costituzione. In realtà, la Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire la inammissibilità della lettura della netta separazione delle competenze statali e regionali. La Corte, proprio con riguardo all'ambiente, ha precisato che esso costituisce un valore costituzionalmente protetto che può però costituire oggetto della legislazione regionale per gli aspetti collegati funzionalmente con le materie di competenza delle regioni. In questa prospettiva, la legge nazionale ora fissa i principi che devono essere osservati dagli atti di programmazione e di pianificazione settoriale, dai programmi di intervento specialistici, che comunque incidono sul regime dei suoli, regolandone usi e trasformazioni ammissibili.
Alla luce di questa nuova azione di governo del territorio, la pianificazione territoriale ed urbanistica ha tra i suoi obiettivi primari quello di assicurare uno sviluppo ecocompatibile degli insediamenti dando priorità ai processi di riqualificazione e riuso delle aree urbanizzate. È altresì reso necessario il potenziamento dei momenti conoscitivi e valutativi del piano diretti a dare una aggiornata rappresentazione e analisi delle caratteristiche peculiari della comunità, locale e del territorio interessato, quali elementi costitutivi del piano. Nell'ambito di questi processi di elaborazione e approvazione dei
contenuti dei piani, è possibile svolgere la necessaria valutazione di compatibilità ambientale, richiesta dalla recente direttiva comunitaria 2001/42/CE.
Occorre pertanto affermare, tra questi principi, con massima chiarezza, che le funzioni di governo del territorio competono primariamente ai comuni, fatti salvi i compiti che attengono alla cura di interessi di area vasta, espressamente e stabilmente attribuiti dalla legge regionale alla provincia o alla regione. Inoltre, il provvedimento deve stabilire competenze tassativamente riservate allo Stato per assicurare l'esercizio unitario con l'individuazione chiara delle funzioni, in considerazione dei rapporti con gli organismi comunitari e internazionali, del programma nazionale per la tutela del territorio e per le grandi infrastrutture, degli interventi speciali della normativa tecnica, del monitoraggio del territorio e dello stato della pianificazione.
Su queste basilari esigenze poggia la normativa proposta che quindi ha come principi del progetto: il principio di sussidiarietà, in virtù del quale il titolare della pianificazione urbanistica è il comune, con anche una semplificazione della procedura di approvazione del piano regolatore generale; l'adozione di piani urbanistici come strumento della disciplina complessiva del territorio comunale, mentre il vecchio piano regolatore è diviso in strutturale ed operativo; quanto agli standard, salta la normativa nazionale che definiva la quantità di standard uguali in tutt'Italia, prevedendo invece l'obbligo di garantire un livello minimo anche con il concorso dei soggetti privati; con delega finale al Governo per definire un regime speciale per la fiscalità urbanistica e per il recupero e la riqualificazione dei centri urbani, anche con l'introduzione del procedimento di concertazione attraverso conferenze di pianificazione preventive, e l'applicazione di sistemi di perequazione urbanistica, seppure con limitato riferimento al comparto di trasformazione.
In tal modo finalmente si supera tutto il castello normativo che fino ad oggi ha regolato la pianificazione del territorio per più di mezzo secolo. Una vetustà dell'impianto normativo dello Stato in materia urbanistica, che era rimasto fondamentalmente modellato sui principi della vecchia legge urbanìstica del 1942 (legge n. 1150).
Finalmente con l'approvazione della normativa ora giunta in esame, su proposta parlamentare, col partecipe impulso del Governo e con un'approfondita partecipazione anche dell'opposizione alla redazione unificatrice in Commissione, si introduce, al posto di quello strumento vetusto e delle sue dispersive innumerevoli novelle, un unico quadro legislativo che abbraccia le problematiche territoriali, ambientali e di difesa del suolo, ben gravido - crediamo - di produrre efficaci conseguenze politiche: di consapevolezza partecipe dei cittadini e, quindi, di più coraggiose valide iniziative di mobilitazione di energie sociali ed economiche.
Dunque anche e soprattutto con questa legge che andiamo ad approvare, nel solco del progetto di un'Italia che cambia, di un progetto moderato migliorista, viene restituita ai cittadini italiani la responsabilità nella libertà: di sviluppare cioè 1e proprie personali risorse all'interno di un territorio che si manifesta, amico delle proprie private iniziative. I lacci che finora hanno troppo spesso mortificato, scoraggiato il cittadino, quasi spingendolo a vedere uno stringente avversario nell'istanza territoriale programmatoria, potranno e dovranno ora risolversi in gomene d'aiuto ai propri percorsi produttivi, stimolo ad una mobilità economica e sociale che appare ogni giorno più necessaria alla propulsione dello sviluppo; e quindi ultimamente anche stimolo di quella accresciuta solidarietà sociale che - non lo si dimentichi mai - è reale e valida, non quando è mortificante e deresponsabilizzante trasferimento di reddito, ma solo e soltanto in presenza del libero sviluppo dell'economia privata e del mercato. Ansia di libertà dell'Italia produttiva, che è anche primariamente richiesta di semplificazione normativa e di assoluta certezza del diritto. Nulla è stato storicamente nefasto quanto un quadro istituzionale e legale instabile,
incerto, tumultuosamente provvisorio, lasciato in concreto alla mediazione occulta di corporazioni di esperti e di consorterie; che tendono a soverchiare il privato cittadino ed il suo libero impegno economico e sociale.
Così, in chiusura, con quest'ultima non marginale riflessione, voglio ricordare a tutti noi che da questa carta dei principi odierna, è pur bene che seguano quam primum altri atti legislativi che operino una abrogazione esplicita di tutte le norme precedenti ed esistenti e a tali principi contrarie. Attenzione e preoccupazione tutt'altro che superflua, per il legislatore odierno che vede quotidianamente, in un clima di tensione sociale esasperante, la sopraffazione giudiziaria di scuole di ermeneutica giuridica sul potere, unico potere normativo supremo del Parlamento.
Onorevoli colleghi, non trovate eccessivo il mio accento addolorato che qui con voi si conduole del denunciato andazzo. Questa legge che andiamo ad approvare, circa territorio ed urbanistica, è nella vita quotidiana del cittadino di importanza vitale: la casa ed il terreno sono forse più vitali sinanche del pane e della buona salute! Gli italiani dunque si attendono da essa una vera difesa, un usbergo di saldo metallo contro ogni tentativo, di burocrati amministrativi e di ermeneuti giudiziari, di attribuirsi il borioso diritto di decidere essi, al posto di noi rappresentanti del popolo sovrano; di decidere essi, i sedicenti intellettuali illuminati e illuministi, quali siano le vere attese del popolo e i veri bisogni del popolo, che pur noi quotidianamente incontriamo, leggendone già nello sguardo le profondità generose del cuore cristiana e la straordinaria creatività dilla libera mente.
Onorevoli colleghi, credo che tutto il Parlamento possa essere orgoglioso dell'importanza epocale dei principi che oggi qui con questa legge andiamo ad approvare, a favore di un'Italia che vuole cambiare, che stiamo cambiando, che continueremo a cambiare.
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