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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.
PIETRO TIDEI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, arriviamo ad approvare questo provvedimento, come si suol dire in termini calcistici, in «zona Cesarini». La situazione è infatti drammatica, dopo che da tre anni l'opposizione denuncia uno stato di cose ormai insostenibile. Che la situazione sia ormai insostenibile non siamo solo noi ad affermarlo; e che il Governo in questi tre anni abbia fatto ben poco, lo afferma lo stesso ministro Maroni, visto che anche lo scorso 6 aprile denunciava testualmente: «Il Governo non sta facendo nulla per l'Alitalia».
Non siamo noi a dirlo. Ma oggi il gruppo della Lega Nord Federazione Padana, nel momento in cui il Governo in «zona Cesarini» tenta di fare qualcosa, pur tardivamente, preannuncia il voto contrario. In questo atteggiamento vi è grande coerenza! Ci piacerebbe sapere perché tale gruppo ha cambiato opinione.
Non sappiamo ancora se gli effetti di questo provvedimento riusciranno a salvare effettivamente la società Alitalia dal fallimento né, peraltro, conosciamo i contenuti dell'ennesimo piano industriale della nostra compagnia di bandiera. Non è dato neanche conoscere, attualmente, la sorte dei 22 mila lavoratori della società e di altrettanti che lavorano nell'indotto. Una cosa però è certa...
Mi scusi, signor Presidente, gradirei che richiamasse l'attenzione dei colleghi.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, a cominciare naturalmente, dai capannelli... Onorevole Boccia, mi aiuti!
La prego, onorevole Tidei, continui.
PIETRO TIDEI. Grazie, signor Presidente.
In questo momento di grande incertezza un fatto è comunque assolutamente certo: quello che denunciamo e che denunciano molto spesso gli stessi membri della maggioranza è l'assenza di una politica di settore, di regole certe, di requisiti di sistema ormai diventati parola d'ordine
per tutti, decisivi per la sopravvivenza della società. Si è detto, inoltre, che è stata realizzata una gestione allegra e superficiale, spesso inetta.
Tutti questi fattori hanno determinato negli ultimi anni l'acuirsi di una crisi ormai irreversibile. È per questo che, anche se tardivamente - molto tardivamente, diciamo noi -, il varo di un prestito ponte di 400 milioni di euro può costituire forse il tentativo estremo di salvare l'esistenza e la sopravvivenza del nostro vettore nazionale.
Nonostante le forti critiche espresse al Governo per i ritardi e le negligenze di quest'ultimo periodo, noi daremo il nostro assenso; consentiremo, quindi, che questo decreto-legge sortisca gli effetti desiderati, non senza tuttavia tentare di migliorarne il testo e proporre condizioni e garanzie capaci di rilanciare effettivamente il nostro vettore, insieme all'intero comparto del trasporto aereo.
Vogliamo, inoltre, precisare che proprio il nostro senso di responsabilità ci impone oggi un atteggiamento costruttivo, non ostruzionistico, che invece avremmo potuto legittimamente adottare, visto l'atteggiamento della Lega, che, almeno a giudicare dagli interventi e dalle dichiarazioni sinora rilasciate, sembra non consideri affatto il provvedimento in oggetto.
Non è nostra intenzione approfittare delle divisioni della maggioranza, rischiando di sciupare forse l'ultima occasione per salvare la nostra compagnia di bandiera. Ci interessa il futuro di migliaia di lavoratori, la storia gloriosa della nostra aviazione civile, il patrimonio inestimabile di competenze e professionalità tuttora presente nel nostro vettore nazionale.
Sinceramente vorremmo che questo provvedimento fosse il primo passo per un'effettiva inversione di tendenza e una resipiscenza da parte del Governo che, ancorché tardiva, riesca ad attivare una nuova politica per l'intero comparto del trasporto aereo. Sono necessarie nuove regole, meno approssimazione, il varo di una vera e propria riforma di sistema, che giace da circa tre anni nelle sabbie mobili della Commissione trasporti, dove rischia di annegare definitivamente. È necessaria una nuova politica che getti finalmente le basi per un sistema moderno, efficiente, competitivo e sicuro, che sappia affrontare le nuove ed ardue sfide imposte da un mercato sempre più globalizzato.
Ho già osservato che la crisi sicuramente viene da lontano, e che il suo acuirsi è stato determinato da cause esterne: l'11 settembre, disastroso per l'intero comparto del trasporto aereo; la crisi petrolifera, che ha sicuramente inciso; le guerre; la SARS; più in generale, la congiuntura mondiale. Tutto ciò ha determinato il tracollo di intere compagnie aeree. Pur tuttavia, non possiamo non sottolineare che in questa congiuntura internazionale alcune compagnie aeree non solo sono riuscite a salvare fatturato e azienda, ma sono addirittura riuscite a crescere, a svilupparsi ed a produrre utili. Ad esempio, nel 2003 Air France e KLM hanno aumentato il proprio traffico di quasi il 20 per cento e Iberia è passata da una perdita di 217 milioni di euro ad un utile di circa 318 milioni di euro. Al contrario, Alitalia perde consistenti fette di mercato, riduce quote di traffico e fatturato, accumula un debito impressionante, quasi azzera la liquidità finanziaria, perde ogni affidabilità nei confronti del sistema bancario. Oggi siamo infatti costretti a prestare garanzie per un prestito, perché il sistema bancario non ritiene più affidabile la nostra compagnia. Quanto al settore delle merci, l'aeroporto di Francoforte, ad esempio, movimenta oggi 1 milione 650 mila tonnellate di merci; i nostri due hub, Malpensa e Fiumicino, non riescono a movimentare insieme neppure 500 mila tonnellate, vale a dire neppure un quarto di quanto movimentato dall'aeroporto di Francoforte.
L'intervento di salvataggio deve essere legato ad alcune misure a nostro avviso indispensabili. Riteniamo che debba essere finalmente definito il sistema degli hub, e ciò non può essere fatto da Alitalia senza l'intervento del Governo. Bisogna finirla con questa polemica, che ritengo assolutamente stupida, nell'ambito della quale la giunta regionale lombarda presieduta da
Formigoni ha adottato un provvedimento che di fatto sancisce la chiusura dell'hub di Fiumicino, puntando tutto su Malpensa. Si tratta di una decisione assurda, incredibile e antieconomica, che provocherebbe nuovi danni al nostro vettore.
Un'ulteriore questione che va posta è quella delle alleanze. Essa non è più rinviabile né eludibile: oggi in Europa operano tre sistemi di alleanze, vale a dire Sky Team, in cui è preponderante Air France; Oneworld, promossa da British Airways; Alliance con posizione dominante di Lufthansa. Tuttora ci attardiamo ad entrare in una di queste alleanze, pur sapendo che arrivando tardi arriveremmo nelle peggiori condizioni: nessuno di questi vettori ci farà sconti, ma tutti tenderanno ad appropriarsi del nostro mercato, del nostro patrimonio, del nostro apporto e del nostro valore aggiunto, utilizzandoli per gli interessi del gruppo e in particolare di coloro che oggi occupano posizioni dominanti all'interno di tale sistema di alleanze.
Va dunque sottolineato che è necessario aderire immediatamente ad un'alleanza e forse - mi permetto di suggerire - rivedere l'alleanza con Sky Team, anche a costo di pagare qualche penale, in quanto riteniamo in tale contesto strategicamente migliore e più conveniente un'alleanza con chi, da nord a sud, potrebbe aggredire il mercato dell'Est europeo e dell'Estremo oriente.
È per questo che, ritenendo preferibile un'altra alleanza, invitiamo comunque a tenere conto della situazione testé evidenziata; a prescindere dal prestito ponte di 400 milioni, il nostro vettore non può continuare ad ignorare la politica del low cost e del mercato domestico. Oggi, siamo troppo deboli sul mercato domestico rispetto ad altri vettori europei che controllano forti quote di mercato anche in tale ambito.
Non possiamo essere assolutamente insensibili di fronte alle questioni che oggi si pongono con le cosiddette compagnie low cost, che sono in crescita ormai del 30 per cento annuo; il nostro vettore non può rimanere indifferente. Cimoli, giustamente, ha dichiarato che si deve rivedere l'ambito della diversificazione dei prezzi e dei biglietti e che si devono vendere posti addirittura in orari e a costi diversificati. Si deve quindi, anche in questo settore, aggredire un mercato che è in crescita e dal quale Alitalia rimane fuori.
L'altra questione che a mio avviso il Governo deve affrontare, decisiva e dirimente, è quella della gestione aeroportuale; come già abbiamo detto, sono state presentate proposte emendative sui cosiddetti requisiti di sistema, all'interno dei quali le gestioni aeroportuali assumono una funzione decisiva in quanto lo stesso Bonomi (che non è del nostro partito) sosteneva che il fuel, il carburante, costa il 20 per cento in più di quanto costa negli altri aeroporti europei.
È evidente - e mi avvio, così, alla conclusione del mio intervento - che anche su tale versante non è pensabile salvare Alitalia se non si rivede la politica della gestione aeroportuale e se non si riconsiderano le regole che operano all'interno degli aeroporti e, infine, se, soprattutto, non si determina maggiore chiarezza con le società di gestione. Società, queste ultime, che non possono esercitare un regime di monopolio dentro l'aeroporto, fornendo servizi e beni a costi eccessivi, molto spesso insopportabili per i vettori, e quindi per la nostra compagnia di bandiera.
Quindi, riteniamo si debba creare il contesto necessario; ad esempio, penso ad un'estensione della cassa integrazione guadagni al personale del trasporto aereo: come è possibile, oggi, pensare a 6 mila o 7 mila esuberi, se non si estende la cassa integrazione guadagni al personale del trasporto aereo? Berlusconi ha dichiarato che sarebbero state adottate misure di tal genere, ma concretamente non è intervenuto. Ha rilasciato dichiarazioni alla televisione e alla stampa, ma purtroppo non ha assunto sinora alcun provvedimento: non un solo atto che estendesse la cassa integrazione guadagni al personale del trasporto aereo. Anche in tal caso, dalle parole bisogna passare ai fatti. Troppi, per così dire, si sono sciacquati la bocca per
dichiarare l'intenzione di salvare Alitalia ma nessuno di quanti compongono il Governo si è dato davvero da fare: una riforma mancata; requisiti di sistema non adottati; paracaduti sociali non aperti. Paracaduti che avrebbero alleviato l'impatto di questo esodo. Soprattutto, avrebbero consentito un processo di riorganizzazione e di ristrutturazione adeguato; tali interventi non possono operarsi senza misure che si accompagnino a questi processi di messa fuori dal mercato.
Infine, abbiamo un codice della navigazione aerea vecchio di oltre sessant'anni; non è possibile tenerlo ancora in piedi senza una seria riforma dello stesso.
Quanto al sistema sanzionatorio, oggi l'ENAC e, soprattutto, il ministero non hanno seri poteri sanzionatori all'interno dell'aeroporto; se una società di gestione non adempie i propri obblighi concessori, non si può fare nulla fuorché rescindere il contratto sicché, mancando tutta una serie di poteri sanzionatori intermedi, spesso la società di gestione, oggi, può agire come vuole. Può imporre prezzi e tariffe; in modo particolare, può non adempiere agli obblighi che la stessa società ha sottoscritto.
Noi riteniamo che questo sistema - che si caratterizza per un caos da far west all'interno degli aeroporti - debba finire; soprattutto, deve finire la diversificazione, in quanto bisogna, su tale terreno, omogeneizzare sia la durata, sia le modalità, sia le regole (e, quindi, la chiarezza). Pertanto, chiediamo una politica chiara, con obiettivi ben determinati; allora, è evidente - concludo rapidamente, signor Presidente - che, in siffatta situazione, senza quei requisiti di sistema che altri paesi hanno già adottato da tempo, senza incorrere nelle sanzioni e nell'apertura di procedure di infrazione da parte dell'Unione europea, la situazione dell'Italia non può che rimanere in tutta la sua drammaticità. Un prestito ponte - quale quello in esame oggi - non può non essere collegato ad altre misure; misure che da anni stiamo chiedendo insieme alle forze sociali, sindacali ed alla stessa azienda.
Quindi, se vogliamo veramente scongiurare il pericolo che alla fine a pagare il prezzo di 400 milioni di euro sia soltanto lo Stato, perché Alitalia non sarebbe in grado di farlo, è necessario e urgente, e non eludibile, quella riforma di sistema senza la quale lo Stato butterebbe i soldi al vento, Alitalia non si salverebbe, migliaia di lavoratori rimarrebbero sul lastrico e dalla scena mondiale scomparirebbe definitivamente quella gloriosa compagnia di bandiera che ha fatto la storia della nostra aviazione civile (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pasetto. Ne ha facoltà.
GIORGIO PASETTO. Signor Presidente, intervenendo sul complesso degli emendamenti, ricordo che in questi giorni abbiamo combattuto una battaglia, non soltanto di principio costituzionale per la libertà del Parlamento, ma anche di merito, costruttiva. Abbiamo contribuito a migliorare in qualche misura le proposte da voi avanzate.
È con questo stesso spirito che abbiamo predisposto, rispetto a questo decreto-legge, una serie di proposte secondo una linea ricorrente della nostra opposizione costruttiva. Semmai si dovesse parlare di atteggiamenti ostruzionistici, questi sono di una maggioranza chiusa, che non si apre. Abbiamo detto e ripetiamo che aprirsi al confronto significa migliorare la qualità della proposta e, soprattutto, dei provvedimenti di carattere legislativo.
La verità è che su questo provvedimento incombono l'atteggiamento e la posizione pregiudiziali della Lega, la quale ha detto fin dall'inizio che non l'avrebbe votato, non lo vuole votare, che non intende adottare misure che da una parte servono a porre Alitalia nella condizione di non portare i libri contabili in tribunale e, dall'altra, pongono le premesse per un rilancio della compagnia nazionale.
Con la presentazione dei nostri emendamenti e con le misure da noi individuate, riteniamo di avere indicato una
strada che ci auguriamo possa essere imboccata, in qualche modo, pur tenendo conto della questione della copertura del prestito, dopo dimenticanze e inattività del Governo; ciò, anche grazie a raccordi più o meno storici ed istituzionali ed alla grande responsabilità che il sindacato e i lavoratori in queste ore stanno assumendo in ordine alla questione dell'Alitalia.
Di fronte all'atteggiamento di irresponsabilità - perché di irresponsabilità, colleghi, si tratta - della maggioranza, in modo particolare del Governo (debbo dire che se il confronto fosse stato portato fuori dal decreto-legge, come molte volte abbiamo dimostrato, avremmo condotto un lavoro più costruttivo e positivo) sta l'assunzione di responsabilità da parte dell'opposizione.
Non abbiamo mai negato, colleghi, che i problemi del trasporto aereo siano legati agli eventi dell'11 settembre 2001; non sono problemi che attengono soltanto al nostro paese; per onestà culturale, politica ed economica riconosciamo che questi problemi attengono certamente alla caduta del trasporto aereo del mondo, alla profonda crisi che ha investito le grandi linee di navigazione aerea.
Purtuttavia, dobbiamo dire che, rispetto a questa crisi, non vi è stata alcuna azione che intendesse fronteggiarla, correndo sostanzialmente ai ripari. Che cos'è questo prestito? Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: altro non è che il reperimento di una copertura nei confronti dell'Alitalia per evitare la dissolvenza, per evitare che, alla fine di questo mese, nei prossimi giorni, i cosiddetti libri contabili dell'Alitalia siano consegnati in tribunale, sia cioè dichiarata l'azione di fallimento di questa compagnia aerea.
Con grande onestà e con grande rigore, l'amministratore delegato, ingegner Cimoli, ha riconosciuto in Commissione che la crisi odierna ha un ancoraggio temporale preciso e, con un'affermazione puntuale, ha fatto giustizia di ogni illazione: il punto di caduta va collocato a settembre-ottobre del 2003, senza che si possa risalire a dieci anni addietro o a quando governava il centrosinistra!
Nel 2003, la situazione di Alitalia era diversa. Stando alle dichiarazioni del presidente e dell'amministratore delegato, Alitalia poteva contare su riserve di liquidità ammontanti a 800 milioni di euro. Oggi, la liquidità di Alitalia è in grado di affrontare sì e no il prossimo mese! Questa è la verità! Questa è la verità che il centrodestra non vuole sentire, abituato com'è a scaricare tutte le conseguenze delle sue assenze, del suo disimpegno e della sua incapacità di governare su quelli che hanno governato prima (Commenti di deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)! Non le parole del centrosinistra, ma le dichiarazioni che l'amministratore delegato ha reso alla Commissione confermano quanto sto dicendo.
Sappiamo che, anche nel centrodestra, c'è stata una profonda diversità di opinioni al riguardo. Il comportamento della Lega, ad esempio, non è di oggi né è legato a questioni che attengono al federalismo o al calendario dei lavori, ma deriva da una visione precisa e dall'intenzione di conseguire un obiettivo preciso. Non il risanamento, non la definizione di un piano di rilancio dell'azienda, non un processo di privatizzazione (abbiamo discusso in Commissione un progetto che, ad un certo punto, è stato insabbiato), non una politica di integrazione europea: nulla di tutto ciò! Stiamo parlando di un prestito che non risolve il cuore del problema di Alitalia!
Perché, allora, è accaduto tutto ciò? Per quale ragione la Lega - e non soltanto questa - ha lavorato in direzione della frantumazione di Alitalia? Il centrodestra ed il Governo guidato dal cavalier Berlusconi non hanno guardato, in questi anni, all'orizzonte del processo di privatizzazione, ma a quello della svendita o dell'annessione alle grandi compagnie europee! Oggi sì, oggi sì: nelle condizioni in cui è stata fatta precipitare, assisteremmo ad una svendita di Alitalia. Allora, noi diciamo, con grande franchezza, che la divisione all'interno del Governo resta: ne avremo la riprova tra pochi minuti, nel prosieguo del dibattito.
Sappiamo che la linea esplicitata dal presidente Bonomi, poi divenuto amministratore delegato, era in contrasto con quella dell'amministratore delegato Mengozzi. In Commissione trasporti, si presentarono con due diverse ipotesi. In particolare, Bonomi proponeva uno «spacchettamento», una suddivisione in una bad company ed in una best company e, sostanzialmente, l'aggregazione ad una famosa cordata del nord, non meglio definibile (che, però, ruotava, in qualche modo, intorno alla compagnia Volare, con ancoraggi anche in paesi sudamericani).
Questa è la verità! Rispetto alla situazione descritta, la risposta è stata, per mesi, il silenzio, fino a quando non si è arrivati all'attuale stato prefallimentare.
La famosa cordata italiana del ministro Lunardi, che fine ha fatto? Non credo che il Governo possa fornire notizie in tal senso.
Con riferimento al provvedimento in esame, ricordo che il tempo perso ha sicuramente danneggiato Alitalia poiché ha fatto emergere tale problema. Fin dall'inizio abbiamo dichiarato che non intendiamo assumere un atteggiamento di opposizione, poiché ci facciamo carico con responsabilità della drammatica situazione in cui versa quest'azienda. Tuttavia, il decreto-legge nel suo insieme avrebbe dovuto affrontare la questione. Manca una visione di insieme. Vi è la necessità, che credo sia condivisa (in tal senso, ho apprezzato l'atteggiamento del sottosegretario per l'economia e le finanze), di affrontare il problema in modo meno sbrigativo. Ma com'è possibile che, in tale situazione, il Ministero dell'economia e delle finanze faccia una parte, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un'altra ed infine il Ministero delle attività produttive un'altra ancora?
Occorre un tavolo di concertazione per affrontare i vari aspetti del problema. Il rischio è di ritrovarci in quest'aula nei prossimi mesi a discutere non di un decreto-legge di copertura, ma di un processo di liquidazione, di svendita dell'Alitalia, cosa che certamente non vogliamo.
Quando tale situazione si è aggravata, l'unica risposta che il Governo ha saputo dare (per fortuna i suoi intendimenti sono crollati di fronte alla situazione) è stata l'accoppiata Bonomi-Zanichelli che ha portato - questa sì - Alitalia al «prefallimento».
Noi non siamo così, non lo siamo mai stati per cultura di governo, per l'interesse che nutriamo nei confronti del paese e perché abbiamo a cuore gli interessi non solo di questa compagnia, dei suoi lavoratori, dei suoi professionisti, ma anche degli utenti del «sistema Italia» e Alitalia è una parte importante, nevralgica nel settore dei trasporti non solo nazionale ma anche internazionale.
Insisteremo con la nostra battaglia soprattutto se la maggioranza continuerà a tenere un atteggiamento preconcetto. Non serve dissociarsi, perché si tratta di questione di nodale importanza: oggi riguarda il prestito, ma domani concernerà il piano industriale e dopodomani il processo di privatizzazione dell'azienda.
Abbiamo indicato al Governo e alla maggioranza misure che possono fornire un aiuto nella ricerca di «tagli», nella lotta agli sprechi, misure che possono corroborare la situazione finanziaria di Alitalia; mi riferisco all'insieme delle questioni che è necessario affrontare senza ulteriori rinvii e che riguarda i carburanti, le tariffe, i costi di gestione aeroportuale e, infine, la riforma del trasporto aereo. Voi, invece, cosa avete realizzato concretamente in questi anni? Lo chiedo senza polemica. L'unico provvedimento riguardante Alitalia è un decreto-legge di copertura di un prestito che servirà a non portare i libri di bilancio in tribunale e a non far fallire questa azienda. Non è stata individuata nessun'altra misura. Tutto il resto è demagogia! In ciò si rintraccia la vostra demagogia, la vostra divisione su tale questione.
Mi avvio alla conclusione, ricordando che il nostro schieramento si assume una responsabilità in un contesto politico e nell'ambito di un dibattito alla Camera che certamente non ci aiutano, ma non perdiamo la testa. Di fronte ai problemi del
paese possiamo assumerci la responsabilità, come faremo con questo decreto-legge (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pagliarini. Ne ha facoltà.
GIANCARLO PAGLIARINI. Signor Presidente, colleghi, voi sapete che la garanzia dello Stato viene concessa per un tempo breve, per il tempo necessario a consentire la definizione e la successiva realizzazione da parte della società di un piano industriale di ristrutturazione e di rilancio. Questo perché, oggi come oggi, come ha detto l'ingegner Cimoli in audizione, il gruppo non ha alcuna capacità di credito. Dunque, il gruppo non è in grado oggi di far fronte ai suoi impegni e dovrebbe portare i libri in tribunale.
In assenza di prospettive, cioè in assenza di un piano industriale di ristrutturazione e di rilancio, questa garanzia di 400 milioni che stiamo dando assumerebbe il significato di soldi buttati dalla finestra, assumerebbe il significato di un vero e proprio danno erariale. Infatti, tra sei mesi, il gruppo sarebbe nella stessa situazione di oggi.
Prima ho sentito Pasetto, purtroppo, che ha parlato di posizione pregiudiziale della Lega Nord Federazione Padana, di una posizione irresponsabile; bene, io adesso cerco di rappresentare ai colleghi di maggioranza e di opposizione, in sintesi, la situazione di Alitalia, in modo che poi ognuno possa votare in maniera responsabile e consapevole.
Comincio prendendo la relazione di certificazione sul bilancio consolidato. Dobbiamo sempre parlare del bilancio consolidato, perché Alitalia controlla altre società (si può far fare utili e perdite a chi si vuole, quindi dobbiamo guardare il consolidato). C'è scritto che il bilancio consolidato riporta significative perdite di esercizio - quindi perdite grosse - e un notevole incremento dei debiti a breve, a medio e a lungo termine (proprio una tragedia!). Le perdite sono riferite - dicono i revisori - prevalentemente al bilancio della capogruppo Alitalia Spa e, per questa società, il negativo andamento economico poi è proseguito anche nei primi mesi dell'esercizio in corso e, quindi - attenzione! - , gli amministratori, come riferito in una nota al bilancio, hanno annunciato un piano di risanamento finalizzato a un tempestivo riequilibrio della gestione. Quindi, è necessario un tempestivo riequilibrio della gestione! Piccolo particolare, colleghi: la relazione che vi ho letto è la relazione di certificazione sul bilancio consolidato al 31 dicembre 1993 (I deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana gridano: «Olé!»)! Non è quella di quest'anno, ma quella di dieci anni fa! Dieci anni fa la situazione era drammatica e, secondo quanto riferito dai revisori, gli amministratori avevano detto di non preoccuparsi perché avevano preparato un piano di risanamento in modo da rimettere la situazione a posto in quattro e quattr'otto. Questo avveniva nel 1993. Notate che poco tempo prima lo Stato aveva preso dalle tasche degli italiani 292 milioni di euro e li aveva dati al gruppo per coprire le perdite. Allora, nonostante gli avessero dato i 292 milioni per coprire le perdite, nel 1993 la situazione era drammatica, anche se si diceva che c'era il piano di ristrutturazione. Benissimo! Era il 1993. Andiamo a vedere che cosa è successo nel 1994. Nel 1994 Alitalia ha perso «solo»192 milioni di euro (ed è una bella cifra anche questa!), ci sono ancora dei problemi e i revisori dicono, nella relazione per il 1994, che gli amministratori hanno illustrato i fondamenti su cui si basa un prospettato riassetto della capogruppo. Quindi, nel 1993 c'era un piano di ristrutturazione, che non è andato a buon fine (probabilmente perché i sindacati lo hanno bloccato, non lo so); però non è un problema, perché nel 1994 ve ne é un altro, che, secondo quanto detto, si basa sulla necessità di una ricapitalizzazione della capogruppo, al fine di un definitivo assestamento della sua situazione. E questo era il 1994.
Lo dico anche perché prima ho sentito il collega Pasetto dire che è colpa del
centrodestra perché in quel momento andava tutto bene. Te lo anticipo: andava tutto bene perché in pochi anni gli amministratori hanno fatto entrare, prelevandoli dalle tasche degli italiani, sapete quanto? Sapete quanto abbiamo dato all'Alitalia per coprire le perdite? Abbiamo dato 3.092 milioni di euro in pochi anni (I deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana gridano: «Olé!»)! Ben 3.092 milioni di euro! Ci credo, Pasetto, che andava bene! Gli abbiamo dato quasi una legge finanziaria! Te lo credo! Però glieli abbiamo dati per coprire le perdite, questo è il problema!
Dico queste cose perché, vedendo com'è andata la storia, vorrei che nel provvedimento in esame vi fosse qualcosa di più stringente riguardo a questo piano di ristrutturazione. Mi sono letto veramente tutti i bilanci per voi, onorevoli colleghi - per la destra e per la sinistra -, per cercare di fare qualcosa di serio, perché non è possibile che tutti gli anni gli amministratori di Alitalia vadano in perdita, tutti gli anni gli vengano dati i quattrini e tutti gli anni il piano industriale salti per aria perché i sindacati non lo accettano; e adesso siamo ancora qui, a dargliene altri, sulla base di un piano che nessuno ha ancora visto e che non si sa se sarà accettato dai sindacati! Voi capite che potremmo anche avere qualche problema al riguardo!
Ciò per quanto riguarda il 1994. Nel 1995, invece, Alitalia perde relativamente poco: 47 milioni di euro. I revisori contabili affermano che non c'è più la possibilità di andare avanti, perché non vi sono prospettive, ed ecco che nel bilancio si riporta - cito la relazione dei revisori - che le cose vanno male, l'indebitamento finanziario consolidato è arrivato a 3.313 miliardi di vecchie lire, ma la gestione ha perso poco, perché ha beneficiato di operazioni straordinarie. I primi mesi del nuovo esercizio vanno male, ma il bilancio è stato preparato nel presupposto della continuità aziendale, perché gli amministratori della società capogruppo avevano varato un nuovo piano di ristrutturazione e di successivo sviluppo: questo per quanto riguarda l'anno 1995 (I deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana gridano: «Olè!»).
Andiamo avanti. Cosa succede nel 1996? Nel 1996 Alitalia perde 625 milioni di euro nel bilancio consolidato (I deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana gridano:«Olè!»). Però, per coprire le perdite, ecco che la Repubblica italiana gli dà 516 milioni di euro di aumento di capitale. Avete capito? Si tratta di un problema serio, e non vorrei essere coinvolto in una fattispecie di danno erariale, perché se abbiamo l'evidenza che i piani aziendali saltano sempre per aria, poiché i sindacati li contestano, dando ad Alitalia questi soldi, senza controllare il piano aziendale e senza essere sicuri che i sindacati siano d'accordo, procuriamo un danno erariale!
Ora, noi siamo parlamentari, e forse siamo coperti sotto questo punto di vista, ma quando ho fatto queste affermazioni a Cimoli, in sede di audizione, l'ho visto un pochino sconvolto, ed infatti l'ingegner Cimoli ha affermato che non toccheranno una lira fino a quando i sindacati non avranno approvato il piano aziendale. Ciò mi sembra giusto, e pertanto dovremmo inserirlo nel testo del decreto-legge: non dobbiamo concedere una lira di garanzia finché i sindacati non hanno approvato il piano, perché altrimenti abbiamo dei problemi molto grossi, signori (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)! Queste non sono ideologie perché, purtroppo, sono le carte a dirlo!
Stavo parlando del 1996, un anno in cui si è registrata una perdita enorme; tuttavia, anche per il 1996, nella relazione di certificazione c'è scritto che le cose vanno male, però il bilancio consolidato è stato predisposto applicando criteri valutativi che presuppongono la continuità aziendale, e per garantire tale presupposto gli amministratori hanno elaborato un piano di ristrutturazione e di successivo sviluppo: alè (I deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana gridano: «Alè!»)!
Ciò si è ripetuto tutti gli anni, e noi siamo qui ad affermare che, dal momento che predispongono un piano, diamo loro dei soldi! Ragazzi, lo presentano tutti gli anni un piano di ristrutturazione, scusatemi! Ma qualcuno si è preso la briga di andare a leggere i bilanci consolidati e le relazioni dei revisori?
Siamo arrivati al 1997. Sembra che tale anno sia andato bene. Mi spiego meglio: nel 1997 c'è stato comunque un aumento di capitale di 516 milioni di euro (si tratta dei soliti mille miliardi di vecchie lire che si danno all'Alitalia ogni anno), però escono in utile! Qualcuno potrebbe dire: che bravi, sono uscite in utile! Tuttavia i revisori, che devono dare il quadro fedele della situazione, nella relazione specificano il motivo per cui viene fuori tale utile. Infatti, essi hanno affermato che alla formazione del risultato hanno contribuito proventi straordinari, relativi principalmente all'adeguamento del prezzo di cessione della partecipazione nella società Aeroporti di Roma, alla vendita di un'altra partecipazione nella società Galileo e a 700 prepensionamenti. Si tratta di 700 prepensionamenti che stiamo pagando ancora noi, colleghi: capite?
Arriviamo così al 1998, alè! Nel 1998 vi è stato un altro aumento di capitale, questa volta di 680 milioni di euro (I deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana gridano: «Olè!»)! Lo capite che, in queste condizioni, io sarei un fenomeno? Altro che Bill Gates, se tutti gli anni qualcuno mi concede un aumento di capitale così! Bill Gates sarebbe nessuno rispetto a Pagliarini, se tutti gli anni qualcuno mi desse tutti questi quattrini: ce ne rendiamo conto?
Saltiamo il 1999 e passiamo al 2000: cosa succede in quell'anno? Nel 2000 Alitalia perde 256 milioni di euro (I deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana gridano: «Olè!»)! Però, per quanto concerne il 2000, occorre considerare anche un altro elemento.
Questo per far capire come sia drammatica la situazione, non da oggi - come ha affermato il collega Pasetto -, ma da anni.
Nel 2000, i revisori affermano che, nel corso del secondo semestre dell'esercizio, la società capogruppo, l'Alitalia, ha venduto 20 aeroplani MD 80 e, contestualmente, li ha presi in locazione, ottenendo così una plusvalenza di 317 miliardi, che sono stati contabilizzati bene, perché 304 sono stati differiti sul periodo dell'affitto mentre 317 di cash sono stati utilizzati subito, per pagare gli stipendi.
MAURO AGOSTINI. Quello che fa Siniscalco!
GIANCARLO PAGLIARINI. Non me ne parlare, che mi metto piangere!
Nel 2001 - signori, state seduti - Alitalia perde 907 milioni di euro (Dai banchi dei deputati del gruppo Lega Nord Federazione Padana si grida: Olè!) e ne ricava 258 come aumento di capitale. Che succede nel 2001? Vi è la società capogruppo che ha avviato un rilevante processo di ristrutturazione. Tale processo prevedeva anche incentivi al personale per il pensionamento anticipato.
Si arriva al 2002, anno in cui vi erano persone che affermavano che i conti Alitalia andavano bene. Nel 2002 tale società aveva ricavato 93 milioni di utile. Piccolo particolare: nel 2002, per ottenere 93 milioni di utile, nel bilancio sono stati inseriti 567 milioni di euro di proventi straordinari, dei quali 266 per l'esito del procedimento arbitrale con KLM (250 più gli interessi), 76 per la plusvalenza determinata dalla cessione delle attività del comparto Sigma alla Galileo e 43 dalla vendita alla Lamaro Srl di Roma dell'immobile adibito a centro direzionale in zona Magliana e di una parte dei terreni di proprietà dell'Alitalia a Fiumicino, in prossimità del sedime aeroportuale, sul quale gli acquirenti, ossia la Lamaro di Roma, costruirà il nuovo centro direzionale che sarà affittato all'Alitalia. Se intervengono problemi, succede un caos incredibile.
Sempre nel 2002, Alitalia ottiene un'utile di 93 milioni di euro, dato da plusvalenze, ed in cassa entrano 828 milioni di euro per aumento di capitale euro (Dai banchi dei deputati del gruppo Lega Nord Federazione Padana si grida: Alè!).
Si arriva al 2003, anno in cui vi è una perdita di 520 milioni di euro. I revisori non danno il loro giudizio professionale, perché vi sono troppe incertezze, non solo finanziarie (tra l'altro, sono rimasto colpito dalla mancata svalutazione della flotta). Il problema, quindi, è veramente serio.
Vi ho riferito abbastanza dettagliatamente il quadro; quindi, per favore, non venitemi a dire che Alitalia va male per colpa di Berlusconi! Vi è un problema che viene da lontano (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).
Sia ben chiaro: nessuno di noi vuole cercare soluzioni non realistiche, ma è molto importante modificare questo testo e fissare alcuni paletti, perché abbiamo la prova provata che, quasi tutti gli anni, Alitalia effettua piani di ristrutturazione. Sappiamo anche che nessuno di essi è andato a buon fine, perché i sindacati ne hanno sempre bloccato l'attuazione. Ora impegniamo altri 400 milioni di euro dei cittadini italiani che pagano le tasse e che credo non saranno per nulla felici. Se vogliamo farlo, facciamolo pure, ma con alcune garanzie. Una garanzia dovrebbe essere rappresentata dal fatto che si daranno i soldi solo dopo che i sindacati avranno approvato il piano di ristrutturazione e, naturalmente, dopo che il Parlamento l'ha valutato. Infatti, sono capace anch'io di fare tutti i piani di ristrutturazione, se negli stessi stabilisco che ogni biglietto da Milano a Roma costa tre miliardi e mezzo: faccio utili sulla carta, poi, però, non prendo un euro.
A mio parere, dunque, il testo è molto debole e deve essere migliorato; può essere migliorato con gli emendamenti che abbiamo presentato, tra cui quello che prevede l'intervento dei sindacati. Ve ne è un altro, non ho alcun problema a dirlo, più bello del mio, l'emendamento Del Giudice 1.21. Il collega Del Giudice ha presentato un bellissimo emendamento...
PRESIDENTE. Onorevole Pagliarini, la prego di concludere.
GIANCARLO PAGLIARINI. Signor Presidente, non avevo a disposizione 20 minuti?
PRESIDENTE. No, onorevole Pagliarini, 15 minuti.
GIANCARLO PAGLIARINI. Allora, concludo illustrando il bell'emendamento dell'onorevole Giudice, che prevede che l'effettiva concessione della garanzia dello Stato sia subordinata all'assenso delle organizzazioni sindacali. Ebbene, io sottoscrivo questo emendamento (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza nazionale)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pezzella. Ne ha facoltà.
ANTONIO PEZZELLA. Signor Presidente, l'excursus del collega Pagliarini, in effetti, non può essere contestato in alcun modo, perché è la verità. È una verità che, purtroppo, parte da lontano e oggi ci troviamo in una situazione che definire drammatica è poco. A questo punto, sorge la necessità di stabilire cosa fare. Certo, la situazione dell'Alitalia, oggi sotto esame solo per il livello di criticità raggiunto, come dicevo prima, ha origini lontane nel tempo.
Il passaggio dal monopolio al mercato, vissuto dal vettore senza inserire nella propria gestione l'effetto della concorrenza, ne ha evidenziato i limiti, mentre le nuove regole comunitarie poste a garanzia della libera concorrenza impediscono di mascherarne gli effetti. Il recupero del vettore nazionale sarebbe affidato al piano industriale 2004-2006, al quale sicuramente risulterà difficile attribuire questo compito con una speranza di successo, per le ragioni che mi accingo ad indicare, limitando analisi ed osservazioni agli aspetti essenziali.
Il piano industriale di un'impresa, specie se operante nel trasporto aereo in condizioni di concorrenza, dovrebbe essere in simbiosi con il mercato di riferimento, sia in termini attuali che di estensione
da acquisire nella concorrenza con gli altri operatori. Dal mercato derivano consistenza della flotta, caratteristiche operative dei suoi velivoli e struttura dell'azienda. Nel piano è previsto l'inserimento del vettore in una holding denominata in posizione di maggioranza assoluta da un altro vettore europeo che detterà, in corso di esecuzione del piano, le strategie operative alle quali i vettori più deboli sono costretti ad attenersi.
In questa situazione, il mercato, le condizioni operative e le strategie aziendali dovrebbero almeno essere preventivamente negoziate con il vettore leader, per evitare che l'inserimento dell'Alitalia nella nuova compagnia aerea europea si esaurisca nel trasferimento di aree di mercato e di slots al vettore francese - trasferimento consentito dall'articolo 8 del nuovo regolamento CE n. 793 del 2004, approvato il 21 aprile ultimo scorso - cioè solo in beneficio del vettore più forte, la cui offerta prevale sulla domanda in danno di quelli più deboli, per i quali il rapporto è opposto.
Vettore e hub di riferimento costituiscono un binomio imprescindibile che consente di conservare ed accrescere il mercato naturale del vettore, condizione dimostrata in Europa dalla coincidenza dei tre maggiori vettori con i tre rispettivi maggiori hub. Spostare alla periferia del mercato la collocazione dell'hub di riferimento, la cui posizione strategica dovrebbe, invece, coincidere con il baricentro del mercato stesso per rendere minimi i collegamenti che lo alimentano, non garantisce la predetta condizione. La posizione periferica dell'hub secondo il piano presentato in passato da Alitalia sarebbe giustificata dalla posizione del mercato più ricco adiacente all'hub prescelto. La motivazione risulta fortemente riduttiva perché, in un mercato europeo senza confini in cui tutti gli hub sono collegati senza limitazioni, non è il mercato espresso da una regione o da uno Stato che può garantire la vita del suo vettore, quando peraltro ogni utente nazionale può raggiungere l'hub europeo a lui più congeniale per frequenza dei voli e numero dei vettori, favorito nella scelta anche dalla presenza in forte espansione di vettori a bassa tariffa che, non a caso, pongono le proprie basi operative in aeroporti adiacenti all'hub designato.
Lo spostamento dell'hub da Fiumicino a Malpensa è in contrasto con le regole aeronautiche, che richiedono all'hub non solo una posizione geografica strategica, ma anche il possesso di un'area terminale compatta per favorire i transiti richiesti dal suo ruolo, condizione di cui l'aeroporto di Malpensa - e questa scelta, purtroppo, negli anni passati è costata migliaia di miliardi alle casse dello Stato -, a differenza di Fiumicino, è privo. Infatti, le due aree terminali, nord ed ovest, distano qualche chilometro senza essere collegate da un people mover.
Per non parlare dello spazio aereo, limitato dalla presenza delle Alpi e dalle condizioni meteorologiche non favorevoli. La scelta non rispetta neanche le regole di economia aziendale e di produttività dell'impresa: ciò produce effetti negativi sugli obiettivi del piano.
Voi dovete pensare che ogni mattina una parte degli aerei che si spostano da Roma Fiumicino a Malpensa portano gli equipaggi che prendono armamento a Malpensa; quindi, chi parte alle sette da Malpensa deve alzarsi alle quattro di mattina per andare a prendere l'aereo e fare una giornata di lavoro. In termini economici, si tratta di un costo di migliaia di miliardi per la gestione dell'Alitalia, che dimostra come non vi sia stata la capacità e la correttezza di gestire, oramai da venti anni, in termini industriali.
Quindi, ricostruire una base di armamento, abbandonando quella funzionale esistente a Fiumicino, aumentare sensibilmente il tempo di servizio del personale navigante e penalizzare la capacità commerciale della tratta Fiumicino-Malpensa, e viceversa, ridotta dal continuo spostamento del personale dell'azienda fra i due scali, sono elementi che determinano dispendio di risorse finanziarie e riduzione della produttività e dei ricavi commerciali: si tratta di effetti opposti agli obiettivi proposti nel piano.
Sembra comprensibile una sola motivazione: la collocazione dell'hub nazionale a Malpensa, con il contemporaneo spostamento del traffico domestico comunitario da Linate a Malpensa. È il prezzo da pagare ad Air France per entrare nella nuova compagnia europea dominata dal vettore francese, che intende acquisire una posizione strategica sul mercato italiano rispetto all'alleanza oneworld, dominata da British Airways.
Le indicazioni contenute nel piano non potranno, a nostro avviso, elevare l'aeroporto di Malpensa, legato al vettore che lo alimenta, al ruolo di hub europeo, che pochi aeroporti potranno assumere. Il destino di entrambi, limitato a livello regionale, consentirà solo di alimentare altri hub europei. L'ingresso di Alitalia nella nuova holding europea, gestita in condizioni di maggioranza assoluta dal vettore francese, rappresenta un'incognita che in futuro potrebbe compromettere l'identità del vettore nazionale, come hanno evidenziato alcuni analisti olandesi quando KLM ha accolto l'ingresso della nuova compagnia europea.
Cosa fare? È in gioco l'identità dell'Italia nel trasporto aereo mondiale ed europeo, soprattutto perché non sono state mai dichiarate negli anni passati le condizioni che riteniamo non rispondenti agli interessi nazionali.
L'attuale presidente e amministratore delegato, ingegner Cimoli, ha dichiarato che entro il 15 settembre sarà presentato il nuovo piano; nel contempo, egli ha detto che, se dovessero esservi scioperi ed iniziative sindacali, i libri saranno portati in tribunale.
Noi riteniamo che si tratti di una strada sbagliata; riteniamo, altresì, che occorra la maggiore concertazione possibile con i sindacati in modo da trovare soluzioni ai problemi, soprattutto nell'ottica di una ristrutturazione aziendale che non prevede, purtroppo, ammortizzatori sociali.
In quest'ottica bisogna lavorare e proponiamo al Governo di considerare la legge n. 662 del 1996, nella parte riguardante il fondo degli esuberi, con alcuni meccanismi che abbiamo già spiegato al Ministero del lavoro. Trovando l'accordo con i rappresentanti sindacali dell'ENAC e dell'Alitalia, una parte degli oneri di concessione aeroportuali potrebbe essere destinata a tale fondo, che potrebbe collocare circa duemila dipendenti nel caso in cui ciò dovesse verificarsi. Oppure, si potrebbe considerare la possibilità di estendere la cassa integrazione al comparto del trasporto aereo.
Purtroppo, oggi viviamo come inquilini in una casa che abbiamo ereditato e che fa acqua da tutte le parti, e siamo costretti a cercare di ripararla. Molti sconquassi sono stati procurati negli anni da una gestione della società che ha rinunciato alla politica industriale aumentando le rotte, rinnovando le proprie flotte e preoccupandosi solo dell'ordinario.
In Italia vi era un'altra azienda nelle stesse condizioni in cui è oggi Alitalia: le Poste italiane. Nel 1998 le Poste italiane erano nella stessa condizione con riguardo ai libri sociali. Invece, si è scommesso sulla produttività, si sono ottenuti risultati e oggi abbiamo un'azienda sana. Il management ha lavorato a livello industriale portando avanti una tematica che ha consentito di aumentare il fatturato e il lavoro e di creare un'azienda che oggi è sul mercato. Purtroppo, le gestioni degli ultimi 15 anni di Alitalia non hanno consentito di arrivare a ciò.
In questo caso, il Governo ed il Parlamento tenteranno di dare una mano all'Alitalia. Tuttavia, riteniamo che, se dovesse fallire, ben grave sarebbe il risultato: si tratterebbe della cancellazione della nostra compagnia di bandiera. Questo non lo vogliamo: l'Italia ha bisogno di una compagnia di bandiera competitiva sul mercato. Per fare ciò, vi è bisogno della coesione di tutti, del sacrificio e dell'intelligenza delle parti sociali.
Auspichiamo, al di là del provvedimento in esame, che le parti sociali sappiano riunirsi intorno ad un tavolo, discutere e ragionare per trovare le soluzioni più opportune. Altrimenti, l'Alitalia non esisterà più. Quindi, è necessario il massimo del sacrificio. Certo, sarebbe molto
più facile per noi addebitare alle passate gestioni tutti i cattivi risultati. D'altro canto, il collega Pagliarini, con grande lucidità, ha già parlato di quel pozzo di San Patrizio dove tutto è stato buttato. Bisogna chiudere con le consulenze interne ed esterne, che sono servite soltanto ad alimentare canali improduttivi. Bisogna creare un'azienda che stia sul mercato, ma soprattutto che sia sana anche moralmente (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Raffaldini. Ne ha facoltà.
FRANCO RAFFALDINI. Signor Presidente, la situazione dell'Alitalia è grave e difficilissima. Noi voteremo a favore del provvedimento in esame, nonostante questo Governo non meriti nulla. Lo facciamo perché abbiamo un grande senso di responsabilità nei confronti del paese, dei lavoratori di Alitalia e della compagnia di bandiera. Il provvedimento è tardivo ma è mirato alla continuità aziendale e - come dice l'Unione europea - è un aiuto al salvataggio, una misura necessaria a mantenere la compagnia in attività in una situazione segnata da gravi difficoltà sociali.
Noi diciamo «sì» per senso di responsabilità, quella responsabilità che non hanno forze del centrodestra che vogliono far fallire l'Alitalia e buttare sulla strada migliaia di lavoratori. Questa è, senza giri di parole, la realtà.
Le motivazioni della Lega, caro Pagliarini, non sempre hanno a che fare con parametri economici o con il rischio che lo Stato butti dei soldi. Esse si incrociano anche con interessi tutt'altro che nobili, che vogliono mandare alla malora una grande azienda in difficoltà, per poterla poi ricomprare (nella sua parte più pregiata) con 30 denari. Questa è la realtà!
D'altra parte - non è una cosa nuova -, il Governo in questi anni non ha fatto nulla per il comparto aereo e, in questa incuria, è diventato responsabile del caso specifico Alitalia. Ha lasciato marcire la situazione ed ha perso l'occasione di due anni fa, per dare una svolta, sostenendo i traguardi di ripresa e di sviluppo, pur nella riorganizzazione, e per fare alleanze internazionali.
Quando i ministri dell'attuale Governo hanno posto un minimo di attenzione alla situazione, essi hanno cominciato a litigare tra loro: Tremonti, proprietario dell'Alitalia, scrive alla compagnia, cioè a se stesso, di non contare sul Governo; Buttiglione evoca il fallimento; Maroni insulta i lavoratori; Lunardi evoca migliaia di licenziamenti. Questo, mentre fuori dalla porta Cicchitto butta benzina sul fuoco. Da ultimo, interviene Berlusconi con una parola definitiva: cosa sono 4 mila lavoratori in esubero di fronte a migliaia di licenziamenti fatti da altre compagnie del mondo? Comunque, serve il mio talento.
Se questo è il Governo italiano, il precedente gruppo dirigente dell'Alitalia non è stato da meno. Ricordo, come fosse ieri, l'audizione del presidente e dell'amministratore delegato di Alitalia in Commissione trasporti per la presentazione dell'ennesimo piano industriale. Finita l'illustrazione da parte dell'amministratore delegato, anche attraverso grafici e slides, prende la parola il presidente, il quale svolge una contro relazione di segno diverso dalla prima. Così è andato il mondo fino a pochi mesi fa attorno all'Alitalia, che nel frattempo si è avvicinata ormai all'orlo dell'abisso, mentre una parte del Governo spinge perché precipiti nell'abisso.
È quindi evidente che il prestito-ponte, del quale oggi parliamo e che noi voteremo favorevolmente, serve per riprendere per i capelli un'Alitalia lasciata allo sbando. La non approvazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame la spingerebbe, a partire da domani, verso la liquidazione. È altrettanto evidente che questi soldi non sono la soluzione compiuta di tutti i problemi dell'Alitalia. Tutti infatti sappiamo che serve un piano industriale serio, che sappia agire e produrre effetti in tempi non biblici, con il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali e delle associazioni professionali. Certo, onorevole Rossi, nel testo del de
creto-legge, come d'altra parte è previsto nella recente intesa del 6 maggio 2004 tra Governo e parti sociali, è citato l'obiettivo di aprire la strada ad un risanamento, ad una ristrutturazione e ad un rilancio industriale. Va però contrastata la vostra tentazione all'amministrazione controllata. Oppure, con la scusa che questo tema non fa parte dell'accordo elettorale, il Governo permette che la Lega possa far fallire Alitalia, con il consenso delle forze della maggioranza?
Credo che questo sarebbe un atto di gravissima irresponsabilità. Infatti, con l'applicazione della normativa Prodi e di quella Marzano sugli interventi per i grandi gruppi industriali, ciò vorrebbe dire consentire al commissario straordinario ogni più ampia discrezionalità di smembramento e di dismissione aziendale, nell'interesse dei creditori e non dei lavoratori, con il solo effetto di proseguire un'agonia che finirebbe per ridurre Alitalia ad un simulacro della grande compagnia che ancora è. Ciò vorrebbe dire ammettere la nostra insolvenza, perdere migliaia di passeggeri ed accelerare inesorabilmente, senza ritorno, il declino e la morte di Alitalia.
Il ricorso all'amministrazione straordinaria significherebbe rendere difficilmente utilizzabile anche il prestito bancario garantito di 400 milioni di euro, nonostante la garanzia dello Stato. Infatti, alle banche difficilmente sarebbe consentito, anche tecnicamente, prestare soldi ad un soggetto che, dichiaratamente, proclama di non essere in grado di restituirli. Così come una banca non concederà un mutuo, anche se garantito da ipoteca, a chi non abbia un reddito certo.
Alitalia e le organizzazioni sindacali in questi giorni hanno guardato in faccia la grave crisi dell'azienda e hanno delineato le tappe di un confronto e di un lavoro particolarmente impegnativi e dai tempi ravvicinati per salvare l'Alitalia.
Il Governo, finora latitante e litigioso, non può pensare di avere esaurito il suo ruolo avendo favorito il prestito-ponte di 400 milioni di euro, mentre un suo ministro ed una forza della maggioranza lavorano, anche in questi minuti, per il fallimento di Alitalia, magari per ragioni - ripeto - tutt'altro che nobili.
La prima intesa, raggiunta nei giorni scorsi, è importante; l'impegno forte delle parti sociali ad evitare il dramma dell'amministrazione controllata chiama, con determinazione, il Governo a fare la sua parte per sostenere ed accompagnare questo impegno, con atti già riconosciuti nelle fasi precedenti della vertenza.
È inutile girare intorno al problema, che può essere preso per le corna se si rispettano quattro condizioni. Il Governo ha la volontà politica? Ha le idee chiare? Ha gli strumenti e le risorse necessarie? È capace nella velocità delle decisioni? Sono questi i punti su cui il Governo deve fornire risposte precise. Ha la volontà di rilanciare il trasporto aereo italiano e l'Alitalia come compagnia di bandiera? Quali sono le proposte perché ciò avvenga? Quali strumenti e risorse vengono messi effettivamente a disposizione? Entro quanti giorni tutto ciò avviene?
Le proposte non mancano né da parte delle organizzazioni sindacali, né da parte delle forze politiche del centrosinistra. Occorre una riorganizzazione ed il rilancio dell'intero comparto aereo italiano e di Alitalia, che di esso è grande parte, e ciò permetterebbe la riconquista di una quota preponderante del mercato interno.
Il risanamento deve passare innanzitutto attraverso interventi sulla catena del valore, sui requisiti di sistema, che tanto incidono sul costo finale. Ciò accompagnerebbe il necessario e severo piano industriale, con soluzioni concertate con le parti sociali, che preveda alla fine più flotta, più rotte, più sviluppo e misure di protezione per i lavoratori.
Sono queste le condizioni per fondare sulla roccia e non sulla sabbia un'azienda che, solo per questa via, potrà misurarsi a pieno titolo in futuro con la prospettiva di alleanze internazionali.
Perché tutto ciò avvenga, occorre avere una visione, una regia politica chiara e rapida da parte del Governo e, certo, da parte dell'azienda e delle organizzazioni sindacali. Bisogna però fare presto e smet
terla di lasciar passare il tempo (bisogna battere il tempo sul tempo), assumendosi tutte le responsabilità del rilancio del trasporto aereo e dell'Alitalia come compagnia di bandiera.
I Democratici di sinistra questo vogliono (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Dario Galli. Ne ha facoltà.
DARIO GALLI. Signor Presidente, dopo l'intervento del collega Pagliarini, credo che in un Parlamento normale di un paese normale poco altro resti da dire.
Stiamo parlando di soldi pubblici (non sono soldi nostri, di cui possiamo liberamente disporre), oltretutto in un momento di grave difficoltà economica, per il nostro paese e per il mondo occidentale in genere, e ciò inciderà ulteriormente sulle tasche dei contribuenti.
Praticamente stiamo regalando, per l'ennesima volta negli ultimi 12 anni, 1.000 miliardi ad un'azienda, senza un minimo di garanzia non tanto sul prestito, che sappiamo già essere a fondo perduto (è inutile chiedere cose che non possono essere restituite), quanto sulla volontà di rimettersi in pista e, quindi, di affrontare in maniera razionale e, possibilmente, attiva, anche sul piano economico, il mercato.
Ciò è veramente ridicolo. Sono sicuro che un qualsiasi direttore di una filiale di banca perderebbe immediatamente il posto se prestasse soldi a qualcuno senza neanche chiedergli come pensa di restituirglieli o, se sono concessi a fronte di una attività imprenditoriale, con che piano della propria azienda ritenga di raggiungere utili per restituire il prestito. La leggerezza con cui si approva un prestito che costa 1.000 miliardi ai nostri concittadini è veramente allarmante e, in qualche modo, ci dovrebbe far riflettere.
Detto ciò, mi fa veramente specie quanto affermato poco fa dai colleghi di centrosinistra, cioè di voler salvare l'azienda, con tutta la prosopopea che si palesa ogni volta che occorre salvare qualcosa di nazionale.
Qui stiamo parlando di un'azienda, l'Alitalia, che non è un'azienda di Stato, nel senso che appartiene a tutti noi, in quanto interessa eventualmente coloro che utilizzano questo servizio. Infatti, al cittadino normale che non prende l'aereo o che, quando lo fa, usa altre compagnie alle quali paga il biglietto, interessa relativamente che vi sia o meno una compagnia di bandiera. Gli interessa, magari, che vi sia un servizio di volo adeguato, che vi sia sicurezza e, soprattutto, che vi sia un servizio che non costi, visto che non vi è motivo di far gravare sulle tasse degli italiani il mantenimento di una compagnia aerea.
I paesi seri, che disponevano di importanti compagnie aeree, quando i conti non tornavano più, hanno chiuso la compagnia. La Svizzera, che dal punto di vista amministrativo non ha eguali al mondo, quando la propria compagnia di bandiera non aveva i conti a posto, l'ha fatta fallire. Da quel momento in Svizzera si è comunque continuato a volare e, se gli svizzeri devono recarsi all'estero, utilizzano un'altra compagnia che, chiusa la Swiss Air, ha occupato il mercato del volo svizzero.
In Italia, se dovesse accadere qualcosa all'Alitalia, non è che non vi saranno più voli da Roma a Milano o da Bergamo a Roma o verso l'estero europeo o intercontinentale, in quanto ci saranno altre compagnie che svolgeranno gli stessi voli o altre compagnie o gruppi di privati che rileveranno il fallimento dell'Alitalia.
Stiamo solo regalando 1.000 miliardi che potrebbero essere utilizzati in maniera più intelligente e produttiva per il paese. Il problema è che, così com'è, l'Alitalia non se la comprerebbe nessuno! Il fatto è che nessuno pone in rilievo il problema aziendale e industriale dell'Alitalia.
Com'è possibile che una compagnia aerea perda 1.000 miliardi all'anno per dodici anni consecutivi? Evidentemente, c'è qualcosa che non quadra.
L'Alitalia ha più di 23 mila dipendenti, più di 8 mila sono esterni, ma lavorano in maniera fissa per tale azienda. Dunque, 30 mila
dipendenti con circa 400 mila che volano. E già questo la dice lunga, in quanto una compagnia aerea non può avere 400 mila dipendenti che volano e 25 mila che svolgono servizio a terra, scaricano le valigie e vendono i biglietti.
Nessuno dice che, di questi 30 mila dipendenti, 18 mila sono a Fiumicino. Allora, il problema comincia ad assumere un altro aspetto. Non intendo ripetere la frase che qualche tempo fa mi è costata cinque giorni di espulsione dall'aula - lo faccio per rispetto, non perché non pensi quanto affermato qualche mese fa e non perché mi interessi l'espulsione -, però una compagnia aerea, se è di bandiera, non può avere 18 mila dei suoi 30 mila dipendenti in un'unica città. Inoltre, una compagnia di bandiera non può avere il 95 per cento dei propri dipendenti provenienti da un'unica regione, altrimenti si tratterebbe di una compagnia regionale.
Ricordo che qualche anno fa un prefetto dello Stato voleva mettere in galera un nostro sindaco perché aveva attribuito due punti in più nei concorsi pubblici ai residenti da almeno cinque anni, da qualsiasi parte del mondo provenissero.
Non esiste invece alcun magistrato che faccia un'indagine su come sia possibile che una compagnia di bandiera, con concorsi banditi per tutta l'Italia, alla fine assuma il 95 per cento di romani. Qualcuno deve proprio spiegarmelo, perché non riesco a capire! Come se la Lombardia, il Piemonte, l'Emilia-Romagna o il Veneto non avessero ragazzi e ragazze con la voglia di diventare pilota di aereo o hostess. Si tratta però di un argomento su cui ci soffermeremo un'altra volta.
Quindi, 18 mila persone su 30 mila complessive lavorano a Fiumicino. Peccato però che il 70 per cento dei biglietti siano venduti in Lombardia. Qualcuno mi deve spiegare come una compagnia aerea, con il mercato «fisico» in un parallelo del paese, pensi di avere il 70 per cento del personale a 600 chilometri di distanza! Contro il mercato non può andare nessuno, neppure l'Alitalia. È ovvio che i milanesi non possono prendere l'aereo a Roma, ma vanno a Linate o a Malpensa. Ma, visto che a Linate o Malpensa non ci sono gli equipaggi, in quanto questi ultimi sono tutti romani, che magari abitano in una villetta a Fregene, allora tutti i giorni una cospicua parte del personale viaggia da Roma a Milano. Questa storia va avanti da quattro anni e costa, da sola, 400 miliardi di lire all'anno, circa metà del prestito che stiamo elargendo.
Per far volare un equipaggio di stanza a Roma dall'aeroporto di Malpensa, infatti, occorre farlo partire il giorno prima da Fiumicino, occupando posti sull'aereo per Malpensa. Ovviamente, deve poi fermarsi a dormire in un albergo milanese, magari a cinque stelle, con ovvi costi di soggiorno. Il volo avviene effettivamente il giorno successivo, perché non si può pretendere che l'equipaggio voli stanco. Il volo dura un giorno e poi l'equipaggio ritorna in un albergo del milanese, per riprendere un nuovo aereo verso Roma il giorno ancora successivo. Insomma, tre giorni, per uno solo di volo effettivo.
Non voglio fare riferimenti alla professionalità dei piloti dell'Alitalia, su cui nessuno ha nulla da dire, anzi sono considerati tra i migliori del mondo. Non so se sia vero - probabilmente lo è -, ma sono comunque quelli che volano meno ore per guadagnare di più, rispetto alla media europea. Lo stesso si può dire per le hostess e per il resto del personale di volo.
Anche in questo caso, evidentemente, qualcosa non quadra. Può un'azienda permettersi per anni di avere il personale a 600 chilometri dal posto di lavoro? Ricordo che anche i «pacchetti» del centrosinistra prevedevano, in caso di mobilità e di chiusura di un'azienda, che i dipendenti fossero obbligati a spostarsi senza diaria entro un raggio di 50 chilometri. In questo caso, invece, permettiamo che il personale di volo faccia 600 chilometri al giorno per andare a lavorare, a spese del contribuente.
Personalmente, abito più vicino a Malpensa che a Linate, ma devo andare ogni volta a Linate, sorbendomi tre ore di coda sulla tangenziale - il problema delle tangenziali milanesi è un problema di cui dovremo parlare, prima o poi - perché
non posso volare da Malpensa. Infatti, o prenoto il volo 15 giorni prima, oppure non trovo un posto per Roma. Peraltro, le poche volte che ci riesco, l'80 per cento dei posti è occupato da personale di volo che va o torna tra Fiumicino e Malpensa. Qualcuno deve spiegarmi dove sia la razionalità di questa situazione!
Nessuno va a chiamare il direttore generale o l'amministratore delegato, vecchio o nuovo che sia, a chiedere conto di tutto ciò? Dovrebbe intervenire la Corte dei conti e chiedere i danni agli amministratori, perché così non si fa! Una situazione simile può durare sei mesi, un anno, ma ad certo punto si chiama il personale, imponendogli il trasferimento a Milano, oppure di cercarsi un altro posto di lavoro, come hanno fatto altre aziende che lo Stato ha aiutato in questi anni.
Ricordo che la FIAT ha comprato gratis - perché ancora non l'ha pagata - l'Alfa Romeo con 20 mila dipendenti, pensando bene poi di chiuderla, tanto che adesso ve ne lavorano solo 300. Ha invece aperto i nuovi stabilimenti con i soldi dello Stato - quindi i nostri - in Ungheria e in Polonia, quando avrebbe potuto farlo comodamente nell'area di Arese. Poi Luca di Montezemolo dice che il federalismo non gli piace e che invece vuole la concertazione! Certo, da noi con il federalismo quei soldi non li prenderebbe più di sicuro! Andrebbe a chiederli, piuttosto, agli ungheresi o ai polacchi e voglio proprio vedere se glieli darebbero come abbiamo fatto noi (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)!
Qualcuno, quindi, mi deve spiegare perché le aziende del nord sono state chiuse - senza che nessuno avesse nulla da dire - e spostate all'estero, mentre invece sul problema di ristrutturazione dell'Alitalia, siamo tutti qui a stracciarci le vesti e a dire che bisogna dare a questa azienda i 1.000 miliardi!
Ricordo un piccolo dettaglio: le automobili possono essere costruite a 20 mila chilometri di distanza dal luogo in cui sono vendute, i voli aerei si vendono nel mercato di riferimento. Dunque, anche se Alitalia dovesse essere ridimensionata o chiudere, il mercato italiano del volo resterebbe in Italia e nessuno perderebbe il posto di lavoro, se non chi è in esubero rispetto al traffico aereo esistente nel nostro paese.
Quando la FIAT ha portato i propri stabilimenti in Polonia e Ungheria abbiamo continuato ad acquistare le automobili della FIAT, ma gli operai che producono tali automobili sono ungheresi o polacchi, e gli operai che lavoravano a Milano o a Torino sono rimasti in mezzo alla strada e i loro figli non trovano più il posto che avrebbero dovuto trovare nelle aziende in cui hanno lavorato i padri: sono laureati e vanno a fare i panini da Mc Donald's! Questo è ciò che stiamo facendo nel nostro paese!
Dunque, l'Alitalia deve presentare un piano di ristrutturazione serio, in cui, se vi sono 8 mila esuberi, si dica chiaramente che vi sono 8 mila esuberi (che non devono andare a casa domani mattina, ma fra qualche anno: vi sono ad esempio la mobilità e la cassa integrazione) e deve impegnarsi a spostare i dipendenti laddove c'è lavoro, vale a dire a Malpensa, o ad assumere i dipendenti a Malpensa, perché anche in Lombardia c'è chi sa pilotare gli aerei e fare la hostess. Nel caso contrario, è assurdo regalare 1.000 miliardi, da qualunque parte lo si veda (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Guido Giuseppe Rossi. Ne ha facoltà.
GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor Presidente, i numeri che sono stati illustrati dall'onorevole Pagliarini, già ministro della Repubblica, nella loro chiarezza e anche nella loro crudezza hanno fatto capire ai colleghi e a coloro che ci stanno ascoltando fuori di quest'aula, ciò di cui stiamo parlando: una compagnia pubblica, la cui maggioranza è controllata dallo Stato italiano, negli ultimi quindici anni ha provocato un «buco» enorme e infinito, una voragine all'interno della quale sono state dilapidate e dissolte ingenti fortune pubbliche,
costruite sulle tasse e sui contributi versati dai cittadini di questo paese, e sono stati fagocitati uomini e capacità. I numeri sono chiari: oltre 3 mila milioni di euro in quindici anni di ricapitalizzazioni e di iniezioni di denaro pubblico e, con il senno di poi, di spreco di risorse pubbliche.
Passando a considerazioni di carattere più generale di politica economica, l'Alitalia è uno dei simboli del fallimento dell'intervento dello Stato italiano nell'economia. Si tratta di un modello ispirato all'IRI e ad uno dei massimi esponenti dell'IRI stesso, l'onorevole Romano Prodi, una delle figure di spicco di questo modo sbagliato di concepire l'intervento dello Stato nell'economia. Infatti, in Italia si sono sommate la rigidità dello statalismo e dell'interventismo pubblico, che esiste in tutto il mondo, e la caratteristica tutta italiana dell'inefficienza, del clientelismo e del consociativismo, di cui l'onorevole Romano Prodi è stato l'espressione, dapprima tecnocratica, alla guida dell'IRI, e poi purtroppo politica, nella parentesi, sfortunata per questo paese, iniziata nel 1996.
Formuliamo tale critica non in nome di un liberismo astratto e fine a se stesso, in quanto riconosciamo che l'intervento dello Stato, in alcune situazioni e in alcuni paesi dell'Unione europea (mi riferisco in particolare alla Francia), se coniugato all'efficienza e alla capacità dei manager e dei tecnici pubblici, può produrre risultati positivi.
Quantomeno, non necessariamente ad esso seguono risultati così catastrofici quali quelli conosciuti dal paese attraverso le esperienze economiche di Alitalia e di molte altre società.
Ebbene, la circostanza che la sinistra, ed il centrosinistra, erede parlamentare di questa tradizione di intervento economico dello Stato - nonché, lo ribadisco, erede, più in generale, politico con l'onorevole Romano Prodi -, si siano espressi a favore della conversione in legge di questo decreto-legge sul cosiddetto prestito ponte da concedere alla società Alitalia è assai eloquente, manifestando la necessità che il centrodestra e la Casa delle libertà prestino attenzione particolare al provvedimento in esame.
Mi rivolgo, dunque, ai colleghi del centrodestra, ai colleghi che compongono insieme a noi, Lega Nord Federazione Padana, la Casa delle libertà. Le coordinate ideologiche e culturali, che hanno portato alla nostra alleanza politica e che hanno determinato la nostra vittoria nel 2001, non sono quelle della sinistra. Sappiamo molto bene quali siano queste ultime: lo statalismo, inteso come degenerazione dell'intervento dello Stato nell'economia e nelle questioni economiche.
Non stiamo svolgendo una dissertazione teorica in nome del liberismo o del liberalismo; piuttosto, stiamo chiarendo che un certo modo di intervenire da parte dello Stato nell'economia, quando unito all'inefficienza ed al consociativismo, porta solo ed esclusivamente danni. Ma tale è la vostra tradizione politica; lo statalismo inteso come degenerazione dell'intervento dello Stato e inteso, altresì, come svendita dei beni dello stesso. Infatti, qualche collega del centrosinistra ha adombrato, dianzi, il fatto che questa posizione della Lega - dura ma anche coraggiosa - manifesta interessi tali per cui si vorrebbe far fallire Alitalia per poi portare vantaggi ad altri; in ipotesi, a qualche fantomatica cordata economica. Ma non è così, onorevoli colleghi; ciò è invece successo quando avete governato voi, quando avete svenduto la rete autostradale ai vostri amici politici (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana e di deputati di Alleanza Nazionale) e quando è stato dilapidato il patrimonio dello Stato.
ROLANDO NANNICINI. Chi l'ha fatto?
GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Questo voi avete fatto; non lo stiamo facendo noi, adesso, in questo momento, esprimendo questa nostra posizione politica.
Dunque, all'interno delle coordinate politiche del centrodestra, non vi è, e non vi può essere, l'assistenzialismo; infatti, gli effetti devastanti di quest'ultimo sono
quelli elencati con dovizia di particolari dall'onorevole Pagliarini nel suo excursus sugli ultimi devastanti vent'anni di vita di Alitalia.
Vi è, invece, il rifiuto dell'estremismo sindacalista, il che non vuol dire un «no» al dialogo con i sindacati; significa, piuttosto, un «no» ai diktat di un certo tipo di sindacalismo, estremo, corporativo, egoista. Un sindacalismo che, dietro il paravento della difesa dei lavoratori, vuole difendere solamente inefficienze e spreco; quanto, peraltro, sta ora avvenendo nella vicenda di Alitalia.
Statalismo, assistenzialismo ed sindacalismo estremista: queste sono le coordinate politiche della sinistra, non le nostre. Ma, nel contempo, come dianzi già detto, noi della Casa delle libertà non siamo liberisti sfrenati, non essendo i nostri modelli né Reagan né la Thatcher; come abbiamo chiarito, la tradizione politico-culturale-economica di questo paese non è in linea, giustamente, con tali teorie. Ci siamo espressi, perciò, a favore dell'economia sociale di mercato o, se vogliamo utilizzare altre definizioni, per un modello economico capace di raggiungere ugualmente l'efficienza del mercato - e, dunque, la capacità competitiva - attraverso la produzione di prodotti effettivamente acquistati dai consumatori. Ciò, in quanto nel mondo moderno l'elemento centrale non è l'impresa né lo Stato; è, piuttosto, il consumatore. È quest'ultimo, l'utente, ad essere capace di scegliere sul mercato, facendo così la fortuna di questa o di quell'impresa economica, sia essa totalmente privata o a partecipazione pubblica.
Questo è il nostro modello equilibrato, che tutela i lavoratori. Essi, infatti, devono essere tutelati perché hanno dietro un patrimonio di comunità, di famiglie, di esperienze, di professionalità, che non può essere bruciato sull'altare di un liberismo sfrenato e che nello stesso tempo richiede e richiama, in nome e per il bene della comunità, la produttività, l'efficienza e soprattutto il dovere (a nostro avviso, non solo economico ma anche etico) di non buttare via i soldi dei contribuenti e dei cittadini di questo Stato.
Più buttiamo via soldi nella voragine dell'inefficienza e dell'assistenzialismo, più sottraiamo risorse per lo Stato sociale, il welfare, la scuola, la sanità, compiendo, oltreché uno sbaglio di tipo economico e contabile, soprattutto una ingiustizia nei confronti di milioni e milioni di cittadini che hanno bisogno, in determinati momenti della loro vita, anche, ma non solo, dell'intervento dello Stato.
È questa la linea che ha portato il nostro movimento ad essere duramente critico nei confronti di questo provvedimento, non per una posizione preconcetta verso il prestito ponte come strumento. Il prestito ponte è una soluzione tecnico-economica, accettata dalle pur rigide regole della Commissione europea, utilizzato non solamente dal nostro paese, ma anche da altre realtà dell'Unione europea (penso alla Francia e all'ultimissimo caso dell'Alstom, la multinazionale francese, caso che è stato mediato dal nuovo ministro delle finanze francese, Sarkozy).
Dunque, noi non abbiamo preconcetti nei confronti di questi strumenti; siamo però fortemente critici e dubbiosi che questo tipo di strumento in questa situazione, e con le modalità con le quali è stato presentato alla collettività, dia risultati positivi alle casse dello Stato italiano e alla situazione dell'Alitalia. Questo è il nostro grande dubbio, perché, se il prestito ponte e l'iniezione di risorse pubbliche non vengono collegati ad un piano industriale di ristrutturazione serio ed efficiente (non come quelli fatti negli ultimi vent'anni, che hanno portato solamente a «rappezzare» una situazione disastrosa), anche questo prestito ponte si risolverà, come quelli degli ultimi quindici anni, in uno spreco di risorse pubbliche.
Sollecitazioni ci sono sopraggiunte dai colleghi della maggioranza sulla nostra presunta insensibilità, rispetto all'esistenza di una compagnia di bandiera, se così la vogliamo definire, nel nostro paese: nulla di tutto ciò! Siamo consapevoli che all'interno di un paese come l'Italia, un paese di 56 milioni di abitanti, sia giusto che vi possa essere una compagnia aerea capace di competere sul mercato internazionale
ed europeo. Questo obiettivo, che è condivisibile, non può però essere raggiunto a spese della collettività, bruciando immense risorse della collettività stessa.
Questo è il messaggio che noi mandiamo e che è stato mandato con grande chiarezza dall'onorevole Pagliarini: senza piano industriale, senza una chiara responsabilità da parte di tutti gli attori di questa partita e in primis anche dalla parte sindacale (che deve fare la sua parte, che deve dire «no» all'assistenzialismo, che deve smettere di coprire le sacche di inefficienza ed egoismo corporativo) non si arriverà a risolvere un bel niente e la nostra famosa e tanto amata compagnia di bandiera subirà la legge inevitabile del mercato.
Quando non si sta più sul mercato, quando cioè aerei, servizi e tariffe non sono più competitivi e non sono più considerati competitivi dagli utenti, dai consumatori, dagli imprenditori, dalle famiglie, da coloro che vogliono andare in vacanza, o spostarsi per lavoro o per interessi personali, non c'è prestito ponte che tenga, non c'è iniezione di denaro pubblico che tenga. Non tiene più niente e si va verso il fallimento, aggravato - ripeto - dallo spreco enorme di risorse pubbliche.
Questo è il messaggio che noi della Lega Nord Federazione Padana vogliamo trasmettere quando ci opponiamo con durezza al provvedimento in esame.
Dunque, il nostro atteggiamento non è preconcetto né è ispirato al liberismo sfrenato; al contrario, riconosciamo anche noi la possibilità - a determinate condizioni - di un possibile intervento dello Stato. Ma senza regole e senza responsabilità, l'intervento dello Stato si rivelerebbe ancora una volta, come negli anni passati, uno spreco ed una truffa ai danni dei cittadini!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Parolo. Ne ha facoltà.
UGO PAROLO. Signor Presidente, dopo gli interventi dei colleghi della Lega Nord Federazione Padana, vi sarebbe ben poco da aggiungere: chi voleva capire ed aveva interesse a farlo ha già capito!
Tuttavia, mi viene spontaneo svolgere alcune considerazioni. Io non sono un esperto del settore, non sono esperto di bilanci come l'amico e collega Pagliarini, ma credo che qualunque cittadino che provasse a dare un'occhiata anche soltanto all'ultimo bilancio di Alitalia, quello relativo all'esercizio 2003, perverrebbe ad alcune conclusioni indiscutibili.
Alitalia è una società che, fatturando 4 mila 385 milioni di euro, ne perde 520! Ciò significa che su ogni commessa c'è il 12 per cento di perdita e che, per ogni 100 euro incassati, ve ne sono 12 di perdita! E si tratta di 12 euro che, naturalmente, debbono essere ripianati con i soldi dello Stato e, quindi, con i soldi di chi paga le tasse.
Il fenomeno potrebbe anche non essere gravissimo se fosse episodico, accidentale e fosse da ricondurre a cause non prevedibili. Purtroppo, però, si tratta di una storia che si ripete: con un'esposizione chiara e completa, ci ha appena fatto un excursus relativo ai risultati di bilancio di Alitalia il collega Pagliarini. Quindi, sebbene si tratti di una storia che si ripete, si persevera nel vizio di fare finta di non capire che in Alitalia c'è qualcosa di strutturale che non funziona e si cerca di dare la colpa di tutto, di volta in volta, a chi sta governando in quel particolare momento.
In realtà, il fenomeno rimanda a considerazioni di carattere più generale. Mentre ascoltavo il collega Guido Giuseppe Rossi, pensavo che il ragionamento che lui andava svolgendo riguarda, in fondo, tutta la realtà del nostro paese.
Il caso della FIAT è emblematico. La FIAT ha sempre incamerato gli utili e socializzato le perdite. La FIAT ha sempre fatto sparire gli utili nelle società partecipate che rendevano ed ha sempre scaricato sui cittadini e sullo Stato le sue perdite. Ma questa è una storia che si ripete nel nostro paese. Pensiamo alla vicenda relativa ad alcune banche. Proprio il Governo di centrosinistra guidato da Prodi ha compiuto alcune operazioni che sarebbe riduttivo definire vergognose. Ricordo
benissimo, ad esempio, quando è stato rifinanziato il Banco di Napoli: non a detta della Lega Nord, ma secondo la ricostruzione di coloro che hanno svolto apposite indagini al riguardo (la magistratura in primis, ma anche le Commissioni di indagine), quella banca era alle prese con ingenti sofferenze a causa dei prestiti elargiti al mondo della criminalità organizzata!
Ebbene, non mi risulta che, a fronte di migliaia di miliardi di vecchie lire regalati a questa banca, siano stati perseguiti i responsabili di queste frodi, di queste vergogne, di queste collusioni con il mondo mafioso.
È la storia della Sicilcassa, guarda caso, un istituto di credito radicato purtroppo in determinate realtà del nostro paese.
È la storia dell'IRI, che, da questo punto di vista, è emblematica. Guarda caso, in queste manovre «disinvolte» di finanza pubblica c'è di mezzo sempre un certo signor Prodi, lo stesso Prodi che dall'Europa ci obbliga (giustamente) a fare manovre correttive della finanza pubblica, facendo intendere che la colpa del bilancio dello Stato che non quadra è del Governo Berlusconi, dimenticandosi che, se questo Stato ha il più alto debito pubblico d'Europa in termini assoluti e in termini relativi in rapporto al PIL, non è certamente per responsabilità di questo Governo. Non si può cumulare un debito pubblico pari ad oltre il 100 per cento di ciò che si produce governando due o tre anni. La colpa è di qualcun altro; la colpa è di chi ha governato questo paese con i metodi che ho evidenziato e che oggi purtroppo sono riproposti per il caso Alitalia.
È la storia delle autostrade. Se in questo paese c'è uno settore che rende, che è sicuro, è proprio quello delle autostrade, se non altro perché, con una legge inopinata, da molti anni, è stata vietata la realizzazione di nuove autostrade. Quindi, chi le gestisce lo fa in un sistema di oligopolio, con la certezza di non avere la concorrenza di nuovi operatori in un mercato che invece ne avrebbe bisogno. Se guardiamo l'andamento azionario di questo settore, constatiamo che negli ultimi tre o quattro anni la borsa ha subito una contrazione che tutti conoscono. Le uniche azioni che si sono rivalutate sono proprio quelle di Società autostrade. Ebbene, la Società autostrade ed altri gestori della rete autostradale, grazie al Governo del centrosinistra, hanno potuto ottenere un grande regalo: la proroga gratis delle concessioni autostradali. Questo, cari amici del centrosinistra, non lo ricordate mai. E quando sostenete che dietro la nostra azione c'è la volontà di favorire qualcuno, lo fate semplicemente in maniera strumentale. Vogliamo solo far emergere le responsabilità, ricordare ciò che è successo e lanciare un monito per ciò che potrà succedere. Infatti, grazie a provvedimenti come quello in esame si ripete la solita storia: la parte sana e che rende di Alitalia certamente sarà venduta, forse svenduta a qualche amico e agli amici degli amici, mentre la parte che non rende sarà rifinanziata con i soldi dei cittadini, dello Stato, come sempre è successo.
Cosa si potrebbe fare? Non vogliamo soluzioni traumatiche né essere quelli che, da un giorno all'altro, pretendono di risolvere i problemi senza una concertazione con le parti sociali e senza tenere conto delle esigenze dei lavoratori, anche se purtroppo, come è già stato ricordato in altre occasioni, nessuno è intervenuto quando le aziende del nord hanno delocalizzato portando la produzione altrove e lasciando le persone a casa. Ma si potrebbero realizzare iniziative molto semplici che qualunque cittadino che non si occupa né di politica né di finanza né di gestione di società complesse come l'Alitalia sarebbe in grado di capire.
Innanzitutto, si potrebbe prendere atto che una società che intende ridurre i propri costi di esercizio dovrebbe avere la sede e il personale nel luogo in cui opera, quindi, dove c'è il mercato.
Allora, dove è il mercato? Dove sono i voli? I voli non sono a Roma. Il 60-70 per cento dei voli Alitalia sono a Milano, ma il 90 per cento del personale Alitalia risiede nel Lazio, tant'è vero che l'azienda Alitalia è la prima società in termini di fatturato della regione Lazio. E questa è
un'anomalia che compare agli occhi di tutti e che dovrebbe essere risolta, perché da qui derivano costi eccezionali, non strutturali, che potrebbero essere rimossi e che potrebbero in maniera significativa contribuire a risanare il bilancio gestionale della società Alitalia. Perché non lo si vuole fare? Perché si vuole continuare a praticare quella politica assistenziale e clientelare di mantenimento del consenso, che è sempre stata praticata, prima dalla Democrazia cristiana, consociata con una finta opposizione di sinistra, che era il vecchio Partito comunista, e oggi con altri partiti, purtroppo, anche in questo caso, all'interno della maggioranza, che pensano di poter mantenere il consenso con questi metodi nelle aree dove sono più strutturati? Ma essi ignorano che con questi metodi, primo o dopo, questo Stato è destinato a fallire e non ci sarà consenso che potrà essere mantenuto di fronte a un fallimento generale del sistema Italia.
Bisogna avere il coraggio di introdurre modalità di gestione della cosa pubblica diverse, più corrette, più consone alle necessità di mercato, naturalmente sempre tenendo fede a quella attenzione, che bisogna avere, verso le esigenze del mondo del lavoro, versi i più deboli, verso coloro i quali devono portare a casa lo stipendio per mantenere la propria famiglia. Ma di questo passo credo che non saremo più in grado nemmeno di pagare quegli stipendi, perché questo è il metodo di sempre, il metodo che ha portato ad avere un debito pubblico altissimo, un metodo che ci ha portato a non avere un paese con infrastrutture adeguate. Il nostro è un paese dove le infrastrutture sono state eseguite dove non servivano (e anche qui il caso è similare a quello della gestione di Alitalia). In questo paese, fino a qualche anno fa, per legge, per obbligo di legge, almeno il 40 per cento delle strade doveva essere realizzato nel Mezzogiorno e almeno il 60 per cento al centro e al nord. Questo per legge, non per necessità, semplicemente perché la realizzazione di importanti infrastrutture non era vista come una opportunità di sviluppo del mercato, anche per le regioni più deboli, ma come una possibilità di creare mercato di lavoro, grazie appunto alla realizzazione di infrastrutture; e, ovviamente, più queste infrastrutture costavano, più c'era lavoro, naturalmente per le persone che lavoravano cercando di guadagnarsi onestamente lo stipendio, ma anche per la criminalità organizzata, che da questo modello di gestione ha tratto benefici enormi.
La storia è lì, ma sembra che nessuno voglia imparare. Anche quanto sta avvenendo in questi giorni in quest'aula dimostra chiaramente che non si vogliono cambiare le cose, perché c'è un solo modo per cambiare questo sistema: la responsabilità a tutti i livelli. Una responsabilità che può essere ottenuta solo trasformando questo paese in un paese moderno, federale, dove le decisioni vengono prese nel luogo più adeguato, secondo i principi di adeguatezza e sussidiarietà, dove le tasse vengono utilizzate in una sede che sia il più vicino possibile ai cittadini, in modo che i cittadini possano capire come vengono spesi i soldi. In questo momento non c'è un cittadino in Italia, dalle Alpi ai monti Iblei, che sia in grado di capire come state spendendo questi 400 milioni di euro, perché la decisione è troppo lontana rispetto ai cittadini. Ma se a prendere questa decisione fossero gli amministratori locali, gli amministratori più vicini ai cittadini, state sicuri che queste cose non potrebbero succedere.
In un sistema federale, infatti, anche la gestione degli aeroporti può essere delegata alle regioni, così come sta avvenendo, ad esempio, nella fino a qualche tempo fa ipercentralista Francia, dove è stata recentemente approvata una riforma costituzionale ponendo addirittura la questione di fiducia. Il Governo francese, infatti, ha posto la questione di fiducia per varare una riforma dello Stato in senso federalista.
Ciò per far comprendere come anche nella ipercentralista Francia si sia reso necessario delegare e delocalizzare i poteri decisionali e fiscali per conseguire quell'efficienza nella gestione dello Stato che è irrinunciabile, anche al fine di ottemperare
ai vincoli di gestione e di bilancio che l'Unione europea, giustamente, chiede di rispettare.
Ebbene, questa è la storia vera alla quale stiamo andando incontro, ma purtroppo devo riconoscere che le scelte concernenti l'Alitalia non sono nient'altro che la conferma che in questo paese...
PRESIDENTE. Onorevole Parolo, concluda!
UGO PAROLO. ...al di là della Lega Nord Federazione Padana, tutti gli altri partiti non intendono cambiare il sistema di gestione (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Caparini. Ne ha facoltà.
DAVIDE CAPARINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi pare evidente che non ci troviamo di fronte ad una crisi finanziaria passeggera. Sembra chiaro, infatti, che una società che, negli ultimi undici bilanci, ha registrato per ben dieci volte un passivo, è in presenza di una crisi strutturale, alla quale occorre rispondere con un progetto industriale forte. Il Parlamento è purtroppo costretto ad intervenire ancora una volta in tal senso, e ricorderò successivamente quante volte siamo intervenuti e quante volte la mano pubblica, vale a dire i cittadini, è stata chiamata ad assistere la dissennata gestione dell'Alitalia.
Esiste, ovviamente, un problema industriale, che deriva dall'organizzazione aziendale di Alitalia: infatti, non vi è mai stata la volontà di colpire i reali centri di costo di questa azienda. Vorrei ricordare che una società come l'Alitalia è considerata sì una compagnia di bandiera, ma si tratta della bandiera del clientelismo, dell'assistenzialismo e del posto dato all'amico dell'amico. È la bandiera di un modo di fare politica a noi distante, che noi disconosciamo e che siamo qui per combattere!
Questo modo di gestire l'azienda - o meglio, di non gestirla - ha condotto ad una crescita abnorme del personale dipendente di Alitalia: 23 mila dipendenti, 8 mila soggetti che lavorano a tempo pieno per la compagnia e soprattutto - cosa che lascia attoniti, allibiti e increduli - 4.500 nuove assunzioni solo negli ultimi anni! È evidente che ci troviamo in presenza di un eccessivo peso del personale, che viene ulteriormente amplificato e aggravato dal fatto che la logica in base alla quale tale personale viene reclutato è una logica «romanocentrica» e «Laziocentrica».
PIETRO TIDEI. Gli ultimi 4.500 li ha assunti il presidente dell'Alitalia Bonomi, della Lega Nord!
DAVIDE CAPARINI. Ciò è stato già evidenziato, ma ritengo giusto ribadirlo ulteriormente e sottolineare come, purtroppo, tali logiche clientelari abbiano portato l'Alitalia ad essere una delle aziende più importanti per quanto riguarda il prodotto interno lordo e l'occupazione della regione Lazio.
Si tratta di una logica «romanocentrica» conseguente, ovviamente, alla scelta dell'avvio del secondo hub. Vorrei rilevare che siamo l'unico paese in Europa ad avere due hub, uno a Malpensa e l'altro a Fiumicino, e che cerca di convivere con una situazione ibrida assolutamente insostenibile, ma che altri paesi hanno rigettato da subito, perché antieconomica.
Ci troviamo, di fatto, con un'azienda che ha investito fortemente su un territorio, il Lazio, per motivi puramente politici, attuando una politica palesemente discriminatoria. Ciò balza agli occhi di tutti ed è evidente per coloro che frequentano gli aerei Alitalia; si è purtroppo costretti ad assistere a vere e proprie migrazioni da Roma a Milano, dettate dalla necessità di supplire ad evidenti carenze strutturali. In tal senso, devo sottolineare come sia fondamentale, in questo momento, dare un segnale forte, perché non si tratta - come più volte sottolineato sia dagli interventi dei colleghi sia dalla relazione allegata al decreto-legge che oggi stiamo esaminando
- di un prestito (tale terminologia è, ancora una volta, ingannevole). Sono veramente disgustato dal fatto che il Parlamento si presti a tale gioco, al continuo tentativo di ingannare i cittadini italiani utilizzando terminologie improprie.
Non è un prestito. Vi è un prestito laddove vi è anche la certezza - o, perlomeno, la possibilità - di restituzione della cifra prestata. In questo caso, si tratta di una regalia. Stiamo parlando dell'ennesima regalia di altri mille miliardi, che chiediamo ai cittadini italiani ed ad aziende che oggi sono in crisi ed hanno fatto fatica, ancora una volta, a sbarcare il lunario, confrontandosi, loro sì, con il mercato globalizzato e con competitori, senza chiedere l'aiuto dello Stato. Ora, con le imposte che tali aziende versano, si finanza l'ennesimo aiuto all'enorme baraccone chiamato Alitalia.
È un malcostume che vede una terminologia truffaldina da parte di questo Parlamento: prestito! Ma quale prestito? Chiamiamolo come deve essere chiamato: regalia all'Alitalia! Sono mille miliardi che non serviranno assolutamente - purtroppo è una triste, ma facile previsione - come non sono serviti i vari interventi che il ministro del bilancio del primo governo Berlusconi, l'onorevole Pagliarini, ha illustrato con dovizia di dettagli. Egli ci ha ricordato gli innumerevoli aumenti di capitale cui è stata sottoposta Alitalia. A piè di lista, sono 3.092 milioni di euro, ossia oltre 6 mila miliardi di vecchie lire, tra l'altro non attualizzati.
Si parla, dunque, di alcune decine di miliardi di vecchie lire che, in dieci anni, gli italiani e soprattutto i padani hanno dato per mantenere quest'enorme e tremendo baraccone.
Le responsabilità politiche, in questo caso, sono evidenti. Non riesco più neanche ad essere sorpreso da questo trasversalismo, che risorge ogniqualvolta si tratta di aiutare aziende che afferiscono allo Stato o che sono state partecipate dallo Stato.
Ancora una volta, l'appello va rivolto ai colleghi della Casa delle libertà: se di Casa delle libertà effettivamente si tratta, quest'ultima dovrebbe rigettare qualsiasi logica statalista, qualsiasi logica di aiuti di Stato che vada in direzione antiliberista, come purtroppo quella cui ci troviamo di fronte in questo momento e che dobbiamo votare.
Capisco, invece, la difesa a spada tratta - lo abbiamo anche toccato con mano - da parte del centrosinistra e delle sinistre, che prima hanno annunciato una sorta di ostruzionismo pre-estivo nel tentativo di rallentare i nostri lavori e poi - una volta accertato che la Lega Nord Federazione Padana aveva intenzione di osteggiare (e continuerà a farlo) duramente questo provvedimento illiberale, assolutamente statalista e irricevibile - sono indietreggiati innanzi a questa nostra ferma posizione, tanto che alcuni che avevano chiesto di parlare sul complesso degli emendamenti vi hanno rinunciato.
Ovviamente, il centrosinistra, come abbiamo visto in Commissione, presta soccorso con grande piacere alla maggioranza (intesa, ovviamente, senza la Lega Nord Federazione Padana), anche per coprire le gravi responsabilità politiche che ha avuto nella gestione di Alitalia. Ricordiamo i vari presidenti, tutti di nomina IRI, con la presenza, quindi, della longa manus di Romano Prodi, ancora per poco leader del centrosinistra, che ha indicato (nel periodo 1978-1988) Umberto Nordio. Ricordo Bisignani, che nel 1994 ci ha consegnato un'Alitalia con una perdita di 345 miliardi di lire; ricordo Schisano, che nel biennio 1994-1996 ha raggiunto la quota di 1.217 miliardi di lire di perdite; ricordo, infine, Domenico Cempella, che nel periodo di Governo dell'Ulivo è uscito dalla gestione con 907 miliardi di perdite. Insomma, in questa dissennata gestione di Alitalia mi sembrano evidenti le responsabilità da parte del centrosinistra.
Quindi, ancora maggiore è lo sconcerto o, meglio, lo sconforto da parte di chi sperava di trovare in questa coalizione e in questa legislatura una possibilità di svolta, di trovare le condizioni favorevoli ed il terreno fertile per poter finalmente recidere il cordone ombelicale di questo assistenzialismo e statalismo, di poter finalmente
dare un taglio netto alla politica delle assunzioni nelle società statali o controllate dallo Stato o, comunque, parastatali, di redistribuire la ricchezza anche nell'ambito del territorio nazionale e, quindi, di riuscire a incidere sulle politiche del personale assolutamente discriminatorie e razziali che hanno determinato e continuano a determinare - come abbiamo visto - questi enormi e inconcepibili centri di costo.
La logica imporrebbe, quindi, una scelta drastica e liberista, una scelta che vede certamente la presenza dello Stato, che però accompagni Alitalia verso il mercato. Non più, quindi, il solito (lo definisco così, perché purtroppo non è la prima volta che ne discutiamo) «prestito», tra virgolette, o meglio, la solita regalia a fondo perduto.
Occorreva una radicale e sostanziale rimodernizzazione, con una variazione sostanziale della logica gestionale aziendale e con l'adozione di un piano industriale che non abbiamo ancora visto.
Siamo stati addirittura «presi per i fondelli» dall'attuale presidente dell'Alitalia, che si è presentato in Commissione bilancio senza fornire indicazioni probanti sul piano industriale, per poi invece essere dovizioso nei dettagli con le parti sindacali, quasi come se il passaggio parlamentare fosse un atto dovuto. Ormai, Pantalone paga e paga per tutti, per cui non dobbiamo più preoccuparci né formalizzarci, né tantomeno rivestire con un minimo di decenza questo genere di interventi!
Noi non ci stiamo, la Lega Nord Federazione Padana non ci sta ad adottare questo genere di provvedimenti, né accetta questo tipo di logica. Pertanto, ancora una volta in questa sede, di fronte ai colleghi sia della maggioranza sia dell'opposizione ribadiamo una posizione forte di contrasto nei riguardi di queste logiche
PRESIDENTE. Onorevole Caparini, si avvii a concludere.
DAVIDE CAPARINI. Concludo brevemente, ricordando che il nostro obiettivo non è rappresentato soltanto dalla possibilità di guadagnare qualche minuto o qualche ora prima dell'inevitabile approvazione di questo provvedimento. Vogliamo invece testimoniare la rabbia di coloro che in questo provvedimento vedono il fallimento di un'idea, quella per cui questo Stato possa finalmente cambiare modalità e metodi d'azione, diventando uno Stato più equo e giusto.
Purtroppo, siamo ancora molto distanti da questo obiettivo, che è quello di uno Stato moderno. Questi provvedimenti lo dimostrano e dimostrano anche come la prima Repubblica purtroppo non sia morta ed anzi abbia ancora dei sussulti (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ercole. Ne ha facoltà.
CESARE ERCOLE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel pomeriggio di oggi gli interventi dei colleghi della Lega Nord Federazione Padana hanno fornito una completa fotografia delle nefandezze che si sono verificate negli ultimi quattordici anni in seno alla nostra compagnia aerea.
Si possono svolgere ulteriori considerazioni sulle strategie aziendali sbagliate, sugli sperperi economici effettuati sia a Milano sia a Roma. Addirittura, si imputa il deficit economico dell'Alitalia, o parte del deficit, ad un virus, quello della SARS, che ha colpito tutti i paesi orientali e che ha raggiunto anche il nostro paese. È stata questa una delle ragioni, insieme all'attentato alle Torri gemelle e alle guerre, addotte per giustificare perdite ed una mancata compensazione commerciale ed occupazionale della nostra compagnia di bandiera.
L'Alitalia nel 2003 ha fatto registrare un fatturato di circa cinque milioni di euro, con una flessione del 9 per cento rispetto al 2002, con perdite stimate addirittura intorno ai mille miliardi e con una flotta aerea che, secondo quanto affermato dal ministro Buttiglione - ora non più ministro ma commissario europeo - in sede di approvazione di questo provvedimento
al Senato, non è più di proprietà dell'Alitalia, ma è solo in leasing.
L'aveva già accennato il collega Pagliarini, lo ripetiamo: questa flotta in leasing trasporta circa 23 milioni di passeggeri contro i 25 milioni trasportati nel 2000. Tale flessione dal punto di vista commerciale va ricercata in una strategia aziendale completamente sbagliata.
Il mio collega, onorevole Caparini, ha già accennato a chi ha contribuito a tale disastro della compagnia di bandiera. Vorrei soffermarmi, quindi, sulle presidenze e sugli amministratori. Tra il 1978 ed il 1988 Umberto Nordio viene accusato da Prodi, allora presidente dell'IRI, di immobilismo sul mercato e di fermare lo sviluppo delle rotte. Nonostante tutto, viene cacciato con un attivo di 48 miliardi di lire.
Dal 1989 al 1994 arriva Giovanni Bisignani, forte della promessa di un consistente intervento dell'allora azionista IRI sul capitale: vengono aperte rotte ovunque e vengono acquistati numerosi aeromobili, poi rivenduti. Guarda caso, i soldi dell'IRI non arriveranno mai ed i conti di Alitalia cominciano a scendere ed a prendere una brutta piega. Il bilancio del 1993 viene chiuso con 345 miliardi di perdite.
A Bisignani succede, tra il 1994 e il 1996, il signor Roberto Schisano, nominato da Prodi, il quale nel 1996 chiude il bilancio con perdite per 1.217 miliardi di lire: la voragine aumenta sempre di più.
Dopo di lui, nel periodo 1996-2001 - guarda caso, ricorre in continuazione il nome di Prodi - vi è il signor Domenico Cempella, che lascia nel 2001, chiudendo il bilancio con perdite per 907 miliardi di lire.
Tra il 2001 ed il 2004 vi è Francesco Mengozzi - dietro di lui sempre il solito nome: Prodi - che lascia nel febbraio del 2004 con perdite che arrivano a 511 milioni di euro, cioè più di mille miliardi di vecchie lire.
L'ultimo arrivato, nel 2004, è Marco Zanichelli, che nei primi quattro mesi dell'anno ha segnato perdite per circa 250 milioni di euro, cioè circa 500 miliardi di vecchie dire.
Adesso, invece, è arrivato un mago. Il presidente di Alitalia, il dottor Bonomi, aveva detto chiaramente che era necessario un piano strategico aziendale, ma anche una ristrutturazione del personale e, soprattutto, erano necessari 400 milioni di euro. In quel momento qualcuno negò tale prestito all'allora presidente Bonomi, mentre non lo nega al mago Cimoli che si presenta in Commissione - non ripeto le affermazioni già elencate dal collega Pagliarini -, dicendo che il piano non esiste e il giorno dopo incontra i sindacati illustrando il piano.
Evidentemente le magie non le fanno solo i maghi, ma anche il signor Cimoli, il quale tira fuori dal cappello un piano strategico aziendale, che pare si fosse perso nei meandri dei cassetti di qualche scrivania e che noi parlamentari non conosciamo. Il nostro gruppo, di fronte a queste scellerate politiche della compagnia aerea, nutre un atteggiamento molto critico per l'inefficienza e per l'incapacità di competenza di Alitalia sul mercato.
Nello specifico del decreto-legge, il famoso prestito ponte da esso previsto trova la sua principale giustificazione nella necessità di una continuità aziendale (dell'Alitalia), dal momento che la compagnia di bandiera nello scorso mese di giugno aveva in cassa 150 milioni di euro, contro i 500 milioni di euro dello scorso mese di gennaio. Questo decreto-legge suscita quindi qualche perplessità per il motivo che ho già accennato. Già i precedenti vertici dell'Alitalia avevano chiesto al ministro Tremonti di concedere questo prestito, allo scopo di consentire l'approvazione del bilancio 2003. Tuttavia, tale richiesta era stata valutata dal ministro come un probabile aiuto di Stato e pertanto era stata respinta. La stessa richiesta, avanzata dal mago Cimoli, è stata accolta da Tremonti lo scorso 22 giugno, il quale ha firmato il decreto-legge in esame, nonostante il parere negativo della società di certificazione sul bilancio 2003.
La Lega resta dunque fortemente contraria al provvedimento, perché dietro questo prestito ponte, concesso con garanzie da parte dello Stato, si potrebbe nascondere
una ricapitalizzazione della compagnia. Il prestito viene concesso senza il beneficio della preventiva escussione da parte degli eventuali creditori. Ciò significa che nell'ipotesi, peraltro non improbabile, in cui Alitalia non fosse nella disponibilità di restituire questo prestito, il creditore banca - secondo quanto affermato dal presidente Cimoli sarebbero sei o sette le banche interessate a concedere il prestito, tra cui Banca Intesa, Deutsche Bank, Unicredit, una banca spagnola e l'azionista della Banca nazionale del lavoro - si rivolgerà direttamente allo Stato, che oltre tutto non è neppure considerato come creditore privilegiato. Pertanto i crediti dello Stato nei confronti di Alitalia potranno essere soddisfatti soltanto dopo tutti gli altri creditori; peraltro, proprio su questo aspetto, la Lega ha presentato diverse proposte emendative.
Inoltre, il prestito ponte viene concesso senza essere stato preceduto dalla presentazione di un piano industriale serio, che deve affrontare il problema degli esuberi. Anche la commissaria europea De Palacio ha precisato che la compagnia di bandiera dovrà operare tagli al personale e soprattutto dovrà chiarire la questione dell'aeroporto di Malpensa, circa il proprio futuro quale hub di riferimento di Alitalia, tenuto conto - come hanno già ricordato molti miei colleghi - che il 70 per cento dei biglietti viene venduto in Lombardia, mentre la compagnia è localizzata prevalentemente nella regione Lazio, dove si trova l'aeroporto di Fiumicino.
Ecco quindi che le nostre critiche sono motivate proprio da questo aiuto, una sorta di salvataggio garantito dallo Stato - dal Tesoro, in questo caso, che è l'azionista di maggioranza della compagnia aerea, con oltre il 62 per cento del capitale -, il cui rimborso dovrà essere effettuato nel tempo massimo di dodici mesi, quindi entro il 31 ottobre 2005.
È stato ricordato che questo prestito ha ottenuto nei giorni scorsi il via libera da Bruxelles, poiché è stato considerato come una forma di aiuto per favorire il salvataggio dell'azienda e ciò implica il divieto di utilizzare il prestito per lo sviluppo.
Pertanto, fino al 31 ottobre 2005, Alitalia dovrà adottare solo misure finalizzate al risanamento, mentre gli investimenti sulla flotta e l'apertura di nuove rotte devono essere rimandati necessariamente al 2006.
Queste sono le motivazioni, in parte tecniche, in parte politiche, che ci inducono ad esprimere un giudizio fortemente critico sul provvedimento e contrario a tali forme di aiuto, di cui già l'onorevole Pagliarini ha parlato nel suo lungo intervento. Tra 1990 ed il 2003 sono stati concessi 3 mila 92 milioni di euro per gratificare questa azienda e, tutte le volte, a bilancio consolidato, si diceva che sarebbe stato necessario operare la famosa ristrutturazione aziendale.
Mai nessuno ci pensava e tutti gli anni si andava avanti, con aumenti di capitale e regalie, alla faccia dei cittadini onesti che pagano le tasse, in un modo sconsiderato e senza alcuna avvedutezza per il futuro di questa azienda.
Ribadiamo, ancora una volta, la nostra posizione critica nei confronti di questo provvedimento e vorrei riallacciarmi ai concetti di responsabilità (a noi molto caro, ma penso a tutti voi) e di sussidiarietà, nonché al federalismo. Quando questa benedetta riforma federale giungerà all'esame di quest'aula, sicuramente avremo modo di svolgere alcune considerazioni che riguardano specificatamente anche questo caso.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Perrotta. Ne ha facoltà.
ALDO PERROTTA. Signor Presidente, piuttosto che svolgere un'analisi sull'Alitalia, vorrei fornire alcune risposte ai colleghi del centrosinistra, perché ne ho sentite di cotte e di crude.
So che voterete (almeno una parte di voi) il provvedimento, ma non potete addebitare a noi il crack dell'Alitalia. Dove eravate, dove erano i vostri partiti quando i consiglieri di amministrazione ed i presidenti, nominati dal centrosinistra, cedevano rotte attive ad altre società? Dove eravate quando i consiglieri di ammini
strazione fornivano centinaia e centinaia di miliardi di consulenze ed incarichi all'esterno? Dove eravate quando gli stessi consiglieri d'amministrazione si aumentavano benefit, stipendi ed incarichi? Dove eravate fra il 1999 ed il 2001, quando si assumevano 4.700 persone, causando un deficit di 2.500 miliardi? Delle 4.700 persone, 800 sono state assunte come dirigenti!
In Alitalia vi è il più alto rapporto al mondo fra dirigenti e dipendenti (una sola nazione è superiore, la Corea del nord!). Ma io lo so dove eravate! Eravate in aula ad approvare decreti omnibus, volti a favorire quelle ricapitalizzazioni che sono state causa di questi sprechi, avallando il deficit di Alitalia!
Vorrei adesso rivolgermi ai colleghi della Lega: oggi è difficile sostenere tutto ciò, ma cosa dovremmo fare? Licenziarli?
Noi siamo lo Stato, abbiamo il diritto e il dovere di sopperire anche alle mancanze dei precedenti Governi. Abbiamo il diritto e il dovere di sobbarcarci questo onere attraverso una finanza creativa, come quella posta in atto dal ministro e sperando che i sindacati, questa volta, non si pongano in una posizione che potrebbe far cadere nel baratro Alitalia.
Dunque, spero che si stia lavorando tutti insieme per garantire un futuro e, soprattutto, un decente posto di lavoro ai dipendenti di Alitalia (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.
PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, ritengo che la presentazione di questo decreto-legge e la previsione del cosiddetto prestito-ponte, realizzata con la garanzia dello Stato, da una parte, sia un atto dovuto per venire incontro alla necessità di salvaguardare la compagnia di bandiera ma, dall'altra, sia anche l'espressione più evidente del fallimento delle politiche aziendali della precedente amministrazione manageriale che, nel corso di questi anni, ha commesso errori sia nella gestione delle previsioni di crescita sia nella capacità di difendere il mercato di Alitalia a livello nazionale ed internazionale.
Vi è stata una crescita di costi senza regole e senza capacità di previsione che poi si voleva far pagare ai dipendenti di Alitalia, tentando la facile scorciatoia per cui, da una parte, i dirigenti sbagliano le previsioni economiche e si allargano fuori misura con consulenze di milioni di euro e, dall'altra, quando ci si accorge che la compagnia non è più in grado di sopportare questa spesa incontrollata, si adotta la scelta apparentemente più rigorosa, vale a dire quella di tagliare 2.500 posti di lavoro e poi 4 mila.
Abbiamo fatto bene a sostenere l'iniziativa sindacale, sia confederale sia di base. Proprio l'altro giorno, a Roma, c'è stata un'importante assemblea della CUB trasporti dei lavoratori di Alitalia alla presenza di diversi parlamentari di maggioranza e di opposizione, oltre che di rappresentanti degli enti locali e delle regioni, nella quale è emerso con forza, in ordine a questo prestito-ponte, il fatto che non è un caso se questa azienda si trova nelle condizioni in cui l'hanno posta le politiche sbagliate di questi anni.
Politiche sbagliate che hanno puntato sulla precarietà dei rapporti di lavoro, togliendo diritti e dignità ai dipendenti di Alitalia, mettendoli in condizioni di supersfruttamento e caricando su di loro i costi di una scelta politica liberista selvaggia che, da una parte, toglieva diritti e, dall'altra, peggiorava il servizio aereo.
Infatti, quando si attuano politiche liberiste, non solo ci rimettono i lavoratori, ma vengono meno anche la sicurezza e la qualità del trasporto aereo: così, da un lato, sono aumentate le tariffe e, dall'altro, sono diminuiti gli standard di sicurezza e di qualità.
La scelta di Alitalia è una scelta politica del Governo, come si evidenzia anche dall'ostruzionismo, in parte strumentale, posto in essere dal gruppo della Lega Nord Federazione Padana per ragioni legate alla cosiddetta devolution, ma che non a caso si indirizza proprio al decreto in oggetto, perché l'esecutivo, nel corso di questi mesi,
ha sempre deciso di peggiorare le condizioni della compagnia di bandiera, in particolare colpendo l'aeroporto di Fiumicino.
A tale azione è sottintesa, infatti, l'affermazione di una battaglia contro Roma e contro lo sviluppo economico-industriale di questa città, di cui il sistema aeroportuale di Fiumicino è ovviamente uno dei cardini.
Il gruppo Misto-Verdi-L'Ulivo esprime un giudizio positivo su questo maxi prestito; vogliamo sgombrare il campo, come hanno già detto anche altri colleghi dell'opposizione, dal sospetto e ci assumiamo la responsabilità di sostenere una scelta obbligata, ottenuta grazie alla mobilitazione dei lavoratori e delle loro organizzazione sindacali. L'Alitalia non poteva essere abbandonata a se stessa, dopo gli errori compiuti dal management e dal Governo. Si è reso necessario allora un intervento pubblico e si deve avere il coraggio di dirlo: in alcuni casi l'intervento pubblico è necessario!
PIER PAOLO CENTO. Non deve essere necessariamente un intervento di stampo statalista, ma occorre comunque porre rimedio agli errori gravi di gestione fatti nelle politiche di privatizzazione e di liberismo selvaggio. L'intervento pubblico, operato dallo Stato con la garanzia sul maxi prestito nei confronti di Alitalia incontra quindi il nostro giudizio positivo, ma dobbiamo altresì ricordare al Governo di non nascondere la testa nella sabbia e di non fingere di non vedere quali sono i problemi che permangono, anche dopo che l'aula avrà approvato questo decreto-legge a larga maggioranza.
I problemi rimangono nell'affrontare strategicamente la questione dell'Altalia e la necessità di un suo rilancio. Tale rilancio, per il gruppo Misto-Verdi-L'Ulivo, deve avvenire assicurando innanzitutto che nessun posto di lavoro sarà toccato; nessun lavoratore di Alitalia deve essere licenziato. Nessuno pensi nei prossimi mesi, dopo avere caricato i costi dell'intervento pubblico su tutti cittadini italiani, di fare come in passato è stato fatto con la FIAT, socializzando le perdite e poi, una volta intravisti la ripresa e i profitti, scaricando i costi sui lavoratori. Si è proceduto, infatti, verso politiche di taglio di posti di lavoro e di esuberi, parola peraltro inaccettabile: non si tagliano solo i lavoratori ma anche le storie personali, i loro diritti e i loro bisogni come se fossero semplici numeri, senza tener conto del loro diritto al reddito e al posto di lavoro.
Lo diciamo anche a Cimoli, perché gli effetti dei tagli operati nelle ferrovie esplicano anche oggi le loro conseguenze, in un servizio di trasporto ferroviario che ogni giorno diventa qualitativamente sempre meno efficiente e meno accessibile a causa dei suoi costi. Le linee locali vengono tagliate, tanto che in questo paese, ad eccezione della tratta Roma-Milano, è difficile viaggiare in treno.
Lo diciamo, quindi, a Cimoli e al Governo: nessuno pensi di chiedere il nostro consenso che, peraltro, daremo coerentemente al decreto-legge sul maxi prestito per salvare l'Alitalia, se una volta presi i soldi si procederà a tagliare i posti di lavoro.
Se necessario saremo, come abbiamo fatto in questi mesi, a fianco dei lavoratori di Alitalia, per garantire che nessuna ristrutturazione selvaggia possa avvenire senza il loro consenso, contro i loro diritti e la garanzia del posto di lavoro. Alitalia può e deve essere salvata, Alitalia deve voltare pagina, mettendo alle spalle la stagione della privatizzazione e delle politiche liberiste selvagge, Alitalia può e deve recuperare la sua funzione strategica anche nello sviluppo economico di Roma e del Lazio. È positivo che su questo tema vi sia il concorso di tutte le istituzioni locali, non solo di quelle governate dal centrosinistra ma anche della regione, governata dal centrodestra.
Su tutto ciò continueremo a vigilare, affinché gli impegni che chiediamo al Governo siano mantenuti. Si tratta di avere il coraggio di porre alle nostre spalle, a partire da Alitalia, le politiche di
privatizzazione e di liberismo selvaggio, e di avere il coraggio di rivendicare la necessità che in alcuni settori strategici, come accade nel resto d'Europa, vi sia un ruolo importante di controllo, di regolamentazione e di garanzia di sicurezza e di qualità del servizio da parte del sistema pubblico.
Sono queste le ragioni che ci portano ad esprimere un giudizio positivo sul disegno di legge di conversione in esame e che ispirano la nostra battaglia parlamentare affinché il decreto-legge non venga stravolto dagli emendamenti della Lega, che da una parte sono strumentali e dall'altra hanno il chiaro obiettivo di penalizzare Alitalia, e con essa Roma e migliaia di lavoratori di questa città e della sua regione (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Buontempo. Ne ha facoltà.
TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, ritengo inquietante il fatto che siano proprio i lavoratori meno sindacalizzati, che per anni hanno protestato per la cattiva gestione di Alitalia e sono rimasti inascoltati dai vari consigli di amministrazione e dalle stesse forze politiche, a pagare il prezzo più alto di fronte all'aggravarsi della crisi. Ritengo che gli eventuali licenziamenti dovrebbero colpire i dirigenti di Alitalia, piuttosto che i lavoratori, che quando protestavano non venivano ascoltati, con la complicità dei sindacati.
È vero o non è vero che Alitalia, dal 1998 al 2001, ha assunto oltre 4 mila dipendenti? Dov'erano questi cantastorie che sanno tutto sul futuro di Alitalia quando un'azienda in crisi, che vendeva rotte importanti ad altre compagnie, assumeva oltre 4 mila dipendenti, mettendo a rischio il posto di coloro che già vi lavoravano?
Non ho sentito parlare di questo. Oggi discutiamo di quella che è forse l'ultima opportunità per salvare Alitalia, e dovremmo concentrarci su questo interrogativo: è possibile o meno salvare? Non occorreva il genio Cimoli per affermare che sono necessari i licenziamenti; non occorreva questo grande manager di Stato per prendere un prestito, senza presentare, a tutt'oggi, un piano industriale credibile, affinché tale prestito non si trasformi nell'ulteriore anticamera di falsi risanamenti, destinati a portare alla vendita di Alitalia, che, guarda caso, non piace a questo Parlamento, ma piace ed è gradita all'Air France e alle altre compagnie: Alitalia, infatti, è ancora appetibile.
Ho assistito ad una vicenda analoga quando si è messa in ginocchio la Centrale del latte di Roma, che non produceva derivati e, in pieno agosto, assumeva 200 autisti, mentre il mese dopo affidava la distribuzione del prodotto a ditte esterne. Messa definitivamente in ginocchio, l'azienda è stata, quindi, svenduta; a me sembra che, per Alitalia, si stia verificando una situazione analoga. Dunque, onorevole Cento, come ha fatto Alleanza nazionale e come ha ricordato l'onorevole Pezzella (che si è impegnato su tale fronte), dovremmo cercare di estendere, nel caso malaugurato di crisi definitiva, la cassa integrazione guadagni a tale comparto. Altrimenti, parliamo al vento, abbaiamo alla luna!
Prima, comunque, dobbiamo trovare la maniera per estendere, dicevo, la cassa integrazione; bisognerebbe applicare la norma sugli esuberi. Dal disastro causato da chi ha diretto Alitalia, infatti, non deve seguire che a pagare siano i lavoratori, vittime di quella cattiva e pessima gestione.
Le situazioni economiche di queste società versavano dal 2000, prima delle 4 mila assunzioni, in condizioni di difficoltà incredibile e furono tentate varie concentrazioni con compagnie straniere. È vero che l'11 settembre 2001 ha dato un colpo mortale a tutto il comparto aereo, come è stato ricordato; ha colpito la Swissair ed altre compagnie nel mondo. Ma noi dobbiamo riflettere su come tali società preparavano i bilanci. Il risultato del bilancio del 2002 si era chiuso in attivo, ma in quell'anno l'attivo era frutto non già di
risultati operativi della compagnia, bensì di 567 milioni di euro ricavati da: procedimento arbitrale KLM; vendita comparto Sigma; vendita partecipazione Galileo e Sigma on line; riduzione dei costi connessi alla radiazione della flotta; vendita della sede della Magliana, dove la compagnia, attualmente, continua ad occupare l'edificio pagando un canone molto alto.
La compagnia ha venduto la sede di cui era proprietaria: cari colleghi della sinistra, è un'altra inquietante operazione del comune di Roma. Infatti, quando Alitalia chiese di costruire sulla collina della Magliana, si introdussero deroghe alle norme urbanistiche ed ambientali perché si trattava della compagnia di bandiera. Alitalia ha poi venduto questo suo complesso per uffici, sicché attualmente paga un affitto altissimo per rimanervi. Ciò anche se gli uffici potrebbero essere tranquillamente trasferiti a Fiumicino, con un enorme risparmio da parte della compagnia.
Vi era anche la plusvalenza derivante dalla vendita di aeromobili; mi riferisco agli aerei venduti nel 2000 e contestualmente presi in leasing, contratto per il quale si paga il canone. Dunque, questa compagnia vende aerei e poi li utilizza pagando il leasing. Penso anche all'assorbimento della quota eccedente dei fondi costituiti nel 2001, a fronte delle sanzioni del garante della concorrenza; alla quota relativa alla vittoria legale nel fallimento della Foer; alle plusvalenze derivanti dalla vendita del modello B 747 detto «Jumbo», e via dicendo.
Chiaramente, i 350 milioni di euro sono derivati da due fatti, unici e irripetibili, cioè dai proventi derivanti dalle vicende KLM e Foer. Il nodo della questione è relativo alla riorganizzazione in toto della compagnia aerea, correggendo gli errori gestionali dell'organizzazione, realizzati negli anni precedenti dagli amministratori nominati dalle forze politiche che governavano in quel periodo.
Non possiamo accettare, oggi, un'ipotesi di risanamento che preveda massicci licenziamenti di personale, anche perché un accurato studio sul costo del lavoro nell'ambito dell'azienda dimostra in maniera inequivocabile, comparando la produttività del personale con quella di altre compagnie aeree, che l'Alitalia si trova in condizioni di vantaggio, essendo il costo del lavoro di tale compagnia il più basso in assoluto fra quelle prese a riferimento.
Prima l'onorevole Pezzella, che ha seguito questa vicenda con grande cura, a cui ho mostrato delle tabelle perché egli più esperto di me, potesse leggerle, rilevava quante situazioni positive abbia l'Alitalia, di cui adesso darò qualche cenno.
Se l'Alitalia, nonostante un miglior rapporto tra numero di dipendenti, di veicoli e di passeggeri e nonostante un costo inferiore nel rapporto passeggeri-personale, ingigantiva il suo debito, la responsabilità era dei dirigenti, dei presidenti, oppure di coloro che non erano capaci (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale) o non volevano, o erano venduti ad altri quando mettevano in ginocchio la compagnia aerea.
Al di là delle chiacchiere, sfido anche alcuni colleghi del centrodestra a dimostrare che i costi dell'Alitalia per il personale fossero superiori a quelli di altre compagnie. Anzi, colleghi della Lega, il costo del personale dell'Alitalia è del 22 per 100, mentre quello dell'Air France è di circa il 30 per cento! È una menzogna il costo del personale, perché non si vuole attribuire la responsabilità a coloro che ce l'avevano sul serio!
ALESSANDRO CÈ. E la produttività quant'è?
TEODORO BUONTEMPO. Queste considerazioni fanno sorgere il dubbio se sia effettivamente giusto e razionale rinunciare, cosa che è stata fatta, a rotte primarie che garantivano indici di riempimento molto elevati, piuttosto che trovare il giusto punto di equilibrio su altre rotte, invece deficitarie.
Gli attuali amministratori, quindi, dovrebbero tentare un risanamento, riferendosi principalmente ad una riorganizzazione interna; e l'Alitalia dovrebbe spiegare come mai l'Italia non abbia un punto di approdo in Cina, come mai non abbia
la possibilità di offrire questo tipo di trasporto. Ciò che cosa significa? Significa che questo tipo di trasporto lo offrono le compagnie di altri paesi europei, e quindi i turisti cinesi si spostano verso la Francia, l'Inghilterra, l'Irlanda, il Belgio, mentre l'Italia sta semplicemente a guardare!
Ecco i danni, onorevoli colleghi, che potevano essere visti anche dagli ultimi presidenti, i quali avrebbero potuto denunciare il fatto che la compagnia da essi presieduta rinunciava alla tratta Cina-Italia. Mentre il Governo italiano rivolgeva alla Cina e ad questi paesi incentivi, iniziative, promozioni, la nostra compagnia di bandiera danneggiava l'economia non solo dell'Alitalia, ma anche del nostro paese!
Però, a pagare il fio dovrebbero essere i dipendenti, nonostante costino di meno, nonostante siano in numero inferiore a quelli delle altre compagnie aeree e nonostante il servizio che hanno assicurato: tutte le tabelle europee dimostrano una maggiore produttività dei dipendenti Alitalia! Ciò nonostante, la si è lasciata morire!
Cari colleghi della Lega, premesso che la politica è tale indipendentemente dai rapporti personali e dalla stima reciproca, mi pongo i seguenti interrogativi: la Lega è contraria soltanto per gli esuberi di personale (che i numeri non comprovano) o, invece, l'intenzione è quella di mettere definitivamente in ginocchio Alitalia a vantaggio di una nuova compagnia aerea del nord, della Padania?
Si vuole distruggere Alitalia solo perché altri hanno amministrato male? Questo Governo vuole rendersi responsabile del licenziamento di migliaia di persone, le quali hanno invano bussato alle porte della politica, firmato petizioni, scritto lettere, organizzato manifestazioni? Tutti zitti, a cominciare dai sindacati, che erano complici della gestione fallimentare!
Ma se Alitalia fallisse, quale vantaggio ne trarrebbe il nord?
Qualcuno ha affermato che esiste il trasversalismo. Figuriamoci! Io allora dico che esiste un trasversalismo confessabile ed uno inconfessabile: il nostro è confessabile, fatto alla luce del sole; al contrario, potrebbe esservi, anche in quest'aula, un trasversalismo che vuole definitivamente affossare Alitalia, magari a vantaggio di «Alipadania» o di un'altra compagnia del nord!
Onorevole Presidente, ritengo che sia stia compiendo un'operazione politica e che Cimoli ci debba rassicurare.
PRESIDENTE. Onorevole Buontempo...
TEODORO BUONTEMPO. Non è possibile che non ci si dia assicurazione - entro settembre - sul piano industriale. In caso contrario, avrebbero ragione quelli che, anche nel mio partito, ritenevano che un commissariamento sarebbe stato da preferire ad un «uomo dalle sette stelle» arrivato soltanto per portare il disastro alle estreme conseguenze e per procedere ai licenziamenti!
Alitalia è sana: dobbiamo soltanto decapitare quella classe dirigente che ha fatto fare affari non alla compagnia per la quale lavorava, ma alle compagnie straniere concorrenti! Bisogna salvare Alitalia e bisogna salvare i posti di lavoro: in questo modo salveremo anche la credibilità del nostro paese!
Il fatto che si pensi di smembrare Alitalia per regalarne l'80 per cento ad Air France - che pazza non è - indica, evidentemente, che Alitalia ha un mercato. Allora, dicano chiaramente, quelli che la vogliono affossare, quali collegamenti hanno intrecciato, e con quale potenza finanziaria e bancaria europea, allo scopo di uccidere la nostra compagnia e di fare gli interessi di finanziarie estranee al nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.
MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, sebbene non possa vantare l'eloquenza e la foga del collega amico che mi ha preceduto, desidererei svolgere alcune considerazioni che ritengo in parte concrete ed in parte documentate, pur rendendomi
conto che intervenire oggi è visto male, anche per il tempo che impegniamo. Il problema, però, è importante. Ce ne accorgiamo tutti i giorni perché siamo in molti ad avere la necessità di viaggiare servendoci della nostra compagnia di bandiera.
È inutile fare, qui, la storia di Alitalia e richiamare colpe antiche, irresponsabilità e sprechi. Oggi, 30 luglio 2004, dobbiamo fare il punto della situazione e dobbiamo seriamente cercare di darci un metodo.
Innanzitutto, ho apprezzato molte affermazioni dei colleghi della Lega, ma non tutte. Penso che sia stata fatta con una certa leggerezza, ad esempio, l'affermazione secondo la quale le cause dei «buchi» sarebbero da ricercare, in maniera preferenziale, in certi territori. In altre parole, soltanto il centro-sud dell'Italia determinerebbe «buchi» nella gestione delle imprese. Non è così! È già stato citato il caso della FIAT, ma ricordo, purtroppo, anche quello della Parmalat.
Quindi, non generalizziamo e non facciamo demagogia. Ho apprezzato gran parte di ciò che ha affermato il collega Dario Galli, del gruppo della Lega Nord Federazione Padana, in merito a Malpensa. Si tratta di una grande responsabilità sia del management Alitalia sia della politica della sinistra, perché tale scelta fu compiuta in vista di un accordo europeo con KLM e che a Malpensa avrebbe avuto il suo logico punto di equilibrio; infatti, avrebbe raccolto non solo il mercato italiano ma anche quello del centro Europa, mentre Roma sarebbe rimasta decentrata. Quindi, fu compiuta una scelta strategica non sbagliata, ma fallimentare, soprattutto perché la British Airways riuscì a strappare l'accordo tra KLM ed Alitalia, accordo che Alitalia non riuscì ad osservare completamente, perché a livello europeo (e in quel momento comandava la sinistra) fu vietato ad Alitalia di capitalizzare nel momento giusto. Invece, caro amico Buontempo, sarebbe stato possibile comprare quegli aerei, ma l'Unione europea, per cinque anni, ha impedito ad Alitalia di procedere ad acquisti strategici ed importanti. I nodi vengono al pettine.
È, invece, verissimo ciò che ha affermato precedentemente il collega Buontempo in merito alle responsabilità enormi di tante dirigenze dell'Alitalia politicizzate che si sono susseguite nel tempo, che hanno fatto moltissimi sprechi e che hanno fatto moltiplicare i dipendenti. Tuttavia, colleghi, non generalizziamo! Oggi, un giovane assunto da Alitalia Team come assistente di volo prende uno stipendio da fame (poco superiore ai mille euro), mentre i nostri piloti, in Alitalia, hanno un trattamento economico superiore di oltre il 30 per cento alle primarie compagnie europee. Questi sono stati gli errori macroscopici ai quali occorre porre rimedio! Vi sono settori di Alitalia che non producono e necessità assolute cui bisogna subito far fronte, altrimenti avremo una flotta a medio raggio MD80 ed un numero di assistenti di volo superiore a quello di tutte le altre compagnie europee su aviogetti della stessa classe! È uno spreco di personale! Bisogna arrivare a riduzioni obiettive, perché quei dipendenti costituiscono un costo esagerato ed inutile!
Inoltre, va detto con forza (e in questo caso hanno ragione i colleghi della Lega Nord Federazione Padana, ma non è necessario appartenere a quel gruppo parlamentare per dirlo) che la compagnia Alitalia è cresciuta nel Lazio e che gran parte dei suoi dipendenti proviene da questa regione, sebbene sia una compagnia nazionale. Io, deputato del nord, mi lamento di questo, poiché una compagnia nazionale dovrebbe assumere lavoratori provenienti dall'intero territorio nazionale, e non solo dal Lazio (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana). Ciò ha comportato errori e costi incredibili nella gestione di Malpensa, che non è mai «decollata».
Ora, ci troviamo di fronte a due possibilità: concedere o meno questo prestito-ponte. Ai colleghi della Lega Nord Federazione Padana ricordo che in situazioni molto difficili non si può giudicare se una scelta sia giusta o sbagliata. Ricordo che il
13 giugno 2002 la Lega Nord Federazione Padana ha espresso un voto favorevole sul decreto-legge con il quale sono stati concessi ad Alitalia 893 milioni di euro di aumento di capitale (vi sono le dichiarazioni della Lega Nord Federazione Padana). L'articolo 3 di quel decreto-legge recitava: «Al fine di favorire il processo di ricapitalizzazione funzionale al raggiungimento degli obiettivi previsti dal piano biennale 2002-2003, il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato a sottoscrivere nel 2002 l'aumento di capitale di Alitalia Spa nella misura massima di 893,29 milioni di euro in aggiunta a quanto previsto dall'articolo 1». Quindi, chi è senza peccato scagli la prima pietra! In questo caso, nessuno ha peccato. Oggi, dobbiamo decidere se concedere o non concedere questo prestito-ponte. Ma non possiamo non farlo! Se non procediamo con questa capitalizzazione, la compagnia morirà, non esisterà più, i beni patrimoniali avranno un valore pari a zero euro e le nostre linee aeree sarebbero prese dalla concorrenza estera.
Il problema è creare le condizioni per realizzare questo aumento di capitale e porre ad Alitalia obblighi in forza dei quali si realizza questo prestito-ponte. L'obbligo si chiama piano industriale.
Purtroppo, ad oggi, questo piano industriale sostanzialmente non lo conosce ancora nessuno, se non si pensa ad una divisione all'interno di Alitalia, forse in diverse società, e a risparmi operativi. La condizione che chiedo al mio Governo per potere dire sì - e diremo sì - a questo provvedimento di oggi è di valutare il piano industriale prima di firmare la fideiussione del prestito-ponte - questo, in buona sostanza, è il punto fondamentale della decisione che dobbiamo prendere oggi - , in modo da esser sicuri che questo piano aziendale in primo luogo funzioni, in secondo luogo, che stia in piedi dal punto di vista economico e in terzo luogo, che sia accettato anche a costo di sacrifici. Infatti, non serve a niente fare un piano industriale se il giorno dopo i dipendenti Alitalia entrano in sciopero; non serve a niente fare un piano aziendale se poi non lo si può rispettare. Allora sì che forse è meglio prendere gli aerei in leasing anziché comprarli! Perché è il sistema più logico per spendere di meno, per poter mantenere determinate rotte. Questi sono i punti fondamentali. Quindi, il nostro, oggi, è un «sì» condizionato - almeno a mio avviso - al Governo. Noi in Parlamento diremo «sì» a questo prestito-ponte, ma solo se il Governo si impegnerà ad avere garanzie da Alitalia e a non concedere fideiussioni, se queste garanzie non ci saranno. Altrimenti, sarebbe come buttare acqua in un secchio bucato: solo se prima si chiudono i buchi o ci si impegna a chiudere i buchi all'interno del secchio è giusto dare questi fondi.
Mi avvio alla conclusione. Io penso che noi siamo costretti ad approvare questo decreto-legge, assolutamente senza entusiasmo, ma penso anche che si debba continuare a monitorare, dal punto di vista politico, dal punto di vista amministrativo, ma soprattutto dal punto di vista tecnico-economico questo piano aziendale, perché altrimenti avremmo fatto del male dando oggi ulteriori soldi ad un creditore che non è capace di pagare. Certo, Alitalia è anche un patrimonio, composto da persone, da dipendenti, da migliaia di famiglie, dal valore degli aeromobili, dalle rotte, dalle strutture e, per questo, ad Alitalia chiediamo di avere più coraggio. Qui salta di nuovo fuori il deputato del nord che dice che i mercati hanno la loro logica. La logica è che l'Italia deve trovare assolutamente dei collegamenti con altre primarie compagnie europee, altrimenti con i prezzi non ci stiamo dentro. Il problema è che voi fate una società quando avete in mano il 51 per cento, ma se avete in mano il 49 per cento non contate nulla. Il dramma è che se ci alleiamo con Air France noi conteremo un terzo di Air France e, quindi, saremo soci di minoranza. Allora, nel negoziare qualsiasi tipo di accordo, secondo me, vanno valutate bene le clausole internazionali, altrimenti è verissimo che Malpensa perderebbe ogni credibilità, che Fiumicino diventerebbe assolutamente marginale. Però, amici miei, questa è già la situazione
di oggi. Se oggi voi dovete fare voli intercontinentali, nella gran parte dei casi, dovete partire da Francoforte oppure da Parigi; ormai non si parte più dall'Italia, se non per alcune rotte. Quindi, questa è già la realtà; bisogna rendersene conto. È inutile dire che ho tanti bei pennacchi e tanti bei cappelli se poi, in realtà, ho «le pezze al sedere»! Diciamocele pure, queste cose, in Parlamento!
Il nostro «sì» a questo prestito-ponte è condizionato alla serietà del Governo di garantirci non tanto che questi soldi saranno spesi bene - questo dovrà farlo Alitalia - quanto che avrà in mano un piano industriale credibile e valido, costi quel che costi! Agli amici della sinistra che oggi, da quel che mi pare di capire, voteranno questo decreto-legge, chiedo un impegno: che nessuno di noi faccia poi demagogia quando si dirà che per salvare Alitalia bisognerà fare dei sacrifici. Li dovranno fare i dipendenti, gli utenti, le diverse società fornitrici di Alitalia; li dovranno fare soprattutto i dirigenti, che effettivamente hanno le più grosse responsabilità, anche per gli importi con cui sono stati pagati. E li dovrà forse fare ciascuno di noi, se qualcuno ci verrà a chiedere di essere aiutato per entrare in Alitalia. Non possiamo più permettercelo! Dobbiamo avere il coraggio di dircelo con molta serietà. Se l'Italia è un paese serio, deve dimostrare rigore, se l'Italia vuole uscire dalla crisi bisogna uscirne con il rigore. Non c'è altra strada. La demagogia non paga in nessuna parte del territorio del paese, la demagogia in economia non paga mai (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale e di deputati del gruppo di Forza Italia)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Luciano Dussin. Ne ha facoltà.
LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente...
PRESIDENTE. Colleghi della Lega Nord Federazione Padana, sta parlando un vostro collega. Vorrei pregarvi di accomodarvi cortesemente fuori dall'aula, se dovete parlare, come si fa nel Parlamento italiano. Così non è possibile! Vi prego. Io capisco che avete un problema politico, lo abbiamo tutti, però vorrei pregarvi di rispettare il Parlamento e soprattutto il vostro collega che sta parlando (Commenti dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).
LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente, desidero iniziare il mio intervento ringraziando innanzitutto l'onorevole Pagliarini per la lucida analisi che ha svolto poche ore fa sulla situazione che ci vede coinvolti in questa discussione.
L'Alitalia, ad avviso del nostro gruppo, deve adeguarsi al nuovo corso dell'Italia nell'Unione europea, a seguito dell'introduzione dell'euro. È toccato dapprima allo Stato mettere mano al disordine in cui aveva vissuto negli anni scorsi e che ha generato il terzo debito pubblico mondiale. Esso è stato costretto, visto che ormai i nostri bilanci sono controllati anche da Bruxelles, a non emettere a caso, o quando interessava, buoni del Tesoro senza controlli, a predisporre ed approvare i propri bilanci senza commettere imbrogli, come ormai accadeva da decenni, e si è adeguato anche a non poter più svalutare la nostra moneta, la lira (che adesso non c'è più), a seconda delle situazioni che si presentavano di volta in volta e che necessitavano di questi artifizi e correttivi. Proprio perché le cose sono cambiate, lo Stato si è dovuto adeguare.
Da ultimo, abbiamo visto che anche altri settori del paese, che ritenevano che la necessità di compiere un riordino di questo tipo non dovesse mai arrivare, si sono dovuti scontrare con la nuova realtà. Mi riferisco, ad esempio, al mondo del calcio, il quale era abituato a spendere e spandere emettendo titoli azionari non coperti ed acquistando calciatori per decine di miliardi di vecchie lire, senza disporre dell'avallo di bilanci che comprovassero la possibilità di effettuare tali acquisti. Il calcio, insomma, navigava come la cosiddetta prima Repubblica: si spendeva, ma non si sapeva dove si sarebbe arrivati; o meglio, si sapeva dove si sarebbe andati a finire, ma anche se i conti
non quadravano, si continuava a navigare a vista. Vediamo, anche in questi giorni, che qualcosa sta cambiando, perché si sta adeguando anche il mondo del calcio.
Lo stesso discorso vale per l'Alitalia. La situazione dell'Alitalia, nel contesto della nuova Unione europea e dell'adesione del nostro paese alla nuova moneta unica, non consente più di adottare le politiche industriali che sono state finora condotte. Allora, accade che anche altri soggetti, oltre all'Alitalia, devono adeguarsi.
Ad esempio, non esiste più la possibilità, anche per la compagnia di bandiera, di usufruire di quelle forme di intervento un po' «drogate» che vedevano aziende dello Stato vendute - o meglio, svendute - ai soliti noti, vale a dire alle solite quattro o cinque famiglie che comandano in questo paese, per essere successivamente riacquistate o collocate sui mercati, imbrogliando così milioni di cittadini, i quali erano costretti - probabilmente perché si abbassavano volutamente gli interessi sui buoni del Tesoro -, a dirottare i loro risparmi in Borsa e ad acquistare queste aziende decotte.
I risparmi dei cittadini salvavano queste aziende per modo di dire, poiché dopo sei mesi esse battevano ancora cassa e si trovavano con un pugno di mosche in mano! Pertanto, non è possibile pensare di risolvere il problema dell'Alitalia attraverso gli artifizi ed i giochi che hanno visto naufragare l'economia di questo paese.
Abbiamo sempre sostenuto la necessità di vivere in un contesto di libero mercato. Io, ahimè, provengo da una regione, il Veneto (Una voce dai banchi dei deputati dell'opposizione: «Tornaci!»)...
LUCIANO DUSSIN. Posso ritornarci, se voglio: non ho bisogno che qualcuno mi ci mandi!
Ricordo che, nella mia regione, alcuni industriali avevano dato vita ad una compagnia aerea privata, la Alpi Eagles, ma è stata «cannibalizzata» e costretta quasi al fallimento perché non riusciva a tenere testa alla compagnia di bandiera, l'Alitalia, che lavorava sottocosto.
Non viviamo neanche in un paese moderno, che rispetta la Costituzione, in cui la libera impresa è garantita assieme alla proprietà privata. Infatti, se a fianco delle iniziative dei privati, poniamo lo Stato, che può permettersi di tenere in piedi aziende che costano perché hanno bilanci drogati e che fanno chiudere chi tenta di arrangiarsi con fondi propri, senza intaccare, con la fiscalità, le tasche dei cittadini contribuenti, anche ciò deve rappresentare un motivo di riflessione. Se continuiamo così, ma non è neanche più possibile, possiamo affermare che la nostra è un'economia «sovietizzata» e non vi è libera impresa privata che possa tenere testa a concorrenze che arrivano da industrie parastatali, decotte, che lavorano sottocosto. Mi sembra sia un'evidenza molto chiara.
Ciò, tra l'altro, è un problema che esce anche dai confini del nostro paese, perché tali concorrenze si registrano a livello comunitario. Mi vengono in mente le tariffe stracciate proposte da compagnie straniere, quali, ad esempio, le irlandesi, che fanno chiudere altre compagnie. Le compagnie irlandesi non vendono biglietti a 5 euro perché sono più brave, ma perché ottengono aiuti dallo Stato, derivanti da fondi comunitari - quindi, anche nostri -, e fanno lo stesso gioco perverso che spiegavo in precedenza. Alitalia fa andar male Alpieagles come l'Irlanda fa andar male Alitalia. Perché succede ciò? Perché, purtroppo, non siamo entrati in un'Unione europea omogenea, per tassazione, per ricchezza, per costi sociali. Quando si presentano tali disparità, è logico che debba intervenire la politica. Dunque, vi è chi lavora sottocosto, chi aiuta i propri vettori, si drogano l'economia e il mercato e, quando entra la politica, l'impresa muore perché non ha certezze: oggi prende finanziamenti per aprire, domani prende contributi per chiudere. La politica non deve entrare nell'economia. Va da sé che la politica entra quando le aree, purtroppo, non sono omogenee. L'Unione europea, ahimè, ne è un esempio. Mi auguro che ciò non rovini tutto il tessuto e le conquiste sociali dei 25 paesi che ne
fanno parte, ma mettere assieme, con condizioni così diverse, Stati che devono intervenire con aiuti per cercare di equilibrare tali scompensi economici, ripeto, determina l'ingresso nell'impresa e l'impresa muore.
Ritornando all'Alitalia, che fosse tutto drogato dalla prima Repubblica, ne abbiamo avuto gli esempi pochi anni fa, quando, dirottati i buoni del tesoro nella borsa del nostro paese - probabilmente per rimanere dentro i parametri di Maastricht era necessario pagare meno gli interessi dei buoni del tesoro per diminuire la spesa pubblica -, i nostri cittadini si sono riversati in massa nella borsa e compravano ciò che vi era da comprare. Sono entrate centinaia di migliaia di miliardi di vecchie lire. I cittadini hanno acquistato anche le azioni dell'Alitalia e, mentre l'Alitalia stessa faceva «buchi» di quattro, cinque o 6 mila miliardi di vecchie lire ogni semestre, guarda caso, i titoli dell'Alitalia, in sei mesi, sono cresciuti del 60 o del 70 per cento. Qualcuno avrebbe dovuto accorgersi di tali fatti. Come al solito, sono stati i cittadini a rimetterci, chi la liquidazione e chi i pochi risparmi: basterebbe parlare con i cittadini interessati. È un sistema che non può continuare.
Abbiamo assistito, anche noi che utilizziamo molto spesso i vettori aerei, ad alcune forme di risparmio, messe in atto per dimostrare che qualcosa si stava tentando di fare, tagliando alcune spese. Primo dato emerso è che, ad esempio, nelle tratte nazionali, sparivano le bibite e vi erano solo bottiglie di acqua minerale. Non è così che si salva una compagnia aerea nazionale. Anzi, i costi restano e si tagliano i servizi. È un fatto che ha del ridicolo, se vogliamo, e che dimostra quanto sia difficile mettere mano ai veri problemi, perché vi sono resistenze sindacali, perché gli stessi dipendenti non vogliono capire che, in tal modo, minano anche il loro futuro, eccetera.
Assistiamo a situazioni analoghe, per esempio, anche nel riordino dei diversi ministeri di questo paese.
È giusto ricordare che la Casa delle libertà, con la legge finanziaria dell'anno scorso e anche con l'ultima, è riuscita a tagliare del 20 per cento (10 più 10) le spese dei ministeri; però, non riesce a mettere mano al problema degli esuberi del personale. Nessuno spera che vengano licenziati in tronco centinaia di migliaia di cittadini; però, almeno si dovrebbe prevedere che, a lungo termine, si arrivi a un blocco del turn over, perché non possiamo permetterci di avere un milione di dipendenti pubblici in più della media europea. Allora, si tagliano del 10-20 per cento le spese dei ministeri, pur sapendo che il 90 per cento delle spese complessive degli stessi è da imputare agli stipendi dei dipendenti. Si continua a sostenere il 90 per cento dei costi perché gli stipendi restano invariati e si taglia il 10 per cento dei costi, il che vuol dire tagliare le spese per la cancelleria (tanto che manca anche la carta per le fotocopie) e, alla fine, il costo rimane, ma mancano i servizi.
Allora, anche il fatto di tentare di ridimensionare, tagliare ed eliminare le bibite si scontra contro l'evidenza dei fatti: il problema è che c'è troppo personale. Lo ripeto: nessuno, neanche la Lega, pretende che vi siano chissà quanti licenziamenti, ma si chiede di proiettare in un'ottica futura (magari in cinque o in dieci anni) un riordino per riportare in equilibrio le funzioni stesse di una compagnia aerea, ossia far viaggiare gli aerei con costi accettabili e non diventare uno «stipendificio». Ricordo, infatti, che i 25-30 mila dipendenti di Alitalia, comunque, sono pagati con il prelievo fiscale che grava sul resto dei cittadini della penisola, i quali, magari, per la stragrande maggioranza, non hanno mai preso un volo Alitalia. In questo caso, dobbiamo essere rispettosi degli uni, ma soprattutto degli altri, poiché si tratta di milioni di concittadini che continuano, ogni sei mesi, a dover ripianare i costi di questi servizi.
Si tratta di costi che, inevitabilmente, rallentano anche i programmi della Casa delle libertà, che sono quelli di giungere ad una tassazione equa, che eviti che i nostri industriali e i nostri artigiani siano costretti a delocalizzare le aziende, a fuggire in mercati esteri per produrre i loro
prodotti a costi più bassi. Non è possibile che in questo paese continuino ad esserci 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici; non è più possibile creare prospettive future perché l'Alitalia continui a consumare quello che consuma. Altrimenti, saremo costretti ad accentuare il fenomeno che si sta già verificando nel nord-est del paese, dove alcune imprese, come ad esempio De Longhi e Benetton, ormai hanno già chiuso tutte le aziende nel Veneto e stanno chiudendo le fabbriche anche nel Friuli-Venezia Giulia. Vi sono attività nelle regioni a statuto speciale che comunque devono trasferirsi, nonostante i vantaggi che ci sono, perché i costi continuano ad essere troppo elevati. Una delle voci è anche quella relativa all'Alitalia, ma non è l'unica: vi sono altri comparti che devono fornire servizi ai cittadini, ma che - lo ripeto - hanno perso l'orientamento del servizio e si sono trasformati progressivamente in «stipendifici» dove nessuno ha il coraggio di mettere naso, ma tutti pagano.
Questa era l'analisi che velocissimamente ho voluto proporre all'attenzione dell'Assemblea, rimandando alle osservazioni più specifiche svolte dall'onorevole Pagliarini, che ha inquadrato il problema e ha dato suggerimenti molto importanti (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.
MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, certo il dibattito rischia di essere ripetitivo; però, credo che al paese, in qualche modo, vada spiegato questo momento e che vadano soppesati gli elementi a favore e quelli contrari.
Certo, da una parte abbiamo ascoltato le ragioni dei dipendenti, che non possiamo sottacere: circa 20-22 mila famiglie che trovano sostentamento nell'Alitalia ed un indotto di circa 8 mila persone. È sicuramente un caso sociale, così come ha avuto modo di riconoscere il commissario europeo Loyola de Palacio, quando parla di prestito con interessi rimborsato al massimo entro 12 mesi e motivato da gravi difficoltà sociali. Certo, le gravi difficoltà sociali ci sono ed immagino che i dipendenti vivano con particolare trepidazione questo momento.
Vorrei anche ricordare, tuttavia, che esiste l'altra parte del Paese, la non-Alitalia. Quanto costa all'altra parte del Paese tutto questo, dal momento che nell'uso delle risorse dobbiamo sicuramente tenere conto di un criterio etico di distribuzione e di criteri di efficienza e di efficacia?
Se facciamo i conti, a partire dal 1990 sino al 2003, registriamo una perdita che è stata ripianata da noi, dalle nostre famiglie e da tutti: dalla Sicilia al Nord d'Italia!
In questo caso, tutti i cittadini hanno pagato 6 mila miliardi di lire. Ragionando ancora in lire - faccio fatica ad abituarmi all'euro - sono circa 120-130 mila lire a testa che tutti, a partire dai bambini, anzi dai neonati, sino agli anziani, sono stati chiamati a versare.
Proviamo solo a pensare a quanti interventi avremmo potuto sostenere con queste cifre: siamo sicuri che, dal punto di vista etico, sia più giustificabile oggi uno sforzo di questo valore piuttosto che soddisfare altri elementi di bisogno?
Signor Presidente, noi facciamo politica anche perché, credo, vi sia dietro una parte di noi una storia e delle motivazioni ideali. Non credo che vi sia il partito delle persone che hanno a cuore la carità e quello di chi non l'ha a cuore! Credo che l'interesse sia trasversale: tuttavia, quante vite avremmo potuto salvare se gran parte di queste risorse fossero state impegnate nella sanità?
Oggi, il concetto di vita salvata ha anche un corrispettivo economico. Se oggi fossimo dotati, per esempio, di unità di pronto intervento in grado di soccorrere un infartuato nel giro di un'ora, sappiamo che potremmo avere un risparmio di vite consistente. Oggi, un progetto di intervento rapido, con defibrillatore ed unità cardio
logica, per un costo di circa un milione pro capite, potrebbe salvare circa il dieci per cento di vite umane.
Vogliamo solo pensare a quante ambulanze avremmo potuto attrezzare, a quante strutture avremmo potuto adeguare, a quante case per disabili e quanti posti di lavoro avremmo potuto realizzare? Certo, vi sono questi 20 mila soggetti e pertanto ho ascoltato con interesse ed ammirazione l'accorato appello dell'onorevole Buontempo; una persona che vive sul territorio ed ha a cuore le persone ed i dipendenti. Certo, vi è stata una considerazione: gran parte di queste 22 mila famiglie hanno origine e sono state assunte in questa regione.
Va bene, da Buontempo posso accettarlo, meno dal collega Cento, che parla dell'impossibilità dei «tagli» e di quant'altro, facendo demagogia!
A chi togliamo questi 400 milioni? Qualcuno si deve prendere la responsabilità di dirlo! Qualcuno deve prendersi la responsabilità di dire a chi non diamo questi mille miliardi perché, come dicono gli inglesi, non si può fare la frittata senza rompere le uova. Probabilmente, cominciamo a prenderli già dal tessuto produttivo.
Vorrei sapere che differenza c'è tra un artigiano, un libero professionista, un piccolo imprenditore, che viene considerato sempre con tanta diffidenza da parte del centrosinistra, e tali aziende che sono sostenute dallo Stato. La differenza è una sola: l'artigiano, l'imprenditore rischia del suo. Alla fine della giornata o della settimana, se non riesce a tracciare la riga giusta ed a portare l'utile alla sua azienda, prende i libri e li porta in tribunale e non ci sono strutture, non c'è il signor Cento che va a manifestare, non ci sono le bandiere dei DS davanti all'Alitalia.
Vorrei ricordare una strana coincidenza temporale: mi riferisco all'ultimo bellissimo esempio di democrazia sindacale che ha lasciato a piedi tutto il paese. Ciò mi ha invogliato a votare contro perché le proteste sindacali si possono fare, ma l'ultima certamente ha leso non soltanto il sottoscritto ed i colleghi, che viviamo ragionevolmente in un regime di privilegio, ma le persone che lavorano. È possibile che si debbano sempre scaricare tensioni politiche o sindacali sulle persone che si pagano il biglietto? E quanto lo pagano!
Ha cominciato l'onorevole Castagnetti quando si parlava di affrontare un piano con il ministro Maroni. Dicevano: dobbiamo discutere, discutere, discutere! Al telegiornale della sera si facevano già vedere le proteste: qua fuori era tutto bloccato, c'era la bandiera dei DS. Allora era tutto organizzato! Pagatevela voi! Pagatelo tu, Cento, questo baraccone!
RENZO INNOCENTI. Qual è il baraccone?
MASSIMO POLLEDRI. Noi siamo stufi! Chiedo scusa, signor Presidente, se mi sono lasciato andare, ma questo è un atto irresponsabile. Abbiamo pagato tutti la vostra propaganda, con le bandiere del tuo partito, Innocenti! E prima li avete aizzati da questi banchi!
RENZO INNOCENTI. È contro Roma!
MASSIMO POLLEDRI. Per quanto riguarda le assunzioni, vorrei proprio vedere! Chi è senza peccato scagli la prima pietra: venga a dirci che nessuno al suo partito ha mai raccomandato qualcuno per le assunzioni!
MASSIMO CIALENTE. Siete voi adesso! L'avete fatte voi!
MASSIMO POLLEDRI. Noi non abbiamo mai raccomandato nessuno, e non mi sembra che nessuno sia arrivato... Se qualcuno vuole smentirci si accomodi, prego.
Comunque, è stato detto che la colpa è dell'attentato alle Torri gemelle, della SARS, della guerra in Iraq, della grandine, delle cavallette, del Governo Berlusconi, di Bonomi, di Maroni. È sempre colpa nostra: non essendo dalla vostra parte, noi siamo sempre dalla parte dei cattivi e quindi, per definizione, siamo in torto e
dobbiamo esercitare un senso di colpa. Ma questo lo pensate voi, per fortuna non lo pensa la maggioranza del paese.
Qualche volta un po' di educazione o un atteggiamento di maggiore comprensione nei confronti dei clienti avrebbe aiutato. Non mi sembra che l'atteggiamento del personale - ovviamente, non voglio generalizzare - sia improntato alla massima comprensione nei confronti dei clienti che, fino a prova contraria, sono quelli che pagano loro lo stipendio.
Voglio inoltre ricordare che l'origine di alcune difficoltà va individuata in sede europea; pensiamo ad esempio alle condizioni poste dal commissario europeo Loyola De Palacio (mi piacerebbe sapere cosa ne pensa il presidente Prodi, uomo dell'IRI). Peraltro, l'unico che, una volta tanto, riuscì a chiudere un bilancio in positivo, nel 1988, fu Umberto Nordio, il quale resse l'Alitalia per un periodo di undici anni, ma fu accusato da Prodi di immobilismo e di fermare lo sviluppo delle rotte. Vi sono stati poi tutta una serie di amministratori delegati, sicuramente importanti, come Schisano (nominato da Prodi), Cempella (sicuramente non antipatico a Prodi), Mengozzi (anche lui sicuramente non in antipatie uliviste).
Qualcuno dovrà pure assumersi qualche responsabilità politica. Sicuramente la Lega Nord condivide alcune delle preoccupazioni espresse da settori della maggioranza. Tuttavia, credo vada detto con forza e chiarezza al paese che questa è una situazione anomala e che probabilmente il paese non cadrebbe se qualche soluzione estrema potesse arrivare. Probabilmente, se si andasse in tribunale, lo Stato non fallirebbe, non ci sarebbe da domani il crack. Probabilmente, si potrebbe ristrutturare la società, perché qualche volta il malato deve essere sottoposto anche a qualche intervento che sicuramente non lo aggrada ma, come sanno tutti, il medico pietoso rischia di uccidere il malato.
Un invito alla responsabilità e alla serietà aziendale potrebbe innescare un circuito virtuoso. È ora di finirla con la cultura e il pensiero di dover «mettere le mutande al mondo». Questo non compete alla nostra cultura liberista, che vuole innovare il paese. Non possiamo sempre risolvere o assolvere le difficoltà di tutti, pensando che lo Stato sia il primus movens di tutto e che tutto debba essere ricondotto allo Stato. Noi crediamo che nell'azienda ci siano le forze proprie. Abbiamo più fiducia nell'uomo e nell'azienda, piuttosto che nell'intervento dello Stato. In questo credo che debbano trovarsi i germi e gli elementi per poter giungere ad un rinnovo. Pertanto, la soluzione deve essere trovata nel mercato.
Probabilmente questo provvedimento sarà approvato e sarà quindi concesso questo ennesimo atto di fiducia, che però ci porta ad assumere delle responsabilità. L'ingegner Cimoli ha annunziato oggi che il gruppo non ha autonoma capacità di credito. Ciò vuol dire che esso non è in grado di fare fronte ai propri impegni. Ebbene, nei confronti di questa persona, sicuramente nei confronti del gruppo, si concede un aiuto per i rapporti con una serie di banche, che arrivano sicuramente a garantire il prestito ad un tasso del 4,2 per cento (che non è poco), ben sapendo che alla fine il credito potrà essere esigibile solamente da parte dello Stato. Alla fine rischiamo di concludere che come al solito paga Pantalone e purtroppo Pantalone costa alle tasche di tutti gli italiani 110 mila delle vecchie lire: bambini o nonni (Applausi di deputati del gruppo di Forza Italia)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bianchi Clerici. Ne ha facoltà.
GIOVANNA BIANCHI CLERICI. Signor Presidente, la vicenda di Alitalia, che stiamo esaminando nel corso della discussione sul complesso degli emendamenti presentati a questo discusso decreto-legge, è, senza ombra di dubbio, il risultato di molti anni di errate strategie aziendali che hanno portato una delle compagnie aeree più prestigiose del mondo all'attuale declino e, in buona sostanza, sull'orlo di un fallimento.
La compagnia di bandiera, da molti anni a questa parte, ha sempre giustificato
i conti in rosso o la mancanza di risultati positivi con il verificarsi di eventi esterni considerati nocivi. Anche nel recente anno 2003, appena passato, sono stati presi a giustificazione fattori esterni, quali le conseguenze dell'attentato dell'11 settembre negli Stati Uniti, la SARS, la guerra in Iraq, senza considerare che si tratta di eventi che hanno colpito ovviamente tutte le compagnie aeree del mondo, provocando una diminuzione di passeggeri.
In sostanza, non si è mai ammesso con la necessaria serietà che la crisi, alla quale siamo giunti, è dovuta alla mancanza di una valida strategia commerciale ed occupazionale.
Alitalia, nel 2003, ha fatto registrare un fatturato di 4.385 milioni di euro (in flessione del 9 per cento rispetto al 2002), con perdite nette di 520 milioni di euro (come risulta dal bilancio del 2003 approvato dall'assemblea degli azionisti lo scorso 28 giugno); una flotta aerea che, secondo quanto affermato dal ministro Buttiglione nel corso del suo intervento al Senato, in sede di approvazione di questo provvedimento, non sarebbe di proprietà dell'Alitalia, risultando, in buona parte, affittata in leasing, e con un numero di passeggeri trasportati pari a circa 23 milioni, contro i 25,5 milioni trasportati nel 2000.
Basta d'altronde leggere la relazione sul bilancio dei primi sei mesi del 2003, nella quale si evidenzia una situazione in costante e rapido peggioramento. Secondo la suddetta, la causa della crisi sarebbe - cito testualmente - il calo dei proventi, principalmente causato da ciò che si può considerare una caduta strutturale in tutta l'industria, che ha generato una perdita di redditività del gruppo rispetto all'anno precedente.
In termini più specifici - contino a citare la relazione - il settore intercontinentale, secondo l'analisi del vettore, è risultato quello maggiormente penalizzato dagli eventi geopolitici e dall'epidemia della SARS che hanno caratterizzato il periodo in oggetto, ovvero il primo semestre del 2003.
Secondo quanto previsto nella relazione, la caduta del settore internazionale, soprattutto europeo, sarebbe, invece, determinata dalle ricadute del deteriorato quadro geopolitico che hanno pesantemente condizionato i risultati delle destinazioni del nord Africa e del Medio Oriente, risentendo anche del quadro di sostanziale stagnazione economica che ha investito i paesi europei. La caduta del settore nazionale sarebbe, invece, dovuta a problematiche generali di scenario, affiancate e sovrapposte a quelle derivanti dalla persistente situazione di over capacity determinata dalle consistenti immissioni di capacità, operate da concorrenti domestici che, già a partire dalla fine del primo semestre dello scorso esercizio, avevano prodotto sul mercato un'accesa competizione tariffaria ed un'inusitata pressione sui coefficienti di riempimento.
L'analisi delle cause che avrebbero inciso sui pessimi risultati nei settori intercontinentali, internazionali ed in quello domestico nel 1o settembre 2003 è però smentita dagli indici di traffico registrati negli aeroporti europei nello stesso periodo, che hanno, invece, rilevato incrementi di passeggeri.
Ciò dimostra che l'Alitalia ha perduto quote di traffico in tutti i settori (intercontinentale, internazionale e domestico), quote acquisite da vettori concorrenti.
D'altro canto, credo non sia un mistero per nessuno il fatto che l'Alitalia ha ormai da tempo abbandonato alcune linee internazionali e intercontinentali di notevole rilevanza, lasciando il campo libero alla concorrenza. Basta passare per l'aeroporto di Malpensa per constatare che, soprattutto negli ultimi mesi, compaiono molti vettori intercontinentali, di paesi asiatici ed africani, che evidentemente vengono scelti dai viaggiatori italiani per raggiungere quelle destinazioni.
La crisi mondiale del trasporto aereo non è perciò, a nostro giudizio, condizione sufficiente per giustificare le perdite di posizione né il bilancio negativo dell'Alitalia. Lo stato di salute del trasporto aereo, sul quale incidono fattori mondiali (congiunture economiche, terrorismo, crisi
petrolifere, eventi bellici, eccetera), si misura nelle variazioni del volume mondiale di traffico passeggeri in tutti gli aeroporti principali.
A tal proposito, basta riflettere su questi dati: nel 2001, momento di maggiore tensione internazionale, il volume di traffico negli aeroporti americani, asiatici ed europei è aumentato (dell'8,5 per cento di Los Angeles, del 7,3 per cento di Tokio, del 3,5 per cento di Madrid). Si è registrata una flessione della crescita di traffico, ma non una diminuzione, e la crescita è risalita nel 2002.
Per rimanere nel settore domestico, dal bilancio al 31 dicembre 2002 della società di gestione dell'aeroporto di Fiumicino ADR si apprende, in presenza di una conservazione delle quote complessive di traffico dell'aeroporto di Roma, che nel 2002 il vettore Alitalia ha subito una riduzione dei passeggeri internazionali extra Comunità europea del 15,1 per cento. Altri vettori hanno registrato un incremento dei passeggeri internazionali extra Comunità europea dello 0,9 per cento. Sempre Alitalia ha registrato una riduzione dei passeggeri domestici dell'8,1 per cento e una riduzione della capacità offerta del 7 per cento, mentre altri vettori hanno registrato un incremento dei passeggeri domestici trasportati del 28,8 per cento, con una maggiore offerta di alcuni vettori nazionali, tra i quali, in primis, Air One e Volare Airlines.
Questo confronto è significativo perché l'Alitalia ha a Fiumicino la propria base e su questa base si è registrata una sensibile riduzione della propria presenza e un significativo incremento di quella di vettori concorrenti. Affermare, pertanto, che Alitalia cede fette di mercato non è un'ipotesi, ma una realtà!
Presidente, potrei chiederle la cortesia, usata poco fa verso altri colleghi, di avere un pochino di acqua?
PRESIDENTE. Certo. Vorrei pregare i commessi di portare dell'acqua alla collega che sta intervenendo.
Prego, onorevole Bianchi Clerici.
GIOVANNA BIANCHI CLERICI. Il prestito ponte, previsto nel decreto-legge oggi al nostro esame, trova la sua principale giustificazione nella necessità di una continuità aziendale per Alitalia, dal momento che la compagnia di bandiera, nello scorso mese di giugno, aveva in cassa 150 milioni di euro contro i 500 milioni di cui disponeva nello scorso mese di gennaio.
Ciononostante, la posizione della Lega Nord rimane fortemente contraria in quanto, dietro questo prestito ponte, concesso con garanzia dello Stato, si potrebbe nascondere una ricapitalizzazione della compagnia.
Il prestito viene concesso senza il beneficio della preventiva escussione da parte degli eventuali creditori. Ciò significa che nell'ipotesi, peraltro non troppo improbabile, in cui l'Alitalia non fosse nella disponibilità di restituire il prestito, il creditore-banca - secondo quanto affermato dallo stesso presidente Cimoli, sarebbero sei o sette le banche interessate a concedere il prestito - si rivolgerà direttamente allo Stato che, oltretutto, non è neppure considerato quale creditore privilegiato.
Pertanto, i crediti dello Stato nei confronti di Alitalia potranno essere soddisfatti solo dopo quelli di tutti gli altri creditori. Inoltre, il prestito ponte viene concesso senza essere preceduto dalla presentazione di un piano industriale, in cui si affronti, per una volta tanto seriamente, il problema degli esuberi - in proposito, vorrei ricordare che Alitalia ha 22 mila dipendenti, di cui 18 mila con base a Roma - nonché quello della produttività del personale. Soprattutto, occorrerà chiarire la questione dell'aeroporto di Malpensa e il suo futuro, quale hub di riferimento di Alitalia, tenuto conto che il 70 per cento dei biglietti viene venduto nelle regioni del nord e che la compagnia è invece localizzata prevalentemente nella regione Lazio.
A proposito di Malpensa, vorrei ancora aggiungere alcune considerazioni, perché è evidente che uno dei problemi di Alitalia è strettamente connesso a quello dell'aeroporto di Malpensa. Come altri colleghi -
poco fa ha parlato l'onorevole Zacchera - che come me abitano nella zona intorno a Malpensa, sono abituata a prendere uno degli scarsissimi voli che ogni giorno collegano la provincia di Varese - ne approfitto per ricordare che Malpensa non è nella provincia di Milano - a Roma e svolgere il mio lavoro di parlamentare. Parlavo di pochissimi voli, perché ce ne sono quattro e solo in alcuni periodi dell'anno cinque. Inoltre, segnalo lo strano fenomeno per cui circa la metà dei posti è occupata dal personale Alitalia, trasferito da Malpensa dopo un viaggio intercontinentale o internazionale per tornare a Roma e avere diritto ai due-tre giorni di riposo, come da contratto di lavoro. Viceversa, altra parte del personale parte da Roma nel pomeriggio per prendere servizio e viaggiare di notte, svolgendo così il proprio compito.
È una situazione paradossale perché, come tutti i colleghi nelle stesse mie condizioni, sono costretta a prenotare i voli di mese in mese, altrimenti li troverei tutti occupati. Esistono poi situazioni paradossali, signor Presidente, lo posso assicurare. Ho visto passeggeri paganti lasciati a terra in quanto la compagnia aveva assolutamente bisogno di imbarcare equipaggio e farlo ritornare a casa, altrimenti sarebbero scattati a suo carico adempimenti, qualora non avesse garantito il necessario riposo al personale.
Si tratta ovviamente di uno spreco di risorse senza pari, che dà luogo anche a situazioni curiose: a causa del contratto stipulato dai sindacati per i dipendenti Alitalia, si creano situazioni quasi comiche con passeggeri paganti - magari gruppi di turisti o comunque persone che affrontano un viaggio del genere per visitare Roma -, collocati nelle file di fondo, mentre il personale Alitalia si accomoda davanti, in posti più comodi e più larghi.
Vi è una certa ironia della sorte in tutto questo, così come nel famoso risparmio, calcolato in circa 500 mila euro all'anno - corrispondente più o meno ad un miliardo di lire - che venne ottenuto lo scorso anno, togliendo, come ha ricordato qualche collega, il caffè e le bevande ai passeggeri e lasciando loro solo l'acqua. In questo modo, si è cercato di ridurre di un'unità il personale a bordo, ovviamente senza riuscirci.
Quindi, il nodo Alitalia è strettamente connesso con il nodo Malpensa. Ciò non toglie, tuttavia, che non possiamo votare il provvedimento in esame, che utilizza risorse dello Stato per aiutare una compagnia che sarebbe bene fallisse (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mosella. Ne ha facoltà.
DONATO RENATO MOSELLA. Signor Presidente, la posizione della Margherita è già conosciuta: non ci opponiamo, per senso di responsabilità, al decreto-legge sul prestito ponte per l'Alitalia. Se non fosse per gli effetti negativi sul piano sociale ed economico che potrebbero essere determinati dalla mancata approvazione di tale prestito, avremmo espresso voto contrario, in quanto i contenuti del provvedimento non hanno alcuna valenza politica: non vi è un impegno che ci rassicuri e sono stati tralasciati elementi importanti.
Abbiamo la consapevolezza che si tratta di ore cruciali per la nostra compagnia di bandiera, che da troppo tempo versa in una crisi irreversibile. Il nostro pensiero e la nostra azione sono stati rivolti più volte, nelle Commissioni e in questa Assemblea, ai lavoratori ed alle lavoratrici: se siamo qui in queste ore è perché vi sono alcuni aspetti sociali della vicenda che ci preoccupano e rispetto ai quali intendiamo dare testimonianza di impegno e di serietà.
Siamo amareggiati nel vedere un settore così importante e strategico trattato con disinvolta superficialità, e a volte anche con un linguaggio poco adatto a questa Assemblea. Abbiamo riscontrato un atteggiamento da parte del Governo e della maggioranza che non ha fatto altro che acuire le nostre convinzioni. Siete divisi e
lacerati, e ogni giorno qualcuno può farne le spese: oggi potrebbe toccare all'Alitalia. La verità è che non vi interessano i problemi reali del paese. Siete spesso attenti ad aspetti particolari e non ai grandi temi che interessano la nostra realtà.
Oggi abbiamo tutti la convinzione e la preoccupazione che vi sia il rischio di marginalizzare l'Alitalia. Eppure essa costituisce, come è stato sottolineato in alcuni interventi che mi hanno preceduto, un importante settore industriale del nostro paese, caratterizzato da alta intensità di capitale e dalla prevalenza dei costi fissi sui costi variabili. Le funzioni di produzione dei vettori sono pertanto caratterizzate dalla presenza di una rilevante economia di scala. Ciò significa che, se non si vuole finire nel mercato in una posizione di nicchia, occorre superare la crisi sviluppando l'offerta. A tal fine si richiede un grande slancio ed impegno, fiducia nel personale, nelle maestranze, nei quadri e nei dirigenti, ma soprattutto nell'utenza, che ha bisogno di vedere nella compagnia un punto di ancoraggio e di servizio sicuro.
Questo deve essere l'elemento centrale di qualsiasi piano di sviluppo di Alitalia, senza trascurare il migliore utilizzo delle risorse del patrimonio industriale, che abbiamo chiesto in più occasioni. Va evitata una politica industriale che marginalizzi la compagnia, per non innescare quel circolo vizioso che disaffeziona l'utenza e i lavoratori, aggravando i problemi. Bisogna avere attenzione anche al piano internazionale, su cui la nostra compagnia di bandiera, nel tempo, si è giocata gran parte della sua credibilità. Se si osserva la bilancia dei pagamenti italiana, relativa proprio alle modalità aeree, si osserva che il trasporto aereo contribuisce negativamente al saldo. La quota detenuta dai vettori esteri per i collegamenti da e per l'Italia è infatti nettamente superiore a quella dei vettori nazionali. In sintesi, gli utenti italiani, per andare all'estero, si rivolgono ai vettori stranieri.
Questo è il risultato anche di alcuni proclami che, anche da quest'aula, anche oggi, sono stati lanciati. Questo è il risultato di politiche che guardano al recupero di redditività anche nel breve periodo, che causano una perdita di posizione nel mercato nazionale ed internazionale. Se a ciò si aggiunge la lentezza con cui il Governo, il vostro Governo, si è interessato all'azienda, si capisce quali sono i rischi che si stanno correndo e che qualcuno, anche nelle vostre file, vorrebbe vedere realizzati.
La concorrenza nazionale, il forte incremento nel mercato nazionale del livello di concorrenzialità tra vettori - pensiamo all'Alitalia che deve avere a che fare con Air One, con il gruppo Volare, con Meridiana e con altri vettori - ha fatto perdere alla compagnia di bandiera una quota consistente del proprio mercato di riferimento: siamo passati dal 78 per cento del mercato del 1996 al 49,4 del 2003. Si tratta di un dato che rappresenta il minimo storico dall'inizio dell'attività della compagnia! Incrociando alcuni autorevoli indicatori del settore, si nota che Alitalia, solo negli ultimi due anni, ha perso circa il 15 per cento del mercato. Ripeto, negli ultimi due anni ha perso circa il 15 per cento del mercato! Vogliamo immaginare che qualche responsabilità vi sia stata, da parte di questo Governo, negli ultimi due anni?
Lasciateci dire, senza voler usare lo stesso strumento che avete utilizzato voi, che le vostre responsabilità di Governo sono evidenti in questa vicenda: i vostri tiepidi tentativi di questi anni hanno aggravato la situazione, portando la compagnia sull'orlo del fallimento che poco fa abbiamo sentito evocare dalle file della maggioranza. Quindi, non è fantasia, non è strumentalizzazione politica, è la realtà: siete responsabili di quello che sta accadendo!
Si tratta di un fallimento che è prima di tutto il fallimento della vostra linea politica, che è pronta, vivace quando si tratta di problemi individuali che riguardano singole persone - soprattutto appartenenti alle vostre file - mentre è lenta e comunque inefficace, fa melina, cerca l'accordo o fa finta di cercarlo quando si tratta di interessi collettivi che riguardano il paese, come nel caso dell'Alitalia.
Eccoci, siamo chiamati a dare un contributo per evitare il fallimento. Siamo qui ad esercitare il nostro dovere, ad offrire il nostro contributo con senso di responsabilità, anche sentendo le responsabilità del passato - noi non le abbiamo mai negate -, ma nessuno può dire che non abbiamo avuto la forza e la determinazione di interessarcene.
Anche se non possiamo esimerci dal dire ancora una volta che con questo atto si sta solo rinviando il problema, la strada che voi avete intrapreso anche in questi giorni sposta in avanti il problema in quanto la situazione finanziaria e aziendale si è ulteriormente aggravata, come si sono complicate le possibilità di collocazione del vettore a livello internazionale ed anche nazionale. Qualcuno lo ha detto anche stasera in quest'aula: tutti gli italiani, dal sud al nord del paese, hanno pagato con le loro tasche l'esistenza in vita della compagnia di bandiera, sborsando, dal 1991 ad oggi, 2.350 milioni di euro, che sono circa 45 euro a testa, compresi i neonati.
Questo è il costo dei vari piani che sono stati presentati. Nello stesso periodo i soci privati hanno versato 803 milioni, le banche alcune centinaia di milioni; il bilancio 2003 ha una perdita di 1.258 milioni. Ecco perché temiamo che quello che voi evocate politicamente, o che alcuni di voi stanno evocando, possa essere una realtà. Spiegato per grandi linee, il fallimento rimane ancora una possibilità. Quindi, non giocate troppo: potrebbe rompersi il giocattolo nelle vostre mani!
È triste, anche per noi che rappresentiamo le istituzioni, anche fuori da quest'aula constatare ogni giorno che la nostra compagnia di bandiera registra il più alto numero di ritardi o il più alto costo del lavoro o altre deficienze.
Nessuno di noi si può chiamare fuori! Ecco perché siamo qui. Abbiamo ancora dei dubbi sul fatto che la strada del risanamento e della ristrutturazione richieda un impegno forte e continuo? Abbiamo ancora qualche dubbio che questo debba essere duraturo nel tempo, mentre i nuovi confini dell'Europa ridislocano gli investimenti produttivi in relazione ad una valutazione delle convenienze, tra le quali prima fra tutte è la rete di collegamenti aerei: l'Italia corre un rischio inaccettabile!
Qualcuno ha sottolineato che forse Roma o il Lazio in questa vicenda hanno da perdere di più. Ebbene sì, hanno da perdere di più, soprattutto vi hanno da perdere i lavoratori. Ma quale cultura indica lavoratori divisi per città o per regione? Un lavoratore è tale al centro, al sud, al nord, ed ha uguali diritti e merita uguale rispetto.
Attenzione! Questa politica, che voi portate avanti così disordinata e scomposta al vostro interno, potrebbe aprire problemi che a cascata rischiano di compromettere l'intera operazione: posti di lavoro, anche attività come il turismo, che è l'industria chiave per il nostro paese, con approdi che riguardano tutto il territorio nazionale.
Certo non vogliamo e non possiamo negare che i problemi dell'Alitalia vengono da lontano; non l'abbiamo fatto, non è nel nostro stile nascondere, ma la vostra azione di governo non ha fatto altro che aggravarle. Il centrosinistra, quando ha governato, si è trovato ad affrontare problemi altrettanto difficili e che parevano irrisolvibili (pensiamo alle poste o alle ferrovie).
Quelle situazioni sono state risanate con piani industriali accettabili, anche pagando dei prezzi, rispetto alle persone, molto alti, con una delicata concertazione con il sindacato e con un management che ha dimostrato comunque di essere di buon livello. Ce lo attestano indicatori nazionali ed internazionali: non sono chiacchiere!
Noi pensiamo che il futuro richieda soluzioni coerenti con le regole e con il mercato europeo. In Europa quasi tutte le aviolinee sono privatizzate, e fanno parte di consorzi internazionali. Alitalia dovrà seguire la via dell'alleanza-integrazione con altre compagnie, migliorando i suoi standard operativi e uniformandoli a quelli europei.
Noi l'abbiamo detto, scritto e ribadito in tutte le sedi, che siamo per politiche di
alleanze nazionali ed internazionali - tese a raggiungere una massa critica necessaria ad assicurare una presenza stabile nel settore, realizzando sinergie di costo al fine di ridurre al massimo gli elevati costi fissi, che sono uno dei buchi neri rispetto ai quali la nostra compagnia da anni soffre - per un'altra politica industriale determinata, capace di acquistare una nicchia di mercato internazionale (pensiamo ai paesi del Mediterraneo, ai paesi dell'est europeo)
Noi vorremmo stare nelle alleanze che saranno stipulate con una nostra peculiarità e senza sudditanze (che, alla lunga, non pagano)! Noi vorremmo avere delle nicchie di mercato che ci appartenessero per presentarci con esse ai tavoli delle alleanze. Noi vorremmo un migliore utilizzo delle risorse e dei beni industriali, attenzione ed adeguata valutazione delle proposte sindacali, che mirano a ricapitalizzare la compagnia, ma anche a favorire alleanze con soggetti istituzionali forti operanti nel settore dei trasporti. Tutto ciò tutelando i lavoratori: su questo punto non siamo disposti a mediare!
Noi vorremmo anche ...
PRESIDENTE. Onorevole Mosella...
DONATO RENATO MOSELLA. ... un'azione di risanamento che facesse della compagnia un vettore capace di partecipare con dignità a progetti di alleanza o di fusione nel rispetto della normativa nazionale di privatizzazione. Noi vorremmo un'authority di settore che tuteli il lavoro futuro.
Se siamo qui, se non ci opponiamo al provvedimento in esame, è soprattutto per quel senso di responsabilità che ci auguriamo possa prevalere anche tra voi.
PRESIDENTE. Onorevole Mosella...
DONATO RENATO MOSELLA. C'è bisogno di un lavoro che individui lo spazio giusto: capire il rischio è necessario, com'è necessario, in queste ore, un vostro atteggiamento responsabile (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Mosella.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Ferro. Ne ha facoltà.
MASSIMO GIUSEPPE FERRO. Signor Presidente, desidero richiamare l'attenzione dei colleghi sul contenuto del decreto-legge che siamo chiamati a convertire in legge, soprattutto perché i colleghi dell'opposizione hanno fatto, nei loro interventi, un po' di confusione.
Noi non prestiamo soldi: assolutamente non prestiamo 400 milioni di euro ad Alitalia! Lo Stato si limita a prestare garanzia affinché, attraverso sistemi e procedure competitive, Alitalia reperisca le indicate risorse. Al riguardo, l'amministratore delegato di Alitalia ha precisato, nel corso della sua audizione in Commissione trasporti, che il rimborso della predetta somma avverrà esclusivamente attraverso un'operazione di aumento del capitale sociale, condizione stabilita dalla Commissione europea quando ha acconsentito all'intervento pubblico.
Anche il collega che è intervenuto per ultimo ha fatto un po' di confusione. Il fatto di essere in Europa ci costringe a muoverci attraversando passaggi obbligati. In particolare, come ben sanno tutti, i sindacati e quanti operano nel settore, gli ammortizzatori sociali sono vietati dall'Unione europea alla quale apparteniamo.
Si parla, poi, di requisiti di sistema, cui fa riferimento, ad esempio, una proposta emendativa presentata dal collega Tidei. Chiediamo i requisiti di sistema quando il piano nazionale dei trasporti è stato sostanzialmente abbattuto dal ministro Bersani, il quale non l'ha mai tirato fuori, non l'ha mai applicato!
MASSIMO GIUSEPPE FERRO. Vi è, sostanzialmente, una grave responsabilità politica dei Governi precedenti, i quali non hanno mai voluto affrontare con serietà i problemi della cosiddetta compagnia di bandiera.
Anche il richiamo all'idea della compagnia di bandiera, poi, appare ormai fuori luogo: non esistono più, in Europa, le compagnie di bandiera; esistono le alleanze, che sono nate dieci o quindici anni fa, quando la nostra «vecchia» Alitalia riteneva di essere autosufficiente!
Bisogna essere obiettivi: si coglie una sorta di accanimento terapeutico nel tentativo di salvare Alitalia! Questo intervento permetterà alla struttura ed agli amministratori di Alitalia di affrontare le attuali difficoltà in un arco temporale molto limitato. Se entro ottobre non verranno risolti i nodi strutturali, sulla vicenda Alitalia verrà scritta, molto probabilmente, la parola fine, per responsabilità precedenti, chiare, precise ed individuabili.
Voglio ricordarne una tra tutte: quando si decise di aprire Malpensa, il ministro del tempo, Burlando, emise un decreto pro Alitalia che prevedeva il contingentamento dei voli a Linate e, per una fase limitata, per la fase di avviamento, la concentrazione dei voli a Malpensa da parte di Alitalia.
Insorse l'Italia, per primi - devo riconoscerlo - gli enti locali lombardi, sbagliando perché, in una fase di avviamento, molto probabilmente politiche di sostegno, come il cosiddetto decreto Burlando, individuavano questa possibilità. Il ministro dei trasporti di allora, onorevole Bersani, riaprì la partita e in quel momento fu deciso (fu chiaro a chi conosce questo settore) di non avere più nel nostro paese un hub serio. In Italia, complessivamente, si contano 100 milioni di passeggeri (Francoforte ne conta più di 50 milioni, mentre Londra Heathrow 20 milioni). Stiamo parlando di valori assoluti molto modesti. Abbiamo due mini hub: Malpensa e Roma. Affrontare la sfida globale tra sistemi aeroportuali vuol dire far giocare un gruppo parrocchiale di ragazzini contro la squadra che ha vinto la coppa dei campioni. Si può anche tentare, ma il risultato è certo.
Inviterei i sindacati a compiere un passo indietro. Infatti, se sono chiare le responsabilità dei governanti di oggi e di allora - come dice qualcuno -, sono chiare, esplicite e precise anche le responsabilità e l'accanimento di certe organizzazioni sindacali che non hanno mai nutrito un grande affetto nei confronti della compagnia, considerandola il luogo in cui attingere privilegi superati a tutti i livelli. Vorrei citare solo l'ultimo caso eclatante, che ha messo in ginocchio l'Italia soltanto perché gli amministratori avevano chiesto di ridurre da quattro a tre gli assistenti di volo, peraltro secondo gli standard europei. L'Italia è stata messa in ginocchio per due giorni, con gravi disagi per i passeggeri e altrettanto gravi ed irreparabili danni di immagine della nostra compagnia. Si parla di alleanze ma le stesse sono già state fatte e sono chiare. Siamo fuori di questa partita. Il nostro vettore può essere solo marginale, può fare solo «feederaggio» (porterà i passeggeri italiani fino a Parigi o Amsterdam, per poi proseguire con altre compagnie). La partita si è giocata tanto tempo fa. Il risultato - ahimè - emerge solo ora. Le responsabilità sono chiare e precise. Questo è un tentativo, sicuramente l'ultimo, per permettere alla nostra compagnia di riconquistare quella fetta di mercato domestico che, a mio avviso, rimane l'unica, reale e concreta possibilità per il settore aereo di riconquistare quote di mercato ormai perse.
È una sfida. I primi segnali - che arrivano dalle organizzazioni sindacali - di qualche passo indietro confermano questa linea. Dobbiamo dare fiducia a Cimoli e alla sua struttura per permettere al nostro paese di non subire un affronto molto grave (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, vorrei chiederle di valutare l'opportunità di concederci mezz'ora di sospensione per soddisfare le nostre naturali esigenze!
RENZO INNOCENTI. Sono d'accordo.
GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Niente sospensioni!
PRESIDENTE. Vi sono ancora tre richieste di intervento sul complesso delle proposte emendative. Riterrei opportuno concludere la discussione sul complesso delle proposte emendative.
MAURA COSSUTTA. Non è finita, Presidente!
LUCA VOLONTÈ. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, anch'io concordo con la sua ipotesi, anche perché mi premerebbe capire, al di là della chiusura della discussione sul complesso degli emendamenti, quando lei intende - se intende farlo - sospendere i lavori per la pausa notturna, per avere una idea - al di là dei bisogni fisiologici dei prossimi 30 minuti - di come sarà organizzata la serata o la nottata fino alla mattina di domani.
PRESIDENTE. Ci sono altri iscritti a parlare sul complesso degli emendamenti?
RENZO INNOCENTI. Ce ne potrebbero essere altri!
ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, il regolamento non prescrive che le iscrizioni a parlare sul complesso degli emendamenti siano preannunciate con largo anticipo.
PRESIDENTE. Era solo una richiesta di informazione personale.
ANTONIO BOCCIA. Ognuno di noi valuterà al momento se iscriversi o meno.
ELIO VITO. Allora andiamo avanti!
PRESIDENTE. Sta bene. Andiamo avanti con gli interventi sul complesso degli emendamenti.
Vorrei anche conoscere l'orientamento dal Presidente della Camera sull'andamento dei lavori ed anche sulla nostra vita, che in questo momento è un po' sub iudice.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Bricolo. Ne ha facoltà.
FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, io credo che la discussione di oggi, soprattutto grazie agli interventi dei parlamentari della Lega Nord Federazione Padana, abbia fatto capire che non siamo certo di fronte ad un provvedimento che cerca di risanare una azienda che vive una crisi finanziaria. Qui si parla invece di Alitalia, che negli ultimi 11 bilanci presentati ne ha registrati 10 in passivo. Quindi, sicuramente non è un problema finanziario, ma diventa chiaramente un problema industriale.
Non posso che ribadire quanto già osservato da altri rappresentanti della Lega Nord Federazione Padana, sia nel corso della riunione del Consiglio dei ministri, nella quale è stato adottato questo decreto-legge (i nostri ministri hanno espresso in quella sede una ferma contrarietà), sia nella discussione generale e nella seduta di oggi. La nostra è una ferma e sostanziale contrarietà a questo intervento, che riteniamo sia assolutamente inopportuno. Si tratta di una contrarietà che però è giustificata sicuramente da considerazioni razionali.
Entriamo nel merito. Il problema di Alitalia è costituito da una organizzazione aziendale che nei suoi centri di costo non è assolutamente adeguata alle sue potenzialità industriali. Alitalia ha circa 23 mila dipendenti, ai quali vanno aggiunti 8 mila soggetti che lavorano sostanzialmente a tempo pieno per l'azienda. Si tratta dunque di una società che ha circa trentamila dipendenti. Il personale di volo è tuttavia costituito solo da poche migliaia di persone; il resto è tutto personale di terra. E questo è già un primo elemento di difficile comprensione. Solo Alitalia, fra le varie
imprese che si occupano di trasporto aereo, ha dei dati così stridenti tra il personale di volo e il personale di terra. Questo è proprio uno scandalo da evidenziare!
Ancora meno comprensibile è come in tale situazione siano state assunte, negli ultimi anni, negli ultimi tre o quattro anni, altre 4.500 persone, in una società che presentava già una evidente esubero di personale.
Dobbiamo aggiungere anche che tale personale è collocato, nella stragrande maggioranza - si tratta di 18 mila dipendenti -, a Fiumicino. Se si considera il fatto che il 70 per cento - l'abbiamo già detto e ribadito diverse volte - dei biglietti aerei venduti da Alitalia sono venduti al nord, in Padania, in particolare nell'area di Malpensa, diventa incomprensibile, dal punto di vista industriale, che un'azienda che ha il proprio mercato, che gravita al nord, abbia la maggior parte dei suoi dipendenti invece a Roma.
Si tratta, dunque, di una situazione a dir poco vergognosa, sulla quale si possono compiere ulteriori approfondimenti: mi riferisco anche agli interventi svolti in quest'aula, soprattutto a quelli dei rappresentanti del gruppo di Alleanza nazionale.
Non si capisce, infatti, per quale motivo una compagnia «di bandiera» debba avere il 90 per cento dei suoi dipendenti in un'unica città: infatti, il 90 per cento delle assunzioni riguarda cittadini romani e laziali. Sarebbe dunque più appropriato definire l'Alitalia non la compagnia di bandiera nazionale, ma una compagnia regionale: si potrebbe chiamare l'AliLazio! Si potrebbe sicuramente aggiungere che i suoi soci di riferimento sono i politici fautori della spesa pubblica, visto che questa viene costantemente sostenuta dai soldi dei contribuenti del nostro paese, e che tale politica viene portata avanti, in primis, dalla sfortunata accoppiata che si trova qui, nel Lazio: Veltroni e Storace.
Penso che sarebbe doveroso far avere ai contribuenti di questo paese una visione chiara di quanto stiamo discutendo, ma i giornali evidentemente non vogliono approfondire tale argomento. In questo Parlamento c'è un disegno sicuramente trasversale, visto che il provvedimento a sostegno dell'Alitalia è stato approvato al Senato con i voti sia di parte del centrodestra, sia del centrosinistra, ma tale disegno è sostenuto anche da chi controlla l'informazione.
Ritengo che in altri paesi (ad esempio, in Germania, in Inghilterra o negli Stati Uniti) uno scandalo del genere sarebbe stato stroncato dagli organi di stampa; nel nostro paese, invece, viene ignorato ed oscurato. Evidentemente, i partiti fautori della spesa pubblica, chi non vuole realizzare il cambiamento in questo paese, chi pensa che questo Stato debba rimanere comunque assistenzialista e centralista...
PRESIDENTE. Scusate: se gli onorevoli colleghi che si trovano nelle vicinanze del banco della Commissione devono tenere un'assemblea, prego loro di non farlo nell'emiciclo dell'aula. Grazie.
Prego, onorevole Bricolo.
FEDERICO BRICOLO. Grazie, signor Presidente.
Vorrei entrare ulteriormente nel merito. Si calcola che la distribuzione dei dipendenti, concentrata prevalentemente a Fiumicino, a fronte di un traffico aereo che trova il suo baricentro nell'area settentrionale del paese, costi alcune centinaia di miliardi di vecchie lire all'anno, perché questi dipendenti, che vivono nella regione Lazio, si recano comunque a lavorare in Lombardia; pertanto, l'Alitalia è costretta comunque a spostare quotidianamente i propri dipendenti da Roma, sfruttando gli aerei a disposizione della compagnia di bandiera, per portarli a lavorare a Malpensa, farli dormire negli alberghi presenti nella zona dell'aeroporto e, il giorno dopo, riportarli direttamente a Roma.
Ciò francamente è scandaloso, perché le sole spese per questa migrazione continua e quotidiana di personale che l'Alitalia deve affrontare possono essere quantificate in centinaia di miliardi di vecchie lire all'anno, pari ad almeno la metà delle
risorse chieste per questo ennesimo finanziamento, che sfiora quasi i 1.000 miliardi di vecchie lire.
È giusto evidenziare il fatto che siamo giunti addirittura al paradosso per cui all'aeroporto di Malpensa vi sono clienti che acquistano biglietti, ma poi non possono salire sull'aereo e restano a terra, perché i posti sono occupati dai dipendenti che vengono quotidianamente trasferiti da Roma a Malpensa. Si tratta di una vicenda che farebbe gridare vendetta in qualsiasi paese, ma evidentemente non nel nostro!
Non vedo nessun rappresentante degli altri partiti politici che abbia evidenziato, negli interventi svolti, queste incredibili disfunzioni, che purtroppo noi, in questo Parlamento, stiamo ancora avallando, dal momento che alla fine il decreto-legge in esame verrà convertito e dunque, evidentemente, si darà ancora forza a chi crede che le nostre aziende non debbano essere controllate e sostenute da un piano industriale di sviluppo concreto e preciso, ma semplicemente assistite.
Ciò anche perché con questo provvedimento - altro aspetto importante da sottolineare - finanziamo l'Alitalia senza aver visto il piano industriale, che sarà presentato nei prossimi giorni.
RENZO INNOCENTI. Presidente, guardi là!
GIOVANNA MELANDRI. Andate via!
GIOVANNI RUSSO SPENA. Presidente!
FRANCESCO GIORDANO. Vergogna (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non si può proseguire in queste condizioni! Chi vuole stare in aula, si segga al proprio posto, altrimenti esca dall'aula. Queste non sono condizioni decenti per i lavori dell'Assemblea, anche in un passaggio difficile quale quello che stiamo vivendo.
FEDERICO BRICOLO. Grazie, signor Presidente. Penso che la vergogna più grande sia discutere di questo provvedimento, visti i contenuti ed anche l'appoggio trasversale destra-sinistra che, purtroppo, avrà. La vergogna è questo provvedimento, che anche voi avete votato al Senato.
Detto questo, continuo con il mio intervento. Stiamo concedendo, di fatto, un prestito - si è parlato di fideiussione, eccetera - ma è chiaro che, alla fine, esso diventa un finanziamento a fondo perduto ad una società, per permetterle di uscire da una situazione di emergenza, senza sapere quale sarà il percorso di uscita o cosa Cimoli si stia inventando per uscire, con le pressioni che riceve da Storace, da Veltroni, dai partiti della spesa pubblica, senza dunque poter procedere a tagli. Non sappiamo se il suo piano industriale sarà, come diceva in precedenza il collega Pagliarini, sostenuto anche dai sindacati. Non esiste un piano finanziario fatto da Alitalia che abbia avuto successo: sono falliti tutti, perché i sindacati non li hanno mai appoggiati e sono sempre stati contestati.
Dunque, noi non abbiamo nessuna garanzia che questo prestito potrà essere restituito. Sicuramente il paese dovrà di nuovo spendere i soldi dei contribuenti per sostenere un carrozzone, un baraccone i cui libri contabili dovrebbero essere portati nei tribunali.
Signor Presidente, al di là di ciò, voglio ribadire la netta contrarietà a questo intervento, perché diventa chiaro che esso non risolve in nessun modo il problema. Lo ribadisco per l'ennesima volta, anche se mi dispiace farlo: questo intervento è contrario a quanto abbiamo promesso noi della Casa delle libertà in campagna elettorale. Avevamo detto che volevamo farla finita con carrozzoni sostenuti ed assistiti, quali Alitalia. Avevamo detto che ve ne erano in questo paese e che il Governo della Casa delle libertà li avrebbe portati ad essere imprese serie, con bilanci in attivo. Invece, ora sosteniamo un'azienda che, negli ultimi undici bilanci, ne ha avuti dieci in passivo. Questi carrozzoni di Stato li
volevamo eliminare. Di fatto, purtroppo, con questo provvedimento li andiamo ancora a sostenere.
In precedenza presiedeva l'Assemblea il presidente Fiori, il quale si offende sempre quando, in quest'aula, qualcuno parla di «Roma ladrona», ma è chiaro che provvedimenti come questo rafforzano tale idea in Padania (Commenti dei deputati dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e di Rifondazione comunista)...
GENNARO MALGIERI. Non esiste la Padania!
GIOVANNA MELANDRI. Bravo, Malgieri!
GIUSEPPE PETRELLA. Bravo, Malgieri!
GENNARO MALGIERI. Cosa ci facciamo, con voi della Lega?
FEDERICO BRICOLO Nei cittadini, in Padania, vi è un'idea molto diffusa: che, purtroppo, Roma è ancora «ladrona» da questo punto di vista, perché i soldi dei contribuenti sono sprecati (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)!
PRESIDENTE. Onorevole Bricolo...
FEDERICO BRICOLO. Li buttiamo nel cestino! Andiamo a sostenere un'azienda che è, di fatto, fallita. Lo ripeto: in Padania, con provvedimenti come questo, andiamo a rafforzare l'idea di Roma «ladrona», lo diciamo con forza. È così. Ci dovete venire in Padania! Ci dovete venire!
PRESIDENTE. Onorevole Bricolo, la prego, non capisco perché lei voglia suscitare ..
FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, sto svolgendo il mio intervento e penso di poter concludere.
PRESIDENTE. Va bene, lei ha ancora un minuto e 20 secondi a disposizione.
FEDERICO BRICOLO. Non credo che lei possa sindacare cosa afferma un parlamentare in Assemblea. Signor Presidente, anche questo dimostra come in quest'aula, purtroppo - lo dicevamo in precedenza - i primi ad arrabbiarsi sono chiaramente quelli del centrosinistra (Una voce dai banchi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana: «Via i comunisti dall'aula!»), che attraverso Prodi, di fatto, nella storia hanno sempre nominato tutto il management di Alitalia e che hanno assunto dipendenti quando, invece, dovevano tagliare le spese per il personale e operare licenziamenti. Ciò, evidentemente, al fine di prendere voti di scambio o, comunque, per ottenere un consenso territoriale sulla città di Roma (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e di Rifondazione comunista).
GIULIO CONTI. La Parmalat?
FEDERICO BRICOLO. Bene, queste sono vicende che noi pensavamo fossero finite.
Concludo, signor Presidente, visto che ha richiamato il tempo a mia disposizione...
GIOVANNI RUSSO SPENA. È ora!
FEDERICO BRICOLO... manifestando la netta contrarietà della Lega Nord Federazione Padana a questo provvedimento. Lo dimostreremo anche nel corso dell'esame del provvedimento con i nostri emendamenti, con i quali cercheremo di limitare il danno che porteremo non solo all'Alitalia, perché non si potrà mai risanare, ma soprattutto anche all'immagine di questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).
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