Allegato B
Seduta n. 520 del 4/10/2004


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INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA

GIOACCHINO ALFANO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle attività produttive. - Per sapere - premesso che:
la ATI-CARTA di Pompei, tramite la società ETI, veniva interessata da un piano di privatizzazione con la vendita di una grossa percentuale di azioni al gruppo EUROPOLIGRAFICO, grosso gruppo che detiene in Italia il monopolio della produzione e vendita del «cartoncino», il cui maggiore azionista è Reno Dei Medici;
in base al piano di privatizzazione redatto dal professor Calmieri, all'uopo incaricato dall'ETI, l'impianto ATI-CARTA di Pompei doveva essere destinatario di una serie di investimenti dell'importo di circa 28.000.000.000 di lire al fine di garantire il funzionamento dello stesso;
dei detti investimenti, solo una parte è stata realizzata;
secondo il detto piano, l'acquisto della ATI-CARTA da parte del gruppo EUROPOLIGRAFICO - Reno Dei Medici avverrà il 24 settembre 2004;
la ATI-CARTA, allo stato attuale, dà lavoro a circa 207 operai ed è apprezzata quale ottima realtà lavorativa del meridione nel campo della produzione della carta;
uno stabilimento per la produzione della carta simile a quello di Pompei esiste a Rovereto;
a partire dal 24 marzo 2003, in conseguenza della dismissione delle prime macchine e delle eccedenze produttive createsi nel tempo a causa delle crisi e del relativo calo delle vendite verificatosi nel settore della carta, è iniziata la cassa integrazione guadagni per un gran numero di operai (170 su 207);
il ricorso agli ammortizzatori sociali è stato dettato dalla mancanza di investimenti, necessari al fine di un effettivo rilancio economico dell'azienda;
intorno all'ATI-CARTA vi è una grossa realtà di lavoro indotto, rappresentato perlopiù da piccole e medie imprese di produzione di servizi e beni;
la crisi della ATI-CARTA provocherebbe grosse ricadute socio-economiche ed occupazionali in un'area che è di per sé già esposta a grandi difficoltà -:
quali provvedimenti intendano adottare affinché venga accertata l'effettività e/o lo stato d'attuazione del piano di privatizzazione dell'azienda ATI-CARTA di Pompei;
se ritenga opportuno intervenire ed in che modo affinché venga tutelata una realtà lavorativa sana del Sud quale è quella della ATI-CARTA di Pompei.
(4-06306)

Risposta. - La cessione della società Aticarta è connessa al piano di riassetto industriale, concordato con i sindacati nell'anno 2000, che ha previsto, fra l'altro, la dismissione di attività non strategiche del gruppo ETI, in funzione della successiva privatizzazione.


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L'intero pacchetto azionario, posseduto dalla società ATI S.p.A., a sua volta interamente controllata dalla società ETI S.p.A., è stato ceduto al gruppo Reno De Medici nel settembre 2001, ad un prezzo di circa 45 miliardi di lire, con l'impegno sia di investimenti aggiuntivi per oltre 20 miliardi di lire da parte del gruppo acquirente, sia della piena salvaguardia dei livelli occupazionali per un periodo di tre anni. Per agevolare tale passaggio ed in considerazione del fatto che Aticarta S.p.A. in precedenza aveva avuto come cliente di riferimento principale il Monopolio di Stato (AAMS), ETI S.p.A. ha accompagnato tale trasferimento con il rinnovo di un contratto di fornitura di articoli cartotecnici per il periodo 2002-2004.
Inoltre, il Consiglio di amministrazione di ETI S.p.A., nel 2001 ha deciso la messa in liquidazione volontaria di ATI S.p.A., con effetto dal 1o gennaio 2002. A tale scopo, le attività del comparto industriale sono state raggruppate e conferite ad una nuova società denominata ATI s.r.l. che, nel corso del 2002, è stata ceduta ad Agrindustria s.r.l.
Nel mese di luglio 2003, ATI S.p.A., in capo alla quale era sostanzialmente rimasta la proprietà di alcune unità immobiliari inattive, nonché la gestione di alcune competenze di natura amministrativa, è stata ceduta alla società Fintecna.
Si soggiunge, infine, che la partecipazione totalitaria, detenuta dal ministero dell'economia e delle finanze in ETI S.p.A., è stata ceduta alla Britannica Italiana Tabacchi S.p.A. in data 23 dicembre 2003.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Maria Teresa Armosino.

BULGARELLI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il quotidiano basco «Gara» del 14 ottobre 2003 riferisce di nuove misure repressive adottate nei paesi baschi, sia quelli sotto amministrazione spagnola che francese; la giudice francese Laurence Le Vert avrebbe proibito a due cittadini baschi - Eneko Gorri, della provincia di Lapurdi, e Emilie Martin, originaria della provincia di Zuberoa, studentessa a Maule e residente a Baiona - «di dedicarsi ad azioni o ad una qualsiasi delle seguenti attività professionali o sociali: partecipare a riunioni o attività di appoggio a detenuti baschi», come recita testualmente il provvedimento; su Emilie Martin, diciottenne, pesa infatti la proibizione di relazionarsi con una lista di persone, fra le quali si trovano anche quattro di quelle arrestate in data 8 ottobre 2003 in seguito a un'operazione del giudice Garzòn e che successivamente sono state rimesse in libertà;
le misure restrittive comminate alla Martin presentano anche risvolti paradossali: nella lista delle persone che ella non può contattare figura infatti anche la sorella, con la quale condivide l'abitazione; inoltre, Emilie Martin, non può lasciare il Dipartimento dei Pirenei Atlantici e deve presentarsi al commissariato di Baiona due volte alla settimana;
la giudice francese ha disposto misure identiche per Eneko Gorri, al quale si nega il diritto di partecipare a concentramenti o manifestazioni in favore dei diritti dei prigionieri baschi, oltre che di relazionarsi con un determinato gruppo di persone; egli dovrà presentarsi una volta alla settimana al commissariato di Burdeos, città dove studia, e non potrà uscire senza autorizzazione dal Dipartimento della Gironda; questo significa, per esempio, che dovrà chiedere il permesso ogni volta che si recherà a Angelu, dove risiede la sua famiglia;
l'operazione del giudice Garzòn, invece, muove dal presupposto che il ritrovamento nei domicili degli inquisiti di lettere mandate da prigionieri politici vada considerato un «indizio» di «integrazione in ETA» e con tale imputazione sono state arrestate 34 persone; tra esse figura Ramòn Lòpez, residente a Altsasu, incarcerato per la sua presunta integrazione «nell'apparato di informazione» dell'organizzazione armata indipendentista; nel provvedimento firmato da Garzòn, al


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quale il quotidiano Gara ha avuto accesso, si dice che «nella perquisizione del suo domicilio» sono state trovate due lettere, una del prigioniero Bixente Goikoetxea e un'altra di un dirigente di «Gestoras pro Amnistf8a» (organismo popolare in favore dell'amnistia per i prigionieri politici baschi, ora messo fuori legge); inoltre Lopez sarebbe titolare di una «una cassetta di sicurezza» con «denaro in contanti ed una lista di persone attualmente in prigione» alle quali «si assegna una somma di 100 euro, il che indica la responsabilità di tesoreria in appoggio al collettivo dei prigionieri»;
anche a Angel Elcid, residente a Iru
Atnea, e arrestato su ordine del giudice Garzòn, è stata contestata e sequestrata documentazione epistolare, tra cui una «lettera spedita da I
Atnaki Beaumont dalla prigione di Soto de Real, datata dicembre 2000, indirizzata a Aitzina Kultur Elkartea»;
Askatasuna (organismo popolare di lotta alla repressione), attraverso un comunicato, ha definito questa operazione una «montatura politico-mediatica orchestrata da Le Vert e Garzòn», ricordando, contemporaneamente, le denunce di maltrattamenti presentate da alcuni degli arrestati dalla Polizia;
fonti giuridiche consultate da Gara, sottolineano come il giudice Garzòn presuma arbitrariamente, nel suo provvedimento, che «qualsiasi relazione personale con un prigioniero politico o l'appoggio economico al collettivo dei detenuti debba configurarsi necessariamente come reato»; le stesse decisioni adottate da Le Vert comportano «un gran salto qualitativo», dato che «sono misure che si prendono nell'eventualità» che l'imputato possa commettere un reato, e siano dunque di carattere «preventivo» -:
se non ritenga doveroso intervenire presso le opportune sedi diplomatiche per assumere informazioni sulle motivazioni di provvedimenti giudiziari che minacciano di ledere diritti fondamentali dei cittadini e di discriminare fortemente le possibilità di espressione e di agibilità democratica di una comunità etnica importante come quella basca.
(4-07767)

BULGARELLI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la Guardia Civil ha arrestato in data 16 ottobre 2003 otto persone, delle quali sette in Gipuzkoa e una in Navarra; tutti gli arrestati sono esponenti dell'euskara e della cultura basca e l'operazione di polizia giunge otto mesi dopo la chiusura del quotidiano in lingua basca Euskaldunon Egunkaria;
gli arrestati sono Mikel Azkune (a Errenteria), Juan Mari Larrarte (a Hernani), Joxe Mari Sors, Mikel Arrizabalaga, Mikel Sorozabal e Javeir Legarra (a Donostia), Armando Hernàndez (a Tolosa) e Angel Ramòn Diea (a Villatuerta);
l'operazione è stata ordinata, come quella di febbraio, dal magistrato della Audiencia Nacional (tribunale speciale) spagnola, Juan del Olmo; oltre agli arresti sono state eseguite tredici perquisizioni, sia nei domicili degli arrestati, sia nei loro luoghi di lavoro;
a parere dell'avvocato di Egunkaria, Eneko Etxeberria, questa operazione è diretta, da una parte, contro le imprese non ancora chiuse del gruppo Egunkaria S.A. e, dall'altra, contro l'impresa Buruntzape S.L.;
quest'ultima è la titolare di tutto il Parque Cultural Martin Ugalde di Andoain, dove sono state perquisite le sedi di diverse imprese e di organismi relazionati con l'euskara, fra essi la Euskarazko Komunikazio Taldea, promotrice del quotidiano Beria, Plazagunea e Gràficas Leitzaran;
la Guardia Civil è entrata anche nei locali della casa editrice Zabaltzen di Donostia, da dove ha portato via gli hard disk dei computer; agenti sarebbero entrati anche negli uffici della Gràfica Lizarra;


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secondo il ministro degli Interni spagnolo, Angel Acebes, la retata è legata «all'indagine giudiziaria su possibili irregolarità contabili, destinazione di sovvenzioni e riciclaggio di denaro» da parte di imprese che hanno a che fare con la «trama Egunkaria», ma José Maria Sors, direttore di Euskalgintza Elkarlanean, ha affermato dopo la chiusura di Egunkaria: «Non abbiamo niente da nascondere e tutto da mostrare. È triste che ci troviamo in questa situazione, perché siamo di fronte ad accuse infondate. Tutto quello che c'è, è una presunzione. Non di innocenza, ma di colpevolezza. E dobbiamo compiere una serie di passi per dire "No, signori, siamo pronti a mostrare tutto ciò che sia necessario, dato che tutto è stato fatto nel più stretto rispetto della legalità«";
l'operazione è coincisa con la consegna del premio Vasco Universal a Martin Ugalde; sua moglie, che si è recata a Gasteiz per ritirare il premio, nel suo discorso ha affermato di sentirsi «afflitta» per gli arresti e ha chiesto per suo marito «il rispetto e la dignità che merita», sottolineando che «nascere in questa terra e sentirsi basco non è un reato ma un diritto»;
il quotidiano Gara riferisce che nel complesso che ospita oltre una ventina di imprese ed organismi che lavorano per l'euskara e per la cultura basca era palpabile un sentimento di sorpresa mista a indignazione nelle parole dei vari rappresentanti di forze politiche, istituzioni, organismi sociali e sindacati che sono intervenuti: i dirigenti della sinistra indipendentista Oarnaldo Otegi, Joseba Permache e Joseba Alvarez; i segretari dei settori comunicazione dei sindacati ELA e LAB, Gérman Kortabarria e Txutxi Ariznabarreta; il vicecoordinatore di Aralar I
Atnaki Irazabalbeitia; la rappresentante di Elkarri Maixux Rekalde; molti di loro hanno menzionato l'operazione di febbraio, che portò alla chiusura di Egunkaria, ricordando le denunce di torture, tra le quali quella di Martxelo Otamendi (direttore del quotidiano Egunkaria), che ha denunciato di essere stato torturato dopo il suo arresto;
il segretario generale di Kontseilua, il Consiglio degli organismi sociali per l'Euskara, Xabier Mendiguren, ha annunciato, inoltre, che chiederà ufficialmente diverse riunioni ai governi di Lakua (sede del Governo Autonomo Basco) e di Navarra, al fine di «analizzare la situazione attuale e come si possa articolare l'appoggio del quale hanno bisogno l'euskara e la cultura per andare avanti»; l'AEK (Coordinamento per l'alfabetizzazione in euskera degli adulti) ha inserito l'operazione di polizia ordinata dal giudice del Olmo «nel quadro di criminalizzazione e attacco continuo all'euskara» e ha ricordato che devono essere «le amministrazioni a garantire i meccanismi necessari a promuovere la normalizzazione dell'euskara»;
il direttore del quotidiano Beria, Martxelo Otamendim, ha evidenziato che le imprese colpite dall'operazione diretta dal giudice Juan del Olmo «si occupano di far progredire questo paese facendo informazione e sviluppando infrastrutture culturali», sottolineando la necessità che tali imprese ricevano appoggio sociale ed istituzionale di fronte alle aggressioni delle quali sono oggetto da parte del tribunale speciale spagnolo;
a parere dell'interrogante nessuno dei reati imputati agli otto arrestati («irregolarità economiche contabili, riciclaggio di denaro e sovvenzioni di imprese»), giustifica i metodi utilizzati dal giudice Juan del Olmo: cattura da parte della Guardia Civil, con assalto notturno alle loro abitazioni ed isolamento assoluto degli arrestati per diversi giorni prima del passaggio a disposizione della magistratura; per reati di tipo monetario, infatti, è consuetudine convocare gli imputati davanti al giudice, a maggior ragione se alcuni di essi hanno già manifestato in occasioni precedenti la loro assoluta disponibilità a fornire tutte le spiegazioni necessarie sulle loro rispettive imprese;
lo Stato spagnolo, invece, soprattutto nelle operazioni che coinvolgono l'indipendentismo basco, abusa sistematicamente a metodi polizieschi come l'arresto, che nelle società democratiche sono riservati a casi


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molto gravi e specifici; la stessa Audiencia Nacional in occasione di casi di frode o malversazioni di entità ben più rilevante (basti citare il caso del Banco Santander Central Hispano, imputato di 138 reati di frode fiscale, o quello di Mario Conde, condannato per aver «distratto» oltre sette miliardi di pesetas), ha sempre formalmente convocato davanti al giudice gli imputati; inoltre, è opportuno ricordare che diversi degli arrestati a febbraio, nell'operazione contro Egunkaria, che sembra essere stata il preludio agli ultimi arresti, hanno denunciato di essere stati torturati dalla Guardia Civil durante il periodo di isolamento assoluto, denunce che si sommano a molte altre esistenti e documentate da vari organismi e osservatori internazionali;
il Parlamento europeo, in una risoluzione approvata il 17 maggio 2001 a Strasburgo, ammonisce tutti gli Stati a rispettare e difendere il diritto di ciascuno alla libertà di opinione ed espressione; in particolare, ricordando la Carta dei diritti fondamentali firmata e proclamata dai Presidenti del Consiglio, della Commissione e del Parlamento europeo a Nizza il 7 dicembre 2000, nonché la risoluzione del 16 marzo 2000 sui diritti umani internazionali e sulla politica dell'Unione europea in materia di diritti umani (1999), viste le risoluzioni adottate dalla Commissione delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo nella sua 57 seduta sul diritto alla libertà di opinione e di espressione, sull'indipendenza e l'imparzialità del potere giudiziario, nonché sulla detenzione arbitraria e sulle esecuzioni arbitrarie, il Parlamento europeo richiama tutti gli Stati membri dell'Unione a garantire a libertà di informazione ed espressione e a rispettare le specificità storiche, culturali o geografiche;
sempre nella stessa risoluzione, il Parlamento europeo chiede ai governi degli Stati interessati di vegliare a che i giornalisti detenuti possano beneficiare di un processo equo sulla base di indagini approfondite ed imparziali, conformemente alle norme internazionali, e insiste di conseguenza affinché tali processi siano pubblici e sia autorizzata la presenza di osservatori internazionali, sia all'inizio del processo che nel corso dell'intero svolgimento della procedura -:
se non ritenga opportuno assumere informazioni presso le adeguate sedi diplomatiche in merito alla corretta attuazione parte del Governo spagnolo della risoluzione del Parlamento europeo del 17 maggio 2001, che vincola tutti gli Stati membri dell'Unione a vigilane sulla sua attuazione, al fine di garantire la massima pubblicità agli esiti di un provvedimento giudiziario che minaccia di ledere uno dei diritti fondamentali dell'uomo e di discriminare fortemente le possibilità di espressione di una comunità etnica importante come quella basca.
(4-07776)

Risposta. - Come è noto, in Spagna il dialogo centro-periferia risulta delicato e complesso. Nella specifica situazione basca, tale dialogo è reso ancora più sensibile dalla persistente presenza di movimenti ed attività terroristiche. Tenuto conto di questo quadro di riferimento, va ricordato che la Spagna è Paese membro dell'Unione europea, spazio nel quale le libertà fondamentali sono garantite dai Trattati istituzionali, oltre che dalle Costituzioni degli Stati membri.
In particolare, circa il rispetto delle garanzie di cui alla Risoluzione del Parlamento europeo approvata il 17 maggio 2001, citata dall'interrogante, occorre precisare che la Costituzione spagnola, nel suo Titolo secondo, sancisce i diritti fondamentali e le libertà pubbliche; sono, in tale contesto, specificate le libertà di informazione ed espressione (articolo 20).
Per quanto attiene alle garanzie giudiziarie a difesa dei diritti ed interessi legittimi degli individui, esse sono contemplate dagli articoli 17 e 24 che, espressamente, prevedono anche il carattere pubblico dei processi.
Si rammenta inoltre che il Regno di Spagna si regge sulla Costituzione promulgata nel 1978, che garantisce i diritti e le libertà fondamentali dei cittadini, la divisione dei poteri (e dunque l'indipendenza della magistratura) e la possibilità di rappresentanza


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politica attraverso la libera partecipazione democratica.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.

BULGARELLI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della difesa, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa in data 20 gennaio 2004, il segretario nazionale del Partito Sardo d'Azione, Giacomo Sanna avrebbe contestato le dichiarazioni del presidente della Regione Sardegna Italo Masala riguardo l'insussistenza di rischi per la salute pubblica derivanti da inquinamento radioattivo nelle acque dell'arcipelago della Maddalena;
in particolare, Sanna ritiene insensate le rassicurazioni del Presidente della Regione in quanto le cinque centraline di monitoraggio ambientale installate sarebbero obsolete e tecnologicamente superate, a causa della loro fabbricazione, risalente all'inizio degli anni ottanta, e non sarebbero in grado di rilevare la presenza di un elemento radioattivo come il Torio 234;
tale circostanza è particolarmente preoccupante, soprattutto dopo che l'istituto di ricerca francese CRIIRAD (Commission de Recherche et d'Information Indépendantes sur la Radioactivité) ha divulgato i risultati dei rilevamenti effettuati in data 17-18 novembre e 9 dicembre 2003 nelle acque della Maddalena: su due dei sei campioni di alghe esaminati è stata riscontrata infatti un'alta concentrazione (dai 3.900 ai 4.700 Bq/Kg sec) di Tori 234, elemento della catena dell'uranio 238, che in natura non dovrebbe superare alcune decine di Bq/Kg. Sec -:
se quanto affermato dal segretario del Partito d'Azione risponda al vero circa l'inadeguatezza tecnologica delle cinque centraline di monitoraggio esistenti e, in tal caso, se non ritenga urgente, a tutela della salute pubblica, predisporre immediati interventi per la sostituzione delle stesse con strumentazioni tecnologiche di ultima generazione.
(4-08595)

Risposta. - L'arcipelago di La Maddalena è controllato sotto il profilo radiologico mediante tre reti fisse di monitoraggio appartenenti alla marina militare italiana, all'Azienda sanitaria locale di Sassari ed ai vigili del fuoco.
In particolare, le prime due sono specificatamente dedicate al monitoraggio radiologico dell'arcipelago.
Le reti sono così configurate:
Marina Militare italiana: si compone di tre stazioni per l'analisi dell'aria con centro di monitoraggio ubicato presso la Centrale operativa della capitaneria di porto di La Maddalena, sita in località Guardia Vecchia. La rete è gestita, sotto i profili tecnico, amministrativo e manutentivo, da personale appartenente alla marina militare. È in corso l'ammodernamento del sistema di monitoraggio con previsione di ultimazione dei lavori entro il corrente anno; lo scorso mese di febbraio sono stati installati la nuova centralina di controllo (presso la capitaneria) ed il primo sensore (nell'isola di Santo Stefano);
A.S.L. di Sassari: si compone di sette stazioni, cinque per l'analisi dell'aria e due per l'analisi dell'acqua di mare, con proprio centro di monitoraggio a La Maddalena, in località Mongiardino e diramazione della lettura presso la centrale operativa della capitaneria di porto di La Maddalena. È in funzione un secondo Centro di elaborazione dati, oltre quello del laboratorio di La Maddalena, presso la sede del Presidio multizonale di prevenzione di Sassari la ripetizione degli allarmi della rete è attualmente inviata automaticamente anche al comando


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provinciale dei vigili del fuoco di Sassari ed alla locale capitaneria di porto. Alla rete di monitoraggio sono stati apportati gli aggiornamenti tecnologici, di volta in volta necessari, sia per la parte hardware che per il software di gestione;
Vigili del Fuoco: nel quadro della gestione della rete di rilevazione nazionale, le stazioni più prossime, ubicate nelle località di La Maddalena, Palau, Arzachena e Santa Teresa di Gallura, concorrono a monitorare l'area dell'arcipelago. La rete che comprende le citate stazioni è monitorata presso il comando provinciale vigili del fuoco di Sassari.

Con specifico riferimento al controllo e al monitoraggio ambientale:
il Presidio multizonale di prevenzione (PMP) di Sassari (Area fisica geologica ambientale dell'Azienda unità sanitaria Locale (AUSL) n. 1-Sassari- Agenzia regionale protezione ambientale Sardegna) ha confermato che i risultati del monitoraggio sistematicamente effettuato indicano l'assenza di pericolo sia per la popolazione che per l'ambiente;
per quanto riguarda la presenza di Torio-234, misurato dalla Commissione per la ricerca e l'informazione indipendente sulla radioattività (CRIIRAD) nell'alga rossa, è stato ipotizzato un fenomeno di bioaccumulo e la stessa Commissione in una nota ha sottolineato l'origine naturale del Torio, che non è quindi ricollegabile a reazioni nucleari di fissione, nonché la difficoltà dell'interpretazione dei dati raccolti; inoltre, le analisi effettuate dal personale del Presidio multizonale di prevenzione (PMP) su campioni di sedimenti prelevati mensilmente non hanno indicato valori di attività del Torio-234 superiori a quanto riportato nei testi scientifici;
lo spettro accumulato dalle centraline acqua viene monitorato durante la giornata e memorizzato alle ore 24.00: pertanto, la comparsa di picchi anomali di tutti gli isotopi gamma emettitori, naturali o artificiali, sarebbe prontamente segnalata ed indagata;
l'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), in collaborazione con l'Istituto culturale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al Mare (ICRAM) e con l'Agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPAS) ha recentemente redatto un rapporto tecnico nel quale si esclude che la presenza di Torio e di Uranio siano da mettere in relazione alla presenza di sommergibili nucleari nella base di Santo Stefano;
l'Istituto di radioprotezione e di sicurezza nucleare (IRSN) francese, il quale effettua nella zona interessata controlli mensili su mitili ed acqua di mare, non ha segnalato attività radioattiva anormale.

A conferma dell'attenzione con cui la difesa segue la problematica ambientale, essa ha siglato in data 14 gennaio 2004 un documento di accordo con la regione Sardegna in seno alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento coordinamento amministrativo, con il quale è stato determinato di consentire a tutti gli Enti pubblici territoriali interessati di poter effettuare analisi concernenti la qualità dell'aria, dell'acqua e del fondale marino della rotta di transito delle unità navali statunitensi all'interno del comprensorio militare in questione.
Il Centro interforze studi ed applicazioni militari (CISAM), organismo tecnico-scientifico della difesa, ha prelevato campioni ambientali per accertare, come peraltro già in atto semestralmente ed ininterrottamente sin dal 1974, l'eventuale presenza di elementi inquinanti nell'area in questione.
In particolare, si tratta di campioni di acqua di mare, sedimenti, organismi marini vegetali ed animali (mitili), dal cui esame è emerso che il Torio 234 era già presente, con concentrazioni paragonabili alle attuali, anche nei campioni di alghe e sedimenti prelevati ed analizzati nel corso della precedente campagna semestrale (luglio 2003).


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I dati elaborati dal CISAM che, peraltro, già collabora con l'ASL 1 di Sassari, vengono forniti in tempo reale alla regione ed al comune.
Inoltre, la Marina militare continua ad assicurare a favore della provincia di Sassari una fattiva collaborazione fornendo il necessario supporto per lo svolgimento delle periodiche attività di prelievo di campioni di flora, fauna e sedimenti da sottoporre ad analisi di laboratorio, nel più generale contesto del monitoraggio ambientale dell'area in questione che è, da anni, costantemente monitorata mediante diverse reti di rilevamento della radioattività.
Peraltro, in data 23 febbraio scorso presso il PMP di Sassari si è tenuta una riunione alla quale hanno partecipato rappresentanti dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), dell'Istituto culturale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM), del presidio multizonale di prevenzione (PMP) di Cagliari, nonché docenti universitari di Sassari, per definire un programma di monitoraggio straordinario della radioattività ambientale nel parco di La Maddalena.
Inoltre, per quanto concerne le notizie sull'attendibilità delle misure effettuate e delle verifiche di funzionalità delle apparecchiature utilizzate, il Presidio multizonale di prevenzione è un laboratorio il cui sistema di qualità è stato riconosciuto conforme alla norma europea EN 17025 e questo comporta la partecipazione del laboratorio di La Maddalena ad interconfronti tra vari laboratori omologhi, al fine di verificare continuamente l'attendibilità delle misure e delle metodiche utilizzate.
In conclusione, l'azione della difesa, indirizzata ad armonizzare i molteplici aspetti che attengono alla sicurezza ed all'impatto ambientale, unitamente all'azione di controllo esercitata dagli enti tecnici locali, fornisce ampia assicurazione in ordine alla tutela della salute pubblica ed alla salvaguardia dell'area dell'Arcipelago Maddalenino.
Il Ministro della difesa: Antonio Martino.

BULGARELLI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
le organizzazioni sindacali dei vigili del fuoco di Rimini da tempo lamentano di dover affrontare missioni, particolarmente rischiose, a San Marino, fuori dal territorio di loro competenza; si tratta di una vecchia vertenza rimasta aperta, ma ora Cgil, Cisl, Uil RdB e Rsu pretendono una rapida soluzione della questione;
in sostanza, i vigili del fuoco chiedono che venga finalmente stipulata una convenzione con la Repubblica di San Marino che regolamenti e tuteli, anche sotto il profilo della prevenzione, il personale che deve spegnere le fiamme sul Titano;
inoltre i vigili del fuoco, per poter operare senza correre inutili rischi, ritengono di dovere avere le dovute informazioni circa la natura delle sostanze e dei materiali impegnati dalle aziende sammarinesi che sono sottoposte ad una legislazione ambientale, ad avviso dell'interrogante, piuttosto lassista;
i vigili del fuoco locali di Rimini hanno organici ridotti e molti posti vacanti, come l'interrogante ha già segnalato al Ministro degli interni in un precedente atto di sindacato ispettivo (4-05796 del 23 marzo 2004) rilevando l'insostenibilità della situazione riminese, in particolare durante il periodo estivo, la quale ha costretto recentemente all'abbassamento del numero minimo della squadra operativa all'aeroporto, con evidente riduzione della sicurezza pubblica. Da tempo, inoltre, i pompieri locali lamentano carenza di mezzi -:
se il Governo non ritenga opportuno urgentemente stipulare una convenzione con la Repubblica di San Marino che regolamenti gli interventi dei pompieri italiani nella Repubblica di San Marino, in modo da tutelare i nostri vigili del fuoco;
se non ritenga doveroso retribuire in modo opportuno le missioni dei vigili del fuoco all'estero;


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se non ritenga altresì necessario esercitare, attraverso le opportune vie diplomatiche, le necessarie pressioni sulla Repubblica di San Marino affinché eserciti una seria politica ambientale di controllo su impianti e processi produttivi -:
se non ritenga infine necessario dotare il comando di Rimini di un adeguato numero di personale operativo permettendo così, tra l'altro, di ripristinare un minimo ragionevole di personale nell'unità dell'aeroporto.
(4-08642)

Risposta. - A seguito di trattative che hanno coinvolto i competenti organi della Repubblica di San Marino e, per l'Italia, il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, la prefettura-ufficio territoriale del Governo ed il comando provinciale di Rimini, si è giunti nei primi mesi del 2003 alla stesura di una bozza di accordo per la reciproca collaborazione in materia di soccorso tecnico urgente, che disciplina tutta una serie di questioni legate agli interventi del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco sul territorio sammarinese.
Tale bozza è stata approvata il 4 aprile 2003 dal Congresso di Stato della Repubblica di San Marino, che ha contestualmente autorizzato il Segretario di Stato per gli affari interni e protezione civile alla firma dell'accordo.
Per quanto riguarda l'Italia, la bozza è attualmente al vaglio del Ministro dell'interno per l'approvazione ed il successivo inoltro al ministero degli affari esteri a cui competono il nulla osta finale sul testo e la concessione dei pieni poteri di firma al Ministro dell'interno medesimo.
In attesa della stipula dell'accordo, la Repubblica di San Marino ha già assunto una serie di impegni così riassumibili:
conferimento al comando provinciale dei vigili del fuoco di Rimini della funzione di coordinamento delle attività di soccorso in territorio sammarinese, con contestuale predisposizione di un elenco di tutti i funzionari e responsabili sammarinesi ai fini della loro immediata reperibilità;
invio al comando vigili del fuoco di Rimini della documentazione conoscitiva necessaria a garantire interventi in sicurezza, della mappatura delle aree boschive più soggette a fenomeni d'incendio e della mappatura delle zone e delle attività produttive a rischio attraverso la predisposizione di apposite schede analitiche;
stipula di un'apposita polizza finalizzata alla copertura assicurativa del personale vigili del fuoco che interviene in territorio sammarinese e all'esclusione di responsabilità degli operatori Vigili del fuoco in caso di danni arrecati durante l'espletamento di azioni di soccorso in territorio sammarinese.

Per quanto attiene alla carenza di personale, si comunica che nel decorso mese di luglio sono state assegnate al comando dei vigili del fuoco di Rimini 20 unità di personale.
In merito, invece, alla carenza di mezzi, si rappresenta che la situazione del comando in questione è in linea con quella degli altri comandi sul territorio nazionale. Nell'anno in corso sono stati già assegnati veicoli 4x4 e un'autoscala, mentre il prossimo anno saranno assegnate delle autopompeserbatoio.
Con riferimento alle missioni dei vigili del fuoco in territorio sammarinese, si fa rilevare come, in base all'attuale normativa, non risulti possibile retribuirle come missioni prestate all'estero. Si vedano, in proposito, la legge 6 giugno 1939, n. 1320, avente per oggetto: «Esecutorietà della convenzione di amicizia e buon vicinato stipulata in Roma tra l'Italia e la Repubblica di San Marino il 31 marzo 1939», e, inoltre, i decreti del Ministro dell'economia e delle finanze datati rispettivamente 13 gennaio 2003 e 6 giugno 2003 che, nell'indicare le misure delle diarie per le missioni estere, non elencano la Repubblica di San Marino tra gli Stati in relazione ai quali le diarie stesse spettano.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Maurizio Balocchi.


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BULGARELLI. - Al Ministro della difesa, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il poligono Interforze Salto di Quirra-Capo San Lorenzo il più vasto poligono d'Europa che si estende per 11.600 ettari nell'entroterra e 1.100 ettari lungo la fascia costiera (San Lorenzo). Le zone interdette o pericolose per la navigazione, annesse alla base militare, seguono quasi una linea retta che va da Siniscola a Castiadas, oltrepassano le acque territoriali e si estendono in acque internazionali impegnando oltre 2.800.000 ettari, una superficie che supera quella dell'intera Sardegna (kmq 23.821);
il «Poligono sperimentale di addestramento interforze del Salto Quirra», è suddiviso in due grandi e complessi sottoinsiemi: un «poligono a terra» con sede a Perdasdefogu e «un poligono a mare», con sede a Capo San Lorenzo. Il primo occupa una superficie di circa 12 mila ettari e si estende su tutta quella zona del Salto di Quirra che, partendo dai confini sud-orientali dell'abitato di Perdasdefogu, arriva quasi ai margini della baia di Capo San Lorenzo. Il secondo occupa invece una superficie di 2000 ettari e si estende per quasi 50 chilometri lungo il tratto orientale della costa compreso tra Capo Bella Vista a nord (Arbatax) e Capo San Lorenzo a sud (Villaputzu);
il poligono è adibito anche alla sperimentazione e al collaudo di siluri e materiale esplosivo da guerra; non è ben chiaro quante e quali armi si siano sperimentate in questo territorio, è però noto che non sono state provate solo armi del nostro esercito, ma anche armi di nazioni alleate e perfino di nazioni come la Libia;
il poligono è utilizzato, oltre che da Aeronautiche, Eserciti e Marine Nato, anche da ditte private costruttrici di sistemi d'arma. Funziona come grande fiera mercato dove industrie private effettuano prove, sperimentano e collaudano missili, razzi, armamenti e materiali da guerra e conducono organismi militari stranieri, i potenziali clienti, per le dimostrazioni promozionali delle armi prima degli acquisti;
nel primo semestre del '98 è stato impegnato dalla Fiat e dall'Alenia per complessive 244 giornate su 181 (più ditte private affittano spesso negli stessi giorni lotti diversi dello sterminato poligono). Nel costo di tale spazio sperimentale, circa 60-80 milioni al giorno, è incluso il diritto d'uso del mare sardo come bersaglio e discarica di missili e razzi di vecchia e nuova generazione;
l'intensa attività del poligono pone enormi problemi di ordine ecologico ed in termini di salute pubblica, in particolare da quando sono iniziate le sperimentazioni di munizioni radioattive ad uranio impoverito;
il moltiplicarsi dei morti per leucemia o sindrome di Hodgkin, decine di casi manifestatisi in pochi anni, distribuiti in un'area nella quale sono presenti solo cinquemila abitanti, in una zona altrimenti incontaminata dove al tramonto si possono osservare i fenicotteri, il Sarrabus, a circa 80 chilometri da Cagliari, hanno fatto parlare di sindrome di Quirra;
quasi tutte le vittime hanno in comune il fatto di aver lavorato all'interno del poligono di tiro per una ditta, la Vitrociset, che si occupa della manutenzione delle apparecchiature interne, o di aver lavorato o vissuto nelle campagne circostanti. Le persone colpite sono di tutte le età, compresi alcuni bambini. Ma anche i ragazzi che hanno prestato il servizio militare nella base militare di Quirra-Perdasdefogu o a Teulada; una dozzina sarebbero i casi accertati;
all'inizio di questa vicenda, con i primi casi di morti sospette segnalati nel 2000, pareva che ad essere colpiti dal male fossero reduci dai Balcani e dalle altre guerre umanitarie. Ma l'aumentare del numero dei ragazzi morti di leucemia o tumore, ha fatto emergere un dato comune anche a chi in zone di guerra non c'è mai stato: tutti avevano fatto il servizio militare nella base militare di Quirra-Perdasdefogu


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o a Teulada. L'ultima recente vittima: il venticinquenne Antonio Vargiu, che aveva prestato servizio di leva a Capo San Lorenzo;
da tempo diverse persone, abitanti della zona, il comitato Gettiamo le basi, i medici di base di Villaputzu, cercano di far luce sulla questione, sono stati svolti seminari ed incontri per informare gli abitanti del paese, sono stati eseguiti diversi prelievi ed analisi del terreno: è stata rilevata la presenza di uranio impoverito e cesio 136 ma, come è facile immaginare è molto difficile avere chiare informazioni sull'argomento; neanche il sindaco del paese, per quanto tenti le vie istituzionali, riesce ad ottenere risposte esaustive circa la natura e la gravità del problema;
una sentenza del Tribunale di Venezia dice a chiare lettere che a Quirra si muore di uranio impoverito sin dal 1977;
oltre ai rischi connessi alle sperimentazioni, per così dire di routine, vi sono quelli connessi a incidenti che, sfortunatamente, sono stati nel passato frequenti e gravi;
nel maggio 1998 (i due quotidiani dell'isola hanno dedicato pagine intere in data 28, 29, 30 maggio 1998). I missili furono recuperati nelle acque di Arbatax dopo giorni di ricerche: costituivano un pericolo, cioè erano carichi d'esplosivo;
a Maggio è avvenuto un (nuovo) «imprevisto» lancio di Hawk in base al programma reso noto alla Regione. Le norme in vigore impongono infatti che la programmazione semestrale sia obbligatoriamente proposta all'esame del Comitato Misto Paritetico e ottenga il parere favorevole della componente regionale, ma le attività concordate con i rappresentati della Regione sono state disattese ricorrendo ad una sorta di «variante in corso d'opera», verosimilmente senza dare alcuna comunicazione all'organismo istituzionalmente preposto «all'armonizzazione delle esigenze della Difesa con le esigenze della società civile»;
i parametri di sicurezza proposti sono risultati inattendibili o, peggio, inefficaci. Le prerogative dei rappresentanti della Regione Sardegna sono state raggirate con una scappatoia legale: un'ordinanza dello scorso febbraio, firmata dalle Capitanerie del porto di Cagliari e Arbatax, dal Comando militare della Sardegna e dal Comando del Poligono, ha dato il via libera ai lanci di missili Hawk per il mese di giugno. Il ricorso alle ordinanze «con le stellette» è uno dei vari modi di eludere e vanificare i controlli democratici imposti dalle leggi, 24 dicembre 1976, n. 898, 2 maggio 1990, n. 104 recanti norme in materia di servitù militari. Un altro sistema di uso corrente è l'impiego della dicitura «periodo da definirsi» in sostituzione delle date precise, obbligatorie per legge, entro cui effettuare i vari tipi di attività. Grazie a queste ambiguità, il poligono Salto di Quirra si è aggiudicato per il semestre in corso la straordinaria opportunità di effettuare a totale piacimento senza limiti di durata, senza obbligo di programmare un calendario, lanci ininterrotti di missili Aster 30, Kormoran, Iris-T nonché test di materiali esplosivi e voli addestrativi di Tornado per sei mesi su sei;
le conseguenze dell'intensificazione delle attività militari sono davanti agli occhi di tutti: quattro missili «difettosi» nell'arco di due mesi, quattro catastrofi rasentate (un incidente, non rilevato dalla stampa, si è verificato il 7 maggio: un missile fuori controllo è stato fatto esplodere in volo ed è ricaduto nell'area del poligono esponendo a gravi rischi il personale civile e militare);
pezzi del missile Aster 30 sono precipitati nell'aprile del 2003 in un ovile di Villasalto, che le forze armate hanno tentato di recuperare con inusuale solerzia e determinazione. «Il pezzo di missile ritrovato dopo un mese di intense ricerche» ha denunciato con comunicato il Comitato sardo gettiamo le Basi «appare diverso nelle foto pubblicate sulla stampa»;
sussistono ancora troppi interrogativi sul missile «impazzito» precipitato fuori dal poligono di Quirra;


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il generale Carlo Landi, comandante del Poligono interforze Salto di Quirra, ha fornito le spiegazioni sull'incidente del 16 aprile scorso. Stando alla prima versione, riportata dall'Unione Sarda (18-19 aprile 2003) e da Liberazione (24 aprile 2004) il missile Aster 30 è sfuggito ai comandi ed è stato fatto esplodere in volo;
la seconda versione è stata riportata da La Nuova Sardegna (1 maggio 2003). Il generale Landi afferma: «Il personale ha attivato le procedure di sicurezza e ha inviato il segnale di autodistruzione (...) abbiamo stabilito che il malfunzionamento del sistema di autodistruzione, localizzato all'interno del missile è stato provocato dai violentissimi movimenti (...)». Quindi, se il sistema di autodistruzione non ha funzionato o ha funzionato male, ne consegue che l'Aster 30 non è esploso in volo. Questa seconda versione dell'incidente concorda con numerose testimonianze, nessuno ha sentito esplosioni, molti hanno visto un oggetto precipitare tra le montagne, in una località diversa da quella in cui i militari hanno poi intrapreso le battute di caccia al missile. È confermata inoltre dal fatto che il pezzo di missile, oggetto della ricerca che si protrae da tre settimane, è proprio la testata, la parte che avrebbe dovuto esplodere;
«purtroppo per noi sardi», affermano i membri del Comitato sardo gettiamo le basi «è un fatto di routine che nelle zone fuori dal poligono ricadano "regolarmente" ordigni bellici di vario tipo, scarichi e carichi di esplosivo. Non è affatto normale, invece, che i militari si prendano la briga di recuperarli». Le campagne di Quirra sono infatti disseminate di residuati missilistici e persino missili interi, il cui smaltimento è affidato esclusivamente al gioco di onde e mareggiate;
«ancora più anormale» ricorda il comunicato «è il fatto che le forze armate mobilitino addirittura cacciatori e pastori per setacciare le montagne»;
l'oggetto della lunga e accanita ricerca è la testata telemetrica: 18 centimetri di diametro, circa 50/70 centimetri di lunghezza, 70 chili di peso. Il rapporto peso/dimensioni appare decisamente anomalo e il peso specifico così alto;
il comandante del poligono interforze Salto di Quirra ha spiegato alla stampa che i missili «perduti» sono recuperati quando sono ritenuti interessanti per la sperimentazione o quando costituiscono un grave pericolo, ma né l'esercito, né i dirigenti dell'Eurosam, né il consorzio d'imprese private costruttrici del missile «impazzito», secondo quanto riportato nel comunicato sono i primi responsabili dell'attentato alla sicurezza della popolazione, non hanno fornito chiarimenti esaustivi circa la natura della testata -:
se non si ritenga di dover urgentemente fornire all'opinione pubblica ed agli abitanti dell'area in questione dei chiarimenti circa l'incidente di cui sopra; se non si ritengano le violazioni dei procedimenti legali per la programmazione delle esperimentazioni estremamente gravi e sanzionabili; come si giustifichi la reticenza nell'ammettere che il missile in questione non fosse esploso e quali materiali compongono la testata smarrita;
se non si ritenga che i molteplici rischi a cui sono sottoposti gli abitanti dell'area in questione ed il susseguirsi di morti ed incidenti siano tali da richiedere un'attenta indagine effettuata da organismi non vincolati in alcun modo né con l'esercito, né con le aziende che usufruiscono del poligono (per l'incompatibilità, tra il ruolo di controllore e il ruolo di controllato, considerato che indagini su un poligono militare gestite dagli ambienti militari o dal ministero della difesa non offrono secondo l'interrogante le necessarie garanzie d'indipendenza e autonomia), un'indagine quindi che dia finalmente risposte esaustive e scientifiche sulle possibili contaminazioni attraverso la segnalazione dei rapporti isotopici con cui l'uranio si presenta: nel caso dell'immissione in ambiente e in particolare il rapporto U-234/U-238 e che comprenda la ricerca della distribuzione dei rapporti differenziali


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nelle diverse aree di Quirra interessate nel tempo da sperimentazione con dispositivi bellici, in modo da poter confinare aree che siano eventualmente state soggette a contaminazione;
se sia possibile conoscere il contenuto di rapporti ufficiali riguardanti l'inquinamento radioattivo nell'area, il nome dei laboratori incaricati delle analisi già svolte e i responsabili delle stesse in modo da consentire alla comunità scientifica una seria e documentata valutazione della ricerca;
se non si ritenga che, allo stato attuale, in attesa degli inderogabili accertamenti, non vi siano le condizioni per proseguire l'attività del poligono e se non si ritenga opportuno sospenderle avviando le indagini e quindi le eventuali bonifiche.
(4-10006)

Risposta. - Le affermazioni contenute in premessa all'interrogazione sulle «sperimentazioni di munizioni radioattive ad uranio impoverito» nei Poligoni sono prive di qualsiasi fondamento.
Come comunicato in precedenti atti di sindacato ispettivo, nei poligoni italiani non è previsto, né autorizzato, l'impiego di munizionamento «speciale», nel cui ambito è compreso quello all'uranio impoverito.
La situazione ambientale del Poligono interforze di Salto di Quirra ha, da tempo, particolare evidenza mediatica, in quanto alcuni organi di stampa hanno ricollegato il numero di casi di decesso causati da forme tumorali, riscontrati fra gli abitanti delle comunità residenti nelle zone limitrofe, al presunto impiego di munizionamento contenente Uranio impoverito nel poligono.
Nel merito, la Difesa ha sempre operato con la massima trasparenza e disponibilità alfine di fugare ogni dubbio, dimostrando, come peraltro sempre sostenuto, che presso tale poligono non erano mai stati utilizzati proiettili all'uranio impoverito.
A tale scopo, nel marzo del 2002, alcune misurazioni di campionature del terreno del poligono, effettuate alla presenza degli organi di stampa, consentirono di rilevare che i valori di radioattività nelle aree controllate erano nella norma.
Tali controlli diedero, peraltro, la possibilità di riscontrare la presenza di altri metalli pesanti dovuta, verosimilmente, alle attività minerarie preesistenti nella zona.
Pertanto, venne deciso di procedere all'effettuazione di una mappatura «a tappeto» del poligono, estendendo l'analisi anche al territorio circostante, con il prelievo di un significativo numero di campioni.
Ciò, con l'obiettivo di costituire un data base di riferimento, finalizzato alla predisposizione di un piano di controllo ambientale sistematico.
A tal fine, quindi, l'amministrazione difesa ha commissionato all'università degli studi di Siena uno studio per stabilire lo stato dell'ambiente della zona.
L'Ateneo senese ha reso, recentemente, disponibili i risultati degli studi svolti, relativi ad oltre 1.500 campioni e a circa 25.000 determinazioni analitiche, da cui, a conferma di quanto reso noto a suo tempo dal presidio multizonale dell'ASL di Cagliari, si evince che all'interno dell'area del poligono non è individuabile alcuna traccia di Uranio che abbia un'origine diversa da quella naturale, con il riscontro di valori anomali di metalli pesanti di accertata origine naturale.
Lo studio, nel contempo, ha consentito di rilevare che - in alcune zone al di fuori del Poligono, interessate da attività minerarie pregresse - le concentrazioni di alcuni elementi tossici raggiungono valori molto superiori ai limiti accettabili.
Al riguardo, è da evidenziare che da tempi molto remoti l'intera area è stata di interesse minerario e che, al di fuori del perimetro del poligono (località Baccu Locci, a circa 700 metri a Sud-Est), è presente una ex miniera, gestita dalla società Rumianca dal 1938 al 1965, anno della sua dismissione.
In merito, il responsabile scientifico della ricerca, il professor Riccobono, ha concluso lo studio proponendo un intervento di recupero, consistente nella rimozione e nell'appropriato collocamento dei fanghi di miniera consolidati.


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Tali materiali - estremamente inquinati da elementi tossici, soprattutto arsenico - sono al momento oggetto dell'erosione fluviale e dell'azione del vento che li ridistribuiscono continuamente su più vaste superfici, propagando questa anomalia geochimica artificiale fino al mare.
I risultati dello studio sono stati resi noti alle autorità istituzionali e al presidente della regione Sardegna; sono inoltre consultabili sul sito INTERNET del ministero della difesa.
In relazione ai restanti quesiti formulati dall'interrogante è opportuno precisare preliminarmente che qualsiasi attività svolta in poligono viene preventivamente valutata ed autorizzata solo dopo un esame dell'impatto ambientale e previa consultazione del Comitato misto paritetico costituito presso la regione Sardegna, ai sensi della legge n. 898 del 1976.
Inoltre, ogni attività esercitativa è soggetta ad una rigorosa applicazione di specifiche norme tese a garantire il rispetto degli aspetti di sicurezza e di impatto ambientale.
Al tal riguardo le presunte violazioni di obblighi di legge cui l'interrogante fa riferimento sono, in realtà, variazioni nella programmazione delle attività del poligono dovute a sopravvenute esigenze di natura addestrativa/operativa, che non hanno comportato alcun incremento qualitativo o quantitativo delle attività pianificate e, a suo tempo, comunicate al Comitato paritetico misto (Co.Mi.Pa.) in accordo alle disposizioni vigenti.
In altri termini si è trattato solo di modifiche alla tempistica e non di un incremento di attività.
Sull'incidente avvenuto il 16 aprile 2003 durante il lancio di un missile Aster 30, si confermano gli elementi di risposta già forniti in più occasioni per analoghe interrogazioni sulla medesima tematica (2-00810-4-09057-4-09377-5-01954-5-02230).
Il Comando del poligono, nell'occasione, si è attivato immediatamente rendendo noto l'accaduto e fornendo tutte le informazioni disponibili all'autorità giudiziaria competente.
Per quanto concerne la dinamica dell'evento si rammenta che il missile è stato seguito costantemente grazie alle apparecchiature di telemisura di cui è dotato il poligono.
Nella circostanza una parte di missile è esplosa, mentre la restante ha continuato la sua traiettoria a seguito di un malfunzionamento del missile stesso, non imputabile in alcun modo né al poligono né al personale.
Si precisa, inoltre, che la testata del missile Aster 30 usata durante il lancio del 16 aprile 2003 era del tipo telemetrico e conteneva componenti elettroniche che, oltre alla guida del missile, servivano a trasmettere a terra i dati di funzionamento durante il volo. Pertanto, le affermazioni sulla presenza di materiale esplosivo nella testata del missile sono prive di qualsiasi fondamento.
Altresì, l'affermazione riportata in premessa sull'uso del mare sardo come bersaglio e discarica di missili e razzi di vecchia e nuova generazione, è destituita di fondamento.
Lo smaltimento di qualsiasi materiale di armamento impiegato dalle Forze armate avviene seguendo precise procedure tecniche e di sicurezza, nel rispetto delle leggi e delle normative vigenti.
Appare, inoltre, opportuno ribadire che le attività addestrative militari svolte nel poligono sono propedeutiche e necessarie a conseguire quella capacità operativa che è requisito imprescindibile di uno strumento militare moderno ed efficace, il cui mandato di difesa della nazione, dei suoi confini e della collettività, discende direttamente dal dettato costituzionale.
In ultimo, per quanto riguarda la tutela del territorio e della collettività, è utile ricordare l'impegno profuso in tal senso da parte degli organi militari per:
a) incrementare le aree di sicurezza in coordinamento con le autorità locali;
b) implementare la professionalità del personale del Poligono, attraverso corsi di aggiornamento;


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c) potenziare la strumentazione di controllo e analisi, per mantenere costantemente elevato il livello tecnologico.

Queste iniziative, che conseguono a direttive emanate dagli organi sovraordinati al Comando del poligono in epoca antecedente gli eventi che formano oggetto dell'interrogazione, sono tutte in corso di ultimazione e migliorano i già elevati standard di sicurezza.
I risultati ottenuti classificano il poligono tra le strutture più sicure d'Europa.
Sulla base delle citate risultanze, non si ritiene esistano motivazioni tecnico-operative per sospendere le attività del poligono come richiesto dall'interrogante.
Il Ministro della difesa: Antonio Martino.

BULGARELLI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
sul Cessna 500, partito alle 5 da Roma Ciampino il 24 febbraio 2004 e precipitato su un costone dei monti dei Sette Fratelli nei pressi di Cagliari viaggiavano sei persone: tre membri dell'equipaggio, due austriaci, un italiano e tre medici del reparto di Cardiochirurgia dell'ospedale Brotzu di Cagliari. Tutti morti sul colpo nell'impatto; l'incidente ha avuto una certa risonanza mediatica anche perché l'equipe medica che viaggiava sull'aereo trasportava un cuore da trapiantare;
«Ho visto una "palla di fuoco" in direzione della montagna», racconta un operaio di Burcei, il quale ha praticamente assistito all'impatto del Cessna 500 contro la catena montuosa. L'uomo ha riferito l'episodio ad una pattuglia dei carabinieri di San Vito, che ha incrociato alle 5.50 mentre si stava dirigendo verso Cagliari. Anche un elicotterista della Protezione civile ha, secondo quanto riporta la stampa, visto: «Una fiammata nera ed è andato giù. Non era possibile restare in hovering (volo stazionario) perché c'era troppa turbolenza e non è stato possibile. Comunque dall'elicottero ho visto che l'aereo ha impattato una guglia: sulla parete c'è stata una fiammata nera e l'aereo è andato giù. Si è proprio schiantato li e si è disintegrato sotto»; entrambi i testimoni avrebbero quindi assistito all'incidente mentre questo era già in corso, cioè, mentre l'aereo precipitava;
il Cessna è scomparso dai radar dell'aeroporto di Elmas ha perso il contatto con la torre di controllo poco prima delle 6 di quella mattina. Le ricerche sono scattate e immediatamente, e poche ore dopo è stato individuato il relitto. Il luogo dove sono stati trovati i relitti del velivolo è stato quindi raggiunto da una squadra del Soccorso alpino che ha recuperato finora solo due corpi;
i resti dell'aereo sono stati trovati vicino alla cima del monte Cresia da un elicottero del Sar (Search and Rescue) dell'Aeronautica militare. L'agenzia nazionale per la sicurezza del volo (Ansv) ha aperto un'inchiesta sull'incidente;
secondo quanto riportato da uno spaccio di una agenzia di stampa del 2 marzo a ricostruire il «buco nero» esistente nei tracciati audio e radar tra la torre di controllo dell'aeroporto militare di Decimomannu (Cagliari) e il pilota del Cessna 500 sono stati chiamati gli esperti della base militare di Taranto e nella fase di riascolto del nastro le conversazioni sono sparite. Il «buco nero», secondo indiscrezioni, comincia alle 5,30 e dura sino alle 5,49, cioè sino al momento dell'impatto. Non si può escludere che il registratore non abbia funzionato, ma poiché si percepiscono alcune voci sembra più probabile che la traccia audio sia stata captata e poi, chissà come, sparita. Inutile aggiungere che queste conversazioni avrebbero permesso di ricostruire le causedell'incidente con certezza;
le cause della tragedia restano quindi ignote. In attesa di ulteriori accertamenti della magistratura, le autorità hanno stabilito che il Cessna volava a una quota più bassa di quella prevista e avrebbe urtato, con la fusoliera, contro una guglia ma,


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secondo l'interrogante, senza la scatola nera non si tratta che di un ipotesi di comodo; sui monti dei Sette Fratelli c'era infatti un po' di foschia ma troppo leggera per giustificare l'accaduto, inoltre la rotta che avrebbe preso il veivolo sarebbe quantomeno insolita poiché, com'è noto a tutti i piloti che praticano quei cieli è particolarmente pericolosa ed è evitata da tutti, occorre quindi supporre, a giudizio dell'interrogante, che qualcosa abbia spinto o precipitato colà il Cessna;
la Nuova Sardegna del 25 maggio 2004 riferisce un'ipotesi del figlio del pilota che guidava l'aereo, ipotesi che si appoggia ad un fatto ormai noto: nell'ultima settimana di febbraio lo spazio aereo fra Sinnai e Cagliari era off limits seppure a tempo per un'esercitazione militare e lì - alle 5,40 di martedì 24 febbraio - volava il Cessna, in avvicinamento a Elmas; il traffico militare potrebbe essere causa dell'improvviso e inspiegabile cambiamento di rotta dell'Executive, con la discesa fatale a quota tremila piedi;
i piloti sono a conoscenza di divieti, esercitazioni militari e traffico aereo sulla rotta grazie ai notam, (Notice to airman); questi sono bollettini indispensabili per evitare collisioni, non trovarsi al centro di un attacco simulato, oppure finire in un'area interdetta dalla sicurezza, leggi provvedimenti anti terrorismo. Il «notam», a Ciampino, fu consegnato anche a Helmut Zulner, dopo la presentazione del piano di volo: decollo e destinazione Cagliari-Elmas. Ma quando il Cessna era pronto per l'atterraggio tanto da essere agganciato dal radiofaro di Capo Carbonara, è stato costretto da qualcosa o da qualcuno a uscire dall'aerovia sicura, che lo avrebbe portato dritto fino alla pista sullo stagno di Santa Gilla;
è anche ormai noto che lo stesso giorno è caduto un missile, i responsabili del poligono da cui è partito l'ordigno hanno assicurato che tutto era sotto controllo e che il missile era stato fatto esplodere di proposito seguendo il copione di un esercitazione. Ma che esercizi di tal fatta siano fatti nei pressi della costa e non nel poligono o in mare aperto è alquanto inusitato. È quindi legittimo supporre che qualcosa sia andato storto quel giorno;
le possibilità di un legame tra il volo del Cessna e le esercitazioni militari si moltiplicano, difficile altrimenti spiegare perché il comandante Helmut Zurner abbia cambiato rotta, violando così la quota-sicurezza, che gli era nota e la normale procedura a cinquemila piedi;
il figlio del pilota ha ricordato alla stampa locale che il padre, con dodicimila ore di volo sui Cessna non si affidava mai al volo, a vista. Ma sempre e soltanto ai più sicuri voli strumentali. Secondo gli interroganti, è impossibile che di colpo quella mattina abbia preso una simile decisione in un'area pericolosa come quella dell'incidente senza validi motivi la risposta sta nel buco sopra descritto;
a dodici miglia dal radiofaro, il Cessna lasciò l'aerovia sicura e visto che aveva già individuato l'aeroporto, chiese e ottenne l'autorizzazione al volo a vista, dopo aver ascoltato anche le ultime informazioni sulle condizioni meteo: compresa la segnalazione sul banco di nebbia su Monte Cresia, fatale insieme al volo a bassa quota? La risposta è nei contatti via radio con il controllo aereo dove, come si ricordava, c'è un inquietante buco di pochi minuti;
infine c'è un giallo su un aereo non identificato sulla rotta dell'aereo che si è schiantato sulla cima di Bacu Malu. «Un caso anomalo», dicono nelle conversazioni via radio i controllori di volo che hanno avvistato l'intruso identificandolo con un atlantique anti sommergibile. Non si sa infatti chi aveva autorizzato il mezzo a volare in un area dove era appena avvenuto l'incidente, e, soprattutto non è chiaro dove si trovasse verso le 5.49, ora in cui il Cessna ha impattato contro la montagna;
gli uomini radar si sono scambiati queste battute: «Vediamo una traccia a


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bassa quota a circa 400 piedi (circa 130 metri), potrebbe essere un Atlantique, dalle parti di Costa Rey, un po' più a nord. Forse è in contatto con Perdas e non con noi, una cosa un po' anomala»;
gli uomini radar videro che l'aereo misterioso erano in contatto con Perdasdefogu. In teoria quello è solo un poligono interforze che non ha nessuna competenza o giurisdizione sul controllo degli spazi aerei non avendo neppure una pista d'atterraggio;
a tre mesi dalla tragedia, data la gravità dell'accaduto e, soprattutto per evitare il ripetersi di una simile tragedia, l'interrogante ritiene opportuno che il ministero della Difesa contribuisca a far luce a prescindere dalle indagini in corso sollevando almeno in parte la coltre di mistero che grava sull'accaduto -:
se, secondo quanto risulta al Ministro, l'interporto in questione sia autorizzato a concedere spazi aerei senza informare il preposto centro di controllo (Decimomannu) e cosa rivelino i suoi tracciati;
se sia stato identificato il velivolo che ha attraversato la zona;
quali esercitazioni erano in corso il giorno in cui è avvenuto l'incidente e in che fasce orarie;
se risulta che lo stesso giorno, verso le 10,30 sia precipitato un missile negli orti che circondano Muravera.
(4-10228)

Risposta. - In merito all'incidente cui si fa riferimento nella presente interrogazione, sono in corso le attività d'indagine da parte dell'Autorità giudiziaria competente e dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo.
L'autorità giudiziaria ha provveduto al reperimento della documentazione presso enti della Forza armata.
Nel sottolineare che sull'intera vicenda vige, pertanto, il segreto istruttorio, l'amministrazione Difesa resta disponibile a fornire ogni ulteriore contributo all'autorità inquirente.
Il Ministro della difesa: Antonio Martino.

BULGARELLI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
in data 20 luglio 2004, l'Assemblea Generale dell'Onu ha approvato a stragrande maggioranza - 150 paesi a favore, tra cui tutti i 25 aderenti all'Unione europea, e soli 6 contrari - una risoluzione in cui si chiede allo Stato di Israele lo smantellamento della barriera di sicurezza tra Israele e la Cisgiordania;
la risoluzione segue il parere espresso il 9 luglio dalla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja, secondo la quale la costruzione di una barriera di separazione all'interno e intorno alla Cisgiordania è illegale; la risoluzione approvata dall'assemblea delle Nazioni unite il 20 luglio ribadisce tale concetto, chiedendo ai paesi dell'Onu «di non riconoscere la situazione illegale scaturita dalla costruzione del muro nel territorio palestinese occupato, compreso all'interno e intorno a Gerusalemme», e di non accettare né prestare assistenza «per mantenere la situazione creata da tale costruzione»;
la risoluzione chiede inoltre al segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, di aprire un registro con tutti i danni causati dalla barriera di sicurezza e invita israeliani e palestinesi a osservare i rispettivi obblighi definiti dalla Road Map, in vista della nascita di uno Stato palestinese accanto ad Israele;
pur non essendo vincolanti, sia il parere della Corte di Giustizia dell'Aja che la risoluzione approvata dall'Onu assumono un significato politico straordinario e rappresentano una nettissima condanna della politica seguita dal governo presieduto da Ariel Sharon, bocciando senza appello il progetto di costruzione del Muro; appare dunque particolarmente grave che Israele abbia ufficialmente affermato che non


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terrà in alcuna considerazione pronunciamenti così autorevoli e condivisi -:
se il nostro Governo intenda intraprendere, nelle opportune sedi diplomatiche internazionali, iniziative volte a far recedere il governo di Tel Aviv dal suo progetto di costruzione del Muro;
se non ritenga opportuno, in considerazione dell'atteggiamento dello stato di Israele, rivedere i numerosi rapporti di scambio e cooperazione con esso intrattenuti.
(4-10569)

Risposta. - Il nostro Governo ha sempre prestato una particolare attenzione alle problematiche sollevate dall'interrogante, in coerenza con il suo tradizionale e forte impegno per ricercare una soluzione pacifica e negoziata della crisi in Medio Oriente, senza pregiudicare l'obiettivo fondamentale della sicurezza d'Israele.
L'elevatissimo grado di priorità attribuito anche dall'Unione europea all'attuale situazione in Medio Oriente e alle prospettive del processo di pace, ha costituito uno degli argomenti centrali all'ordine del giorno di tutti i più recenti incontri dei Ministri degli affari esteri UE e degli ultimi consigli europei.
È bene sottolineare altresì che tutte le Dichiarazioni dell'Unione relative alla situazione in Medio Oriente contengono il costante richiamo alla necessità di continuare a considerare i contenuti della
Road Map del Quartetto come premessa per una soluzione pacifica ed equa del conflitto israelo-palestinese.
Al tempo stesso, l'Unione ha costantemente manifestato nei competenti fori internazionali la convinzione che la soluzione del conflitto arabo-israeliano debba trovare necessariamente il proprio fondamento nella ripresa del dialogo e del negoziato politico tra le parti, anziché nel ricorso a pur autorevoli istanze giuridiche internazionali, preposte alla soluzione delle controversie tra gli Stati.
Per quanto concerne, in particolare, il parere espresso dalla Corte Internazionale di Giustizia sulla «barriera di sicurezza» il 9 luglio 2004 sin dal Consiglio Europeo del 16 ottobre 2003, l'UE ha espresso preoccupazione per il tracciato del muro di sicurezza della Cisgiordania occupata. Nelle conclusioni della Presidenza italiana veniva rilevato che la prevista deviazione del tracciato rispetto alla «linea verde» (la linea di armistizio del 1949) avrebbe, potuto pregiudicare futuri negoziati e rendere fisicamente impossibile l'attuazione della soluzione dei due Stati. La deviazione dalla linea verde arrecherebbe inoltre ai palestinesi ulteriori sofferenze sotto il profilo umanitario ed economico.
L'Italia in particolare, nei suoi contatti con le Autorità israeliane, pur riconoscendo il diritto israeliano a difendersi con tutte le misure opportune dal terrorismo garantendo la sicurezza dei propri cittadini, ha espresso la propria preoccupazione per il tracciato del muro di sicurezza invitando il Governo israeliano a non proseguire la costruzione lungo le linee attuali. A tal fine l'attività di costruzione del muro viene monitorata attentamente, in stretto contatto con i
partner europei ed anche attraverso sopralluoghi, anche per garantire la tutela dei Luoghi Santi e degli Enti ecclesiastici presenti in Terra Santa.
In occasione del voto sulla Risoluzione ES 10/L. 16 dell'8 dicembre 2003, con cui l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite chiedeva alla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja (CIG) un parere sulle conseguenze giuridiche della costruzione della cosiddetta barriera di sicurezza israeliana, i Venticinque, aderendo alla posizione suggerita dalla Presidenza italiana, si sono astenuti dichiarandosi contrari sia alla costruzione della barriera di sicurezza nella misura in cui essa penetra nei territori occupati, sia ad un coinvolgimento della CIG in una questione dal carattere eminentemente politico che potrebbe portare all'irrigidimento delle Parti sulle proprie posizioni, sviando l'attenzione dal processo negoziale e dall'obiettivo primario di attuare la
Road map.
D'altra parte, l'Unione europea aveva già votato in blocco a favore della Risoluzione ES-10/13 del 21 ottobre 2003 con la quale l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite aveva rilevato che il tracciato della barriera


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in costruzione nei territori Occupati, dal momento in cui si distanziava dalla linea d'armistizio del 1949, disattendeva alle pertinenti disposizioni di diritto internazionale. Per tali motivi era stato reputato superfluo un ulteriore pronunciamento della CIG.
Il Governo, dopo che la CIG è stata investita della questione, e conformemente con quanto concordato a livello europeo, ha comunque presentato alla Corte una dichiarazione a titolo nazionale - redatta in stretto collegamento con i servizi giuridici degli altri Stati membri dell'Unione - coerente con la linea concordata in seno all'Unione europea.
A prescindere dalle posizioni dell'Italia e dell'Unione europea sulla necessità o meno del parere consultivo reso dalla CIG, il gruppo arabo ha presentato all'Assemblea generale delle Nazioni Unite una bozza di risoluzione volta ad adottarne le conclusioni rese pubbliche il 9 luglio scorso. Il testo della risoluzione inizialmente appariva sbilanciato. Il Gruppo arabo ha poi accolto, all'ultimo momento, dopo un altalenante non facile negoziato, i significativi emendamenti che la Presidenza dell'Unione europea aveva proposto in coordinamento con i Venticinque (in particolare, i riferimenti al diritto di ogni Stato all'autodifesa, il diritto di Israele ed il dovere dei Palestinesi di prevenire e lottare, contro il terrorismo, nonché al percorso tracciato dalla
Roadmap).
Anche a fronte dell'autorevolezza del parere della CIG che, seppur non vincolante, rappresenta un importante richiamo ai doveri del Governo israeliano, l'Unione Europea ha deciso unanimemente di votare a favore della risoluzione adottata dall'Assemblea Generale il 20 luglio con 150 voti favorevoli, 6 contrari e 10 astenuti; risoluzione che non sembra discostarsi dalla tradizionale posizione dell'Unione in materia al punto da giustificare una revisione degli attuali rapporti UE-Israele.
Il Governo ha sottolineato che il parere della Corte conferma nel contenuto un'opinione nota dell'Europa, ma che la procedura scelta rimane, inappropriata poiché quello della barriera di separazione è un tema squisitamente politico e ricorrere a metodi giuridici per risolvere un problema politico è inappropriato.
L'Unione europea ha ripetuto e ripeterà a Israele di rivedere il tracciato del muro di sicurezza laddove questo percorre i Territori occupati, così come ha anche fatto l'Alta Corte israeliana con un atto vincolante cui riteniamo il governo di Israele si atterrà.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Luigi Mantica.

CIRIELLI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nell'anno 2000 sono stati banditi due concorsi pubblici, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 16 del 25 febbraio 2000 entrambi nell'amministrazione civile del ministero dell'interno, direzione generale della protezione civile e dei servizi antincendi, dipartimento dei vigili del fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile e precisamente:
concorso per l'assunzione di 101 posti di addetto ai terminali evoluti nel supporto tecnico nel corpo nazionale dei vigili del fuoco;
concorso per l'assunzione di 64 posti di operatore sala macchine nel supporto tecnico nel corpo nazionale dei vigili del fuoco;
entrambe le procedure concorsuali si sono concluse con la pubblicazione delle relative graduatorie rispettivamente con decreto ministeriale del 6 dicembre 2001 per il concorso a 101 posti per addetto ai terminali evoluti e con decreto ministeriale del 12 novembre 2001 per il concorso a 64 posti per operatore sala macchine; in un successivo momento hanno avuto luogo le assunzioni dei rispettivi vincitori del concorso risultati idonei alla figura professionale richiesta;
in data 31 dicembre 2002 il ministero dell'interno, e precisamente il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, faceva richiesta di autorizzazione ad assumere altre


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686 unità di cui 109 per il settore informatico; di queste 109 unità ne sono state assunte soltanto 60 attingendo i nominativi dalle precedenti graduatorie ancora in vigore;
in data 12 novembre 2003 è scaduto il termine ultimo di validità della graduatoria del concorso per l'assunzione di 64 posti di operatore sala macchine mentre il termine ultimo di validità del concorso per l'assunzione di 64 posti di operatore sala macchine è scaduto il 6 dicembre 2003;
in base all'articolo 3 comma 153 della legge finanziaria 2004 è stata concessa una proroga, fino al 31 dicembre 2005, alle graduatorie dei concorsi pubblici a 184 posti di vigile del fuoco, indetto con decreto del Ministro dell'interno del 6 marzo 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4 serie speciale, n. 24 del 27 marzo 1998, e del concorso per titoli a 173 posti di vigile del fuoco, indetto con decreto del Ministro dell'interno del 5 novembre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4 serie speciale, n. 92 del 20 novembre 2001;
appare evidente, dai fatti sopra esposti, che c'è una cospicua richiesta di personale nel settore informatico -:
se e quali iniziative, anche di natura normativa, intenda adottare per porre un definitivo chiarimento alla vicenda sopra esposta, con particolare riferimento alla possibilità di promuovere una proroga alle graduatorie del concorso per 101 posti di addetto ai terminali evoluti e del concorso per l'assunzione per 64 posti di operatore sala macchine, così come già avvenuto nella legge finanziaria 2004 per le graduatorie dei concorsi pubblici sopra indicati, onde evitare un inutile spreco di risorse economiche, sia da parte del Ministero dell'interno sia da parte dei candidati, per bandire nuovamente un concorso pubblico per l'assunzione delle figure professionali richieste.
(4-09351)

Risposta. - Il problema rappresentato dall'interrogante è stato risolto in sede di conversione del decreto-legge 30 gennaio 2004, n. 24, recante «Disposizioni urgenti concernenti il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e della carriera prefettizia, nonché in materia di accise sui tabacchi lavorati».
Infatti, tale articolato, nel testo emendato dalla legge di conversione 31 marzo 2004, n. 47, prevede al comma 2 dell'articolo 3-
ter il differimento al 31 dicembre 2005 delle graduatorie del concorso pubblico a sessantaquattro posti di operatore sala macchine, indetto con decreto direttoriale 7 febbraio 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - 4a serie speciale - n. 16 del 25 febbraio 2000, e del concorso pubblico a centouno posti di addetto ai terminali evoluti, indetto con decreto direttoriale 7 febbraio 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - 4a serie speciale - n. 16 del 25 febbraio 2000.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Maurizio Balocchi.

GIULIO CONTI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), mediante atto a firma del Segretario Generale, Dottor Raffaele Pagnozzi, ha attestato che la Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali (FIJLKAM) è la sola Federazione riconosciuta ed autorizzata a gestire, disciplinare ed organizzare in Italia l'attività sportiva e promozionale del Judo, eccetera (omissis) ed è la sola Federazione autorizzata a rappresentare in Italia e all'estero gli sport del Judo, eccetera (omissis);
tale attestato risulta ambiguo poiché, se rilasciato dal Segretario Generale del CONI, dovrebbe riferirsi unicamente alle Federazioni CONI. Nello scritto non vi è però traccia inerente a questo importante argomento;
l'attestazione di cui sopra, secondo l'interrogante, risulta in palese contrasto con le norme inerenti il diritto alle pari


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opportunità e ci si chiede se non possa configurarsi nella concorrenza sleale. Si ritiene inoltre anticostituzionale in quanto viola il diritto sancito dal libero associazionismo;
nel primo periodo dell'attestato, infatti, si parla di attività promozionale, ignorando tutti gli Enti di Promozione riconosciuti dallo Stato Italiano che svolgono appunto attività promozionale. Nel secondo periodo, affermando che la FIJKAM è la sola Federazione autorizzata a rappresentare in Italia e all'estero le discipline in questione, si contrasta, secondo l'interrogante, palesemente la sentenza del Tribunale Ordinario di Roma - 1a Sezione Civile - che respinge il ricorso della Federazione Italiana Kendo (FIK), aderente al CONI, quale unica Federazione autorizzata ad organizzare attività agonistiche, Campionati e Selezioni Nazionali, Rappresentative Nazionali Italiane nei confronti delle Federazioni privatizzate di Kendo CIK, AIK e FENIKE. La sentenza sancisce quindi a tutte le Federazioni Sportive Nazionali privatizzate il diritto di promuovere le loro discipline in Italia e all'estero anche con Squadre Nazionali -:
se non si ritenga opportuno intervenire per chiarire che il CONI è libero di sostenere i propri diritti per quanto riguarda le Federazioni aderenti, ma non può limitare i diritti in campo nazionale ed internazionale di Federazioni privatizzate che non usufruiscono di fondi pubblici e svolgono positivamente i loro compiti sportivi ed educativi.
(4-09466)

Risposta. - È opportuno innanzitutto rammentare che la legge istitutiva del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, nonché lo stesso Statuto e quello delle Federazioni sportive nazionali prevedono che il riconoscimento ai fini sportivi delle medesime Federazioni e della loro attività in campo internazionale sia prerogativa del Consiglio Nazionale del CONI.
Si rammenta, inoltre, che lo stesso CONI, al quale è demandata la cura ed il coordinamento dell'attività sportiva sul territorio nazionale dettandone i princìpi fondamentali, esercita un potere di controllo su tali Federazioni, sulle discipline associate e sugli Enti di promozione sportiva riconosciuti.
Precisato quanto sopra, si rappresenta anche che l'attività sportiva svolta dalle predette Federazioni e dalle discipline associate sono svolte in armonia, non solamente con le deliberazioni e gli indirizzi del CONI, ma anche del Comitato Internazionale Olimpico e delle Federazioni internazionali.
Infatti, come in ambito nazionale è previsto che per ogni sport non può esistere più di una Federazione riconosciuta dal CONI, si sottolinea che anche in ambito internazionale le Federazioni internazionali non possono riconoscere più di una Federazione in ogni Nazione e che il CIO non riconosce più di una Federazione internazionale per ogni sport.
Alla luce di quanto sopra esposto, si ritiene, pertanto, che «l'attestazione» citata dall'onorevole interrogante risulta redatta nel pieno rispetto di tali norme, essendo la FIJLKAM la sola Federazione riconosciuta ed autorizzata a rappresentare in Italia ed all'estero gli sport indicati nel suo Statuto e cioè Judo, Lotta, Karate, Aikido, Ju Jitsu e Sumo.
Lo stesso Statuto stabilisce infatti che la FIJLKAM è costituita da società, associazioni ed organismi sportivi affiliati che svolgono attività sportiva e promozionale senza scopo di lucro in tutti gli stili e le specialità sopra descritte, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi delle rispettive Federazioni internazionali ed in conformità con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI.
Le Associazioni e le Federazioni sportive esterne a tale tipo di struttura organizzativa possono pertanto svolgere la loro attività promozionale sportiva in tali discipline nei circuiti non riconosciuti ufficialmente dal CIO e dal CONI.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Mario Pescante.


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COSTA. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
nonostante il concomitante svolgimento di operazioni militari, l'estrazione e la vendita del petrolio iracheno continua tuttora anche se a ritmo ridotto -:
per quanto risulti al Governo, quali imprese, enti o istituzioni - locali o straniere - gestiscono attualmente le operazioni di estrazione, trasporto e commercio di greggio iracheno;
a quanto ammonti il giro d'affari nel settore e quale sia la destinazione dei proventi delle vendite dei barili di greggio.
(4-10520)

Risposta. - Sul mercato iracheno la produzione, la raffinazione e la vendita di petrolio continua ad andare avanti pur in difficili condizioni di sicurezza e comunque al di sotto del potenziale che l'Iraq possiede.
Il Ministero del petrolio controlla direttamente le attività connesse con questo settore attraverso imprese pubbliche specializzate, presenti nelle aree geografiche del Paese in cui si concentra la maggior parte della capacità produttiva, ovvero a Nord (zona di Kirkuk) e a Sud (nell'area di Bassora). Nello specifico, si tratta di imprese coinvolte nella ricerca ed esplorazione dei siti (
Oil Exploration Company) nella trivellazione (Iraqi Drilling Company), nella produzione (North Oil Company e South Oil Company) e nella raffinazione del greggio (tre compagnie sono attive in questo campo, dislocate nelle tre aree del Paese in cui si concentra la fase di raffinazione, Beji a Nord, Durra ai Centro e Bassora a Sud).
L'Iraq è al momento esportatore di greggio ed importatore di prodotti «raffinati». Ciò anche a causa dello stato obsoleto in cui versano gli impianti di raffinazione esistenti, dotati di macchinari ben al di sotto degli
standard europei o americani.
In termini di produzione, essa ammonterebbe al momento, stando ai dati relativi al primo semestre del 2004, a 2,4 milioni di barili al giorno (di cui il 75 per cento nell'area di Bassora e la maggior parte del restante 25 per cento nell'area di Kirkuk). Di questi, circa 1,6 milioni sono destinati all'esportazione, soprattutto attraverso il polo di Bassora, essendo ancora, proibitive le condizioni di sicurezza nell'area di Kirkuk. Tali esportazioni si dirigono principalmente verso il mercato asiatico (circa il 50 per cento grazie alle condizioni più redditizie del mercato in quest'area) verso gli Stati Uniti, in minima parte, almeno per quanto attiene al canale via Bassora, in Europa. È stato sottolineato, che la produzione attuale è ben al di sotto del potenziale del Paese.
Quanto ai profitti derivanti dall'esportazione di petrolio, essi confluiscono nel DEI (
Development Fund for Iraq) attivo presso la Federal Reserve e gestito dal Governo interinale iracheno, attraverso un sistema bancario che coinvolge anche la Banca Centrale Irachena. In particolare, attraverso il coordinamento del Ministero delle finanze e del Ministero della pianificazione e con decisione del Primo Ministro, il Governo di Baghdad individua i settori prioritari verso cui destinare i finanziamenti disponibili. Tra i principali, il settore del cibo, la sicurezza (con tutto ciò che essa implica), l'elettricità, le risorse idriche, i servizi, la previdenza sociale, l'istruzione, la sanità.
Quanto infine alla partecipazione di imprese straniere, al momento si lavora principalmente con
contractors iracheni dato che le attuali condizioni di sicurezza incidono oggettivamente sulle componenti di rischio di eventuali investimenti.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Luigi Mantica.

D'AGRÒ. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
nell'ambito della riforma che ha istituito l'agenzia delle dogane, si sta procedendo alla riorganizzazione degli uffici doganali, con la conseguente delega di numerose competenze;


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in passato la dogana di Vicenza è stata spesso esclusa dalla gestione di competenze, anche importanti, obbligando le imprese a rivolgersi ad uffici doganali più scomodi, con conseguenti aggravi di costi;
la provincia di Vicenza è al secondo posto in Italia per transazioni commerciali di import-export -:
se non sia opportuno il riconoscimento, da parte dell'agenzia delle dogane, della crescente importanza della dogana di Vicenza, delegandole buona parte delle competenze attualmente attribuite alla circoscrizione doganale di Padova, in particolare in materia di regimi doganali economici, dal momento che da tali autorizzazioni dipende l'operatività di settori industriali tipici della provincia vicentina (orafo, concia, tessili, pelli, meccanica).
(4-08037)

Risposta. - L'interrogante chiede di valutare l'opportunità che venga riconosciuta la crescente importanza della dogana di Vicenza mediante delega alla stessa di parte delle competenze attualmente attribuite alla circoscrizione doganale di Padova.
Al riguardo, l'Agenzia delle dogane ha fatto presente che la dogana di Vicenza dipende dalla circoscrizione doganale di Padova, per cui gli operatori, per il rilascio di alcune autorizzazioni, devono far riferimento alla predetta circoscrizione.
È necessario far presente che, a seguito dell'attivazione dell'Agenzia delle dogane, la competenza a rilasciare autorizzazioni in materia di regimi doganali economici è stata quasi totalmente attribuita alle dogane, mentre alle circoscrizioni doganali è rimasta la competenza per le operazioni di ammissione al regime di importazione ed esportazione temporanea ai sensi dell'articolo 214 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale.
L'Agenzia delle dogane ha comunicato che con l'istituzione dell'ufficio delle dogane di Vicenza, che avverrà entro l'anno 2004, senz'altro troveranno soluzione le preoccupazioni espresse dall'interrogante.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Maria Teresa Armosino.

FATUZZO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in tutta la nostra penisola continuano a verificarsi tentativi da parte delle organizzazioni criminali, spesso ben riusciti, di clonare carte di credito e tessere per bancomat;
nel periodo compreso tra il marzo del 2001 ed il gennaio del 2003 si sono registrate ben 23 operazioni di polizia giudiziaria legate al traffico di carte di credito, con 88 persone tratte in arresto ed altre 74 denunciate;
nello stesso periodo sono state individuate sei associazioni a delinquere finalizzate alla ricettazione e all'utilizzo di carte di credito rubate, contraffate o duplicate; inoltre, nel 2001 i carabinieri hanno sequestrato oltre 400 carte di credito clonate;
il primo semestre di quest'anno ci preannuncia dati allarmanti, conseguenza di un inasprimento del fenomeno e del numero via via sempre maggiore di utenti truffati;
questi dati dimostrano come i sistemi di protezione attualmente adottati per garantire la sicurezza e la tranquillità ai titolari di tali carte di pagamento risultano ormai obsoleti e non più in grado di contrastare le sofisticate strumentazioni di cui dispongono le organizzazioni criminali -:
se non ritenga opportuno adottare le opportune iniziative normative per introdurre nuovi sistemi di sicurezza (impronte digitali, iride, eccetera) in grado di rendere maggiormente sicuro il metodo di circolazione del denaro tramite tessere magnetiche.
(4-07090)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame, intesa a sollecitare iniziative


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per rendere più sicuro il metodo di circolazione del denaro tramite le tessere magnetiche.
Al riguardo, sentita la Banca d'Italia, si fa presente che il problema delle frodi con carte di pagamento è oggetto di crescente attenzione a livello internazionale da parte delle autorità competenti e degli operatori di mercato, essendosi accentuato il fenomeno dopo l'introduzione della moneta unica europea.
Dai dati in possesso della Banca d'Italia risulta che, a livello nazionale, le frodi sono contenute, rappresentando circa l'uno per mille del valore transatto. Più significativi, invece, sono i livelli di frode sulle transazioni estere, ossia le frodi condotte con carte emesse o contraffatte in un paese e utilizzate in altri paesi, nonché quelli connessi con l'utilizzo delle carte nelle transazioni via telematica (internet). Il fenomeno, tuttavia, non si discosta dalla percentuale stimata mediamente a livello europeo (5-8 per mille).
Le carte di debito registrano livelli di frode inferiori (circa 1/5) a quelli in media sperimentati per le carte di credito, soprattutto a livello domestico, grazie anche all'abbinamento del codice PIN su ATM e POS. Tuttavia, anche per le carte di debito (es. circuiti Bancomat, Maestro) sta emergendo il problema delle frodi all'estero con carte contraffatte e utilizzate presso sistemi che non adottano il PIN o altri simili meccanismi.
Le Autorità, pertanto, svolgono la propria azione sia a livello nazionale che internazionale.
La Commissione europea attraverso il
«Fraud Prevention Action Plan» ha stabilito:
l'emanazione della Decisione Quadro del Consiglio UE 28/5/2001 per armonizzare le legislazioni nazionali in materia di perseguimento dei reati di frode ed estendere le sanzioni alle frodi tramite strumenti elettronici;
iniziative (cooperazione,
patnership information sharing) per accrescere la consapevolezza e il grado di prevenzione a livello europeo sui fenomeni fraudolenti, fra le quali la creazione di un numero verde unico europeo (cosiddetto «Card Stop Europe»), al fine di semplificare e velocizzare l'avvio delle procedure di blocco delle carte smarrite e rubate;
di stimolare l'adozione delle nuove tecnologie. I più recenti sviluppi tecnologici attengono all'utilizzo del
microchip (standard EMV) per i pagamenti tradizionali e all'adozione di standard evoluti di sicurezza per i pagamenti a distanza, come l'utilizzo di codici supplementari di autenticazione (per esempio, il «CV2»).

La Banca Centrale Europea, nell'ambito dei compiti di sorveglianza sul sistema dei pagamenti ad essa attribuiti dal Trattato istitutivo della UE e in collaborazione con il settore bancario, ha esaminato la creazione di un archivio informativo europeo sulle frodi, nonché l'adozione di una metodologia armonizzata di misurazione dei fenomeni fraudolenti con carte di credito e di debito in Europa.
Tale azione si collega alle iniziative assunte dalla comunità bancaria europea nell'ambito del più ampio progetto di realizzazione di un'area unica per i pagamenti al dettaglio (SEPA). Per il mercato delle carte, l'EPC
(European Payments Council), il nuovo organo decisionale del sistema bancario europeo, costituito nel 2002 per i pagamenti al dettaglio, ha di recente emanato raccomandazioni (Cards Working Group Findings & Recommendations 2003), attraverso le quali le banche europee, cooperando con le Autorità di controllo, hanno deciso di condividere una metodologia comune per combattere le frodi, basata sullo scambio di informazioni e sullo sviluppo della tecnologia più adeguata per prevenire le frodi (per esempio il citato EMV).
Per quanto riguarda l'azione a livello nazionale, la Banca d'Italia, sulla base della competenza ad essa riconosciuta dall'articolo 146 del Testo Unico Bancario (Vigilanza sui sistemi di pagamento), effettua il monitoraggio del fenomeno delle frodi anche attraverso specifiche rilevazioni periodiche nell'ambito dell'attenzione rivolta all'evoluzione


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del mercato delle carte di pagamento. L'Istituto, inoltre, ha di recente interessato l'ABI su tale problema avviando un confronto, in particolare, sui meccanismi tecnici e organizzativi previsti per la prevenzione dell'utilizzo anomalo di carte di pagamento.
Tra le diverse iniziative in atto a livello nazionale, si richiama:
la costituzione, presso la Banca d'Italia, dell'archivio informatizzato degli assegni e delle carte di pagamento, nel cui ambito, tra l'altro, è attiva dal 9 dicembre 2002 una apposita Sezione contenente informazioni circa le carte smarrite e rubate segnalate dagli emittenti carte di credito;
la partecipazione della Banca d'Italia al tavolo di dialogo permanente presso la Commissione europea (DG Internal Market) costituito al fine di assicurare la massima efficacia nella lotta contro le frodi e le falsificazioni nei pagamenti con strumenti diversi dal contante;
l'attività dell'UCAMP - Ufficio centrale antifalsificazione dei mezzi di pagamento, costituito presso questa amministrazione per la realizzazione di una banca dati sulle frodi con carte di pagamento.

Nel corso del 2003, al verificarsi di casi di clonazione di carte in Italia e di connessi utilizzi fraudolenti su ATM e POS collocati all'estero, la Banca d'Italia ha interessato l'ABI per intraprendere specifiche iniziative di sistema per contrastare il fenomeno in questione.
A seguito di tale intervento, la CO.GE.BAN. (Convenzione per la gestione del marchio Bancomat) in veste di gestore del circuito Bancomat/Pagobancomat con apposita circolare riservata, ha richiamato l'attenzione delle banche sulle più ricorrenti tipologie di frodi raccomandando specifiche misure di prevenzione volte ad innalzare i presidi di sicurezza del circuito. Questa azione si basa essenzialmente su tre punti:
a) individuazione dei criteri di sicurezza per l'installazione degli ATM; b) educazione dell'utenza al corretto utilizzo del PIN; c) utilizzo delle migliori tecnologie disponibili sul mercato. In particolare, ciascuna banca deve sensibilizzare i responsabili degli sportelli, affinché si attivino per predisporre un'attenta e rigorosa ispezione delle apparecchiature ATM in dotazione coinvolgendo, se del caso, anche il personale addetto alla sicurezza.
L'ABI ha, di recente, stabilito di rilanciare il «Presidio per la sicurezza monetica», organismo costituito nel 1998, al quale sono affidate, per il circuito delle carte di debito, funzioni informatiche e di prevenzione. Il Presidio ha, tra l'altro, la finalità di informare, con le necessarie cautele, il sistema sulle caratteristiche delle frodi e sulle misure da porre in atto. Al fine di rafforzarne l'incisività, le banche hanno l'obbligo di segnalare tempestivamente gli eventi fraudolenti o quelli sospettati tali.
Per quanto riguarda le frodi realizzate nell'ambito dei circuiti internazionali (MasterCard e VISA), si segnala l'esistenza in Italia di due «Forum» nell'ambito dei quali i rappresentanti dei due circuiti affrontano con le banche interessate le problematiche dei pagamenti con carte. Simili iniziative sono state estese anche agli altri emittenti di carte (American Express e Diners) attraverso la creazione di un apposito «Italian Risk Fraud Forum» il cui coordinamento è stato affidato all'ABI.
Si segnala, inoltre, che entro il 2006, è prevista la migrazione totale delle carte in circolazione dall'attuale tipologia a banda magnetica a quella del microcircuito; tale passaggio dovrebbe rendere più affidabili i citati strumenti sotto il profilo delle contraffazioni e, in particolare, delle clonazioni. Inoltre, è in fase di studio la possibilità di introdurre il PIN obbligatorio anche sulle carte di credito in diversi paesi, al fine di elevare ulteriormente i livelli minimi di sicurezza a livello europeo e contrastare, in particolare, gli illeciti connessi con lo smarrimento e la sottrazione delle carte.
Per quanto riguarda l'ipotesi di intervenire direttamente sulla materia in questione, giova segnalare che il problema delle frodi transfrontaliere non si risolverebbe e, comunque, considerata la dimensione internazionale del fenomeno e delle iniziative di contrasto, già programmate, tale ipotesi


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potrebbe determinare effetti contrari alle esigenze di integrazione dei circuiti di pagamento per i cittadini europei.
Inoltre, occorre considerare la continua evoluzione tecnologica dei meccanismi di verifica dell'identità, per la quale appare più appropriato un approccio neutrale nella definizione di norme tecniche sulla sicurezza.
Si è, pertanto, dell'avviso che il problema delle frodi con carte di pagamento non possa prescindere da iniziative internazionali o europee. Una significativa conferma in tale direzione è rappresentata dalla recente (dicembre 2003) Comunicazione della Commissione europea al Consiglio e al Parlamento europeo riguardante il «New Legal Framework for Payments in the Internal Market», che costituisce un
corpus organico di proposte per accrescere il grado di convergenza delle legislazioni nazionali in materia di sistemi di pagamento al dettaglio.
Per le carte di pagamento, tra l'altro, si rilevano proposte in materia di mutuo riconoscimento degli standard di sicurezza per l'utilizzo degli strumenti e la ripartizione delle responsabilità tra intermediari e utenti (merchants e titolari di carta) in seguito a inesatta o non autorizzata esecuzione delle operazioni con carte a vista e, soprattutto, a distanza (es. Internet). Nell'ambito del quadro di riferimento così delineato, si potranno eventualmente, modulare opportuni interventi di regolazione a livello interno, tenendo anche conto di eventuali specificità nazionali.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Maria Teresa Armosino.

GAMBALE. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle attività produttive, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 6 giugno 2001, il Consiglio di amministrazione dell'ATI deliberò la cessione dell'intero pacchetto azionario dell'ATICARTA spa, - proprietaria della cartiera di Pompei (stabilimento con all'epoca 260 dipendenti), e di altre due unità produttive, in Roma e Rovereto - alla «Reno De Medici» spa, società quotata in borsa;
in data 17 febbraio 2001, l'ATI comunicò alle organizzazioni sindacali la decisione assunta, prospettando l'assoluta convenienza della transazione, poiché, a dire della proprietà, era possibile prevedere per l'ATICARTA un piano di investimento, nel triennio 2002-2004, con un valore oscillante da un minimo di 19 miliardi ad un massimo di 49,5 miliardi di lire;
a garanzia dei livelli occupazionali, la proprietà alienante adduceva un performance bond pari a 3 milioni di euro e un contratto di fornitura con l'ETI, per la produzione nazionale, in un periodo di tre anni (1 gennaio 2002-31 dicembre 2004);
in sostanza, la «Reno De Medici» spa otteneva l'acquisto a condizioni altamente favorevoli, con l'assicurazione di commesse ad ottimo prezzo e, secondo quanto è dato sapere, anche con una discutibile metodica di calcolo dello stesso;
inoltre, la «Reno De Medici» spa, al fine di corrispondere alle richieste dell'advisor, per ottenere da questi una valutazione di congruità dell'offerta, giunse a prospettare, non solo il mantenimento dei livelli occupazionali, ma addirittura il loro incremento, affermando che occorreva tener conto «che dal punto di vista della produzione di cartoncino, Pompei completa la copertura geografica del Gruppo Reno De Medici per il Sud Italia che si fermava allo stabilimento di Villa Santa Lucia (FR)»;
allo stesso fine, la «Reno De Medici» prospettava investimenti per 28 miliardi di lire nel solo stabilimento di Pompei;
in realtà, tutti tali impegni si mostrano disattesi, se si considera come il numero di dipendenti della Cartiera di Pompei, sotto la gestione «Reno De Medici» è passata dalle 260 unità del 2001 alle 190 unità attuali;


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peraltro, la situazione si mostra ancor più drammatica, in quanto, secondo l'interrogante, attraverso una politica di mercato segnata dalla dislocazione di macchinari strategici e dalla vendita sottocosto del prodotto di Pompei a società dello stesso gruppo «Reno De Medici», si è giunti oggi ad una situazione di perdita, la quale appare insieme largamente artificiosa e difficilmente rimediabile se lasciata nelle mani dell'attuale proprietà;
risulta all'interrogante che sarebbe ormai un dato incombente l'intenzione della «Reno De Medici» di chiudere lo stabilimento di Pompei, in uno stato di grave difficoltà, ancora prima che siano esaurite le commesse assicurate all'atto del mutamento nella compagine proprietaria e che i suoli sui quali insiste lo stabilimento di Pompei, sarebbero destinati ad altre finalità;
il timore della chiusura della cartiera, in una città come Pompei, già duramente colpita nell'immagine e che vede progressivamente dissolversi il suo apparato produttivo, sta generando grave allarme, con conseguenze anche sul versante del mantenimento dell'ordine pubblico -:
a) quali provvedimenti si ritenga utile adottare per impedire che la cartiera di Pompei, tanto intensamente e indissolubilmente legata alla storia cittadina, cessi le attività;
b) quali iniziative si ritenga adottare per conservare il posto di lavoro agli attuali dipendenti.
(4-09820)

Risposta. - La cessione della società Aticarta è connessa al piano di riassetto industriale, concordato con i sindacati nell'anno 2000, che ha previsto, fra l'altro, la dismissione di attività non strategiche del gruppo ETI, in funzione della successiva privatizzazione.
L'intero pacchetto azionario, posseduto dalla società ATI S.p.A., a sua volta interamente controllata dalla società ETI S.p.A., è stato ceduto al Gruppo Reno De Medici nel settembre 2001, ad un prezzo di circa 45 miliardi di lire, con l'impegno sia di investimenti aggiuntivi per oltre 20 miliardi di lire da parte del Gruppo acquirente, sia della piena salvaguardia dei livelli occupazionali per un periodo di tre anni. Per agevolare tale passaggio ed in considerazione del fatto che Aticarta S.p.A. in precedenza aveva avuto come cliente di riferimento principale il Monopolio di Stato (AAMS), ETI S.p.A. ha accompagnato tale trasferimento con il rinnovo di un contratto di fornitura di articoli cartotecnici per il periodo 2002-2004.
Inoltre, il Consiglio di Amministrazione di ETI S.p.A., nel 2001 ha deciso la messa in liquidazione volontaria di ATI S.p.A., con effetto dal 1o gennaio 2002. A tale scopo, le attività del comparto industriale sono state raggruppate e conferite ad una nuova società denominata ATI s.r.l. che, nel corso del 2002, è stata ceduta ad Agrindustria s.r.l.
Nel mese di luglio 2003, ATI S.p.A., in capo alla quale era sostanzialmente rimasta la proprietà di alcune unità immobiliari inattive, nonché la gestione di alcune competenze di natura amministrativa, è stata ceduta alla società Fintecna.
Si soggiunge, infine, che la partecipazione totalitaria, detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze in ETI S.p.A., è stata ceduta alla Britannica Italiana Tabacchi S.p.A. in data 23 dicembre 2003.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Maria Teresa Armosino.

GAMBINI. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
gli interventi dei vigili del fuoco italiani nel territorio della Repubblica di San Marino continuano ad essere effettuati in assenza di un accordo bilaterale tra lo Stato italiano e la Repubblica di San Marino. Un vuoto regolamentare che investe il profilo della tutela e della prevenzione delle squadre di soccorso del Comando Provinciale di Rimini, che operano sul territorio sammarinese. Contribuisce ad abbassare la soglia di sicurezza dei


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nostri vigili del fuoco la differente normativa della Repubblica di San Marino, che non adotta le direttive comunitarie, ma una regolamentazione interna sconosciuta ai vigili del fuoco italiani. I quali prestano soccorso in virtù della «Convenzione di amicizia e di buon vicinato», stipulata in Roma il 31 marzo 1939, ma che non affronta i temi della vigilanza e dell'intervento contro gli incendi e della protezione civile più in generale, né d'altra parte risulta che in intese successive si sia disciplinata la materia;
queste gravi lacune sono state drammaticamente evidenziate l'8 agosto 2000, a Galazzano, zona industriale della Repubblica di San Marino. Un incendio di grandi proporzioni, con diversi stabilimenti distrutti, ha provocato il ferimento di nove persone, tra le quali, sette vigili del fuoco del comando provinciale di Rimini, ricoverati con prognosi riservata nei centri grandi ustioni di Parma e Cesena. È stato il triste epilogo di una situazione insostenibile per chi già affronta un pericoloso impegno. Reso tale anche dalla confusione sulla responsabilità di direzione delle operazioni tra il personale italiano, chiamato ad intervenire dalle autorità della Repubblica di San Marino, e gli operatori del luogo;
un simile precedente ha fatto avviare un negoziato per la firma di un accordo bilaterale in materia di protezione civile. Rispondendo ad una precedente interrogazione a risposta scritta (la n. 4-03060 presentata dall'interrogante il 30 maggio 2002 nella seduta 150), il sottosegretario per l'interno Maurizio Balocchi (risposta scritta pubblicata venerdì 25 ottobre 2002 nell'allegato B della seduta n. 211) ha annunciato l'avvio del negoziato, spiegando - cito testualmente - «che l'intesa è in fase di definizione tramite contatti tenuti tra il ministero degli affari esteri, l'ufficio territoriale di Governo di Rimini, il dipartimento dei Vigili del fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile del ministero dell'interno, il comandante provinciale dei vigili del fuoco di Rimini e l'ambasciata d'Italia a San Marino». Nulla da allora è ancora avvenuto. Gli operatori dei vigili del fuoco attendevano riscontri, e, non ottenendoli, comprensibilmente la loro preoccupazione è cresciuta;
il tema è particolarmente delicato non solo per la sicurezza delle squadre di soccorso. Le trasformazioni avvenute sul territorio, lo sviluppo industriale e abitativo che si è verificato soprattutto negli ultimi anni sul suolo della vicina Repubblica di San Marino, la presenza massiccia di lavoratori frontalieri italiani, che rappresentano il 45 per cento della forza lavoro nel settore privato, secondo le rilevazioni delle centrali sindacali sammarinesi, rendono necessari gli adeguamenti normativi e di sicurezza richiesti dai Vigili del fuoco riminesi. Il loro stato di agitazione è pienamente motivato per le incomprensibili lungaggini e dal pericolo per loro e per i tanti italiani che lavorano a San Marino;
risulta all'interrogante che le organizzazioni sindacali avrebbero da tempo denunciato questo gravissimo stato, che si protrae nell'inerzia, dichiarando in data 23 dicembre 2003 lo stato di agitazione per segnalare il grave malessere di tutto il personale, costretto ad affrontare il rischio degli interventi sammarinesi con gravi carenze di organico. La rappresentanza sindacale ha sollecitato risposte sullo stato di avanzamento dell'accordo bilaterale tra Italia e San Marino e sull'incremento degli organici, risposte che a tutt'oggi ancora non sono giunte. Come forma di protesta, il personale del comando provinciale dei Vigili del Fuoco dal 19 marzo non effettua gli interventi che non riguardano il soccorso tecnico urgente, preannunciando che dal 19 aprile saranno intraprese azioni tendenti alla sospensione anche del soccorso tecnico urgente -:
se non ritenga necessario intervenire con urgenza per affrontare i gravi problemi di sicurezza, di organico e di mezzi a disposizione del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, resi più pressanti dall'imminente avvio della stagione estiva;
perché permanga questa situazione di incomprensibile inerzia e di grave disinteresse


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nella stipula dell'accordo bilaterale tra lo Stato Italiano e Repubblica di San Marino per gli interventi delle squadre di soccorso italiane e perché non si ritengano necessario accelerare le opportune iniziative bilaterali per rendere gli interventi dei vigili del fuoco nel territorio della Repubblica di San Marino sicuri ed efficaci.
(4-09463)

Risposta. - In materia di protezione civile, è stato predisposto uno scambio di lettere tra il Governo della Repubblica Italiana e quello della Repubblica di San Marino volto a regolamentare e tutelare, anche sotto il profilo della prevenzione, il personale addetto alle operazioni antincendio in territorio sammarinese.
La bozza dello scambio di lettere prevede, tra l'altro, che:
l'Italia si impegna a prestare soccorso tecnico urgente in caso di incendi ed altre calamità od emergenze nella Repubblica di San Marino. Il coordinamento degli interventi è affidato al comando provinciale dei vigili del fuoco di Rimini, di concerto con i responsabili sammarinesi;
l'Italia garantisce la copertura assicurativa di automezzi e veicoli in dotazione al corpo nazionale dei vigili del fuoco italiani in caso di interventi in territorio sammarinese. Il personale italiano che partecipa ad operazioni di soccorso è garantito direttamente dal ministero dell'interno per eventuali infortuni o infermità per causa di servizio. La Repubblica di San Marino garantisce la copertura assicurativa del personale dei vigili del fuoco italiani che intervengono per soccorso in territorio sammarinese e garantisce l'esclusione di ogni responsabilità della competente autorità italiana e del personale dei vigili del fuoco per danni a cose o persone che possano verificarsi durante l'espletamento di azioni di soccorso.

Per quanto attiene alla carenza di personale, si comunica che nello scorso mese di luglio sono state assegnate al comando vigili del fuoco di Rimini 20 unità di personale.
In merito, invece, alla carenza di mezzi, si rappresenta che la situazione del comando in questione è in linea con quella degli altri comandi sul territorio nazionale. Nell'anno in corso sono stati già assegnati veicoli 4x4 e un'autoscala, mentre il prossimo anno saranno assegnate delle autopompeserbatoio.
Il ministero dell'interno, che è naturalmente il dicastero maggiormente coinvolto nella questione, ha comunicato che intende procedere alla firma dello strumento in data che si riserva di concordare con il Governo di San Marino.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.

GROTTO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
su Il Resto del Carlino di lunedì 23 febbraio 2004 a pag. 2, si legge che il parlamentare europeo inglese Emma Nicholson ed il Commissario europeo all'allargamento Gunter Verheugen, hanno denunciato il mancato rispetto da parte della Romania degli accordi sulla trasparenza nelle adozioni internazionali;
dall'articolo si evince che circa cento bambini rumeni siano stati adottati da italiani in un sol colpo (riporto parte del testo: «Pare che la goccia che abbia fatto traboccare il vaso sia stata l'adozione, da parte di italiani, di cento bambini in un sol colpo, praticamente un intero orfanotrofio»);
la protezione dei bambini e dei minori fa parte dei criteri politici di adesione alla Unione Europea, a cui la Romania, come stato in procinto di entrare nell'Unione Europea, dovrebbe attenersi;
esiste un accordo tra UE e Romania con il quale il governo rumeno si era impegnato a bloccare le adozioni internazionali;
esiste anche una moratoria sulle adozioni decretata tre anni fa;


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sempre dall'articolo de Il Resto del Carlino si evince che a distanza di un anno le adozioni internazionali non si sono bloccate, ma invece sono aumentate;
occorrerebbe fare luce sul caso dei cento bambini per accertare se tali adozioni siano o meno nell'ambito della legalità -:
se il Governo intenda impegnarsi a livello comunitario e diplomatico affinché la Romania, previo il suo ingresso nella Comunità Europea, rispetti i minori ed in particolare i bambini abbandonati negli orfanotrofi;
quando il Governo interverrà con i mezzi a propria disposizione, affinché non vi possa essere commistione tra adozioni internazionali e traffici illeciti.
(4-09092)

Risposta. - In relazione a quanto richiesto dall'interrogante in merito alla vicenda dei 105 bambini rumeni, la cui adozione a favore di genitori adottivi italiani è stata autorizzata dalle Autorità di Bucarest, si comunica quanto segue.
In Romania è in vigore dall'ottobre del 2001 una moratoria sulle adozioni internazionali decisa dal governo rumeno in attesa di approvare una nuova legge maggiormente in linea con le procedure e gli standard contenuti nella Convenzione dell'Aja del 1993 per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale. La sospensione delle adozioni, inizialmente prevista per un anno, è stata successivamente prorogata cinque volte, da ultimo
sine die fino all'entrata in vigore della nuova normativa.
Nello stabilire la moratoria, la stessa legislazione rumena ha previsto che possano essere concluse le adozioni pendenti, presentate prima del 14 dicembre 2000, e altre pratiche adottive in considerazione delle loro caratteristiche di eccezionalità, fondate su criteri connessi all'età dei minori, all'eventuale presenza di malattie e alla loro storia di abbandono.
Il 18 dicembre scorso, il Consiglio dei ministri rumeno ha autorizzato la conclusione di un totale di 187 pratiche di adozione, tra cui 105 a favore di coppie italiane. Per queste ultime, tutte le procedure previste - sia dalla legislazione italiana che da quella rumena - sono state rigorosamente rispettate. Secondo i dati disponibili alla fine del febbraio scorso risulta inoltre che per 96 minori su 105, le competenti istanze giudiziarie rumene hanno già emesso la sentenza definitiva di adozione.
Il pacchetto di leggi di riforma predisposto dalle Autorità rumene è tuttora allo studio di un gruppo di esperti nominati dalla Commissione europea e si prevede che sarà approvato nel corso di quest'anno. Il Governo rumeno ha peraltro precisato che sino a quando tale riforma non sarà approvata non saranno autorizzate altre eccezioni alla moratoria in corso.
D'altra parte, la normativa italiana vigente in materia di adozioni si ispira alla Convenzione dell'Aja del 1993 e offre le più ampie garanzie di una rigorosa selezione delle coppie adottanti, che si conclude con decreto di idoneità all'adozione emesso da parte della competente autorità giudiziaria. Altrettanto può dirsi dell'intero procedimento di adozione che si svolge obbligatoriamente attraverso enti autorizzati e viene monitorato in ogni sua fase dalla Commissione Adozioni internazionali, Autorità centrale italiana ai sensi della Convenzione dell'Aja. Anche dopo l'ingresso in Italia del minore, il suo inserimento nel nuovo ambiente sociale e familiare, è oggetto di attività di assistenza e controllo.
Si assicura che il Governo italiano si è impegnato e continuerà ad impegnarsi, sia in ambito comunitario, sia a livello bilaterale, tramite le continue iniziative politico-diplomatiche della nostra Ambasciata a Bucarest e sempre nel pieno rispetto delle norme di quel Paese, affinché il governo rumeno possa continuare a rafforzare una legislazione che assicuri il rispetto e la tutela dei diritti dei minori e la trasparenza dei procedimenti di adozione.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.


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INNOCENTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il cittadino dominicano Freddy De Jesus Peralta in Italia da quattro anni con regolare permesso di soggiorno rilasciato per motivi di lavoro è stato riconosciuto invalido civile nella misura dell'80 per cento dalla Commissione Medica di Montecatini Terme (Pistoia) perché affetto da leucemia;
il riconoscimento è stato comunicato all'interessato nell'ottobre 2003 ma a questo non è seguita la prestazione economica in quanto, secondo i competenti uffici, essa è riservata ai soli titolari di carta di soggiorno;
si è venuta a creare una situazione grave e insostenibile perché la malattia non consente all'interessato di prestare attività lavorative e senza lavoro non c'è alcun sostegno economico utile a far fronte ai bisogni quotidiani e alle spese per cure mediche;
tale situazione si configura come una vera e propria discriminazione in contrasto con i dettami costituzionali che individuano come diritti soggettivi appropriate forme di tutela economica di stampo universalistico ed attengono a diritti fondamentali della persona, a diritti vitali di sopravvivenza e come tali inviolabili e non attendibili nei confronti degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia -:
quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda adottare per rimuovere le cause di questo tipo di discriminazione e assicurare la necessaria tutela al fine di evitare una vera e propria emarginazione sociale, e quali iniziative intenda porre in essere per risolvere il caso di cui si è detto in premessa.
(4-09944)

Risposta. - Si premette che l'articolo 80, comma 9, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001), ha stabilito che l'assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali, possono essere concessi, alle condizioni previste dalla legislazione medesima, solo agli stranieri titolari di carta di soggiorno ed ai minori iscritti nella loro carta di soggiorno. Pertanto, la legge finanziaria 2001 ha escluso dall'ammissione ai suindicati benefici gli stranieri titolari del solo permesso di soggiorno, per durata non inferiore all'anno.
Con particolare riferimento al singolo caso rappresentato nell'interrogazione parlamentare, l'INPS ha fatto presente che la ASL ha accolto l'istanza del richiedente per la presenza dei requisiti sanitari, riconoscendo un'invalidità civile parziale dell'80 per cento).
Tuttavia in applicazione del summenzionato articolo 80, comma 9, della legge n. 388/2000 la Regione non ha potuto procedere alla concessione della prestazione economica.
Si rappresenta altresì, per maggiore completezza, che in base ai limiti reddituali in vigore nell'anno cui è riferita la domanda dell'interessato (nel caso degli invalidi civili si fa riferimento ai redditi dell'anno precedente), lo stesso non avrebbe avuto diritto alla prestazione anche se in possesso della carta di soggiorno.
Tuttavia, qualora l'interessato entrasse in possesso della carta di soggiorno e per l'anno 2004 avesse redditi inferiori ad euro 3.942,25, potrebbe ottenere il rilascio della prestazione nel 2005.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Roberto Maroni.

LEONI e CARBONI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
a seguito dei rilievi contenuti nella Relazione al Parlamento della Sezione controllo enti della Corte dei conti, presieduta dal professor Luigi Schiavello, sulla gestione finanziaria dell'Ente nazionale per le strade Anas S.p.a., concernente - tra l'altro - investimenti, manutenzione, posizione dominante e applicazione delle disposizioni in materia di concessioni autostradali, la società concessionaria Autostrade


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S.p.a. ha istituito un Comitato consultivo per le funzioni del Servizio pubblico, finalizzato a dare risposte alle obiezioni sollevate dalla magistratura contabile;
la costituita struttura, che ha in parte già provveduto a stilare pareri tendenzialmente favorevoli sulla attività della concessionaria Autostrade S.p.a., è sorprendentemente coordinata dal professor Luigi Schiavello, tutt'ora presidente della succitata Sezione controllo della Corte dei conti e composta, tra gli altri, dal dottor Francesco De Filippis, magistrato della medesima Sezione, relatore ed estensore della Relazione al Parlamento sull'Anas, nonché da alcuni esponenti del mondo politico e giudiziario;
il presidente Schiavello, con lettera di risposta a quanto pubblicato sulla rivista il Mondo del 28 novembre 2003 che denunciava un tale stato di cose, ha di fatto unicamente contestato l'entità dei compensi indicati, che secondo l'autore dell'articolo si aggirerebbero tra i 200-300 mila euro annui, non smentendo nulla di quanto esposto, ma chiarendo di essere stato «chiamato da Autostrade a una collaborazione scientifica in una Commissione di studio per la valutazione di problematiche giuridiche per il più corretto ed etico svolgimento della concessione» e di occuparsi, quindi, esclusivamente «dello studio di problematiche generali»;
appare di tutta evidenza il conflitto di interessi in cui versano, in particolar modo, i magistrati della Corte dei conti stante il loro duplice e assolutamente non conciliabile ruolo di «controllori» dell'operato di Anas S.p.a da una parte, e di indiretti «controllati», perché consulenti della società concessionaria Autostrade S.p.a. chiamata a formulare risposte ai rilievi mossi dalla stessa magistratura contabile, dall'altra -:
quali iniziative intenda adottare, anche nell'immediato, al fine di porre rimedio al fenomeno dei doppi incarichi rivestiti da personale appartenente, al contempo, alla amministrazione della giustizia e al settore privato, rivestendo in tale ambito, in virtù di incarichi extragiudiziari o extraistituzionali, ruoli di consulenza, così violando gravemente i principi di imparzialità, indipendenza e trasparenza nella gestione della res publica.
(4-09034)

Risposta. - Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, il Segretario generale della Corte dei conti ha fatto presente quanto segue:
gli atti in possesso del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti fanno riferimento a «Commissione di studio» della società Autostrade e non «Comitato consultivo per le funzioni del servizio pubblico, finalizzato a dare risposte alle obiezioni sollevate dalla magistratura contabile», come si legge nell'interrogazione dell'interrogante;
trattandosi di attività di studio - come finora sempre sostenuto dagli interessati - è da escludere qualsiasi attività professionale, tanto meno incompatibile e vietata dall'ordinamento;
della Commissione stessa non fa parte, per quanto consta, il Presidente di Sezione della Corte dei conti dottor Francesco De Filippis, il quale era, invece, fino al 10 marzo 2004 magistrato delegato al controllo sull'Anas S.p.A., in base all'articolo 12 della legge n. 259 del 1958;
il testo della risposta del presidente Schiavello all'articolo pubblicato ne
Il Mondo precisa, che fu chiamato «ad una collaborazione scientifica», che non sussiste «nessun conflitto di interesse, con la mia posizione di Presidente della Sezione del controllo sugli Enti della Corte dei conti», inoltre, afferma «in modo categorico, che i compensi indicati nell'articolo non corrispondono affatto al vero». Si fa notare che la lettera di conferimento dell'incarico del Presidente della soc. Autostrade, in data 29 aprile 2003, indica quale scopo della predetta Commissione di studio quello di «valutare le problematiche giuridiche concernenti l'esercizio del rapporto pubblico di concessione per il suo più corretto ed etico svolgimento della concessione»;


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il compenso da percepire si aggirerebbe, stando a quanto riservatamente dichiarato dal presidente Schiavello, sui 140 mila euro annui lordi;
non si evidenzia alcun «doppio incarico» con ipotizzata violazione dei principi di imparzialità, indipendenza e trasparenza. Nel caso di specie si è trattato di richiesta (e di successiva autorizzazione) a svolgere un «incarico di studio», come tale, regolarmente concedibile ad un magistrato sulla base delle vigenti disposizioni normative (articolo 3, comma 3, lettera
e) del decreto del Presidente della Repubblica 27 luglio 1995 n. 388 - «Regolamento sugli incarichi dei magistrati della Corte dei conti») non sussistendo gli impedimenti di cui ai criteri applicativi adottati dal Consiglio di Presidenza con la delibera n. 227/CP/02 del 28 giugno 2002 (in particolare: articolo 6, comma 3);
la II Commissione della Corte dei conti, con nota n. 2736/CP dell'11 maggio 2004, ha chiesto al presidente Schiavello di «precisare gli oggetti ed i contenuti dei pareri finora resi in relazione all'incarico» svolto. Ogni eventuale futura determinazione del Consiglio, potrà essere presa all'esito dei suddetti accertamenti.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento: Carlo Giovanardi.

LETTIERI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
diverse Amministrazioni locali hanno designato alcuni consiglieri quali componenti dei consigli di amministrazione di società da esse costituite;
risulta evidente la confusione tra controllore e controllato e di conseguenza la incompatibilità tra la carica elettiva e la rappresentanza nei consigli di amministrazione delle società suddette;
l'articolo n.78 del decreto legislativo n. 267 del 2000 sancisce, infatti, il divieto per gli eletti di ricoprire incarichi ed anche di assumere consulenze presso enti, società ed istituzioni dipendenti o comunque sottoposti a controllo o vigilanza da parte delle amministrazioni locali interessate -:
se sia a conoscenza di tali situazioni e quali e quanti enti siano interessati, nonché quali siano le iniziative adottate per eliminare tali situazioni di illegittimità.
(4-07882)

Risposta. - L'atto ispettivo in esame, verte sulla presunta situazione d'illegittimità in cui verrebbero a trovarsi quelle amministrazioni locali che hanno designato propri consiglieri quali componenti dei consigli d'amministrazione di società dalle stesse partecipate, generando così conflittualità tra l'ente controllore (comune) e quello controllato (società costituita), con la conseguente incompatibilità tra le due cariche ricoperte dall'amministratore.
Secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza, il concetto di vigilanza va inteso nella sua più completa accezione, comprendendo in esso ogni forma d'ingerenza del comune nell'attività dell'ente controllato. In particolare, la Corte di Cassazione ha specificato che si configura un rapporto di vigilanza nei confronti di una società qualora il Comune - pur disponendo di una quota minoritaria del capitale sociale - è in grado di partecipare alla formazione della volontà sociale con voto determinante.
Quanto all'applicabilità dell'articolo 78 del decreto legislativo n. 267/2000, richiesta dall'interrogante, si rappresenta che la Corte d'Appello di Milano con sentenza n. 3249/2003, ha ritenuto indiscutibile l'incompatibilità tra la carica di consigliere comunale e quella di componente del consiglio d'amministrazione di una società partecipata dell'ente locale, proprio in virtù dello stretto collegamento esistente tra le attività svolte dalla società e le finalità proprie dell'ente territoriale, al quale spettano poteri di controllo e di vigilanza.
Da quanto sopra riportato si evince che la situazione indicata ricade nella previsione dell'articolo 78, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, secondo


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cui (...) al Sindaco (...) nonché agli assessori ed ai consiglieri comunali e provinciali è vietato ricoprire incarichi ed assumere consulenze presso enti ed istituzioni dipendenti o comunque sottoposti al controllo ed alla vigilanza dei relativi comuni e province».
In base al principio generale secondo il quale ogni organo collegiale è chiamato a deliberare, innanzitutto, sulla regolarità dei titoli d'appartenenza dei propri componenti, la verifica della causa ostativa all'espletamento del mandato deve essere compiuta da ciascun consiglio con la procedura prevista dall'articolo 69 del citato decreto. L'accertamento di detta causa ostativa alla carica elettiva locale, oltre che in via amministrativa, può comunque essere promosso da qualsiasi cittadino elettore del comune o da chiunque vi abbia interesse, davanti al tribunale civile, ai sensi del successivo articolo 70.
Quanto, infine, alla richiesta di dati statistici sui casi di incompatibilità rilevati si fa presente che il Ministero interrogato riceve dalle amministrazioni locali e da singoli cittadini numerosissimi quesiti ed esposti cui fornisce sempre puntuale risposta.
Trattandosi di richieste molto specifiche ed articolate non si è quindi ritenuto di riassumerle in classi statistiche.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

LETTIERI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
la legge n. 449 del 1997, all'articolo 12 comma 3 per i lavori realizzati con finanziamenti ex lege 219/81 nelle aree colpite dal terremoto prevede il rimborso IVA;
a tutt'oggi il dipartimento Protezione Civile, nonostante i solleciti da parte di molti Comuni lucani, Cancellara, eccetera, non ha ancora provveduto in merito, direttamente o indirettamente tramite l'Agenzia delle Entrate -:
quale sia l'effettiva situazione di rimborsi a favore dei cittadini che hanno realizzato opere di riparazione o ricostruzione di immobili danneggiati da eventi sismici in base alle leggi succitate.
(4-10578)

Risposta. - Il ministero dell'interno, l'8 luglio 2003, ha inoltrato al dipartimento della protezione civile la richiesta del comune di Cancellara, formulata in data 25 giugno 2003, volta ad ottenere un rimborso, a titolo di contributo I.V.A., sulle opere di ricostruzione post sismica.
In proposito il dipartimento della protezione civile ha sollecitato all'Ufficio tecnico del predetto comune una integrazione della documentazione istruttoria.
Successivamente, in data 30 dicembre 2003, il comune di Cancellara ha trasmesso la detta documentazione e, con nota del 19 maggio 2004, ha inviato un ulteriore elenco di beneficiari, comprendente anche nominativi già inclusi nell'elenco inviato precedentemente.
Dall'esame istruttorio è emerso che, per la quasi totalità dei beneficiari, i lavori sono ancora in corso d'opera e, pertanto, l'entità del rimborso non è ancora definibile.
Infatti, l'articolo 2 del decreto ministeriale n. 499 del 1998, relativo alle norme di attuazione dell'articolo 12 della legge n. 499/97, prevede che la contribuzione venga erogata alla fine dei lavori.
Infine è in corso la liquidazione della somma a favore del comune di Cancellara, pari a 22.595,87 euro, per soddisfare le istanze avanzate dai signori Donato Piscione, Antonia Erario e Salvatore Pietragalla, le uniche, allo stato, rimborsabili.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento: Carlo Giovanardi.

LUCCHESE. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il personale dell'Inail della sede di Trapani e delle altre province della Sicilia, lamenta il mancato rispetto degli accordi contrattuali, a fronte di risultati di produzione


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faticosamente raggiunti, malgrado i disagi patiti negli ultimi due anni;
detto personale ha lavorato con impegno e dedizione, ha dimostrato grandi capacità, ha accresciuto i livelli qualitativi e quantitativi dei servizi esistenti;
i dipendenti Inail di Trapani e di tutta la Sicilia manifestano viva preoccupazione anche per la perdita reale delle loro retribuzioni e per il blocco della carriera -:
quali interventi, tra quelli di propria competenza, il Ministro interrogato intenda adottare in relazione alla problematica esposta in premessa e, in particolare, quali iniziative intenda intraprendere affinché i vertici dell'Inail accolgano le istanze dei lavoratori.
(4-10150)

Risposta. - In relazione all'interrogazione parlamentare in discorso si comunica quanto riferito dall'INAIL.
L'Istituto ha trasmesso, in data 9 febbraio 2004, alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica - Ufficio relazioni sindacali - Servizio, contrattazione collettiva, l'ipotesi di contratto integrativo per l'anno 2003, sia per il personale delle aree A-B-C destinatario dell'articolo 15, comma 1, della legge n. 88/89, che per i professionisti, i medici e i dirigenti.
Il Dipartimento della funzione pubblica, dopo un esame approfondito effettuato congiuntamente con il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, ai fini dell'accertamento previsto dall'articolo 20, comma 1, lettera
e), della legge n. 488 del 1999, con nota del 14 giugno 2004, ha espresso parere favorevole sull'ulteriore corso del contratto integrativo dell'INAIL per l'anno 2003.
Le valutazioni e gli approfondimenti operati in tale sede, infatti, hanno consentito di riscontrarne la compatibilità economico-finanziaria, in considerazione del fatto che le risorse aggiuntive, previste nell'ambito dei fondi per il trattamento accessorio, ai sensi dell'articolo 4, comma 10, del Ccnl del Comparto enti pubblici non economici - biennio economico 2000/2001 - e delle disposizioni di analogo contenuto, previste per i dirigenti, sono destinate a remunerare attività effettivamente espletate per la realizzazione di obbiettivi già programmati per l'anno 2003.
Di conseguenza i dipendenti INAIL con le competenze del mese di giugno 2004 hanno percepito il trattamento accessorio in questione.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Roberto Maroni.

LUMIA. Al Ministro delle comunicazioni. - Per sapere - premesso che:
i lavoratori co.co.co. del call center di Caltanissetta dipendenti dell'Atesia, società del Gruppo Telecom Italia, stanno espletando dei colloqui e visite mediche in vista del nuovo Contratto di Formazione Lavoro con la Teleconctat anch'essa società del gruppo Telecom;
a questa selezione sono stati esclusi 50 lavoratori di cui 15 in quanto parenti e/o figli di dipendenti Telecom, nonostante in un incontro tenutosi a Roma, il 14 novembre 2003 tra i vertici aziendali era stata prevista l'assunzione di tutti i lavoratori co.co.co. in servizio con Atesia;
la situazione dello stato di vincoli di parentele di dipendenti telecom era nota fin dal primo giorno, nonostante questo per più di due anni i quindici dipendenti abbiano lavorato con contratti rinnovati di tre mesi in tre mesi rinunciando ad altre opportunità di lavoro e acquisendo una professionalità della quale non si può non tenere conto;
inoltre a questi quindici lavoratori è stato proposto di frequentare un corso di formazione, a pagamento ed a carico dei corsisti, per il passaggio dal servizio 119 di TIM al servizio 191 di Telecom;
le decisioni della Telecom di escludere a priori i propri familiari, secondo l'interrogante, sono in contrasto con le norme costituzionali; la Telecom, inoltre,


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esclude a priori personale che ha acquisito una valida esperienza professionale -:
se ritenga che in tutta l'operazione descritta siano state rispettate le norme a tutela della dignità dei lavoratori e della stabilità del rapporto di lavoro.
(4-08652)

Risposta. - Si fa presente che la società Telecom Italia - interessata in merito a quanto rappresentato dall'interrogante nell'atto parlamentare cui si risponde - ha comunicato che nei confronti del personale con contratto di collaborazione coordinato e continuativo dipendente dalla società Atesia ed operante nella sede di Caltanissetta, sono stati raggiunti specifici accordi sindacali volti all'assunzione di tali dipendenti presso il Telecontact Center s.p.a., nella medesima sede di Caltanissetta.
Stando a quanto riferito dalla stessa Telecom, alle selezioni hanno partecipato tutti gli operatori (circa 480) impiegati presso l'Atesia con contratto di collaborazione e praticamente la quasi totalità degli stessi è stata poi assunta presso Telecontact salvo i 10 dipendenti esclusi perché risultanti inidonei e non per motivi riguardanti legami di parentela, nonché i pochissimi non interessati.
Il Ministro delle comunicazioni: Maurizio Gasparri.

MENIA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in data 14 gennaio 2004 l'INAIL, sede di Trieste, rilasciava al signor Mario Bussani, nato a Zara (all'epoca provincia italiana) l'8 settembre 1937, un certificato di infortunio su cui compariva la dicitura «estero» per luogo di nascita;
di fronte alle rimostranze del Bussani, il direttore della sede chiariva per iscritto che «l'indicazione "estero" indicata per ragioni informatiche sulle certificazioni mediche rilasciate dall'INAIL come luogo di nascita sta per Zara»;
è del tutto evidente che supposte «ragioni informatiche» non possano prevalere sulla legge dello stato, la quale prescrive che siano indicati con il loro vecchio nome e senza alcun altro riferimento i comuni dei cittadini nati nelle ex province italiane -:
se intendano dare disposizioni affinché l'INAIL provveda senza indugio ad uniformarsi alle disposizioni della legge 15 febbraio 1989 n. 54 «Norme sulla compilazione di documenti rilasciati a cittadini italiani nati in comuni ceduti dall'Italia ad altri stati in base al trattato di pace».
(4-09217)

Risposta. - In relazione all'interrogazione parlamentare in esame l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro ha precisato che l'inconveniente rilevato dall'interrogante è derivato da un mero errore materiale, in conseguenza del quale nell'aggiornare la nazione di appartenenza dei Comuni ex italiani, non si è provveduto ad inserire la data di decorrenza del passaggio sotto la sovranità estera.
Nella fattispecie, il 2 luglio 2004 nella tabella anagrafica del GRAI (la nuova procedura prestazioni) si è proceduto a tale aggiornamento relativamente agli ex Comuni d'Italia dislocati nella regione istriana, così da consentire la eliminazione dell'indicazione «estero» per il luogo di nascita, come previsto dalle norme vigenti in materia, nei confronti di persone nate prima del 28 novembre 1947.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Roberto Maroni.

MESSA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere se corrisponda al vero che (La Repubblica - 11 marzo 2003) «la maggior parte dei contratti tra Enav e Alenia viene assegnata


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senza appalto e a prezzi sensibilmente superiori... a quelli praticati dalla stessa Alenia all'estero».
(4-05997)

Risposta. - Al riguardo, l'Enav ha comunicato di osservare attentamente le disposizioni relative alle procedure di evidenza pubblica, prescritte dalla vigente legislazione nazionale e comunitaria, ricorrendo alla trattativa privata solo nei casi previsti.
Giova, comunque, precisare che i sistemi e gli impianti di assistenza al volo, per la loro specificità e complessità, hanno spesso un unico fornitore, che sovente è anche produttore. Tra queste apparecchiature si possono annoverare i sistemi radar ed il relativo
software, i quali costituiscono un settore nel quale l'Alenia Marconi System risulta essere leader nazionale. Peraltro, l'impiego di sistemi radar con apparati aventi caratteristiche diverse potrebbe determinare appesantimenti nell'esercizio tecnico e discrasie nel sistema logistico e manutentivo, con riflessi negativi sull'affidabilità dei sistemi impiegati e, conseguentemente, sulla sicurezza del traffico aereo.
Per quanto concerne l'affidamento di commesse a trattativa privata, (l'Enav) ha precisato che le offerte pervenute vengono esaminate da apposite Commissioni sia da un punto di vista amministrativo, che tecnico ed economico, nonché di congruità dei prezzi. Le risultanze delle Commissioni sono, poi, sottoposte alla valutazione della propria direzione generale, che autorizza il prosieguo dell'
iter negoziale fino a giungere alla stipulazione del contratto.
Per quanto riguarda, infine, il riferimento contenuto nell'interrogazione sui prezzi applicati da Alenia ai clienti esteri, l'Enav ha soggiunto di aver effettuato recentemente un
benchmark su alcuni contratti stipulati da Alenia con clienti esteri nel periodo 2000-2002, che ha evidenziato un sostanziale allineamento dei prezzi con quelli corrisposti dallo stesso per i contratti di fornitura stipulati.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Maria Teresa Armosino.

MORGANDO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
si è avuta notizia che sarebbe prossima l'apertura di un nuovo distaccamento permanente di Vigili del Fuoco nel comune di Livorno Ferraris, in provincia di Vercelli, a distanza di soli 10 chilometri dal distaccamento di Santhià;
da tempo è emersa l'esigenza di un potenziamento della struttura di Santhià, importante nodo ferroviario e autostradale e centro industriale di primaria importanza -:
se sia effettivamente prevista l'istituzione del nuovo distaccamento;
se non ritenga opportuno intervenire affinché la presenza sul territorio della struttura dei Vigili del Fuoco sia effettivamente finalizzata a presidiare le aree caratterizzate da una più elevata concentrazione di servizi e di attività produttive.
(4-08527)

Risposta. - Il distaccamento permanente vigili del fuoco di Livorno Ferraris è stato istituito con decreto ministeriale in data 7 marzo 2003.
La scelta è caduta su Livorno Ferraris, in quanto località baricentrica in un'area non servita in tempo utile dalle attuali sedi dei Vigili del Fuoco. La nuova sede coprirà le esigenze di soccorso pubblico e di sicurezza antincendio di 13 comuni (Alice Castello, Bianzé, Borgo D'Ale, Cavaglià, Cigliano, Crescentino, Fontanetto Po, Lamporo, Livorno Ferraris, Maglione, Moncrivello, Saluggia, Tronzano Vercellese) e di una popolazione complessiva di circa 38.000 abitanti.
Pertanto, si ritiene che l'istituzione di tale presidio risponda all'interesse pubblico e non si ponga in contrasto con le esigenze del distaccamento volontario di Santhià.
D'altra parte, l'istituzione della nuova sede è stata condivisa, oltre che dall'amministrazione comunale interessata, dalla direzione regionale dei vigili del fuoco per il Piemonte, dal comando provinciale vigili del fuoco di Vercelli e dall'ufficio territoriale del Governo di Vercelli. Essa è in linea con gli obiettivi perseguiti dal progetto a


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rilevanza nazionale «Soccorso Italia in 20 minuti», che prevede l'istituzione nel tempo di circa 470 presidi aggiuntivi tra distaccamenti permanenti, volontari e misti, individuati in modo da assicurare interventi di soccorso entro 20 minuti dall'allertamento del 115 in una parte largamente preponderante del territorio nazionale.
In conclusione, si fa presente che il distaccamento non è ancora operativo, in quanto l'immobile individuato quale sede della struttura non è al momento nella disponibilità del comando provinciale, che è in attesa, a tal fine, dell'ultimazione dei lavori di adeguamento commissionati dal comune di Livorno Ferraris e della successiva consegna dell'immobile a titolo di comodato gratuito, come già concordato con l'ente proprietario dell'immobile stesso.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Maurizio Balocchi.

MORONI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 13 della legge n. 257 del 1992, prevede specifici benefici previdenziali per i lavoratori esposti, per almeno dieci anni, a lavorazioni contenenti amianto, in particolare la maturazione anticipata del diritto di accesso al pensionamento nonché nella determinazione dell'importo del trattamento pensionistico percepito;
la norma, originariamente emanata per tutelare i lavoratori, iscritti all'INAIL occupati nelle imprese che producevano amianto, esposti a fortissimi e irreversibili rischi, è stata come noto estesa con una serie di Atti di indirizzo interpretativi del Ministero del lavoro a tutta una serie di imprese comunque interessate alla produzione ed alla lavorazione dell'amianto; estensione ulteriormente allargata per effetto della sentenza n. 127 del 2002, della Corte Costituzionale che ha riconosciuto anche ai dipendenti delle Ferrovie dello Stato il diritto ad accedere ai predetti benefici;
le richieste dei lavoratori interessati hanno subito una forte crescita nell'arco di quest'ultimo decennio tanto che da recenti stime, in tutto il Paese, è stata sinora riconosciuta ad oltre 80 mila lavoratori l'esposizione ultradecennale all'amianto; più in particolare nella sola Lombardia, a fronte di oltre 20 mila domande presentate all'INAIL, a circa 6 mila lavoratori - a quanto risulta - è stata rilasciata la certificazione del riconoscimento del rischio ultradecennale mentre è ancora in corso l'istruttoria per oltre 7.700 istanze di lavoratori, per un totale di circa 1000 aziende interessate;
l'articolo 47 del recente decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, ha previsto una riduzione dell'entità dei benefici previdenziali riconosciuti, introducendo nuovi criteri di concessione, fermo restando il diritto di accesso alle prestazioni per quei lavoratori che hanno maturato il diritto alle prestazioni previdenziali alla data del 1 ottobre 2003 secondo la previgente normativa; per i lavoratori che, sempre per un periodo almeno decennale, sono stati esposti all'amianto, secondo quanto disposto dal comma 3 del medesimo articolo 47, «in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno», nonché per coloro i quali alla data del 1 ottobre 2003 «fruiscono dei trattamenti di mobilità, ovvero che abbiano definito la risoluzione del rapporto di lavoro in relazione alla domanda di pensionamento»;
il riconoscimento di questi benefici previdenziali, il cui onere finanziario per il solo 2003 è ammontato - come sottolineato dalla stessa relazione tecnica al citato decreto legge n. 269 del 2003 - a circa 640 milioni di euro, cifra che costituisce certamente un impegno importante per risarcire, sia pure parzialmente, i lavoratori coinvolti; beneficio in ogni caso assolutamente insufficiente per chi potrà essere colpito in futuro da patologie assai gravi quali sono appunto le forme tumorali derivanti dall'esposizione all'amianto;


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all'individuazione ed alla durata di tale esposizione all'amianto, premessa indispensabile per il rilascio della relativa certificazione, dovrebbe provvedere specificatamente, mediante appositi accertamenti, l'INAIL, ente presso cui dovrebbero essere confluiti nel corso del tempo anche tutti quei premi assicurativi aggiuntivi derivanti dall'assicurazione «asbestosi» in favore dei lavoratori sottoposti nel ciclo produttivo all'esposizione dell'amianto;
le disposizioni sin qui attuate hanno dato conto di una risposta legislativa alla drammatica questione dell'esposizione all'amianto da parte di una gran quantità di lavoratori, fatto questo certamente condivisibile ma del tutto insufficiente se si guarda all'aspetto non meno importante del monitoraggio del fenomeno stesso e in particolare della sua prevenzione affinché non via siano ulteriori lavoratori soggetti all'esposizione di un rischio così grave, un monitoraggio cui dovrebbero prendere parte, per propria competenza, le stesse aziende sanitarie locali con puntuali indagini ambientali in ordine alla valutazione del rischio;
questa preoccupazione è confermata dal fatto che persino nella fase di accertamento e certificazione da parte dell'INAIL della sussistenza e della durata dell'esposizione all'amianto, in relazione alle mansioni svolte dai singoli lavoratori nei vari reparti delle aziende coinvolte, sia stata adottata una procedura che solleva non poche perplessità;
da quanto emerso nella provincia di Brescia, infatti, l'INAIL - con una serie di note trasmesse a varie aziende, piuttosto che provvedere alla messa a punto di un piano di vigilanza ispettiva ad hoc in ordine alla necessità di acquisire ogni documentazione utile ai fini del rinascimento dei benefici di cui alla suindicata legge n. 257 del 1992 per quei lavoratori che hanno inoltrato regolare istanze - ha sollecitato le aziende medesime a «certificare» il curriculum lavorativo dei lavoratori interessati ai fini del riconoscimento dei predetti benefici previdenziali;
la procedura adottata rappresenta un elemento di vera e propria distorsione delle finalità istituzionali di un ente quale l'INAIL, giacché introduce un elemento di incertezza, di discrezionalità e di possibile incongruità nei confronti dell'accertamento del rischio, lasciando alle imprese ad un tempo la facoltà di dichiarare correttamente le posizioni ed il curriculum professionale dei singoli lavoratori, ovvero di estendere in maniera impropria taluni requisiti - i quali si trasformeranno in una intensa quanto impropria fase di prepensionamento per una vasta platea di soggetti - introducendo peraltro un elemento di vera e propria distorsione dello stesso mercato grazie all'utilizzo dei prepensionamenti quale elemento di ristrutturazione aziendale - o persino di negare a soggetti che ne hanno invece ampiamente diritto l'accesso ai predetti benefici previdenziali;
in entrambi i casi, l'accertata esistenza dell'esposizione all'amianto per taluni soggetti non costituisce di per sé un argine - all'interno delle stesse imprese - ai fini del controllo del turn-over e delle politiche di prevenzione della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro, poiché il rischio altrettanto se non più grave appare essere proprio quello che a seguito dei prepensionamenti derivanti dall'accertamento di un rischio, i lavoratori neo assunti possano essere o essere stati a loro volta sottoposti ai medesimi rischi, finendo per ingenerare così una spirale che, se confermata in futuro, rappresenterebbe un aspetto ed un esito a dir poco drammatico;
a fronte di questi avvenimenti si rende indifferibile conoscere l'ampiezza, le caratteristiche e la specificità di un fenomeno che investe centinaia di imprese e, in prima persona, lo stato di salute attuale e futuro di svariate migliaia di lavoratori, inconsapevoli dei rischi cui sono o sono stati eventualmente sottoposti -:
quali siano le ragioni del mancato accertamento ispettivo da parte dell'INAIL in ordine alle pratiche attivate ai fini del riconoscimento dei benefici previdenziali


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in esame, quali sono state le principali aziende interessate sul territorio nazionale, quante domande sono state sinora effettivamente accolte o respinte, quanti lavoratori e quali settori hanno usufruito delle procedure di prepensionamento e tra essi quanti dirigenti e quadri ne hanno beneficiato; quanti soggetti hanno avuto accesso al prepensionamento con anzianità contributive pari a 40 anni e con quale età anagrafica;
quale piano di vigilanza ispettiva è stato realmente messo in essere dall'INAIL, se quanto avvenuto nella provincia di Brescia rappresenti un caso circoscritto o corrisponda ad una linea di indirizzo generale sull'intero territorio nazionale, tenendo presente che la predetta assicurazione «asbestosi» avrebbe dovuto rappresentare, già da tempo, un elemento di segnalazione ben evidente circa l'esistenza di fattori di rischio nelle imprese coinvolte, e quali indagini ambientali sono state avviate dalle aziende sanitarie locali competenti per territorio;
quali interventi sono stati complessivamente attuati per perseguire ed assicurare una reale politica di prevenzione del rischio all'esposizione dell'amianto sui luoghi di lavoro, in particolare alle verifiche precedenti all'immissione di nuovi lavoratori nelle imprese coinvolte con l'esposizione all'amianto;
se non ritenga infine di attivarsi per verificare in che misura l'INAIL abbia messo in essere ogni iniziativa corrispondente alla proprie finalità istituzionali, quali azioni intenda intraprendere affinché siano chiariti i termini della questione e se non ritenga opportuno attivarsi affinché sia dato corso, quanto prima, ad ogni iniziativa utile sul terreno della prevenzione della salute e della sicurezza dei lavoratori nelle aziende a rischio nel nostro Paese.
(4-08436)

Risposta. - Il comma 132 dell'articolo 3 della legge n. 350/2003 (legge finanziaria 2004) dispone che «in favore dei lavoratori che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, e successive modificazioni, sono fatte salve le disposizioni previgenti alla medesima data del 2 ottobre 2003. La disposizione di cui al primo periodo si applica anche a coloro che hanno avanzato domanda di riconoscimento all'INAIL o che ottengono sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data. Restano valide le certificazioni già rilasciate dall'INAIL.
L'Istituto, di conseguenza, con nota del 12 gennaio 2004 ha impartito apposite disposizioni alle Unità periferiche riattivando, nei riguardi dei lavoratori assicurati INAIL e limitatamente a periodi coperti dall'assicurazione INAIL ed a condizione che gli stessi abbiano presentato all'istituto entro il 2 ottobre 2003 le domande per ottenere la certificazione di esposizione all'amianto, le funzioni istruttorie e certificative di competenza, con le stesse modalità seguite in passato, e cioè sia sulla base di pareri CON.T.A.R.P. che di atti di indirizzo ministeriale.
Per quanto riguarda, invece gli assicurati INAIL per i quali sia incerta la data di presentazione della domanda, gli assicurati INAIL per i quali è certo che la domanda è stata presentata dopo il 2 ottobre 2003 e i non assicurati INAIL, oppure assicurati INAIL che richiedono il riconoscimento della esposizione per i periodi non coperti da assicurazione INAIL (ferrovieri fino al 31 dicembre 1995, postali fino al 31 dicembre 1998), a prescindere della data di presentazione della domanda è stato disposto, in attesa dell'emanazione del decreto interministeriale previsto dall'articolo 47, comma 6, del decreto-legge n. 269/2003 convertito con legge n. 326/2003, che renderà applicabile la normativa, il solo inserimento in procedura dei dati anagrafici e, qualora presenti, di quelli contenuti nei
curricula professionali.
In merito, poi, alle problematiche inerenti i criteri di concessione dei benefici previdenziali ai lavoratori che, nell'espletamento della propria attività lavorativa, siano stati esposti all'amianto si deve rilevare che il campo di applicazione della


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legge non poteva essere circoscritto solo ai lavoratori esposti al rischio di asbestosi, la cui identificazione sarebbe stata agevole poiché per tale specifico rischio i datori di lavoro erano tenuti a corrispondere un premio assicurativo supplementare in aggiunta al premio ordinario, ma doveva reputarsi esteso a tutti i lavoratori esposti all'amianto in concentrazioni tali da non determinare il rischio di asbestosi (e, quindi, l'obbligo del premio supplementare), sufficienti, tuttavia, a provocare il rischio di altre malattie professionali (esempio tumori), coperto dal premio ordinario.
Per questa seconda categoria di lavoratori, rivelatasi di gran lunga la più consistente, l'identificazione si presentava molto complessa giacché non esistevano indicatori oggettivi dell'effettiva esposizione di ogni singolo lavoratore.
Proprio questo motivo indusse, alla fine del 1995, il Ministro del lavoro a definire, con l'accordo dell'INPS, nonché dei rappresentanti sia dei datori di lavoro che dei lavoratori, una specifica procedura amministrativa di applicazione della legge, nel cui ambito fu attribuito all'INAIL l'incarico di verificare ed attestare, con criteri e modalità stabiliti e concordati
ad hoc, la ricorrenza della suddetta esposizione a prescindere dall'obbligo del pagamento del premio supplementare per asbestosi.
Tale procedura, formalizzata in apposite direttive dell'INPS e dell'INAIL con l'approvazione del Ministero del lavoro, prevede che il datore di lavoro rilasci un
curriculum lavorativo contenente l'indicazione delle mansioni, reparti e periodi di attività del lavoratore e l'INAIL accerti - attraverso propri organismi tecnici regionali (Consulenze tecniche per l'accertamento del rischio professionale) - e certifichi per quali mansioni, reparti e periodi il lavoratore è stato esposto all'amianto. Il rilascio del curriculum lavorativo, nell'ambito della suddetta procedura, è di esclusiva competenza del datore di lavoro, anche se l'INAIL può, ovviamente, attivarsi per sollecitare le aziende a fornire le informazioni sulla storia lavorativa dei propri dipendenti.
Si osserva, al riguardo, che la sede di Brescia non ha effettuato anomale richieste di
curricula alle varie ditte, ma ha sollecitato il rilascio degli stessi limitatamente a quei singoli casi per i quali il datore di lavoro non vi aveva provveduto, impedendo così l'iter amministrativo e l'accertamento di esposizione che la CON.T.A.R.P. regionale svolge sulla base delle mansioni effettivamente svolte dal lavoratore all'interno del «processo lavorativo».
Fino a tutto il 1999 l'INAIL, sulla base della suddetta procedura, ha rilasciato 16.000 certificati di esposizione per periodi superiori a dieci anni, a fronte di n. 94.000 domande presentate.
Negli anni 2000 e 2001 la procedura originaria è stata modificata e l'INAIL, oltre a continuare a rilasciare certificati a seguito di accertamenti tecnici delle proprie CON.T.A.R.P., su disposizioni del Ministero del lavoro ha iniziato a rilasciare certificati a seguito di Atti di indirizzo ministeriali contenenti indicazioni su mansioni, reparti e periodi di esposizione all'amianto. Le modalità operative, quindi, sono cambiate e gli atti di indirizzo hanno sostituito, in parte, i pareri tecnici delle CON.T.A.R.P. mentre l'INAIL si è limitata a rilasciare certificati di esposizione incrociando le indicazioni contenute negli stessi atti di indirizzo con le mansioni, reparti e periodi attestate nei singoli
curricula lavorativi che continuavano a dover essere rilasciati dai datori di lavoro.
Fino a gennaio 2004, sulla base sia degli accertamenti tecnici INAIL sia degli Atti di indirizzo, a fronte di 224.886 domande presentate, sono stati rilasciati 88.670 certificati di esposizione per periodi superiori a dieci anni (comprensivi dei 16.000 rilasciati a tutto il 1999) e n. 23.125 certificati di esposizione per periodi inferiori a dieci anni, mentre per n. 87.095 lavoratori è stata negata l'esposizione.
Da quanto sopra emerge che nella descritta procedure l'INAIL ha agito, attraverso le proprie strutture territoriali, come organo con funzione consultiva e di supporto tecnico all'ente previdenziale di appartenenza del lavoratore (prevalentemente INPS) e che lo stesso ruolo, esclusivamente tecnico-consulenziale, è stato successivamente svolto, a livello centrale, a supporto


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del Ministero del lavoro nell'emanazione degli atti di indirizzo, nello spirito della collaborazione e delle sinergie tra pubbliche amministrazioni.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Roberto Maroni.

OSTILLIO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
la legge finanziaria 2004 ha previsto uno specifico stanziamento - previa approvazione di un provvedimento legislativo in Parlamento - volto a realizzare la perequazione del profilo di carriera dei marescialli delle Forze armate e quello dei marescialli dei carabinieri;
a tutt'oggi, nonostante risulti essere già stato predisposto un apposito elaborato tecnico, a cura del Ministero della difesa, e nonostante che le Commissioni parlamentari competenti abbiano da tempo sollecitato l'esecutivo ad eliminare le evidenti disomogeneità di carriera dei sottufficiali entro il primo semestre di quest'anno, il Governo - che pure aveva assunto un preciso impegno a tal proposito - non ha ancora provveduto a presentare il provvedimento in questione -:
i motivi per cui ancora non si sia dato seguito ad adeguate iniziative legislative e normative in merito, ai fini dell'utilizzo dei fondi stanziati in finanziaria;
l'esatta tempistica con la quale il Governo intenda adempiere a quanto previsto in finanziaria, considerato che la grave ingiustizia viene lamentata da quasi nove anni da circa 55.0000 marescialli delle Forze armate ed evidenziando al contempo che il riallineamento delle carriere in questione è propedeutico al riordino generale del personale non direttivo di tutte le Forze di polizia ad ordinamento civile e militare e delle stesse Forze armate, riordino, come noto, anch'esso previsto e finanziato nella stessa legge finanziaria 2004.
(4-09888)

Risposta. - La Difesa ha tenuto nella massima considerazione la problematica dei disallineamenti di carriera causati dalla diversità delle norme stabilite per il ruolo dei Marescialli dal decreto legislativo n. 196/1995 e per il Ruolo ispettori dal decreto legislativo n. 198 del 1995.
Già nel corso dell'anno 2003, infatti, in esito ad un impegno assunto presso la IV Commissione difesa della Camera dei deputati con la risoluzione n. 8-00040, era stato elaborato uno schema di provvedimento normativo per il «riallineamento delle carriere», che per carenza di risorse finanziarie non ha avuto l'auspicato seguito.
Successivamente la legge 24 dicembre 2003, n. 350 «Finanziaria 2004» ha destinato le risorse necessarie a sostenere l'onere economico derivante da tale provvedimento.
Il mancato seguito legislativo nel corso del 2003 ed il conseguente rinvio del provvedimento nel 2004 hanno reso necessario un ulteriore esame degli effetti giuridici ed economici che le modifiche delle consistenze dei ruoli del personale, determinate dalle promozioni conferite nell'anno 2003, hanno provocato sulle previsioni del provvedimento originario.
È stato necessario aggiornare lo schema di provvedimento apportando le integrazioni indispensabili a garantire alla nuova stesura i medesimi effetti perequativi del provvedimento originario.
Tale schema è stato, infine, inserito quale emendamento alla legge di conversione 27 luglio 2004 n. 186 del decreto-legge n. 136/2004 recante disposizioni urgenti in materia di funzionalità della pubblica amministrazione.
L'approvazione di tale previsione costituisce il coronamento delle legittime aspettative di circa 55.000 sottufficiali delle Forze Armate, che vedono finalmente raggiunto l'obiettivo dell'equiparazione di trattamento giuridico e retributivo, auspicato sin dal 1995 e tenacemente sostenuto anche dal consiglio centrale della rappresentanza militare.
Il Ministro della difesa: Antonio Martino.


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PERROTTA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
va rilevata una certa riluttanza da parte dell'Inail al rinnovo delle gare. Infatti, in contrasto con il principio di regolarità disposto dall'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 286 del 1999, il Collegio dei sindaci ha censurato più volte le proroghe dopo la scadenza dei contratti -:
se il Ministro ritiene fornire dettagliate informazioni sulle proroghe suddette ed in particolare in riferimento al numero delle stesse avutesi negli anni 1997-2001, ed il loro importo;
se il Ministro intende rendicontare sulla tipologia delle gare che sono state oggetto di proroga e sui relativi importi;
se il Ministro intende provvedere affinché si abbia una più corretta e regolare gestione delle gare stesse da parte dell'Istituto.
(4-04643)

Risposta. - L'INAIL, negli anni dai 1997 al 2001, ha fatto ricorso allo strumento della proroga per poter far fronte sia ad improrogabili esigenze di continuità della fornitura di servizi, nelle more dell'espletamento di procedure di gara, sia per motivi di convenienza sul piano economico e temporale.
Per quanto riguarda, invece, la procedura del rinnovo, la stessa è stata utilizzata nel rispetto dell'articolo 44 della legge n. 724/1994 e nelle occasioni in cui sussistevano le condizioni stabilite dalla legge stessa, tra cui le ragioni di convenienza e pubblico interesse, la stabilità dei prezzi, eccetera).
Negli anni dal 1997 al 2001 (periodo di riferimento indicato nell'atto ispettivo) l'Istituto ha autorizzato annualmente 30 proroghe e rinnovi di contratti relativi a servizi per il funzionamento degli uffici della direzione generale per un totale, nel quinquennio, di 150 proroghe e rinnovi di importo complessivo pari a venti milioni di euro.
Successivamente, in attuazione della sentenza del Consiglio di Stato (Sez. V, del 19 febbraio 2003, n. 921, in base alla quale deve ritenersi implicitamente abrogato per incompatibilità l'articolo 44 della legge n. 724/1994 nella parte in cui aveva previsto, alle condizioni ivi stabilite, la facoltà di rinnovare in modo espresso i contratti per le forniture di beni e servizi anche per tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, Decreto legislativo n. 29/1993 e successive modificazioni), l'Istituto ha provveduto a diramare alle proprie strutture centrali e territoriali apposite istruzioni al fine di renderle edotte di tale abrogazione e, conseguentemente, per vietare il ricorso allo strumento giuridico del rinnovo, raccomandando di adeguare in tal senso i loro comportamenti in occasione della scadenza dei contratti di forniture e servizi.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Roberto Maroni.

PERROTTA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
risulta all'interrogante che nel corso degli anni dal 1996 al 2003 in attuazione del cosiddetto principio della mobilità del personale, si sia dato corso ad un numero molto elevato di assunzioni e trasferimenti di personale da parte dell'Inpdap -:
se il Ministro disponga di informazioni al riguardo e se comunque intenda accertare quante assunzioni siano effettivamente state fatte, anno per anno, dal 1996 al 2003, presso l'Inpdap e con quali modalità sia stata data attuazione al principio della mobilità del personale.
(4-08489)

Risposta. - La politica per il reclutamento del personale, relativa al periodo compreso tra il 1996 ed il 2003, trova il suo fondamento in tre atti basilari: la delibera del consiglio di amministrazione n. 112 del 26 luglio 1995, relativa all'acquisizione


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delle risorse umane per le esigenze dell'INPDAP; l'atto di programmazione per il triennio 1998/2000, predisposto ai sensi dell'articolo 39 della legge n. 449/1997 e, infine, l'atto di programmazione per il triennio 2000-2002 predisposto ai sensi del citato articolo 39.
Prima di esporre le modalità con le quali è stato reperito il personale per trasferimento da altre pubbliche amministrazioni, l'INPDAP fa presente che in ottemperanza al disposto, di cui all'articolo 5, comma 4, del decreto legislativo n. 479/94, la dotazione organica provvisoria dell'istituto era costituita «... dalla somma dei posti in organico degli enti e degli altri soggetti soppressi e delle unità di personale, in servizio alla data del 18 febbraio 1993, presso le Casse delle soppressa direzione generale degli istituti di previdenza», per un totale di 7.366 unità.
Considerato che, alla data del 30 giugno 1995, i dipendenti in servizio erano solamente 4.210, la carenza di personale si attestava a 3.156 unità, corrispondente al 43 per cento dell'organico previsto.
Con provvedimento consiliare n. 112, del 26 luglio 1995, l'Istituto deliberò di coprire le gravi carenze organiche, individuate sulla base della dotazione provvisoria, come sopra descritta attraverso l'acquisizione di un contingente di personale corrispondente al 50 per cento del fabbisogno, mediante la mobilità prevista dalle allora vigenti disposizioni di legge. In particolare, attraverso gli appositi bandi di mobilità emanati dal Dipartimento della funzione pubblica (tra i quali il bando per trasferimento di n. 211 dipendenti di pubbliche amministrazioni, da collocare negli uffici dell'Italia settentrionale, della Sardegna e della Toscana, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 49-bis del 27/6/1995), ovvero in caso di mancata copertura delle vacanze attraverso tali procedure, con la mobilità di cui all'articolo 4, del decreto legge 12 maggio 1995, n. 63 ed all'articolo 7, della legge n. 70/1975, per le quali esistevano numerose domande su tutto il territorio nazionale (principalmente personale ACI, collegi e ordini professionali).
Il citato bando di mobilità, di cui alla
Gazzetta Ufficiale n. 49-bis del 27 giugno 1995, conteneva principalmente domande prodotte da personale proveniente dalle ferrovie dello Stato, dai provveditorati agli studi e da altre pubbliche amministrazioni che avevano posto il proprio personale in esubero.
Altri trasferimenti hanno riguardato il personale dell'Efim, transitato ai sensi dell'articolo 10, comma 2, della legge n. 643/1994, la quale disponeva la riassunzione di tale personale presso pubbliche amministrazioni secondo tempi, condizioni e modalità stabiliti con decreti del Ministro della funzione pubblica e del Ministro dell'economia e delle finanze.
Tali procedure sono state attivate nel rispetto dei limiti previsti dall'articolo 3, della legge n. 537/1993 (finanziaria 1994), come modificata dall'articolo 22, comma 7, della legge n. 724/1994 (finanziaria 1995) ed in modo da consentire la razionale distribuzione del personale, con particolare riguardo al nord Italia, dove sussistevano maggiori carenze organiche.
Per gli anni 1996 e 1997 la mobilità ha riguardato, rispettivamente n. 512 e n. 28 unità di personale.
Successivamente l'articolo 39, della legge n. 449/1997 ha introdotto a decorrere, dall'anno successivo, l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di procedere alla «Programmazione triennale del fabbisogno del personale, comprensivo delle unità di cui alla legge n. 482 del 2 aprile 1968».
In ottemperanza a tale disposto, l'istituto, con nota n. 404 del 25 giugno 1998, ha presentato al dipartimento della funzione pubblica il programma triennale di fabbisogno del personale, nel quale venivano indicate le assunzioni previste per il triennio 1998/2000. Analogo atto è stato adottato, nell'aprile 2000, per il successivo triennio ed inviato con nota n. 1215 del 26 aprile 2000.
Una delle modalità di reclutamento, prevista dai citati piani triennali, unitamente alle procedure di reclutamento tramite selezione pubblica, è stata la mobilità ai sensi dell'articolo 33, del decreto legislativo n. 29/1993 (ora articolo 30 del decreto


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legislativo n. 165/01) che disciplinava sia la mobilità volontaria all'interno del comparto, che quella intercompartimentale a seguito di appositi accordi tra amministrazioni.
Nel merito è intervenuto un esplicito parere del Ministero della funzione pubblica (n. 8267 del 17/9/1998) che ha ratificato l'attivazione di tale mobilità per il 1997/1998.
Negli anni 1999/2001 è transitato all'INPDAP, dapprima in posizione di comando e poi immesso nei ruoli, personale dell'Ente poste.
Il trasferimento del personale in questione si è verificato in tre fasi successive. Il primo contingente, pari a 113 unità, fu trasferito con delibera del consiglio di amministrazione n. 954 del 31 marzo 1999, con decorrenza 1o giugno 1999, a seguito di decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento della funzione pubblica dell'1 luglio 1998 e del 29 dicembre 1998.
Per quanto concerne il secondo contingente, la relativa autorizzazione all'immissione nei ruoli è stata concessa con decreto emanato, in data 18 ottobre 1999, dal citato dipartimento, di concerto col Ministero dell'economia e delle finanze. Il conseguente inquadramento, che ha riguardato 303 dipendenti, è stato «disposto con delibera del consiglio di amministrazione 16 marzo 2000, n. 1181, a far tempo dal 1 aprile 2000.
Riguardo infine al terzo contingente, l'autorizzazione all'immissione nei ruoli è stata concessa con decreto del Presidente della Repubblica 30 agosto 2000. Il relativo trasferimento di personale è stato, poi, oggetto di apposito decreto del Dipartimento della funzione pubblica, di concerto col Ministero dell'economia e delle finanze, del 7 novembre 2000. L'inquadramento nell'INPDAP, che ha riguardato 274 unità, è stato disposto con delibera del consiglio di Amministrazione del 28 dicembre 2000, n. 1359, con decorrenza 1o gennaio 2001.
Dal 1o gennaio 1999, è stato, inoltre, disposto il passaggio del personale dei ruoli periferici del Ministero dell'economia e delle finanze, come da verbali di intesa con le organizzazioni sindacali del 21 luglio 1998 e del 29 dicembre 1998, concernente complessivamente n. 2.391 dipendenti.
Un ulteriore ricorso alla mobilità, seppure in misura molto ridotta, ha interessato il personale delle ex basi NATO.
Con le procedure sopra descritte, durante il periodo 1998-2003, sono transitate all'INPDAP n. 40 unità nel 1998, n. 2.583 unità nel 1999 (tra le quali va ricompresso il personale delle D.P.T. e parte del contingente proveniente dall'Ente Poste), n. 487 unità nel 2000 (tra le quali va ricompreso il personale dell'Ente Poste), n. 374 unità nel 2001 (tra le quali vanno compresi i 274 dipendenti provenienti dall'Ente Poste per i quali è intervenuta l'autorizzazione del Dipartimento della funzione pubblica), n. 127 unità nel 2002 ed infine n. 97 unità nel 2003.
L'istituto, infine, precisa che tutte le assunzioni, relative al periodo in esame, comprese quelle eseguite per mezzo di procedure selettive, sono state effettuate in conformità con la pianificazione, di cui all'apposito atto triennale previsto dal menzionato articolo 39 della legge n. 449/1997.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Roberto Maroni.

PERROTTA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'Inail ha dichiarato che i medici in servizio sono 565 e di essi 465 hanno stipulato un rapporto di lavoro esclusivo -:
se al Ministro risulti che tra i 465 medici ci sia stato qualche caso di frode e, in caso affermativo, quali provvedimenti siano stati adottati.
(4-10235)

Risposta. - Sul totale di 465 medici che hanno un rapporto di lavoro esclusivo con l'INAIL, alla data odierna, risulta che quattro sono i professionisti rinviati a giudizio con l'imputazione del reato di truffa (articolo 640 c.p.).


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Nei loro confronti ai sensi delle vigenti disposizioni contrattuali è stato avviato il relativo procedimento disciplinare che, contestualmente, è stato sospeso in attesa dell'esito del procedimento penale.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Roberto Maroni.

PERROTTA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
come si evince dalle notizie diramate dall'agenzia ANSA il 26 luglio 2004, nonostante l'interesse mediatico suscitato dalla crisi del Darfur, le condizioni disperate della popolazione non accennano a migliorare. Il tasso di malnutrizione infatti si attesta tra il 4,1 e il 5,5 per cento;
gli aiuti dell'ONU sono insufficienti; ad esempio la tessera che consente agli sfollati nel grande campo intorno a El Genuina di ricevere aiuti alimentari è concessa ad uno sparuto gruppo di persone (3,5 per cento del totale);
per tali ragioni, il tasso di mortalità è al di sopra della soglia di emergenza -:
se ilMinistro intenda agire presso il governo locale con interventi mirati al miglioramento delle condizioni della popolazione, ed in particolare dei bambini, essendo i soggetti più a rischio in codesta situazione;
se il Ministro intenda attivarsi presso l'ONU per ottenere una maggiore attenzione al problema.
(4-10658)

Risposta. - L'Italia ha esperito diversi passi sia a livello bilaterale sia a livello multilaterale per assicurare che le Autorità di Khartoum provvedessero a rispettare gli impegni assunti con la firma dell'Accordo di cessate il fuoco interinale dell'8 aprile 2004 e con il comunicato congiunto Nazioni Unite-Governo del Sudan, adottato in occasione della visita del Segretario Generale dell'ONU il 3 luglio 2004, i cui punti salienti possono così essere riassunti:
a) eliminazione di ogni restrizione all'operato delle organizzazioni umanitarie in Darfur;
b) attivazione immediata di misure volte ad individuare e perseguire i responsabili delle violazioni dei diritti umani;
c) dispiegamento degli osservatori umanitari nell'ambito della Forza di monitoraggio dell'Unione Africana ed invio di forze di sicurezza sudanesi a protezione dei rifugiati;
d) disarmo immediato delle milizie Janjaweed;
e) avvio dei negoziati per una soluzione politica della crisi.

L'Accordo di cessate-il-fuoco umanitario, stipulato tra il Governo del Sudan, i gruppi ribelli sudanesi - il Justice and Equality Movement (JEM) e il Sudan Liberation Movement/Army (SLM/A) -, l'Unione Africana, il Ciad - in qualità di Paese mediatore -, l'ONU, l'Unione europea e gli Stati Uniti, prevede la nascita di una Commissione per il cessate-il-fuoco umanitario, sotto l'egida dell'UA, composta da 12 membri, il cui Vice Presidente è il rappresentante dell'UE, il francese Colonnello Davoine. A livello operativo, con l'Accordo di Addis Abeba del 28 maggio, è stata dispiegata una missione di monitoraggio composta da 120 tra osservatori militari e personale di supporto dei Paesi e delle Organizzazioni coinvolti tra cui l'italiano Cap. Dino Memoli e una Forza di Protezione di 300 uomini posti a disposizione dai Paesi membri dell'UA. Nello scorso mese di agosto è stata completata l'operazione di dispiegamento delle Forze di protezione con l'aiuto logistico di Olanda e Gran Bretagna. L'Italia ha assicurato un contributo finanziario di 200 mila euro al meccanismo di monitoraggio ed ha sostenuto l'approvazione del finanziamento di 12 milioni di euro dell'Unione europea all'Unione africana per la missione. È tuttora in fase di approfondimento l'ipotesi di portare a 2.000 uniti il contingente militare e di ampliarne il mandato a comprendere anche la protezione dei civili.


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Dal 26 al 28 luglio 2004, si è svolta la Missione Esplorativa Congiunta di esponenti del Governo sudanese, delle Nazioni Unite e dei paesi donatori, nel Darfur, finalizzata a verificare gli adempimenti del Governo sudanese rispetto a tre questioni specifiche, sicurezza degli sfollati, rischi connessi alla presenza e alla libertà di movimento delle milizie Janjaweed, reale volontà degli sfollati dalla regione di rientrare nei villaggi abbandonati in seguito al deteriorarsi della situazione nel Darfur. Rispetto a queste tre questioni purtroppo i risultati della Missione sono stati poco incoraggianti, essendo la sicurezza degli sfollati tutt'altro che garantita. Questi, infatti, continuano ad essere minacciati dal Janjaweed, ancora presenti sul territorio con ampia libertà di movimento e di azione, con la conseguenza di scoraggiare il rientro ai villaggi d'origine nonostante le pressioni in senso contrario del Governo di Karthoum, che fanno dubitare della volontarietà dei rientri ad oggi registrati.
In sede multilaterale, l'Italia, pur non essendo membro del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, si è attivamente adoperata per l'approvazione della Risoluzione 1547 dell'11 giugno 2004, con la quale il Consiglio di Sicurezza ha chiesto alle Parti del conflitto in Darfur di porre fine ai combattimenti e concludere un accordo politico nonché della Risoluzione 1556 (2004), adottata il 30 luglio 2004 con le sole astensioni di Cina e Pakistan. Tale risoluzione contempla la minaccia di misure sanzionatorie ai sensi del capitolo VII (articolo 41) della Carta delle Nazioni Unite, in caso di mancato rispetto, entro 30 giorni, degli impegni assunti da parte del Governo del Sudan, e richiede al Governo sudanese di condurre davanti alla giustizia i capi delle milizie responsabili delle violazioni dei diritti umani e di procedere allo smantellamento delle milizie Janjaweed. L'approvazione di quest'ultima Risoluzione ONU ha costituito un importante passo in avanti verso la soluzione del conflitto e ha dotato la Comunità Internazionale di un primo strumento di pressione (le sanzioni) sugli autori delle violenze.
Il 2 agosto è stato siglato dal Ministro degli Affari esteri sudanese, Mustafa Osman Ismail, e dal rappresentante speciale del Segretario Generale dell'ONU in Sudan, Jan Pronk, il
Darfur Plan of Action. Il Piano, che ha ricevuto il convinto sostegno dell'Italia e di tutta l'Unione europea, si basa sull'impegno del Governo sudanese di individuare, entro 30 giorni, e rendere sicure alcune particolari aree nel Darfur che permettano di realizzare un effettivo e generalizzato controllo delle armi, di far cessare qualsiasi tipo di azione militare, comprese eventuali ritorsioni contro operazioni condotte dai ribelli, e di dispiegare nelle aree prescelte forze di polizia per garantire l'ordine pubblico, chiamando i ribelli ad assumersi precise ed analoghe responsabilità.
Il 9 agosto 2004 il Comitato Politico e di Sicurezza dell'Unione Europea (COPS) ha esaminato gli ultimi sviluppi della situazione nella regione del Darfur e le prospettive dell'azione dell'Unione europea per la crisi in atto, in particolare Pieter Feith, Direttore Generale aggiunto per le Relazioni Esterne e Rappresentante Personale di Solana per la crisi in Darfur, ha riferito al COPS degli esiti della missione di ricognizione civile militare effettuata nella regione dal 3 all'8 agosto 2004. Il messaggio principale che è stato rivolto al Governo di Karthoum con tale missione è consistito nel ribadire ancora una volta, il dovere che ad esso incombe di proteggere i propri cittadini.
Per quanto riguarda nello specifico le gravi violazioni dei diritti umani commesse in Darfur, il Ministro degli affari esteri sudanese ha assicurato la missione UE che non vi sarebbe stata impunità per chi fosse stato riconosciuto colpevole di tali violazioni, neppure qualora si trattasse di appartenenti al Governo o alle Forze di sicurezza.
Tra le proposte operative rivolte agli Stati dell'UE, Pieter Feith ha segnalato il sostegno alle attività militari e di pianificazione dell'UA, a livello logistico e finanziario, per ridurre il divario esistente fra le aspettative politiche suscitate e i mezzi oggettivamente limitati, e l'invio di una Missione dell'UE di assistenza nel settore


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della polizia (simile alle EUPM in Bosnia), pochi uomini altamente qualificati per assistere le forze di polizia che il Governo sudanese intende inviare nella regione (6000-12000 uomini).
L'Unione Africana, su proposta del Capo di Stato nigeriano Olusegun Obasanjo, presidente di turno dell'UA, ha convocato per il 23 agosto ad Abuja una riunione tra le Parti sudanesi coinvolte: il Governo dei Sudan, il JEM e lo SLM/A. La ripresa dei colloqui ad Abuja, fermi all'Accordo di Addis Abeba del 28 maggio crea un'occasione di incontro da cogliere e sviluppare e dimostra l'impegno profuso dall'UA per trovare una soluzione politica al conflitto. Nonostante le difficoltà dell'avvio, il primo settembre è stato firmato un «Accordo sui miglioramento della situazione umanitaria nel Darfur» che prevede l'abolizione di restrizioni d'accesso per gli operatori umanitari affinché gli aiuti possano effettivamente raggiungere tutta la popolazione coinvolta.
L'olandese Jan Pronk, scaduto il termine della Risoluzione 1556, il 2 settembre 2004 ha presentato al Consiglio di Sicurezza un rapporto in cui, nel sottolineare i progressi ottenuti dal Governo del Sudan sul rispetto di alcuni degli impegni (in particolare l'accesso agli aiuti umanitari e la sicurezza nei campi profughi), ha evidenziato la totale mancanza di miglioramenti su due temi cruciali: il disarmo delle milizie e la punizione dei responsabili dei massacri. La necessità di ulteriori misure ai sensi dell'articolo 41 della Carta delle Nazioni Unite è stata avanzata dagli Stati Uniti che hanno redatto, il 7 settembre, il testo di una nuova Risoluzione in cui si richiede, tra le altre cose, l'istituzione di una «Commissione internazionale di inchiesta» sulle violazioni dei diritti umani. Il documento ha suscitato opinioni divergenti tra gli Stati membri del Consiglio e si attende una nuova bozza di incontri i consensi della maggioranza. Al momento si ha una convergenza di opinioni solo in merito all'ampliamento della missione dell'Unione Africana e del suo mandato. Il Segretario di Stato americano, Colin Powell, il 9 settembre ha steso il rapporto della visita da lui effettuata in Sudan nei giorni precedenti nel quale fa appello alla Comunità internazionale per aumentare la pressione sul Governo sudanese e le forze ribelli affinché rispettino gli impegni assunti in vista di possibili misure nei loro confronti.
Per quel che concerne gli aiuti umanitari, l'Italia ha impegnato per il Darfur un totale di circa 8 milioni di euro, ripartiti tra iniziative bilaterali e multilaterali: sostegno ai campi profughi in Sudan e Ciad (2,3 milioni di euro), supporto ad iniziative sanitarie (1,7 milioni gestiti direttamente dalla Cooperazione italiana) ed educative (100 mila euro all'UNICEF), fornitura di aiuti alimentari (3 milioni di euro) e cinque voli umanitari già inviati fra l'aprile e l'agosto scorsi (800 mila euro).
È bene sottolineare infine, come affermato dal Segretario di Stato americano, Colin Powell, nella sua relazione al Senato USA relativa alla crisi in Darfur sopracitata, che la sicurezza di questa regione potrà progredire attraverso il successo di mediazione politica tra i ribelli e il Governo per il Darfur e la firma dell'accordo di pace tra lo SPLM e il Governo del Sud del Paese. Il nostro Paese continuerà a monitorare con la massima attenzione gli sviluppi della situazione e non cesserà di profondere ogni sforzo per fronteggiare la crisi.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Luigi Mantica.

PISCITELLO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 18 dicembre 2002 l'Assemblea dell'ONU ha approvato il Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti (1984), aprendo la possibilità, per le nazioni aderenti, di dotarsi di strumenti operativi per il controllo e la protezione dei diritti umani;
il 20 agosto 2003 l'Italia, firmando il suddetto protocollo, si è iscritta fra i primi stati firmatari;


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perché il trattato entri in vigore nella legislazione nazionale è necessaria la ratifica da parte di almeno venti stati;
fra i punti del programma del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea figurava l'impegno a ratificare il suddetto protocollo e ad introdurre il reato di tortura nel nostro codice penale (Comunicazioni alla «Commissione per la Tutela dei diritti Umani» del Senato del sottosegretario di Stato per gli affari esteri Margherita Boniver, con riferimento ai programmi del Governo per i diritti umani nel corso del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea. Seduta 45, 25 giugno 2003);
il 25 maggio 2004 la sezione italiana di Amnesty International ha richiesto al governo, nella fattispecie ai ministri interrogati, di utilizzare la data simbolica del 26 giugno, Giornata Internazionale delle vittime della tortura, per presentare un disegno di legge di ratifica del Protocollo opzionale alla suddetta Convenzione;
secondo l'interrogante, il reato di tortura dovrebbe essere definito in maniera non equivoca ed inserito celermente nella legislazione italiana, anche alla luce della delicata situazione internazionale che, a causa dei recenti casi di torture perpetrate da soldati statunitensi su alcuni prigionieri, sembra rendere opportuna una posizione netta nei confronti di questo odioso reato soprattutto da parte di quelle nazioni che si trovano ad operare direttamente sul territorio iracheno;
l'ufficio legislativo del ministero degli affari esteri, interpellato dall'interrogante, riferisce che l'iter di concertazione fra i ministeri per la presentazione di detto disegno di legge è stato avviato alla fine del 2003, ma che non è stata ancora data risposta da parte del ministero della giustizia, istituzione maggiormente competente in materia -:
se i ministri interrogati non ravvedano la necessità di adoperarsi per accelerare l'iter di presentazione del disegno di legge di ratifica.
(4-10358)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante, occorre innanzitutto rilevare come il Governo italiano, di concerto con gli altri partners dell'Unione europea, abbia svolto un'azione determinante ai fini dell'adozione, in ambito Nazioni unite, del protocollo opzionale alla Convenzione ONU contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumane o degradanti, nella piena convinzione che la lotta ad ogni forma di tortura o trattamento inumano e degradante debba necessariamente rappresentare una priorità nella politica di tutti i Governi. Tale Protocollo rappresenta senza dubbio un efficace e innovativo strumento di prevenzione di quella che potrebbe essere considerata come la forma più odiosa di abuso e violazione dei diritti fondamentali della persona umana.
In quest'ottica, il Governo italiano è stato uno dei primi a firmare il Protocollo e sono stati già da tempo avviati i necessari contatti con tutti i dicasteri competenti per avviare l'
iter di ratifica, che necessita di alcuni adempimenti tecnici cui si sta provvedendo, al fine di accelerare e finalizzare il processo di ratifica del Protocollo in questione, in linea con quanto segnalato dall'interrogante.
Ciò premesso, è tuttavia importante segnalare che, l'Italia, a seguito della ratifica della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, è già di fatto sottoposta ad un meccanismo indipendente di monitoraggio volto ad accertare e prevenire fenomeni e comportamenti che possano rientrare nella fattispecie di pratiche di tortura o trattamenti inumani e degradanti in danno di persone private della propria libertà personale. Tale Convenzione, infatti, istituisce un Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), dotato di veri e propri poteri ispettivi nei confronti degli Stati membri e che ha già, peraltro, compiuto diverse visite nel nostro Paese, i cui esiti, per espressa volontà del Governo italiano, sono assolutamente pubblici e consultabili da tutti sul sito INTERNET del Comitato stesso. Il CPT è dotato di


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poteri molto più stringenti di quelli di cui godrebbe il Sottocomitato previsto dal Protocollo delle Nazioni Unite. Se da un lato quindi si conviene con l'interrogante sulla opportunità di accelerare il processo di ratifica del Protocollo in oggetto, va altresì evidenziato come, sul piano sostanziale, per quanto riguarda l'Italia, le funzioni assegnate all'organo di controllo delle Nazioni Unite, siano già da tempo espletate dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura.
Per ciò che concerne, invece, l'istituzione del reato di tortura nel nostro ordinamento penale, il 27 gennaio scorso la Commissione di giustizia della Camera dei deputati ha concluso l'esame di un disegno di legge - testo unificato recante «Introduzione dell'articolo 623-
bis del Codice Penale concernente il delitto di tortura», la cui approvazione in tempi rapidi era stata sollecitata, lo scorso novembre, anche dal Presidente del Consiglio. L'istituzione del reato di tortura - cui si dovrà aggiungere quanto prima l'istituzione di un organo nazionale indipendente di prevenzione della tortura che abbia il compito di cooperare con l'apposito organismo internazionale previsto dal Protocollo in questione, - rappresenterebbe un passo importante verso l'adeguamento del nostro ordinamento alle norme internazionali contro la tortura.
Tuttavia, anche in questo caso, è opportuno evidenziare come il fatto che non vi sia ancora nel nostro ordinamento una norma
ad hoc che definisca e sanzioni il reato di tortura, non significhi minimamente che pratiche e comportamenti che rientrino nella fattispecie prevista dalla rilevante normativa internazionale in materia come tortura, siano tollerate o non adeguatamente sanzionate.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.

RAVA e DAMERI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
venerdì 11 aprile 2003, nella zona collinare della Provincia di Alessandria che confina con la Liguria, si è verificato un importante evento sismico (epicentro il Comune di S. Agata Fossili, tra Novi Ligure e Tortona);
la violenta scossa di terremoto ha provocato ingenti danni alle abitazioni private, ad edifici pubblici (scuole) e di culto;
il sistema di protezione civile ha dimostrato un notevole grado di efficienza, segnalando tuttavia un serio limite sul versante delle comunicazioni;
l'attività di verifica dei danni subiti dagli edifici, ai fini di decretarne l'agibilità, è tuttora in corso (2.800 richieste di sopralluoghi sono giunte agli organi preposti a questa attività entro le ore 20 di sabato 12 aprile), ma già si contano a centinaia le abitazioni (adibite a prima casa) dichiarate inagibili, totalmente o parzialmente;
la regione Piemonte ha chiesto al Consiglio dei Ministri la proclamazione dello stato di emergenza per tutta l'area interessata dal sisma;
a seguito della proclamazione dello stato di emergenza, potranno essere emesse ordinanze che consentano - sotto il profilo finanziario e ordinamentale - la concreta gestione delle attività di pronto intervento;
la recentissima riclassificazione delle aree interessate nella mappa del rischio sismico deve avere precise conseguenze nel processo di progettazioni di qualsiasi intervento, dalla costruzione-ristrutturazione di edifici per civile abitazione, fino alla linea ferroviaria denominata «terzo valico»;
le popolazioni colpite hanno diritto a conoscere da subito limiti, caratteristiche e condizioni dell'intervento dello stato a parziale o totale risarcimento dei danni subiti dalle loro abitazioni, così che l'attività di progettazione degli interventi di ripristino possa svilupparsi immediatamente, in piena certezza del diritto;
la normativa vigente in materia di interventi pubblici a seguito di calamità


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naturali sembra assegnare al Presidente del Consiglio il potere di provvedere sia al come sia al quanto degli interventi, riservando al Parlamento il mero ruolo di approvare norme di finanziamento degli stessi;
non sarebbe in ogni caso accettabile che - operando un meccanismo di «tetto di spesa» per il finanziamento degli interventi in questione - le popolazioni colpite da calamità all'inizio dell'anno finanziario possano ricevere risarcimenti percentualmente più elevati di quelli ricevuti dalle vittime delle calamità verificatesi successivamente;
le risorse recate a copertura della legislazione vigente non sono in grado di soddisfare le esigenze di risarcimento dei danni determinate dalle precedenti calamità -:
quali proposte legislative (e in quali tempi) il Governo intenda avanzare al Parlamento, specie ai fine di finanziarie gli interventi per il risarcimento dei danni subiti dalle civili abitazioni;
entro quanti giorni dalla data di definitiva raccolta dei dati di approssimativa quantificazione dei danni il Governo definirà le procedure, le caratteristiche e l'entità degli interventi di risarcimento, così da consentire ai cittadini colpiti di procedere alla ricostruzione conoscendo il livello del concorso dello stato;
se intenda formalizzare una proroga dei termini per la formulazione dei pareri di V.I.A., sul progetto di tracciato della linea ferroviaria denominata «terzo valico», da parte dei Comuni interessati dall'evento sismico;
se intenda immediatamente disporre il finanziamento della ricostruzione del Ponte sullo Scrivia ad Arquata Scrivia, risultando il ripristino di questa struttura essenziale - nel contesto della zona terremotata - per favorire, nel Comune di Serravalle Scrivia, il definitivo superamento dei problemi di viabilità, aggravati dall'evento sismico (rischi di crollo sulla statale dei Giovi);
se non ritenga necessaria un'iniziativa legislativa per sottrarre definitivamente alla episodicità e alla logica del «caso per caso» gli interventi pubblici di risarcimento dei danni causati da calamità naturali alle private abitazioni.
(4-06070)

Risposta. - Il giorno 11 aprile 2003, sul territorio collinare della provincia di Alessandria, si è verificata una violenta scossa di terremoto avente per epicentro il comune di S. Agata Fossili, tra Novi Ligure e Tortona. A causa dei notevoli danni provocati dal sisma, in data 18 aprile 2004, il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza ai sensi dell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225.
Successivamente è stata emanata, d'intesa con la regione Piemonte, l'ordinanza di protezione civile n. 3284 del 30 aprile 2003 per fronteggiare l'emergenza che ha interessato, oltre alla città di Alessandria, numerosi altri comuni della regione.
Con l'articolo 1 della predetta ordinanza è stato attribuito al presidente della regione, d'intesa con il dipartimento della protezione civile - Ufficio servizio sismico nazionale, il compito di predisporre un piano per i primi interventi straordinari per il ripristino degli immobili e delle infrastrutture danneggiati, individuando, altresì, i relativi soggetti attuatori. Nel piano sono stati compresi anche gli interventi urgenti sugli edifici storico-monumentali ed artistici.
Sono state, quindi, stabilite le modalità di approvazione dei progetti ricorrendo, ove necessario, alla Conferenza dei servizi ed è stato assegnato ai nuclei familiari, la cui abitazione principale fosse stata distrutta completamente, in parte o sgomberata, un contributo per l'autonoma sistemazione, integrato da un ulteriore contributo qualora nei suddetti nuclei fossero presenti persone di età superiore ai 65 anni, portatori di handicap o disabili con una percentuale di invalidità non inferiore al 67 per cento. Sono state, inoltre, previste anche risorse finanziarie per promuovere la ripresa delle attività produttive.
Al fine di provvedere alla realizzazione degli interventi programmati, con l'articolo


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7 della predetta ordinanza sono stati stanziati 30 milioni di euro.
I comuni danneggiati dal sisma sono risultati essere 71 (decreto regionale n. 45 del 20 maggio 2003) per i quali, con il parere favorevole del Servizio sismico nazionale, sono stati formulati i criteri tecnici cui attenersi per il recupero e per la ricostruzione del patrimonio edilizio (decreto regionale n. 52 del 5 giugno 2003), elaborati tenendo conto anche dell'ordinanza n. 3274 del 30 marzo 2003, recante «primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per la ricostruzione in zona sismica».
Con decreto regionale n. 56 del 13 giugno 2003 è stato redatto il Piano degli interventi straordinari per il ripristino degli edifici pubblici, compresi quelli storico-monumentali, che è stato adottato entro sessanta giorni dalla data della pubblicazione della menzionata ordinanza n. 3274.
Attualmente l'attività di ricostruzione è in corso d'opera.
Per quanto riguarda i contributi da erogare ai cittadini, con decreto regionale n. 87 dell'8 agosto 2003, sono stati adottati i criteri relativi all'assegnazione delle risorse economiche.
Inoltre, con l'ordinanza di protezione civile n. 3311 del 12 settembre 2003, relativa alla ripartizione delle risorse finanziarie autorizzate ai sensi del decreto-legge 7 febbraio 2003, n. 15, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 2003, n. 62, e ai sensi dell'articolo 80, comma 29, secondo periodo, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, sono stati previsti, conformemente a quanto previsto nel decreto legge n. 15 del 1993, limiti di impegno rispettivamente pari a 2.231.840 euro per l'anno 2003 e a 384.800,00 euro per l'anno 2004, mentre, per l'anno 2004 è stato corrisposto un limite di impegno pari a 962.000,00 euro.
Per quanto riguarda il ponte sul fiume Scrivia ad Arquata Scrivia, questo era stato già realizzato provvisoriamente, nel gennaio 2003, nel quadro delle opere di ricostruzione relative agli eventi alluvionali verificatisi nell'autunno del 2000 (ordinanza n. 3090 del 2000), finanziate con i fondi stanziati sia con la predetta ordinanza 3090 che con le successive nn. 3237, 3258 e 3276 del 2002.
La provincia di Alessandria, con nota del 12 dicembre 2003, è stata, comunque, incaricata di procedere a tale realizzazione utilizzando risorse economiche pari a 3 milioni di euro.
Ad ogni buon conto, relativamente alla ricostruzione del ponte, si fa presente che la strada statale 35 «dei Giovi» è stata trasferita, sin dal 2001, al demanio regionale.
Il progetto preliminare del terzo valico dei Giovi della linea AV/AC Milano-Genova è stato approvato ai sensi del decreto legislativo n. 190 del 2002 con delibera CIPE n. 78 del 28 settembre 2003. Conseguentemente, alla stessa data, si è conclusa con esito positivo la procedura di VIA della suddetta opera.
Infine, in relazione ai termini per la formulazione dei pareri, da parte dei comuni interessati, di valutazione dell'impatto ambientale sul tracciato ferroviario denominato «terzo valico», la regione Piemonte, se pur non formalmente, ha di fatto prorogato il termine ultimo del 10 giugno 2003 con delibera regionale di approvazione del tracciato, datata 8 luglio 2003.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento: Carlo Giovanardi.

RAVA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il Distaccamento dei Vigili del Fuoco di Acqui Terme opera da anni in situazione di forte disagio avendo a disposizione una sede angusta locata in un appartamento;
detto distaccamento opera in un vasto territorio e negli ultimi undici mesi sono stati richiesti 578 interventi di cui 181 per lo spegnimento di incendi con 310 soccorsi e 55 interventi per incidenti stradali, affrontati con encomiabile impegno


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dai Vigili del Fuoco nonostante le ristrettezze di personale, di spazi organizzativi e di mezzi;
l'attuale sede non permette l'espletamento dell'attività addestrativa necessaria per la formazione permanente del personale e pregiudica il buon funzionamento del servizio per mancanza di spazi, mezzi e personale;
i lavori della costruzione della nuova sede sono iniziati il 17 dicembre 1999 e dovevano essere terminati entro il 9 marzo 2001;
a tutt'oggi i lavori non sono ancora ultimati e prosegue l'insostenibile situazione di disagio del distaccamento dei Vigili del Fuoco di Acqui Terme -:
se non ritenga necessario chiarire i reali motivi che hanno determinato la mancata consegna nei tempi previsti della nuova sede del distaccamento dei Vigili del Fuoco di Acqui Terme che sorge in Regione Sott'Argine e per garantire una sollecita ultimazione dei lavori.
(4-08465)

Risposta. - La costruzione della nuova sede del distaccamento dei Vigili del fuoco di Acqui Terme ha subito varie vicissitudini e non certamente per cause imputabili all'Amministrazione dell'interno, in quanto i lavori di costruzione, concordati sulla base di un contratto stipulato l'8 febbraio 1999, dipendevano dal Provveditorato regionale alle opere pubbliche per il Piemonte.
L'impresa appaltatrice, che aveva iniziato i lavori il 17 dicembre 1999 e avrebbe dovuto terminarli entro il 9 marzo 2001, è fallita quando mancavano modeste opere di finitura e di sistemazione esterna al completamento della suddetta sede, ragion per cui il giudice del fallimento ha autorizzato a proseguire i lavori affidandoli ad un'altra ditta.
Il 14 marzo 2002 il predetto provveditorato regionale ha comunicato che i lavori sarebbero stati ripresi entro breve tempo e avrebbero avuto termine entro quarantacinque giorni.
Il 25 febbraio 2003, il comando provinciale di Alessandria ha chiesto la consegna provvisoria dell'immobile nelle more del collaudo amministrativo.
Successivamente, il 18 aprile 2003, il Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile ha manifestato al Provveditorato regionale la necessità di disporre nel più breve tempo possibile della sede in argomento e la disponibilità a finanziare con propri fondi i lavori necessari al completamento e alla rifinitura della sede stessa.
Il provveditorato regionale ha appaltato i lavori finali nello scorso mese di gennaio.
La nuova sede è diventata operativa a tutti gli effetti dal mese di maggio 2004 a seguito della consegna provvisoria dell'immobile.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Maurizio Balocchi.

RIZZO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la città di Genova è interessata, in questi giorni, dall'ipotesi di edificazione nella zona di Val Bisagno di un centro di permanenza temporanea per immigrati clandestini in attesa di essere rimpatriati (cpt);
i cittadini, le associazioni di assistenza agli immigrati, i consigli elettivi e le giunte di comune, provincia e circoscrizione sono stati, di fatto, esclusi da ogni tipo di consultazione con riguardo alla determinazione del sito e della tipologia strutturale del manufatto, queste ultime deliberate, invece, da una conferenza di servizi sotto l'egida del ministero dell'interno, con la motivazione di opera di interesse nazionale;
la forte mobilitazione da parte della popolazione locale alla iniziativa è anche giustificata dai fatto che da parte delle istituzioni competenti non si è proceduto alla previa individuazione di alcuna area idonea, sia pubblica che privata, in grado


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di accogliere il nuovo complesso edilizio che ospiterebbe il centro di permanenza -:
quale sia il ruolo esercitato dalla prefettura di Genova nella individuazione dell'area da destinare allo scopo che ha comportato il cambio di destinazione d'uso rispetto alle previsioni del nuovo piano urbanistico della città e del Piano di Bacino del Bisagno che non consentono nell'area alcun intervento di cementificazione, ma solo la destinazione a spazio verde;
quali siano stati i criteri di scelta dell'area in premessa, rispetto alla ipotesi di insediamento in altre aree o strutture a livello regionale;
quali siano state le motivazioni che hanno spinto a privilegiare un'area di proprietà privata rispetto ad eventuali aree di proprietà demaniale;
in base a quali criteri sia stata scelta la ditta Garaventa spa nel ruolo di impresa costruttrice;
se corrisponda al vero che la citata ditta sarebbe proprietaria dell'area e dei terreni circostanti, oggi inedificabili, ma dei quali è ipotizzabile lo svincolo di inedificabilità.
(4-09581)

Risposta. - Sin dall'entrata in vigore della legge 6 marzo 1998, n. 40, che ha previsto, tra l'altro, la realizzazione dei Centri di permanenza temporanea e assistenza, è stata avviata nella provincia di Genova una puntuale ricerca volta a reperire un sito ove edificare la struttura, ovvero un manufatto da destinare a quella finalità.
A seguito della segnalazione da parte dell'Agenzia del demanio di siti da adibire a possibili sedi del Centro e della consultazione, da parte del prefetto di Genova, dei presidenti delle associazioni imprenditoriali più rappresentative in provincia, venivano formulate proposte, sottoposte al preliminare vaglio del questore che, tuttavia, a fronte di mirati sopralluoghi, riscontrava l'inidoneità delle aree reperite.
Le notevoli difficoltà del reperimento di un'area idonea, dovute sia a particolarità geografiche che alla necessità di rispettare i requisiti per tali strutture, venivano comunque superate con l'individuazione di un unico sito, risultato di proprietà della Società Garaventa, rispondente ai requisiti richiesti.
Dopo che una commissione, appositamente costituita, confermava il giudizio sull'idoneità del sito, il Dipartimento delle Libertà Civili e dell'Immigrazione del Ministero dell'Interno, alla luce delle valutazioni formulate, autorizzava il Prefetto di Genova all'avvio di contatti con la società Garaventa, resasi disponibile anche alla progettazione dell'opera ed alla sua esecuzione.
Veniva, quindi elaborato un progetto di massima che è ad oggi, all'attenzione dell'apposita commissione tecnico-consultiva istituita presso il citato Dipartimento Libertà Civili e dell'immigrazione.
Come evidenziato, la fase di progettazione dell'intervento di realizzazione di tale struttura è ancora del tutto preliminare; ancora nessuna determinazione è stata quindi assunta dalle strutture centrali competenti.
Per quanto riguarda le singole questioni sollevate dall'interrogante, si evidenzia quanto segue.
Con riguardo alla compatibilità del progetto con il Piano urbanistico comunale, si precisa che i terreni oggetto della proposta fanno parte di un compendio immobiliare soggetto a diversi regimi di zonizzazione urbanistica.
Le aree ove sorgono i fabbricati eventualmente da destinare a Centro ricadono interamente in zona «Rc2» la cui destinazione principale è la funzione recettiva. Sono, inoltre, ammesse altre destinazioni, tra cui i servizi pubblici.
Di conseguenza, ad oggi la zona è edificabile e l'eventuale realizzazione del C.P.T.A. non implicherebbe variante al Piano Urbanistico Comunale «la quale comunque, come noto, rientra nella esclusiva potestà e competenza dell'Amministrazione comunale».


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I terreni non edificabili compresi nel compendio non sono interessati dalla realizzazione dei fabbricati componenti il C.P.T.A. e sono solo aree di pertinenza dell'insediamento.
Si precisa, inoltre, che l'ipotesi attualmente allo studio prevede l'eventuale formalizzazione dell'accordo contrattuale mediante lo schema del negozio di compravendita di cosa futura.
Si fa presente, infine, che né l'impresa Garaventa, né la società alla stessa collegate, sono proprietarie di terreni circostanti l'area di possibile interesse dell'amministrazione.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

ROSATO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto denunciato da un cittadino italiano, le modalità di accesso e i rapporti con gli uffici dell'Ambasciata d'Italia a Kiev sono inspiegabilmente tortuosi e difficoltosi;
la persona in questione - che ogni anno richiede il visto turistico d'ingresso in Italia per far trascorrere a due lontani parenti le vacanze estive nel nostro Paese - riscontra le prime difficoltà al momento della richiesta telefonica per ottenere un appuntamento all'Ufficio Visti;
la procedura infatti prevede obbligatoriamente un contatto telefonico con l'Ambasciata attraverso dei numeri che, oltre a presentare una tariffazione pari ai nostri 899 (euro 1.88 circa al minuto), transitano attraverso un lungo e quindi costoso messaggio preregistrato che costringe il chiamante ad attese interminabili, passando infine la telefonata ad un interno che risulta spesso occupato oppure dove nessuno risponde;
questa procedura è costata al chiamante che ha denunciato il fatto ben euro 150 (in schede telefoniche) prima di ottenere il sospirato appuntamento;
ulteriore difficoltà si può presentare all'atto del rilascio del passaporto con il visto, nel malaugurato caso - accaduto al denunciante proprio lo scorso anno - che il documento non sia pronto nella data prevista e vi sia quindi la necessità di tornare a ritirarlo in un secondo momento;
il mancato approntamento del passaporto nei tempi stabiliti ha comportato, per le persone in questione, non residenti a Kiev, un lunghissimo viaggio in treno di 12 ore d'andata più 12 di ritorno, completamente andato a vuoto -:
se è vero che all'Ambasciata d'Italia a Kiev siano state date queste disposizioni creando procedure costose per i cittadini per contatti che andrebbero invece facilitati;
quale tipo di contratto è stato stipulato con l'operatore telefonico e a quali condizioni;
se tali sistemi di contatto telefonico sono utilizzati anche in altre ambasciate e quali;
nel caso tutto ciò sia confermato se il Ministro ritenga di dare disposizioni per modificare le procedure in essere e consentire un miglior servizio ai cittadini.
(4-10422)

Risposta. - L'istituzione di un call centre da parte dell'Ambasciata a Kiev risponde alle indicazioni che il Ministero degli Affari Esteri, nel quadro della nuova strategia per una politica attiva nel settore dei visti, ha dato negli ultimi mesi alle Rappresentanze diplomatiche ed agli uffici consolari accreditati in Paesi di ampie dimensioni e caratterizzati da notevole afflusso di pubblico, al fine di ridurre i disagi per l'utenza (spesso costretta a lunghe file all'esterno delle sedi) ed alleggerire la pressione, generalmente elevatissima, sul personale.
Attualmente tale sistema, in funzione a Kiev dal 2002, è positivamente sperimentato, senza alcun aggravio per l'erario, anche dalle Ambasciate a Mosca, Manila, New


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Delhi, Dakar, Tel Aviv e Belgrado e dai Consolati a Mumbai, Londra e Cairo.
Per quanto riguarda, in particolare, il sistema operante a Kiev (sede che ha rilasciato 30.000 visti nel 2003, con un ulteriore elevato incremento previsto per il corrente anno), esso è finalizzato sia a fissare gli appuntamenti per tutte le tipologie di visto (ad esclusione dei visti per affari, che continuano ad essere gestiti direttamente dall'Ambasciata), sia a fornire ogni informazione sui servizi dell'intero settore consolare, l'accesso al quale - ad eccezione della sezione visti - è comunque esente da prenotazione.
Attualmente gli appuntamenti per la presentazione della documentazione per il rilascio del visto vengono fissati a circa cinque settimane di distanza; peraltro, in presenza di posti disponibili, gli appuntamenti possono essere fissati a più breve scadenza.
Il
call centre realizza diverse migliaia di contatti mensili: il servizio informativo tramite operatore è reso in italiano ed ucraino. Il costo del call centre è pari a circa 2 euro al minuto per le chiamate dall'Ucraina (con lievi differenze tra le chiamate da un telefono fisso e quelle da cellulare). Tale costo è da imputare in massima parte alla struttura del mercato telefonico ucraino, nel quale operano due sole società telefoniche che introitano il 35 per cento del costo della telefonata. Un'altra componente del costo del servizio reso va al licenziatario del numero a pagamento, mentre la parte rimanente viene percepita dal call centre, il quale opera sulla base di un contratto di prestazione di servizi stipulato con l'ambasciata.
È possibile fissare appuntamenti solo dall'Ucraina. Per chi invece chiama per ottenere informazioni dall'Italia, il costo addebitato e quello della normale teleselezione internazionale.
Nonostante le condizioni del mercato sopra evidenziate consentano limiti di manovra assai ristretti, l'ambasciata si sta adoperando per indurre il gestore finale a ridurre quanto possibile i costi di accesso al servizio e, in generale, a migliorare i propri criteri operativi. In particolare, è stato ampliato dalle ore 9,00 alle ore 17,00 l'orario durante il quale è possibile fissare un appuntamento per essere ricevuti presso la sede.
A seguito anche delle indicazioni emerse dall'ultima verifica ispettiva alla nostra ambasciata a Kiev, è stato attuato il reperimento di nuovi spazi che ha indubbiamente migliorato la situazione dell'ufficio consolare: esso rimane comunque sottoposto a forte pressione, in considerazione della consistente attività che esso svolge, dell'intenso afflusso di pubblico e dell'elevato numero di richieste di visti d'ingresso cui si deve in ogni caso far fronte con risorse umane e materiali limitati dagli attuali stringenti vincoli di bilancio.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.

RUZZANTE, BIMBI, MILANATO, COLASIO, ASCIERTO, ZORZATO e RODEGHIERO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro delle comunicazioni. - Per sapere - premesso che:
la Maratona di Sant'Antonio, nel 2003, si è rivelata la terza in Italia (in base alla media dei tempi dei primi tre atleti classificati);
riesce a mobilitare 60 mila spettatori ogni anno;
la stessa Federazione italiana di atletica leggera ha riconosciuto l'importanza di questo evento per lo sport italiano, sostenendo la candidatura di Padova tra le manifestazioni che la TV di Stato dovrebbe seguire;
da ormai quattro anni gli organizzatori aspettano, inutilmente, la diretta RAI di questo importantissimo evento;
la RAI continua a seguire eventi di minor rilievo;
il presidente di Assindustria Sport, Francesco Peghin, che organizza l'evento, ha sottolineato il rischio che anche quest'anno


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la TV di Stato si disinteressi dell'appuntamento in programma per il 25 aprile;
il contratto di servizio prevede che la RAI si impegni a dare risalto e quindi trasmettere gli eventi sportivi di principale richiamo -:
se il Governo non intenda segnalare alla RAI l'opportunità di seguire, in diretta, la Maratona di Sant'Antonio in programma per il 25 aprile, dopo averla ignorata per quattro anni, preferendo competizioni di minore importanza e ignorando gli stessi riconoscimenti della Federazione italiana di atletica leggera.
(4-09601)

Risposta. - Si premette che la Federazione italiana di atletica leggera, interpellata al riguardo, ha evidenziato che ogni anno presenta le proposte per la messa in onda delle gare di atletica ritenute importanti dal punto di vista agonistico e spettacolare, - tra le quali rientra anche la Maratona di Padova - ma che non può interferire nelle scelte editoriali televisive.
Nel caso di specie, e secondo anche quanto riferito dal Ministero delle comunicazioni, si rappresenta che RAI Sport, nell'anno in corso, aveva già provveduto alla collocazione in palinsesto del prestigioso evento sportivo.
In particolare, si segnala che il giorno 25 aprile 2004, dalle ore 15,31 alle ore 15,46, è stata trasmessa, nel corso del pomeriggio sportivo di Raitre, in leggera differita, una sintesi della Maratona e che il giorno 28 aprile 2004 è stata trasmessa una differita dalle ore 16,30 alle ore 17,30.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Mario Pescante.

SERENI, CALZOLAIO e SPINI. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per gli italiani nel mondo. - Per sapere - premesso che:
le autorità tedesche (Auswartiges Amt) hanno avanzato richiesta di far coincidere le circoscrizioni consolari con quelle dei confini amministrativi dei Kreis dal prossimo luglio;
tale modifica comporterebbe lo spostamento dalla Circoscrizione consolare di Dortmund a quella di Colonia di alcuni comuni dove è consistente l'insediamento di famiglie italiane, e precisamente dei comuni di Balve, Herner, Iserlohn e Menden del Markische Kreis, e Arnsberg e Sundern dell'Hochsauerland-Kreis;
la modifica comporterà, sul piano pratico, un grave disagio per i circa cinquemila italiani residenti nei suddetti comuni, che per il disbrigo anche delle più semplici pratiche si troveranno nella necessità di raggiungere il Consolato di Colonia, che è a non meno di 80-100 chilometri di distanza;
lo spostamento, inoltre, determinerà anche uno squilibrio a livello di organismo di rappresentanza di base degli italiani all'estero, in quanto quattro degli eletti nel COMITES di Dortmund, rinnovato di recente ai sensi della legge 23 ottobre 2003 n. 286, risiedono nei comuni interessati e hanno ricevuto il loro mandato proprio dai cittadini che sarebbero collocati in altra circoscrizione consolare e resterebbero pertanto privi dei loro legittimi rappresentanti;
una petizione indetta dal COMITES di Dortmund e da un locale comitato promotore, sottoscritta da migliaia di italiani, consente di interpretare in modo chiaro il desiderio dei nostri connazionali residenti nelle zone indicate -:
se non si intenda fare presente alle autorità tedesche, tramite il nostro personale diplomatico, il disagio che si creerebbe per un numero considerevole di nostri connazionali e se non si intenda richiedere le deroghe necessarie a fare rispettare le situazioni amministrative e gli aspetti istituzionali consolidati.
(4-10343)


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Risposta. - La questione segnalata dall'interrogante trae origine dalla richiesta delle Autorità tedesche di fare coincidere le delimitazioni delle circoscrizioni consolari del Consolato generale a Colonia e del Consolato a Dortmund con quelle delle ripartizioni amministrative interne (Kreise). Attualmente, infatti, i circondari di Maerkischer Kreis e Hochsauerland risultano divisi tra le circoscrizioni dei due Uffici consolari.
Sulla base degli approfondimenti condotti dall'Ambasciata a Berlino, in consultazione con i due consolati interessati, si era prefigurata l'inclusione nella circoscrizione del consolato generale in Colonia di alcuni distretti appartenenti alla circoscrizione del consolato in Dortmund, con il duplice obiettivo di assicurare la coincidenza con le ripartizioni amministrative tedesche e di salvaguardare un'equilibrata ripartizione dei carichi di lavoro tra i due uffici in rapporto alle rispettive risorse. D'intesa con le Autorità tedesche, l'applicazione di tale modifica era stata peraltro rinviata ad un periodo successivo alle elezioni dei
Comites ed alle elezioni europee, per evitare qualsiasi possibile complicazione nello svolgimento delle relative procedure.
Alla luce delle segnalazioni pervenute nelle ultime settimane dalle collettività italiane interessate, relative anche alle possibili conseguenze sulla composizione del neo-eletto
Comites di Dortmund, l'Ambasciata a Berlino sta conducendo un ulteriore approfondimento della questione al fine di definire soluzioni alternative che eliminino o riducano il più possibile i paventati inconvenienti. Come previsto dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, l'assetto definitivo delle circoscrizioni dovrà incontrare l'assenso delle Autorità tedesche. L'Ambasciata a Berlino non mancherà peraltro di rappresentare alle predette Autorità gli interessi e le aspettative delle collettività italiane residenti.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.

TARDITI. - Al Ministro delle attività produttive, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il marchio Made in Italy da qualche tempo è bersaglio da parte di fabbricanti di tutto il mondo, ma in particolare cinesi, di contraffazioni, sia nel settore dell'abbigliamento che in quello della produzione italiana di rubinetterie;
le contraffazioni subite dal comparto delle rubinetterie italiane in genere e specificatamente delle valvole a sfera e saracinesche, ad esempio quelle prodotte dalla s.p.a. Giacomo Cimberio (che nel 2002 ha perso una quota pari al 25 per cento dell'export), sono ormai reperibili su quasi tutti i mercati con il marchio Made in Italy e in molti casi hanno anche il trademark CIM-MADE IN ITALY, uguali nella forma e nell'aspetto esteriore ai prodotti della succitata Società;
la rubinetteria Made in Italy ha conquistato i mercati mondiali per la qualità, il design e la serietà, peculiarità che stanno rischiando di essere danneggiate nei paesi dove vengono commercializzati i prodotti italiani e dove vengono immessi sul mercato prodotti cinesi che riproducono abusivamente il marchio del fabbricante e il Made in Italy, simboli che rappresentano una garanzia per chi compra;
sembra che anche da parte di taluni fabbricanti italiani si stia diffondendo la pratica di importare direttamente nel nostro paese prodotti fabbricati in Cina, realizzati ovviamente secondo loro progetto, ma marchiati Made in Italy, immettendoli sui mercati mondiali, ovviamente a prezzi estremamente competitivi, grazie ai bassi costi di produzione cinese;
tale pratica pregiudica notevolmente gli interessi del consumatore inducendolo in inganno in quanto lo stesso acquista un prodotto cinese nella convinzione di acquistare Made in Italy;
le società del compatto stanno promuovendo azioni legali per proteggere sia il nome che il Made in Italy in quanto la concorrenza sleale induce i consumatori,


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qualora dovessero riscontrare difetti di produzione, a rivalersi sulla società impressa sul marchio;
tali prodotti sono realizzati tra l'altro con leghe di rame con alto contenuto di piombo non accettabile da nessuna norma internazionale per uso con acqua potabile destinata al consumo umano;
anche le statistiche confermano che, il valore export delle imprese cinesi nel settore in questione, che nel 1996 era pari all'11 per cento, ha raggiunto il 27 per cento nel 2000;
non è accettabile né giusto che produzioni provenienti sia dalla Cina sia da altri paesi portino il marchio Made in Italy inducendo in inganno e danneggiando la fama della produzione italiana faticosamente costruita con anni di sacrifici e di lavoro -:
quali iniziative anche normative il Governo intenda assumere per realizzare una protezione del Made in Italy e per fare in modo che tutti i prodotti importati in Italia e sul mercato europeo indichino tassativamente il paese di origine e per salvaguardare gli acquirenti i quali hanno diritto di conoscere la qualità del prodotto che stanno acquistando.
(4-06317)

Risposta. - Il Governo italiano è perfettamente consapevole della gravità del problema della tutela dei diritti della proprietà intellettuale, come è consapevole della sua rilevanza fondamentale nei rapporti dell'Italia con la Repubblica Popolare Cinese e delle conseguenze che la violazione di tali diritti comporta nei rapporti con quel Paese e delle ripercussioni che determina soprattutto sulle piccole e medie imprese.
Lo scorso mese di aprile è stata presentata dall'amministrazione interrogata una serie di misure a tutela del
Made in Italy. Tali misure sono attuative delle disposizioni già incluse nella Legge Finanziaria 2004 (articolo 4) e prevedono l'etichettatura del prodotto Made in Italy, l'istituzione di un marchio di qualità, l'avvio di una campagna sui falsi, la costituzione di un Comitato nazionale anti-contraffazione con funzioni di monitoraggio dei fenomeni in materia di violazione dei diritti di proprietà industriale ed intellettuale, di coordinamento e di studio delle misure volte a contrastarli, e di assistenza alle imprese per la tutela contro le pratiche commerciali sleali; è inoltre previsto un fondo destinato all'assistenza legale per le controversie di questo genere. Presso l'istituto Commercio Estero saranno invece istituiti Uffici di consulenza, di monitoraggio per la tutela del marchio e delle indicazioni di origine, nonché di assistenza legale per le suddette problematiche. Il relativo regolamento di attuazione stabilirà se nel concetto di concorrenza sleale potranno essere inseriti anche gli strumenti di difesa commerciale.
Lo scorso 1o luglio è inoltre entrato in vigore il Regolamento CE n. 1383/2003, relativo alle misure di polizia doganale da adottare al fine di arginare il dilagante fenomeno della contraffazione sul mercato europeo. Tale regolamento sottolinea l'esigenza di tutela sia dei produttori che dei consumatori, garantendo la veridicità dei marchi di provenienza dei prodotti.
La stessa legge finanziaria prevede, a tutela delle merci prodotte integralmente in Italia o considerate prodotto italiano ai sensi del Regolamento CE n. 2913/1992, la regolamentazione dell'etichettatura oltre che la possibilità di adottare un apposito marchio; tali misure sono dirette a rafforzare la riconoscibilità dei prodotti italiani all'estero, anche per la tutela dei consumatori.
La legislazione comunitaria in vigore, mentre consente, da un lato, di poter indicare, in alcuni casi specifici per i beni comunitari oggetto di esportazione, lo Stato membro di produzione, non prevede, dall'altro, una disposizione analoga che permetta alle merci prodotte nella Comunità e destinate al mercato interno, di poter attribuire anche l'origine di uno stato membro. Ne consegue che, allo stato attuale, nella Unione Europea si può risalire alla sola ed eventuale «origine non preferenziale» della Comunità, con la facoltà di etichettare i relativi prodotti senza una ulteriore norma che consenta di ricondurre, in


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alcuni specifici casi, l'origine non preferenziale medesima ad un determinato Stato membro. Quindi, in merito alla circostanza in base alla quale dette etichette vengono apposte con riferimento ad uno Stato membro, è opportuno fare le seguenti considerazioni:
a) non esiste una normativa che vieti dette etichette, salvo che esse non siano false;
b) il fenomeno dell'etichettatura di provenienza riguarda produttori nazionali che, soddisfacendo le regole di origine non preferenziali, realizzano parte della produzione in Italia, ovvero produttori che appongono illegalmente, contravvenendo all'Accordo di Madrid, le etichette medesime;
c) sono almeno per il momento, da escludere casi significativi di produttori italiani che nel rispetto delle regole non preferenziali di origine comunitaria, pur producendo in uno Stato membro che non sia l'Italia, appongono dette etichette con riferimento proprio all'Italia.

Si ricorda inoltre che, solo per la Cina, esistono gli specifici strumenti di difesa commerciale, ovvero lo Strumento di Salvaguardia Speciale (attivo per 12 anni, a partire dal 2001) e l'Antidumping. Il primo strumento si può adottare quanto l'industria europea di un determinato prodotto è in crisi proprio a causa di importazioni massicce di tale prodotto provenienti dalla Cina; in questo caso il Consiglio, su proposta della Commissione Europea, potrà applicare quote o dazi per un periodo di quattro anni. Il secondo strumento, l'Antidumping, si applica quanto le aziende di un Paese terzo vendono in Europa un certo prodotto a prezzo inferiore a quello praticato nel mercato interno di quel Paese. In questo caso l'Unione Europea può applicare dazi (che durano in media cinque anni) sulle importazioni del prodotto in questione; tali dazi possono essere rinnovati anche dopo la scadenza quinquennale. Proprio nel febbraio scorso è stata portata a termine la semplificazione dei meccanismi decisionali sull'antidumping (finora occorrevano otto Stati favorevoli al superdazio, con l'attuale riforma ne occorrono otto esplicitamente contro, e poi tredici voti contro a partire dal 1o maggio 2005). Molto importanti sono anche le agevolazioni introdotte per le PMI che intendono avvalersi di questi strumenti di difesa commerciale, finora appannaggio delle sole grande imprese.
La nostra Ambasciata e gli Uffici ICE di Pechino svolgono, inoltre, opera di consulenza e assistenza alle nostre ditte, in continuo contatto con il Ministero del commercio cinese, per la soluzione dei casi di concorrenza sleale segnalati.
Si segnala, infine, l'avvio di una campagna informativa per le ditte, al fine di diffondere i citati Strumenti di difesa commerciale proprio sul sito INTERNET del ministero, la pubblicizzazione capillare dello Strumento di Salvaguardia Speciale per la Cina, i numerosi convegni con le Associazioni di categoria e le camere di commercio, oltre al tradizionale FORUM della pubblica amministrazione, solitamente organizzato nel messe di maggio presso la Fiera di Roma.
La lotta alla contraffazione ha sempre rappresentato e rappresenta tuttora una delle priorità dell'attività doganale svolta dal Ministero dell'economia e delle finanze attraverso l'Agenzia delle Dogane. Quest'ultima si sta muovendo su due direttrici fondamentali:
a) il partenariato con le imprese, attraverso un Memorandum d'intesa con le associazioni maggiormente colpite dal fenomeno della contraffazione. Tali Memorandum prevedono scambi di dati e notizie al fine di sviluppare un'attività di intelligence per predisporre efficienti controlli su soggetti e su merci a rischio;
b) il potenziamento dei controlli sulle merci e sulle origini sensibili, così da predisporre controlli mirati solo su operazioni più potenzialmente a rischio. Tali controlli vengono espletati con apparecchiature tecnologicamente avanzate, che sono state installate nei maggiori porti ed interporti del territorio nazionale.
Il Viceministro delle attività produttive: Adolfo Urso.


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VALPIANA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la sede provinciale dell'INAIL di Terni, ubicata in un palazzo di recente costruzione in Via Filippo Turati n. 16, presenta notevoli problemi di natura architettonica e di stabilità, dovuti anche ad infiltrazioni di acqua piovana che non consentono, tra l'altro, il posizionamento di nuovi cavi elettrici da destinare all'illuminazione pubblica;
da molti mesi l'edificio è transennato, creando gravi disagi sia ai residenti delle abitazioni vicine, sia, soprattutto, ai bambini che usufruiscono per i loro giochi degli spazi antistanti le stesse abitazioni;
la struttura è inaccessibile alle persone disabili, in particolare sul lato di Via Filippo Turati, ove sono ubicati gli uffici del CONI, della CNA, della CONFARTIGIANATO, dell'UNMIL Unione Nazionale Mutilati ed Invalidi del Lavoro e del Corpo Forestale dello Stato;
l'UNMIL di Terni ha portato all'attenzione dell'autorità giudiziaria detta situazione ed ha informato con note scritte anche il sindaco di Terni e il prefetto;
la stessa INAIL è stata sollecitata ad intervenie dall'UNMIL con nota del 26 febbraio 2004 prot. n. 148 indirizzata alla direttrice dottoressa Roberta Serpentini -:
se, in considerazione dell'importante funzione pubblica svolto dalle sedi provinciali dell'Istituto Nazionale INAIL, intenda intervenire presso l'Istituto stesso affinché intervenga per rendere accessibile la propria sede di Terni, in particolare alle persone disabili e ai lavoratori infortunati.
(4-10030)

Risposta. - L'edificio di proprietà dell'INAIL, sito a Terni, via Turati, è distinto in due parti (istituzionale ed a reddito) ed ha due ingressi separati: uno (sito in Via A. Mario n. 18/20) consente l'accesso agli uffici INAIL, l'altro (al civico 16), permette l'accesso ad uffici locati a privati.
Il fabbricato, che si articola su due piani interrati e 12 piani fuori terra, è stato edificato su un terreno facente parte di una lottizzazione approvata dal comune di Terni nel 1979. Il limite della proprietà INAIL corrisponde all'ingombro dei piani interrati, comprendendo quindi anche gli spazi liberi soprastanti, occupati da aiuole e marciapiedi, sui quali grava una servitù di uso pubblico, ma non si estende al marciapiede che collega con forte pendenza il piano stradale di via Turati all'ingresso del civico 16.
Lo stabilimento non ha problemi né di natura architettonica né, tantomeno, di stabilità.
L'edificio è attualmente transennato per lavori relativi alla bonifica delle facciate in cemento armato e rifacimento dell'impermealizzazione delle aree esterne.
Tali lavori sono stati aggiudicati ad una ditta individuata mediante procedura di gara e successivamente sospesi a seguito di ricorso della ditta seconda classificata.
Il contenzioso si è concluso, di recente, con una sentenza del Consiglio di Stato che ha ritenuto non idonea l'impresa prima classificata.
Attualmente, la sede di Terni sta predisponendo la documentazione necessaria per stipulare un nuovo contratto con la ditta seconda classificata e sarà, quindi possibile, a breve, dare corso alla fase di realizzazione dei lavori che comprendono anche l'eliminazione delle infiltrazioni di acqua piovana al 1o seminterrato dell'area adibita a parcheggio pubblico, dovute all'usura dell'impermealizzazione dei giardini pensili sovrastanti.
Non risulta pervenuta, all'INAIL, alcuna segnalazione di necessità di installazione di cavi elettrici da destinare all'illuminazione pubblica.
L'accesso delle persone disabili è garantito sia alla sede che agli uffici della parte a reddito, dal parcheggio pubblico prospiciente l'ingresso al civico 18/20 (lato via A. Mario), ove, tra l'altro, il comune di Terni ha creato dei posti riservati ai disabili, recentemente rinnovati nella segnaletica, attraverso i passaggi pedonali, tutti in piano, che costeggiano l'immobile.


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Peraltro, la realizzazione di una rampa di collegamento con adeguata pendenza per consentire ai disabili l'accesso all'edificio direttamente da via Turati, è senza dubbio meritevole di considerazione, in quanto di interesse generale.
Al riguardo, infatti, l'istituto, che non è proprietario dell'area interessata, ha preso contatti con i competenti uffici del comune di Terni per rappresentare la più ampia disponibilità a collaborare alla realizzazione delle opere necessarie, compresa, ove ne ricorrano le condizioni, l'assunzione degli oneri relativi ai lavori.
L'INAIL, infine, ha fatto presente di aver fornito puntuale risposta alla nota dell'UNMIL, citata nell'interrogazione, e ad alcuni articoli apparsi sulla stampa cittadina.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Roberto Maroni.

ZANELLA e CIMA. - Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole e forestali. - Per sapere - premesso che:
da notizie apprese dal Corriere della Sera del 4 dicembre 2002, circa un mese fa a Torino il procuratore Raffaefe Guariniello ha aperto un'inchiesta su numerosi casi di sviluppo precoce delle ghiandole mammarie in 49 bambine di un anno o poco più nella provincia di Torino;
dalle indagini miranti ad accertare se vi sia stata somministrazione di alimenti pericolosi per la salute pubblica (reato previsto dall'articolo 444 del codice penale), sembrerebbe che le bambine siano state colpite da telarca precoce a seguito dell'assunzione di omogeneizzati a base di carne, contenenti estrogeni la cui somministrazione agli animali è vietata negli allevamenti europei;
è possibile che l'inconsapevole ingestione di anabolizzanti ed estrogeni pericolosi sia avvenuta a causa di un difettoso sistema di controllo sulla qualità delle carni prodotte in Italia o importate dall'estero, una circostanza particolarmente preoccupante dal momento che a seguito delle recenti emergenze sanitarie il sistema dei controlli sulla qualità degli alimenti a base di carne dovrebbe oggi essere particolarmente rigoroso;
la presenza di estrogeni ed ormoni nelle carni costituisce un serio problema di sicurezza alimentare che espone a rischio la salute di tutti, ed in particolare dei bambini che fanno largo uso di diete a base di carne, e che va affrontato seriamente anche tramite controlli diffusi e approfonditi su tutto il territorio;
le interroganti ritengono opportuno che sia fatta chiarezza su tali episodi -:
se non ritengano necessario ritirare dal mercato i prodotti alimentari sospettati di avere un rapporto diretto con questa patologia disponendo che possano essere nuovamente commercializzati solo dopo averne verificato l'innocuità per la salute dei consumatori;
quali provvedimenti intendano adottare per garantire l'efficacia futura del sistema dei controlli di qualità sugli alimenti a base di carne prodotti in Italia o importati dall'estero.
(4-04772)

Risposta. - In merito alla problematica segnalata nell'interrogazione parlamentare in esame, si ritiene di dover preliminarmente riportare quanto comunicato dalla prefettura-uffficio territoriale del Governo di Torino sulla base di elementi forniti dal Presidente della giunta regionale.
Il problema del telarca di origine alimentare in bambine prepuberi, è stato oggetto di particolari attenzioni da parte dei servizi veterinari pubblici piemontesi. Le prime indagini sono state avviate agli inizi degli anni '90, quando, a seguito di un episodio di telarca bilaterale complicato da metroraggia in una bambina in cura presso l'ospedale Regina Margherita di Torino, sono stati avviati stretti rapporti di collaborazione tra l'Assessorato regionale alla Sanità ed il Centro di ginecologia dell'infanzia e dell'adolescenza dell'ospedale S. Anna di Torino.


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Dai flussi informativi e dalle indagini epidemiologiche che ne sono derivate, è emerso come, nel periodo 1989-2002, di 1010 bambine in età prepubere visitate presso il Centro, 46 presentavano telarca mono o bilaterale (4,5 per cento). In seguito agli approfondimenti clinici eseguiti, si arrivò ad individuare la causa nel consumo di alimenti di origine animale contenenti, residui di sostanze estrogene. A questi primi riscontri ne seguirono altri alla fine degli anni '90 in provincia di Cuneo: casi denunciati dal servizio veterinario locale ed oggetto di approfondite indagini da parte della competente procura delle Repubblica. Anche da questo episodio emerse un traffico illecito di carni estrogenate di provenienza straniera (Spagna) commercializzate attraverso grosse catene di ristorazione collettiva. Interessante notare la relazione clinica della direzione di pediatria dell'ospedale civile di Cuneo dopo l'esame di una delle bambine di sei anni coinvolte nel caso. Nel referto si legge «l'età ossea e l'assetto ormonale della bimba ci tranquillizzano circa una possibile pubertà precoce. Resta il referto ecografico dei follicoli ovarici, inusuale per l'età».
Oltre questi episodi, che ponevano sul banco degli imputati le carni bovine, ve ne sono stati altri che hanno coinvolto il settore avicolo. È il caso degli episodi di ginecomastia (ingrossamento del seno dei maschi) segnalati dal Ministero della salute in mense scolastiche, a seguito del consumo di carni di pollame provenienti dal Brasile. Gli accertamenti disposti dall'autorità sanitaria agli inizi degli anni '90 misero in evidenza la contaminazione delle carni con sostanze estrogene (17 beta-estradiolo).
In epoca recente il fenomeno è riemerso in tutta la sua gravità per l'interessamento della procura della Repubblica presso il tribunale di Torino che, titolare di alcune indagini sul fenomeno, ha attivato un sistema informativo diretto con la pediatria di base pubblica e privata. Sulle indagini in corso non possono essere forniti chiarimenti perché coperte da segreto d'ufficio; si può solo dire che «osservati speciali» sono anche in questo caso, prodotti destinati alla prima infanzia sospettati di contenere residui tossici per la salute pubblica.
Dalle indagini emerge come il fenomeno non sia limitato al Piemonte ma coinvolga anche altre regioni italiane (in particolare Lombardia e Toscana).
Il controllo di salubrità dei prodotti di origine animale, affidato ai servizi veterinari pubblici, ha come obbligo istituzionale l'applicazione del «Piano nazionale residui». È infatti dalla fine degli anni ottanta che, nel rispetto del divieto imposto dal legislatore comunitario, viene annualmente elaborato dal Ministero della salute un programma nazionale di controllo volto a verificare la presenza, negli animali allevati e nelle loro produzioni, di residui pericolosi per la salute pubblica.
Il piano nazionale residui viene poi trasmesso alle regioni e province autonome che si avvalgono, per la pratica attuazione, dei servizi veterinari della ASL.
Tra le verifiche previste vi è il controllo sull'uso illecito di sostanze anabolizzanti e vietate negli allevamenti zootecnici, con particolare riferimento agli allevamenti bovini da carne».
Per quanto riguarda le irregolarità riscontrate a carico di alcune marche di omogeneizzati distribuite sul mercato, si segnala che nel mese di luglio 2003 è stato reso operativo un piano straordinario di campionamenti per la ricerca di residui di sostanze ad attività ormonale negli alimenti, a base di carne, per la prima infanzia, e nelle materie prime carnee utilizzate per la loro produzione.
I campioni sono stati prelevati ad opera dei carabinieri NAS negli stabilimenti di produzione e consegnati all'Istituto superiore di sanità (ISS), incaricato dell'effettuazione delle analisi chimiche.
Il 28 aprile 2004 l'ISS ha comunicato gli esiti dell'indagine analitica, dalla quale non è emersa la presenza di sostanze di sintesi ad effetto anabolizzante, specificando, tuttavia, che, essendo stato rilevato in alcuni campioni il progesterone, ormone endogeno, erano in corso ricerche al fine di valutare la rilevanza dei risultati ottenuti.
Per quanto riguarda le campagne di comunicazione ai cittadini sulla corretta


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alimentazione, si segnala che per gli anni 2002-2003 il ministero della salute ha avviato, nell'ambito della promozione degli stili di vita salutari, la campagna «Vivi sano mangia bene», rivolta a tutta la popolazione in generale e, in particolare, ai giovani, alle donne, alle mamme ed ai soggetti a rischio.
I messaggi della campagna hanno avuto diffusione attraverso la televisione, la radio ed i «
new media» (internet, Rainews, Rai Sat, Televideo nazionale).
Alla luce degli esiti positivi riscontrati, il ministero della salute, anche per il 2004, ha deciso di promuovere il tema degli stili di vita salutari, realizzando una campagna stampa (spazi pubblicitari tabellari, publiredazionali, redazionali su quotidiani e periodici) incentrata sulla sensibilizzazione ad una corretta alimentazione e sulla promozione dell'attività fisica.
Anche questa campagna, rivolta alla popolazione generale, riserva particolare attenzione ai giovani e alle donne, per il loro ruolo fondamentale nella gestione dell'alimentazione familiare.
È in atto, inoltre, la campagna di comunicazione on line (sito Internet del ministero della salute) denominata «Una dieta equilibrata migliora la vita», con lo scopo di favorire il consumo di frutta e verdura rispetto a quello di cibi grassi o ipercalorici, richiamando, altresì, l'importanza di una dieta variata, di una regolare attività fisica e dell'attenzione alla quantità delle porzioni di cibo consumate.
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Cesare Cursi.

ZANELLA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'indennità di volo della componente aerea dei Vigili del fuoco non è equiparata al resto dei Corpi dello Stato dotati di aeromobili, in particolare della Polizia di Stato e del Corpo forestale dello Stato;
l'indennità di volo, infatti, che è una voce aggiuntiva rispetto alla normale retribuzione, è determinata in maniera completamente diversa (natura provvisoria e non pensionabile) rispetto agli altri corpi dello Stato;
nonostante le attività prestate dai Vigili del fuoco presentino una identità funzionale per quanto riguarda le finalità di pubblica sicurezza e difesa e conservazione del patrimonio boschivo dagli incendi vi è una disparità di trattamento retributivo a fronte di mansioni e responsabilità equivalenti;
l'indennità di volo per i Vigili del fuoco prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 269 del 18 maggio 1987 che contempla una copertura equiparata a quella prevista per il personale di volo della Polizia di Stato e del Corpo forestale dello Stato non è ancora stata riconosciuta;
il decreto del Presidente della Repubblica n. 314 del 23 dicembre 2002 relativo al nuovo inquadramento economico, posizioni economiche e profili professionali del personale aeronavigante dei Vigili del fuoco è inattuato;
il mancato riconoscimento di adeguate retribuzioni sta provocando un esodo di professionisti e specialisti formati dallo Stato; tale situazione oltre che generare amarezza rappresenta anche un grande spreco di denaro pubblico investito per le professionalità dei tecnici al servizio dello Stato -:
se non ritenga che sia doveroso riconoscere al personale dei Vigili del fuoco le stesse indennità previste per gli altri corpi dello Stato considerato che le funzioni e le responsabilità, nello svolgimento dei propri compiti, sono le medesime e che il decreto del Presidente della Repubblica n. 269 del 18 maggio 1987 prevede una copertura equiparata;
se non ritenga doveroso procedere con la massima celerità ad attuare le previsioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 314 del 23 dicembre 2002 relativo al nuovo inquadramento economico, posizioni economiche e profili professionali


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del personale aeronavigante dei Vigili del fuoco.
(4-07506)

Risposta. - In merito all'indennità di volo della componente aerea dei vigili del fuoco, si rappresenta che l'amministrazione sta provvedendo ad un suo graduale allineamento a quella percepita dall'analogo personale delle forze di polizia. Con le leggi finanziarie 2003 (articolo 33, comma 6) e 2004 (articolo 3, comma 156), infatti, è stato disposto di destinare al personale dei profili del settore aeronavigante del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a titolo di integrazione dell'indennità di volo in godimento e con modalità e criteri da definire in sede di contrattazione integrativa, 1.640.000 euro a decorrere dal 1o gennaio 2003 e 600.000 euro a decorrere dal 1o gennaio 2004.
È intenzione dell'amministrazione conseguire con la legge finanziaria 2005 la piena equiparazione dell'emolumento in questione, nei limiti in cui lo consentiranno gli attuali vincoli della finanza pubblica.
L'inquadramento del personale del contratto nazionale vigili del fuoco nei nuovi profili professionali aeronaviganti e nelle relative posizioni economiche, altra questione posta dall'interrogante con l'interrogazione, è una vicenda che ha impegnato a lungo i competenti uffici dell'amministrazione dell'interno e si può considerare conclusa in virtù di un provvedimento amministrativo di recente emanazione.
Occorre premettere che il settore aeronavigante del contratto nazionale dei vigili del fuoco era stato istituito con il contratto collettivo nazionale di lavoro del 24 maggio 2000 e la relativa dotazione organica per singoli profili professionali e conseguenti posizioni economiche era stata definita con il citato decreto del Presidente della Repubblica n. 314 del 2002.
Dovendosi procedere a quel punto all'inquadramento del personale interessato nei nuovi profili aeronaviganti, l'operazione non era risultata di agevole attuazione, in quanto non vi era corrispondenza tra la dotazione organica di alcuni dei profili professionali e la posizione economica del personale da inquadrare.
La soluzione del problema ha richiesto una serie di misure, in parte di tipo amministrativo, in parte di rango legislativo. Si fa riferimento, a quest'ultimo riguardo, all'articolo 3, comma 157, della legge n. 350/2003 (legge finanziaria 2004), in base al quale il personale operativo della posizione economica B1 (posizione non contemplata nella dotazione organica del settore aeronavigante di cui al citato D.P.R. n. 314/2002), che svolge mansioni corrispondenti a quelle dei profili aeronaviganti della posizione economica B2, è stato collocato in tali profili in soprannumero.
Da ultimo, con decreto dipartimentale del 16 luglio 2004 il personale del contratto nazionale dei vigili del fuoco che svolge mansioni di aeronavigazione è stato regolarmente inquadrato nei ruoli del settore aeronavigante secondo le disposizioni e con le modalità previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Maurizio Balocchi.