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PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 1 e delle proposte emendative ad esso presentate (vedi l'allegato A - A.C. 4862 ed abbinate sezione 2).
Avverto che l'emendamento 1.3 deve intendersi sottoscritto solo dagli onorevoli Mascia, Russo Spena, Maura Cossutta e Sgobio.
Avverto inoltre che, prima dell'inizio della seduta, è stato ritirato l'emendamento Landolfi 1.70.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi riteniamo che questo articolo 1 segni il tratto prevalente che allude al complessivo, pessimo e pericoloso progetto che la maggioranza ci presenta: l'abbattimento della Costituzione e, insieme, l'estinzione del costituzionalismo democratico, reso esangue dal paradigma autoritario. Ciò per due motivi di fondo: anzitutto, non siamo di fronte ad un progetto di revisione costituzionale, ma ad un vero e proprio rovesciamento della Costituzione. L'articolo 138, che prevede e detta il funzionamento del procedimento delle revisioni costituzionali, subisce un'eterogenesi dei fini. Parafrasando Gramsci, potremmo dire che ci troviamo di fronte ad un uso illegale del potere legale di revisione. Ciò è grave, perché questo eccesso di potere mina l'identità stessa della nostra Costituzione. Basta leggere i lavori di alto livello giuridico...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego di consentire all'onorevole Russo Spena di svolgere il suo intervento! Onorevole Russo Spena, purtroppo, un po' di perturbazione vi è in tutta l'aula. È naturale che sia così. C'è stato un voto e vi è un minimo di rilassamento. Onorevoli colleghi, defluite, per cortesia, piuttosto che parlare. Onorevole Boato... Onorevole Russo Spena, può proseguire.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Dicevo, onorevoli colleghi, che basta leggere i lavori di alto livello giuridico e politico dell'Assemblea costituente. Qual è, infatti, lo spirito e l'anima, oltre che la filosofia, della nostra Costituzione? Un complesso di statuizioni in forma rigida - annoto: la nostra è stata voluta coscientemente, come illustrò Calamandrei, come Costituzione rigida, quindi non una mutevole in base alle stagioni politiche - teso a costituzionalizzare la democrazia progressiva. Il che vuol dire che i rapporti economici ed i diritti sociali, con la loro possibilità di essere agiti direttamente, prendono corpo negli affermati principi di eguaglianza sostanziale, di giustizia e di libertà.
È questa la grande e innovativa identità fondativa della nostra Costituzione, che connette prima e seconda parte della stessa in maniera indissolubile. La cancellazione di questa identità e, quindi, della democrazia organizzata e progressiva è la vera operazione berlusconiana.
Surrettiziamente - questo è il punto - si sta tentando di modificare anche la prima parte della Costituzione che statuisce i principi dell'ordinamento e riconosce, valorizza ed esalta i diritti dei cittadini. Quando, ad esempio, viene introdotta la categoria dei livelli essenziali nell'erogazione dei servizi dello Stato sociale, si fa un'operazione di sofisticato ed ipocrita travisamento del principio dell'eguaglianza, che è statuito - come sappiamo - nella prima parte della Costituzione, dal primo e dal secondo comma dell'articolo 3. Se, infatti, vengono costituzionalizzati i livelli essenziali, viene anche costituzionalizzato lo Stato sociale minimo, viene abbattuto il principio dei diritti universali, viene sancita la privatizzazione dei servizi. Di più: viene costituzionalizzata contro l'eguaglianza la disparità e la differenza di trattamento fra cittadine e cittadini nell'erogazione dei servizi. Il principio di eguaglianza viene ridotto ad una soglia minima incomprimibile. Questo è, per scienza giuridica, contro la prima parte della Costituzione. La Repubblica diventa un mero nome riassuntivo, a cui non corrisponde nessuna soggettività politica e giuridica. La Repubblica, come afferma, ad esempio, il costituzionalista Rescigno audito dalla I Commissione, diventa una risultante della interconnessione fra molti soggetti, fra i quali si colloca, in parità con gli altri, anche lo Stato.
La devoluzione che la maggioranza prospetta è l'opposto della nostra concezione di un reale decentramento, di un progetto autonomistico forte, capace di porre in relazione enti autarchici territoriali e socializzazione, autogoverno, nuovi nessi amministrativi. Ma è anche l'opposto di ogni modello storico sperimentato e funzionante di federalismo democratico. Il federalismo, infatti, non è secessione mascherata, non è mediocre ipocrisia. Esso è nato storicamente per unire ciò che era diviso, per mettere in relazione culture, comportamenti, poteri, per costruire relazioni e articolazioni delle identità statuali. Questo è il federalismo solidale! Il vostro, invece, signori della maggioranza, è un azzardo costituzionale di stampo liberista, una costruzione mercificata dei distretti, dei business, degli affari, in cui i territori vengano messi in concorrenza fra loro in una competitività tesa soltanto ad abbassare il livello delle garanzie sociali, sindacali, contrattuali, dei vincoli ambientali, atomizzando cioè lo Stato sociale, annullando il Servizio sanitario nazionale, rompendo l'unità nazionale e formativa della scuola repubblicana, segmentando e precarizzando il mercato del lavoro, eliminando le conquiste più avanzate in tema di erogazione della forza lavoro, a partire dalla salute delle lavoratrici e dei lavoratori.
Per non parlare del principio di sussidiarietà, sia in senso verticale che orizzontale, che con la nuova ripartizione della potestà legislativa fra Stato e regioni rende carta straccia la prima parte della Costituzione per quanto riguarda i servizi sociali; ad esempio, per quanto concerne la scuola, e mi riferisco all'articolo 33, comma 2, della Costituzione, che recita che la Repubblica istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Tuttavia, non vogliamo eludere il punto della proposta della maggioranza. Noi proponiamo
esplicitamente, anche con i nostri emendamenti, il modello federale tedesco, quello dei Länder, cioè istanze territoriali regionali, che hanno uno specifico luogo di sintesi nel Bundesrat, nella Camera alta. Nella sostanza, lo stesso Stato federale tedesco, che funziona benissimo, è sovraordinato e ai Länder spettano compiti applicativi di leggi quadro regionali. Un decentramento forte che non prevede poteri sostitutivi dello Stato, che mantiene l'esercizio delle garanzie universali in maniera unilaterale. Così si garantisce l'unità della Repubblica italiana.
La maggioranza ci propone, invece, un modello inesistente, né tedesco né statunitense, un pasticcio autoritario e per giunta inefficace, nato nel mercato della mediocre politica italiana.
Noi pensiamo ad una struttura che sia diretta espressione delle assemblee regionali, con un criterio di elezione diretta proporzionale che garantisca la rappresentanza politica delle minoranze. Devo dire, per serietà e trasparenza, che alcune delle ispirazioni di fondo che stiamo qui criticando erano già purtroppo penetrate largamente nell'ordinamento costituzionale italiano attraverso le disposizioni di modifica del Titolo V della parte II della Costituzione, approvata, con esigua maggioranza parlamentare, con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, dovuta al Governo di centrosinistra.
Rifondazione comunista votò contro allora, come oggi; non per arroganza, ma per chiarezza.
Per proiettarci nel futuro, leggo tre righe della nostra dichiarazione di voto di quel giorno, quando il centrosinistra approvò la riforma del Titolo V della Costituzione.
Dicemmo allora: « È una riforma sbagliata, che peserà come un macigno non solo per i suoi contenuti antisolidali, ma perché farà da scivolo per la secessione leghista. Ne costituirà un varco ed un velenoso alibi». Ecco: qui siamo!
Temiamo molto anche per questo, onorevoli colleghi, che non si realizzi ciò che invece è indispensabile, ovvero la compattezza reale di tutte le opposizioni, che non è soltanto compattezza parlamentare, ma è la necessità di saper elaborare con determinazione un punto di vista alternativo, un'altra idea della Costituzione oggi, quasi a riprendere uno spirito costituente, ma per tenere saldi i cardini, secondo noi ancora validi, della Costituzione repubblicana antifascista.
È questo che ci permette di sfidare in senso culturale e sociale una grande campagna di massa contro il plebiscito che in qualche modo la maggioranza tenterà di imporre al paese, con una devoluzione ed un premierato assoluto che si supportano a vicenda, creando una deriva autoritaria grave.
Un paese diviso, «spezzettato» e sfibrato dalla secessione rischia di trovare l'unico fittizio punto di riferimento nel presidenzialismo plebiscitario. Questo è il punto: siamo ad una forma contemporanea di satrapia; siamo ad un punto acuto del tratto autoritario delle società postdemocratiche di cui, ad esempio, parla Dahl, che si inserisce in quella fuga della democrazia che è nelle viscere stesse della globalizzazione liberista. Si comprime cioè il processo democratico della formazione della rappresentanza parlamentare ed il mercato assoluto diventa il luogo delle transazioni ed al contempo l'autonomo produttore di norme.
Pensando infine a Berlusconi, mi viene in mente, alquanto maliziosamente, l'attualità di Kelsen, quando sottoponeva a critica il dogma della sovranità e rilevava con acutezza i processi di personificazione delle norme. Diceva Kelsen che alla personificazione segue quindi la mercificazione.
Onorevoli colleghi, mi sembra dunque alta la sfida che abbiamo davanti: i tecnicismi o le aperture di credito furbesche non ci salveranno.
Occorrono profonde alterità di principio, punti di vista forti e maturi che rilancino, come diceva Bloch, un progetto di democratizzazione della vita quotidiana. Ancora una volta, conflitto sociale e lotte democratiche devono entrare in connessione, soprattutto in questa fase politico-sociale
e, successivamente, nella fase referendaria a cui certamente il paese sarà chiamato.
È questo il nostro terreno: assumere un impegno costituzionale e diffondere e far lievitare una cultura democratica in uno scontro nel paese. Questo è l'impegno di oggi; questo è l'impegno per i prossimi mesi (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.
DONATO BRUNO, Relatore. Signor Presidente, la Commissione esprime parere contrario su tutte le proposte emendative presentate all'articolo 1.
PRESIDENTE. Il Governo?
ALDO BRANCHER, Sottosegretario di Stato per le riforme istituzionali e la devoluzione. Signor Presidente, il Governo esprime parere conforme a quello del relatore.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento Mascia 1.3.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Montecchi. Ne ha facoltà.
ELENA MONTECCHI. Signor Presidente, interverrò sull'emendamento soppressivo dell'articolo 1 anche a nome dei colleghi della Margherita e del collega Boato. Non voteremo l'emendamento in esame perché consideriamo il Senato federale della Repubblica uno dei cuori fondamentali del nuovo assetto della nazione.
Il nostro voto non favorevole a questo emendamento, sottoscritto da due componenti dell'opposizione, non vanifica, naturalmente, il lavoro comune da noi svolto. In particolare, una componente dell'opposizione che ha presentato emendamenti in relazione al Senato delle regioni non mette in discussione un nuovo impianto di decentramento. Noi, tuttavia, preferiamo ragionare di un assetto istituzionale chiaro: a nostro avviso, il paese a seguito delle riforme dovrebbe presentarsi alla collettività insieme più unito e federale.
Crediamo, tuttavia, che alla definizione di principio dell'articolo 1 non segua una precisa, coerente e puntuale definizione del Senato federale. Ne discuteremo nel merito quando si presenteranno in modo più chiaro le formulazioni del Senato federale stesso. Tuttavia, già da ora possiamo dire che, pur condividendo la definizione di principio, manifestiamo tutte le nostre perplessità per quanto riguarda le formulazioni successive (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, esprimo la nostra contrarietà al termine «Senato federale» pur sapendo che altri colleghi dell'opposizione presentano lo stesso termine dando ad esso un'accezione tutta diversa.
Come vedremo esaminando il successivo emendamento, vi è un'ipotesi alternativa a tale termine perché alternativo è il modello che noi proponiamo ed addiveniamo all'idea che si debba andare verso il superamento del bicameralismo perfetto. D'altra parte, sappiamo che già nella Costituente l'attuale testo dell'articolo 55 della Costituzione è stato il frutto di un compromesso tra opinioni molto diverse. Sono decenni che nel paese si discute di superare il bicameralismo perfetto. Dunque, non è in discussione la necessità di arrivare a tale superamento, bensì il significato che il termine Senato federale assume all'interno del progetto del Governo e della maggioranza. Tale significato si costruisce sul concetto di devoluzione e sulla rottura della solidarietà sociale ed economica nel paese. Si tenta di frantumare la Repubblica e di frammentare la solidarietà economica e sociale. È su tale
base che si va ad inventare il termine «federale», dando ad esso un significato tutto opposto rispetto alla storia del federalismo.
Il federalismo ha una storia che nasce sulla volontà di Stati, con storie, culture e specificità diverse, di costruire un'unità ordinamentale, sociale e politica; dunque, esso ha una storia ed un processo di formazione del tutto inverso rispetto al significato che gli viene dato in questo testo di riforma. Peraltro, il Senato federale che viene proposto non ha alcuna relazione con il territorio. È un'invenzione puramente linguistica ed anzi in nome di questo termine «federale» non solo si stabilisce un falso ed ipocrito legame territoriale, mantenendo invece caratteristiche di elezione diretta senza nessun rapporto col territorio, ma si stabiliscono anche dei meccanismi perversi sul piano istituzionale, come quello dell'elezione contestuale tra regioni e Senato federale (e differita rispetto all'altra Camera).
Pertanto, con questo emendamento, con il quale chiediamo la soppressione dell'articolo 1, intendiamo significare la nostra contrarietà organica all'insieme del progetto, che viene propagandato sull'idea del federalismo, mentre è necessario dire ai cittadini e alle cittadine quale imbroglio vi stia dietro, sul piano sia delle conseguenze sociali sia delle conseguenze istituzionali ed ordinamentali, oltreché il moderno autoritarismo, che sta dietro all'impianto ordinamentale che viene costruito intorno a questo termine. Dunque chiediamo la soppressione dell'articolo 1, proprio in funzione di questa contrarietà di principio a tutto il progetto di riforma che voi ci proponete.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole De Franciscis. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO DE FRANCISCIS. Coerentemente con gli interventi che abbiamo sviluppato in sede di discussione sulle linee generali, noi Popolari dell'UDEUR voteremo a favore di questo emendamento soppressivo. Pensiamo che il nostro Stato unitario abbia avuto alla sua origine, con la Costituzione vigente, un'intuizione profonda, della quale siamo grati ai padri costituenti, che era quella di sottolineare ed evidenziare la ricchezza delle nostre comunità locali, a livello di municipi e di regioni. Riteniamo sia legittimo immaginare che si differenzino le prerogative tra le due Camere del nostro Parlamento e che queste collaborino meglio nello svolgimento del loro lavoro; tuttavia non possiamo consentire che si introduca il termine «federale», laddove questo significa un insieme di istituzioni che cedono sovranità per stare insieme.
Questo è uno Stato unitario e questa è la Costituzione vigente, alla quale tutti noi siamo ovviamente ossequiosi. Non possiamo quindi immaginare che, come i Länder autonomi si sono federati in Germania o gli Stati autonomi negli Stati Uniti d'America o i Cantoni autonomi, con proprie tradizioni storiche, nella Repubblica elvetica, anche l'Italia, che è uno Stato unitario, vecchio meno di 150 anni, trasformi il ramo alto del proprio Parlamento in un Senato federale: è una cosa ridicola, che farà ridere la comunità internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Popolari-UDEUR)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maura Cossutta. Ne ha facoltà.
MAURA COSSUTTA. Signor Presidente, noi abbiamo firmato e sottoscritto questo emendamento, che continuiamo a sostenere, perché non siamo d'accordo sull'impianto generale di questa controriforma e, nel merito, di questa parte di modifica, che è coerente con il quadro di attacco generale alla Costituzione che abbiamo denunciato prima. Ritengo che già nella nostra Costituzione i nostri padri costituenti avevano riconosciuto il valore del sistema delle autonomie. Dunque, nella Costituzione già c'è il riconoscimento e la promozione del sistema delle autonomie. A noi, infatti, piace definire la nostra Repubblica come Repubblica delle autonomie e, d'altronde, la battaglia delle forze
democratiche in tutti questi decenni è stata volta esattamente a dare attuazione e valore a quel principio costituzionale.
Da sempre, per le forze democratiche, per quelle di sinistra il tema della regionalizzazione, del riconoscimento dell'autonomia decisionale degli enti locali è stata una battaglia cardine per la qualità del nostro sistema democratico. I nostri padri costituenti avevano prefigurato nella nostra Costituzione un equilibrio saggio e lungimirante tra le diverse funzioni del nostro sistema istituzionale. L'unitarietà dello Stato è un valore, come è stato affermato dagli altri colleghi nel corso della discussione sulle linee generali del provvedimento, che si pone come elemento di garanzia non solo dell'unità nazionale, ma dell'unitarietà del sistema sociale.
A tale riguardo, ci eravamo confrontati nella Commissione bicamerale ed anche in quella sede quanta enfasi sulle cosiddette riforme costituzionali! Si avverte un problema del sistema politico ed istituzionale. Le riforme costituzionali sono, tuttavia, in grado di affrontare i problemi e le inefficienze del sistema politico? Io ritengo di no!
I problemi politici, nonché quelli correlati al sistema maggioritario devono essere risolti con l'approvazione di leggi ordinarie e soprattutto facendo leva sugli strumenti della politica. Le cause delle inefficienze vanno affrontate, risolvendole alla radice. Non sono d'accordo sul fatto che il problema dell'inefficienza e dell'inefficacia del nostro sistema istituzionale sia legato alla scarsità di rappresentanza territoriale, semmai al «disvalore» dell'idea stessa della rappresentanza. Anche nel sistema delle autonomie, in questi anni si è manifestata la tendenza molto pericolosa non ad aumentare la rappresentanza e la rappresentatività, ma, al contrario, a ridurre tali spazi. Vi è stata, in altri termini, un'accelerazione della concentrazione nelle mani dell'esecutivo del valore della rappresentanza anche nel sistema delle autonomie.
Il problema non è di prevedere nella Costituzione una maggior autonomia del sistema degli enti locali, quanto quello di riconoscere nella stessa il valore della rappresentanza e della rappresentatività. Lo abbiamo affermato anche in sede di Commissione bicamerale. Possono essere apportati alcuni ritocchi per snellire, chiarire e rendere efficace il potere decisionale del Parlamento rispetto al suo ruolo nazionale unitario. Abbiamo proposto di trasformare il bicameralismo in monocameralismo, di ridurre il numero dei parlamentari e di costituzionalizzare la Conferenza delle regioni e la Conferenza unificata. Nel corso della discussione sono state presentate diverse ipotesi, ma avete scelto la strada più sbagliata ed inefficace (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 1.3, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 508
Votanti 501
Astenuti 7
Maggioranza 251
Hanno votato sì 22
Hanno votato no 479).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Mascia 1.1.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, abbiamo chiesto la soppressione del termine Senato federale, per il significato che emerge nel disegno di legge della maggioranza e del Governo. Ragioniamo su un'ipotesi alternativa, ricordando che nella Costituente vi furono varie posizioni tra le forze politiche.
Vi erano i gruppi di sinistra, i socialisti, i comunisti e gli azionisti che chiedevano il monocameralismo sulla base dell'assunto
che la radice della sovranità è unica e unica deve essere la rappresentanza. Vi erano poi altre forze politiche che preferivano un sistema bicamerale, anche se con posizioni diverse: vi erano i democristiani ed i liberali che ipotizzavano una seconda Camera che fosse rappresentanza degli interessi di categorie, mentre altri partiti laici avevano in mente una Camera rappresentativa delle regioni.
Poi si giunse ad un compromesso, la storia è lunga, ma ritengo dimostri che, allora, la preoccupazione delle sinistre che l'approccio bicamerale avrebbe determinato una Camera doppione dell'altro, fu poi ciò che si realizzò nel corso degli anni.
Le esperienze negative del bicameralismo perfetto sono sotto gli occhi di tutti e, nel corso di questi anni, in ogni occasione in cui si è presentata l'opportunità di ragionare nuovamente sulla seconda Camera, le sinistre si espressero per il monocameralismo.
Oggi, prevediamo l'ipotesi di una seconda Camera - ricordiamo comunque che, già per l'attuale Senato della Repubblica, ai sensi dell'articolo 57 della Costituzione, è prevista l'elezione su base regionale - proprio in funzione delle modificazioni intervenute nel corso di questi anni, da ultimo la modifica del Titolo V della Costituzione, che abbiamo contrastato per i suoi contenuti fondamentali nonché per le modalità con cui è stata approvata nel corso della scorsa legislatura.
Riteniamo dunque che una seconda Camera possa divenire una Camera di composizione, di incontro e di confronto tra i diversi livelli istituzionali in ordine a competenze diverse assegnate allo Stato e alle regioni. Crediamo, infatti, che occorra evitare l'insorgere di conflitti istituzionali, emersi invece proprio a seguito della modifica del Titolo V della Costituzione.
Per questa ragione chiediamo l'istituzione di un Senato delle Regioni - nei successivi articoli specificheremo meglio l'articolazione che intendiamo proporre - rispetto al quale sia garantita una rappresentanza territoriale effettiva. Chiediamo inoltre che siano eleggibili a deputati e senatori tutti gli elettori che abbiano compiuto i 25 anni di età (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole De Franciscis. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO DE FRANCISCIS. Signor Presidente, coerentemente con quanto affermato in precedenza, annuncio il mio voto favorevole sull'emendamento Mascia 1.1. Infatti, se l'intuizione originale era quella di fornire sempre crescenti responsabilità e se lo spirito dei proponenti la presente riforma è quello di riempire di contenuti sempre maggiori le nostre regioni, ritengo sia necessario istituire un Senato delle regioni, un Senato delle autonomie - come proposto più avanti - , ma non certo un Senato federale che sottolinea uno stare insieme tra entità diverse e sovrane, che non è il caso dello Stato unitario che il sangue di tante guerre e la passione di intere generazioni hanno consegnato, meno di 150 anni fa, a quanti sono nati in uno Stato unitario.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 1.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 528
Votanti 322
Astenuti 206
Maggioranza 162
Hanno votato sì 19
Hanno votato no 303).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 1.2, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 524
Votanti 318
Astenuti 206
Maggioranza 160
Hanno votato sì 15
Hanno votato no 303).
Passiamo alla votazione dell'articolo 1.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, colleghi, intervengo per dichiarare la nostra astensione sull'articolo in esame, anche se non siamo contrari all'istituzione del Senato federale.
Ovviamente, siamo consapevoli della necessità di ulteriori adattamenti rispetto al disegno costituzionale di riforma, che accrescano stabilità ed efficacia di Governo, rafforzino l'opposizione parlamentare e realizzino una più ampia distribuzione di poteri dal centro alla periferia.
La riforma del Titolo V risultava carente fondamentalmente su un punto, ovvero l'assenza di una Camera parlamentare rappresentativa del mondo delle autonomie territoriali. E un assetto federalista della Repubblica - se davvero poi si vuole perseguire la strada di una riforma regionale - rende necessario il coinvolgimento degli enti del governo territoriale, attraverso le loro rappresentanze, nelle scelte legislative nazionali che vengono ad incidere nell'esercizio delle funzioni di governo a quegli enti assegnate. Infatti, soltanto attraverso questo coinvolgimento, decisioni di rilevanza nazionale possono essere condivise dai governi regionali evitando un contenzioso istituzionale e politico, purtroppo oggi molto diffuso, e adeguando quelle scelte alle necessità proprie di un Governo federale. È questa l'esigenza che rende necessaria la trasformazione radicale di una delle due Camere da assemblea rappresentativa del popolo italiano, eletta a suffragio universale diretto, a Camera rappresentativa delle regioni e degli enti territoriali, composta cioè di rappresentanze rapportabili direttamente o indirettamente agli enti territoriali.
La soluzione più chiara e, secondo molti studiosi, più efficace è rappresentata da una seconda Camera che sia composta da membri degli esecutivi regionali, come in Germania. Ma ovviamente le forme e le modalità tecniche di questa rappresentanza possono essere diverse; noi, ad esempio, abbiamo proposto con i nostri emendamenti alcune ipotesi. Ma il punto è che la questione del Senato, sia per quanto riguarda la sua composizione che per quanto riguarda le sue funzioni, non è affatto risolta dalla proposta da voi avanzata. La debolezza del rapporto di rappresentanza, la debolezza della connessione strutturale e funzionale con le regioni e con gli altri enti territoriali, l'incoerenza delle funzioni del Senato costituiscono un vizio di fondo e un macigno, perché se si parte dall'impossibilità di trasformare composizione e funzione del Senato, si finisce inevitabilmente per pretendere poi di risolvere tutto con la ripartizione prestabilita per materia delle competenze legislative del Parlamento nazionale e delle regioni. Ma come è naturale e inevitabile, quelle dighe che si pretende di erigere per prestabilire le rispettive prerogative di Parlamento e regioni fanno inevitabilmente acqua da tutte le parti. L'alternativa non consiste nell'eliminazione delle competenze concorrenti e nel rinunciare agli elenchi di materie, ma nel creare un Senato rappresentativo degli interessi regionali, che possa intervenire puntualmente nella disciplina dei confini, inevitabilmente mobili, tra il Governo centrale e i sistemi regionali.
La proposta in esame - e poi tutte quelle che si sono avvicendate nel corso di questi mesi - hanno un difetto di impostazione, perché finiscono per scrivere e riscrivere il quadro dei rapporti tra i livelli di governo, come se il problema sia davvero quello di separare le sfere di competenza degli enti e non, invece, quello di individuare le istituzioni della cooperazione tra gli enti, problema tuttora irrisolto. Il rischio è che questa proposta,
dopo tutte le chiacchiere su federalismo e devolution, porti un ulteriore elemento, se non di disgregazione, di delegittimazione e svilimento di quella Repubblica autonomista e solidale che è ancora fragile e sta compiendo faticosi sforzi per affermarsi, strutturarsi e radicarsi nel tessuto istituzionale e sociale nel paese.
Dovremmo fare uno sforzo proprio per riportare l'attenzione sul federalismo non come ideologia e grido di battaglia contro lo Stato (che abbiamo udito negli anni scorsi affermarsi), ma come progetto riformista, strumento funzionale ad affrontare i nuovi problemi dello sviluppo e a dare risposte alle domande reali di cambiamento.
Oggi che il federalismo non gode di grandissima popolarità e sembra diventato un problema, non sarebbe male tenere a mente che quella di nuove regole ed istituzioni è una strada che ci è stata imposta da emergenze e fratture e che abbiamo scelto proprio per sanare il contrasto tra società e Stato, tra società e politica. Il contrasto non è risolto ora, solo per il fatto che c'è Berlusconi, che sul Po non si marcia più e che i giornali hanno smesso di parlare del Veneto come fosse l'Ulster! Una delle componenti il pensiero federalista è sempre stata la ricerca di spazi di autonomia e libertà per i cittadini, proprio attraverso forme di contenimento e di distribuzione articolata del potere pubblico. È questa la funzione in gioco con la composizione e le funzioni del Senato. È un'esigenza che non viene meno perché oggi c'è Berlusconi, ma che la concentrazione di poteri di cui gode il Presidente del Consiglio rende ancora più necessaria. Da qui nasce il voto di astensione del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giordano. Ne ha facoltà.
FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, i colleghi Russo Spena e Mascia hanno già ampiamente esposto le motivazioni con cui contestiamo il Senato federale proposto dall'ipotesi di riforma del centrodestra. Mi preme sottolineare, in sede di dichiarazione di voto, che con l'articolo 1 inizia un percorso che mira a un esplicito rovesciamento della Costituzione (da ciò discende la nostra contrarietà e la differenza di valutazione con i colleghi del centrosinistra), nella sua specifica ragion d'essere, come afferma autorevolmente il professor Ferrara riportando peraltro un'opinione diffusa fra i giuristi, vale a dire la costruzione di una democrazia avanzata, in cui i rapporti sociali ed economici siano conformi ai principi di libertà e ai principi di dignità umana, di giustizia sociale e di uguaglianza sostanziale.
State modificando strutturalmente il rapporto tra Parlamento ed esecutivo, tra Parlamento e Presidente del Consiglio. In poche parole, proponete una stretta autoritaria che rende l'attività parlamentare una pura finzione. Perché rendete questo Parlamento del tutto inutile? Perché volete essere impermeabili ad ogni condizionamento sociale. Nella competizione globale, scegliete la stretta autoritaria. Nella globalizzazione liberista, bisogna decidere: come si potrebbe decidere in tempo reale la difesa degli interessi dei poteri forti? Dunque, come dimostrate con questa struttura istituzionale, la democrazia diventa un vincolo e un impaccio al pieno dispiegamento della decisione autoritaria.
Dunque, una finzione. Da una parte, l'accentramento, e dall'altra la frantumazione dell'unità politica, sociale ed istituzionale, che altera il principio di uguaglianza su scala territoriale e sociale. Ai diritti sociali sostituite le garanzie minimali. Proponete la paralisi dello Stato, la crisi della sua unità. Di converso, si avvantaggeranno di ciò le regioni ricche, e nelle regioni ricche le aree sociali forti. Da oggi, aumentano le distanze fra cittadini ricchi e cittadini poveri del Nord, e fra Nord e Sud del paese. Un cittadino siciliano, campano o pugliese avrà tutele sociali
diverse, con l'approvazione della riforma, da quelle di un lombardo, di un veneto o di un emiliano.
Questa è la vostra riforma: ci batteremo, in Parlamento e nel paese, perché essa è organicamente inaccettabile, oltre ad essere tragicamente inefficace (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, ci accingiamo a votare l'articolo 1 (finora abbiamo votato le questioni pregiudiziali e gli emendamenti), e si tratta di un voto importante.
Abbiamo detto più volte, e già nella scorsa legislatura - non solo noi Verdi ma tutte le forze politiche del centrosinistra in generale -, come fosse fondamentale completare la riforma della seconda parte della Costituzione - intitolata: Ordinamento della Repubblica - per quanto riguarda la forma di governo, la forma di Stato, il superamento del bicameralismo paritario e perfetto, con l'adozione di un bicameralismo differenziato ed il rafforzamento del sistema delle garanzie. Tuttavia, la Casa delle libertà ed il Governo hanno eretto, per tutta la prima fase del percorso di revisione costituzionale - sia al Senato sia, soprattutto, alla Camera dei deputati, nella Commissione affari costituzionali in sede referente -, un muro di totale incomunicabilità tra le forze parlamentari di maggioranza e quelle di opposizione. Fino ad oggi, si è avuta una totale e dichiarata autosufficienza della Casa delle libertà, con una operazione di scambio politico svoltasi soltanto all'interno delle singole forze che compongono la maggioranza di centrodestra; scambi, ad esempio, tra devolution e premierato assoluto, interesse nazionale ed un certo tipo di procedimento legislativo, e via dicendo. Abbiamo dichiarato tali operazioni del tutto inaccettabili.
Voglio richiamare in quest'aula il solenne monito, totalmente condivisibile, espresso ieri dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi; infatti, se vogliamo effettivamente e seriamente affrontare nel merito un confronto parlamentare in materia di revisione costituzionale della seconda parte della Costituzione, è ovvio che, essendo quest'ultima composta di vari titoli, il primo dei quali riguarda il Parlamento, si deve anzitutto decidere una questione fondamentale. Si deve infatti stabilire se superare il bicameralismo perfetto e paritario - intrinseco alla vigente Costituzione - adottando un bicameralismo differenziato. In tal caso, continuerebbero ad esistere due rami del Parlamento: uno, costituirebbe la Camera politica, collegata al Governo da un rapporto fiduciario; l'altro, invece, costituirebbe il luogo al centro del sistema politico-istituzionale e politico-costituzionale in cui verrebbe rappresentato il sistema delle autonomie (le regioni, ma, più in generale, il sistema delle autonomie).
Fin dalla scorsa legislatura, noi ci siamo impegnati in vista di una graduale trasformazione del nostro sistema costituzionale nella direzione del federalismo - purché fosse, come abbiamo sempre affermato, un federalismo temperato, equilibrato e solidale -; è giusto, dunque, discutere della trasformazione del Parlamento a bicameralismo paritario e perfetto in un Parlamento che si componga di una Camera dei deputati e di un Senato federale della Repubblica.
Poiché tale è il contenuto della previsione di cui all'articolo 1 del provvedimento - articolo che ci accingiamo a votare -, dal punto di vista della sua definizione giuridico-costituzionale, da parte nostra non vi sarebbe alcuna obiezione. Quindi, in sé considerata, la definizione è da noi condivisa: «Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica». Nel nuovo sistema, infatti, la prima, sarà la Camera politica; il secondo, dovrebbe essere la Camera di rappresentanza del sistema federale e del sistema delle autonomie.
Tuttavia, come già molti colleghi hanno chiarito e seguiteranno a chiarire, noi
siamo in radicale disaccordo con il modo in cui, negli articoli successivi, viene delineato il Senato federale della Repubblica. Riteniamo sia, per così dire, federale di nome ma non di fatto; soprattutto, poi, siamo in radicale disaccordo con quanto viene prospettato in materia di procedimento legislativo.
Ovviamente, l'attuale articolo 70 della Costituzione, un articolo assolutamente sintetico e, per così dire, icastico, dispone che la funzione legislativa sia esercitata collettivamente dalle due Camere. Questa è l'essenza del bicameralismo perfetto e assolutamente paritario. Il nuovo articolo 70 dovrà invece, in modo assai più articolato e complesso, articolare il procedimento legislativo nel bicameralismo differenziato.
Non solo il Senato federale che voi proponete non ha nulla di effettivamente federale, ma il procedimento legislativo che la maggioranza ed il Governo ci prospettano rappresenta un possibile totale svuotamento dei poteri del Parlamento. È questo il motivo per cui, sia pure condividendo la definizione specifica contenuta nell'articolo 1 del disegno di legge in questione, non condividendo ciò che viene prospettato negli articoli successivi, noi annunciamo un voto di astensione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Presidente, questo è il primo articolo che votiamo ed è in qualche modo un voto emblematico. L'articolo 1 della vostra riforma dice una cosa di una razionalità assoluta: il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica. Tuttavia, la vostra riforma è talmente pasticciata ed incongrua che è perfino impossibile votare un'affermazione costituzionalmente così semplice e diretta. Ciò che voi avete costruito tutto è tranne che un Senato federale.
Lo abbiamo sostenuto e continuiamo a sostenerlo: vogliamo cambiare. Noi siamo riformatori autentici, il Titolo V della Costituzione ha bisogno di modifiche concretamente attuabili. La riforma più importante che il Titolo V porta con sé e che nella passata legislatura non è stata fatta proprio a causa delle condizioni particolari che noi tutti conosciamo e che per brevità non richiamerò, è la necessità di istituire una Camera autenticamente federale che rappresenti i territori.
La vostra incapacità politica, sicuramente non culturale o tecnico-scientifica, di trovare un accordo su questo punto vi ha fatto scrivere il testo di una riforma costruendo un Senato che tutto è meno che una Camera realmente federale. Per tale motivo, noi ci troviamo nella condizione di non poter votare neanche le cose più semplici, più naturali e più logiche.
Questo non sarà che il primo di una serie di voti che potremmo definire controversi, perché la nostra volontà riformatrice non trova sul vostro testo alcuna possibilità di riscontro positivo; pertanto, il nostro sarà un voto di astensione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole De Franciscis. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO DE FRANCISCIS. Signor Presidente, sono francamente stupefatto perché gli interventi dei colleghi dei Democratici di sinistra e gli autorevoli interventi dei colleghi Boato e Bressa sottolineano, con le parole, l'assoluta inappropriatezza della riforma che abbiamo all'ordine del giorno, senza però lasciare agli atti della discussione che si introduce in quest'aula per la prima volta la parola «federale» in una Repubblica unita ed unitaria. I colleghi che mi hanno preceduto hanno dichiarato la propria astensione. Davanti ad un voto di astensione, che di solito in questa nobile Assemblea viene utilizzato quando a me viene concesso un aumento agli stipendi dei postali e a voi viene concesso un aumento di stipendio ai marittimi, appare subito che il problema è di natura politica. Qui si rinuncia a marcare con un voto negativo, a dispetto degli autorevoli interventi che
dai banchi dell'opposizione e anche dai banchi della maggioranza sono stati svolti in questi tre giorni di discussione generale, l'articolo 1, che inventa un Senato federale, che nel costituzionalismo internazionale significa riconoscere l'insieme di diverse sovranità che rinunciano a parte della loro sovranità per stare insieme.
L'Italia diventa una Repubblica federale con il voto di astensione dell'opposizione, che ha lasciato a verbale roboanti e commoventi interventi che hanno richiamato la storia della nostra Costituzione e la storia unitaria del nostro paese, che è così simile in qualche modo a quella di quest'aula post-unitaria. Nello stesso tempo, davanti a questo voto, sento in questo momento che il progressismo è astenersi e l'antico conformismo o, probabilmente, una qualche forma di conservatorismo sarà dire, come dirò, che non va bene; per tali motivi, esprimerò un voto contrario (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Rivolgo un saluto ai rappresentanti del Centro semi-residenziale per disabili di San Vito dei Normanni, in provincia di Brindisi, presenti in tribuna per seguire i nostri lavori (Applausi).
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 1.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 508
Votanti 326
Astenuti 182
Maggioranza 164
Hanno votato sì 299
Hanno votato no 27).
Prendo atto che l'onorevole Vertone si è erroneamente astenuto mentre avrebbe voluto esprimere un voto contrario.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
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