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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2004, n. 159, recante misure urgenti per favorire la ristrutturazione ed il rilancio dell'Alitalia.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto altresì che le Commissioni V (Bilancio) e IX (Trasporti) sono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la V Commissione, onorevole Alberto Giorgetti, ha facoltà di svolgere la relazione.
ALBERTO GIORGETTI, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, è al nostro esame il disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 24 giugno 2004, n. 159, recante misure urgenti per favorire la ristrutturazione ed il rilancio dell'Alitalia.
Si tratta di argomento che è all'attenzione dell'opinione pubblica e che ha costituito oggetto di un ampio dibattito svoltosi, in questi mesi, attorno al caso di un'azienda che ha un'importanza prioritaria per gli assetti strategici generali del trasporto, in particolar modo di quello aereo.
In questi anni, abbiamo discusso più volte degli interventi che sono stati promossi, dall'attuale Governo come da quelli precedenti, per sostenere il progetto di ristrutturazione e di rilancio dell'Alitalia. Questo decreto-legge interviene prevedendo che venga concessa una garanzia da parte dello Stato in relazione ad operazioni di finanziamento che Alitalia stipulerà per un importo non superiore in linea capitale a 400 milioni di euro.
L'intervento si concretizzerà, dunque, in garanzie da parte dello Stato che verranno concesse con decreti dirigenziali del Ministero dell'economia e delle finanze. Tali decreti provvederanno a definire in maniera precisa le condizioni secondo le quali lo Stato garantirà i prestiti e consentiranno ad Alitalia di ottenere le migliori condizioni possibili da parte degli enti creditizi. Comunque, la garanzia resterà in vigore fino a quando sarà intervenuta, entro un anno dalla concessione, la completa restituzione dei prestiti.
La situazione finanziaria di Alitalia - è noto a tutti - è assai problematica. Il Governo ha deciso di intervenire in tempi brevi per definire con l'attuale dirigenza un piano di risanamento che garantisca alla società prospettive di sviluppo solide, anche attraverso la stipulazione di accordi che ne rafforzino le capacità operative. Al riguardo, sappiamo che l'amministratore delegato, Cimoli, è stato ascoltato dalle Commissioni riunite bilancio e trasporti anche la settimana scorsa, che il piano industriale di Alitalia è in fase di stesura e che è stato assunto l'impegno di completarne l'elaborazione entro questo mese. Ciò consentirà di arrivare a definire con maggiore serenità quest'intervento di pieno sostegno alla compagnia di bandiera che, comunque, il Governo e la maggioranza sono determinate ad attuare.
La situazione in cui versa Alitalia si colloca indubbiamente in un contesto sfavorevole - basti pensare, anzitutto, all'innalzamento dei costi petroliferi - che non permette di procedere ad un'immediata ricapitalizzazione. Noi siamo convinti, infatti, che quello della ricapitalizzazione sia un percorso importante anche per evitare che eventuali procedure esecutive da parte dei creditori possano determinare maggiori costi per le casse dello Stato (che questo Governo e questa maggioranza vogliono evidentemente evitare). Da qui la scelta di attivare un «prestito ponte» che permetta il proseguimento dell'attività della compagnia durante il periodo necessario per dare il via al piano di ristrutturazione e che crei le condizioni idonee a rendere interessante, sotto il profilo economico e finanziario, la partecipazione alla ricapitalizzazione soprattutto dei privati.
Ho voluto soffermarmi sul contesto in cui si inserisce il decreto-legge in esame per chiarire come l'intervento in esso prospettato sia oggettivamente ineludibile per assicurare, nel futuro immediato, la sopravvivenza dell'azienda e, in una più ampia prospettiva temporale, le possibilità di sviluppo di una realtà economica ed occupazionale di notevole rilievo. Occorre del resto osservare come il decreto-legge in esame preveda condizioni assai rigorose in relazione alle modalità con le quali Alitalia potrà attivare il prestito. Si prescrive che il soggetto o i soggetti finanziatori siano individuati mediante una procedura
competitiva. Come dicevo prima, si fissa alla data del 31 ottobre 2004 il termine ultimo entro il quale Alitalia deve contrarre i finanziamenti, che sono assistiti dalla garanzia dello Stato. Si prescrive che il rimborso da parte di Alitalia avrà luogo entro 12 mesi dalla data in cui sarà effettuato l'ultimo versamento da parte della società delle somme prestate.
Le condizioni qui richiamate sono state tenute ben presenti dalla Commissione europea che, proprio sulla base di questi elementi, martedì scorso ha espresso il proprio assenso all'operazione prevista dal decreto-legge al nostro esame. La decisione della Commissione europea rappresenta senza dubbio un risultato importante per il Governo. Dobbiamo, infatti, ricordare - lo ricordo innanzitutto a me stesso - la costante attenzione prestata in questi anni dalla Commissione europea ai cosiddetti interventi di aiuto di Stato per iniziative di sostegno ad aziende pubbliche che, in qualche modo, potevano minare la concorrenza. Sappiamo che a livello comunitario esiste una normativa particolarmente precisa. Gli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità europea disciplinano in modo molto rigoroso gli interventi di aiuto di Stato.
La decisione da parte della Commissione è stata adottata previa verifica della conformità delle misure recate dal decreto in oggetto agli orientamenti per gli aiuti destinati al salvataggio (in questo caso parliamo soprattutto di intervento destinato al salvataggio, con una prospettiva di ristrutturazione dell'azienda). In particolare, la Commissione ha accertato la sussistenza dei requisiti e delle condizioni per l'erogazione delle garanzie e i suddetti orientamenti di un aiuto di salvataggio. Concretamente, l'intervento della Commissione fa riferimento ai seguenti elementi: l'aiuto consiste nella concessione di una garanzia per un prestito erogato a tassi di mercato; l'ammontare del prestito è limitato alla misura necessaria a mantenere la compagnia in attività; il Governo italiano si impegna a trasmettere alla Commissione, entro sei mesi dalla data di autorizzazione degli aiuti, un piano di liquidazione o un piano di ristrutturazione di Alitalia (nel nostro caso, si parla di piano di ristrutturazione). La Commissione è intervenuta e ha dato il nulla osta, poiché ha riconosciuto l'esistenza di gravi difficoltà sociali. Infatti, non dobbiamo dimenticare che si tratta dei posti di lavoro di 22.200 dipendenti Alitalia, nonché di altri 8 mila lavoratori legati, di fatto, alle sorti della compagnia. Il Governo italiano si impegna a non fornire nessun altro aiuto ad Alitalia in relazione ad un'eventuale futura ristrutturazione, in conformità con il principio dell'aiuto unico previsto dai suddetti orientamenti della Commissione europea.
Sono assenti effetti di spill over negativo delle misure decise dal Governo italiano sugli altri Stati membri, in ragione delle condizioni rigorose definite dalla decisione medesima (quindi, sostanzialmente, un pieno assenso da parte della Commissione europea per quanto riguarda l'intervento a sostegno delle imprese in difficoltà e, quindi, di Alitalia).
Vorrei precisare che il tema degli aiuti di settore di Stato per i trasporti è oggetto di dibattito molto diffuso a livello comunitario e che l'intervento su Alitalia ha già avuto precedenti importanti in altri paesi che hanno pari dignità nell'area euro. Basti pensare all'intervento effettuato in Francia e in altri paesi che, comunque, hanno utilizzato il «prestito ponte» come strumento finanziario di garanzia, che ha consentito ad importanti aziende di ristrutturarsi e di procedere verso un quadro complessivo che prevede una nuova presenza sul mercato. Tutto ciò, alla luce anche degli eventi dell'11 settembre, che hanno condizionato lo sviluppo di un settore che ancora oggi fatica a trovare un assetto definitivo.
Da questo punto di vista, c'è un controllo molto forte sul settore trasporti. Per il trasporto aereo, prima della liberalizzazione, che è avvenuta nella metà degli anni Novanta, si erogavano notevoli fondi. Progressivamente, l'intervento complessivo si è asciugato e anche tale intervento rientra
in questa linea, secondo la quale non vengono erogati fondi direttamente ma si presta una garanzia.
Vorrei svolgere un'ultima considerazione per quanto riguarda il profilo della copertura finanziaria, e quindi l'aspetto più attinente alla Commissione bilancio. Le considerazioni di merito sull'opportunità o meno di adottare questo provvedimento verranno svolte dal relatore per la IX Commissione, onorevole Muratori.
Abbiamo valutato con grande attenzione questo aspetto, che è stato anche sollecitato dal Servizio bilancio, in merito al funzionamento delle garanzie dello Stato e alle modalità di concessione. A fronte di una mia sollecitazione in Commissione bilancio, l'onorevole Contento, rappresentante del Governo, ha precisato come si sia utilizzata una prassi costante per quel che riguarda la concessione di garanzie.
Ho sollecitato, anche in riferimento ad alcune valutazioni della Corte dei conti, un'eventuale stima prudenziale di quelle che potevano essere le somme escusse a garanzia di crediti che potessero essere in qualche modo richiamati da parte di creditori in un percorso legato alla ristrutturazione dell'azienda.
Il Governo ha precisato correttamente che, ai sensi della legge n. 468 del 1978, è difficile prevedere oggi il quadro sostanzialmente incerto legato ai termini di una possibile escussione di garanzia; ma ha anche puntualmente precisato che tutti i riferimenti agli elementi aziendali portano a pensare che la richiesta di un'eventuale esclusione di garanzia sia sostanzialmente nulla o pari a zero.
È evidente che in questo quadro si può utilizzare la legge n. 468 del 1978, che prevede l'eventuale riferimento ai casi di escussione di garanzie al Fondo di riserva per le spese obbligatorie e d'ordine, che andrebbe ad alimentare l'unità previsionale, opportunamente inserita al Senato, che riguarda appunto le garanzie dello Stato, alla quale si dovrebbe fare ricorso nell'eventuale richiesta di fondi a fronte di crediti non onorati da parte dell'Alitalia.
Riteniamo che questa precisazione da parte del Governo sia puntuale e che ci metta anche al riparo da valutazioni prudenziali relativamente a somme da stanziare nel bilancio dello Stato. Si deve tenere in considerazione il fatto che, nel caso in cui ci fosse stata l'eventualità, riconosciuta sia dal Governo che dal Parlamento, di una possibile escussione di garanzia, sarebbe stato opportuno coprirla con un intervento più puntuale, con una copertura da parte del bilancio dello Stato che non facesse riferimento a un Fondo di riserva per spese obbligatorie e d'ordine, che è sostanzialmente un fondo di natura urgente al quale il Governo può attingere di fronte a situazioni straordinarie.
Dopo questa precisazione, ci sentiamo sostanzialmente tranquilli nel portare avanti tale iniziativa, che, lo ribadiamo, riteniamo sia molto positiva in una logica di continuità. È evidente, infatti, ed è sotto gli occhi di tutti, che è interesse dello Stato e del Ministero dell'economia e delle finanze riuscire a dare opportunità a una valorizzazione della partecipazione, rispettando l'impegno assunto nei confronti dell'Unione europea (quello di mantenere la partecipazione dello Stato sotto il 50 per cento), in un percorso di privatizzazione che ridurrà la presenza del Ministero dell'economia e delle finanze dal 62,5 per cento attuale nella società Alitalia al 50 per cento, e anche al di sotto, in quest'opera di ricapitalizzazione complessiva.
È evidente che oggi è interesse dello Stato consentire ad un'azienda di andare avanti in un percorso di ristrutturazione, piuttosto che procedere verso la strada della liquidazione, in un contesto di ulteriore riduzione del valore delle partecipazioni e quindi di danno nei confronti di una valutazione che si avvicinerebbe allo zero per quel che riguarda la partecipazione dello Stato; ciò comporterebbe un costo in termini di bilancio molto più alto e determinerebbe effetti sociali ed economici complessivi che noi considereremmo negativamente.
Per tutti questi motivi, da parte della Commissione Bilancio vi è un sostanziale giudizio positivo sul provvedimento al nostro esame.
PRESIDENTE. Il relatore per la IX Commissione, onorevole Muratori, ha facoltà di svolgere la relazione.
LUIGI MURATORI, Relatore per la IX Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, il decreto-legge n. 159 del 24 giugno 2004, oggi all'esame dell'Assemblea della Camera dei deputati, mira a consentire, attraverso un «finanziamento ponte», l'attuazione del riassetto organizzativo e societario di Alitalia-Linee aeree italiane Spa, indispensabile a garantire la continuità operativa della compagnia di bandiera italiana, colpita da una gravissima crisi finanziaria e priva, ormai, di un'autonoma capacità di credito sul mercato finanziario.
La decisione della Consob di inserire l'Alitalia nell'elenco delle società quotate in borsa sottoposte ad obblighi mensili di comunicazione ha evidenziato, ancora di più, la criticità finanziaria dell'azienda, molto ben rappresentata, d'altra parte, nella memoria consegnata dal presidente e amministratore delegato di tale società, ingegner Cimoli, in occasione dell'audizione informale svoltasi il 7 luglio 2004 presso le Commissioni riunite 5a e 8a del Senato.
Il Governo, valutata la complessa e problematica situazione economico-aziendale e concentrato sull'opportunità di salvare la compagnia, altrimenti destinata al fallimento, ha deciso di concedere all'Alitalia Spa, in tempi rapidi, la garanzia dello Stato su finanziamenti contratti dalla stessa, previa autorizzazione della Commissione europea che, come è noto, è stata concessa lo scorso 20 luglio.
Il decreto-legge in esame è riconducibile al settore dell'ordinamento relativo al sistema contabile dello Stato, così come stabilito ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione. Il primo comma dell'articolo 1 del decreto-legge autorizza il ministro dell'economia e delle finanze, mediante decreti dirigenziali conformi alla normativa comunitaria e a quanto stabilito dall'accordo tra Governo e parti sociali stilato in data 6 maggio 2004, a concedere la suddetta garanzia sui finanziamenti assunti dall'Alitalia e il cui importo non potrà essere complessivamente superiore a 400 milioni di euro.
La garanzia dello Stato, che resterà in vigore fino alla scadenza del termine di rimborso, servirà a coprire le obbligazioni principali ed accessorie assunte dall'azienda in ordine ai finanziamenti contratti. Tale garanzia, inoltre, è vincolata a diverse condizioni. In primo luogo, i soggetti finanziatori devono essere individuati attraverso una procedura competitiva; in secondo luogo, detti finanziamenti non potranno essere contratti oltre il termine fissato del 31 ottobre 2004; l'Alitalia Spa, infine, si impegna a rimborsare i finanziamenti entro dodici mesi dalla data dell'ultimo versamento alla società delle somme prestate.
Il comma 2 del medesimo articolo 1 del decreto-legge in esame dispone che i crediti dello Stato nei riguardi dell'Alitalia, nel caso di escussione della garanzia concessa, siano subordinati agli altri crediti che la società è tenuta a rimborsare, e saranno soddisfatti soltanto dopo il completo soddisfacimento degli altri creditori.
Il comma 3, infine, riferisce le conseguenze della concessione della garanzia sotto il profilo del bilancio dello Stato, stabilendo che gli oneri derivanti dalla concessione della garanzia gravino sul fondo di riserva per le spese obbligatorie e d'ordine e, più specificatamente, sulla quota del fondo destinata ad aumentare gli stanziamenti dei capitoli di spesa aventi carattere obbligatorio.
In caso di eventuale escussione, con decreto del ministro dell'economia e delle finanze, si provvederà a prelevare, dai fondi di riserva per le spese obbligatorie e d'ordine, la somma necessaria per iscriverlo in aumento delle dotazioni di competenza e cassa dell'unità previsionale di base e del capitolo pertinente.
Mi preme evidenziare che il decreto-legge in esame è stato elaborato secondo la
normativa comunitaria vigente. Infatti, a partire dal 1994, la Commissione europea ha adottato, nei riguardi delle imprese in difficoltà, gli «Orientamenti in materia di aiuti di Stato finalizzati al salvataggio e alla ristrutturazione delle imprese in crisi», prorogati successivamente a tutto il 1999. Nello stesso anno, la Commissione ha introdotto una nuova disciplina, più rigorosa e restrittiva rispetto alla precedente, vincolando gli aiuti alle imprese in crisi a determinate condizioni.
Tali orientamenti comunitari si richiamano all'articolo 87, paragrafo 3, lettera c) del Trattato della Comunità europea, che definisce in difficoltà quelle imprese che non sono in grado, con le loro risorse ed in mancanza di un intervento esterno dei poteri pubblici, di contenere le perdite che potrebbero condurle, quasi certamente, al collasso economico a breve o medio termine.
Occorre precisare che gli orientamenti comunitari distinguono inoltre tra aiuto di salvataggio - transitorio per natura - che deve permettere l'attività di imprese in crisi per un periodo corrispondente al tempo necessario per elaborare un piano di ristrutturazione o di liquidazione, ed aiuti di ristrutturazione che, invece, si basano su un piano realizzabile a lungo termine e che sono mirati a garantire la redditività dell'impresa.
Appare evidente che gli aiuti per il salvataggio, circoscritti a prestiti o garanzie su prestiti, sono misure eccezionali che devono avere un limite di tempo massimo pari a sei mesi, prorogabile, e sono altresì vincolati ad alcune condizioni: devono consistere in aiuti di tesoreria, sotto forma di garanzia o di crediti o erogazione di crediti; devono essere ben rimborsati entro 12 mesi dalla data dell'ultimo versamento all'impresa delle somme prestate; devono essere motivati da gravi difficoltà e non avere effetti gravi di spillover negativi in altri Stati membri; all'atto della notifica, devono essere corredati da un impegno dello Stato a presentare, entro sei mesi, un piano di ristrutturazione o di liquidazione o della prova che il prestito è stato completamente rimborsato; l'importo stanziato deve limitarsi a quanto necessario per mantenere l'impresa in attività nel periodo in cui è stato autorizzato l'aiuto.
Come già accennato, lo scorso 20 luglio, la Commissione europea, verificato che le misure recate dal decreto in oggetto si richiamavano agli orientamenti sopraesposti, ha autorizzato il Governo italiano alla concessione di una garanzia di prestito per l'ammontare di 400 milioni di euro a favore dell'Alitalia. Tale aiuto di salvataggio è, tuttavia, subordinato alle seguenti condizioni: il prestito deve essere erogato a tassi di mercato, pari al 4,43 per cento e deve essere rimborsato non oltre dodici mesi dall'ultimo versamento effettuato; la somma stanziata deve essere proporzionata all'importo necessario a mantenere l'azienda in attività; il Governo deve impegnarsi a comunicare, entro sei mesi dalla data di autorizzazione degli aiuti, un piano di ristrutturazione o di liquidazione dell'azienda; deve sussistere una grave situazione sociale che, nel caso specifico, è dimostrabile dall'elevato numero di dipendenti che rischiano il posto di lavoro; il Governo deve, inoltre, impegnarsi ufficialmente a non fornire altro aiuto, anche in relazione ad una futura ristrutturazione, secondo il principio dell'«aiuto unico», previsto dai citati orientamenti; dev'essere garantita, infine, l'assenza di effetti di spillover negativo sugli altri Stati membri.
In sede comunitaria è stato inoltre valutato positivamente l'impegno del Governo italiano a ridurre, entro 12 mesi, la propria partecipazione al capitale Alitalia a meno del 50 per cento. Si rammenta che il capitale sociale dell'azienda è attualmente pari ad oltre un miliardo e 433 milioni di euro, suddiviso in azioni del valore nominale di 0,37 euro, quotate in borsa.
Il Ministero dell'economia detiene circa il 62,4 per cento del capitale della società e la restante parte rappresenta il flottante di borsa. Sempre il Ministero dell'economia detiene la corrispondente quota del prestito obbligazionario emesso dalla società nel 2002, convertibile sino al 2007 in azioni Alitalia nel rapporto di una nuova azione per ogni obbligazione posseduta. È
sottinteso che si esclude categoricamente che possa verificarsi una ricapitalizzazione dell'Alitalia da parte dello Stato, al termine della ristrutturazione della stessa.
Occorre precisare che, sulla base della legge n. 474 del 1994, recante disposizioni generali sulle dismissioni delle partecipazioni detenute dallo Stato, il 18 novembre 2003 è stato presentato alle Camere un decreto-legge del Presidente del Consiglio dei ministri in cui era prevista l'alienazione della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia.
La IX Commissione trasporti, come noto, aveva iniziato l'esame, ma le scoraggianti e ormai famose vicende che hanno interessato l'Alitalia hanno, di fatto, impedito che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri potesse ottenere la definitiva approvazione. Infatti, le criticità dello scenario macroeconomico complessivo, nonché i contrasti verificatisi tra i vertici aziendali e con le rappresentanze sindacali hanno reso inattuato il piano di ristrutturazione che la compagnia aveva approvato in data 30 ottobre 2003 e presentato alle Camere nel dicembre 2003 per l'acquisizione del prescritto parere parlamentare.
La IX Commissione, anche in considerazione dell'evolversi della situazione aziendale, non aveva mai espresso alcun parere.
Mi preme sottoporre alla vostra attenzione, altresì, i principali punti relativi all'accordo tra Governo e parti sociali, ed in particolare: l'impegno ad affrontare la fase di emergenza con soluzioni idonee ad assicurare la continuità aziendale e l'approvazione del bilancio 2003; la definizione di un nuovo progetto industriale; la ricapitalizzazione aperta al mercato con la partecipazione di investitori privati; il riconoscimento all'azionista pubblico di un ruolo di primo piano nella fase iniziale di transizione, ruolo che dovrà essere svolto secondo criteri di effettiva economicità e di piena compatibilità sia con l'ordinamento interno, sia con quello comunitario; l'impegno dell'azionista a chiedere le dimissioni del consiglio di amministrazione e a provvedere alla nomina di un nuovo presidente, che assuma anche la carica di amministratore delegato, con un nuovo consiglio di amministrazione ridotto nel numero; l'impegno assunto di una verifica congiunta circa la progressiva realizzazione degli accordi presi; le parti sociali si impegnano ad accettare un ruolo attivo, responsabile e propositivo nella definizione del nuovo progetto industriale e nella sua attuazione.
Il provvedimento in esame, approvato dal Senato, è stato poi trasmesso alla Camera dei deputati il 15 luglio 2004 e le Commissioni riunite V e IX, cui è stato assegnato in sede referente, ne hanno approfondito e discusso i contenuti, anche in occasione dell'audizione del presidente e amministratore delegato di Alitalia, ingegner Cimoli, avvenuta il 21 luglio scorso.
Sul testo del decreto-legge sono stati acquisiti i pareri del Comitato per la legislazione e delle competenti Commissioni in sede consultiva, che hanno espresso pareri favorevoli. Va, peraltro, evidenziato che la X Commissione attività produttive ha approvato un parere favorevole con una condizione, volta ad evidenziare la necessità, cito testualmente, «che la concessione da parte dello Stato di una garanzia sui finanziamenti contratti da Alitalia sia accompagnata dalla definizione da parte dell'azienda di un efficace piano industriale di ristrutturazione, che rechi concrete indicazioni in ordine alle misure di risanamento prospettate».
Si tratta di un indirizzo sicuramente condivisibile e più volte evidenziato anche nel corso dell'esame svolto dalle Commissioni riunite V e IX.
Nella seduta di giovedì 22 luglio, le Commissioni bilancio e trasporti hanno, quindi, deliberato di riferire favorevolmente sul testo del decreto-legge, così come approvato dal Senato.
Non sono mancate riflessioni e considerazioni circa l'effettiva opportunità di un simile provvedimento. Si è dibattuto sulla reale capacità dell'azienda di soddisfare in tempi così rapidi i crediti dei finanziatori; si è valutato attentamente il rischio che lo Stato si trovi nella condizione di dover fronteggiare i debiti dell'Alitalia
e, soprattutto, si è cercato di capire perché non si è intervenuti con più tempestività e come sia stato possibile che, nel triennio 1998-2001, i precedenti Governi non abbiano impedito alla società, già in crisi, di procedere a circa 4000-4500 nuove assunzioni.
Si è cercato, poi, di analizzare gli interventi operati dagli altri paesi europei. Ci si è domandati se sia opportuno privatizzare e, quindi, perdere la quota maggioritaria di questa azienda, e se fosse stato opportuno riferire all'Assemblea soltanto dopo la visione del piano di ristrutturazione societaria. A queste e ad altre domande le Commissioni hanno cercato serenamente - e, devo riconoscere, anche attraverso la disponibilità dimostrata dall'opposizione - di trovare risposte serie ed equilibrate. È emersa una volontà pressoché generale di evitare il fallimento della compagnia, che - non va dimenticato - impegna più di 22 mila unità e, quindi, coinvolge la vita di 22 mila famiglie.
La necessità di salvaguardare i posti di lavoro è risultato l'elemento prioritario nel dibattito. Certamente, ci siamo resi conto che questa probabilmente rappresenterà l'ultima chance di risanamento per l'Alitalia.
Erroneamente, in passato, si è pensato che le varie capitalizzazioni effettuate fossero sufficienti. Soltanto attraverso un serio e credibile piano di ristrutturazione si potrà garantire il rilancio e il riassetto organizzativo della compagnia. Esso dovrà dimostrare la sua capacità di acquisire nuovi traffici, alimentare nuove linee e favorire nuovi commerci. Tale piano di ristrutturazione dovrà incontrare il sostegno e l'appoggio attivo anche delle parti sociali.
Si è poi sottolineato che lo Stato, detenendo il 62,4 per cento del valore azionario, ha più convenienza a mantenere la società sul mercato, e quindi in regime di operatività, che ad arrivare alla sua messa in liquidazione.
Per quanto concerne la privatizzazione, abbiamo considerato che quasi tutte le compagnie di bandiera, almeno quelle più importanti, sono a partecipazione prevalente di capitale privato e che la privatizzazione dell'Alitalia è stata una condizione irrinunciabile espressa dalla Commissione europea, da tempo impegnata in un processo di liberalizzazione e di trasformazione economica dell'Europa.
Con queste riflessioni, auspico che il decreto-legge in esame venga approvato e che tale garanzia serva a restituire all'Alitalia un ruolo di primo piano nello scenario del trasporto aereo europeo ed internazionale.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
MANLIO CONTENTO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi riservo di intervenire in replica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pasetto. Ne ha facoltà.
GIORGIO PASETTO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, signor ministro (vedo che il ministro Buttiglione ci onora della sua presenza) onorevoli colleghi, questa è sicuramente una settimana cruciale per la vita della compagnia Alitalia.
Vogliamo dire subito che noi non ci opporremo all'approvazione di questo provvedimento, onorevole Muratori, soltanto per senso di responsabilità, in primo luogo nei riguardi del paese, quindi nei confronti della compagnia di bandiera, ovvero di questo vettore nazionale, ed infine nei riguardi dei lavoratori del settore.
Non possiamo tuttavia ignorare che il provvedimento in esame giunge con grave ritardo e con una pesante responsabilità da parte del Governo.
In questi tre anni è stato sostanzialmente ignorato il problema dell'Alitalia: questa è la verità! Sappiamo benissimo che la crisi viene da lontano e non siamo noi a volerlo ignorare; tuttavia, mi sembra che l'audizione del presidente e amministratore delegato, ingegner Cimoli, abbia
fatto giustizia, sottolineando come, rispetto ai tempi, questa crisi si sia aggravata soprattutto negli ultimi due anni.
In particolare, si è aggravata nel corso dell'ultimo anno, tra il ghe pens (tutt) mi del Presidente Berlusconi - ricordo quando egli disse che in un giorno avrebbe risolto tutto, nel momento più acuto di quella crisi - e le tante garanzie e sottolineature date, in modo particolare nella regione Lazio, dal governatore Storace, come se la crisi per certi versi non fosse attraversata anche da una contrapposizione rispetto al problema degli hub, sul quale ritornerò.
La verità è che vi è stato un tentativo, con molti sforzi, operato dall'amministratore delegato Mengozzi, che però è stato sostanzialmente «affossato» da parte del Governo. La risposta del Governo rispetto al piano Mengozzi è stata riassunta nell'audizione del presidente Bonomi e dello stesso amministratore Mengozzi, nel corso della quale questi ultimi presentarono due prospettive diverse e due programmi diversi! Per un verso, la fantomatica cordata del Nord, che avrebbe dovuto acquisire in buona sostanza una parte dell'Alitalia, una volta fuori mercato, con i viaggi, più o meno commerciali, in Sudamerica e le tante altre questioni sulle quali non merita ritornare.
Un punto sul quale si è improvvisato e che verrà affrontato nei prossimi giorni - lo ricordavamo in Commissione - è quello della privatizzazione. Il Governo ha approvato sei-sette mesi or sono un decreto-legge per la privatizzazione dell'Alitalia; tuttavia, l'impianto di quel disegno normativo era talmente debole e confuso che, di fronte alle prime questioni poste all'interno della Commissione da parte di tutte le forze politiche, non se ne è saputo più nulla! Il Governo probabilmente ha ritirato quel decreto; non venivano infatti affrontate le questioni della golden share e del tipo di finalizzazione della privatizzazione.
Era sostanzialmente l'affermazione di principio che si sarebbe proceduto alla privatizzazione. Ciò fino alla precipitazione finale: la nomina di Bonomi e Zanichelli. Non veniamo dall'anno zero ed è evidente che oggi non ci opporremo, perché sappiamo benissimo - e vorrei dare atto al relatore Muratori di averlo riconosciuto - che non si tratta di risanare l'Alitalia ma di evitarne il fallimento. Però, il provvedimento in esame lo evita a tempo breve, perché i problemi di pesantezza finanziaria ed aziendale e di collocazione del vettore a livello internazionale e, per certi aspetti, anche nazionale, si sono fortemente aggravati.
Mi dispiace doverlo dire dopo esserci confrontati, partendo da proposte avanzate da tutti i colleghi, sul riordino del trasporto aereo. Già all'indomani dell'incidente mortale di Linate, si disse che si sarebbe messo ordine in tale settore. Si è voluta immaginare una riforma che rivedesse il codice della navigazione, ma anche quella, che poteva indirettamente determinare azioni di aiuto a tale comparto, è stata abbandonata. Siamo fuori da ogni prospettiva del cielo unico europeo e da un'integrazione rispetto al trasporto più generale.
Ripeto: non ci opporremo all'approvazione del provvedimento in esame perché evita il fallimento dell'Alitalia, ma sappiamo benissimo che esso non risolve i problemi strutturali. Già da domani, con la presentazione del piano industriale da parte dell'Alitalia e con il confronto che si aprirà con le parti sociali, saremo di fronte ad una questione rilevante, soprattutto nella fase più calda del periodo estivo.
Oggi la situazione dell'Alitalia è fortemente peggiorata rispetto ad alcuni anni or sono ed è stata resa ancora più critica dal ritardo, potremmo dire dalla latitanza, del Governo. Il Governo, per voce dei propri ministri, ha alimentato la sfiducia sul futuro della compagnia, provocando in più di un'occasione l'affossamento del titolo in Borsa, di cui ricordiamo tutti la caduta verticale. Ricordiamo tutti anche le affermazioni contrapposte del ministro Maroni e degli esponenti della Lega. Non so cosa accadrà domani sul decreto-legge in esame, ma credo che si ripresenteranno tali questioni. Si tratta di un nodo politico
preciso che ha determinato le odierne condizioni dell'Alitalia. Domani e nei prossimi giorni avremo la prova provata dell'atteggiamento della Lega, forza di maggioranza e di Governo, rispetto a tale questione.
Non si tratta di essere o di non essere pessimisti, ma di un problema di responsabilità nazionale. La questione è soprattutto di carattere politico ed è proprio l'assenza di tale responsabilità che abbiamo fortemente criticato. Abbiamo assistito in questi mesi ad un vero e proprio balletto del Governo, che non ha mai espresso una posizione unitaria e che, di fatto, ha trasformato la compagnia in uno strumento per la ricerca di nuovi equilibri interni.
Nonostante ciò, continuiamo ad auspicare un futuro per la nostra compagnia di bandiera, anche se siamo consapevoli che la questione non è affatto chiusa, anzi entrerà nel vivo proprio nei prossimi giorni con la presentazione da parte dell'amministratore delegato del nuovo piano industriale. In tale occasione, capiremo le intenzioni del Governo e sapremo se rispetterà i propri impegni emanando il famoso decreto sui requisiti di sistema, contenente anche l'estensione degli ammortizzatori sociali del settore. Se non si affrontano questi due problemi, noi mettiamo solo una toppa, che non solo non risolve la crisi dell'Alitalia, ma anzi per certi versi l'aggrava.
Crediamo, infatti, che una volta presentato il piano non sia più possibile che l'azienda si trovi a dover trattare, oltre che con le parti sociali - perché questo è l'altro rischio, a partire da domani -, con le tante posizioni contrastanti all'interno del Governo, che hanno raggiunto il punto massimo nelle opposte ed incompatibili posizioni della Lega e di Alleanza nazionale, emerse anche nelle voci dei rappresentanti dei rispettivi ministri nel consiglio di amministrazione della società, determinando così un clima di incertezza, di blocco e di latitanza della compagnia.
Serve una politica certa, fuori da ogni demagogia e soprattutto non all'insegna della spartizione di potere, che c'è stata nella situazione precedente alla nomina del presidente e amministratore delegato Cimoli. Se non riuscirete ad individuarla, ciò vorrà dire che il grado di litigiosità interno alla maggioranza - che sembra ogni giorno essere superato - è tale da escludere qualsiasi possibilità di affrontare e risolvere i problemi del paese. Questo, comunque, lo verificheremo domani, quando vedremo chi ha senso di responsabilità nei confronti del paese e soprattutto della compagnia Alitalia e, più in generale, nei confronti di questo segmento industriale, molto importante e nevralgico per lo sviluppo del nostro paese.
Noi, infatti, signor Presidente e colleghi, vogliamo scongiurare la chiusura di una società che riveste un ruolo strategico per l'intera economia nazionale. Vogliamo, altresì, scongiurare una contrazione della forza lavoro, che seguirebbe al fallimento della compagnia, così come vogliamo evitare la marginalizzazione dell'Alitalia e soprattutto impedire la svendita della compagnia - che una blanda privatizzazione, allo stato attuale, determinerebbe (allora no, ma oggi sì!) - alle altre compagnie europee, con le quali tuttavia dobbiamo individuare processi di integrazione, perché non possiamo immaginare di essere al di fuori di un contesto di integrazione con le altre grandi compagnie europee.
È nostra intenzione anche impedire la divisione della compagnia in bad company e best company, proprio perché vi è bisogno, anche per ragioni finanziarie, di unità e di economie di scala. Del resto, così come abbiamo mantenuto la holding a livello di Alitalia, dobbiamo mantenere intera ed unica l'Alitalia anche come compagnia.
Vi è infatti il rischio del fallimento della compagnia Alitalia (ed anche Cimoli ha confermato tale rischio), soprattutto in una realtà come quella del nostro paese, dove il trasporto aereo è fondamentale per lo sviluppo economico, ma soprattutto per il turismo. Se dunque ci riferiamo ai cosiddetti requisiti di sistema, dato che l'operazione non può essere limitata sol
tanto ad un aspetto, ci sono economie di scala che possono e debbono essere affrontate il più rapidamente possibile.
Questo, pertanto, è il contributo che intendiamo dare in questa sede, anche attraverso la presentazione di specifiche proposte emendative, non soltanto sulla base del piano industriale già presentato, ma soprattutto riferite alla possibilità che attraverso un intervento di questa natura si produca un risparmio di 120 milioni di euro. Si tratta di interventi atti a garantire un quadro regolamentare ed economico non penalizzante per la conduzione aziendale da parte delle compagnie aeree, in grado di superare le attuali situazioni di criticità di sistema, che costituiscono uno svantaggio per le compagnie aeree italiane rispetto a quelle degli altri paesi. Di questo, infatti, si tratta. Peraltro, non vogliamo dire che la responsabilità debba individuarsi solo in questo frangente storico. È infatti una situazione che ci portiamo dietro da tanto tempo e che va affrontata. Il costo del carburante, i costi delle gestioni aeroportuali sono più alti di quelli di tutti gli altri aeroporti europei. Tale questione va affrontata.
Siamo, inoltre, di fronte ad una parcellizzazione del problema, dal momento che ci si riferisce soltanto a chi si occupa di trasporti. Finalmente interviene a tale riguardo il sottosegretario del Ministero dell'economia e delle finanze; occorre, in particolare, affrontare la questione dell'Alitalia, combinando insieme la politica del trasporto, quella predisposta dal Ministero dell'economia e delle finanze con quella industriale.
Si apra un tavolo di concertazione, perché la situazione è drammatica! Si abbia, inoltre, il coraggio, una volta per tutte, di affrontare il nodo di Malpensa e dell'aeroporto di Linate e di chiarire fino in fondo che va rivalutato, per ragioni strategiche, per l'apertura ai paesi mediterranei, per il ruolo e la funzione che ricopre l'aeroporto di Fiumicino sotto il profilo del trasporto, non solo civile e industriale, ma soprattutto turistico.
Per quanto riguarda le misure del Governo nelle gestioni aeroportuali, avevamo trovato un punto di incontro che consentiva una determinata certezza: è l'incertezza di questo comparto che rende infatti sempre meno appetibili gli hub italiani rispetto alle altre compagnie internazionali. Mi auguro che il processo di privatizzazione inizi il più rapidamente possibile.
Signor sottosegretario, quando, sei mesi fa, il suo collega ci pose il problema affrontato nel decreto-legge, noi non manifestammo una posizione negativa. Dicemmo solo di stare attenti, perché questo comparto ha bisogno della golden share (non l'abbiamo inventata noi, ma è prevista nel provvedimento), uno degli elementi che si richiama alla necessità di un'authority nel settore.
Questo è il motivo per cui reclamiamo e sollecitiamo la risoluzione del problema a livello interministeriale. Non ne uscirete, se lo affronterete in questo modo!
Sappiamo benissimo - lei lo ha affermato con grande onestà culturale e politica in Commissione - che non vi è stata un'apposita richiesta da parte della Commissione europea. È il Governo italiano che si è assunto l'impegno e la responsabilità di procedere al processo di privatizzazione. Noi stiamo prevedendo solo una copertura a rischio e questo rischio c'è ed è forte. È in tale contesto che si inquadrano i requisiti di sistema ed il processo di privatizzazione.
Per verificare l'esistenza di una certa volontà al riguardo, abbiamo presentato cinque emendamenti che prevedono un certo incremento della cifra da voi stanziata, perché, altrimenti, non ce la farete! Dovreste arrivare almeno a 500 milioni di euro, prevedendo anche tempi maggiori.
Ci auguriamo che si riprenda il cammino del piano aeroportuale, perché la crisi non si risolve se non si affronta il problema degli hub, di Milano e di Fiumicino nel suo insieme. Occorre, inoltre, aumentare i poteri sanzionatori che erano previsti e che lo sono tuttora nell'ipotesi finale concepita in sede di Commissione.
Vi è poi la questione più rilevante: di fronte al conflitto sociale che si aprirà, non so se il problema degli ammortizzatori
sociali possa essere ignorato. Mi auguro che gli emendamenti migliorativi vengano accolti e misureremo, anche sulla base di ciò, il nostro atteggiamento, proprio perché non si tratta di un atteggiamento preconcetto.
Ho detto fin dall'inizio che non ci opporremo all'approvazione di questo provvedimento di copertura del rischio, ma occorre verificare sul campo, nell'insieme delle misure da prevedere, se questa disponibilità c'è o meno. Siamo, pertanto, in attesa che tale disponibilità ci venga offerta anche nel corso dell'esame degli emendamenti e delle proposte che perverranno al riguardo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Luigi Martini. Ne ha facoltà.
LUIGI MARTINI. Signor Presidente, il gruppo di Alleanza nazionale plaude a questo Governo, per la sensibilità, la prontezza e, soprattutto, la concretezza che ha dimostrato, con questo provvedimento, nel voler risolvere la grave crisi economica e finanziaria che attanaglia l'Alitalia.
Devo rispondere all'onorevole Pasetto che, nel suo intervento, ha individuato i problemi dell'Alitalia facendoli decorrere da circa due o tre anni fa; guarda caso, proprio all'inizio del Governo Berlusconi, quasi a voler addossare la responsabilità di tali problemi all'esecutivo in carica.
L'onorevole Pasetto è collega troppo informato e professionale per non sapere che il Governo della sinistra aveva, allora, quale ministro dei trasporti, l'onorevole Burlando e che l'amministratore delegato di Alitalia era il dottor Cempella.
L'Alitalia, in quel periodo, chiuse un semestre con circa 300 miliardi di attivo. Il perfetto equilibrio tra l'aeroporto di Fiumicino e quello di Linate faceva sì che l'Alitalia fosse dominante sul mercato nazionale e internazionale. Dunque, il dottor Cempella mise in atto un piano di ulteriore rilancio dell'Alitalia, che prevedeva l'acquisizione del mercato del nord-est e l'acquisizione di altri vettori per le tratte oltreoceano. Quel piano fu fortemente sponsorizzato dall'onorevole Burlando che, attraverso un decreto, procedette ad un potenziamento dell'aeroporto di Malpensa. Peccato che, con un successivo decreto del nuovo ministro, Bersani, si sia aperta una breccia mortale per l'Alitalia nel riequilibrare il traffico del nord con l'aeroporto di Linate. Fu così, onorevole Pasetto, che iniziarono i problemi dell'Alitalia, dunque per l'incoerenza del Governo della sinistra.
Detto ciò, per risolvere i problemi dell'Alitalia, oltre al decreto-legge in esame, è necessaria l'implicazione di un altro soggetto determinante in questa fase, vale a dire il sindacato dei lavoratori. Bene ha fatto l'ingegner Cimoli - amministratore delegato e presidente dell'Alitalia - la settimana scorsa in Commissione bilancio ad affermare che senza l'accordo con i sindacati sul piano di risanamento il prestito non verrà incassato dall'Alitalia. Non leggo ciò come una forma di pressione nei confronti dei lavoratori, ma come un richiamo al senso di responsabilità di tutti, compresi i sindacati, in quanto l'Alitalia oggi non potrebbe sopravvivere un solo giorno a durissime e scomposte forme di lotta da parte di quei sindacati - onorevole Pasetto - che non hanno in questo Governo alcun elemento di riferimento.
A questo punto, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei consueti criteri.
È iscritto a parlare l'onorevole Dario Galli. Ne ha facoltà.
DARIO GALLI. Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione gli interventi dei colleghi di maggioranza e di opposizione, nonché dei relatori e devo dire che, se non avessi seguito la vicenda acquisendo specifiche informazioni, farei fatica a capire di cosa si stia parlando, nel senso che tutti hanno abbondantemente elencato una serie di questioni, ma nessuno ha fornito un minimo di giustificazione in ordine a come si sia giunti a tale situazione.
In questo caso, non si parla di crisi finanziaria, che si verifica quando per qualche motivo un'azienda si trova senza liquidità. L'Alitalia, infatti, è una azienda che degli ultimi 11 bilanci, ne ha registrato 10 in passivo. Quindi, non è un problema finanziario, ma un problema puramente industriale.
Apprezzo lo sforzo compiuto dalla maggioranza, dal rappresentante del Governo e dal relatore per dare una veste presentabile a quanto il Governo si appresta a fare con l'intervento in esame. Tuttavia, non posso che ribadire quanto già osservato da altri rappresentanti della Lega Nord Federazione Padana, in particolare nel corso della seduta del Consiglio dei ministri durante la quale è stato adottato il decreto-legge in esame, e cioè la nostra sostanziale contrarietà a tale intervento.
Si tratta di una contrarietà che è giustificata da considerazioni razionali. L'onorevole Pasetto dovrebbe evitare un'inutile ironia sulle posizioni della maggioranza, della Lega e di Alleanza nazionale: è evidente che nella maggioranza vi sono sensibilità diverse rispetto ad alcuni problemi, ma la Lega, quando è contraria a un provvedimento portato avanti dalla maggioranza, lo è sempre sulla base di motivazioni assolutamente fondate, e non certo per partito preso.
Entrando nel merito, il problema dell'Alitalia è costituito da un'organizzazione aziendale che nei suoi centri di costo non è assolutamente adeguata alle sue potenzialità industriali. L'Alitalia ha circa 23 mila dipendenti, ai quali vanno aggiunti 8 mila soggetti che lavorano sostanzialmente a tempo pieno per l'azienda: si tratta dunque di una società con oltre 30 mila dipendenti. Il personale di volo è tuttavia costituito solo da poche migliaia di dipendenti: il resto è personale di terra, e questo è un primo elemento di difficile comprensione. È ancora meno comprensibile come in tale situazione siano state assunte negli ultimi anni 4.500 persone, in una società che già presentava un evidente eccesso di personale.
Si aggiunga, peraltro, che tale personale è collocato nella sua larga maggioranza (si tratta di 18 mila dipendenti) a Fiumicino. Se si considera il fatto che il 70 per cento dei biglietti aerei pagati in contanti sono venduti nell'Italia settentrionale, in particolare nell'area di Malpensa, diviene poco comprensibile dal punto di vista industriale che un'azienda che ha il proprio mercato a Milano abbia la maggior parte dei propri dipendenti a Roma. Non lo dico perché sono leghista: se vi fosse una ragione, se ad esempio il 70 per cento dei biglietti fosse venduto nel Lazio, sarei il primo a ritenere opportuna l'attuale distribuzione. Tuttavia, se vendiamo le automobili o le travi d'acciaio in una determinata area, non serve avere il cuore pulsante dell'attività da un'altra parte: non si tratta della holding o della direzione generale, che possono trovarsi anche a notevole distanza. Non comprendo tuttavia per quale motivo il personale che carica i bagagli viene assunto a Fiumicino, se gli aerei da caricare si trovano a Malpensa.
Si tratta dunque di una situazione difficilmente comprensibile, sulla quale formulo un'ulteriore osservazione, che costituirà un elemento di polemica ma che ritengo doverosa, anche in considerazione degli interventi di alcuni rappresentanti di Alleanza nazionale. Non si capisce per quale motivo una compagnia di bandiera debba avere il 90 per cento dei dipendenti in un'unica città. Ritengo che i concorsi dell'Alitalia dovrebbero svolgersi su base regionale e che tutti i giovani italiani diplomati e laureati dovrebbero avere la stessa possibilità, garantita peraltro dalla Costituzione, di entrare a far parte della compagnia di bandiera nazionale. Invece, il 90 per cento delle assunzioni riguarda i cittadini romani e laziali: sarebbe dunque più appropriato definire l'Alitalia non la compagnia di bandiera nazionale, ma una compagnia regionale. Il presidente della regione Lazio, Storace, ha molto a cuore tali questioni, e dunque, nell'ambito delle sue competenze, trovi il modo di intervenire per risolvere questa crisi finanziaria.
Non si tratta di un aspetto di costume - che dovrebbe comunque essere valutato con serietà da parte degli amministratori di una nazione - ma di una situazione che comporta un costo analogo a quello del prestito che ci accingiamo ad erogare. Si calcola che la distribuzione dei dipendenti prevalentemente a Fiumicino, a fronte di un traffico aereo che ha il suo baricentro nell'area settentrionale del paese, costi alcune centinaia di miliardi annui solo per gli spostamenti. Ciò non è stato detto, ma credo si tratti di una questione fondamentale, perché non parliamo di un costo marginale, ma di un costo equivalente al prestito che lo Stato si accinge ad erogare.
Gli equipaggi che, pur essendo di stanza a Fiumicino, partono da Malpensa, prendono l'aereo il giorno prima di quello in cui prestano servizio (e, giustamente, sono pagati); vengono trasportati da Roma a Milano (e, quando tornano, ovviamente, da Milano a Roma); pernottano una notte in albergo; il giorno in cui devono lavorare lavorano, poi pernottano un'altra notte in albergo, il giorno dopo - giustamente pagati - riprendono l'aereo e ritornano nel luogo di partenza. Tutto ciò ha un costo che viene valutato in circa 400 miliardi l'anno, la metà del prestito che stiamo per concedere all'Alitalia.
Inoltre, poiché veniamo da una situazione ben poco marketing oriented, come si diceva fino a qualche anno fa - ma ormai purtroppo i corsi di organizzazione aziendale in certe aziende non si fanno più -, siamo arrivati al paradosso per cui a Malpensa i passeggeri paganti rimangono a terra perché gli aerei sono pieni degli equipaggi dell'Alitalia che fanno la navetta Malpensa-Fiumicino. Questa situazione si potrebbe risolvere molto semplicemente spostando il luogo di partenza degli equipaggi nel luogo in cui devono lavorare, come fanno tutte le aziende del mondo quando vi sono queste necessità, senza licenziare nessuno e dando loro il tempo necessario a realizzare questo spostamento. Questa semplice misura sarebbe sufficiente a rendere inutile il prestito che ci accingiamo a fare e che costerà invece agli italiani mille miliardi, che verranno praticamente buttati dalla finestra.
Mi permetto a questo proposito una nota polemica con i colleghi della maggioranza: va bene tutto, ma mi dovete spiegare come farete a riavere indietro in dodici mesi, da una società che ad oggi sta perdendo mille miliardi l'anno, i mille miliardi che voi gli andate a prestare: se questi ne perdono mille, dovrebbero in un anno non perderne più mille e guadagnarne altre mille per restituire il prestito che gli stiamo facendo!
Detto questo, è ancor più singolare il fatto che stiamo per concedere un prestito ad una società per permetterle di uscire dalla sua situazione di emergenza, senza sapere quale sarà il percorso di uscita dall'emergenza. In altre parole, nessuno ha spiegato - perché forse verrà detto solo a fine mese dall'amministratore delegato Cimoli - in che modo l'Alitalia uscirà dalla sua crisi! Normalmente, prima ci si fa convincere della bontà del piano di recupero industriale e poi, eventualmente, si interviene concedendo un prestito.
Sono stati sottolineati poi altri aspetti di questa situazione, come ad esempio la questione sociale, l'occupazione e via dicendo. Io vorrei ricordare innanzitutto che una ditta che è in crisi non assume 4.500 persone negli ultimi tre, quattro anni per dire poi che sono troppe e trovarsi di fronte al problema di lasciarle a casa. In secondo luogo, noi parliamo di personale che non è propriamente composto da poveracci che guadagnano 800 euro al mese, perché la media degli stipendi dell'Alitalia la conoscete meglio di me: stiamo parlando di persone che per molti anni hanno comunque goduto di una situazione di assoluto privilegio. I piloti dell'Alitalia - senza nulla togliere ovviamente alla loro grandissima professionalità, da tutti riconosciuta - sono quelli che volano meno e guadagnano di più. Lo stesso si può dire del personale volante, che sì, sarà simpatico - non sempre, dipende dalle occasioni -, ma alla fine svolge un lavoro il cui contenuto professionale non giustifica,
nella maggior parte dei casi, i compensi che a questi dipendenti vengono poi riconosciuti.
Abbiamo visto nel nostro paese situazioni analoghe in cui non vi è stato alcun intervento di questo tipo. La FIAT qualche decina d'anni fa ha comprato l'Alfa Romeo di Arese, quando aveva 18 mila dipendenti; oggi l'Alfa Romeo di Arese ne ha 300, cioè ha perso quasi 18 mila dipendenti in qualche anno, ma nessuno ha detto nulla (forse perché l'Alfa Romeo di Arese è a Milano, mentre l'Alitalia sostanzialmente è di stanza a Roma).
Il valore strategico della compagnia di bandiera Alitalia non è il fatto di essere una compagnia di bandiera, ma è il mercato del volo italiano - che è soprattutto mercato del volo settentrionale - che è indipendente dalla compagnia che lo gestisce.
Tanto è vero che negli ultimi anni sono nate compagnie private, come l'Air One, o come altre compagnie che fanno le stesse rotte di Alitalia, spesso a metà prezzo, e non per questo si è andati ad incidere sulla valenza strategica del vettore nazionale.
È infatti evidente che il mercato del volo nazionale è costituito dai voli nazionali per definizione. Se non li facesse più Alitalia, li farebbe qualcun altro; e quel qualcun altro, oltretutto, non andrebbe a prendere personale tedesco o inglese portandolo in Italia per far volare gli aerei sul mercato italiano: prenderebbe, evidentemente, se non gli stessi lavoratori, comunque cittadini italiani, che andrebbero a costituire il 99,5 per cento del personale occupato dall'eventuale nuova compagnia che dovesse volare in Italia. Se poi l'amministratore delegato fosse francese, tedesco, inglese - pazienza - essendo una persona su 20 mila, non credo che costituirebbe un grosso problema per qualcuno.
Cosa ben diversa invece - e che la dice lunga sulla sensibilità industriale di questo Parlamento - è la questione dell'auto: perché lo stabilimento di Arese, che abbiamo perso, non è stato sostituito da nulla; la produzione dello stesso numero, se non superiore, di macchine è fatta dalla FIAT, con i 220 mila miliardi presi in vent'anni dal contribuente italiano, utilizzando stabilimenti in Polonia e in Ungheria. La FIAT vende in Italia le stesse macchine di prima, con la differenza che lo fa utilizzando operai polacchi o ungheresi, lasciando quelli di Milano a casa a causa di questa scelta industriale.
Il mercato del volo non può essere spostato da un'altra parte! Se l'Alitalia per qualche motivo dovesse essere ceduta, ridimensionata o semplicemente chiusa per fallimento, sarà sostituita da qualcun altro, che andrebbe a prendere la maggior parte dello stesso personale che oggi fa quel lavoro: il mercato italiano infatti è qui. Nessuno prenderebbe una hostess o un pilota tedeschi, pagherebbe loro per dieci anni una trasferta di qualche decina di migliaia di euro all'anno, per portare in Italia ciò che vi troverebbe già come professionalità.
Lasciamo dunque perdere il discorso della compagnia di bandiera e del valore strategico, perché si tratta di un'altra questione. Qui stiamo parlando di mille miliardi del contribuente italiano che regaliamo ad una compagnia che strutturalmente non è più in grado di stare sul mercato.
Vi ricordo che mille miliardi, dati ad imprenditori seri, non salvano quattro o cinque mila posti di lavoro: ne creano dieci volte di più, perché un posto di lavoro non costa così tanto, quando è produttivo in maniera spontanea. È ovvio che se noi cerchiamo di mantenere sul mercato qualcosa che non vi può stare, potremo dare mille miliardi ogni anno, ma serviranno soltanto a mantenere vivo qualcosa che è sostanzialmente morto.
Volendo chiudere questa prima fase della discussione - ma nei prossimi giorni avremo modo di illustrare meglio la nostra posizione - noi apprezziamo lo sforzo di dare un manto diverso all'intervento attuale rispetto a quelli degli anni passati, perché indica (riallacciandomi a quanto diceva il relatore rispetto alla necessità di un piano di ristrutturazione ed al fatto che le ultime assunzioni allegre siano state
comunque un errore) perlomeno un minimo di volontà di discernimento rispetto ai regali a pioggia che si facevano negli ultimi anni.
Restiamo però fortemente contrari a questo tipo di intervento perché nella fattispecie non risolve assolutamente il problema. In generale - e lo ribadisco per l'ennesima volta anche se mi dispiace farlo - questo intervento è contrario a quanto promesso dalla Casa delle libertà durante la campagna elettorale: noi non abbiamo detto ai cittadini che con il loro denaro e le loro tasse avremmo mantenuto i carrozzoni di Stato. Non avevamo detto questo! Avevamo detto che vi erano i carrozzoni di Stato, che nessuno avrebbe lasciato a casa nessuno, e che si sarebbe intervenuti affinché un carrozzone di Stato diventasse un'azienda normale, capace di stare sul mercato sulle proprie gambe.
Noi non diciamo che se l'Alitalia ha 6 o 7 mila esuberi, come probabilmente è nella sostanza, si deve lasciarli a casa domani stesso: ci mancherebbe altro! Ci sono gli istituti della mobilità, della cassa integrazione, strumenti utilizzati per tutte le altre aziende private, come ad esempio per l'Alfa Romeo. Non dico neanche che di colpo le persone debbano essere spostate da Fiumicino a Malpensa o che si debbano fare chissà quali altri interventi, però è necessario che si pensi ad un piano in questa direzione, che si faccia qualcosa che consenta di avere nei prossimi due o tre anni il personale dove occorre, prevedendo solo le spese giuste, quelle necessarie, non quelle superflue (400 miliardi all'anno per trasferimenti, alberghi e voli aerei persi sono soldi buttati dalla finestra: non so se questo è un concetto che viene percepito in questa sede).
A fronte di ciò, qualunque tipo di intervento ragionevole avrebbe motivo di esistere.
Al contrario, si vogliono dare 800 miliardi di vecchie lire ad una compagnia che non sta presentando alcun piano credibile - si ricomincia a sentire parlare di concertazione e di altre cose del genere: per l'amore di Dio! - e che, di fatto, non vorrà abbandonare quella posizione «romanocentrica» che costituisce, purtroppo, il cuore del problema di Alitalia e dell'Italia!
Se il centro dell'economia sta al nord, non è colpa mia o colpa della Lega: la realtà del paese è questa. Magari, tra vent'anni, il cuore pulsante dell'economia italiana sarà situato tra Sicilia e Calabria: benissimo, sarò il primo ad esserne contento! Oggi, però, non è così: se i soldi vengono spesi, in gran parte, a Milano e se i biglietti aerei vengono acquistati, in gran numero, sempre a Milano, la compagnia non può mantenere l'80 per cento della sua organizzazione a Roma! Questo resta il cuore del problema!
Se c'è la volontà di tenere conto di tutti gli aspetti rilevanti da me indicati, allora sono il primo a dire che è giusto fare tutto il possibile per mantenere in vita una compagnia che appartiene comunque alla storia del paese (altre considerazioni potrebbero supportare una simile scelta). Se, invece, si tratta soltanto di regalare 800 miliardi di vecchie lire - come hanno fatto altri prima di noi - a fronte di qualche pagina di relazione in più, non si può assolutamente pretendere di trovarci concordi. In questo secondo caso, credo che anche nel prosieguo della discussione il nostro movimento manterrà una posizione contraria a questo regalo che il contribuente italiano, per il tramite del Governo della Casa delle libertà, è chiamato a fare alla compagnia Alitalia.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.
PIETRO TIDEI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è al nostro esame un provvedimento che, com'è stato più volte detto questa mattina, tenta di salvare in extremis ciò che ancora può essere salvato di Alitalia, la nostra compagnia di bandiera, dopo tre anni di totale assenza di un governo del complesso settore del trasporto aereo.
Che le cose non andassero bene per l'Italia e, nel caso di specie, per il nostro vettore aereo, lo si sapeva ormai da anni perché la crisi non si è verificata oggi, ma
viene da lontano. Alitalia è un'azienda che perde, attualmente, milioni di vecchie lire al minuto e che è stata costretta a varare, in tre anni, quattro piani di salvataggio che sono stati puntualmente disattesi. Essa ha un management inadeguato e, soprattutto, incapace di affrontare le nuove ed ardue sfide imposte da un mercato sempre più globalizzato.
In questi anni si è puntato il dito, quasi esclusivamente - e qui non sono assolutamente d'accordo con il collega della Lega - sull'eccessivo costo del lavoro, considerato la causa prima della crisi, senza guardare, invece, agli sprechi, al clientelismo, alla perdita di competitività sul mercato interno ed internazionale. Se è vero che 4 mila 500 assunzioni sono state effettuate proprio in questi ultimi anni, la ragione di ciò non può sfuggire al collega della Lega, il quale fa parte della maggioranza che sostiene il Governo.
Tuttavia, non si può prescindere dalla crisi internazionale che ha colpito indistintamente il trasporto aereo mondiale. Dobbiamo ricordare, certo non per dovere di informazione, ma per essere onesti con noi stessi, che gli effetti dell'11 settembre sono stati disastrosi. Sappiamo tutti che la crisi petrolifera, la guerra, la SARS e, più in generale, la congiuntura mondiale hanno determinato il tracollo di intere compagnie aeree!
In questo scenario assolutamente negativo e critico, pur all'interno di un crisi mondiale di tale portata, alcuni vettori non soltanto sono riusciti a salvare il fatturato e, quindi, se stessi, ma sono addirittura riusciti ad espandere la loro fetta di mercato sia nel settore delle merci sia in quello dei passeggeri. Ad esempio, nel 2003, Air France e KLM hanno aumentato il traffico del 19,5 per cento, mentre Iberia, negli ultimi anni, è passata da una perdita di 217 milioni di euro ad un utile di 318 milioni di euro, chiudendo gli ultimi bilanci tutti con sostanziali utili netti. Al contrario, Alitalia ha fatto registrare, purtroppo, riduzioni del fatturato e delle quote di traffico che hanno causato perdite di bilancio di gran lunga superiori a quelle degli anni 2001 e 2002, che sappiamo essere stati gli anni bui del trasporto mondiale.
Mi dispiace che i colleghi della maggioranza fin qui intervenuti non abbiano individuato la vera causa della crisi: l'assenza di requisiti di sistema che esistono in tutta l'Europa e nel mondo. Bisogna verificare se una hostess è di Milano o di Roma? Ma la crisi non può essere dovuta a questo! Così si sfiora il ridicolo!
Occorre invece considerare la mancanza di quei requisiti di sistema presenti in altre realtà europee che, se esistenti, permetterebbero al nostro vettore nazionale di operare in condizioni sicuramente migliori rispetto a quelle attuali. Mi riferisco, in modo particolare, alla confusione e, spesso, alla poca chiarezza che regna nel sistema delle gestioni aeroportuali nonché all'assenza di una legislazione nazionale che disciplini la navigazione aerea in modo moderno, efficiente e sicuro.
Da tre anni - e questo è il nodo principale - giacciono in IX Commissione i provvedimenti relativi al trasporto aereo. Da tre anni la Commissione è paralizzata; non decide nulla, non assume alcuna iniziativa in questa direzione. Dopo quasi tre anni dalla sciagura di Linate, il paese aspetta ancora misure urgenti e concrete per la sicurezza del trasporto aereo; abbiamo un codice della navigazione vecchio di oltre sessant'anni, eppure le proposte a livello parlamentare non sono mancate. I familiari delle vittime, le varie associazioni, le forze sociali e sindacali, gli organi tecnici e scientifici hanno presentato proposte e suggerimenti sinora purtroppo rimasti inascoltati. Lo stesso Presidente del Consiglio, onorevole Berlusconi, più volte ha annunciato come imminente l'estensione degli ammortizzatori sociali al settore aeroportuale: la cassa integrazione guadagni, l'incentivo all'esodo volontario e così via. Altro che Arese! Gli operai di Arese, pur nella drammatica situazione di crisi dello stabilimento, hanno ricevuto l'assistenza della cassa integrazione guadagni e di altri ammortizzatori sociali. Oggi il settore del trasporto aereo è escluso. Seimila esuberi significa che si va
a casa. Altro che dichiarare che non si manda a casa nessuno! Quali sono oggi le forme e gli istituti che possono consentire di non mandare a casa nessuno? Seimila esuberi significa seimila licenziamenti, senza l'assistenza di alcun paracadute sociale!
Nonostante gli annunci, finora niente si è mosso in questo delicatissimo settore. Tutti sanno che un qualsiasi processo di ristrutturazione aziendale, se accompagnato da interventi governativi di sostegno, rende meno dolorosa la riduzione di personale. Cosa diversa è procedere oggi a tagli drastici ed a licenziamenti senza alcun paracadute sociale. Saremmo inevitabilmente in presenza di tanti drammi familiari i cui effetti e le cui ricadute sono ben inimmaginabili.
Si tratta di una crisi nella quale emergono, senza mezzi termini, molte responsabilità di questo Governo, che, negli ultimi tre anni, non ha avuto la benché minima strategia. Vorremmo sapere dal Governo quale sarà, quale sia stata e quale sia oggi una minima strategia nel settore del trasporto aereo in cui il Governo e il Ministero sono attualmente impegnati. Non vi è stata nessuna politica di settore all'altezza della situazione, né può valere in alcun modo l'alibi del rischio dell'apertura di procedure di infrazione a carico dello Stato italiano in caso di aiuti diretti al vettore Alitalia che potrebbero alterare il principio della libera concorrenza del mercato. Altri aiuti di Stato sono stati indirettamente concessi alla compagnia di bandiera senza incorrere peraltro nelle censure dell'Unione europea. Lo stesso prestito di cui stiamo discutendo (che sicuramente è un aiuto) e la ricapitalizzazione dell'Alitalia hanno avuto l'assenso dell'Unione europea.
Come si vede, laddove si vuole intervenire, vi sono le compatibilità con le direttive dell'Unione europea. Si poteva e si può ancora intervenire, conformemente alle direttive europee, in un settore che sta rischiando il tracollo con la scomparsa dallo scenario del trasporto aereo mondiale di un vettore (questa non è demagogia) la cui tradizione e le cui competenze aeronautiche hanno fatto la storia gloriosa della nostra aviazione civile. Questo non possiamo mai dimenticarlo.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, pochi giorni fa abbiamo ascoltato il nuovo presidente ed amministratore delegato Giancarlo Cimoli. La situazione dell'Alitalia è stata rappresentata subito nella sua drammaticità. Senza mezzi termini, l'ingegner Cimoli ha tenuto a precisare che il «prestito ponte» serve a mantenere e a garantire la continuità operativa dell'azienda Alitalia. Senza tale prestito, un'azienda con appena centomila euro (non è mai stato detto, ma oggi le liquidità finanziarie nelle casse dell'Alitalia ammontano a tale cifra) e senza l'affidabilità da parte del sistema bancario si vedrebbe costretta a portare i registri in tribunale nel giro di pochissimi mesi.
È vero che, secondo il collega della Lega, ciò non significherebbe niente. Beato lui! Oggi affrontare una situazione in cui 30 mila persone rischiano di essere mandate a casa senza, peraltro, nessun ammortizzatore sociale non può essere considerata ben poca cosa: la questione riguarda esclusivamente il collega della Lega!
Di fronte a questa drammatica situazione, il gruppo dei DS, nonostante le dure critiche al Governo e allo stesso management, non può permettere la liquidazione del vettore nazionale con conseguenze drammatiche per 22 mila dipendenti e per le migliaia di lavoratori che operano nell'indotto. È per questo che abbiamo deciso di votare a favore di questo provvedimento, pur non rinunciando a presentare alcuni nostri emendamenti migliorativi del testo proposto. Nonostante l'opposizione della Lega, ci auguriamo che il provvedimento, con il consenso del Parlamento, produca gli effetti desiderati con celerità, impedendo all'azienda di portare i registri in tribunale per cessata attività.
Non rinunceremo, invece, ad incalzare il Governo sulla necessità di una svolta strategica del settore dell'aviazione civile, dove questo Governo ha accumulato ritardi e negligenze inammissibili per un paese moderno quale appunto l'Italia. Né
rinunceremo ad offrire le nostre idee e i nostri suggerimenti al settore Alitalia, il cui management è responsabile anch'esso di ritardi, sprechi, incompetenza e, molto spesso, superficialità.
In particolare, chiediamo al Governo, ad Alitalia e agli organi competenti nel settore dell'aviazione civile innanzitutto l'adozione di un piano industriale vero e non falso, come quelli presentati fino ad oggi, condiviso e concertato con le forze sociali e sindacali, all'interno del quale emerga con chiarezza l'obiettivo del rilancio della capacità operativa e di penetrazione di questo settore sia sul piano interno che su quello internazionale. Non è pensabile che, in Italia, Malpensa e Fiumicino messi insieme (altro che guerra tra Malpensa e Fiumicino!) possano oggi movimentare neanche 500 mila tonnellate di merce, mentre il solo aeroporto di Francoforte ne movimenta un milione e 700 mila, quasi quattro volte il totale delle merci che si sposta dai due aeroporti italiani, che sono i nostri due hub. Malpensa e Fiumicino insieme movimentano neanche un quarto di quanto Francoforte movimenta da solo.
In secondo luogo, chiediamo l'adozione di provvedimenti urgenti da parte del Governo relativi all'estensione degli ammortizzatori sociali ai lavoratori del trasporto aereo. L'onorevole Berlusconi lo ha dichiarato in più di un'occasione, lo detto in televisione e lo ha annunciato sulla stampa. Il Governo, tuttavia, al di là delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, non ha ancora mosso un dito per estendere la cassa integrazione ai lavoratori del trasporto aereo.
In terzo luogo, chiederemo la definizione, una volta per tutte, delle funzioni degli hub di Malpensa e Fiumicino, contrastando su questo la posizione assurda, settaria e incomprensibile del presidente della giunta della regione Lombardia, che tenderebbe ad eliminare l'aeroporto di Fiumicino e a puntare esclusivamente sull'aeroporto di Malpensa.
Quello che, invece, chiediamo al Governo, all'ENAV, all'ENAC e alla società di gestione di Malpensa è di completare il processo di infrastrutturazione di quell'aeroporto per consentire a quell'hub di sfruttare al massimo le potenzialità che ancora non vengono adeguatamente utilizzate e che fanno dell'aeroporto di Malpensa un aeroporto non sicuro.
Leggevo stamani sulla stampa che i bagagli del segretario del nostro partito, Fassino, sono rimasti al Malpensa mentre lui era negli Stati Uniti d'America. I disservizi sono all'ordine del giorno. Allora, per quale motivo non sfruttare adeguatamente le potenzialità che esistono in questo mercato, portando a completamento il processo di infrastrutturazione, che incomprensibilmente in questi anni si è fermato? Vorremmo sapere per quale motivo si fermato il processo di infrastrutturazione necessario al vero decollo di questo hub, che ancora hub non possiamo dire che sia.
In quarto luogo, vorremmo una nuova politica delle alleanze commerciali con altri vettori stranieri. Anche qui non ho sentito nulla, ad eccezione dell'onorevole Pasetto. Oggi sul mercato europeo operano tre principali alleanze commerciali: SkyTeam, con posizione dominante di Air France, One World, con posizione dominante di British Airways, e Star Alliance, dominata da Lufthansa.
Questi tre nuovi soggetti hanno già consolidato, nei propri asset societari, posizioni di potere e interessi aziendali. L'ingresso ormai tardivo di Alitalia in uno di questi tre soggetti (verosimilmente, ovviamente, pensiamo a SkyTeam), avverrà sicuramente nelle peggiori condizioni per il nostro vettore. Si tratta di una considerazione che dovrebbe forse indurre, a mio modesto avviso, l'azienda a valutare meglio, anche se tardivamente, ed a costo di pagare qualche penale, le condizioni offerte dagli altri soggetti attualmente operanti sul mercato internazionale - come Star Alliance, vorrei dirlo chiaramente -, per stabilire un asse nord-sud che potrebbe essere Roma-Milano-Francoforte.
È certo che il problema delle alleanze, che oggi assume una funzione strategica, è decisivo e non può essere ulteriormente
rinviato, avendo già l'Alitalia pagato, per tali ritardi, un prezzo enormemente caro e non ulteriormente accettabile.
Come quinta istanza, vorremmo fosse soddisfatta un'ulteriore condizione, che riteniamo importantissima ed indispensabile per il rilancio del nostro vettore: la definizione di una nuova strategia aziendale nei confronti delle compagnie low cost (anche su questo terreno, vorrei segnalare che ho sentito dire poco) e del mercato domestico. Infatti, come ho affermato precedentemente, in un sistema fortemente globalizzato e competitivo, nel quale l'abbattimento dei costi di gestione - purtroppo, talvolta anche a danno della sicurezza e dell'incolumità dei passeggeri - fa conquistare fette di mercato sempre più consistenti alle cosiddette compagnie aeree low cost, non si può rimanere indifferenti a tale fenomeno, che ha ormai assunto dimensioni mondiali. Occorre anche in tal caso, a nostro giudizio, una politica di alleanze e di diversificazione dei prezzi, capace di aggredire un mercato fortemente in crescita, e sicuramente attento anche al costo del biglietto.
Lo stesso discorso vale per il mercato domestico, dove il nostro vettore, a differenza di altre compagnie internazionali ed europee, non è altrettanto forte e presente. Rispetto alla totale indifferenza, manifestata anche in questo caso, occorre pertanto una strategia che ripristini la centralità di Alitalia sul mercato domestico, attraverso alleanze, fusioni e accordi commerciali con gli altri operatori del mercato interno.
Un ulteriore problema non più eludibile, infine, è costituito dal ruolo, dalla funzione e dalla definizione di nuove regole per le società di gestione degli aeroporti. Occorrono, infatti, regole omogenee - non il caos attualmente esistente in Italia! - sulla durata della gestione del sedime aeroportuale e dei servizi a terra (handling), nonché sul rispetto e sull'esecuzione dei piani di gestione e di investimento della società di gestione stessa.
Vi è troppa libertà, vi sono troppi pochi controlli e, soprattutto, vi è l'assenza di un vero e proprio regime sanzionatorio: infatti, al di là della revoca della concessione, l'authority del settore (in tal caso, l'organo di controllo ENAC ed il direttore dell'aeroporto) non dispone di altre vie intermedie per imporre sanzioni ed obblighi.
In tale ottica, credo si riesca a comprendere, come ha ricordato precedentemente il collega Pasetto, anche il complesso ventaglio di alti costi di alcuni servizi (handling) e di alcuni beni (come il fuel, il carburante). Il carburante, infatti, in Italia costa enormemente di più rispetto ad altre parti d'Europa, e si comprende come Alitalia, che dispone di basi operative a Roma e a Milano, sia costretta ad approvvigionarsi in questi due aeroporti, dove sopporta, ogni anno, costi di gestione enormi per l'acquisto sia di carburante, sia dei servizi a terra.
Si tratta, anche in questo caso, di un requisito di sistema, che consentirebbe ai vettori nazionali, in particolare ad Alitalia, di risparmiare notevolmente sul costo del carburante e di altri servizi a terra. Non è pensabile, come è avvenuto nel caso degli Aeroporti di Roma, che in poco tempo gli azionisti abbiano totalmente recuperato il capitale investito, ed abbiano addirittura realizzato eccellenti affari, con la vendita ad un imprenditore australiano di gran parte della stessa società, senza che l'organo di controllo competente (ENAC o Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) abbiano avvertito la necessità o avuto il potere di intervenire in merito. Ciò contravvenendo alle disposizioni contenute nell'atto concessorio: mi riferisco, in particolare, agli investimenti sul sedime aeroportuale ed alle tariffe dei servizi erogati o delle merci vendute.
È per questo che occorre varare, da subito, una riforma di sistema che modifichi le regole ed adegui gli strumenti alle esigenze di una navigazione aerea moderna, efficiente e sicura. Si tratta, in altri termini, della riforma del trasporto aereo, che stiamo chiedendo insistentemente, da tre anni, di fronte ad un Governo sordo, distratto ed apparentemente disinteressato alle sorti di un sistema strategico e vitale per l'economia del nostro paese.
Dico e ripeto «apparentemente disinteressato» perché non vorremmo che, di fronte a tanta incomprensibile cecità, incompetenza ed assenza di strategie, alla fine emergesse invece un disegno subdolo quanto preoccupante: provocare, cioè, il fallimento o l'indebolimento della nostra compagnia di bandiera per venderla, o svenderla, a qualche gruppo di amici italiani e stranieri - e mi sembra che le parole pronunciate dal collega del gruppo della Lega Nord Federazione Padana già anticipassero qualche «appetito» o qualche disegno - e fare della nostra storia aeronautica, prestigiosa e piena di competenze, una semplice merce di scambio per favorire affari di gruppi sempre più spregiudicati ed insensibili alle sorti della nostra aviazione civile.
Senza questi requisiti, è ovvio che i 400 milioni di euro rischiano di essere buttati al vento e di non sortire l'effetto che tutti ci auguriamo possano produrre.
Se questo provvedimento costituirà il primo passo nel senso di un'inversione di tendenza - come ha lasciato capire anche l'ingegner Cimoli -, il nostro gruppo darà il proprio assenso, convinto che l'Alitalia si può ancora salvare, rilanciandone il ruolo e sfruttando le tante professionalità, competenze e potenzialità presenti nell'aviazione civile italiana, nonché collocandola sul piano internazionale con un ruolo primario e da protagonista.
Diversamente, se da oggi a qualche tempo non si verificheranno le condizioni sopra descritte e non si attiveranno quei requisiti di sistema, ormai imprescindibili, faremo sentire tutta la nostra voce in Parlamento e nel paese, affinché emergano, in modo chiaro ed inequivocabile, le responsabilità di un Governo che avrà voluto distruggere la nostra aviazione civile e tutta l'economia che attorno ad essa ruota; responsabilità, è evidente, di un Governo che, al di là di tante promesse, ha di fatto scardinato il nostro sistema economico e produttivo e avrà cancellato migliaia di posti di lavoro nel nostro paese.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
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