Allegato B
Seduta n. 477 del 15/6/2004


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INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA

DORINA BIANCHI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 62, comma 1, lettera a), della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003) dispone che, al fine di assicurare una corretta applicazione delle disposizioni in materia di agevolazioni per gli investimenti nelle aree svantaggiate di cui all'articolo 8 della legge n. 388 del 2000, i soggetti che hanno conseguito il diritto al contributo comunicano all'Agenzia delle entrate, a pena di decadenza, non oltre il 28 febbraio 2003, i dati occorrenti per la ricognizione degli investimenti effettuati, sulla base di apposito modello di comunicazione approvato con provvedimento del direttore dell'Agenzia;
nell'attuazione di tale normativa si sono registrati sensibili ritardi ed è intercorso un ristretto arco temporale tra la pubblicazione del modello di comunicazione dei dati da fornire all'Agenzia delle entrate ed il termine di scadenza per l'invio del modello medesimo da parte dei soggetti che hanno conseguito il diritto al contributo;
le modalità telematiche di invio del modello di comunicazione hanno fatto riscontrare alcune inefficienze nel funzionamento del sistema che non hanno consentito un corretto invio dei dati richiesti entro il termine previsto;
molti contribuenti si sono visti scartare la comunicazione trasmessa pochissimi minuti dopo la mezzanotte del 28 febbraio 2003 o addirittura entro la mezzanotte;
in data 15 gennaio 2003 il Ministro Giovanardi rispondendo ad un'interrogazione a risposta immediata presentata dall'interrogante precisava che «non può rappresentarsi come un rischio per la perdita del diritto all'agevolazione a carico di tali soggetti, che prima dell'8 luglio 2002 hanno effettuato gli investimenti, ottenendone il relativo assenso, l'assolvimento di un mero doveroso adempimento qual è la comunicazione all'agenzia delle entrate dei dati occorrenti per la ricognizione degli investimenti effettuati, trattandosi evidentemente di una semplice trasmissione di dati, conosciuti dai diretti interessati, che tuttavia, se non acquisiti, non consentirebbero agli uffici, in ossequio all'esigenza del contenimento dell'onere finanziario nei limiti del budget preventivato, di assolvere alle ordinarie procedure di monitoraggio in funzione dell'accesso all'operatività dell'agevolazione»;
il Ministro in tale occasione aveva pertanto assicurato che «il rischio paventato che le imprese meridionali possano perdere il credito d'imposta già maturato non ha ragione d'essere, essendo il diritto acquisito dai beneficiari dell'agevolazione riconosciuto nella sua interezza ed essendo la sospensione una misura temporanea, originata dalla circostanza dell'esaurimento dei relativi fondi stanziati per il 2002, il cui scopo è, appunto, quello di rendere quanto prima operativo il monitoraggio


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dell'agevolazione, in modo tale da effettuare una precisa ricognizione degli investimenti realizzati, unitamente al controllo della loro inerenza» -:
quali iniziative intenda il Ministro assumere per tutelare le imprese che hanno conseguito il diritto ad usufruire delle agevolazioni per investimenti nelle aree svantaggiate di cui all'articolo 8 della legge n. 388 del 2000 anteriormente alla data dell'8 luglio 2002 ma hanno avuto difficoltà pratiche in relazione alla comunicazione dei dati all'Agenzia delle entrate.
(4-07223)

Risposta. - L'interrogante ha chiesto di conoscere quali iniziative si intendano adottare per tutelare le imprese che non hanno potuto trasmettere, entro il termine del 28 febbraio 2003, gli appositi modelli contenenti i dati per usufruire delle agevolazioni per gli investimenti effettuati nelle aree svantaggiate, ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 388 del 2000.
L'articolo 62, comma 1, lettera
a) della legge finanziaria per il 2003 (legge 27 dicembre 2002, n. 289) ha disposto, a carico dei soggetti che hanno conseguito il contributo per gli investimenti effettuati nelle aree svantaggiate anteriormente alla data dell'8 luglio 2002, l'obbligo di comunicare, a pena di decadenza dal contributo, i dati relativi agli investimenti realizzati.
Tale obbligo è anche a carico dei soggetti che hanno ottenuto l'assenso dell'Agenzia delle entrate in relazione all'istanza presentata successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 178 del 2002.
In attuazione delle citate disposizioni, con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate del 24 gennaio 2003 e, quindi, entro il termine di trenta giorni, sono stati tempestivamente approvati due distinti modelli di comunicazione, Modello CVS e modello CTS, il cui termine iniziale per l'invio è stato fissato al 31 gennaio 2003.
Dal 30 gennaio 2003 e, quindi, in tempo utile per l'inoltro, è stato reso disponibile sul sito dell'Agenzia delle entrate il prodotto informatico per la trasmissione dei dati, denominato
Report 388.
Da quanto sopra esposto, emerge chiaramente, secondo l'Agenzia delle entrate, che il mancato invio dei dati nei termini prescritti non è imputabile al ritardo nella pubblicazione dei modelli, che, peraltro, a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge 12 novembre 2002, n. 253, decaduto, erano stati già approvati in data 12 dicembre 2002 e pubblicati nella
Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27 dicembre 2002, in versione del tutto simile a quella approvata successivamente.
Per quanto concerne le presunte inefficienze del sistema telematico, il quale non avrebbe consentito l'invio dei dati nel termine prescritto, l'Agenzia delle entrate ha precisato che, nel periodo previsto per la trasmissione dei dati, il sistema è stato regolarmente operativo.
A riprova del corretto funzionamento del sistema di ricezione, la predetta Agenzia ha precisato che la gran parte delle imprese, tenute all'adempimento, ha inviato le comunicazioni dei dati nei termini prescritti e che l'unica lamentela è pervenuta da parte di alcuni contribuenti ritardatari che, alle ore 24 del 28 febbraio 2003, si sono visti negare la possibilità di inoltrare la comunicazione.
A tale data, infatti, in ottemperanza alle disposizioni contenute nel citato articolo 62 della legge n. 289 del 2002, che ha sancito l'obbligo dell'invio dei dati, a pena di decadenza dal beneficio, entro il termine perentorio del 28 febbraio 2003, la ricezione dei dati è stata sospesa.
Per quanto concerne lo scarto dei modelli CVS inviati a ridosso della mezzanotte del 28 febbraio 2003, l'Agenzia delle entrate ha fatto presente che le comunicazioni di cui trattasi sono state acquisite dal sistema telematico, che ne ha rilasciato apposita ricevuta comprovante l'avvenuta presentazione, soltanto nel caso in cui la ricezione dei relativi
file sia stata completata entro le ore 24 del 28 febbraio 2003.
Tuttavia, il Centro operativo di Pescara, in considerazione del fatto che tali comunicazioni sono finalizzate a confermare un beneficio già in precedenza acquisito, ha


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provveduto, su istanza dei soggetti interessati, al riesame delle singole comunicazioni scartate in fase di ricezione, disponendo, nella propria competenza, l'accoglimento delle comunicazioni presentate nei termini ed individuabili sotto il profilo soggettivo ed oggettivo.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Daniele Molgora.

BOVA, MINNITI, OLIVERIO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 16 dicembre 2003 al presidente della provincia di Crotone, prof. Carmine Talarico è stata recapitata una busta contenente polvere da sparo, pallini da fucile e minacce di morte per lui e la sua famiglia;
da più tempo, con una sequenza inquietante, il prof. Carmine Talarico è oggetto di intimidazioni;
in data 31 luglio 2003 e il 28 agosto 2003 due gravi atti intimidatori lo hanno interessato;
il 31 luglio con l'invio di una lettera minatoria contenente minacce di morte e un proiettile di pistola calibro nove;
il 28 agosto lo stesso presidente ha denunciato l'esplosione di un colpo di arma da fuoco presso la sua dimora estiva di Praialonga nel comune di Isola Capo Rizzuto (Crotone);
quali iniziative intenda adottare per tutelare la persona del presidente prof. Carmine Talarico e della sua famiglia.
(4-08520)

Risposta. - Gli atti intimidatori ai danni del presidente della provincia di Crotone, professor Talarico, sono stati esaminati attentamente in sede di riunione tecnica di coordinamento delle forze di polizia presso l'ufficio territoriale del Governo.
Sin dal 31 luglio 2003 è stata disposta, in via d'urgenza, la misura di protezione della vigilanza generica radiocollegata presso l'abitazione della vittima, confermata il 12 agosto seguente.
Il prefetto di Crotone ha riferito che le risultanze investigative, condotte anche ai fini di accertare un'eventuale esposizione a rischio del pubblico amministratore, hanno consentito di escludere che il gesto fosse riconducibile alla criminalità organizzata o di stampo terroristico, ritenendosi invece verosimile un suo collegamento a malcontenti derivanti da questioni di carattere amministrativo.
All'indomani dell'ulteriore atto intimidatorio denunciato dalla stessa vittima il 28 agosto (un colpo di pistola udito nelle vicinanze della propria dimora estiva, in località Praialonga), si è tenuta una nuova, apposita riunione di coordinamento interforze con la partecipazione dello stesso Presidente provinciale, a seguito della quale è stata deliberata l'intensificazione dei dispositivi in atto, richiamando l'attenzione dell'istituto privato incaricato della vigilanza presso la sede dell'amministrazione provinciale.
Dal dicembre 2003, a seguito della lettera intimidatoria cui fa riferimento l'interrogante, i servizi di protezione in favore dell'amministratore sono stati ulteriormente rimodulati allo scopo di assicurare un'osservazione continua e diretta dell'interessato nei suoi spostamenti tra l'abitazione e l'ufficio.
Il prefetto di Crotone ha riferito, infine, che dell'attività svolta e delle determinazioni assunte è sempre stato tempestivamente informato l'ufficio centrale Interforze per la sicurezza personale istituito presso il dipartimento della pubblica sicurezza, che ha preso atto delle misure di protezione adottate, ritenendole adeguate alla situazione e, anche alla luce degli approfondimenti richiesti, non ha ritenuto ricorressero le condizioni previste per l'applicazione di ulteriori misure speciali.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.


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CENTO e RUSSO SPENA. - Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 7 febbraio 2002 circa 100 famiglie del Comitato popolare per la casa hanno occupato simbolicamente l'edificio della Provincia di Roma di via dei Prefetti per poi rilasciarlo dopo pochi minuti;
la manifestazione si è svolta alla presenza delle forze dell'ordine senza alcun incidente e in modo pacifico;
i rappresentanti del Comitato hanno richiesto durante l'iniziativa incontri con rappresentanti delle forze politiche e degli enti locali interessati;
lo scopo della protesta delle famiglie era quello di denunciare all'opinione pubblica e alle autorità l'emergenza casa nella capitale e lo stato di abbandono di numerosi edifici pubblici nella capitale;
l'edificio di via dei Prefetti è non utilizzato da almeno 15 anni, in stato di abbandono, e in parte pericolante;
è necessario prevedere, anche dallo Stato, interventi economici e finanziari per il recupero del patrimonio immobiliare pubblico;
l'emergenza abitativa a Roma, come nelle altre città, è una questione di rilevanza nazionale -:
quali iniziative siano state intraprese o intendano intraprendere, di concerto con le autonomie locali, per prevedere un finanziamento nazionale straordinario per il recupero degli immobili pubblici abbandonati e la loro eventuale destinazione ad uso abitativo, per bloccare gli sfratti esecutivi nelle grandi aree metropolitane per garantire interventi di assistenza sociale e alloggiativa ai senza casa.
(4-02081)

Risposta. - La provincia di Roma, proprietaria dell'immobile sito in via dei Prefetti n. 22, occupato simbolicamente il 7 febbraio 2002, ha reso noto di aver già posto in essere un progetto di recupero e riutilizzo dei locali.
È stata indetta una gara di appalto e i lavori di ristrutturazione, iniziati nel mese di giugno 2002, sotto la supervisione dell'ufficio provinciale restauro beni architettonici, dovrebbero concludersi nel prossimo mese di dicembre 2004.
La stessa provincia intende adibire una parte dell'immobile a centro culturale, attraverso l'apertura di una biblioteca, mentre nella restante parte saranno realizzate sette unità immobiliari da adibire ad appartamenti da immettere sul libero mercato.
Su un piano più generale si evidenzia che, effettivamente, la situazione alloggiativa a Roma ha assunto il connotato dell'emergenza, riguardando migliaia di famiglie, e rischia di avere ripercussioni anche sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblica.
Presso la prefettura di Roma, a seguito dell'emanazione, da parte del Governo, del decreto-legge 23 febbraio 2004, n. 41, poi convertito nella legge 24 aprile 2004, n. 104, recante disposizioni in materia di determinazione del prezzo di vendita di immobili pubblici oggetto di cartolarizzazione, si è svolto un incontro con il sindaco di Roma, il presidente della provincia, gli assessori comunali e provinciali competenti, nonché l'assessore alla casa della regione Lazio.
Sono state prospettate varie ipotesi per far fronte alla emergenza abitativa del territorio romano, anche alla luce delle possibilità offerte dalla nuova normativa, quali l'assegnazione di immobili - confiscati alla mafia - al comune di Roma, per le esigenze abitative di nuclei familiari indigenti.
Nella stessa riunione è stata auspicata, da parte del comune di Roma, la possibilità di acquistare gli alloggi oggetto della cartolarizzazione, rimasti liberi, alle stesse condizioni praticate in favore degli inquilini, con riduzione fino al 38 per cento del prezzo.
Inoltre, per speciali categorie a forte disagio sociale (anziani, disabili, indigenti) si è prospettata la soluzione di poter continuare a condurre i propri alloggi oggetto


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della suddetta cartolarizzazione per un periodo più lungo rispetto al termine previsto dalla normativa in vigore, nonché di poter usufruire di quanto prevede l'articolo 4-bis del decreto-legge citato, ossia l'alienazione della sola nuda proprietà in caso di esercizio del diritto di opzione e prelazione con riferimento al solo diritto di usufrutto.
Sono stati inoltre auspicati incentivi e agevolazioni fiscali in favore degli imprenditori che realizzino programmi abitativi destinati all'affitto a canone concordato, nonché per i proprietari che diano in locazione i propri immobili, naturalmente a canone concordato.
Per quanto riguarda la situazione degli sfratti, si ricorda che l'attuale Governo ha emanato numerosi provvedimenti legislativi tesi a sospendere le procedure esecutive di rilascio di immobili ad uso abitativo per categorie sociali particolarmente deboli, quali gli inquilini nel cui nucleo familiare è presente un ultrasessantacinquenne, o un handicappato grave, e che non dispongano dì altra abitazione o di redditi sufficienti ad accedere all'affitto di una nuova casa.
Si ricordano, a tal proposito, il decreto-legge 27 dicembre 2001, convertito dalla legge 27 febbraio 2003, n. 14; il decreto-legge 20 giugno 2002, n. 122, convertito dalla legge 1o agosto 2002, n. 144 e, da ultimo, il decreto-legge 24 giugno 2003, convertito nella legge 1o agosto 2003, n. 200 che ha prorogato il termine di sospensione al 30 giugno 2004.
Tale normativa, tuttavia, proprio nel rispetto di tali categorie disagiate, non ha inteso assolutamente aggravare la situazione dei legittimi proprietari.
Considerando più specificatamente la situazione romana, sono circa ventimila i provvedimenti che andranno a esecuzione nei prossimi mesi e, se il Governo non interverrà ulteriormente, il prefetto di Roma ha ritenuto di coinvolgere il Presidente del locale tribunale per assicurare in ogni caso la gradualità nell'adozione dei provvedimenti.
Sono stati altresì assicurati contatti con i responsabili della società TAV (Treni ad alta velocità), al fine di permettere al comune di Roma l'acquisto, a costi contenuti, con prezzi anche inferiori al 40 per cento del valore di mercato, di alloggi non occupati, passati in proprietà della società a seguito di indennizzo ai proprietari.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

COSTA. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
un attento esame delle spese deliberate dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Ministero degli affari esteri) nel periodo gennaio 1998- agosto 2003 evidenzia una serie rilevante di anomalie;
nel periodo in esame si sono spesi, attraverso 110 delibere relative ad altrettanti contratti per interventi all'estero - in favore dei Paesi poveri e/o in via di sviluppo - più di 300 miliardi delle vecchie lire per interessi, svalutazioni, risarcimento danni, arbitrati, spese legali e giudiziarie;
le spese sono state deliberate e impiegate per far fronte ad obbligazioni di varia natura contratte negli anni '90 (in non pochi casi negli anni 1987-1989): si è trattato quasi sempre di pagamenti provocati da ritardi (anche decennali), da lacune ed omissioni della pubblica amministrazione, da inadeguata gestione, da omessi contratti;
l'analisi delle «anomalie» prescinde dall'efficacia dei contratti (impossibile, per l'interrogante, da verificare) e non è finalizzata a mettere in discussione il valore sociale ed umanitario né delle leggi di finanziamento né delle opere realizzate o degli aiuti finanziati;
si ritiene però doveroso un chiarimento relativo anche alle responsabilità di chi ha gestito i contratti che hanno comportato interventi finanziari in anni recenti ma lontani dalle inadempienze e dal determinarsi delle cause di tanta cattiva attività;


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si segnalano, in particolare, i seguenti casi:
1) Guatemala - Nel 1987 venne stipulato, tra il ministero e la società Mediacoop internazionale srl, un contratto per la realizzazione di un progetto in Guatemala, che prevedeva la costruzione di un mulino per cereali a Chimaltenango. A causa del ritardato pagamento da parte della Dgcs, la Mediacoop ha richiesto la corresponsione degli interessi. Con atto n. 26 del 3 febbraio 2000 il direttore generale della direzione generale destinava lire 151.739.750 alla società Mediacoop per interessi a causa di ritardati pagamenti;
2) Lesotho - Nel 1989 la direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo e le società Ifagraria SpA e Cooptencnical, riunite in Associazione temporanea d'imprese, stipularono un contratto per la realizzazione dell'iniziativa «Lesotho - Progetto di sviluppo nel settore avicolo», per un valore totale di oltre 10 miliardi di lire. Per difficoltà insorte nell'esecuzione del progetto per inadempienti di parte lesothiana, l'Ati, nel 1993 e nel 1996, inviò atti di diffida concernenti la richiesta di liquidazione, oltre che delle prestazioni contrattuali, anche di indennità per mancato utile. Si pagarono per capitale ed interessi, 936 milioni: poi ulteriori 232 milioni «a copertura di ogni rivendicazione dell'Ati»;
3) Somalia - Il raggruppamento d'imprese Giza SpA, Delma SpA e l'Agricola d'Italia stipulò tanti anni fa un contratto con il Ministero degli affari esteri per la realizzazione di un'iniziativa di cooperazione in Somalia, avente per oggetto la «Riabilitazione di una azienda agricola». Per la chiusura di complesse problematiche giuridico-amministrative che si erano venute a creare in dipendenza del contratto, venne stipulato tra le parti atto di transazione (22 gennaio 1993), che prevedeva la corresponsione al raggruppamento di lire 1.442.112.900 entro sei mesi dalla stipula dell'atto. Il pagamento, a causa di continue osservazioni dell'organo di controllo, venne effettuato ben oltre i termini dei sei mesi, per cui le aziende interessate fecero notificare alla Dgcs decreto ingiuntivo per il pagamento degli interessi. Morale: il 17 agosto 2000 l'amministrazione ha stanziato l'ulteriore somma di lire 409.427.530 per la definizione della vicenda;
4) Pakistan - Il ritardato pagamento di fatture alla società Agrotec SpA, che si aggiudicò nel 1986 un appalto in Pakistan per lo sviluppo della frutticoltura e frutticoltura a clima temperato, è costato all'Amministrazione la somma, stanziata il 18 settembre 2000, di lire 57.606.460 per interessi legali e moratori;
5) Guinea - La società Cogepi, a fronte del contratto stipulato con il ministero in data 24 marzo 1989 per il programma di cooperazione «Guinea Equatoriale - Sviluppo della pesca artigianale», ha richiesto la corresponsione di interessi per ritardati pagamenti. Il tribunale di Roma, con decreto ingiuntivo n. 3316 del settembre 1997, condannava l'amministrazione al pagamento di tali interessi. Il Ministero ha pagato per tale voce circa 61 milioni di lire;
6) Italia - Il giudice del tribunale di Roma sezione lavoro, ha condannato il ministero degli esteri al pagamento, in favore dell'ingenger P.F, della somma di lire 221.l6l.501, a titolo di risarcimento del danno da «perdita di chance» e di danno da dequalificazione professionale, compresi circa 10.000.000 di lire di spese legali. La delibera, del 13 giugno 2000, non specifica altro;
7) Angola - Nel 1989 il ministero degli affari esteri commissionò alla GILCO spa la costruzione di un asilo in Angola a favore della popolazione (profughi) della Namibia. Sorge una controversia circa quanto doveva ancora essere versato alla Gilco spa: si ricorre ad un lodo arbitrale. Il Ministero venne condannato a pagare nel 2001 la cifra di 746 milioni per capitale e di 151 milioni per interessi, nonché 20 milioni per spese legali, oltre a lire


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185.460.000 per gli arbitri, per la segreteria e per le spese di funzionamento del collegio;
8) Africa - Nel 1986 il ministero degli affari esteri affida alla soc. SISCOS una consulenza con supporto organizzativo in una serie di materie. Nel 1999 terminato da anni il lavoro, la soc. SISCOS, esigendo il pagamento di una serie di fatture inevase, notifica atto di citazione con richiesta di arbitrato. Il Ministero è condannato a pagare e paga, nel 2000 e nel 2001, 370 milioni per fatture non pagate, 209 milioni per interesse e 73 milioni per onorari di avvocati e di arbitri;
9) Capo Verde - Tre collaboratori che operavano per conto del Ministero degli affari esteri a Capo Verde (anno '94), non riuscendo ad ottenere il saldo delle loro parcelle, notificano, nel 2000, un decreto ingiuntivo: per farvi fronte il MAE stanzia, e paga, 48 milioni di lire oltre a 10 milioni per interessi e spese;
10) Ruanda - Nel 1989 il MAE stipulò con due società (che poi si fusero prima in Iritecna poi in Fintecna) la realizzazione di un programma d'irrigazione in Ruanda. A seguito di controversie insorte e relative all'esecuzione dei lavori, il MAE, che aveva pattuito di spendere 865 milioni, deve pagare e paga 1 miliardo e 397 milioni;
11) Uruguay - Nel 1988 il MAE e il consorzio Techint Losopana stipularono un contratto per la realizzazione di un centro di sviluppo tessile in Uruguay. Nel 1996 il consorzio formulò una richiesta di risarcimento per il «ritardo incolpevole» (da parte del consorzio) nell'esecuzione del contratto. Nel 2001 la vertenza si conclude ed il ministero paga 111 milioni;
12) Turchia - Nel 1987 il MAE pattuisce con la società ISMES spa la realizzazione di un programma idrogeologico in Turchia. Nel 1994 il MAE recede dal contratto. La ISMES, diventa nel frattempo Enel-Hydro, chiede i danni tramite gli arbitri (1999) e spunta (2001) 84 milioni per «riserve ed interessi», essendo già stati versati (nel '94) 48 milioni per interessi;
13) Italia - L'importo di questi pagamenti (141 milioni) non è rilevante. Stupiscono però le motivazioni. Si tratta dell'azione promossa dalla signora M.G.S. che prima in tribunale poi in Corte d'Appello spunta un risarcimento per «perdita di chance» (chissà quali) di 40 milioni (35 per risarcimento più 5 milioni per spese legali). Un po' più elevati i danni (centouno milioni) pagati al signor A.O., sempre per risarcimento dovuto a «perdita di chance»: novanta milioni per danni, undici per spese legali;
14) Mozambico - Nel 1986 il Ministero degli affari esteri pattuisce con la Cmc di Ravenna (mandatario di due imprese, la DAM spa e la Tecnogri) la realizzazione di un programma di sviluppo integrato (ammodernamento di acquedotto) nella provincia di PEMBA (Mozambico); nel 1991 il MAE affida la realizzazione di un programma di sviluppo integrato nella provincia di Maputo sempre in Mozambico. I lavori vengono svolti e collaudati. Nel 1997 la Cmc chiede, con svariati atti giudiziari (dinanzi al tribunale di Roma), il pagamento di «maggiori oneri» per oltre sette miliardi, più circa 5 miliardi per interessi e rivalutazioni. Le parti si accordano: il MAE sborsa transitivamente 6 miliardi 741 milioni per residuo capitale, interessi miliardari e spese;
15) Italia - Il professor Alfredo Muzio nel 1987 viene inviato per 6 mesi in Messico: la delibera del MAE non spiega il perché. Fatto sta che lo stesso Muzio ricorre al Consiglio di giustizia amministrativa della regione Sicilia che condanna il MAE (siamo nel 2001: 14 anni dopo la missione in Messico) a pagare al Muzio 50 milioni di lire di cui circa la metà per interessi;
16) Somalia - Nella realizzazione del programma denominato «Studi Somali» iniziato nel 1988, è insorta una controversia nel 1999 tra la società Cotecno e il ministero degli affari esteri per ritardati


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pagamenti e per l'insorgere di costi aggiuntivi non previsti dal contratto. La Cotecno è ricorsa ad un collegio arbitrale per ottenere quanto dovuto più gli interessi per il ritardato pagamento. Nel 2001 il lodo arbitrale ha condannato la Famesina a versare la somma di lire 479.962.600 a favore della Cotecno relativamente a interessi, spese legali e Iva, nonché al pagamento di lire 882.141.900 relativo agli importi dovuti stabiliti dal contratto (somma capitale);
17) Senegal - Nel 1988 la Farnesina stipulò un contratto con la società Italtekna (poi divenuta Iritecna poi diventa Fintecna) per la realizzazione del programma di sviluppo idroagricolo nel dipartimento di Matam e del programma integrato del centro-nord del Senegal. La spesa è molto rilevante ed il MAE ritiene di aver assolto i suoi obblighi quando il 16 dicembre 1992 l'allora Iritecna avanza domanda di giudizio arbitrale. Dopo due anni (siamo a febbraio 1995, gli arbitri condannano il ministero a pagare 16 miliardi 335.000.000 per «smobilitazione cantiere e risarcimento indennizzi». Ma non basta, un anno dopo, nel febbraio 1996, un secondo giudizio degli arbitri condanna il ministero a pagare altri 13 miliardi. Dopo gli arbitri arrivano gli ufficiali giudiziari che notificano al MAE un precetto per oltre 33 miliardi di lire: vengono stanziati dal ministero 16 miliardi per dare un acconto alla controparte. Senonché una certa ditta Sogemi (che non si capisce a quale titolo, presumibilmente si tratta di una ditta creditrice), blocca 3 miliardi del ministero, facendoli sequestrare. Il debito, che doveva ridursi a 13 miliardi, risale a più di 16. Nel frattempo avvengono due fatti: la Banca d'Italia accredita circa 1 miliardo all'Iritecna (che aveva cercato di pignorare i fondi del ministero stanziati per gli organismi europei) e la Corte d'Appello, investita della causa in toto, dà torto all'Iritecna: grande gioia al MAE che dura però poco perché la Cassazione riforma dando torto allo stesso MAE. Risultato: il 21 aprile 2001 gli ufficiali giudiziari bussano di nuovo al ministero con un precetto per 23 miliardi 770.000.000 (20 di capitale + interessi); scatta anche il pignoramento. Il MAE rifà i conti e calcola il debito in 20 miliardi circa e stanzia 7 miliardi per il capitale onde «evitare che il pignoramento condizioni l'attività delle altre direzioni generali del MAE con serio pregiudizio delle iniziative avviate e dell'immagine internazionale dell'Italia» eppoi d'urgenza 10 miliardi 592 milioni. Forse la storia non è finita;
18) Africa - Nel 1986 il Mae stabilì un accordo con «Il Nuovo Castoro» per alcuni programmi di sviluppo della pesca artigianale nei vari paesi africani. Nel 1996 un lodo arbitrale stabilì l'importo che il Mae doveva ancora corrispondere per capitale ed interessi al Nuovo Castoro: il Mae impugnò il lodo dinnanzi alla Corte d'Appello. La Corte rigettò l'appello condannando il Mae alle spese (14 milioni che divennero 21);
19) Zambia - Nel 1987 il ministero incaricò la Italia di realizzare un programma per la lavorazione del riso in Zambia. Il pagamento del lavoro svolto doveva avvenire nel 1990. La Ftp richiese gli interessi che il Mae paga nel 2001 (115 milioni);
20) Italia - In data 16 ottobre 2001 il Mae, a seguito di sentenza di condanna del tribunale di Roma, dispone il pagamento di 54 milioni in favore della signora S.C. «a titolo di risarcimento», più lire 14 milioni per spese legali;
tale andamento delle cose, oltre a rappresentare uno spreco di denaro pubblico, incide in maniera rilevante sulla reale consistenza della politica di aiuto allo sviluppo, essendo necessario stornare dalle risorse finanziarie dedicate a tale attività le somme necessarie per coprire le suddette spese -:
se risultino agli atti del Governo i fatti esposti ed i relativi esborsi;
quali iniziative siano state assunte per individuare responsabilità amministrative e gestionali;


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quali iniziative sono state o verranno assunte per evitare il ripetersi di fatti obbiettivamente non facilmente spiegabili;
quali azioni intenda intraprendere il Governo per correggere quella che appare essere una seria problematica di tipo gestionale nell'utilizzazione dei fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo, anche alla luce dei numerosi progetti e disegni di legge presentati al Parlamento che prevedono la riforma di detto sistema.
(4-07696)

Risposta. - Con l'atto parlamentare cui si risponde - ed altri analoghi contestualmente presentati l'interrogante evidenzia centodieci casi di contenzioso che hanno coinvolto la nostra Cooperazione allo Sviluppo, sin dal 1987, e che sono stati risolti in questo ultimo quinquennio (1998-2003).
Sulle cause che hanno ingenerato molte delle controversie in esame dovrebbero essere tenuti nella debita considerazione alcuni fattori di oggettiva difficoltà: anzitutto la non facile scelta dei contraenti, avvenuta all'epoca in mancanza di procedure concorsuali certe e trasparenti; la non agevole definizione poi dei primi impegni contrattuali, che conseguentemente non ha previsto tutte le possibili ipotesi in seguito verificatesi; l'impostazione sperimentale dei progetti in una fase iniziale e nuova della nostra cooperazione allo sviluppo; il verificarsi in loco di fattori non previsti (calamità naturali, crisi militari o politiche, instabilità giuridica ed amministrativa, incapacità gestionale dei beneficiari) che hanno ritardato o reso irrealizzabili varie iniziative intraprese. Va infatti evidenziato che svariati casi citati si riferiscono al periodo in cui iniziative di cooperazione vennero avviate nell'ambito del Fondo Aiuti Italiani (FAI), con un approccio poi profondamente ripensato sia in termini di finalità che di procedure operative e di controllo.
In linea generale va poi ricordata l'esigenza di avere un riscontro operativo da parte di altri Organi dello Stato coinvolti nella trattazione del contenzioso o nell'esercizio del controllo contabile e nell'esame di conformità alla legge. Prima dell'approvazione del decreto del Presidente della Repubblica 20 febbraio 1998, la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del MAE era infatti strettamente vincolata al visto di ragioneria quale necessaria condizione di efficacia dei suoi provvedimenti: questo ha indubbiamente implicato per tali provvedimenti procedure purtroppo non celeri - con ripetuti rilievi e repliche - che hanno causato inevitabilmente l'accrescersi degli interessi per ritardato pagamento in caso di contenziosi. Dopo l'approvazione del citato la soppressione del «visto», quale condizione sospensiva dell'efficacia del provvedimento, la situazione è nettamente migliorata, almeno sotto questo profilo, consentendo una maggiore speditezza dei controlli.
Il superamento di una difficile situazione pregressa - che ha portato ai contenziosi in esame - è stato in questi ultimi anni un obiettivo prioritario per il ministero degli affari esteri: la valutazione complessiva di questi casi - senza voler escludere specifiche manchevolezze o carenze - deve tuttavia considerare le innegabili difficoltà e vischiosità che in questo settore sono state riscontrate anche nell'esperienza - sovente ben più collaudata della nostra - di organismi multilaterali o di altri donatori internazionali.
Al fine di meglio contestualizzare le problematiche affrontate dall'interrogante con riferimento ai singoli casi segnalati, sembra tuttavia utile inquadrare e valutare quest'ultimi da un punto di vista storico-giuridico, mettendo in luce i molteplici fattori e circostanze che ne hanno caratterizzato le vicende. I centodieci contenziosi citati sono infatti i più importanti tra i 657 «repertoriati» dall'inizio dell'attività della Cooperazione allo Sviluppo in Italia. La maggior parte di questi 657 casi di contenzioso è stata chiusa (435 al 31 marzo 2003) ed ulteriori casi vengono risolti ogni mese mediante il ricorso a pratiche transattive che - qualora si giudichino oggettivamente fondate le ragioni della parte avversa - sono un mezzo di composizione delle controversie certamente molto meno oneroso per l'erario del pagamento, dopo


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svariati anni, di quanto stabilito da lodi arbitrali o sentenze sfavorevoli.
A questo riguardo va anzitutto sottolineato che la soccombenza del Ministero degli affari esteri per un ammontare complessivo di circa trecento miliardi di lire - se considerata nel quadro delle attività globali della Cooperazione allo sviluppo svolte in questi ultimi quindici anni - si riduce ad una misura largamente inferiore al due per cento di tutti gli investimenti effettuati per la realizzazione di programmi o progetti. Questo ammontare appare quindi nettamente inferiore alla «soglia di contenzioso fisiologico» del 10 per cento, prevista dal legislatore per un appalto di lavori (si veda la legge-quadro in materia di lavori pubblici: legge n. 109 del 1994, articolo 31-
bis estesa per analogia iuris alla generalità degli appalti).
Va inoltre rimarcato che i 110 casi in questione sono meglio inquadrabili con una trattazione completa, anche sotto il profilo della valutazione tecnica, amministrativa e contabile, effettuata a tutti i competenti livelli. I dati citati negli atti in esame relativi ai singoli casi si riferiscono infatti quasi esclusivamente alla fase del controllo contabile e di conformità alla legge di ciascuna iniziativa, mancando tutte le valutazioni tecniche e gestionali effettuate da altri organi dello Stato quali l'Avvocatura Generale o la Corte dei conti; né si tiene conto dei risultati dell'eventuale esame giurisdizionale effettuato da parte della Procura regionale competente della Corte dei conti. Quest'ultimo dato è particolarmente significativo, perché in dieci dei primi venti casi cui si riferisce l'interrogazione in oggetto, l'esame della Procura regionale per il Lazio della Corte dei conti ha accertato l'inesistenza di un danno all'erario decidendo l'archiviazione del fascicolo. In altri casi la questione oggetto di contenzioso è stata portata all'esame della Corte dei conti o giudicata in Appello o in Cassazione o, infine, se risolta con una transazione, è stata approvata sotto il profilo legale dall'Avvocatura dello Stato e, successivamente, dalla Corte dei conti, sotto il profilo gestionale.
La corretta applicazione delle procedure concorsuali, la semplificazione delle procedure amministrative, la netta preferenza per l'accordo transattivo (rispetto ai lodi arbitrali o alle sentenze del tribunale) hanno già reso l'azione italiana in questo campo più sollecita ed efficace, senza peraltro impedire che ulteriori provvedimenti amministrativi o gestionali possano ancora migliorare la nostra azione. È a tal fine, infatti, che tende un complesso e articolato processo di revisione delle procedure amministrative seguite dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo e dalle nostre ambasciate nel realizzare i progetti o i programmi previsti: questo obiettivo viene perseguito attraverso una drastica semplificazione di tutte le procedure e la verifica della loro completa conformità alla normativa vigente (in continua evoluzione) che favoriscano una gestione moderna ed efficace delle iniziative di cooperazione intraprese dall'Italia.
Parallelamente alla revisione delle procedure, è in corso, in attuazione della delega legislativa conferita con l'articolo 3, comma 43 della legge finanziaria per il 2003, la predisposizione di provvedimenti che correggano le inadeguatezze normative che hanno causato quelle disfunzioni in passato più volte riscontrate.
Più specificatamente, si forniscono qui di seguito gli elementi di risposta relativi ai singoli casi, elencati nell'interrogazione in questione, seguendo l'ordine utilizzato dall'interrogante nel testo dell'atto.

1) Guatemala «Mediacoop - Progetto per la realizzazione di un centro di servizi con un mulino per cereali a Chimaltenango».

Gli elementi di risposta alla presente interrogazione sono contenuti nella risposta già fornita all'interrogante relativamente al punto 18 dell'interrogazione n. 4-07693 in quanto gli interessi in questione sono stati decurtati dall'importo liquidato in base alla sentenza lodale del 19 dicembre 2001 relativa alla medesima vertenza.


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2) Lesotho - ATI Ifagraria - Cooptecnital - «Sviluppo integrato nel settore avicolo». Contratto del 20 aprile 1989.

Con il contratto suddetto, di importo pari a lire 10.163.807.000, si affidava alla ATI tra Ifagraria e Cooptecnital la realizzazione di impianti di produzione avicola, di macellazione di polli, di ristrutturazione di centri di produzione di uova e l'assistenza tecnica per gli addetti agli impianti. Il Governo del Lesotho si era impegnato a partecipare all'iniziativa sia fornendo le aree da destinare all'intervento e sia contribuendo con stanziamenti del Ministero del Piano.
In sede esecutiva sono mancati sia i suddetti stanziamenti e sia la definizione di alcune aree di intervento. Di conseguenza, il MAE ha dato incarico alla Società Italiana di Monitoraggio (SIM) di eseguire una verifica in sito sull'esistenza dei presupposti per la continuazione dell'iniziativa. La SIM ha concluso la verifica proponendo la cancellazione del progetto. L'ATI che nel frattempo aveva eseguito la progettazione esecutiva ed avviato l'assistenza tecnica, diffidò il MAE avanzando pretese per quanto realizzato e per il mancato utile.
Il MAE ha di conseguenza avviato la procedura prevista dall'articolo 345 della legge n. 2248 del 20 marzo 1965 che prevede la facoltà del Committente di risolvere il contratto mediante il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell'importo delle opere non eseguite. In applicazione della citata norma si concepì un Atto di transazione, sottoscritto dalle Parti in data 30 ottobre 1996, con il quale il MAE ha riconosciuto all'ATI la somma complessiva di lire 978.972.980 così suddivisa:
lire 440.000.000 più IVA a titolo di ulteriori corrispettivi relativi all'esecuzione del contratto, con connesso ristoro dei danni e liquidazione degli interessi;
lire 538.972.980 più IVA, pari al 60% dell'indennizzo spettante ai sensi della suddetta legge a seguito della risoluzione del contratto. Le somme riportate corrispondono a quanto effettivamente liquidato, in esecuzione della transazione. Gli importi maggiori indicati nell'interrogazione parlamentare tengono conto di quanto inizialmente deliberato per far fronte al complesso delle pretese societarie. Come si vede, la differenza tra il deliberato ed il liquidato, costituisce un risparmio, frutto dell'attività transattiva della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del MAE. La transazione è stata vagliata dalla Corte dei Conti Sezione Controllo Ministeri Istituzionali.

3) Somalia/ATI fra GIZA (mandataria), DELMA, Agricola d'Italia: riabilitazione dell'Azienda Agricola di Johar, contenzioso con l'impresa costruttrice.

Oggetto del contratto è un finanziamento ex lege 73/85 (istitutiva del FAI). Il Contratto per la riabilitazione dell'azienda in oggetto è stato stipulato in data 7 agosto 1986 per l'importo di lire 38.000.000.000. L'importanza per l'economia somala della funzionalità dell'azienda, nella quale trovavano lavoro oltre 1700 addetti fissi più oltre 1800 stagionali, era stata evidenziata da numerose missioni in loco di esperti altamente qualificati (negli anni 85-86). La coltura largamente prevalente dell'azienda era quella della canna da zucchero, per cui la sopravvivenza economica dell'azienda stessa era strettamente legata a quella della funzionalità dell'annesso zuccherificio, anch'esso bisognoso di notevoli interventi. Al fine di rendere produttiva l'azienda fin dalla campagna agricola dell'autunno 86, fu dato, quindi, incarico alla Techint S.p.A. di effettuare interventi di riabilitazione dello zuccherificio per l'importo di 7.2 miliardi. Tale obiettivo è stato effettivamente raggiunto ed ha consentito lo svolgimento di due campagne di produzione di zucchero da canna negli anni 86 ed 87. In accordo con le finalità della legge in oggetto (che disponeva, tra l'altro, interventi d'urgenza al fine di un immediato impatto sulle possibilità di sopravvivenza delle popolazioni interessate), i finanziamenti per l'azienda agricola e per lo zuccherificio erano stati decisi sulla base di valutazioni di massima, cui avrebbero seguito, a lavori già avviati, le progettazioni


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esecutive. Tali progettazioni sono state acquisite nell'autunno dell'anno 1987 per l'azienda agricola e nella primavera dello stesso anno per lo zuccherificio. Da tali studi risultava l'insufficienza delle somme già allocate, essendo necessari finanziamenti suppletivi per lire 15 miliardi per l'azienda agricola e per quasi altrettanto (di cui 7.2 già realizzati con gli interventi sopra accennati) per lo zuccherificio. Era in corso l'esame istruttorio dei relativi progetti quando è avvenuto un gravissimo incidente nello zuccherificio, talmente atipico da far ritenere probabile una natura dolosa dello stesso: l'esplosione di una turbina. I danni provocati da tale esplosione erano rilevantissimi, al punto da porre in discussione l'intero intervento su Johar. A seguito di missione in loco del giugno 1990, fu quindi deciso l'abbandono del progetto. L'impresa, intanto, nell'autunno dell'anno 1989 aveva terminato i lavori già commissionati, ed era rimasta in attesa delle decisioni dell'Amministrazione che, come sopra accennato, sono poi sopraggiunte nel senso della non prosecuzione dell'iniziativa.
Il contenzioso, menzionato nell'interrogazione parlamentare, con l'ATI in oggetto è nato, sostanzialmente, dalle seguenti circostanze: difficoltà dell'amministrazione nel riconoscere i lavori effettivamente realizzati dall'ATI ma con modalità diverse da quelle originariamente previste; ritardato avvio dei lavori in attesa delle progettazioni esecutive, sospensione dei lavori per circa 7 mesi, in attesa delle decisioni dell'amministrazione, dall'autunno dall'anno 1989 a giugno del 1990.
Tale contenzioso, a seguito di un'intensa attività di mediazione da parte di tutti gli uffici della D.G.C.S., si è risolto in modo transattivo (certamente in misura meno onerosa per l'erario rispetto a qualsiasi decisione giudiziale) con il riconoscimento delle seguenti somme: lire 1.345.480.300 alla Giza; lire 6.236.867.800 alla Delma; lire 1.422.112.900 alla Agricola d'Italia. Il tutto per un importo complessivo di lire 9.004.461.000, di cui circa la metà a titolo di riconoscimento di lavori effettivamente realizzati (quindi, a stretto rigore, non ascrivibili a voci contenziose) e la parte residua per danni da sospensione, ritardi nell'avvio del programma, eccetera.
L'atto di transazione, sottoscritto in data 22 gennaio 1993, è stato preventivamente valutato dall'Avvocatura dello Stato (secondo la prassi eseguita in quel periodo) quanto alla legittimità ed alla convenienza. Lo stesso atto, munito di tutti gli allegati, è stato quindi trasmesso anche al Consiglio di Stato in data 24 maggio 1993, che ha però dato l'approvazione di competenza solo in data 28 novembre 1994. Il Consiglio di Stato, infatti, con successive note in date diverse, ha richiesto una numerosa serie di elementi integrativi e, solo in seguito a sollecitazioni del Ministero, ha finalmente reso il proprio parere. Tuttavia, per il materiale pagamento all'ATI di quanto pattuito si è ancora dovuto attendere un altro anno, a seguito di ripetuti Rilievi dell'Organo di controllo interno, nonché per l'entrata in vigore di nuova normativa in materia di liquidazione alle imprese, entrata in vigore con l'inizio dell'anno 1995. Da qui si originano gli ulteriori interessi pagati alle imprese, costituenti l'ATI a seguito di successiva vertenza intentata dalle tre società presso la magistratura ordinaria, a seguito della quale l'Amministrazione è stata condannata a pagare le seguenti ulteriori somme: lire 409.427.530 all'Agricola d'Italia; lire 1.760.867.890 alla Delma. Per quanto riguarda la Giza, le somme rivendicate allo stesso titolo e riconosciutele giudizialmente, sono entrate a far parte di una più ampia transazione, conclusa vantaggiosamente per l'Amministrazione, avente ad oggetto una serie di contratti fra il MAE e la stessa Giza, rimasti in sospeso a seguito del fallimento della medesima.
La Procura della Corte dei conti ha indagato sul caso, archiviandolo in data 13 novembre 2002.

4) Pakistan/Agrotec: Programma «Sviluppo della frutticoltura ed orticoltura di clima temperato».

L'Agrotec si aggiudicò l'appalto nel 1986 per la realizzazione del programma in oggetto, per l'importo 6,110 miliardi di lire.


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Nell'ottobre 1994 l'impresa avanzò richiesta di interessi legali e moratori, per ritardato pagamento di fatture inerenti il programma, per lire 102 milioni. La DGCS rinvenne la documentazione e la fatturazione inerente l'operazione. La richiesta dell'Agrotec fu quindi vagliata dai competenti uffici, di controllo contabile e di consulenza giuridica; ne emerse l'avvenuta prescrizione della richiesta di interessi per ritardato pagamento per alcune fatture relative al periodo iniziale della realizzazione del programma. Nel maggio-giugno 1996 venne recepita dalla DGCS l'avvenuta prescrizione quinquennale per alcune fatture e si compilò altro conteggio che riduceva l'ammontare dovuto. Nel 1998/99 il legale della società lamentò il non ancora avvenuto pagamento di quanto richiesto dalla sua cliente nell'ottobre 1994 e, in replica, chiese un aggravio di interessi per l'ulteriore ritardo.
Incontri con il legale evidenziarono alcuni punti della rivendicazione oggetto di rilievo da parte dell'Organo di controllo (Ufficio di ragioneria presso la DGCS) riguardo alle date di decorrenza e/o di scadenza di alcune fatture, per cui l'importo dovuto per interessi di ritardato pagamento venne determinato in lire 57 milioni circa (50 per cento dell'originaria richiesta), che furono accettate dall'Agrotec nel settembre 2000.
Si registra un qualche rallentamento nella definizione della questione - fattore che ha in definitiva favorito la DGCS - in quanto si dovettero ricostruire le competenze degli Uffici all'epoca della realizzazione del Programma, poiché era frattanto intervenuta una riorganizzazione della Direzione generale.
La vertenza insorta venne comunque risolta, a ben vedere, come se il pagamento fosse stato effettuato alla data convenuta. Infatti: lire 57 milioni al 10 per cento (tasso legale vigente dal dicembre 1990 e per il 1991 ed anni seguenti), pari a lire 5,7 milioni l'anno, corrispondono a lire 57 milioni pagati dopo 10 anni. Pertanto, sotto il profilo sostanziale, non si ravvisa un effettivo esborso da parte dell'Erario, per la definizione della controversia. La Procura regionale per il Lazio della Corte dei conti, svolte le indagini sul caso ha archiviato la pratica non ravvisando responsabilità perseguibili.

5) Guinea Equatoriale/CO.GE.PI: «Programma di sviluppo della pesca artigianale a Bata».

A fronte del contratto MAE/CO.GE.PI. (ATI costituita tra la mandataria CO.GE.PI. e l'E.T.I. S.r.l.) stipulato in data 24.3.1989 (entrato in vigore nel novembre 1990) per la realizzazione del «Programma» suindicato, di importo pari a lire 5,6 miliardi circa, l'impresa richiese nel 1994 gli interessi per ritardato pagamento dei corrispettivi contrattuali. L'Amministrazione, effettuati i primi conteggi sulla base del tasso legale e di mora, determinò in lire 42 milioni circa l'importo da riconoscere (a fronte della maggiore richiesta della società, pari a lire 64,5 milioni circa). Determinata tale somma, la D.G.C.S. inoltrò relativo provvedimento di liquidazione che venne fatto oggetto di una serie di rilievi da parte della Ragioneria. Seguirono ulteriori conteggi e verifiche che portarono a lire 32 milioni circa l'importo che, infine, venne liquidato nel 1998 a tale titolo. La CO.GE.PI., non paga di quanto conseguito e decisa ad ottenere maggiori riconoscimenti almeno per lire 53,5 milioni circa, frattanto chiese ed ottenne decreto ingiuntivo dal tribunale di Roma e poi ricorse al Consiglio di Stato, in sede di giudizio di ottemperanza, per ottenere l'esecuzione del decreto ingiuntivo. Nel dicembre 1998 la decisione del Consiglio di Stato decise il pagamento della differenza tra la pretesa e quanto già riconosciuto, per lire 21 milioni circa.
La Procura regionale della Corte dei conti per il Lazio, svolte indagini sul caso ha archiviato, in data 13 novembre 2002, la pratica non ravvisando responsabilità perseguibili.

6) Ingegnere P.L.F./MAE-D.G.C.S.

Il 13 dicembre 1990 il MAE assume l'Ingegnere P.L.F., ai sensi dell'articolo 12,


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4o comma della legge n. 49 del 1987, in qualità di esperto presso l'Unità tecnica centrale, con un contratto a scadenza quadriennale (1o gennaio 1991-31 dicembre 1994), rinnovabile per quadrienni e risolubile anticipatamente in base agli specifici motivi indicati nell'articolo 14, del decreto interministeriale n. 128/23/80 del 27 luglio 1987. L'Amministrazione con delibere del 24 febbraio 1994 e del 7 giugno 1994 non inseriva l'ingegnere P.L.F. nell'elenco degli esperti predisposto per il rinnovo del contratto quadriennale, mentre, in data 7 marzo 1994, risolveva altresì il contratto in base ai motivi di cui all'articolo 14, lettera a) e c) del decreto interministeriale sopracitato.
Ottenuta la sospensiva di entrambi i provvedimenti dal TAR Lazio con ordinanza del 7 luglio 1994, il giorno 21 luglio 1994 l'ingegnere F. viene riammesso in servizio e continua a prestarlo anche successivamente alla scadenza del primo quadriennio. A seguito di sentenza del TAR Lazio in data 21 gennaio 1997, che dichiara il proprio difetto di giurisdizione, il 7 febbraio 1997 l'Amministrazione dichiara la cessazione del rapporto dalla data della sentenza, qualificando «di fatto» il rapporto intercorso per effetto del provvedimento cautelare del giudice amministrativo. Nel frattempo, le Sezioni unite della Corte di cassazione con sentenza del 19 febbraio 1998, assegnano al Giudice ordinario la giurisdizione sulla materia. Per effetto di tale pronuncia l'ingegnere F. ricorre
ante causam al pretore ex articolo 700 del codice di procedura civile chiedendo la reintegrazìone nel posto di lavoro sino alla scadenza del secondo quadriennio, ovvero la provvisoria prestazione del lavoro o il risarcimento del danno, con condanna del datore di lavoro al pagamento delle relative retribuzioni.
Il Tribunale e la Corte d'appello di Roma hanno riconosciuto un danno da dequalificazione professionale e «perdita di
chances», quantificato in somme regolarmente liquidate (lire 221.161.501) dall'Amministrazione.

7) Angola/Gilco «Complesso scolastico di Viana» (ex «Costruzione di un centro infantile a favore dei rifugiati namibiani in Angola»).

Con contratto del 3 aprile 1989, la DGCS affidò alla Gilco Spa i lavori di esecuzione, nella Repubblica Popolare di Angola, di un centro infantile a favore dei rifugiati namibiani nell'ambito del Programma Day Care Center for Namibia Health and Education Center. L'iniziativa consisteva, in particolare, nelle seguenti attività: progettazione esecutiva dell'intera opera da realizzare; costruzione integrale degli edifici; realizzazione delle infrastrutture esterne; fornitura degli arredi e di alcune autovetture. L'importo complessivo del contratto era di lire 4.432.274.000 e la durata era di 18 mesi.
In data 13 novembre 1990 il contratto entrava in vigore, secondo quanto previsto dallo stesso, a seguito della comunicazione dell'avvenuto perfezionamento del decreto di approvazione. L'Impresa diede pertanto regolare inizio ai lavori previsti dal programma ma poiché, nelle more dell'approvazione, la Namibia aveva raggiunto l'indipendenza e risolto, pertanto, il problema dell'assistenza ai rifugiati, le Autorità Angolane chiesero che il programma
Day Center venisse variato in modo da consentire la costruzione di un complesso scolastico direttamente a disposizione dell'Angola al fine di potenziare la propria struttura scolastica. Tale esecuzione fu autorizzata senza alcuna variazione dell'importo sopra richiamato. In data 12 febbraio 1991 la GILCO chiese la sospensione dei lavori, poiché, avendo le autorità angolane richiesto l'introduzione di alcune varianti al progetto in modo da renderlo più soddisfacente alle loro mutate esigenze, si rendeva necessario redigere e discutere con le stesse tali varianti. In data 7 marzo 1991 la Municipalità di Viana approvò la nuova proposta progettuale presentata dall'impresa. In data 24 novembre 1993, il MAE comunicò l'approvazione della perizia di variante in questione, ed il relativo Atto di sottomissione fu sottoscritto dalle parti il


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10 dicembre 1993: in esso fu stabilito che il termine per l'esecuzione dei lavori sarebbe scaduto in data 12 novembre 1995: (18 mesi dall'inizio effettivo dei lavori). Tale Atto di sottomissione divenne operativo a partire dal 13 agosto 1994, per effetto del decreto di approvazione emesso, il 3 febbraio 1994, e del successivo visto della Ragioneria del 21 luglio 1994. La consegna dei lavori avvenne il 27 febbraio 1995. Successivamente, poiché il contratto novato prevedeva la costruzione di uno spazio polivalente annesso alla struttura scolastica, si decise, su richiesta delle Autorità angolane, la sostituzione del medesimo con opere di recinzione e sistemazione del verde delle aree adiacenti; ciò comportò, nel corso dell'esecuzione dei lavori, la necessità di una seconda perizia di variante non onerosa. Tale perizia fu redatta dal direttore dei lavori in, data 19 ottobre 1995, successivamente modificata in data 23 luglio 1996 e 10 ottobre 1996, ed, infine, definitivamente approvata dal Ministero in data 19 novembre 1996. Il relativo atto di sottomissione fu sottoscritto dalle parti in data 24 novembre 1996 e registrato in data 2 dicembre 1996. Nelle more dell'approvazione di tale seconda perizia di variante, i lavori erano stati sospesi a partire dal 28 giugno 1996; il Ministero ne consentì la ripresa in data 30 gennaio 1997, ma essa fu formalmente autorizzata e disposta solo l'11 febbraio 1997. Alla necessità delle varianti, della loro formulazione, delle sospensioni dei lavori e delle proroghe autorizzate, si aggiunse la guerra in Angola a far slittare i termini di consegna al 10 aprile 1997. Il certificato di ultimazione dei lavori fu redatto in data 14 maggio 1997. In data 9 agosto 1997, in occasione della visita di collaudo finale, venne constatata la necessità di apportare alcuni miglioramenti alle strutture realizzate, e si stabilì che gli stessi venissero regolarmente eseguiti ed ultimati nel termine di 30 giorni a decorrere alla data dello stesso verbale. La consegna, provvisoria, delle opere fu effettuata in data 13 agosto 1997.
In data 7 ottobre 1997 fu rilasciato il certificato di regolare esecuzione delle opere in oggetto. A conclusione dei lavori e con la presentazione del conto finale, a fronte dell'anomalo quanto imprevisto andamento dei lavori, la società GILCO iscrisse numerose riserve (n. 8) in calce, chiedendo, tra l'altro, il riconoscimento dei maggiori oneri e danni sopportati per la sospensione dei lavori, della maggior spesa sostenuta per realizzare le nuove opere stabilite nella seconda perizia di variante e delle relative infrastrutture, delle maggiori spese per ammortamento macchinari, immobilizzo personale, guardiania, assicurazione, eccetera sopportate per effetto del ritardato collaudo dei lavori, nonché gli interessi per ritardati pagamenti. In data 25 febbraio 1998, la GILCO Spa, nella persona del suo legale rappresentante, presentò al MAE un atto di diffida e messa in mora a voler provvedere, entro 30 giorni dalla notifica dello stesso, alla definizione in via amministrativa delle suddette riserve; tale atto, inoltre, trascorso inutilmente il termine indicato, avrebbe dovuto essere considerato quale domanda formale di arbitrato. Nello stesso atto, infatti, la GILCO esponeva i quesiti che intendeva sottoporre al giudizio del costituendo Collegio arbitrale. In data 24 novembre 1999, visto che non si pervenne ad una definizione amministrativa della controversia nonostante gli sforzi profusi dai funzionari della D.G.C.S., venne costituito il previsto Collegio arbitrale. Tale collegio, a seguito dell'esame delle memorie delle due parti e dei documenti riguardanti l'intera controversia, pervenne ad una decisione in data 16 maggio 2000. Il collegio sostanzialmente accolse le richieste della GILCO ma, in relazione ad un paio di quesiti, accordò una somma nettamente inferiore alla relativa richiesta; ad esempio nel 1o quesito in cui, a fronte di una richiesta di lire 815.568.675, accordò solamente lire 234.931.175, e nell'8o in cui, a fronte di una richiesta di lire 470.271.200 venne accordata solo la somma di lire 76.521.584 (con conseguente riduzione del calcolo dei relativi interessi, e della rivalutazione monetaria). In totale, a seguito della decisione del collegio, il Ministero venne condannato a pagare la somma di lire 746.769.521 come sorte capitale e di lire 151.663.590 per interessi legali, più la metà del pagamento


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delle spese legali (lire 20.000.000 + IVA e C.P.A.) equivalenti a lire 11.138.400. Naturalmente al Ministero spettò anche il pagamento della somma dovuta a titolo compenso per il collegio arbitrale, la quale avrebbe dovuto corrispondere solo ai tre quarti del totale dovuto, ma poiché la società GILCO non versò tempestivamente alcuna somma a tale scopo, stante il vincolo di solidarietà tra le parti contendenti, ammontò a lire 185.460.000, ossia all'intero.
Avverso il lodo arbitrale è stato proposto ricorso alla competente Corte d'appello (ivi compresa l'azione di restituzione dei compensi arbitrali corrisposti in luogo della GILCO) e la causa risulta tuttora pendente (fissazione dell'udienza per le conclusioni 1o giugno 2005). La procura regionale della Corte dei conti ha indagato sul caso archiviando la pratica in data 13 novembre 2002.

8) Africa-Società Italiana Servizi Cooperazione Sviluppo (SISCOS).

Il Dipartimento per la Cooperazione allo Sviluppo stipulava con la «SISCOS», in data 21 febbraio 1986, una Convenzione con la quale veniva conferito alla citata Società un incarico di consulenza e di supporto organizzativo nelle materie seguenti: 1) impostazione, articolazione e tenuta di uno schedario informativo concernente l'utilizzazione dei volontari al rientro in Italia dal servizio civile; 2) organizzazione in Italia di corsi di specializzazione dei volontari medesimi; 3) acquisizione, tenuta ed aggiornamento della documentazione relativa a tutti i volontari in servizio ed ai loro familiari a fini assicurativi, nonché la tenuta di un centro di documentazione, anche di carattere internazionale, sul volontariato in generale e sugli organismi di volontariato e sulle Organizzazioni non Governative (O.N.G.). Detta convenzione, approvata con decreto del 20 marzo 1986, aveva una durata di due anni, decorrente dalla data di comunicazione alla S1SCOS dell'avvenuto perfezionamento del relativo decreto di approvazione, e poteva essere tacitamente prorogata di anno in anno per un massimo di ulteriori due anni. Tale comunicazione alla società SISCOS era stata inoltrata in data 27 agosto 1986. Il corrispettivo per i servizi innanzi indicati era stato concordato in lire 2.662.590.000. In Convenzione era stato stabilito, tra l'altro, che un ammontare pari al 5 per cento del totale fosse trattenuto a garanzia e corrisposto solo dopo la presentazione da parte della SISCOS del Rendiconto finale annuale dell'attività svolta. Infatti, al termine di ogni anno di attività la società, ai sensi dell'articolo 8 della convenzione, era tenuta a presentare, entro sessanta giorni dalla scadenza dell'annualità, «un dettagliato rendiconto illustrativo dei servizi prestati, redatto sulla base dei prezzi contrattuali proposti ed accettati dal Dipartimento e dei risultati conseguiti sotto il profilo organizzativo e funzionale, nonché delle eventuali proposte in ordine alla migliore, successiva esecuzione dei servizi previsti dalla convenzione». Detto rendiconto, anche ai fini della corresponsione del 5 per cento trattenuto a garanzia, doveva essere approvato dal Ministero. In data 1o marzo 1987 entrava in vigore la legge 26 febbraio 1987, n. 49, che istituiva la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo, che pertanto subentrava al Dipartimento abrogato contestualmente alla legge n. 38 del 9 febbraio 1979. La D.G.C.S., per assicurare la continuità dell'iniziativa, decideva, ai sensi di legge, la prosecuzione delle prestazioni fornite dalla SISCOS. Nel mentre, venivano erogati i corrispettivi secondo le previsioni contrattuali, il cinque per cento di questi ultimi, trattenuto a garanzia, non veniva svincolato ed erogato alla Società, in mancanza dello specifico adempimento della prestazione del rendiconto.
Da qui pervenivano alla D.G.C.S. le doglianze della SISCOS ripetutamente espresse e volte ad ottenere il pagamento del residuo del corrispettivo, culminate nella notificazione di un atto di diffida in data 31 ottobre 1994 e, successivamente, in un invito al pagamento del 17 giugno 1998 con cui si chiedeva la corresponsione della complessiva somma di lire 197.057.228. All'atto di diffida la D.G.C.S. rispondeva con


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lettera del 10 marzo 1995 n. 002408, con la quale veniva evidenziata l'insufficienza della documentazione trasmessa dalla SISCOS «per potersi dare luogo alla liberazione della garanzia». Infatti la documentazione trasmessa dalla società, che riteneva la stessa esaurientemente prodotta, consisteva in due processi verbali relativi a riunioni tenutesi tra rappresentanti dell'Amministrazione e della società in data 18 gennaio 1989 e 21 gennaio 1991, nel corso delle quali le parti contraenti avevano rispettivamente illustrato analiticamente l'attività svolta per verificare l'andamento delle prestazioni e dei relativi stati di avanzamento. A seguito dell'invito al pagamento del 17 giugno 1998 formulato dalla SISCOS, la Direzione decideva di richiedere un parere sulla questione alla Commissione consultiva di giuristi istituita con decreto-legge 28 dicembre 1993 n. 543, convertito nella legge 17 febbraio 1994 n. 121. La Commissione, non essendo emersa altra documentazione che potesse in qualche modo assimilarsi o quantomeno ricollegarsi a quella, prevista dall'articolo 8 della Convenzione, riteneva che i suddetti processi verbali non potevano in alcun modo essere considerati alla stregua di documentazione in grado di supplire alla rendicontazione finale specificamente richiesta dall'articolo 8». Per altro verso, proprio perché la predisposizione e la presentazione della rendicontazione illustrativa era attività che costituiva uno degli impegni sottoscritti dalla società all'atto della stipulazione della convenzione, anche in vista della sua approvazione da parte dell'Amministrazione e non soltanto al fine di dare corso al pagamento delle somme trattenute in garanzia, «la mancata disponibilità della relativa documentazione concretizza un vero e proprio inadempimento contrattuale da parte della contraente privata che non soltanto consente di non liberare la garanzia, ma potrebbe anche legittimare, se del caso, pretese risarcitorie in capo al Ministero» (dal verbale della Commissione). Infatti la Commissione riteneva che la SISCOS dovesse essere considerata definitivamente inadempiente, essendo anche inutilmente decorso, al di là di ogni ragionevole possibilità di ritenerlo meramente ordinatorio, il termine di sessanta giorni decorrente dalla scadenza di ciascun anno di attività, previsto nell'articolo 8 della convenzione per la presentazione del rendiconto finale relativo all'attività prestata nell'anno.
La Commissione, pertanto, riteneva che l'Amministrazione correttamente non aveva dato luogo al pagamento, non dovendo anche per l'avvenire dar luogo al pagamento delle somme a suo tempo accantonate a titolo di garanzia. Infine concludeva invitando l'Amministrazione, nel rispondere all'invito di pagamento del 17 giugno 1998, a non assumere ancora una volta una posizione possibilista, come in precedenza emergeva dalla lettera del 10 marzo 1995 in risposta alla Società che veniva esortata ad esibire ulteriore e più probante documentazione, ove ne avesse avuta la disponibilità, ma a ribadire con carattere di definitività la propria decisione negativa, motivando al riguardo con l'inadempimento contrattuale innanzi evidenziato ed evitando di indulgere in ulteriori concessioni di termini per presentare una documentazione che allo stato poteva agevolmente ritenersi inesistente. La Direzione, conformandosi al parere congruamente motivato dalla Commissione consultiva ed espresso nella seduta del 12 novembre 1998, in data 13 gennaio 1999, comunicava alla SISCOS il parere negativo, precisando il non rispetto da parte della Società degli adempimenti specifici previsti dall'articolo 8 della convenzione stessa. Con domanda di accesso notificata in data 18 ottobre 1999, la società SISCOS chiedeva che la soluzione della controversia fosse demandata ad un Collegio arbitrale che, come da verbale del 20 marzo 2000, veniva regolarmente costituito ed insediato. La difesa dell'Amministrazione convenuta rilevava l'infondatezza della domanda attrice, atteso che non era intervenuta la definitiva e positiva approvazione del rendiconto finale, mai presentato dalla società, e conseguentemente non si era verificata quella fattispecie complessa prevista in contratto anche per procedere allo svincolo della garanzia. La domanda attrice sosteneva invece che, nella documentazione versata in atti, risultava con chiarezza l'esatto adempimento da parte della società degli obblighi


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assunti con la convenzione, a suo tempo stipulata; e di aver presentato idonea, e probante documentazione al fine di ottenere gli adempimenti di competenza della controparte pubblica. Il Collegio arbitrale, con il lodo sottoscritto in data 6 luglio 2000, definiva la vertenza insorta tra il MAE-D.G.C.S. - e la SISCOS, condannando la D.G.C.S. per saldo prestazioni previste in convenzione a lire 198.713.172, compresa Iva 20 per cento, e per risarcimento danni a lire 171.870.899 e quindi per un complessivo importo di lire 370.584.005 pari a euro 191.390,67. Nella complessa vicenda innanzi riportata, che risale inizialmente all'anno 1986, non si riscontra negligenza tale che possa far ipotizzare l'esistenza del presupposto di carattere soggettivo della colpa grave, e neanche l'esistenza del presupposto di carattere oggettivo del danno, atteso che le prestazioni previste nell'atto aggiuntivo stipulato in data 4 ottobre 1998 dalla D.G.C.S. con la SISCOS, nonostante che non fosse intervenuto il decreto di approvazione al quale era subordinata l'efficacia del contratto, sono state effettuate dalla società; di queste l'Amministrazione consapevolmente si è giovata facendo propria l'attività svolta dalla SISCOS per avere quest'ultima consegnato tutto il materiale e la relativa documentazione in data 31 luglio 1990 alla D.G.C.S.; le prestazioni sono state retribuite con la decurtazione del 20 per cento restata a carico dell'impresa.
La Procura della Corte dei conti ha indagato sul caso archiviando la pratica in data 13 novembre 2002, senza ravvisare responsabilità perseguibile.

9) Mauritania - Commissione di collaudo di lavori relativi ad interventi in Mauritania - Capo Verde.

L'incarico conferito dalla D.G.C.S. con la lettera in data 2 ottobre 1989 e ratificato con successivo decreto ministeriale n. 1991/128/2048/1 in data 3 aprile 1991 aveva per oggetto il collaudo unitario dei lavori connessi con i seguenti contratti: a) tra il MAE e la società Guado Ricerche relativo alla realizzazione di 100 pozzi nel bacino del fiume Karakoro (Mauritania); b) tra il MAE e la società Italgas-Ses relativo ad un programma di sviluppo integrato nell'isola di Santiago (Capo Verde); c) tra il MAE e la lnterconsulting S.p.A. relativo alla gestione delle suddette opere realizzate. La Commissione di collaudo ha emesso i regolari certificati di collaudo relativi ai contratti di cui ai precedenti punti a), b).
Nella gestione del contratto di cui al punto
c) si sono verificati due eventi impeditivi non imputabili ai collaudatori costituiti, il primo, dalla rescissione del contratto di alta vigilanza che il MAE aveva stipulato con la società Italtekna ed, il secondo, dal sequestro operato dall'Autorità giudiziaria degli atti connessi con la suddetta alta vigilanza, per lo svolgimento di indagini. È conseguita per la D.G.C.S. la materiale temporanea indisponibilità degli atti contabili da porre a disposizione della commissione di collaudo la quale aveva già visitato i lavori ormai ultimati, pur non avendo potuto eseguire la visita finale in mancanza dei suddetti atti contabili. Nelle more dell'acquisizione dei suddetti atti contabili, la Commissione di collaudo ha redatto un «Atto di consistenza», atto che non è stato ritenuto idoneo dall'Ufficio di ragioneria quale sostitutivo del certificato di collaudo. È pertanto conseguita l'impossibilità di procedere alla liquidazione del saldo degli onorari spettanti alla Commissione di collaudo. Successivamente la D.G.C.S. è riuscita ad entrare nella disponibilità dei suddetti atti contabili (terminate le indagini giudiziarie suddette), ma nel frattempo le località interessate dalle opere erano divenute non più accessibili in quanto teatro di guerriglia. La situazione di stallo nella procedura di liquidazione delle competenze della commissione di collaudo è stata superata per iniziativa autonoma di quest'ultima mediante il ricorso alla magistratura ordinaria che ha emesso un decreto ingiuntivo nei confronti del MAE intimandogli il pagamento dell'importo indicato nella interrogazione.


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10) Ruanda/Fintecna: «Sistemazione del perimetro irriguo n. 4 - Kagitumbwa Muvumba».

Si tratta di una vecchia e complessa vertenza che è stata composta mediante stipula di una transazione, evitando in tal modo oneri ben maggiori per l'Amministrazione. Il caso rientrava in un pacchetto di situazioni «pre-contenziose» con la Società Fintecna (ex Iritecna, ex Italimpianti) relative a programmi di cooperazione in diversi Paesi le quali, alla data odierna, risultano tutte (eccetto una, per la quale si sta individuando una soluzione) composte per via amministrativa ovvero in via transattiva.
Con contratto stipulato il 31 gennaio 1989, era stata affidata all'associazione temporanea tra Imprese (A.T.I.) tra Italimpianti (mandataria) e Ifagraria S.p.A., l'esecuzione di un progetto avente finalità di sistemazione agricola ed irrigua di un'area di 400 ettari di terreno, comprensivo altresì di indagini topografiche e studi geotecnici, infrastrutture di supporto, assistenza tecnica e formazione, gestione e sorveglianza dei lavori, forniture di attrezzature varie. Per la realizzazione di tali attività, fu stanziato l'importo complessivo di lire 9.306.804.000 (di cui lire 200.000.000 a carico del Governo ruandese) per una durata contrattuale di 24 mesi. Il contratto, approvato con decreto ministeriale del 28 giugno 1990 (vistato dopo i controlli di legge il 22 novembre 1990) entrò in vigore il 24 novembre 1990.
L'esecuzione del programma presentò subito molteplici difficoltà di natura amministrativa, fra cui la richiesta dell'ATI di una variante onerosa nella fornitura di attrezzature, ma ciò che determinò l'insorgere della controversia con la esecutrice fu lo scoppio della guerra civile nel Paese e la conseguente sospensione delle attività per causa di forza maggiore, in data 28 febbraio 1994, intimata con ordine di servizio n. 3 della direzione lavori, approvato dal MAE con lettera del 16 maggio 1994. Detta sospensione si protrasse fino al 9 novembre 1995, data in cui la direzione lavori sottoscrisse un verbale di ripresa dei lavori. Iritecna, a questo punto, si rifiutò di riprendere i lavori in quanto affermava di essere legittimata a chiedere lo scioglimento del contratto (ex articolo 30, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 16 luglio 1962, n. 1063), atteso che la suddetta sospensione si era protratta per oltre sei mesi complessivi. Inoltre, sempre nel corso dell'esecuzione dei lavori, furono disposte variazioni qualitative e quantitative degli stessi che, a giudizio di Iritecna, eccedevano il quinto d'obbligo di cui all'articolo 344 della legge 20 marzo 1965, n. 2248 (allegato F). L'esecuzione del programma rimase pertanto sospesa, in una situazione creatasi in via di fatto e di incerta qualificazione giuridica.
Nella dialettica fra le parti, Iritecna ha sostenuto (in atti) la tesi della necessità di una rinegoziazione del contratto per il superamento del cosiddetto quinto d'obbligo; successivamente, invitata dalla DGCS ad assumere un atteggiamento più costruttivo e realista, l'impresa ha ammesso che, data l'imminente liquidazione amministrativa cui stava per essere sottoposta, non era più obiettivamente in condizioni di portare a compimento l'impegno contrattuale sottoscritto. Da questa situazione di
impasse ha preso corpo l'ipotesi di una risoluzione consensuale del rapporto contrattuale. Tale scelta, per l'Amministrazione, - è stata ancor più avvalorata dalla notifica in data 29 maggio 1998 di un atto di diffida stragiudiziale da parte del legale di Iritecna, con il quale s'invitava il MAE a dare esecuzione ai sospesi pagamenti contrattuali ed allo svincolo delle fidejussioni a suo tempo accese, minacciando, in caso contrario, il ricorso alla procedura arbitrale. A presupposto della citata diffida si era registrata, sul piano dello svolgimento contrattuale, la firma con riserva, da parte della società, sul conto finale e, nonostante l'invito formale della DGCS, il rifiuto della predetta a partecipare alla visita di collaudo. Tali atteggiamenti erano fortemente indicativi della intenzione di Iritecna di arrivare ad un contenzioso conclamato con il MAE. Dagli atti rinvenuti, emerge inoltre, la proposizione da parte di Iritecna di «riserve», contenenti pretese di riconoscimenti


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economici a vario titolo, a ristoro di oneri indebitamente subiti, in connessione dello svolgimento contrattuale. In successione, si riscontrano la relazione del direttore lavori e della commissione di collaudo in ordine al merito di dette «riserve», nonché un'intensa dialettica intervenuta tra gli stessi Uffici della Direzione generale a disamina delle medesime.
A seguito di diversi incontri con l'impresa, la situazione era riassumibile come segue: a fronte di rivendicazioni della predetta per lire 4.441.755.495, la DGCS era disponibile ad un riconoscimento di lire 299.582.303 per le riserve, più lire 566.308.208 per interessi. Iritecna, nell'ottica di una risoluzione concordata capace di escludere l'altrimenti inevitabile ricorso all'arbitrato, ha avanzato una controproposta per un'entità complessiva di lire 1.808.308.208. A questo punto la Direzione generale, concluso l'
iter istruttorio, chiese parere all'Avvocatura generale dello Stato circa la legittimità e l'opportunità di una soluzione concordata delle riserve dell'impresa e, dunque, di una risoluzione consensuale del contratto in questione.
L'Avvocatura rilasciò il richiesto parere in data 22 giugno 1999, sulla base del quale fu possibile conteggiare le diverse pretese di controparte e pervenire ad una quantificazione definitiva delle diverse voci e ad un'offerta della DGCS pari a lire 1.397.003.856. Tale offerta è stata accettata dall'impresa ed ha formato oggetto della transazione stipulata il 18 dicembre 2000, come riportato nell'interrogazione parlamentare.
L'accordo extragiudiziale faticosamente delineatosi è stato valutato con estremo favore dalla DGCS e dalla stessa Avvocatura generale considerato che, altrimenti, si sarebbe inevitabilmente aperta la via del ricorso all'arbitrato, che avrebbe sicuramente comportato oneri ben maggiori per l'erario. La convenienza anche economica della somma convenuta e l'impossibilità di ricostruire con precisione le diverse fasi contrattuali, anche in relazione alle vicende belliche sopra richiamate, hanno fatto propendere definitivamente per l'accettazione dell'ipotesi transattiva. Si tenga presente che, sui piano sostanziale, sono state accolte le sole riserve per così dire «automatiche», ossia non soggette a valutazione discrezionale: sull'
an debeatur, mentre sono state respinte quelle rivelatesi prive di fondamento giuridico implicanti margini di discrezionalità. Circa la pretesa relativa agli interessi (trattata separatamente rispetto alle riserve), si fa rilevare che si è spuntata una forte riduzione a vantaggio del MAE, a seguito di un complesso ricalcolo degli stessi (accettato da controparte) in stretta aderenza ai criteri di legge e di contratto. Ciò è stato possibile perché la stessa Fintecna ha convenuto che il prodursi degli interessi è stato causato anche ai rilievi dell'Ufficio di ragioneria sui singoli decreti di liquidazione e, ancora più a monte, ai ritardi sopra accennati nel rispetto del cronogramma delle attività a causa dei noti eventi bellici: tutte circostanze che si sono ripercosse con effetto moltiplicatore sulla puntualità dei pagamenti.
Sul caso ha indagato la Procura regionale della Corte dei conti, giungendo all'archiviazione in data 11 ottobre 2001. La Corte dei conti ha, naturalmente, esperito anche i controlli di legge sulla transazione sotto il profilo gestionale, non ravvisando responsabilità alcuna in capo a funzionari dell'Amministrazione.

11) Uruguay/Consorzio Techint/Loro Piana: «Centro di sviluppo tessile Lanificio Pilota Pan de Azucar».

Il contratto in argomento è riconducibile al Fondo Aiuti Italiani (F.A.I.) istituito con la legge 8 marzo 1985 n. 73 e, quindi, prima dell'istituzione dell'attuale D.G.C.S. avvenuta con la legge n. 49 del 1987. L'importo delle forniture e dei servizi previsti nel contratto era di lire 8.845.500.000. Il Governo dell'Uruguay si era impegnato ad eseguire le opere civili destinate all'installazione dei macchinari forniti dal consorzio di imprese italiane. Tale impegno è stato soddisfatto con ritardo e, come conseguenza di ciò, i macchinari sono stati installati con notevole ritardo. Da detta circostanza, è conseguito un ritardo nei


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pagamenti dei corrispettivi al consorzio, in quanto essi erano contrattualmente previsti soltanto a macchinari installati. A lavori ultimati ed accettati, il consorzio ha chiesto il riconoscimento di un importo di lire 333 milioni circa per i ritardi subiti nell'installazione dei macchinari (pur non imputabili alla D.G.C.S.) e per l'intervenuto aumento del costo della mano d'opera.
Con atto transattivo in data 5 marzo 2001 il M.A.E. ha riconosciuto un importo ridotto, rispetto alle pretese del consorzio, di lire 111.675.375.

12) Turchia/Ismes S.p.a. (oggi Enel.Hydro S.p.a.): «Risanamento idrogeologico ed idrologico della città di Cankiri, in Turchia».

Con contratto del 20 novembre 1987 e atto integrativo del 13 settembre 1998 la D.G.C.S. affidò alla ISMES S.p.a., mandataria e rappresentante dell'associazione temporanea d'impresa costituita con la Cavagnis-Costacurta S.p.a., il risanamento idrogeologico ed idrologico della città di Cankiri, in Turchia, per un importo di lire 3.870.000.000. Il contratto divenne operativo il 3 gennaio 1989, aveva durata di 30 mesi e doveva essere eseguito entro il 2 luglio 1991. L'iniziativa, in sostanza, prevedeva la fornitura ed il montaggio di un impianto completo per lo smaltimento delle acque reflue della città di Cankiri. Secondo quanto concordato con le autorità locali, la municipalità di Cankiri avrebbe dovuto, da parte sua, realizzare tutte le opere preliminari, necessarie per poter montare e rendere funzionante l'impianto. Tra queste, si prevedeva l'adeguamento del terreno, l'allaccio con le fognature cittadine, i necessari servizi di telefono e fax, ecc.). Tuttavia, la partecipazione del beneficiario locale fu, dall'inizio, quasi inesistente, in particolare per quanto riguarda le opere civili dell'impianto di depurazione. Tali inadempienze hanno messo l'impresa nell'impossibilità di rispettare il programma dei lavori, e ne hanno rallentato l'attività, fino a determinare praticamente il fermo del cantiere. La D.G.C.S., ha confidato nella capacità dell'Amministrazione turca di reperire i fondi per eseguire le prestazioni a suo carico e, tenendo conto delle reiterate assicurazioni da essa fornite, ha tardato ad assumere provvedimenti formali di sospensione dei lavori, anche se con lettera del 6 settembre 1991, invitava l'impresa a limitare le prestazioni contrattuali, garantendo solo la custodia dei materiali e delle attrezzature depositati in cantiere. In seguito, il perdurare dell'inadempienza turca ha provocato la formale sospensione dei lavori con verbale del 23 settembre 1992, ed infine, in data 11 aprile 1994, si provvide a comunicare alla ISMES la determinazione di recedere dal contratto ai sensi dell'articolo 345 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F, sui lavori pubblici.
A seguito di questa decisione, il direttore dei lavori, nello Stato finale redatto il 5 maggio 1994, ha provveduto a determinare il debito della Ismes in lire 70.931.925, considerando la quota di anticipazione non recuperata per lire 249.375.900, il 5 per cento a garanzia trattenuto per lire 131.156.025 ed il compenso per lo scioglimento del contratto, pari ad un decimo delle opere non eseguite, per lire 47.287.950. La società, all'atto della firma dello stato finale, ha confermato le riserve già iscritte nel registro di contabilità per un totale di 990.242.700, compresi interessi. Sono state portate avanti, quindi, le operazioni di collaudo e la Commissione incaricata, nel dicembre 1994, ha provveduto a certificare lo stato di consistenza delle attrezzature e dei materiali forniti dall'impresa, nonché a valutare le riserve riducendole a lire 120.885.750. Successivamente in data 9 giugno 1995, l'impresa, ai sensi dell'articolo 12 del contratto, chiedeva di adire al «preliminare tentativo di composizione amministrativa».
Pertanto, la D.G.C.S. ha provveduto ad interpellare la commissione per il contenzioso istituita con legge n. 121 del 1994, per valutare le richieste della Ismes. Tale Commissione in data 9 novembre 1995 e 8 gennaio 1996 ha espresso il proprio parere confermando l'importo delle riserve riconosciuto dai collaudatori in lire 120.885.750 e quantificando gli interessi in


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lire 83.227.441, per un totale complessivo di lire 204.113.191. A conclusione del tentativo di composizione, in data 16 maggio 1996, l'impresa comunicava il proprio assenso alla definizione prospettata di lire 204.113.191 e pertanto restava creditrice di lire 84.564.665, avendo decurtato lire 70.931.925, quale debito di Ismes nello stato finale, e lire 48.616.601, quale quota interessi già corrisposta.
La D.G.C.S. ha provveduto ad inoltrare il pagamento dell'importo concordato, ma ha incontrato per ben due volte (29 maggio 1997 e 19 novembre 1997). Osservazioni da parte dell'ufficio di Ragioneria che ha sollevato eccezioni insormontabili in merito al calcolo di interessi attivi sulla quota a debito dell'impresa che avrebbe quindi modificato l'importo concordato. La questione degli interessi attivi, nel corso del 1998, è stata oggetto di copiosa corrispondenza fra la D.G.C.S. e la Ismes, senza peraltro arrivare ad un nuovo accordo, tant'è che nel dicembre 1999 la società notificava alla D.G.C.S. formale domanda di arbitrato per il riconoscimento del residuo importo di lire 84.564.665, oltre interessi e maggior danno dal 16 maggio 1996, con vittoria di spese legali ed arbitrali. Nel frattempo la Ismes S.p.a. con verbale di assemblea straordinaria del 21 dicembre 1999, modificava la propria denominazione sociale in Enel-Hydro S.p.a. Di fronte alla concreta instaurazione di un giudizio, nel corso del 2000 sono stati intensificati i contatti con la società per cercare di addivenire ad un accordo bonario, a cui l'impresa si è dimostrata disponibile fin dall'inizio.
In tal senso, fermo restando l'importo concordato di 84.564.665, le trattative si sono rivolte ai criteri da adottare per il calcolo degli interessi attivi e passivi sulle varie poste creditorie e debitorie, fino a quando, in data 16 novembre 2000, il legale della Enel-Hydro dichiarava di accettare nello spirito transattivo il solo importo capitale concordato, con reciproca rinuncia agli interessi.
È stato pertanto predisposto, e successivamente liquidato, un atto transattivo di lire 84.564.665 che ha ricevuto il parere favorevole da parte dell'Avvocatura generale dello Stato che in data 6 febbraio 2001 vi ha apposto il visto di legalità, valutando la convenienza di porre fine ad un contenzioso che si protraeva dal 1996 e che ove si fosse proseguito con il giudizio arbitrale, avrebbe visto inevitabilmente l'Amministrazione soccombere in relazione a tutti gli accessori di legge richiesti dalla società.
La Procura regionale della Corte dei conti, svolte le indagini sul caso, ha archiviato la pratica il 13 novembre 2002, non ravvisando responsabilità perseguibili. Anche l'Atto transattivo è stato controllato dalla Corte, Sezione Controllo Ministeri Istituzionali.

13) - Esperti S.M.G. e A.C.-MAE-D.G.C.S.

La dottoressa S. stipulava in data 1o dicembre 1988 un contratto di diritto privato con il Ministero degli Affari Esteri per la prestazione, per un periodo quadriennale, di attività di Esperto presso la Unità Tecnica Centrale istituita a supporto della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo, ai sensi dell'articolo 12 della legge 26 febbraio 1987, n. 49. Successivamente, decorso il quadriennio, l'Amministrazione deliberava di rinnovare il contratto per un periodo annuale. Il nuovo contratto, sottoscritto in 9 aprile 1993, veniva approvato con decreto del 28 aprile 1993, registrato presso la competente Ragioneria in data 25 maggio 1993. Inizialmente la dottoressa S. impugnava - con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica - il predetto decreto nella parte in cui approva la clausola contrattuale recante rinnovo del contratto di lavoro per un periodo annuale anziché quadriennale. Il Consiglio di Stato esprimeva parere di improcedibilità del predetto ricorso. Scaduto il suddetto contratto annuale, la dottoressa S., in virtù del successivo mancato rinnovo contrattuale disposto con provvedimenti n. 72/94 e n. 181/94, ricorreva allora al Tribunale ordinario - Sez. Lavoro - che, con sentenza di primo grado n. 14464 del 13 luglio 1999 dichiarava la nullità del ricorso e condannava la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite.


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La predetta sentenza veniva appellata dalla ricorrente. In merito decideva la Corte d'Appello di Roma, in data 8 marzo 2001 (sentenza n. 1707/01), la quale condannava il Ministero degli Affari Esteri, al pagamento - a titolo di risarcimento del danno per perdita di chance -, della somma di lire 35.000.000, oltre interessi e rivalutazione fino al saldo.
Il riconoscimento del risarcimento del danno per perdita di
chance è stato concesso dalla Corte d'Appello in subordine rispetto alla richiesta iniziale della dottoressa S. e costituisce un mero ristoro per il mancato rinnovo del contratto da parte del ministero degli affari esteri.

Esperto A.C.

L'Esperto in questione è stato assunto con contratto di diritto privato di durata quadriennale ai sensi dell'articolo 12 della legge n. 49/87 ed è stato escluso - insieme ad altri - dall'Elenco degli esperti ai quali detto contratto è stato rinnovato ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge 28 dicembre 1993, n. 543, convertito in legge n. 121 del 1994. Ha impugnato il provvedimento n. 72 del 24 febbraio 1994 e poi quello (che ha sostituito il precedente) n. 181 del 7 giugno 1994 innanzi al T.A.R. Lazio che, con sentenza n. 51 del 21 gennaio 1997, ha affermato il proprio difetto di giurisdizione. Sia le istanze cautelari volte alla riassunzione che l'istanza di sospensione degli effetti della suddetta sentenza sono state rigettate, ed infatti il ricorrente ha definitivamente cessato le sue funzioni presso il Ministero degli Affari Esteri il 17 gennaio 1995. La sentenza del Tribunale di Roma - Sez.Lavoro n. 17496 del 17 dicembre 1999 ha condannato il Ministero degli Affari Esteri al pagamento in favore del dottor A. C. della somma di lire 60.000.000, oltre agli interessi legali ed alle spese di lite liquidate in lire 3.500.000. Nella motivazione della predetta sentenza il Tribunale ha escluso la lesione di (inesistente) diritto soggettivo al rinnovo del contratto, ma ha invece ritenuto sussistente una qualificata aspettativa in capo all'Esperto ed ha quindi affermato la responsabilità precontrattuale da parte dell'Amministrazione. Con ricorso depositato il 21 febbraio il dott. A. C. ha proposto appello, avverso la predetta sentenza di primo grado e la Corte d'Appello di Roma - Sez. Lavoro - con sentenza n. 259/01 dell'8 marzo 2001 ha condannato il Ministero degli Affari Esteri al pagamento della somma di lire 101.655.850, di lire 90.0000.000 a titolo di risarcimento e lire 11.655.850 per spese legali.
Nella quantificazione del danno da «perdita di
chance», la Corte ha ricordato che deve operarsi valutazione del grado di probabilità di superamento della selezione da elementi incontestabili quali: l'esperienza internazionale acquisita dal Dott. C., superiore ai 12 anni nel campo della cooperazione e il non aver subito nota di demerito nel corso della sua attività. Ciò ha portato alla conclusione di poter valutare nella misura di almeno il 50 per cento le probabilità dell'appellante di superamento di prove di selezione. È stato escluso il danno da «dequalificazione professionale» e, parimenti, la responsabilità contrattuale del Ministero.

14) Mozambico/CMC: «Ammodernamento ed ampliamento dell'acquedotto della città di Pemba».

Il 3 novembre 1986 la DGCS e la Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna (C.M.C.) sottoscrissero un contratto, per un importo di lire 17.840.420.000, cui fece seguito un atto aggiuntivo, per un importo di lire 2.615.000.000, con il quale fu affidato il compito di realizzare i lavori di ammodernamento ed ampliamento dell'acquedotto della città di Pemba, in Mozambico. Le stesse parti il 17 luglio 1991 sottoscrissero altro contratto, per un corrispettivo globale massimo di lire 99.252.590.000, per la realizzazione del programma di sviluppo integrato nella provincia di Maputo, sempre in Mozambico. Nel complesso, pertanto, la CMC con detti contratti si era impegnata a realizzare in Mozambico lavori ed attività per oltre 119 miliardi di lire. Successivamente al termine delle attività nel 1997 la CMC proponeva ricorso per decreto ingiuntivo avverso il


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MAE-DGCS per ottenere il pagamento degli interessi maturati per ritardato pagamento per complessive lire 474.948.165; inoltre proponeva, in riferimento al contratto del 1991, ulteriore azione innanzi al Tribunale civile di Roma in data 1o agosto 1997 con la quale richiedeva la condanna del MAE-DGCS al pagamento di complessive lire 12.627.441.616, a titolo di ristoro dei maggiori oneri sostenuti ed espressi nelle riserve n. 1 e n. 10 iscritte nel registro di contabilità, rispettivamente, in data 25 giugno 1992 e 27 febbraio 1996; proponeva, infine, ulteriore azione innanzi al Tribunale di Roma nel 1998 per pretese risarcitorie per oltre un miliardo. Complessivamente, quindi, la pretesa di CMC, portata in tre differenti atti giudiziari, era pari a circa 14 miliardi di lire.
A seguito di idonea informativa i tre diversi contenziosi sono stati interamente transatti con un esborso da parte dell'Amministrazione di lire 6.837.000.000 (circa il 45 per cento della somma pretesa). Nello specifico, a seguito di comparato esame, è emerso che l'importo portato dal decreto ingiuntivo in realtà è stato ridotto a lire 163.000.000 circa, e rappresenta il risultato dell'applicazione di un esatto criterio di calcolo seguito dall'Amministrazione. Per quanto invece concerne le domande degli altri giudizi, le stesse sono rappresentate dalle riserve n 1 e n. 10; la riserva n. 1 per ritardato pagamento, e, quindi, la relativa domanda, è stata di fatto abbandonata mentre per quanto riguarda la riserva n. 10 la stessa trovava origine nel forzato prolungamento dei tempi di esecuzione del contratto determinato dall'intervenuta sospensione dei lavori. Infatti, la sospensione è stata operata su espressa richiesta del beneficiario mozambicano che, a seguito di mutate condizioni politiche e sociali conseguenti all'accordo di pace ratificato il 7 ottobre 1993, si è trovato a gestire situazioni diverse legate alle nuove necessità della popolazione reduce dalla cessata guerriglia. Sulla scorta di tali mutate condizioni politiche si è reso necessario sospendere i lavori e rielaborare il piano operativo con conseguenti oneri che derivavano all'impresa presente
in loco.
Veniva, quindi, intavolata una trattativa che sfociava in un atto di transazione stragiudiziale a definizione dell'intero contenzioso giudiziale pendente, nel quale veniva abbandonata la riserva di cui al n. 1, ridotto l'importo del decreto ingiuntivo a circa 160 milioni e ridotto l'importo cospicuo di circa 12 miliardi di cui alla domanda tribunalizia, a circa la metà con un esborso di circa 6.800.000.000.
All'atto transattivo si è giunti ricevendo il preventivo parere consultivo dell'Avvocatura Generale dello Stato che ha esaminato le relazioni esplicative ed ha ritenuto conveniente procedere alla transazione.
Deve infine evidenziarsi che la Corte dei Conti con provvedimento del 28 settembre 2001 apponeva il proprio visto di legittimità sul decreto ministeriale 2001/340/002662/3 con il quale è stata approvata la transazione per l'importo complessivo di lire 6.837.000.000, con tale apposizione di fatto la Corte dei Conti, Sezione Controllo Ministeri Istituzionali, sanciva l'insussistenza di qualsiasi ipotesi di danno erariale e, quindi, la conseguente insussistenza di responsabilità rilevanti a carico della gestione operata dai MAE-DGCS. In aggiunta, si specifica che la Procura della Corte dei conti, svolte le indagini sul caso, ha archiviato la pratica in data 13 novembre 2002, non ravvisando responsabilità perseguibili.

15) Comandato Prof. A.M./MAE-D.G.C.S.

Il Prof. A.M., con ricorso proposto al Tribunale Civile di Palermo con atto del 6 giugno 2003, ha chiesto che gli fossero riconosciute tutte le differenze retributive non percepite per il periodo 1o marzo 1987/31 agosto 1988 oltre agli interessi ed alla rivalutazione monetaria a far data dall'insorgenza dei singoli crediti sino a quella del loro effettivo soddisfo. Il ricorrente, comandato dal Ministero della P.I. presso il Ministero Affari Esteri, era stato destinato a prestare servizio nell'ambito del Programma del Centro Tecnologico di Zapopan in Messico, inizialmente per il periodo 8 ottobre 1984/31 agosto 1985 e poi, per effetto di una serie di differimenti fino


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al 30 agosto 1988. Dal punto di vista retributivo l'attività svolta dal M. dall'ottobre 1984 al febbraio 1987 era stata disciplinata dalla Legge n. 38/79, mentre per quella svolta successivamente, l'Amministrazione aveva ritenuto di dover applicare la disciplina prevista dalla Legge n. 49/87, in vigore dal 1o marzo 1987.
Il Prof. M. aveva adito le vie legali, proponendo ricorso al T.A.R. per la Sicilia, e, successivamente, al Consiglio per la Giustizia della regione Sicilia, in sede d'appello. Con decisione n. 584/99 il Consiglio di Giustizia aveva accolto l'appello proposto, affermando che il trattamento dovuto al M. per il periodo 1o marzo 1987/31 agosto 1987 dovesse essere quello previsto dalla legge n. 38/79 ed ordinando all'Amministrazione di dare esecuzione alla decisione. La Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo quantificava in lire 51.770.440 l'importo complessivo dovuto, somma che veniva corrisposta con DD.MM. del 9 gennaio 2001, 25-27 giugno 2001, dopo il rilascio da parte del M. di una dichiarazione liberatoria.
Sulla base di quanto esposto, si riportano le seguenti considerazioni sotto il profilo giuridico: la lettura della motivazione della sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la regione Siciliana consente di affermare che il giudice amministrativo ha riconosciuto il diritto del M. alla applicazione dell'articolo 25 della legge n. 38/79 ed al conseguente trattamento economico per l'attività lavorativa esplicata nel solo periodo 1o marzo 1987/31 agosto 1987. Non si rinvengono statuizioni, invece, per l'attività svolta dal ricorrente dall'1 settembre 1987 al 31 dicembre 1987 e dall'1 gennaio 1988 al 31 dicembre 1988. La permanenza del M. in Messico è stata determinata dall'adozione di due distinti provvedimenti, il primo dei quali reca la data dell'1 settembre 1987. Ora, su di un piano generale, la dottrina pubblicistica ha distinto la nozione di «proroga» da quella di «rinnovazione», affermando che la prima si configura allorquando l'Amministrazione procede ad una mera modifica del termine di durata del rapporto dell'atto assunto in precedenza, situazione questa che non integra l'adozione di un provvedimento nuovo. Ricorre, invece, l'ipotesi di una rinnovazione, quando l'Amministrazione provvede mediante un atto con cui si apre un nuovo rapporto uguale al precedente nel suo oggetto principale. La giurisprudenza in materia rileva che l'atto di proroga presuppone che il termine originario non sia scaduto, ma accede integralmente all'atto originario. Nel caso di specie, il provvedimento adottato il 1o settembre 1987, pur facendo riferimento al decreto ministeriale 002528 del 2 ottobre 1984, contiene, in realtà, una nuova valutazione dell'interesse dell'Amministrazione alla prosecuzione della missione; inoltre, richiamando, nelle premesse, la Legge n. 49/87, in ciò effettua la «novazione» della fonte legislativa di riferimento. Ciò comporta, per quanto attiene al trattamento economico, il rinvio al contenuto della delibera n. 2 del 6 marzo 1987 del Comitato Direzionale, adottata in seguito all'entrata in vigore della Legge n. 49/87.
Alla luce delle considerazione suesposte, l'Amministrazione corrispondeva al M., per il periodo 1o settembre 1987/31 dicembre 1987 e 1o gennaio 1988/30 agosto 1988, quanto previsto dalla Legge n. 49/87 e dai successivo decreto ministeriale 833/88. L'Amministrazione a seguito della decisione n. 584/99 del C.d.G. della Sicilia, si determinava al pagamento della somma di lire 51.770.402, subordinandolo al rilascio di una dichiarazione del M. avente il contenuto di accettazione incondizionata dell'importo ed espressa rinuncia ad ulteriori pretese derivanti dalla sentenza in questione.

16) Somalia/Cotecno: Srl «Studi Somali».

In occasione delle riunioni della Commissione Mista universitaria italo-somala, tenutesi a Mogadiscio nell'agosto 1985 e nel dicembre 1986, nonché della riunione della Giunta Esecutiva della Università Nazionale Somala (U.N.S.) dell'aprile 1987, venne considerata prioritaria la realizzazione del programma «Studi Somali», relativo alla Facoltà di Lingue della stessa Università. Con nota del 27 dicembre 1986, il rettore della UNS chiese al Governo italiano che la realizzazione dello stesso progetto venisse affidata alla Società COTECNO (che già aveva eseguito


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con successo, all'epoca del F.A.I., un precedente intervento affine in Somalia), la quale si dichiarò disponibile a fornire i servizi di cui constava l'iniziativa, presentando apposita proposta tecnico-economica. Il Comitato Direzionale della DGCS con delibera n. 66 dell'8 settembre 1987, approvò l'iniziativa, autorizzandone l'affidamento a trattativa privata, come consentito dalla normativa dell'epoca. Si perveniva alla stipula del conseguente contratto con la COTECNO il 30.5.1988, per l'importo di lire 1.848.147.000 + IVA. Le prestazioni contrattuali consistevano: nella produzione di lavori di descrizione (sulla lingua e sulla cultura somala); nell'addestramento di esperti somali nel campo della ricerca linguistica; nella valutazione dello sviluppo delle capacità cognitive e logiche degli studenti delle scuole superiori; nella formulazione di obiettivi educativi, di ipotesi didattiche e di metodologie per l'istruzione preuniversitaria; nell'elaborazione di criteri per la stesura di un dizionario scolastico; nella messa a punto del lessico di base per un Grande Dizionario Somalo monolingue; nell'elaborazione di una Grammatica Scolastica per la lingua somala. Le prestazioni comprendevano altresì: forniture di attrezzature, materiali e mezzi di trasporto, strumentali allo svolgimento del programma; servizi in Italia (organizzazione, elaborazione dati, missioni di personale somalo); servizi in Somalia (missioni di controllo, missioni di esperti linguisti, interviste, organizzazione logistica in loco).
Il contratto entrava in vigore il 27 agosto 1988, a seguito della comunicazione del MAE alla COTECNO relativa all'avvenuto perfezionamento del decreto ministeriale di approvazione del contratto (datato 4.8.1988). La durata era fissata in 34 mesi, ossia fino al 27 giugno 1991. Nel corso dell'esecuzione del contratto, in data 15 dicembre 1989, il Comitato Tecnico Linguistico della UNS, in considerazione della situazione d'instabilità dovuta agli eventi politici e militari che andavano profilandosi in Somalia, chiedeva alla COTECNO una riarticolazione del programma. La Società con nota del 28 febbraio 1990, stante la richiesta della UNS e l'evidente necessità di adeguare l'articolazione dell'iniziativa alla mutata situazione logistica, politica e militare della Somalia, inviava al MAE proposta di variante e connessa relazione tecnico-economica. Detta variante veniva approvata il 15.11.1990: per varie ragioni interne alla Direzione Generale, tuttavia, non si rivelava possibile una sollecita stipula del relativo Atto aggiuntivo. Considerato il tempo resosi necessario per perfezionare detta modifica, la COTECNO chiedeva (il 1o marzo 1991) il differimento del termine di durata contrattuale di un anno, cioè con scadenza al 26 giugno 1992. In esito a detta istanza, la DGCS comunicava il 24 giugno 1991 l'approvazione parziale (sei mesi) dello slittamento del termine finale, cioè soltanto fino al 26 dicembre 1991. Perdurando la mancata stipula dell'Atto aggiuntivo, la COTECNO chiedeva, il 16 dicembre 1991, una seconda proroga di 12 mesi della durata del contratto, con slittamento dei termine finale al 26 dicembre 1992: detto differimento non risulta essere stato mai concesso. In data 20 marzo 1992 veniva stipulato l'Atto aggiuntivo relativo alla riarticolazione del programma, il successivo 23 novembre 1992, il MAE comunicava l'avvenuto perfezionamento del decreto di approvazione e che la suddetta variante era operativa dall'8 settembre 1992, puntualizzando che le attività contrattuali si sarebbero dovute concludere entro l'8 marzo 1993.
Nonostante il travagliato iter amministrativo relativo alle varie fasi dell'esecuzione del contratto, la esecutrice raggiunse effettivamente gli obiettivi dell'iniziativa, adempiendo a tutte le obbligazioni a proprio carico. Al termine dei programma, nonostante i tentativi di composizione bonaria esperiti dagli Uffici della DGCS, il legale della COTECNO propose senza esitazione domanda di arbitrato per vedersi riconoscere: 1) gli interessi di ritardato pagamento sui corrispettivi contrattuali; 2) il corrispettivo dei mesi-uomo spesi in eccedenza; 3) il rimborso degli oneri aggiuntivi sostenuti per la sede dell'iniziativa in Italia e per quella in Somalia, a causa della maggiore durata complessiva del contratto; 4) la revisione prezzi sui corrispettivi dovuti dal MAE a fronte delle prestazioni


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eseguite dalla COTECNO; 5) l'equo compenso per le modifiche apportate in corso d'opera e per la diversa allocazione delle risorse disponibili; 6) i maggiori oneri sostenuti a causa del mancato sblocco delle fidejussioni prestate dalla Società a garanzia della somma riscossa a titolo di anticipazione. Il tutto gravato di interessi.
Il Collegio arbitrale, con lodo del 17 gennaio 2001, ha deciso con accoglimento parziale del primo quesito sui ritardati pagamenti delle somme di contratto, nel senso che la COTECNO, fino alla domanda di arbitrato, non avrebbe mai contestato l'intempestività dei pagamenti, né la previa imputazione degli stessi agli interessi (fatti concludenti che integrano il consenso del creditore all'imputazione dei pagamenti ad opera del debitore); ancora sul primo quesito è stata dedotta l'inapplicabilità dell'articolo 1194 del codice civile, quanto al pagamento «a vista», attesa la prevalenza dell'articolo 409 del R.D. 23.5.1924, n. 827 (previa istruttoria tecnica) che la P.A. è tenuta ad applicare. È stata respinta, infine, la pretesa rivalutazione monetaria. Gli altri quesiti sono stati accolti (parzialmente e con valenza equitativa il secondo, il quinto e il sesto; totalmente il quarto, relativo alla revisione prezzi) ad eccezione del terzo (oneri per la sede in Italia ed in Somalia), che è stato respinto. Le somme liquidate per sorte capitale (lire 882.141.900) e per interessi e spese legali (lire 479.962.600) corrispondono a quelle riportate nell'interrogazione parlamentare.
L'Avvocatura Generale dello Stato, con nota del 7 giugno 2001, ha escluso la proponibilità dell'appello avverso la decisione arbitrale, la quale è così passata in giudicato. La Corte dei Conti, svolte indagini sul caso, ha proceduto all'archiviazione, non ravvisando responsabilità perseguibili.

17) Senegal «Fintecna (ex Italtekna): 1) Programma di strutturazione e sviluppo idro-agricolo nel Dipartimento di Matam (Progetto Matam); 2) Programma integrato del centro nord».

Il Fondo Aiuti Italiani (FAI), costituito con legge n. 73/1985, per l'esecuzione del Programma in oggetto stipulò tra il 1986 ed il 1987 tre contratti, rispettivamente con l'Italtekna per l'affidamento dei servizi riguardanti i programmi sopra citati, con la SNAM Progetti per l'Alta vigilanza e con l'Advanced Technology Service per la Direzione lavori. L'iniziativa del FAI si inquadrava nell'ambito dei programmi prioritari della politica agricola senegalese aventi per obiettivo il raggiungimento entro l'anno 2000 di una produzione locale in riso pari al 75 per cento del totale fabbisogno nazionale. Come programmi ed obiettivi a medio e lungo termine venivano infatti indicati dalle Autorità senegalesi, a seguito dell'entrata in esercizio degli sbarramenti di Diana e Manantali che dal 1988 hanno garantito l'uso controllato dell'acqua lungo la valle del fiume Senegal, la creazione entro il 1995 di 330.000 Ha di terreni arginati ed irrigati, e 220.000 Ha, a lungo termine, per lo sfruttamento totale sia delle risorse idriche e sia delle potenzialità dei suoli presenti in territorio senegalese. La localizzazione del progetto dell'iniziativa venne, quindi, fissata dalle Autorità senegalesi a seguito degli accordi di cooperazione firmati a Dakar il 23 maggio 1986 tra il Governo italiano e quello senegalese. L'importo complessivo dell'intervento era previsto nel contratto in 45 miliardi così suddiviso: 34 miliardi (di cui 2 miliardi riservati ad Organizzazioni Non Governative - ONG) per il Progetto MATAM ed 11 miliardi (di cui 2 miliardi riservati a ONG) per il Progetto Centro Nord.
Gli stanziamenti riservati ad Organizzazioni Non Governative prevedevano la divulgazione agricola, a seguito della attivazione di un circuito di produzione e commercializzazione per i contadini sulla terre bonificate e la creazione di uno schema di
primary health da attuarsi attraverso la creazione di alcuni dispensari per garantire un servizio sanitario nell'area. L'intervento delle ONG doveva essere successivo alla realizzazione delle opere principali del progetto Matam. I ritardi nella fase di negoziazione e di avvio delle operazioni vanificarono questo proposito, perché giunse la scadenza temporale della legge 73/1985, mentre successivamente, con il cambiamento


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di gestione amministrativa e l'istituzione dell'attuale D.G.C.S., venne abbandonata l'idea di coinvolgere le O.N.G.
A seguito della delibera del CIPES del 1o maggio 1985, con la quale erano state individuate le aree della prima fase d'intervento, i principi ed i criteri operativi, cui doveva attenersi il M.A.E., con il predetto contratto dell'8 luglio 1986, prorogato più volte per iscritto fino al 31 gennaio 1989, il Ministero degli Affari Esteri, nell'ambito dei poteri conferiti per l'attuazione degli interventi di cui alla legge 73/1985, dava incarico ad Italtekna S.p.A. (poi Iritecna S.p.A., ora Fintecna S.p.A.), con riferimento agli interventi programmati nel dipartimento di Matam, nel Senegal, di svolgere i seguenti servizi: studi di base per l'acquisizione degli elementi fondamentali per la realizzazione del programma (topografia, pedologia, idrologia ecc.), progettazione esecutiva per la realizzazione di comprensori suddivisi in perimetri irrigui autonomi sotto il profilo idraulico (opere idrauliche ed infrastrutture di servizio), studi specialistici di attuazione per la meccanizzazione agricola, per la gestione dei perimetri e la manutenzione delle opere, impostazione ed attività di divulgazione e formazione degli operatori agricoli utenti dei perimetri realizzati; esecuzione delle opere di cui alla progettazione prevista al precedente numero 2, studio specialistico di miglioramento dell'idraulica rurale (acquedotti rurali) per l'approvvigionamento idropotabile dei villaggi nell'area di intervento, finalizzato al miglioramento delle condizioni sanitarie locali, studio specialistico per la riabilitazione delle infrastrutture sanitarie esistenti nell'area di intervento e per la determinazione del fabbisogno di servizi, forniture ed equipaggiamenti sanitari, realizzazione degli interventi prioritari previsti ai precedenti numeri 6 e 7. Interventi analoghi venivano commessi per la zona del centro Nord.
I tempi di esecuzione dei servizi e di realizzazione delle opere e la natura, le caratteristiche tipologiche, (quantitative e qualitative) e l'importo delle stesse opere, venivano rinviati al compimento della progettazione esecutiva da predisporre. Il contratto, nella prima fase, veniva eseguito solo con riferimento agli interventi programmati nel distretto di Matam. L'Italtekna procedeva alla stesura dei primi progetti che inviava tempestivamente al Ministero Affari Esteri, Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo. Su richiesta della Direzione Generale e dell'Alta Vigilanza i progetti venivano più volte rielaborati da Italtekna per renderli attinenti alle esigenze incontrate. Il 7 febbraio 1987 il Ministero approvava i progetti esecutivi nonché, successivamente, il contratto di appalto per l'esecuzione delle opere, da essi previste, che Italtekna, su approvazione del M.A.E., commetteva al Raggruppamento temporaneo di Imprese costituito dalla S.p.A. Mondelli, dalla S.r.l. Cesir e dalla S.r.l. SASPER. Così Italtekna dava inizio ai lavori.
Non potendosi approvare definitivamente i prezzi relativi alle categorie delle opere previste, la Direzione Generale autorizzava l'Impresa a predisporre una contabilità provvisoria, sulla base di apposito elenco, rinviandone la definizione ad una successiva determinazione da concordare con l'impresa stessa. In conseguenza di ciò, sin dal primo S.A.L., Italtekna provvide ad iscrivere specifiche riserve in ordine ai maggiori corrispettivi, cui riteneva di aver diritto. Con ordine di servizio del 20 gennaio 1988, la Direzione Generale comunicava le modalità e le linee dell'intervento da eseguire, poi meglio specificate in un successivo elaborato denominato «Piano direttore». Con esso, l'originario progetto veniva mutato, ampliando il comprensorio da irrigare ad oltre 12.000 Ha, con nuove strutture ed impianti a servizio, mentre in questa fase non subiva variazioni l'ammontare finanziario del progetto stesso. Contestualmente la Direzione Generale, per rendere più agevole e rapida l'esecuzione dell'intervento, prevedeva, regolandolo, un Fondo di gestione per i lavori
de quibus, che Italtekna amministrava in nome e per conto del M.A.E.. A tal fine, Italtekna dovette predisporre una specifica struttura amministrativa. Per questo servizio fu concordato un compenso forfetario del 26,5 per cento delle somme amministrate. In relazione a tale servizio, la società era tenuta


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(ed in realtà tale adempimento dette regolarmente corso) a periodici rendiconti.
L'ampliamento delle attività aveva fatto registrare prolungate sospensioni con conseguente ridotta produttività del cantiere, donde alcune specifiche riserve iscritte nella contabilità dei lavori. Pur avendo Italtekna (1989) rappresentato al MAE l'insufficienza dei finanziamenti per fare fronte ai lavori derivanti dal nuovo progetto, l'Amministrazione non poté adottare i tempestivi provvedimenti per il reintegro dei fondi. Questa incerta situazione determinò ritardi sull'emissione dei S.A.L., cosa che costrinse Italtekna a sollecitarne più volte i pagamenti, per i quali si cercò di concordare nel contempo i prezzi definitivi con l'Amministrazione committente. Così, dopo vari solleciti, l'impresa nel luglio 1990, dette corso alla procedura di arbitrato prevista dal contratto. Nell'ottobre del 1991, il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici nominava l'«arbitratore» nella persona dell'ing. Calizza, funzionario del Ministero dei Lavori Pubblici che, recatosi anche in Senegal, a conclusione del suo incarico, redigeva, nel giugno del 1992, un elaborato analitico, consegnato alle parti con il quale venivano fissati i prezzi definitivi, con riferimento all'epoca della stipula del contratto, (1986), per tutte le categorie dei lavori da esso previste.
Nel frattempo la Direzione Generale, alla luce delle vicende contrattuali, il 22 gennaio 1991, comunicava la sua decisione di recedere dal contratto confermando che non intendeva avvalersi ulteriormente dei servizi di Italtekna con l'ovvio riconoscimento dei lavori eseguiti ai sensi dell'articolo 1671 codice civile. Questa decisione faceva seguito ad analoga comunicazione inviata con nota del 1o luglio 1990. Per il ristoro degli oneri sopportati la società appaltatrice dava corso alla procedura arbitrale notificando il 16 dicembre 1992 la nomina dell'arbitro di sua fiducia. Nel frattempo la società Italtekna, con rogito del 22 dicembre 1992, veniva incorporata dalla società Iritecna S.p.A., che, quindi, succedeva nel rapporto
de quo. Il 14 gennaio 1993, il MAE nominava l'arbitro, di sua scelta, nella persona dell'Avvocato dello Stato, Franco Favara ed il 5 maggio 1993 il Consiglio di Stato designava quale terzo arbitro, con funzioni di Presidente, il professor Enzo M. Marenghi. Il Collegio arbitrale si costituiva formalmente il 21 ottobre 1993.
Sull'attività svolta dall'impresa la Direzione Generale presentò una Relazione finale sui lavori, redatta dall'ingegner Ugo Maione, tecnico nominato dal MAE per lo svolgimento delle operazioni di contabilità finale e verifica dei lavori. Con lodo parziale, deliberato e sottoscritto il 9 febbraio 1995, il Collegio arbitrale respingeva la domanda riconvenzionale del Ministero e accoglieva, se pur parzialmente, le domande della società attrice condannando il MAE al pagamento di un importo complessivo di circa 19 miliardi di lire oltre interessi, spese di collegio ed eventuali rivalse di subcontraenti della Italtekna. Nelle more della decisione relativa alle questioni che il Collegio aveva rinviato per la pronuncia definitiva, con atto notificato il 24 maggio 1995, la D.G.C.S. impugnava il lodo parziale con quattro complessi motivi di censura. Il Collegio Arbitrale il 9 febbraio 1996, emetteva il lodo integrativo con il quale nel riconoscere ad Iritecna alcune delle somme contestate liquidava gli interessi fino al 31 maggio 1995 in lire 10.451.354.733.
Con atto del 28 maggio 1996, il M.A.E. impugnava anche il lodo integrativo, senza sollevare specifiche censure, ma rilevando la connessione pregiudiziale fra le statuizioni degli arbitri, contenute nella prima pronuncia, e quelle della seconda, per cui l'accoglimento della prima impugnativa avrebbe travolto anche quest'ultima. In entrambi i giudizi la società Iritecna si costituiva contestando l'ammissibilità e, quindi, la fondatezza delle censure mosse dal Ministero alla decisione arbitrale ed, a sua volta, svolgeva impugnazione incidentale rispetto alle statuizioni degli arbitri, che avevano respinto le sue domande.
I due giudizi, così instaurati, sono stati impugnati presso la Corte di Appello di Roma.
Dopo svariate vicende giudiziarie, il Legale della Società Fintecna (ex Italtekna, ex Iritecna) notificava, in data 12 aprile 2001, l'Atto di precetto relativo al lodo del 9 febbraio 1995 e al lodo integrativo del 15


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febbraio 1996 intimando il pagamento della somma di lire 23.770.443.660 oltre gli interessi maturati e maturandi dal 30 aprile 2001, come di seguito indicato, nonché il successivo Atto di Pignoramento presso terzi. Si è, pertanto, provveduto alla liquidazione di una parte delle somme precettate in attesa della definitiva sentenza da parte della Corte di Appello di Roma.
In sintesi l'Amministrazione, dopo l'atto di precetto notificato il 12 aprile 2001 per lire 23.770.443.660, ha liquidato a Fintecna l'importo di lire 7.130.616.785. Pertanto residua ancora il pagamento di lire 16.639.826.875 oltre gli interessi a far data dalla predetta liquidazione. Nelle more della sentenza della Corte di Appello si è tentato di chiudere la vicenda mediante la stipula di un atto transattivo, la cui bozza è stata inviata all'esame dell'Avvocatura Generale dello Stato e di cui si attende parere.

18) Africa Occidentale/A.T.I. Agrind/Il Nuovo Castoro: «Coordinamento e Direzione lavori di n. 6 programmi per lo sviluppo della pesca artigianale».

Con contratto del 26 settembre 1986 il Ministero degli Affari Esteri, in persona del Sottosegretario Onorevole Francesco Forte, delegato agli interventi di cui alla Legge n. 73/85 (Fondo Aiuti Italiani), affidò all'Associazione Temporanea d'impresa Agrind/Il Nuovo Castoro il «Coordinamento e la Direzione Lavori di n. 6 programmi per lo sviluppo della pesca artigianale in vari paesi dell'Africa Occidentale», per un importo di lire 1.726.000.000 ed una durata di 24 mesi. Il contratto prevedeva: verifica della congruità economica dei programmi di pesca; definizione con le Società incaricate dei programmi, della programmazione generale; verifica delle attività di progettazione esecutiva, acquisto e fornitura dei materiali ed esecuzione dei lavori in accordo ai programmi previsti; verifica della rispondenza delle forniture e delle opere ai requisiti di qualità previsti dai programmi; direzione dei lavori dei singoli programmi e verifica della contabilità finale. Nel corso delle attività, con note del 21 marzo 1988, 6 ottobre 1988 e successivamente del 4 aprile 1990, così come previsto dall'articolo 11 del contratto, l'A.T.I. comunicava alla D.G.C.S. la necessità di prestazioni addizionali oltre il plafond mesi/uomo contrattuali presunto, e provvedeva alla fatturazione di tali attività aggiuntive.
Nacque quindi con la D.G.C.S. una controversia in merito a tali prestazioni aggiuntive rese oltre il termine contrattuale, nonché in merito alle prestazioni di collaudo finale, con procedura semplificata, effettuate ai sensi dell'articolo 116 del R.D. n. 350/1895. In seguito, dietro richiesta di tentativo di conciliazione, si cercò di trovare una soluzione interpellando prima il Gruppo Consultivo istituito per il contenzioso dei programmi F.A.I. e, successivamente, la Commissione per il Contenzioso istituita dalla legge n. 121/94; tuttavia non avendo trovato una soluzione in tempi brevi, l'A.T.I. inoltrava istanza d'arbitrato in data 10 marzo 1995.
La procedura arbitrale ha portato all'emissione del lodo in data 16 luglio 1996 con il quale venivano riconosciute le richieste dell'A.T.I., oltre interessi e rivalutazione, nonché quota parte di spese legali e di arbitrato. Il pagamento della sentenza veniva effettuato dalla D.G.C.S. a favore della TRE PI PROGETTI S.p.a., poiché divenuta, in data 14 febbraio 1996, cessionaria del credito vantato dalla Agrind in proprio e quale mandataria dell'A.T.I. Agrind/Il Nuovo Castoro.
Tale pagamento, effettuato sotto minaccia di procedura esecutiva, è stato effettuato dietro rilascio di polizza fidejussoria, a garanzia dell'eventuale accoglimento dell'impugnazione del lodo presentata dall'Avvocatura Generale dello Stato, che ne ha ravvisato i necessari presupposti. Successivamente, in data 2 novembre 1999 con sentenza n. 3312/99, la Corte d'Appello di Roma rigettava l'impugnazione e condannava la D.G.C.S. a rifondere le spese del grado in favore del Fallimento Agrind S.r.l., liquidandole in lire 14.540.000, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.
In data 28 gennaio 2000, il Tribunale Civile di Roma - Sezione Fallimentare - provvedeva ad omologare il concordato


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proposto dalla fallita Agrind S.r.l. nel quale la società Spazio Verde S.r.l. era intervenuta in qualità di assuntore, con ciò acquisendo le attività della stessa Agrind, ivi comprese le somme liquidate dalla Corte d'Appello. Per quanto sopra, la Spazio Verde provvedeva in data 14 maggio 2001 a notificare alla D.G.C.S. atto di precetto con intimazione al pagamento di lire 21.237.937, oltre interessi maturandi.
L'Avvocatura Generale dello Stato, con nota del 31 luglio 2001 e successiva del 9 ottobre 2001, ha quantificato l'importo da corrispondere in esecuzione dell'atto di precetto in lire 18.235.650; importo che l'Amministrazione ha provveduto a liquidare in data 20 novembre 2001. La vicenda rimane ancora ad oggi aperta, in quanto pende ricorso innanzi alla Corte di Cassazione.
La Procura della Corte dei Conti, svolte le indagini sul caso ha archiviato la pratica in data 15 luglio 2002.

19) Zambia/F.T.P. Italia S.p.A.: «Realizzazione di 4 impianti per la lavorazione del riso».

Il contratto in argomento è riconducibile al Fondo Aiuti Italiani (F.A.I.) istituito con la legge 8 marzo 1985 n. 73 e, quindi, prima dell'istituzione dell'attuale D.G.C.S. avvenuta con la legge 49/87. Nel corso dell'esecuzione dei lavori, è entrata in vigore la nuova regolamentazione amministrativa connessa con l'entrata in vigore della legge n. 49/1987, che ha richiesto una ricognizione degli interventi in corso causando, nelle more dei connessi adempimenti amministrativi, alcuni casi di ritardo nei pagamenti. Alla conclusione dei lavori avvenuta nel 1990, la F.T.P. ha chiesto il riconoscimento di un importo di interessi per ritardati pagamenti di lire 128.682.338, importo che è stato transattivamente ridotto a lire 115.938.480 saldato nel 2001.

20) Contrattista S.C./MAE-D.G.C.S.

Con ricorso depositato il 20 gennaio 1999 la sig.ra C., - premesso di aver lavorato ininterrottamente alle dipendenze dell'Ambasciata d'Italia in Mozambico presso l'Ufficio di Cooperazione come «aiuto contabile» a far tempo dal 4 giugno 1990, inizialmente senza alcun contratto e successivamente, dal maggio 1995, in virtù di un contratto a termine di durata annuale - esponeva al Pretore del Lavoro di Roma che il suddetto contratto, stipulato «in costanza di un preesistente rapporto di lavoro a tempo indeterminato», doveva ritenersi illegittimo secondo la legge italiana e chiedeva pertanto che fosse dichiarata l'esistenza di un unico rapporto, appunto, a tempo indeterminato ab origine, con conseguente diritto alla reintegrazione ed al pagamento di tutte le retribuzioni maturate dal 1o gennaio 1996, oltre accessori, vittoria di spese ed onorari. Con la sentenza n. 8255 del 21/27 maggio 1999 il Pretore di Roma, accogliendo il ricorso, ha dichiarato l'esistenza di un unico rapporto a tempo indeterminato tra il M.A.E. e la sig.ra C., con diritto di quest'ultima ad essere riammessa in servizio con l'integrale trattamento retributivo di sua spettanza a far tempo dal 7 novembre 1997. Quanto al trattamento retributivo, ha disposto il Pretore che «il Ministero degli Affari Esteri potrà fare riferimento, a sua scelta, alla disciplina prevista per le mansioni di aiuto contabile da un qualsiasi contratto collettivo di diritto privato applicabile al nostro territorio. Niente esclude che il convenuto possa anche utilizzare come mero parametro, ex articolo 36 Costituzione, il trattamento proprio dei pubblici impiegati. Non può pertanto essere accolta la domanda della C. volta a conseguire la condanna del Ministero convenuto al pagamento delle retribuzioni nella misura più favorevole stabilita nell'illegittimo contratto a termine». Con decreto ingiuntivo n. 138213 del 20 dicembre 1999 il Tribunale di Roma ingiungeva al MAE il pagamento di lire 54.926.579 per le competenze maturate sino al 31 ottobre 1999, oltre gli interessi, a lire 820.000 per spese legali. Con sentenza n. 6562 del 3 aprile 2001 il Tribunale di Roma rigettava l'opposizione proposta dall'Amministrazione con condanna di questa alle spese per lire 1.700.000.


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Infine, con atto di precetto notificato il 26 giugno 2001, la C. ha intimato il MAE a provvedere al reintegro nel posto di lavoro con le mansioni di aiuto contabile ed al pagamento di lire 62.032.899, oltre agli ulteriori importi a titolo di retribuzione maturati dal 1o novembre 1999 sino all'effettiva ripresa del servizio.
La Direzione Generale per la Cooperazione allo sviluppo ha corrisposto alla Sig.ra S.C. con decreto ministeriale n. 2001/342/4974/6 euro 28.367,21 per sorte e con decreto ministeriale n. 2001/340/5578/0 euro 7.393,76 per spese legali ed interessi. Non si è provveduto alla reintegrazione nel posto di lavoro, in quanto tale pretesa non è stata accolta in sentenza.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Luigi Mantica.

COSTA. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
un attento esame delle spese deliberate dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (ministero degli affari esteri) nel periodo gennaio 1998-agosto 2003 evidenzia una serie rilevante di anomalie;
nel periodo in esame si sono spesi, attraverso 110 delibere relative ad altrettanti contratti per interventi all'estero - in favore dei Paesi poveri e/o in via di sviluppo - più di 300 miliardi delle vecchie lire per interessi, svalutazioni, risarcimento danni, arbitrati, spese legali e giudiziarie;
le spese sono state deliberate e impiegate per far fronte ad obbligazioni di varia natura contratte negli anni '90 (in non pochi casi negli anni 1987-1989): si è trattato quasi sempre di pagamenti provocati da ritardi (anche decennali), da lacune ed omissioni della pubblica amministrazione, da inadeguata gestione, da omessi contratti;
l'analisi delle «anomalie» prescinde dall'efficacia dei contratti (impossibile, per l'interrogante, da verificare) e non è finalizzata a mettere in discussione il valore sociale ed umanitario né delle leggi di finanziamento né delle opere realizzate o degli aiuti finanziati;
si ritiene però doveroso un chiarimento relativo anche alle responsabilità di chi ha gestito i contratti che hanno comportato interventi finanziari in anni recenti ma lontani dalle inadempienze e dal determinarsi delle cause di tanta cattiva attività;
si segnalano, in particolare, i seguenti casi:

1) Italia
Nel 1995 il ministero degli affari esteri dispose l'assegnazione di borse di studio a favore di Sadek Nazar Moher Shoukry ed El Ghait Mohammad Ali Taleb per il periodo 27 novembre 1992 al 31 maggio 1995 per lire 70 milioni ciascuno, nell'ambito del programma di ammissione di medici ai corsi di specializzazione in medicina presso le università italiane. I borsisti, per ottenere il pagamento delle borse, dovettero ricorrere alla pretura di Napoli che diede loro ragione: in seguito agli atti di precetto notificati al Mae-Dgcs l'8 marzo 1999, l'amministrazione dovette corrispondere, «oltre al capitale», ulteriori lire 28.043.390 per copertura di oneri relativi a spese di interessi (18 milioni) e spese legali;

2) Santo Domingo
Nel 1989 la società Metropolitana Milanese Spa si aggiudicò l'appalto per l'iniziativa «Risanamento dei quartieri emarginati di Santo Domingo nella Repubblica Dominicana». A causa dei ritardati pagamenti in relazione al contratto di cui sopra, la Metropolitana nel 1994 chiese, con lettera, gli interessi che l'amministrazione ha corrisposto nel 1999 in misura molto più elevata, in ragione di 105 milioni;

3) Croazia
La società M. & C. Srl di Ancona nel 1993 trasportò aiuti di prima necessità e operatori umanitari da Ancona al Porto di


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Ploce (Croazia), noleggiando per l'operazione la motonave battente bandiera croata Bartol Kasic, con un costo di lire 35.000.000, nell'ambito degli «Interventi straordinari di carattere umanitario per gli sfollati della ex Jugoslavia». Tale legge attribuiva alla Presidenza del Consiglio la facoltà di ripartire tra le amministrazioni competenti le disponibilità finanziarie previste. Nell'applicazione del meccanismo della legge è sorta questione sull'individuazione dell'amministrazione tenuta al pagamento dei 35.000.000 di lire citati. Poiché, «nonostante la certezza dell'esistenza e dell'ammontare del debito», nessuna dell'amministrazione dello Stato ha provveduto a onorare la pretesa restitutoria della società Morandi, la stessa ha promosso apposito giudizio. In conclusione, il ministero stipulava in data 6 maggio 1999 con la ditta M. & C. atto transattivo di lire 44.412.150 (questa volta il ministero degli affari esteri paga per tutti);

4) Mozambico
La cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna - Cmc - stipulò, nel 1991, un contratto con il ministero degli affari esteri per un programma di sviluppo rurale integrato in Mozambico. Il 5 marzo 1999 l'amministrazione, a seguito di richiesta della cooperativa, dovette stanziare la somma di lire 870.513.240 a favore della stessa, per interessi di legge per ritardato pagamento di forniture e servizi;

5) Italia
Nel 1989 la signora P. T. propose ricorso al pretore di Roma - giudice del lavoro, chiedendo la condanna del ministero degli affari esteri per inadempimento di un contratto. Nel 1990 il pretore di Roma accoglieva la domanda della signora e condannava l'amministrazione al risarcimento dei danni. Il ministero degli affari esteri proponeva appello e nel 1996 il tribunale di Roma lo respingeva. Anche il successivo ricorso venne rigettato con sentenza 1101 del 1988 dalla Corte di Cassazione, Sezioni unite civili. Pertanto, il 25 febbraio 1999 l'amministrazione dispose lo stanziamento di lire 204.707.000 a favore della signora T. per risarcimento, interessi legali, rivalutazione monetaria e spese liquidate nei tre gradi di giudizio;

6) Somalia
Nell'ambito del programma «Somalia - Pozzi e bacini contenimento», la società appaltante Aquater ha chiesto e ottenuto il 5 febbraio 1999 la somma di lire 114.188.550 per interessi maturati a causa del ritardato pagamento di spettanze contrattuali. Con atto n. 377/2002 la direzione del MAE dovrà versare ben altre cifre (miliardarie) sempre per interessi;

7) Tunisia
A causa del ritardato pagamento delle somme contrattuali per la realizzazione del programma «Realizzazione di due centri per assistenza veicoli in Tunisia» l'amministrazione ha dovuto corrispondere alla Gecosystem SpA la somma di lire 173.792.000 per interessi;

8) Mozambico
Il 22 dicembre 1988 il ministero degli affari esteri incaricava la società Ideco di realizzare un programma di «riabilitazione e ampliamento del sistema di produzione del sale» nella Repubblica popolare di Mozambico. Nel 1996 i lavori (costosi: circa 13 miliardi) venivano collaudati, nel 1997 il MAE attestava la regolarità del tutto. I pagamenti erano però avvenuti con ritardo: di qui la protesta della Ideco. Il 4 luglio 2000 l'inevitabile ed immancabile stanziamento di lire 319.294.170 per interessi;

9) Egitto
Il consorzio Cria si aggiudicò nel 1989 un appalto per la riabilitazione idrica di Alessandria d'Egitto. A seguito di controversie insorte venne instaurato un collegio arbitrale che, con lodo reso esecutivo dal pretore di Roma il 16 dicembre 1997 intimava con atto di precetto alla Dgcs di pagare l'importo di lire 2.742.281.747, comprendente lire 1.148.320.215 per interessi,


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spese legali e spese del collegio e dei compensi degli arbitri. L'amministrazione, rifatti i conteggi, provvedeva a liquidare una somma inferiore. In data 9 ottobre 1998 giungeva alla Dgcs ulteriore atto di precetto, seguito il 22 dicembre 1998 da un verbale di pignoramento, per il pagamento in favore della società Cria della differenza. Attesa «l'improrogabile necessità di provvedere agli adempimenti imposti dall'atto di pignoramento per evitare i gravi danni che potrebbero derivare dalla procedura esecutiva» la Dgcs, il 20 gennaio 1999, ha disposto il pagamento della differenza: lire 305.255.690, di cui 212 milioni di ulteriori interessi legali;

10) Senegal
Nell'ambito del contratto per la realizzazione di una iniziativa di cooperazione in Senegal che la ditta Ati/Coge SpA di Parma si era aggiudicata, il 21 febbraio 1996 il direttore generale della direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo deliberava lo stanziamento aggiuntivo di lire 1.035.000.000 «per la copertura della revisione prezzi contrattuale». A fronte di controversie successive insorte, venne firmato tra le due parti un atto di transazione, ritenuto accettabile dall'Avvocatura generale dello Stato. Il 2 luglio 1998 il ministero stanziava la somma di lire 1.035.000.000 a favore della Coge «non come oneri inerenti alla revisione dei prezzi, come deliberato in precedenza, ma come pagamento a titolo di transazione delle controversie pendenti» (capitale ed interessi);

11) Etiopia
La società Salini Costruttori stipulò con il ministero nel 1986 un contratto per la realizzazione di un programma in Etiopia e nel 1989 un altro contratto per una iniziativa in Somalia. Tra il 1993 ed il 1996, a fronte di controversie insorte nella realizzazione dei progetti, la Salini notificò domanda di arbitrato per quantificare maggiori crediti, danni e due lodi precedenti: a seguito di ciò si istituirono due collegi arbitrali. Nel dicembre del 1998 le parti rinunciarono agli arbitrati. La somma a carico del ministero è risultata di lire 50.262.500;

12) Italia
Il ministero degli affari esteri è stato condannato dal pretore del lavoro di Roma, con ordinanza urgente del 31 marzo 1999, a corrispondere all'ingegner P.L.F. la somma di lire 39.933.000 a titolo di «dequalificazione professionale». Non si sa di più;

13) Mali
L'amministrazione, con delibera del 22 settembre 1998, ha stanziato la somma di lire 96.987.820, necessaria a coprire gli interessi di legge per ritardati pagamenti alla società Cm Consulting, in dipendenza di un'iniziativa in Mali relativa alla costruzione di acquedotti rurali, il cui pagamento era stato sollecitato nel marzo del 1996;

14) Marocco
A causa di ritardati pagamenti alla Ditta Lotti & Associati SpA, per esecuzione dell'iniziativa «Marocco: realizzazione di laghi collinari», il ministero, in data 16 settembre 1998, ha deliberato lo stanziamento di lire 89.543.170 in favore della stessa Lotti per interessi di legge;

15) Gibuti
Il ministero degli affari esteri è stato condannato, con lodo arbitrale del 20 gennaio 1998, omologato da decreto pretorile relativo a controversie insorte a seguito del contratto con cui la società Cidonio SpA aveva eseguito la progettazione esecutiva dell'iniziativa «Gibuti - officina per riparazioni navali», al pagamento di lire 74.703.250 di cui lire 34.615.850 di interessi, spese, diritti, onorari, ed altro;

16) Ecuador
Nel 1989 la società C. Lotti & Associati SpA si aggiudicava la gara per la


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realizzazione del programma di cooperazione «Ecuador - progetto irriguo Chambo Guano». A causa del ritardato pagamento dei corrispettivi, l'Amministrazione ha dovuto provvedere (8 luglio 1998) al pagamento di lire 225.695.880 per interessi di legge nel frattempo maturati;

17) Mauritania
A causa di «ritardato pagamento di fatture» alle imprese Interconsulting-Techniplan, titolari di un appalto per prestazioni di servizi di ingegneria per la valorizzazione delle risorse idriche in Mauritania, il ministero degli affari esteri ha dovuto deliberare e corrispondere la somma di lire 308.067.045 (delibera del 2 ottobre 1996);

18) Colombia
Nel 1988 venne approvata un'iniziativa di cooperazione in Colombia «Sviluppo dell'allevamento suino nel Narino»: l'appalto venne aggiudicato alla società Zooconsult. A seguito di controversie, nacque un contenzioso: la vertenza si risolse con una transazione tra le parti. Il ministero versò alla Zooconsult, con delibera del 4 giugno 1998 la somma di lire 500.000.000 per far fronte «a sorte interessi, rivalutazione monetaria, spese per consulenze legali, tecniche e finanziarie sostenute» dalla stessa Zooconsult, come definito nella transazione in parola;

19) Somalia
La società Giza SpA si aggiudicò nel 1986 l'appalto avente per oggetto un «Complesso zootecnico in Somalia». Già nel 1990 la ditta aveva inviato al ministero 3 note di debito a titolo di interessi maturati per ritardati pagamenti delle relative fatture per un importo di lire 1.558.104.179. La somma non venne pagata e la Giza, nel febbraio 1993, notificò istanza di arbitrato. Nel novembre del 1993 il tribunale di Reggio Emilia dichiarò il fallimento della Giza: il 27 febbraio 1995 il ministero chiese al fallimento Giza la rinuncia all'arbitrato. La domanda venne accettata dietro pagamento, per interessi, di lire 1.389.085.038, regolarmente deliberato. Misteriosamente venne liquidata una cifra inferiore. Non solo: a seguito della giusta richiesta del curatore fallimentare della Giza, la Dgcs stanziò la differenza (435 milioni, ma ne paga solo 320). Morale: la curatela dichiara nulla la rinuncia all'arbitrato e, con successive lettere, richiede il pagamento della cifra iniziale, il riconoscimento degli interessi legali sulle somme già liquidate e quelle da liquidare sino al soddisfacimento, e così si pagano 733 milioni «per interessi legali sulla somma liquidata a titolo di interessi per ritardati pagamenti». Totale generale pagato lire 2.139.080.601. Circa 700.000.000 in più. Un vero fallimento (per il contribuente);
20) Sudan
In seguito alle numerose controversie anche stragiudiziali derivanti da diversi contratti stipulati dall'amministrazione con la società Salini e Cogema in Somalia, Etiopia e Sudan dal 1986 al 1988, l'appaltatrice si dichiarò creditrice, al 31 dicembre 1997, della somma di lire 32.231.355.947. Poiché il ministero, anche in sede giudiziale, aveva sempre contestato gran parte della richiesta, l'Avvocatura generale dello Stato propose di pervenire a una «transazione globale di tutte le controversie». L'8 maggio 1998 vennero pagate a saldo lire 10.886.892.000 per capitale e interessi;

tale andamento delle cose, oltre a rappresentare uno spreco di denaro pubblico, incide in maniera rilevante sulla reale consistenza della politica di aiuto allo sviluppo, essendo necessario stornare dalle risorse finanziarie dedicate a tale attività le somme necessarie per coprire le suddette spese -:
se risultino agli atti del Governo i fatti esposti ed i relativi esborsi;
quali iniziative siano state assunte per individuare responsabilità amministrative e gestionali;


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quali iniziative sono state o verranno assunte per evitare il ripetersi di fatti obbiettivamente non facilmente spiegabili;
quali azioni intenda intraprendere il Governo per correggere quella che appare essere una seria problematica di tipo gestionale nell'utilizzazione dei fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo, anche alla luce dei numerosi progetti e disegni di legge presentati al Parlamento che prevedono la riforma di detto sistema.
(4-07697)

Risposta. - Con l'atto parlamentare cui si risponde - ed altri analoghi contestualmente presentati - l'Onorevole interrogante evidenzia centodieci casi di contenzioso che hanno coinvolto la nostra Cooperazione allo Sviluppo, sin dal 1987, e che sono stati risolti in questo ultimo quinquennio (1998-2003).
Sulle cause che hanno ingenerato molte delle controversie in esame dovrebbero essere tenuti nella debita considerazione alcuni fattori di oggettiva difficoltà: anzitutto la non facile scelta dei contraenti, avvenuta all'epoca in mancanza di procedure concorsuali certe e trasparenti; la non agevole definizione poi dei primi impegni contrattuali, che conseguentemente non ha previsto tutte le possibili ipotesi in seguito verificatesi; l'impostazione sperimentale dei progetti in una fase iniziale e nuova della nostra cooperazione allo sviluppo; il verificarsi in loco di fattori non previsti (calamità naturali, crisi militari o politiche, instabilità giuridica ed amministrativa, incapacità gestionale dei beneficiari) che hanno ritardato o reso irrealizzabili varie iniziative intraprese. Va infatti evidenziato che svariati casi citati si riferiscono al periodo in cui iniziative di cooperazione vennero avviate nell'ambito del Fondo Aiuti Italiani (FAI), con un approccio poi profondamente ripensato sia in termini di finalità che di procedure operative e di controllo.
In linea generale va poi ricordata l'esigenza di avere un riscontro operativo da parte di altri Organi dello Stato coinvolti nella trattazione del contenzioso o nell'esercizio del controllo contabile e nell'esame di conformità alla legge. Prima dell'approvazione del decreto del Presidente della Repubblica 20 febbraio 1998, la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del MAE era infatti strettamente vincolata al visto di ragioneria quale necessaria condizione di efficacia dei suoi provvedimenti: questo ha indubbiamente implicato per tali provvedimenti procedure purtroppo non celeri - con ripetuti rilievi e repliche - che hanno causato inevitabilmente l'accrescersi degli interessi per ritardato pagamento in caso di contenziosi. Dopo l'approvazione del citato decreto del Presidente della Repubblica e la soppressione del «visto», quale condizione sospensiva dell'efficacia del provvedimento, la situazione è nettamente migliorata, almeno sotto questo profilo, consentendo una maggiore speditezza dei controlli.
Il superamento di una difficile situazione pregressa - che ha portato ai contenziosi in esame - è stato in questi ultimi anni un obiettivo prioritario per il Ministero degli Esteri: la valutazione complessiva di questi casi - senza voler escludere specifiche manchevolezze o carenze - deve tuttavia considerare le innegabili difficoltà e vischiosità che in questo settore sono state riscontrate anche nell'esperienza - sovente ben più collaudata della nostra - di organismi multilaterali o di altri donatori internazionali.
Al fine di meglio contestualizzare le problematiche affrontate dall'Onorevole interrogante con riferimento ai singoli casi segnalati, sembra tuttavia utile inquadrare e valutare quest'ultimi da un punto di vista storico-giuridico, mettendo in luce i molteplici fattori e circostanze che ne hanno caratterizzato le vicende. I centodieci contenziosi citati sono infatti i più importanti tra i 657 «repertoriati» dall'inizio dell'attività della Cooperazione allo Sviluppo in Italia. La maggior parte di questi 657 casi di contenzioso è stata chiusa (435 al 31 marzo 2003) ed ulteriori casi vengono risolti ogni mese mediante il ricorso a pratiche transattive che - qualora si giudichino oggettivamente fondate le ragioni della parte avversa - sono un mezzo di


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composizione delle controversie certamente molto meno oneroso per l'erario del pagamento, dopo svariati anni, di quanto stabilito da lodi arbitrali o sentenze sfavorevoli.
A questo riguardo va anzitutto sottolineato che la soccombenza del Ministero degli Esteri per un ammontare complessivo di circa trecento miliardi di lire - se considerata nel quadro delle attività globali della Cooperazione allo Sviluppo svolte in questi ultimi quindici anni - si riduce ad una misura largamente inferiore al due per cento di tutti gli investimenti effettuati per la realizzazione di programmi o progetti. Questo ammontare appare quindi nettamente inferiore alla «soglia di contenzioso fisiologico» del 10 per cento, prevista dal legislatore per un appalto di lavori (si veda la legge-quadro in materia di lavori pubblici: legge n. 109/94, articolo 31-bis estesa per «analogia
iuris» alla generalità degli appalti).
Va inoltre rimarcato che i 110 casi in questione sono meglio inquadrabili con una trattazione completa, anche sotto il profilo della valutazione tecnica, amministrativa e contabile, effettuata a tutti i competenti livelli. I dati citati negli atti in esame relativi ai singoli casi si riferiscono infatti quasi esclusivamente alla fase del controllo contabile e di conformità alla legge di ciascuna iniziativa, mancando tutte le valutazioni tecniche e gestionali effettuate da altri Organi dello Stato quali l'Avvocatura Generale o la Corte dei Conti; né si tiene conto dei risultati dell'eventuale esame giurisdizionale effettuato da parte della Procura Regionale competente della Corte dei Conti. Quest'ultimo dato è particolarmente significativo, perché in dieci dei primi venti casi cui si riferisce l'interrogazione in oggetto, l'esame della Procura Regionale per il Lazio della Corte dei Conti ha accertato l'inesistenza di un danno all'erario decidendo l'archiviazione del fascicolo. In altri casi la questione oggetto di contenzioso è stata portata all'esame della Corte dei Conti o giudicata in Appello o in Cassazione o, infine, se risolta con una transazione, è stata approvata sotto il profilo legale dall'Avvocatura dello Stato e, successivamente, dalla Corte dei Conti, sotto il profilo gestionale.
La corretta applicazione delle procedure concorsuali, la semplificazione delle procedure amministrative, la netta preferenza per l'accordo transattivo (rispetto ai lodi arbitrali o alle sentenze del tribunale) hanno già reso l'azione italiana in questo campo più sollecita ed efficace, senza peraltro impedire che ulteriori provvedimenti amministrativi o gestionali possano ancora migliorare la nostra azione. È a tal fine, infatti, che tende un complesso e articolato processo di revisione delle procedure amministrative seguite dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo e dalle nostre Ambasciate nel realizzare i progetti o i programmi previsti: questo obiettivo viene perseguito attraverso una drastica semplificazione di tutte le procedure e la verifica della loro completa conformità alla normativa vigente (in continua evoluzione) che favoriscano una gestione moderna ed efficace delle iniziative di cooperazione intraprese dall'Italia.
Parallelamente alla revisione delle procedure, è in corso, in attuazione della delega legislativa conferita con l'articolo 3, comma 43 della legge finanziaria per il 2003, la predisposizione di provvedimenti che correggano le inadeguatezze normative che hanno causano quelle disfunzioni in passato più volte riscontrate.
Più specificatamente, si forniscono qui di seguito gli elementi di risposta relativi ai singoli casi, elencati nell'interrogazione in questione, seguendo l'ordine utilizzato dall'interrogante nel testo dell'atto.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Luigi Mantica.

Allegato

1) Borsisti S.N.-M.E.G./MAE-D.G.C.S.

In data 27 ottobre 1992 i Dottori S.N. e M.E.G., cittadini provenienti dai Paesi in via di Sviluppo, avevano presentato ricorso presso il T.A.R. della Campania richiedendo l'annullamento, previa sospensiva, del provvedimento


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del MAE n. 2323 del 13 luglio 1992, che negava ai ricorrenti il beneficio delle borse di studio per la specializzazione in medicina.
Con ordinanza n. 601 del 26 novembre 1992, la Sezione del TAR della Campania accoglieva l'istanza incidentale di sospensione avanzata dai ricorrenti e, con sentenza n. 300 del 7 giugno 1994, annullava il provvedimento di esclusione dei tre medici del beneficio della borsa di studio, disponendo la sospensione del citato provvedimento del MAE e, nel contempo, l'ammissione dei tre ricorrenti con riserva. Conseguentemente l'Amministrazione degli Affari Esteri si è trovata obbligata a disporre, con provvedimento n. 544 del 22 marzo 1993, l'accantonamento di tre posti di borsista in favore dei ricorrenti, a valere sul contingente relativo al triennio 1991/1994. Con successiva sentenza del T.A.R. della Campania n. 300 del 7 giugno 1994, veniva definitivamente annullato il provvedimento che negava ai ricorrenti il beneficio delle borse di studio. In ottemperanza a detta sentenza, con decreto ministeriale n. 1995/128/1658/0 del 5 luglio 1995 veniva disposto il pagamento della borsa di studio in favore dei borsisti S.N. e M.E.G., per lire 55.825.000 ciascuno, relativamente al periodo 27 novembre 1992-31 maggio 1995. Successivamente con decreto ministeriale 1995/128/2262/2 del 5 settembre 1995 veniva disposto il pagamento della borsa di studio ai predetti borsisti per il periodo dall'1 giugno 1995 al 31 dicembre 1995, per lire 13.328.200 ciascuno.
In data 8 febbraio 1996, i dottori N.S. e M.E.G. notificavano all'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli ulteriore ricorso inteso - questa volta - a contestare l'ammontare delle borse di studio ad essi liquidate dall'Amministrazione degli Affari Esteri, Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo. Infatti i ricorrenti sostenevano che, pur essendo loro stata attribuita la borsa di studio per la partecipazione alla Scuola di specializzazione, è stato, tuttavia, loro corrisposto un importo in misura inferiore al dovuto, per il fatto che l'ammissione alla Scuola era intervenuta tardivamente, per cui i ricorrenti avevano potuto parteciparvi solo con decorrenza corrispondente all'inizio del 2o anno di studio.
Con sentenza del Pretore di Napoli n. 19654 del 3 novembre 1998 notificata con atto di precetto in data 8 marzo 1999, l'Amministrazione veniva condannata al pagamento a ciascuno dei ricorrenti citati della somma di lire 17.916.000 per sorte, oltre interessi e rivalutazione, nonché al pagamento delle spese di giudizio, che venivano liquidate in complessive lire 5.000.000, di cui lire 3.000.000 per onorari (con attribuzione al procuratore dei ricorrenti), per un totale di lire 28.304.206, oltre interessi legali sino all'effettivo soddisfazione. Con propria nota n. 89278 in data 4 dicembre 1998 l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli nel comunicare l'approssimarsi della data di scadenza (19 dicembre 1998) del termine per l'appello, faceva presente la non sussistenza di «utili motivi di censura», per cui sulla sentenza si è formato il giudicato. In esecuzione della sentenza pretorile, il Ministero degli Affari Esteri disponeva con decreto ministeriale 1999/128/001430/0 del 18 maggio 1999 il pagamento di lire 17.916.000 per sorte e lire 9.200.970 per interessi in favore dei borsisti.

2) Santo Domingo/Metropolitana milanese S.p.a.: «Risanamento dei quartieri emarginati di Santo Domingo».

Preliminarmente appare opportuno evidenziare in questa sede che la questione di cui si chiede chiarimento è inserita in un più ampio contenzioso afferente il medesimo progetto e le medesime parti per il quale è stata avanzata richiesta di risposta con l'interrogazione in pari data rubricata al n. 4-076999.
Sulla scorta di tale indicazione, esaminare esclusivamente l'aspetto del pagamento degli interessi, scorporandolo dagli altri che compongono l'intera controversia cui si darà idonea risposta, risulta non funzionale. Infatti, nella presente interrogazione si chiede di avere notizie del pagamento d'interessi di ritardato pagamento che sarebbe


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avvenuto nel 1999, quando poi successivamente nel 2001 si è giunti ad una transazione complessiva a chiusura dell'intera vicenda.
Pertanto, appare opportuno per ragioni di completezza ed organicità rinviare a quanto sarà riferito per l'atto n. 4-076999.

3) Croazia/M. & C. Srl «Time far peace. Interventi straordinari di carattere umanitario per gli sfollati della ex Jugoslavia».

Si tratta di una vertenza risolta in via transattiva, per impulso proprio della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del MAE.
Nell'ambito degli «Interventi straordinari di carattere umanitario per gli sfollati della ex Jugoslavia», disposti con legge speciale 24 settembre 1992, n. 390, venne commissionato nell'Ottobre 1993 alla Società M. & C. di Ancona il trasporto, a mezzo di nolo della motonave battente bandiera croata «Bartol Kasic», di aiuti di prima necessità e di operatori umanitari da Ancona al porto di Ploce (Croazia). Detto intervento di emergenza, al pari degli altri rientranti nell'alveo della citata legge, doveva essere finanziato con fondi stanziati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, attribuiti alla competenza ripartita dei Ministeri della Difesa, dell'interno e degli Affari Esteri (in particolare, sul capitolo relativo alle iniziative d'emergenza di competenza della DGCS) e disposti materialmente in pagamento attraverso il Ministero dell'interno - Prefettura di Ancona (...a mezzo dei Prefetti a disporre ordini di accreditamento ...articolo 4, legge n. 390/92). Come si può rilevare, il meccanismo di materiale erogazione di tali risorse era piuttosto complesso, partecipandovi a vario titolo ed in distinte fasi più Amministrazioni dello Stato. Poteva dunque ben verificarsi qualche punto di criticità.
Infatti, l'iniziativa in questione venne disposta sul finire del periodo di vigenza della legge sopra richiamata (e della stessa sussistenza delle risorse collegate). In attesa del pagamento della Ditta M. & C. per il trasporto effettuato nell'Ottobre 1993 (il cui costo anticipò a proprie spese) i fondi stanziati per l'emergenza nella ex Jugoslavia si esaurirono, senza che la legge fosse «rifinanziata», per scelte politiche che trascendono la presente trattazione.
La stessa Ditta non fu molto sollecita nel far valere il proprio credito e lasciò decorrere parecchio tempo prima di incaricare un legale di fiducia di recuperare il credito dovutole, a mezzo di atto di citazione presso il Tribunale Civile di Ancona dei Dicasteri dell'Interno e degli Affari Esteri.
A fronte dell'azione legale, l'Ufficio Giuridico della DGCS pose il problema dell'insoluto anche alle altre Amministrazioni interessate. La Presidenza del Consiglio dei Ministri indisse in data 3 dicembre 1998 una riunione interministeriale (con valore di «conferenza di servizi», di cui alle leggi n. 241/1990 e n. 127/1997) con il MAE/DGCS e con il Ministero dell'Interno, al fine di individuare una modalità legittima e concretamente percorribile per soddisfare la M. & C. del credito vantato per il nolo ed il trasporto. In tale sede emerse che la Presidenza del Consiglio dei Ministri non aveva titolo a proporre il ri-finanziamento della legge sulla ex Jugoslavia perché, trascorsi alcuni anni e cessata la situazione di emergenza, non si poteva certamente far approvare dal Parlamento una legge fondata sulla emergenza stessa per mancanza dei presupposti di fatto, né tanto meno far approvare una legge specifica (dunque,
contra ius) per definire il caso in esame. Dal canto suo, il Ministero dell'interno si dichiarò impossibilitato ad effettuare qualsiasi ulteriore pagamento a titolo di intervento di emergenza nella ex Jugoslavia, considerato che i fondi vincolati a detta specifica destinazione erano estinti. Pertanto, l'unica delle tre Amministrazioni che poteva ragionevolmente accollarsi l'onere, se non altro ratione materia (competenza generale per gli interventi di emergenza) era proprio il MAE-DGCS. Anche per tale ultima Direzione Generale, tuttavia, non era più praticabile l'utilizzo del capitolo di bilancio relativo agli interventi di emergenza, per il venir meno dei presupposti di


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fatto che avrebbero giustificato tale imputazione. A fronte della descritta situazione di impasse ed in esito alla richiamata riunione interministeriale, la Presidenza del Consiglio diede autorizzazione ed incarico proprio alla DGCS (in particolare all'Ufficio Giuridico) di farsi carico della soluzione del nodo operativo venutosi a creare, acquisendo innanzi tutto parere sia dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato (di Ancona), sia della Commissione Contenzioso allora operante (ex articolo 1 della legge 121/94). Entrambi i responsi consigliarono di intraprendere una trattativa con il legale della Ditta fino ad ottenerne il consenso su un'ipotesi di definizione transattiva della vertenza che, altrimenti, sarebbe sfociata inevitabilmente in un contenzioso ben più oneroso. A comprova della convenienza di una definizione transattiva della nascente controversia, permanevano anche i dubbi sulla individuazione dell'Amministrazione tenuta all'adempimento dell'obbligazione e quindi sull'effettiva legittimazione passiva (in un eventuale giudizio) di tutte le Amministrazioni coinvolte. Senza contare, ovviamente, la sussistenza dei necessari presupposti: a) della non contestazione del debito; b) del sicuro esito negativo di un giudizio; c) del certo aggravio conseguente delle spese di lite.
L'esito della trattativa condotta dall'Ufficio Giuridico della DGCS fu più semplice del previsto. In sostanza la M. & C. accettò di stipulare una transazione (il 6 maggio 1999) con la DGCS, con la quale accettava - quale esaustiva di ogni pretesa - la somma di lire 35.000.000, più le sole spese legali (come quantificate dall'Ordine degli Avvocati di Ancona), per un totale di lire 44.412.150, rinunciando così a rivendicare gli interessi e la rivalutazione monetaria. In sostanza fu onorato il debito a sei anni di distanza dalla sua insorgenza, nella misura originaria, salvo l'aggiunta delle sole spese legali.
La transazione è stata vagliata in sede di controllo successivo dalla Corte dei Conti. Inoltre, la Procura Regionale per il Lazio della stessa Corte, ha svolto indagini sulla vicenda, archiviando la pratica senza individuare responsabilità perseguibili.

4) Mozambico/C.M.C.

Gli elementi conoscitivi relativi al presente caso sono contenuti nella risposta già fornita al precedente punto 14) dell'interrogazione parlamentare n. 4-07696 dell'Onorevole Costa.

5) Sig. a P.T./MAE-D.G.C.S.

Con ricorso al Pretore di Roma in qualità di Giudice del lavoro, la Sig.ra P.T. riferiva di essere stata assunta dal Ministero degli Affari Esteri con contratto di diritto privato a tempo determinato per il biennio 10 ottobre 1987-10 ottobre 1989, ai sensi dell'articolo 18 lett. b) della Legge 9 febbraio 1979, n. 38, per prestare la propria opera presso l'istituto di Scienze e Sanità di Maputo in Mozambico. Esponeva, fra l'altro, che il 28 luglio 1988 le era stato comunicato che il contratto doveva intendersi di durata annuale e, quindi, anticipatamente risolto, secondo quanto disposto dal Comitato Direzionale per la Cooperazione allo Sviluppo, con propria delibera n. 33 del 29 maggio 1987.
Sulla base di tali premesse di fatto, la Sig.ra P.T. conveniva in giudizio il suindicato Ministero per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni a proprio beneficio in misura pari all'importo delle retribuzioni che avrebbe percepito qualora il contratto avesse avuto la durata convenuta. Nella propria difesa, il Ministero degli Affari Esteri eccepiva, in via preliminare, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario; nel merito, deduceva l'invalidità parziale del contratto, in quanto difforme dalla delibera del Comitato Direzionale e perché stipulato con durata erronea.
Il Pretore rigettava l'eccezione preliminare ed accoglieva la domanda. Il Ministero degli Esteri proponeva appello ma il Tribunale di Roma rigettava l'impugnazione. Contro tale sentenza il Ministero degli Esteri proponeva ricorso per Cassazione; ad esso la Sig.ra P.T. resisteva con controricorso.
Con sentenza n. 1101 del 3 febbraio 1998, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite


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rigettava il ricorso presentato dal Ministero degli Esteri e dichiarava la competenza della giurisdizione ordinaria. Conseguentemente a detta statuizione, l'Amministrazione liquidava in favore della Sig.ra T. la somma di lire 204.207.000 a titolo di risarcimento del danno occorsole per non aver il MAE adempiuto al contratto a suo tempo sottoscritto, ivi inclusi gli accessori di legge, la rivalutazione monetaria e le spese di giudizio.

6) Somalia/Aquater: Progetto ex FAI «Pozzi e bacini di contenimento, nella Somalia del nord».

Impresa Aquater, importo originario lire 21.890.800.000, importo suppletivo di perizia lire 1.140.000.000. Il progetto originario, finanziato con fondi ex lege 73/85, prevedeva la costruzione di una serie di pozzi, con relativi serbatoi d'accumulo e condotte di avvicinamento alle utenze idriche, rappresentate da villaggi in aree desertiche, distanti anche centinaia di chilometri l'uno dall'altro. I lavori sono stati «consegnati» in data 17 novembre 1986 e sono terminati in data 28 febbraio 1990. Le opere realizzate avvalendosi del finanziamento originario possono così sintetizzarsi:
a) Pozzi produttivi realizzati ex novo: n. 23;
b) Sorgenti attrezzate: n. 5;
c) Pozzi preesistenti attrezzati: n. 7;
d) Pozzi risultati sterili e pertanto non attrezzati: n. 8;
e) Serbatoi d'accumulo per ciascuno dei punti di approvvigionamento realizzati;
f) Condotte di avvicinamento alle utenze per circa 100 km.

Lo stanziamento suppletivo si rese necessario, quasi integralmente, per l'impreparazione tecnica dell'Ente Somalo che avrebbe dovuto prendere in consegna gli impianti man mano che venivano realizzati. In attesa che il Governo Somalo si attrezzasse, per non vanificare le aspettative delle popolazioni interessate, fu dato ordine all'impresa di mantenere attivi i punti di approvvigionamento realizzati, curandone l'esercizio e la manutenzione fino alla data del 28 febbraio 1990, concordata con le Autorità Somale.
La Commissione di collaudo ha effettuato due visite di collaudo parziale in corso d'opera: la prima nell'aprile 1988 e la seconda nel maggio 1989, verificando la corretta esecuzione di n. 30 punti di approvvigionamento sui 43 realizzati. La visita di collaudo finale, che avrebbe dovuto accertare la corretta esecuzione anche delle altre opere realizzate, non ha potuto avere luogo a causa del peggiorare delle condizioni di sicurezza in Somalia, determinatesi, soprattutto a partire dall'autunno del 1990. Per tali residue opere, quindi, è stato possibile acquisire la sola documentazione predisposta dalla Direzione dei Lavori, quale attestazione di quanto realizzato.
Nonostante, come sopra accennato, i lavori e le prestazioni di contratto, fossero terminate fin dal 28 febbraio 1990, il pagamento della rata di saldo (per circa 2.0 miliardi) è rimasto sospeso fin all'anno 1998, a causa di rilievi sia della Corte dei Conti, per quanto riguarda la registrazione del decreto approvativo dello stanziamento suppletivo, sia della Ragioneria, che asseriva che la visita finale di collaudo dovesse comunque esser effettuata. Il certificato di collaudo, per disposizione della DGCS, fu emesso in data 23 dicembre 1994 pur in assenza della visita finale di collaudo, ed è stato firmato senza alcuna riserva dall'Appaltatore. Infatti, originariamente, l'unica richiesta dell'Appaltatore era quella del riconoscimento degli interessi di ritardato pagamento (per i quali non occorre apporre riserva ai documenti contabili) generati, quasi integralmente, dai ritardi sopra accennati per il pagamento della rata di saldo. Invece, l'impresa, evidentemente insoddisfatta dei suddetti riconoscimenti propose domanda di arbitrato, datata 27 luglio 2000, rivendicando le seguenti somme aggiuntive: compenso per attività di guardiania delle opere realizzate, dalla data di ultimazione dei lavori (28 febbraio 1990) a quella di sottoscrizione dell'atto di collaudo


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(23 dicembre 1994); compenso revisionale; onere sostenuto per lo stravolgimento del contratto in conseguenza dell'approvazione della perizia suppletiva. Il lodo arbitrale, emesso in data 13 dicembre 2001, ha condannato il MAE al pagamento delle seguenti somme: lire 932.005.538 per interessi di ritardato pagamento; lire 150.000.000, comprensive d'interessi, per lo stravolgimento dell'oggetto del contratto conseguente all'approvazione della perizia, pur liberamente sottoscritta, senza alcuna osservazione dall'appaltatore; lire 1.099.523.288, comprensive d'interessi, per oneri di guardiania, mai dimostrati e comunque non richiesti dalla Committente, effettuata dall'Appaltatore pur nell'infuriare della guerriglia che aveva impedito l'effettuazione della visita finale di collaudo; lire 1.635.607.329, comprensiva d'interessi, per oneri revisionati non rivendicati né sullo stato finale né sull'atto di collaudo. Come si può rilevare, il lodo arbitrale ha accordato all'impresa delle voci di dubbia debenza, se non altro, per non essere state richieste ritualmente (nella sede propria e a tempo debito). Anche per tali ragioni, l'Avvocatura Generale dello Stato ha proposto appello avverso la decisione lodale, ricorso di cui si attende l'esito.
La Procura Regionale della Corte dei Conti ha indagato sul caso ed ha archiviato la pratica in data 13 novembre 2002, non ravvisando responsabilità perseguibili.

7) Tunisia/GE.CO. System S.p.A. - «Realizzazione di due centri di assistenza per veicoli nelle città di Tunisi e Sfax» - Contratti del 16 febbraio 1988 e del 24 gennaio 1991 (rep. n. 543).

Con il contratto suddetto si prevedeva la realizzazione delle strutture meccaniche (capannoni ed attrezzature delle officine) a carico del M.A.E., residuando gli oneri della realizzazione delle opere civili e dell'urbanizzazione primaria (rete idrica, elettrica e stradale) a carico del Governo tunisino. A seguito dell'inerzia delle Autorità tunisine, il M.A.E., al fine di evitare il fallimento dell'iniziativa, ha affidato alla stessa Gecosystem - previa stipula di un ulteriore contratto - l'esecuzione delle componenti «opere civili ed oneri accessori» relative al progetto.
L'inadempienza di Parte tunisina ha comportato una serie di turbative nel regolare svolgimento dell'attività amministrativa connessa alla gestione dei lavori, con conseguente formazione di ritardi nella liquidazione di alcune fatture relative ai lavori eseguiti. Nonostante la natura del contendere fra i contraenti fosse limitata ai soli ritardi nei pagamenti dei corrispettivi, l'atteggiamento della Società fu inequivocabilmente contenzioso: a nulla valsero gli esperiti tentativi di composizione amichevole.
Le richieste della Gecosystem hanno formato oggetto di un lodo arbitrale datato 22 novembre 2001, con il quale il MAE è stato condannato a pagare la complessiva somma di euro 496.483,31 comprensiva di interessi e di quota parte delle spese di giudizio e legali. Il lodo non è stato appellato dalla DGCS in quanto l'Avvocatura dello Stato ha ritenuto che un eventuale gravame avrebbe comportato sicuramente la soccombenza del MAE e l'erogazione di un maggiore importo. Pertanto, con decreto ministeriale del 14 dicembre 2002 il M.A.E. ha provveduto alla liquidazione della somma suddetta decisa dal lodo.

8) Mozambico/Ideco «Riabilitazione ed ampliamento del sistema di produzione del sale nella Repubblica Popolare di Mozambico».

Con contratto del 23 dicembre 1988 (Rep. n. 290), la DGCS affidò all'IDECO - Industrial Development Engineering Company S.r.l. - la realizzazione in Mozambico dei lavori per la riabilitazione e l'ampliamento del sistema di produzione del sale. L'iniziativa consisteva nella ristrutturazione della raffineria di sale di Matola e nella ristrutturazione ed ammodernamento delle saline di Spence e Matola, tutte situate nella provincia di Maputo. In particolare, gli obiettivi erano individuati come segue:
assicurare la fornitura del sale necessario ai consumi interni per uso alimentare e per l'industria;


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evitare il ricorso all'importazione del sale notevolmente onerosa per il paese;
sviluppare una capacità produttiva nonché creare posti di lavoro per la manodopera locale.

L'importo complessivo del contratto era di 12.929.000.000 e la durata era di 4 anni (48 mesi). Nel maggio dell'89 il contratto entrava in vigore a seguito del relativo decreto di approvazione con il prescritto visto della Ragioneria. Nel mese di ottobre del 1990 (18 ottobre), con un anno di ritardo rispetto al termine previsto nel contratto (6 mesi dall'entrata in vigore dello stesso), veniva nominato il Direttore dei Lavori. Nel giugno del 1991 la Direzione dei Lavori presentò una richiesta di variante progettuale in corso d'opera e, pertanto, il successivo 2 dicembre 1991, il Direttore dei Lavori ordinò la sospensione degli stessi per la necessità di redigere una perizia di variante e suppletiva e - in attesa dell'approvazione di questa - stabilendo specificamente che tale sospensione non poteva dar luogo a maggiori compensi per il ritardo del collaudo. In data 18 dicembre 1992 fu approvata la variante da parte del Comitato Direzionale (per lire 2.796.000.000) e venne emanato il relativo decreto del Direttore Generale di approvazione dell'Atto di sottomissione recepente la perizia di variante in data 7 giugno 1993, la cui entrata in vigore venne, però, poi ritardata da alcuni Rilievi della Ragioneria.
In data 14 ottobre 1993 l'IDECO notificava alla D.G.C.S. un atto di diffida a disporre senza ulteriore ritardo la ripresa dei lavori per giungere alla conclusione dell'appalto, lamentando da un lato che, (nonostante l'intervenuto perfezionamento degli atti contrattuali e tecnici relativi alla variante) i lavori restavano ancora sospesi e, dall'altro, sostenendo che la sospensione; era palesemente illegittima, attenendo all'improprio esercizio dello
ius variandi della P.A., e che, in ogni caso, sarebbe spettato all'Impresa il risarcimento dei danni e dei maggiori oneri che la stessa aveva sostenuto per quasi due anni. In risposta a tale atto di diffida, la DGCS inviava (2 novembre 1993) una comunicazione all'Avv. N.M., legale rappresentante della società, in cui si segnalava che la formalizzazione dell'Atto di sottomissione non era intervenuta, in quanto mancava parte della documentazione dovuta proprio dall'IDECO e si sollecitava la Società a provvedere in tempi brevi in tal senso, in modo che si potesse procedere al perfezionamento del decreto di approvazione di tale atto. In data 13 gennaio 1994 veniva firmato il Verbale di ripresa dei lavori, che l'IDECO tuttavia firmò con riserva. Nel marzo del 1996 si effettuò il collaudo finale dei lavori, approvato con decreto in data 7 marzo 1996, mentre l'atto di attestazione della regolare esecuzione delle attività contrattuali fu emesso in data 30 ottobre 1997.
A conclusione dei lavori e in occasione della presentazione del Conto Finale, la società IDECO iscrisse numerose riserve in calce al medesimo, chiedendo, tra l'altro, gli interessi per ritardati pagamenti dei corrispettivi contrattuali.
Nel novembre 1999 pervennero due comunicazioni da parte dell'IDECO. Con la prima (del 2 novembre 1999) la stessa dichiarava di aver ricevuto il saldo delle somme in contenzioso, ma di non aver ricevuto la liquidazione di una delle riserve (la n. 5) regolarmente iscritta al libro di contabilità di cantiere; tale riserva faceva riferimento ai gravi danni subiti dalla Società a seguito dell'interruzione dei pagamenti delle fatture da novembre 1995 (per lavori eseguiti nel 1994) fino a metà giugno 1996 (per lavori eseguiti nel 1995). La richiesta ammontava a lire 329.907.000, somma che derivava in parte da maggiori oneri come guardiania, assistenza tecnica, mantenimento della funzionalità del cantiere, ed in parte dall'aumento dei costi dei materiali e dei lavori eseguiti dal giugno 1996 in poi. Con la seconda comunicazione (del 29 novembre 1999), l'IDECO richiedeva gli interessi legali e di mora per ritardati pagamenti relativamente ad alcune fatture evidenziate, per un ammontare di lire 381.541.000.
Si procedette ai necessari controlli e calcoli degli interessi dovuti in conformità ai criteri, individuati nella nota dell'UTC


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del 17 febbraio 2000. In tal modo si giunse all'accertamento della somma dovuta all'IDECO, per ritardati pagamenti, quantificandola in lire 319.294.168. Di ciò si diede immediata comunicazione alla Società. In tale comunicazione, inoltre, si consigliava, vista la sussistenza, segnalata dall'Unità Tecnica Locale di Maputo, di alcune situazioni debitorie che la Soc. IDECO aveva lasciato in Mozambico nei confronti di dipendenti locali, che l'erogazione, per maggiore prudenza, avvenisse in due distinte tranches. Su tale conteggio e sulla suggerita procedura di pagamento graduale espresse il suo pieno accordo la Società stessa, che in data 19 giugno 2000 presentò regolare fattura per la prima tranche di lire 120.000.000, contestualmente assicurando che - con tale somma - avrebbe immediatamente proceduto al saldo di ogni pendenza con gli ex dipendenti di Maputo. In data 4 agosto 2000 venne emanato il decreto di approvazione dell'impegno e della contestuale erogazione alla Soc. IDECO dell'anticipo concordato di lire 120.000.000. Successivamente, in base alle Osservazioni formulate dalla Ragioneria su tale decreto di liquidazione, si procedette ad una nuova rielaborazione dei conteggi e si constatò la necessità di stanziare, ad integrazione dei precedenti impegni, una somma di lire 101.921.498. Solo in data 9 gennaio 2001 venne emesso, quindi, il decreto definitivo di liquidazione dell'anticipo, il quale inglobava anche la somma stanziata ad integrazione.
Nel corso del 2001 vi furono diverse Osservazioni della Ragioneria sul provvedimento predetto, accolte nel merito dall'Ufficio procedente, in cui si contestava, in base a diverse motivazioni ed a nuovi conteggi, la somma di 301.215.666, che avrebbe dovuto essere liquidata a saldo alla Soc. IDECO, e se ne riduceva l'importo a lire 180.971.023. Ne conseguì che fu necessario predisporre il nuovo decreto, tenendo conto di tali Osservazioni, e la somma riconosciuta fu così ridotta di gran lunga rispetto all'iniziale pretesa.
Si procedette, pertanto, alla comunicazione all'IDECO della riduzione suddetta dell'importo liquidato fornendo congrue motivazioni. Infine, con decreto del 18 settembre 2001, venne autorizzato lo stanziamento e la contestuale erogazione di lire 180.971.000 a favore della Soc. IDECO a tacitazione di ogni diritto o pretesa per la corresponsione degli interessi legali e moratori alla stessa dovuti per i ritardati pagamenti.
Come si può rilevare, si tratta non di un contenzioso ma di una mera istanza dell'Esecutrice definita in via amministrativa. La Procura Regionale della Corte dei Conti, intrapresa un'indagine sul caso, ha recepito tutti gli atti e gli elementi forniti dalla Direzione Generale a più riprese (in ultimo in data 13 febbraio 2002). Si attende di conoscere l'esito dell'indagine.

9) Egitto/Consorzio CRIA: «Riabilitazione idrica della città di Alessandria d'Egitto».

L'interrogazione proposta si riferisce ad una vicenda ben più articolata rispetto alle sole circostanze afferenti l'atto di precetto dell'ottobre 1998, pertanto al fine di fornire esaustiva risposta è opportuno porre brevi cenni sull'intera vicenda per la quale attualmente pende giudizio innanzi alla Corte Suprema di Cassazione.
Nel 1989 il Consorzio CRIA si aggiudicò un appalto per la riabilitazione idrica della città di Alessandria d'Egitto. Successivamente, in data 7 agosto 1996, il CRIA stante il sopraggiungere di contrasti insanabili con il committente riguardo alcuni aspetti dell'esecuzione dell'appalto, proponeva domanda di arbitrato. Il MAE con atto notificato in data 16 ottobre 1998 dichiarava di voler rimettere la definizione della controversia alla Magistratura ordinaria, declinando la giurisdizione del Collegio Arbitrale. Quest'ultimo, intanto compostosi riteneva di dover procedere ugualmente nello svolgimento del giudizio, nonostante la proposta eccezione pregiudiziale e preliminare di incompetenza avanzata dall'Avvocatura Generale dello Stato che riteneva - stante la scelta optata - competente a conoscere e giudicare del caso di specie il solo Giudice ordinario. Il lodo arbitrale a definizione del


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giudizio respingeva l'eccezione preliminare e condannava il MAE. Avverso tale pronuncia veniva proposta dal MAE impugnazione innanzi alla Corte di Appello di Roma la quale, con sentenza del 7 giugno 2000 accoglieva il gravame proposto, riformando il lodo arbitrale.
Avverso tale pronuncia di secondo grado, veniva proposto dal Consorzio giudizio innanzi alla Corte Suprema di Cassazione ove - allo stato - non si hanno notizie circa la sua definizione.
Con tale vicenda processuale si intreccia la questione più specifica su cui maggiormente insiste l'interrogante, legata all'atto di precetto che veniva notificato nell'ottobre 1998, quindi subito dopo il lodo arbitrale di primo grado e prima del giudizio di appello. Rispetto ad esso, va precisato che erano già stati notificati precedenti atti di precetto nel maggio 1998 volti a far conseguire al CRIA le somme disposte dal lodo a carico del MAE, a cui erano seguiti tempestivi pagamenti da parte dell'Amministrazione, tuttavia per importi inferiori rispetto alle pretese del CRIA, in specie quanto agli interessi e alle spese legali, ritenute eccessive. Nell'ottobre del 1998 il CRIA notificava nuovo atto di precetto per intimare il pagamento di quanto non ottenuto precedentemente. Tali pretese venivano confutate dall'Avvocatura Generale dello Stato la quale si richiamava alla propria nota del 10 giugno 1998 (reiterata il 4 settembre 1998), nella quale si rappresenta la illegittimità delle somme richieste ancorché suffragate dal titolo esecutivo.
Pertanto il MAE, vista la perentoria e tassativa indicazione dell'A.G.S. non procedeva al pagamento, non potendosi discostare da tale consiglio. Peraltro l'Avvocatura aveva proposto, nelle more, ricorso in opposizione al precedente precetto del maggio 1998 ma non veniva concessa dal Giudice dell'esecuzione l'invocata sospensiva.
A questo punto venivano attivati una serie di contatti per evitare pignoramenti a carico del MAE ma, l'Avvocatura, organo necessariamente consultivo in pendenza di contenzioso, non cambiava la propria opinione (riguardo l'illegittimità delle pretese del CRIA) mentre controparte nonostante i tentativi di conciliazione da parte D.G.C.S. rimaneva del proprio avviso, non desistendo dall'intimazione.
Il CRIA quindi procedeva al pignoramento, il cui accesso avveniva in data 22 dicembre 1998. In tale occasione il MAE otteneva una sospensione dello stesso (dal legale di controparte e dall'Ufficiale Giudiziario), al fine di evitare gravi ed irreparabili pregiudizi all'Erario. La procedura esecutiva veniva differita al 25 gennaio 1999.
A questo punto, al solo fine di evitare pregiudizi gravi ed irreparabili non solo alle disponibilità finalizzate ai propri compiti istituzionali, ma anche alla immagine stessa del Ministero, vista la necessità improrogabile di provvedere agli adempimenti derivanti dal pignoramento, la DGCS procedeva ad emettere decreto di pagamento, che veniva eseguito nel gennaio 1999. Di ciò veniva data informazione tempestiva all'Avvocatura Generale dello Stato che nulla poteva obiettare in tale contesto, date le circostanze.
Tale pagamento venne eseguito con riserva di ripetizione dell'indebito, azione per la quale è competente l'Avvocatura Generale dello Stato.
Si ritiene quindi, in conclusione, che nessuna responsabilità può essere ascritta ai MAE-DGCS, che ha operato con diligenza e tempestività seguendo, come era suo precipuo dovere, le indicazioni fornite dall'AGS organo preliminarmente e necessariamente consultivo in tema di contenzioso. Gli esiti del giudizio di ripetizione non sono al momento noti al MAE. Si ritiene che l'Avvocatura informerà la Direzione Generale a tempo debito, avuto riguardo, anche e soprattutto, all'esito del giudizio di Cassazione.

10) Senegal/ATI CO.GE.: «Programma speciale d'urgenza per l'approvvigionamento di acqua potabile per le popolazioni rurali nelle regioni di Fatick e Kaolak».

Con contratto di appalto stipulato in data 5 dicembre 1986, approvato con decreto ministeriale 128/004 del 12 gennaio 1987 e successivo Atto aggiuntivo del 27


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giugno 1991, approvato con decreto ministeriale 128/2592/6 del 9 agosto 1991, il Ministero degli Affari Esteri - Dipartimento per la Cooperazione allo Sviluppo e successivamente Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo - affidava alla Società Landsystem - Studio di Ingegneria S.p.A. - con Sede Legale in Roma, in qualità di Impresa Capogruppo mandataria dell'Associazione Temporanea di Imprese costituita tra la nominata Società, la CO.GE. - Costruzioni Generali S.p.A. - con sede in Parma e la Tecnosal S.p.A. con sede in Roma, l'esecuzione della 1o FASE del «Programma speciale d'urgenza per l'approvvigionamento di acqua potabile per le popolazioni rurali nelle regioni di Fatick e Kaolak» in Senegal, per una spesa complessiva di lire 19.412.000.000, delle quali lire 17.290.000.000 per il contratto originario e lire 2.122.000.000 per l'Atto aggiuntivo.
Successivamente con il Contratto d'Appalto stipulato in data 24 giugno 1991, approvato con decreto ministeriale del 10 settembre 1991 n. 128/2954/4, e con pedissequa variante non onerosa del 15 settembre 1995, veniva affidata alla Società CO.GE. - Costruzioni Generali S.p.A. - in qualità di Società Capogruppo mandataria dell'Associazione Temporanea di imprese costituita tra le medesime società innanzi riportate, l'esecuzione della 2o FASE del Programma denominato «Estensione del Programma Speciale d'urgenza per l'alimentazione in acqua potabile delle popolazioni rurali nelle regioni di Fatick, Kaolak, Dyourbel e Thies» per il corrispettivo di lire 21.160.000.000.
Durante l'esecuzione dei Contratti e degli Atti aggiuntivi sopra menzionati, tra le parti insorgevano controversie in ordine all'interpretazione ed applicazione delle norme contrattuali, ed in conseguenza l'ATI - mandataria e Capogruppo Landsystem S.p.A. - a seguito di ricorso per Decreto Ingiuntivo, depositato nella Cancelleria del Tribunale Civile di Roma il 22 luglio 1983 e del consequenziale provvedimento emanato il 4 agosto 1993, otteneva a carico della D.G.C.S. l'ingiunzione a pagare la somma complessiva di lire 1.394.067.763 a titolo di interessi per ritardata dazione dei corrispettivi previsti nel contratto d'appalto del 5 dicembre 1986 e nell'atto aggiuntivo del 27 giugno 1991. Infatti, nonostante la tempestiva opposizione proposta dalla Direzione Generale avverso il citato decreto ingiuntivo del 4 agosto 1993, essendo stato quest'ultimo dichiarato provvisoriamente eseguibile in pendenza del giudizio di opposizione, il Pretore di Roma - Giudice dell'esecuzione - con l'ordinanza n. 1341/94 del 16 giugno 1994, successivamente integrata con atto del 28 luglio 1994, disponeva l'immediato pagamento della somma suddetta che veniva riscossa dalla Landsystem S.p.A. nella qualità di mandataria delle Società CO.GE. S.p.A. e Tecnosal S.p.A.
Con sentenza n. 2 del 24 febbraio 1996, il Tribunale di Roma, in accoglimento dell'opposizione proposta dall'Amministrazione avverso il citato Decreto Ingiuntivo del 4 agosto 1993, sulla cui base era stata intrapresa e conclusa la procedura esecutiva, dichiarava l'incompetenza dell'Autorità Giudiziaria Ordinaria per essere stata la controversia devoluta a giudizio arbitrale e conseguentemente dichiarava la nullità dell'ingiunzione apposta. La CO.GE. S.p.A., con domanda arbitrale datata 26 luglio 1993, notificata al MAE il successivo 30 luglio, esponeva in punto di fatto e di diritto che la D.G.C.S., con il contratto del 24 giugno 1991 n. 636, aveva affidato alle imprese CO.GE., Tecnosal S.p.A. e Landsystem S.p.A., riunite in Associazione Temporanea, l'esecuzione dell'estensione del programma speciale d'urgenza per l'alimentazione in acqua potabile delle popolazioni rurali in specifiche regioni del Senegal. La CO.GE. precisava che la crisi valutaria iniziata dal settembre 1992 aveva alterato i rapporti di cambio della lira, costituente valuta contrattuale, rispetto al franco francese, con abnorme conseguente aumento del franco senegalese. La svalutazione monetaria, elemento imprevisto ed imprevedibile all'epoca di stipulazione del contratto, era stata causa di un'alterazione del sinallagma contrattuale, con conseguente ingente incremento dei costi e dei lavori contrattuali resi direttamente in Senegal, con esborso di valuta locale. Pertanto l'impresa aveva ritualmente


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dedotto in specifiche riserve contrattuali l'incremento generale dei costi che, all'atto del nuovo stato di avanzamento dei lavori, era superiore all'importo di lire 1.640.000.000. Il MAE, con atto del 9 settembre 1993 nominava il proprio arbitro e lo notificava alla controparte. Dopo la nomina del Presidente nella persona del Consigliere di Stato Prof. Pasquale Landi, si costituiva in Roma in data 17 gennaio 1994 il Collegio arbitrale.
La CO.GE. S.p.A., nella specifica qualità di mandataria, chiedeva che il Ministero degli Affari Esteri - D.G.C.S. - fosse condannato a rimborsare alle Società riunite nell'Associazione Temporanea di Imprese tutti i maggiori oneri o costi derivanti dalla modifica del rapporto di cambio di cui innanzi, nella misura che sarebbe stata accertata nel corso del procedimento o ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione monetaria. Infatti la Società mandataria, assumendo che i contratti in esame erano giuridicamente «al costo», senza realizzazione quindi di utile da parte delle imprese affidatarie, insisteva sulla circostanza che in data 13 settembre 1992 la lira era stata svalutata del 7 per cento ed il successivo giorno 17 era stata sospesa dallo SME e che per effetto della svalutazione, la moneta italiana aveva subito un'ingente perdita di valore, con oscillazione del 20-24 per cento rispetto al franco francese e senegalese, collegati da un rapporto di cambio fisso. Concludendo la mandataria ribadiva che la perdita di valore della lira, valuta contrattuale, era stata causa di un ingente ed imprevedibile aumento dei costi per le prestazioni contrattuali eseguite direttamente in Senegal, pagate in moneta locale. L'Avvocatura dello Stato depositava una memoria difensiva datata 2 marzo 1994, che affrontava l'oggetto del giudizio con argomentazioni in diritto, senza dedurre ulteriori elementi di fatto. Il Collegio arbitrale, dopo aver accertato la natura giuridica del negozio consistente in un contratto misto d'appalto e di fornitura, caratterizzato dall'obbligo dell'impresa di garantire prestazioni tipiche dell'appalto tendente ad un facere, e di forniture assunte nel contesto di uno specifico rischio economico-professionale e dopo aver affermato che la «regula iuris» dettata dall'articolo 1362 codice civile era che l'interpretazione nel contratto non doveva essere limitata al tenore letterale delle parole, essendo necessario ricercare la comune intenzione delle parti, rilevava che l'esame generale e l'esegesi delle norme contrattuali inducevano ad escludere una comune volontà negoziale diretta a realizzare un contratto «a costo», senza un «minimum» d'alea a carico dell'impresa. Pertanto riteneva che nel contratto
de quo il corrispettivo non fosse determinato «al costo». La svalutazione monetaria, intervenuta ufficialmente il 13 settembre 1992, con autosospensione dallo S.M.E. il successivo 17 settembre, aveva determinato sotto il profilo di diritto sostanziale, un'alterazione del sinallagma contrattuale. Infatti risultava pacifico in atti, secondo il Collegio arbitrale, che la svalutazione monetaria della lira rispetto al franco francese aveva inciso profondamente sul rapporto di cambio con la valuta senegalese. Era di facile accertamento che il franco francese ed il franco senegalese fossero collegati da un rapporto di cambio fisso, talché l'aumento di valore del franco francese, causato dall'autosospensione della lira dallo S.M.E., aveva generato un aumento di valore del franco CFA. Orbene era la perdita di valore della lira, costituente valuta contrattuale, rispetto al franco senegalese, a generare l'alterazione del sinallagma contrattuale. Infatti giovava considerare che il contratto implicava prestazioni da eseguire in Senegal, con conseguente necessità di operare, in fase esecutiva, con franchi senegalesi. Ne conseguiva quindi, in sede di esecuzione del contratto, che la svalutazione monetaria, alterando il rapporto corrispettivo-prestazione, generava un aumento imprevisto di costi e degli oneri negoziali. In astratto, la svalutazione monetaria, quale causa di uno squilibrio tra le prestazioni contrattuali, avrebbe legittimato la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, avendo la giurisprudenza in generale considerato rilevante, ai fini della risoluzione contrattuale, la svalutazione monetaria straordinaria ed imprevedibile. Ma, in concreto, ciò


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non si rendeva possibile, atteso che l'esecuzione integrale del contratto, come accertata dai Collegio, impediva l'applicazione dell'articolo 1467 codice civile Peraltro il Collegio non riteneva che il riequilibrio del sinallagma fosse attuabile con l'applicazione dell'articolo 19 del contratto, che concerneva il mero meccanismo della revisione dei prezzi, perché l'ipotesi di un aumento dei costi contrattuali, derivante da una svalutazione monetaria, non era espressamente prevista. In conseguenza il Collegio arbitrale riteneva, che, nella fattispecie in esame, il riequilibrio del sinallagma contrattuale fosse possibile con l'ausilio dell'articolo 1664, comma 1, del Codice Civile, in considerazione che i requisiti richiesti per l'applicabilità di tale normativa consistessero sia nell'accertamento dell'aumento del costo dei materiali e nella mano d'opera in misura superiore al decimo del prezzo convenuto, sia nella relativa imprevedibilità al momento della conclusione del contratto. Infatti la giurisprudenza aveva ritenuto applicabile il citato articolo anche nel caso in cui la svalutazione monetaria avesse inciso sui costi contrattuali e fosse stata imprevedibile al momento della stipulazione del contratto. Nel caso di specie la svalutazione monetaria, iniziata il 13 settembre 1992, era assolutamente imprevedibile all'epoca del contratto perfezionato il 24 giugno 1991. Pertanto il Collegio arbitrale concludeva con lo statuire la sussistenza del diritto dell'impresa alla revisione del prezzo contrattuale nei limiti definiti ex lege. Poiché il contratto de quo era un negozio misto d'appalto e di fornitura e la revisione prezzi ex articolo 1664, comma 1, era riferita esclusivamente all'appalto, ne conseguiva la necessità di distinguere, nell'ambito del prezzo, il quantum delle prestazioni riferite all'appalto e alla fornitura. Seguendo tale indirizzo, il Collegio arbitrale riconosceva all'impresa il diritto a ricevere dall'Amministrazione la somma di lire 1.518.579.344 in applicazione dell'articolo 1664, comma 1 del Codice Civile. Pertanto, con il lodo sottoscritto in data 4 luglio 1994, accoglieva parzialmente la domanda arbitrale proposta dalla CO.GE. Contro il MAE e per l'effetto dichiarava il diritto della CO.GE. al pagamento da parte del MAE della somma di lire 1.628.956.871, per il titolo innanzi motivatamente specificato, corrispondente all'accoglimento parziale del quesito dedotto in giudizio, comprensiva della rivalutazione monetaria sino al 31 maggio 1994, oltre IVA come per legge ed oltre gli interessi legali dalla data della pronuncia fino all'effettivo soddisfo. La D.G.C.S., pur impugnando per questioni di diritto innanzi alla Corte di Appello di Roma il lodo arbitrale reso esecutivo e quindi avente fra le parti autorità di cosa giudicata, doveva necessariamente provvedere al pagamento della somma di cui sopra, ma rigettava la domanda delle imprese associate tendenti ad ottenere la revisione prezzi ai sensi dell'articolo 19 del contratto, imprese che pertanto ricorrevano alla Commissione Revisione Prezzi del Ministero dei Lavori Pubblici. Per uscire dal groviglio delle opposizioni, ricorsi ed appelli, le parti giungevano ad un accordo transattivo sottoscritto in data 27 luglio 1998, convenendo a saldo e transazione, che il credito complessivo dell'Associazione temporanea di impresa - Società Capogruppo mandataria CO.GE. Costruzioni Generali - Società per Azioni, con la risoluzione delle controversie insorte nella esecuzione dei contratti ed atti aggiuntivi relativi alle due fasi del programma innanzi specificate, era transattivamente determinato nell'importo omnicomprensivo di lire 1.029.000.000 (unmiliardoventinovemilioni). Le parti si obbligavano ad abbandonare, per non più riassumere, i giudizi pendenti e le azioni intraprese a tutela dei propri diritti ed interessi, regolando in via definitiva il reciproco dare ed avere e non avendo null'altro a pretendere per qualsiasi titolo. L'Avvocatura Generale dello Stato, con Nota n. 80854 del 4 luglio 1998, inviava alla Direzione della Cooperazione lo schema di transazione munito del visto di approvazione sotto il profilo legale. Il Decreto (n. 3340/98, del 29 luglio 1998) di approvazione dell'atto di transazione in questione, veniva regolarmente registrato il 15 ottobre 1998 dall'ufficio di Controllo della Corte dei Conti. Dall'esame degli atti e dei fatti innanzi analiticamente valutati ed


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in considerazione che lo schema di transazione ha riportato il parere dell'Avvocatura Generale dello Stato ed il Decreto approvativo della transazione il visto e la registrazione della Corte dei Conti, non si rilevano «ictu oculi» i presupposti di carattere soggettivo ed oggettivo, che possano generare responsabilità per danno erariale.
Tuttavia, la Procura Regionale della Corte dei Conti ha svolto indagini sulla vertenza (in particolare sullo svolgimento contrattuale a monte del lodo e della transazione) non rilevando responsabilità perseguibili e archiviando la pratica in data 13 novembre 2002.

11) Etiopia/Salino Costruttori: «Intervento multisettoriale nella valle del Beles».

Come si riferisce trattando la vertenza di cui al n. 20 - Sudan della medesima interrogazione, l'Amministrazione con atto transattivo 11 luglio 1998 ha definitivamente chiuso qualsiasi contenzioso pendente con la Salini Costruttori S.p.A. e con la CO.GE.MA. S.p.A. in rapporto a tre interventi in Somalia, in Etiopia e in Sudan. Per due di tali contratti firmati in data 14 gennaio 1986 e 1o marzo 1989, relativi rispettivamente a un «Intervento multisettoriale nella Valle del Beles» in Etiopia ed alla «Riabilitazione della strada Afgooy-Goluen» in Somalia, la Salini aveva notificato all'Amministrazione distinte domande di arbitrato in data 24 settembre 1996 per la quantificazione e il riconoscimento dei crediti e dei maggiori danni conseguenti all'esecuzione dei contratti medesimi, sui quali già sussistevano due precedenti lodi, emessi rispettivamente in data 7 aprile 1994 e 6/7 maggio 1993 per la risoluzione di altre controversie già insorte su altri aspetti, antecedentemente. Le domande sopra indicate hanno dato luogo alla costituzione di due distinti Collegi arbitrali.
La transazione inizialmente richiamata - con la quale si è pattuito l'abbandono di tutte le relative azioni e dei procedimenti di cognizione e di esecuzione, proposti e proponendi - è intervenuta nel corso dei lavori di detti Collegi i quali, con apposite ordinanze hanno preso atto della regolarità e ritualità delle dichiarazioni di rinuncia di entrambe le parti alle domande di arbitrato, dichiarando l'estinzione dei relativi giudizi e hanno compensato tra le parti le spese di lite, degli onorari dovuti agli arbitri e dei compensi dovuti ai segretari dei Collegi stessi. A tale titolo, la somma complessiva a carico dell'Amministrazione è risultata pari a lire 50.262.500 al lordo di IVA e CPA e con l'applicazione delle ritenute di legge.
Si precisa che l'Avvocatura Generale dello Stato, come risulta dalla nota 12 gennaio 1999, ha «ritenuta congrua la somma liquidata dal Collegio a titolo di onorari degli arbitri in relazione alla natura, alla complessità delle questioni poste, all'entità economica della domanda ed al valore della controversia, nonché alla durata del procedimento».
La Procura della Corte dei Conti, svolte le indagini sul caso ha archiviato la pratica in data 13 novembre 2002 non ravvisando responsabilità perseguibili.

12) P.L.F./MAE-D.G.C.S.

Il contenzioso in questione è una ripetizione del caso n. 6 di cui all'interrogazione n. 4-07696. Si rinvia, pertanto, alla risposta fornita in tale sede.

13) Mali - C.M. Consulting S.p.A. - «Costruzione di acquedotti rurali - 3a fase». Contratto del 1o ottobre 1991

L'importo del contratto era di lire 6.862.000.000. L'iniziativa oggetto del contratto fa seguito ad altre due precedenti fasi realizzate dalla stessa società e ne costituisce la 3a ed ultima fase. Nelle more della stipula e dell'affidamento di detta 3a fase, la società CM ha provveduto ad effettuare attività di custodia e di manutenzione degli impianti di base realizzati nell'ambito delle due fasi precedenti, anticipando le relative spese per un importo di circa 311 milioni di lire, in tal modo è stato evitato che venissero danneggiati gli impianti del campo base, consentendo di evitare gli oneri


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di ripristino e di avviare sollecitamente gli interventi di 3a fase.
Per il ritardato rimborso all'impresa dei suddetti imprevisti oneri non autorizzati dal MAE, ma della cui utilità lo stesso ha tratto indubbio beneficio, sono stati corrisposti gli interessi nella misura indicata nell'interrogazione.

14) Marocco - Lotti & Associati S.p.A. - «Realizzazione di laghi collinari e perimetri irrigui nella provincia di Tangeri - 2a fase» - Contratto del 29 luglio 1991.

Il Governo del Marocco ha chiesto il finanziamento a dono di una seconda fase del programma in argomento designando quale organismo esecutore la Società di Ingegneria Lotti & Associati. Con delibera del Comitato Direzionale n. 6 del 19 febbraio 1991 è stato concesso un finanziamento di lire 3.186.862.000 per la realizzazione di 630 Ha irrigui, per la fornitura dei materiali necessari alla realizzazione delle opere civili e dei pezzi di ricambio per il macchinario, nonché per l'assistenza tecnica alle cooperative di agricoltori locali.
A seguito di una forte ed imprevista siccità verificatasi nel 1991, si è dovuto far fronte ai fabbisogni idropotabili della città di Tangeri utilizzando le acque degli invasi di Sghir e Saboun costituenti la risorsa idrica del sistema irriguo. Inoltre l'Autorità locale ha dovuto distrarre parte delle risorse finanziarie destinate al programma per destinarle all'aiuto d'emergenza delle popolazioni rurali che hanno visto distrutti i loro raccolti.
È derivato un rallentamento nell'attuazione del programma che ha comportato sia la necessità di un prolungamento dei tempi di esecuzione ed assistenza e sia alcuni ritardi da parte delle Autorità locali nei pagamenti delle prestazioni eseguite dalla Società Lotti.
È conseguita una richiesta indirizzata direttamente al MAE (quale erogatore del dono al Marocco) di rimborso di oneri per interessi da parte della Società Lotti, che ha comportato un incremento del finanziamento da parte del MAE per l'importo di lire 89.543.170 come indicato nell'interrogazione. La Procura Regionale della Corte dei Conti ha indagato sul caso ed ha archiviato la pratica in data 13 novembre 2002, non ravvisando responsabilità perseguibili.

15) Gibuti/Cidonio S.p.a.: «Realizzazione di un'officina di riparazioni navali e di un molo nel porto di Gibuti».

Il 5 luglio 1991, nell'ambito di un credito d'aiuto, è stato stipulato un contratto tra l'amministrazione e l'ATI tra Cidonio S.p.A. e Cosmar S.p.A. avente ad oggetto la progettazione esecutiva per la realizzazione di una officina di riparazioni navali e di un molo nel porto di Gibuti per l'importo di lire 2.000.000.000 di cui 100.000.000 per revisione prezzi ed imprevisti. Nel corso del contratto è stata disposta una variante non onerosa che ha ridotto l'importo originario da lire 1.900.000.000 a lire 1.807.675.000, lasciando inalterata la somma per revisione prezzi ed imprevisti e disimpegnando la relativa economia. Le prestazioni sono terminate il 27 dicembre 1994. Tali accantonamenti sono stati interamente assorbiti dalla revisione prezzi che è risultata essere pari a lire 119.795.000.
Il 28 marzo 1996 è stato notificato all'amministrazione un atto di diffida con il quale si chiedeva il pagamento di lire 77.211.140 a titolo di interessi moratori, causa il ritardato pagamento dei S.A.L. La questione non risolta in via bonaria per l'eccessiva distanza tra le posizioni delle parti contrattuali, ha dato luogo ad un lodo arbitrale con il quale sono state richieste lire 82.360.675 per ritardato pagamento dei S.A.L., da aggiornare alla data dell'effettivo deposito, oltre al risarcimento dei danni subiti ed al pagamento del Collegio Arbitrale. L'articolo 6.4 del contratto stabiliva infatti che la Direzione Generale avrebbe dovuto provvedere ad emettere gli ordinativi dei pagamenti entro 60 giorni dalla data di presentazione alla Direzione della richiesta di pagamento. Trascorso tale termine la norma prevedeva il pagamento degli interessi


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legali e, dopo ulteriori 60 giorni, quelli di mora. Risulta che la struttura preposta abbia emesso i previsti nulla-osta al pagamento entro 60 giorni, termine questo a cui si sono però aggiunti i giorni necessari per l'effettivo accreditamento.
Il lodo, deciso il 20 gennaio 1998 ha riconosciuto che 15 fatture erano state pagate in ritardo, con un conseguente danno per l'A.T.I. di lire 40.087.404, sulle quali si sono applicati gli interessi anatocistici fino alla data dell'effettivo soddisfo. È stata invece rigettata la domanda di liquidazione del maggiore danno ex articolo 1224, comma 2, codice civile. Le spese sono state liquidate per il 70 per cento a carico dell'Amministrazione.
Per adempiere a quanto contenuto nel surrichiamato lodo, avendo la direzione generale esaurito i fondi accantonati come inizialmente precisato, con delibera 31 luglio 1998 è stato autorizzato lo stanziamento aggiuntivo di lire 40.087.405 quale sorte capitale e di lire 34.615.850 per interessi, spese, diritti etc., per complessive lire 74.703.250, corrispondenti alla cifra indicata dall'interrogante.
La Procura Regionale della Corte dei Conti per il Lazio, svolte le indagini sul caso ha archiviato la pratica in data 13 novembre 2002, non ravvisando responsabilità perseguibili.

16) Equador/C. Lotti & Ass.ti Spa: «Progetto irriguo Chambo Guano» - Contratto del 3 marzo 1989.

Il contratto concluso per la realizzazione del programma fu stipulato con la LOTTI SPA nel marzo 1989. Il progetto, dell'importo complessivo di lire 14,150 mld. ca., ha richiesto delle varianti tecniche e subito dei ritardi notevoli nella realizzazione. Inoltre in vista della conclusione dei lavori, circostanze impreviste si verificarono nella esecuzione delle opere relativa ad una condotta finanziata dalla CEE, la cui direzione lavori rientrava nell'ambito dell'iniziativa in oggetto.
Si tenga presente che la messa in funzione dell'impianto irriguo ed il relativo collaudo era possibile solo dopo la consegna della condotta. La DGCS, dovendo districare la situazione e salvaguardare l'immagine della Cooperazione italiana, volle permettere alla Società esecutrice di completare e consegnare in modo adeguato i lavori iniziati nel 1989 e che perdurarono fino al 1994.
Perdipiù, gli ordinativi relativi ai nulla osta di pagamento per le attività svolte dall'impresa 3 anni prima, anche in conseguenza delle accennate varianti, furono emessi con altrettanti ritardi, a motivo dei necessari chiarimenti che la Ragioneria della DGCS aveva richiesto al riguardo al Ministero del Tesoro. Di lì il dovuto riconoscimento degli interessi di mora (lire 225 mln. ca. nel 1998) sulle importanti somme pagate all'azienda. La Procura Regionale della Corte dei Conti ha svolto indagini sul prodursi dei descritti interessi: la D.G.C.S. ha fornito all'Organo di Controllo tutti i necessari elementi in data 25 novembre 2001. Si è in attesa di conoscere l'esito dell'indagine.

17) Mauritania/Consorzio Interconsuting-Techniplan - «Valorizzazione delle risorse idriche, sistemazione piste rurali ed interventi agro-pastorali». - Contratto del 27 febbraio 1987.

Il contratto in argomento è riconducibile al Fondo Aiuti Italiani (F.A.I.) istituito con la Legge 8 marzo 1985 n. 73 e, quindi, prima dell'istituzione dell'attuale D.G.C.S. avvenuta con la legge 49/87. Considerata la totale assenza di studi conoscitivi e di progetti esecutivi in base ai quali poter impostare una gara di appalto, il FAI decise di affidare ad una Società di servizi l'elaborazione degli studi, delle progettazioni, dei programmi di lavoro e del piano finanziario di intervento in funzione dei quale attivare un apposito Fondo di gestione per la realizzazione delle opere sotto la responsabilità della Società stessa. Il M.A.E. si era riservato di provvedere alla fornitura di tutte le macchine e dei mezzi di lavoro, dei relativi pezzi di ricambio e delle attrezzature delle officine di manutenzione.
Il contratto con il Consorzio di imprese è stato stipulato il 27 febbraio 1987 ma


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diveniva efficace dal 10 maggio 1987. In esso si prevedeva un importo di lire 16.634.300.000 di cui lire 5.611.300.000 per corrispettivi e lire 11.023.000.000 per il Fondo di gestione.
L'importo dei mezzi d'opera da fornire da parte dell'Amministrazione ammontava a lire 7.402.760.000. La vicenda è abbastanza singolare, tenuto conto della nuova normativa (L. 26 febbraio 1987 n. 49) emanata proprio il giorno antecedente la stipula del contratto.
I dubbi sorti in seno all'Amministrazione sulla compatibilità del modello negoziale ex-FAI, previsto dal contratto 27 febbraio 1987, con le nuove disposizioni della legge 49/87 hanno portato alla decisione di dare esecuzione in due tempi alla delibera del Comitato Direzionale, che programmava l'iniziativa:
il primo con l'affidamento al Consorzio di Imprese degli studi mediante un Atto-Aggiuntivo in linea con le nuove disposizioni della legge 49/87 che venne stipulato in data 9 giugno 1986 e venne reso efficace dal 31 luglio 1990;
il secondo con l'affidamento al Consorzio di Imprese dell'attuazione del programma mediante un nuovo strumento contrattuale, anch'esso adeguato alla legge 49/87.

In data 18 luglio 1990 è venuta a cessare la Convenzione di Alta Vigilanza tra il MAE ed il Consorzio di Imprese e quindi i compiti di gestione del contratto sono stati assunti direttamente dal MAE-D.G.C.S.
I richiamati dubbi sulla compatibilità del contratto alla luce delle nuove disposizioni della legge 49/87, hanno causato ritardi nel flusso dei finanziamenti e nella disponibilità dei fondi per l'acquisto dei macchinari, conducendo in definitiva ad uno svolgimento contrattuale del tutto anomalo.
Comunque l'iniziativa si è favorevolmente conclusa con la consegna al Paese beneficiario in data 18 giugno 1992 di opere, attrezzature e parti di ricambio.
Il maggior onere sopportato dal Consorzio di Imprese a seguito dell'anomalo svolgimento delle prestazioni è stato valutato con lodo arbitrale (a seguito di domanda dello stesso Consorzio) in data 18 dicembre 1997 in lire 3.539.601.020.
Il lodo suddetto è stato impugnato in data 2 febbraio 1999 dall'Avvocatura Generale dello Stato presso la Corte di Appello di Roma per nullità connessa ad un vizio formale dell'Atto di nomina degli Arbitri notificato direttamente al MAE invece che all'Avvocatura. La Corte di Appello ha respinto l'istanza di sospensione dell'esecutività del lodo arbitrale, pur riservandosi di valutare successivamente le motivazioni dell'impugnazione. Pertanto il MAE ha dovuto liquidare l'importo previsto dal lodo, previo rilascio da parte del Consorzio di un'apposita fideiussione di garanzia. Nelle more della conclusione del giudizio di impugnazione del lodo arbitrale, il legale del Consorzio di imprese ha avanzato per il tramite dell'Avvocatura Generale dello Stato una proposta di definizione transattiva del giudizio di appello in corso. In merito l'Avvocatura, con nota 31 novembre 2000, ha espresso il parere che un accordo transattivo fosse conveniente per l'Amministrazione.
Il MAE ha sottoposto la questione a valutazioni interne dalle quali è emersa, in sostanza, la convenienza della soluzione transattiva in quanto con essa il MAE avrebbe conseguito un recupero di circa lire 250 milioni. Qualora, invece, la lite fosse proseguita, il MAE si sarebbe trovato esposto ad un quasi certo esborso di lire 461 milioni circa. La Procura della Corte dei Conti ha indagato sul caso, archiviando la pratica in data 13 novembre 2002 non ravvisando responsabilità perseguibili.

18) Colombia/Zooconsult: «Programma per lo sviluppo dell'allevamento suino nel Narino».

In data 11 ottobre 1985 il Governo della Colombia, con nota del «Departamento Nacional», chiedeva espressamente il finanziamento da parte italiana del progetto. In conseguenza, il Comitato Direzionale della Cooperazione allo Sviluppo, in applicazione dell'articolo 15 - comma 6 - della legge 49/87, autorizzava il ricorso alla trattativa


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privata con l'organismo esecutore italiano designato dal Paese beneficiario con la nota innanzi citata, atteso anche che - nel caso di specie - vi era una sostanziale partecipazione al finanziamento dell'iniziativa da parte del beneficiario stesso. Il Governo colombiano, in effetti, con la stessa nota aveva chiesto espressamente che il programma suddetto fosse affidato alla Società Zooconsult S.r.l.
Pertanto, il Comitato Direzionale, con la deliberazione 177 del 15 giugno 1988, approvava il finanziamento dell'iniziativa per lire 7.275.000.000 (settemiliardiduecentosettantacinquemilioni) e nel contempo autorizzava la stipula, a trattativa privata, del relativo contratto con l'Associazione Temporanea di Imprese Zooconsult S.r.l. (mandataria) - Polytecnica Harris S.r.l. per l'importo massimo di lire 6.975.000.000 (seimiliardinovecentosettantacinquemilioni), oltre I.V.A. Il Governo della Colombia, tramite il locale «Ministerio de Agricoltura y Ganaderia», in data 20 settembre 1989 si impegnava formalmente a finanziare una parte del programma sopra citato di propria competenza, ed a svolgere i connessi adempimenti locali. In particolare, l'apporto della parte colombiana era fissato in 69.045.000 Pesos colombiani, venti milioni dei quali erano costituiti dal valore dei terreni posti a disposizione dei centri ed i restanti quarantanove milioni erano destinati ai costi di installazione ed avviamento dei centri stessi. La Società Zooconsult aveva in precedenza presentato alla D.G.C.S., in data 24 gennaio 1989, un'idonea proposta tecnico-economica che era stata dal competente Ufficio XV U.T.C. della D.G.C.S., con note del 24 gennaio 1989 e del 3 luglio 1989, dichiarata congrua per l'importo di lire 6.974.903.000 (seimiliardinovecentosettantaquattromilioninovecentotremila). Con rogito notarile del 11 dicembre 1990 veniva rogato l'atto di costituzione dell'Associazione Temporanea di Impresa tra le Società Zooconsult S.r.l, e Politecnica Harris S.r.l. con individuazione della mandataria nella società Zooconsult S.r.l. Il successivo 15 maggio 1991 tra il M.A.E.-D.G.C.S. e la Zooconsult anche quale mandataria, veniva stipulato il contratto avente ad oggetto prestazioni di servizi, attività, forniture e lavori per la completa realizzazione del «Programma per lo sviluppo dell'allevamento suino nel dipartimento del Narino in Colombia». Con deliberazione n. 41 in data 24 giugno 1991, l'allora vigente Comitato Interministeriale per la Cooperazione allo Sviluppo (C.I.C.S.) esprimeva parere favorevole, per un congruo numero di iniziative di durata pluriennale (fra le quali era ricompresa anche quella di cui trattasi), all'assunzione di impegni anche a carico degli esercizi 1992 e 1993. Con nota del 9 agosto 1991 il Ministero del Tesoro, ai sensi dell'articolo 7 della legge 29 dicembre 1990 n. 405, esprimeva l'assenso, tenuto conto delle necessità prospettate, all'assunzione di impegni pluriennali per la realizzazione in parola. Pertanto, con il Decreto del Ministro degli Affari Esteri 6 settembre 1991 veniva approvato il contratto de quo per la completa realizzazione del progetto: per l'importo di lire 6.974.903.000 oltre l'I.V.A. pari a lire 15.567.460 per un totale di lire 6.990.470.640, provvedendo al relativo onere mediante l'impegno autorizzato sull'esercizio 1991 per lire 321.602.000, e avvalendosi delle autorizzazioni di spesa di cui all'articolo 7 - comma 5 - della legge 29 dicembre 1990 n. 406, mediante l'impegno di spesa sull'esercizio finanziario 1992 per lire 4.890.348.000, e mediante l'impegno di spesa sull'esercizio finanziario 1993 per lire 1.778.520.460. Detto decreto veniva vistato dall'Ufficio di Ragioneria il 13 dicembre 1991 al n. 3839.
Questo programma si proponeva di introdurre nel Narino (una delle regioni colombiane più emarginate anche per motivi di natura storica) tecniche più moderne di allevamento suino, rispetto a quelle praticate che utilizzavano solo in minima parte le potenzialità reddituali dell'attività suinicola e comportavano situazioni igienico-sanitarie estremamente carenti sia dal punto di vista veterinario sia da quello della salute umana. Da un punto di vista socioeconomico, il programma si proponeva inoltre di aumentare il reddito di una comunità di agricoltori, scelta tenuto conto delle particolari condizioni di emarginazione, ma anche delle particolari potenzialità territoriali ed umane che essa presentava,


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mettendo inoltre in moto processi di associazione cooperativa tra gli allevatori.
Le prestazioni previste in contratto erano suddivise in due fasi: la prima, della durata di un anno, relativa a studi di fattibilità e progettazione da realizzarsi poi nella seconda fase; la seconda fase della durata di quattro anni per la realizzazione di assistenza tecnica, formazione, prestazione di servizi e fornitura di attrezzature. In data 3 dicembre 1992, la Società presentava lo studio di fattibilità e la progettazione esecutiva delle opere civili da realizzare, come innanzi accennato, nella seconda fase del programma. Ma l'analisi tecnico finanziaria e l'analisi di congruità dei prezzi, contenuti negli elaborati di cui sopra, risultavano particolarmente complesse e quindi la Direzione doveva richiedere il parere dell'U.T.E., con nota del 28 aprile 1994, che rispondeva in maniera parziale in data 30 marzo 1995, e quindi dell'istituto Agronomico d'Oltremare di Firenze che rispondeva nel mese di maggio 1995. Questi accadimenti determinavano un notevole ritardo per l'avvio della seconda fase del programma, a tal punto che verso la fine del 1995 la disponibilità da parte colombiana di risorse finanziarie adeguate per l'avvio della seconda fase dei programma non risultavano più sufficienti. La Società, che nel mese di dicembre 1992 aveva effettuato adeguamenti nelle progettazioni e conseguenti ulteriori analisi di fattibilità, in data 19 gennaio 1995 e 30 aprile 1996 inoltrava a questa Direzione diffida ad adempiere ed in data 8 luglio 1996 insisteva, rappresentando la responsabilità contrattuale per inadempimento da parte della D.G.C.S. La Direzione evidenziava, con lettera del 30 luglio 1996, che non poteva accettare la risoluzione del contratto per fatto e colpa della Direzione stessa, bensì per impossibilità sopravvenuta e richiedeva alla Società di presentare conteggio consuntivo delle prestazioni effettuate per rapportarle con quelle previste dal contratto. La Commissione Consultiva, costituita con la legge 121/1994 per la soluzione del contenzioso dei M.A.E.-D.G.C.S., alla quale era stata demandata la questione, evidenziava in un suo primo parere espresso nella seduta del 20 marzo 1997, l'assenza di un nesso di causalità tra ritardi e l'evento non realizzabile della seconda fase e quindi la mancanza di elementi per poter addebitare alla D.G.C.S. l'inadempimento contrattuale ed il conseguente riconoscimento del lucro cessante. Consigliava inoltre di definire la vertenza con la A.T.I. Zooconsult e Plytecnica Harris, mediante l'esborso di un importo omnicomprensivo tra lire 360 milioni e lire 400 milioni. I rappresentanti dell'A.T.I. non aderivano a tale quantificazione e presentavano «controdeduzioni» e «aggiornamenti di conteggi» e, conclusivamente, richiamavano la loro disponibilità a definire la controversia per l'importo omnicomprensivo di lire 550 milioni. Chiedevano ed ottenevano di essere personalmente ascoltati dalla Commissione con l'assistenza del loro legale. Nel corso dell'audizione, tenutasi il 22 ottobre 1997, i predetti rappresentanti ed il legale sostenevano che le cinque fatture, di cui al paragrafo quattro del citato parere del 20 marzo 1997 della Commissione stessa, riguardavano prestazioni effettivamente rese per adeguare più volte gli elaborati economici (ed anche tecnici) delle progettazioni presentate nel 1992 alle sopravvenute variazioni dei prezzi e dei tassi di cambio della lira, soprattutto nella considerazione che solo una sollecita e tempestiva approvazione degli elaborati progettuali aggiornati avrebbe potuto consentire l'avvio della seconda fase prima della «drastica riduzione delle risorse finanziarie della parte colombiana», così che sulla D.G.C.S. poteva non ricadere una qualche ombra di responsabilità per la non attuazione della seconda fase. In ogni caso esprimevano univocamente disponibilità a definire la vertenza per un importo omnicomprensivo, aggiornato quanto al tempo al dicembre 1997, di lire 500 milioni, comprendendosi in detto importo anche il rimborso di ogni spesa per consulenze legali e tecniche. La Commissione, nella seduta del 27 novembre 1997, reputava che fosse opportuno e conveniente aderire alla quantificazione dell'esborso in complessive lire 500 milioni, anche in considerazione del rischio che, in esito ad un ipotizzabile giudizio fosse ravvisata una


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responsabilità dei MAE per l'eccessiva durata delle istruttorie tecnica ed economica sugli elaborati presentati dall'A.T.I. nel 1992, elaborati che fin dal dicembre 1992 avevano ottenuto l'approvazione della parte colombiana. Pertanto, dopo aver ritenuto discutibile la richiesta di risoluzione di diritto della convenzione per l'inadempienza contrattuale della D.G.C.S. da parte della Società mandataria e opinabile la richiesta di risoluzione per impossibilità sopravvenuta da parte della D.G.C.S. nei confronti dell'A.T.I., nonché dopo aver valutato i rischi connessi al ricorso alla procedura arbitrale, la Commissione ribadiva l'opportunità di addivenire ad un accordo transattivo sulla base dell'importo omnicomprensivo di lire 500 milioni, nel quale era da intendersi ricompreso quello della fattura n. 16/93 di lire 16.080.100. L'Avvocatura Generale dello Stato, con nota del 3 marzo 1998, comunicava di condividere le valutazioni della Commissione contenzioso, di cui ai pareri succitati e che, pertanto, la vertenza poteva essere definita nei termini concordati con la Zooconsult e rendeva lo schema di transazione munito del visto di legalità. In conseguenza, l'atto di transazione per lire 500.000.000 veniva sottoscritto dalle parti il 24 giugno 1998 ed approvato con decreto del 27 luglio 1998, registrato, anche ai fini dell'impegno della relativa spesa, dall'Ufficio di Ragioneria presso la D.G.C.S. con atto n. 1507 dell'8 settembre 1998.
Da quanto innanzi non si rilevano i presupposti, sotto il profilo oggettivo e/o soggettivo, che possano dar luogo a responsabilità per danno erariale. Infatti, la Procura della Corte dei Conti, svolte le indagini sul caso, ha archiviato la pratica in data 13 novembre 2002, non ravvisando responsabilità perseguibili.

19) Somalia/Giza - Contratto ex DIPCO per la costruzione del complesso agrozootecnico di Afgooy. Importo contratto lire 50.785.498.000.

Non si tratta di un caso risolto giudizialmente, ma di istanze di interessi di ritardato pagamento evase per le vie amministrative. Il contratto in oggetto, finanziato ex lege 38/79, ovvero prima dell'attuale istituzione della D.G.C.S., fu stipulato in data 16 giugno 1986 e prevedeva la costruzione di opere civili, la fornitura di apparecchiature e di materiali di consumo, le prestazioni di gestione dell'azienda e l'assistenza tecnica per l'importo complessivo indicato in oggetto, così suddivisibile: (articolo 7 del contratto):
a) Forniture di materiali, impianti, attrezzature, prefabbricati, macchine, macchinari, pezzi di ricambio, compreso l'imballo, il trasporto e l'assicurazione: lire 22.665.790.498;
b) Esecuzione delle opere civili, dei montaggi, della documentazione tecnica, direzione gestionale d'impresa, materiali di consumo, dell'assistenza e istruzione tecnica: lire 28.119.707.502.

Il contratto è entrato in vigore in data 28 dicembre 1986. Le attività di cantiere vere e proprie si sono svolte dal 19 gennaio 1987 al 20 dicembre 1988, data in cui è stata certificata l'ultimazione dei lavori, mentre le attività di training ed assistenza tecnica si sono protratte fino al 31 luglio 1989. La Commissione di Collaudo ha effettuato due visite sui lavori, rispettivamente in data 30 settembre 1988 ed in data 18 aprile 1989, a seguito delle quali è stato emesso il relativo certificato di collaudo tecnico, approvato con decreto N. 128/2782/5 del 2 ottobre 1989.
Con nota del 12 ottobre 1990 la GIZA ha richiesto al MAE interessi per ritardato pagamento dei corrispettivi contrattuali liquidati nel corso dei lavori per un ammontare di lire 1.558.104.179. Da parte del MAE si registrarono difficoltà con l'Organo di controllo (Ragioneria) per perfezionare un provvedimento di riconoscimento di tali interessi. Con atto notificato il 16 febbraio 1993 la GIZA ha avviato procedura arbitrale allo scopo di farsi riconoscere gli interessi dovuti, conteggiati nella stessa misura della richiesta iniziale.
È quindi iniziata una trattativa con l'Amministrazione, a seguito della quale la GIZA


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ha accettato di ritirare la richiesta di arbitrato a fronte del riconoscimento degli interessi spettanti, conteggiati nella misura ridotta, rispetto alla richiesta iniziale, di lire 1.389.085.040. Nel frattempo, in data 5 novembre 1993, la GIZA era stata dichiarata fallita, per cui subentrava nella trattativa con il MAE la Curatela nominata dal Tribunale fallimentare. Con delibera del Direttore Generale del 17 febbraio 1995 la D.G.C.S. ha effettivamente stanziato la somma pattuita con la GIZA, ma il relativo decreto di pagamento (DM 341 del 7 marzo 1995) è stato oggetto di Rilievo da parte della Ragioneria. A seguito di tali osservazioni, gli interessi sono stati riconteggiati con diverso criterio, e quindi ridotti unilateralmente dal MAE all'ammontare di lire 1.084.566.030, liquidate infine al fallimento GIZA con decreto in data 14 novembre 1995.
La Curatela fallimentare che si è vista liquidare una somma molto inferiore rispetto a quella pattuita e con notevole ritardo rispetto alla data in cui era stato raggiunto l'accordo, ha nuovamente minacciato l'avvio della procedura arbitrale. Si è quindi avviata una nuova trattativa con la D.G.C.S., a seguito della quale, in data 25 novembre 1997, è stata liquidata la somma suppletiva di lire 320.720.890, portando, complessivamente, gli interessi riconosciuti dal MAE alla somma di lire 1.405.286.920.
Tale somma complessiva, non solo è inferiore a quanto originariamente richiesto dalla GIZA (lire 1.558.104.179) ma, soprattutto, è stata liquidata con notevole ritardo rispetto ai tempi della originaria richiesta. La Curatela fallimentare ha quindi richiesto gli ulteriori interessi sul ritardato pagamento delle somme riconosciute.
Al fine di porre termine alla diatriba che si protraeva ormai da anni, la DGCS ha quindi richiesto alla Commissione Contenzioso all'epoca operante (istituita con legge del 17 febbraio 1994 n. 121) quale fosse il corretto criterio per il conteggio complessivo e definitivo degli interessi legali e moratori.
Tale Commissione si è espressa in data 21 gennaio 1999 rendendo un dettagliato parere in merito alle modalità di calcolo dei citati interessi legali. Il fallimento Giza, con lettera del 15 novembre 1999, ha rielaborato - da parte sua - il calcolo di tutti gli interessi relativi al contratto, asserendo di dover ancora percepire lire 1.179.444.290, oltre ad interessi anatocistici al 31 marzo 1999 (per lire 1.747.852.313. Di fronte a tale ultima richiesta, il M.A.E. (in applicazione degli articoli 4 e 5 della legge 741 ed in base al parere menzionato della Commissione) ha rivisto i conteggi ritenendo di poter legittimamente riconoscere l'importo complessivo di lire 328.883.780 (6 settembre 2001).

20) Sudan Somalia Etiopia/A.T.I. tra Salini e Cogema.

L'interrogazione fa riferimento ad una transazione datata 11 maggio 1998 intervenuta tra il Ministero degli Affari Esteri - Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo - da un lato e dall'altro la Salini Costruttori S.p.A. e la CO.GE.MA. S.p.A., riunite in A.T.I.
La transazione ha tratto origine dalla esigenza di chiudere definitivamente il contenzioso insorto nell'attuazione di tre contratti inerenti: 1) il progetto Afgooy-Goluen, in Somalia di cui al contratto in data 1o marzo 1989 per l'importo di lire 24.300.000.000; 2) il progetto Tana Beles in Etiopia di cui al contratto in data 14 gennaio 1986 e successivi atti aggiuntivi per l'importo complessivo pari a circa lire 443.911.671.480; 3) forniture e realizzazione di una infrastruttura di base a favore della struttura Governativa Road Transport Unit (RTU) in Sudan di cui al contratto 7 dicembre 1988, per l'importo di lire 14.000.000.000. I tre contratti prevedevano nel complesso una spesa superiore a 481 miliardi di vecchie lire.
Nella fase di chiusura di tali rapporti contrattuali sono insorte alcune controversie con l'Esecutrice. Il danno economico vantato dall'A.T.I. è stato complessivamente quantificato, e attualizzato al 31 dicembre 1997, in lire 32.231.355.947, danno riconducibile a cause diverse quali residui crediti per lavori, trattenute a garanzia, costi finanziari, perdite su cambi, commissioni su fideiussione, danno per ridotta capacità finanziaria, interessi e rivalutazione monetarie,


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riconvenzionale su opposizione a decreto ingiuntivo.
L'Amministrazione ha sempre contestato, in sede giudiziale e non, la validità e il fondamento di gran parte delle richieste dell'attore. Al riguardo va ricordato che il dispiegarsi di tale nuovo contenzioso ha trovato il suo fondamento nelle difficoltà incontrate dall'Amministrazione a causa di una serie di rilievi formulati dall'Ufficio di Ragioneria, sui decreti di pagamento delle varie tranches contrattuali.
Le Parti si sono più volte incontrate nel tentativo di addivenire ad un bonario componimento di tutto il residuo contenzioso pendente, relativamente ai contratti sopra richiamati.
Della questione è stata interessata l'Avvocatura Generale dello Stato che ha espresso valutazioni favorevoli in ordine alla possibilità di pervenire ad una transazione globale delle controversie. A conclusione del lungo lavoro svolto, le parti hanno deciso di comune accordo di transigere l'intero contenzioso vertente in ordine ai tre contratti. Con un atto transattivo datato 11 luglio 1998 è stato riconosciuto: alla Salini Costruttori S.p.A. la somma complessiva di lire 8.734.747.575 con riguardo ai progetti in Somalia e in Etiopia; alla CO.GE.MA. S.p.A. ed alla Salini Costruttori S.p.A. la somma complessiva di lire 2.152.144.976 per le pendenze del progetto in Sudan. Il totale della transazione stipulata ammonta pertanto a lire 10.886.892.551.
L'intera questione è stata seguita dall'Avvocatura Generale dello Stato che, come risulta dalla nota n. 1591/97 del 15 dicembre 1997, dopo aver esaminato in dettaglio i vari aspetti del contenzioso, al fine di cautelare l'Amministrazione dagli ulteriori oneri che sarebbero altrimenti derivati dal proseguimento dei giudizi pendenti, ha proposto di definire transattivamente e globalmente le controversie per gli importi poi liquidati.
Della questione, su richiesta della stessa, sono stati forniti elementi alla Procura Regionale della Corte dei Conti per il Lazio che, svolte le dovute indagini, ha archiviato la pratica il 13 novembre 2002 non ravvisando responsabilità perseguibili.

COSTA. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
un attento esame delle spese deliberate dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Ministero degli affari esteri) nel periodo gennaio 1998-agosto 2003 evidenzia una serie rilevante di anomalie;
nel periodo in esame si sono spesi, attraverso 110 delibere relative ad altrettanti contratti per interventi all'estero - in favore dei Paesi poveri e/o in via di sviluppo - più di 300 miliardi delle vecchie lire per interessi, svalutazioni, risarcimento danni, arbitrati, spese legali e giudiziarie;
le spese sono state deliberate e impiegate per far fronte ad obbligazioni di varia natura contratte negli anni '90 (in non pochi casi negli anni 1987-1989): si è trattato quasi sempre di pagamenti provocati da ritardi (anche decennali), da lacune ed omissioni della pubblica amministrazione, da inadeguata gestione, da omessi contratti;
l'analisi delle «anomalie» prescinde dall'efficacia dei contratti (impossibile, per l'interrogante, da verificare) e non è finalizzata a mettere in discussione il valore sociale ed umanitario né delle leggi di finanziamento né delle opere realizzate o degli aiuti finanziati;
si ritiene però doveroso un chiarimento relativo anche alle responsabilità di chi ha gestito i contratti che hanno comportato interventi finanziari in anni recenti ma lontani dalle inadempienze e dal determinarsi delle cause di tanta cattiva attività;
si segnalano, in particolare, i seguenti casi:
1)Congo.
Molto curiosa la vicenda del dottor A.G. che va in Congo per conto del MAE il 1 settembre 1990 e vi resta, retribuito, per 85 giorni: lo stesso, che figura ed è certo un esperto, continua a stare nel


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Congo, per 3 anni e 5 mesi occupandosi di sanità e del programma: nessuno lo paga. Un avvocato nel 1996 sollecita per lui il pattuito: il ministero nicchia ma poi ci si accorda sui 290.000.000 (6 settembre 1999), che il ministero non paga. Il dottore si stufa ed ottiene un decreto di condanna al ministero, poi notifica il precetto (305 milioni). Il Ministero paga 289 milioni: l'avvocato dell'esperto insiste. Si verseranno altri 15 milioni;
2)Somalia.
La Acquater ed il Mae nel 1986 stipularono un contratto in base al quale l'Acquater avrebbe dovuto sviluppare un programma relativo alle preparazioni di pozzi e di bacini in Somalia. Nasce l'ennesima vertenza. Gli arbitri condannano il Mae a pagare 5.869.734.037 per interessi e spese legali, oltre a 1.200.000.000 di lire per residuo capitale;
3)Sierra Leone.
A seguito del lodo arbitrale emesso il 15 dicembre 1997 per contenzioso sorto tra l'impresa Fortunato F. Spa e la direzione generale affari esteri in relazione ad una iniziativa in Sierra Leone, l'impresa stessa notificò all'amministrazione atto di precetto per il pagamento di quanto disposto dal lodo arbitrale, avvenuto con delibera del 6 novembre 1998: lire 11.833.566.660 «a copertura degli oneri relativi al collegio arbitrale, alle spese per interessi ed alle spese legali»;
4)Somalia.
Nel 1995 il ministero acquista - presso una libreria di Padova - libri per un'università somala per lire 8.857.000, ma non li paga. Il pretore di Padova, con decreto ingiuntivo del 13 dicembre 1997, ha condannato l'amministrazione al pagamento in favore della libreria creditrice di lire 10.677.380, comprensive di interessi, diritti ed onorari. Si è reso inoltre necessario, vista la richiesta della libreria in oggetto, rimborsare una tassa di registro pari a lire 940.000. In totale si sono pagate lire 11.617.380, anziché 8.857.700. Briciole;

5) Senegal.
Il 27 luglio 1990 il ministero degli affari esteri, tramite la Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo, affidava alla SPA Cesen l'incarico di controllare l'attività svolta dal consorzio Cosvint, cui competeva il compito di realizzare un programma di sviluppo in Senegal (nelle regioni di Sedhiov e di Casamann). Affidava altresì all'ingegner A.F. l'incarico di direzione dei lavori. Non riuscendo ad ottenere il saldo delle prestazioni, circa dieci anni dopo, esattamente il 25 ottobre 1999 sia la società Cesen che l'ingegner A.F. ricorrevano alla procedura arbitrale e richiedevano il pagamento di lire 4.046.143.312 a titolo di capitale, lire 489.900.000 per funzionamento del collegio arbitrale e lire 195.516.099 per spese legali: in totale lire 4.731.550.400. Il 20 gennaio 2000 gli arbitri riconoscevano le citate somme ed il ministero degli affari esteri (Dgcs) ne deliberava il pagamento. Successivamente, con atto di precetto di maggio del 2000, venne ingiunto al ministero il pagamento di ulteriori lire 346.312.760 a titolo di interessi fino al 20 giugno 2000, spese legali, diritti, esborsi, tassa di registro e quant'altro inizialmente escluso, oltre eventuali interessi qualora non si ottemperi a quanto predetto entro 60 giorni dalla notifica;
6) Yemen.
A seguito di controversia sorta tra l'architetto E.G. ed il ministero degli affari esteri sulla corresponsione dei compensi relativi ad attività svolta dal professionista, con regolare contratto del 1991, nello Yemen, dopo lodo arbitrale del 19 aprile 1999, con susseguente atto di precetto del 14 giugno 1999, l'amministrazione si è vista condannare alla corresponsione all'architetto G. della somma di lire 151.572.173, oltre a lire 49.275.490 per interessi legali, spese di registrazione, spese di funzionamento del collegio arbitrale e per gli onorari agli arbitri e al segretario, per spese accessorie e spese di notifica dell'atto di precetto;


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7)Somalia.
In dipendenza dello stesso contratto già menzionato al precedente punto, il raggruppamento Lofemon, con atto di diffida e messa in mora, notificato al ministero degli affari esteri il 12 aprile 1994, oltre alle riserve per un corrispettivo di lire 9.289.637.000 più interessi, aveva già richiesto il pagamento di una serie di oneri, tra cui il compenso per la cessione del campo base di Garoe, per lire 1.051.982.585 più interessi. Dopo che le svariate commissioni per il contenzioso e il presidente della commissione di collaudo, avevano rivisto i conteggi ed espresso il parere favorevole al pagamento, il Mae «al fine di ridurre il contenzioso» decise (23 luglio 1996) di «riconoscere quanto prima le rivendicazioni giudicate legittime...». Morale: lire 7.476.901.745, a copertura delle rivendicazioni Lofemon, di cui lire 1.742.964.884 per interessi maturati sulle stesse rivendicazioni Lofemon fino alla data del soddisfo e lire 1.298.420.861 per rivalutazione monetaria. In data 25 giugno 1998 sono stati stanziati altri 331 milioni «quale differenza importo interessi e rimborso spese per il funzionamento del collegio arbitrale». In totale per quei programmi (sommando anche gli importi riportati al precedente punto 2), per interessi si sono pagati poco meno di 12 miliardi mentre per le spese legali ed arbitrati circa 700 milioni, oltre alla rivalutazione monetaria citata;
8)Giordania.
La società Cotecno stipulò nel 1989 un contratto con la direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo, avente ad oggetto la «Preparazione, presso le istituzioni educative di livello superiore, di quadri tecnici esperti nella generazione, trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica presso il Politecnico di Amman in Giordania». A seguito di controversie insorte in relazione a tale contratto, il 6 aprile 2000 è stato emesso un lodo arbitrale, seguito da ordinanza di liquidazione sottoscritta dagli arbitri, seguito da atto di precetto: in data 1 agosto 2000 l'amministrazione ha dovuto stanziare la somma di lire 1.287.448.000 (di cui lire 502.289.830 per capitale e 790.007.390 per interessi, diritti, tasse, spese legali) a favore della Cotecno in dipendenza degli atti citati;
9) Mauritania.
Nel 1987 tra la direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo ed il consorzio Interconsulting venne stipulato un contratto per l'espletamento di servizi d'ingegneria e di gestione per la valorizzazione delle risorse idriche in Mauritania. Per il riconoscimento di una serie di riserve da parte del Consorzio, venne instaurato un giudizio arbitrale conclusosi il 18 dicembre 1997. In esecuzione del lodo conseguentemente emesso, il 10 marzo 1999, l'amministrazione, pur riservando l'appalto, ha stanziato la somma di lire 3.553.845.600, di cui lire 1.109.396.540 per interessi e oneri del collegio arbitrale;
10) Mozambico.
Nel 1991 la società cooperativa Cmc stipulava con il Ministero un contratto per la realizzazione del «Programma di sviluppo rurale integrato in Mozambico». Nel 1997 la Cmc notificò un primo ricorso per decreto ingiuntivo per il pagamento di alcune fatture nonché delle pertinenti somme accessorie e, a marzo del 1998, un secondo ricorso con il quale si ribadiva la richiesta di pagamento dei pertinenti interessi, spese, onorari. Il ministero pagava, in data 11 maggio 1998, lire 259.380.900 per soli interessi; successivamente lire 127.166.000 per altre spese e residuo capitali, a seguito della notifica di atto giudiziario;
11) Somalia.
Con decreto ministeriale del 2 agosto 1991 il ministero degli affari esteri istituiva una commissione di collaudo, in corso d'opera e definitivo, di alcuni programmi d'intervento in Somalia (società Coipa, Selenia e Salini Costruttori) per un importo presunto da collaudare di 47 miliardi di lire. Con note del 1991, 1993 e


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1994 la commissione rimetteva all'amministrazione gli atti dei lavori da essa condotti. A causa della mancata liquidazione delle somme dovute, i collaudatori (cinque) presentavano ricorso al tribunale civile di Roma, che, con decreto del 23 ottobre 1996, ingiungeva al ministero degli affari esteri il pagamento delle somme richieste dai collaudatori. Dopo 4 solleciti il ministero stipulava con i cinque collaudatori un atto di transazione per un totale complessivo di lire 362.969.795 di cui lire 52.330.000 per spese legali accessorie;
12) El Salvador.
La società Cogefar stipulava con il ministero degli affari esteri nel 1988 un contratto per la realizzazione del I lotto relativo all'urbanizzazione di Apopa in El Salvador a seguito del terremoto del 1986. Al termine delle attività contrattuali la società richiedeva notevoli oneri aggiuntivi per revisione prezzi, riserve e vigilanza. La direzione generale, dopo gli opportuni accertamenti, riteneva ammissibile solo la somma di lire 3.773.737.458, che la Cogefar, il 14 ottobre 1996 accettava. La successiva attività amministrativa «ha dilatato i tempi della liquidazione senza giusticazioni, determinando il diritto in capo alla società alla corresponsione degli interessi per il ritardato pagamento». Infatti la ragioneria il 4 dicembre 1996 trasmise gli atti alla Corte dei conti, anche se una simile fattispecie è esclusa dal controllo della Corte stessa. Ma, inopinatamente, la Corte dei conti trattenne lo stesso gli atti e, il 3 gennaio 1997, formulò una serie di osservazioni, (secondo la Dgcs «assolutamente non condivisibili») trasmesse alla sezione di controllo. Nel frattempo, essendo trascorsi 6 mesi dall'accettazione della proposta, la Cogefar - divenuta Impregilo - dava mandato ai propri legali di tutelare i suoi interessi e in data 17 giugno 1997 notificava domanda di arbitrato. La sezione di controllo della Corte dei conti, il 28 giugno 1997, decideva di non essere abilitata a deliberare sul decreto in questione. Ha fatto seguito l'inevitabile versamento di lire 164.390.200 alla Impregilo Spa il 12 luglio 1999 per interessi legali a causa del ritardato pagamento della somma riconosciuta e già pagata in precedenza;
13) Camerun.
A seguito di lodo arbitrale munito di formula esecutiva con decreto del Pretore di Roma, notificato alla Dgcs, contestualmente a pedissequo atto di precetto, intervenuto nella procedura arbitrale instaurata tra la società Impregilo SpA e la Dgcs, concernente questioni controverse inerenti al contratto stipulato tra le parti nel 1991 per una iniziativa di cooperazione in Camerun, il ministero è stato condannato a pagare la somma di lire 5.678.793.380, di cui lire 2.903.076.380 per interessi, spese legali, ed altro;
14) Angola.
Con contratto stipulato con il ministero nel 1989 l'impresa Gilco SpA assumeva l'incarico di realizzare il programma di cooperazione «Angola - Costruzione dell'acquedotto di Porto Amboin». Nel 1998, a seguito di controversie, venivano liquidate in via amministrativa le riserve avanzate dall'impresa, versando lire 1.995.849.900, di cui lire 919.969.776 a saldo di interessi maturati sull'importo liquidato;
15) Gibuti.
Per il programma di cooperazione «Realizzazione di una officina per lavori navali a Gibuti», nel 1991 la società Ati Cidonio-Cosmar stipulò un contratto con il ministero degli affari esteri. A causa di ritardi nel pagamento delle fatture, la Ati ha chiesto ed ottenuto la corresponsione di lire 20.723.040 di interessi;
16) Sierra Leone.
Tra il ministero degli affari esteri e la società Federsagri Spa nel 1986 veniva stipulato un contratto per la realizzazione del programma «Sierra Leone - Progetto integrato Rhombe» per un importo di lire 20.500.000.000. Con atto di diffida e messa in mora, il 24 febbraio 1993 la Federsagri chiedeva il riconoscimento di oneri pregressi, inclusi gli interessi maturati per


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ritardati pagamenti delle rate di acconto: il 24 ottobre 1994 la ditta appaltante notificò alla Dgcs domanda di arbitrato. Dopo l'intervento della «Struttura per i contratti» della Dgcs, che aveva calcolato gli interessi per ritardato pagamento in lire 2.094.717.535, dopo che l'Avvocatura generale dello Stato aveva espresso parere favorevole su quella cifra, dopo che la «Commissione per il contenzioso» aveva ritenuto di non procedere all'esame della pratica «in quanto già portata a conoscenza dell'Avvocatura dello Stato», dopo che ancora l'Avvocatura - tre mesi più avanti - visto che non si sarebbe raggiunto un accordo, «suggeriva» di proporre alla ditta Federsagri la chiusura della controversia, dopo che la Federsagri dichiarava di accettare, il Ministero degli affari esteri, finalmente, e inevitabilmente, deliberava il pagamento della somma di lire 3.280.000.000 (tutti per ritardato pagamento);
17) Mogadiscio.
La società Farpel con sede ad Almé (Bergamo) si aggiudicò nel 1986 l'appalto per la realizzazione dell'iniziativa «Conceria di Mogadiscio-Somalia». Nel 1994, a lavori ultimati, l'impresa avanzò 4 riserve sul conto finale nonché la richiesta della corresponsione di interessi per ritardato pagamento. Dopo il parere favorevole di strutture e commissioni varie, l'amministrazione liquidò gli oneri alla Farpel quantificati in lire 119.495.000, esclusa una riserva, per la quale si dichiara che «occorre attivare la procedura del riconoscimento del debito»;

18) Colombia.

Nel 1991 la Agusta Spa stipulò con il ministero degli affari esteri un contratto per il programma di cooperazione «Colombia - Fornitura di un elicottero A 109/C». La società Agusta consegnò l'elicottero, che non venne pagato per molto tempo; allora, dopo anni di attesa, la stessa ha chiesto ed ottenuto il pagamento della somma di lire 616.655.850, a titolo di interessi per ritardato pagamento dell'elicottero, deliberata il 5 luglio 1996 e riportata sul bollettino nel 1999;

19) Somalia.
Con contratto stipulato con la Dgcs, nel 1986 un raggruppamento temporaneo di imprese RTI (Giza, Delma, l'Agricola) si aggiudicò la realizzazione dell'iniziativa «Risanamento e bonifica dell'Azienda agricola Jowhar in Somalia». Con atto di transazione, stipulato nel 1993 e registrato il 7 dicembre 1994, vennero riconosciuti al Rti maggiori oneri per lire 9.004.461.000. L'atto di transazione prevedeva il pagamento di una parte della somma entro sei mesi dalla data della stipula del contratto stesso: a causa di ripetuti interventi dell'organo di controllo ciò avvenne soltanto circa un anno dopo. Ciò comportò, il 7 aprile 1999, il pagamento di lire 95.000.000 per interessi e rivalutazione monetaria. Il 17 agosto 2000 l'amministrazione ha stanziato altri 409 milioni per chiudere la vicenda;

20) Egitto.

Nel 1991 il consorzio per lo sviluppo della medicina tropicale Cmt si aggiudicò l'appalto dell'iniziativa di cooperazione «Potenziamento del Medical Research Institute dell'università di Alessandria d'Egitto». A causa del ritardato pagamento del corrispettivo l'amministrazione si è vista costretta (il 7 ottobre 1999), «a norma dell'ultimo comma della legge n. 741 del 10 dicembre 1981», a corrispondere per interessi a Cmt la somma di lire 474.121.240;
tale andamento delle cose, oltre a rappresentare uno spreco di denaro pubblico, incide in maniera rilevante sulla reale consistenza della politica di aiuto allo sviluppo, essendo necessario stornare dalle risorse finanziarie dedicate a tale attività le somme necessarie per coprire le suddette spese -:
se risultino agli atti del Governo i fatti esposti ed i relativi esborsi;
quali iniziative siano state assunte per individuare responsabilità amministrative e gestionali;


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quali iniziative sono state o verranno assunte per evitare il ripetersi di fatti obbiettivamente non facilmente spiegabili;
quali azioni intenda intraprendere il Governo per correggere quella che appare essere una seria problematica di tipo gestionale nell'utilizzazione dei fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo, anche alla luce dei numerosi progetti e disegni di legge presentati al Parlamento che prevedono la riforma di detto sistema.
(4-07698)

Risposta. - Con l'atto parlamentare cui si risponde l'interrogante evidenzia centodieci casi di contenzioso che hanno coinvolto la nostra Cooperazione allo Sviluppo, sin dal 1987, e che sono stati risolti in questo ultimo quinquennio (1998-2003).
Sulle cause che hanno ingenerato molte delle controversie in esame dovrebbero essere tenuti nella debita considerazione alcuni fattori di oggettiva difficoltà: anzitutto la non facile scelta dei contraenti, avvenuta all'epoca in mancanza di procedure concorsuali certe e trasparenti; la non agevole definizione poi dei primi impegni contrattuali, che conseguentemente non ha previsto tutte le possibili ipotesi in seguito verificatesi; l'impostazione sperimentale dei progetti in una fase iniziale e nuova della nostra cooperazione allo sviluppo; il verificarsi in loco di fattori non previsti (calamità naturali, crisi militari o politiche, instabilità giuridica ed amministrativa, incapacità gestionale dei beneficiari) che hanno ritardato o reso irrealizzabili varie iniziative intraprese. Va infatti evidenziato che svariati casi citati si riferiscono al periodo in cui iniziative di cooperazione vennero avviate nell'ambito del Fondo Aiuti Italiani (FAI), con un approccio poi profondamente ripensato sia in termini di finalità che di procedure operative e di controllo.
In linea generale va poi ricordata l'esigenza di avere un riscontro operativo da parte di altri Organi dello Stato coinvolti nella trattazione del contenzioso o nell'esercizio del controllo contabile e nell'esame di conformità alla legge. Prima dell'approvazione del decreto del Presidente della Repubblica 20 febbraio 1998, la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del MAE era infatti strettamente vincolata al visto di ragioneria quale necessaria condizione di efficacia dei suoi provvedimenti: questo ha indubbiamente implicato per tali provvedimenti procedure purtroppo non celeri - con ripetuti rilievi e repliche - che hanno causato inevitabilmente l'accrescersi degli interessi per ritardato pagamento in caso di contenziosi. Dopo l'approvazione del citato decreto del Presidente della Repubblica e la soppressione del «visto», quale condizione sospensiva dell'efficacia del provvedimento, la situazione è nettamente migliorata, almeno sotto questo profilo, consentendo una maggiore speditezza dei controlli.
Il superamento di una difficile situazione pregressa - che ha portato ai contenziosi in esame - è stato in questi ultimi anni un obiettivo prioritario per il ministero degli esteri: la valutazione complessiva di questi casi - senza voler escludere specifiche manchevolezze o carenze - deve tuttavia considerare le innegabili difficoltà e vischiosità che in questo settore sono state riscontrate anche nell'esperienza - sovente ben più collaudata della nostra - di organismi multilaterali o di altri donatori internazionali.
Al fine di meglio contestualizzare le problematiche affrontate dall'Onorevole interrogante con riferimento ai singoli casi segnalati, sembra tuttavia utile inquadrare e valutare quest'ultimi da un punto di vista storico-giuridico, mettendo in luce i molteplici fattori e circostanze che ne hanno caratterizzato le vicende. I centodieci contenziosi citati sono infatti i più importanti tra i 657 «repertoriati» dall'inizio dell'attività della Cooperazione allo Sviluppo in Italia. La maggior parte di questi 657 casi di contenzioso è stata chiusa (435 al 31 marzo 2003) ed ulteriori casi vengono risolti ogni mese mediante il ricorso a pratiche transattive che - qualora si giudichino oggettivamente fondate le ragioni della parte avversa - sono un mezzo di composizione delle controversie certamente molto meno oneroso per l'erario del pagamento,


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dopo svariati anni, di quanto stabilito da lodi arbitrali o sentenze sfavorevoli.
A questo riguardo va anzitutto sottolineato che la soccombenza del ministero degli esteri per un ammontare complessivo di circa trecento miliardi di lire - se considerata nel quadro delle attività globali della Cooperazione allo Sviluppo svolte in questi ultimi quindici anni si riduce ad una misura largamente inferiore al due per cento di tutti gli investimenti effettuati per la realizzazione di programmi o progetti. Questo ammontare appare quindi nettamente inferiore alla «soglia di contenzioso fisiologico» del 10 per cento, prevista dal legislatore per un appalto di lavori (si veda la legge-quadro in materia di lavori pubblici; Legge n. 109/94, articolo 31-
bis estesa per «analogia iuris» alla generalità degli appalti).
Va inoltre rimarcato che i 110 casi in questione sono meglio inquadrabili con una trattazione completa, anche sotto il profilo della valutazione tecnica, amministrativa e contabile, effettuata a tutti i competenti livelli. I dati citati negli atti in esame relativi ai singoli casi si riferiscono infatti quasi esclusivamente alla fase del controllo contabile e di conformità alla legge di ciascuna iniziativa, mancando tutte le valutazioni tecniche e gestionali effettuate da altri Organi dello Stato quali l'Avvocatura Generale o la Corte dei conti; né si tiene conto dei risultati dell'eventuale esame giurisdizionale effettuato da parte della procura regionale competente della Corte dei conti. Quest'ultimo dato è particolarmente significativo, perché in dieci dei primi venti casi cui si riferisce l'interrogazione in oggetto, l'esame della procura regionale per il Lazio della Corte dei conti ha accertato l'inesistenza di un danno all'erario decidendo l'archiviazione del fascicolo. In altri casi la questione oggetto di contenzioso è stata portata all'esame della Corte dei conti o giudicata in Appello o in Cassazione o, infine, se risolta con una transazione, è stata approvata sotto il profilo legale dall'Avvocatura dello Stato e successivamente, dalla Corte dei conti, sotto il profilo gestionale.
La corretta applicazione delle procedure concorsuali, la semplificazione delle procedure amministrative, la netta preferenza per l'accordo transattivo (rispetto ai lodi arbitrali o alle sentenze del tribunale) hanno già reso l'azione italiana in questo campo più sollecita ed efficace, senza peraltro impedire che ulteriori provvedimenti amministrativi o gestionali possano ancora migliorare la nostra azione. È a tal fine, infatti, che tende un complesso e articolato processo di revisione delle procedure amministrative seguite dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo e dalle nostre Ambasciate nel realizzare i progetti o i programmi previsti; questo obiettivo viene perseguito attraverso una drastica semplificazione di tutte le procedure e la verifica della loro completa conformità alla normativa vigente (in continua evoluzione) che favoriscano una gestione moderna ed efficace delle iniziative di cooperazione intraprese dall'Italia.
Parallelamente alla revisione delle procedure, è in corso, in attuazione della delega legislativa conferita con l'articolo 3, comma 43 della legge finanziaria per il 2003, la predisposizione di provvedimenti che correggano le inadeguatezze normative che hanno causato quelle disfunzioni in passato più volte riscontrate.
Più specificatamente, si forniscono qui di seguito gli elementi di risposta relativi ai singoli casi, elencati nell'interrogazione in questione, seguendo l'ordine utilizzato dall'interrogante nel testo dell'atto.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Luigi Mantica.

Allegato
1) CONGO/SIG.A.G.

Il dottor A. G. venne inviato dall'amministrazione in qualità di esperto per lo svolgimento del programma «Zona di salute di Feshi» in Congo (ex Zaire) per il periodo dall'1 settembre 1990 al 30 novembre 1990 e, successivamente, dal 18 dicembre 1990 al 31 dicembre 1992. Per questi incarichi, il dottor G. sottoscrisse un contratto di diritto privato a tempo determinato


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e percepì, quale corrispettivo delle mansioni svolte, le retribuzioni e le indennità previste dagli articoli 3, 4, 5, e 6 del decreto ministeriale n. 128/863 del 19 febbraio 1988.
Il dottor G. non sottoscrisse il verbale di cessazione delle funzioni «per fine missione» alla data del 31 dicembre 1992 e continuò, di propria spontanea iniziativa e senza autorizzazione, le prestazioni per il periodo 1o gennaio 1993-11 maggio 1996, in assenza di vincolo contrattuale ed in carenza di una causa giuridica idonea a giustificarle. È da sottolineare, inoltre, che il medesimo continuò le proprie prestazioni fino all'11 maggio 1996, anche dopo e nonostante avesse ricevuto la nota del 24 novembre 1994 n. 9711, con la quale l'amministrazione interrogata ribadiva allo stesso che il suo rapporto di lavoro era cessato al 31 dicembre 1992 e che non sussistevano obblighi nei suoi confronti oltre tale data.
Il MAE non ha ritenuto di dover sanare il periodo 1o gennaio 1993-6 dicembre 1994, con la proroga
ex post del contratto precedente. Il dottor G. ha cessato di occuparsi del progetto dandone comunicazione in data 11 maggio 1996 ed ha richiesto di addivenire ad una transazione, allo scopo di percepire almeno parte dei corrispettivi delle prestazioni rese.
È stata, quindi, riconosciuta l'utilità delle prestazioni rese dal dottor G. in base ad elementi e a valutazioni fornite dai Capi Missione dell'epoca, nonché del rapporto di missione in Congo (ex Zaire) sottoscritto il 24 aprile 1996 dagli Esperti all'epoca competenti per la parte sanitaria e per la parte agricola del progetto medesimo.
In data 8 settembre 1999 è stato sottoscritto l'atto di transazione tra l'amministrazione ed il dottor G. con il quale veniva riconosciuta a quest'ultimo la somma netta di lire 290.078.400 a saldo e stralcio di ogni sua pretesa. Nonostante la menzionata stipula, la D.G.C.S. ritardò il pagamento di quanto convenuto.
Con ricorso per decreto ingiuntivo al tribunale civile di Roma in data 9 novembre 2000, l'avvocato M.S. chiedeva il predetto decreto ingiuntivo per la somma oggetto della transazione (lire 290.078.400) oltre interessi di ritardato pagamento e spese per competenze ed onorari. Il ritardo nel pagamento in favore del dottor G., a seguito del perfezionamento dell'atto di transazione, è stato determinato da vari fattori: osservazioni da parte dell'Ufficio di Ragioneria sul decreto di approvazione della transazione predetta; divergenze con il legale di parte circa la corretta liquidazione dell'importo e, soprattutto, misura delle imposte e delle tasse da applicare sulla somma oggetto di transazione, con specifico riferimento all'interpretazione data dall'amministrazione interrogata circa l'omnicomprensività dell'importo transatto. Successivamente al decreto ingiuntivo, l'amministrazione ha superato le obiezioni della Ragioneria, riuscendo a liquidare l'importo transatto, incrementato di 15 milioni di lire per interessi e spese legali, dato il decorso del tempo.

2) SOMALIA/AQUATER

Gli elementi conoscitivi relativi al presente caso sono contenuti nella risposta già fornita al punto 6) dell'interrogazione parlamentare n. 4-07697 dell'onorevole Costa.

3) SIERRA LEONE/FORTUNATO FEDERICI S.P.A.

Si rinvia alla risposta al n. 16) della presente interrogazione, costituendo il presente caso una ripetizione di quello elencato più oltre.

4) SOMALIA/LIBRERIA PROGETTO di PADOVA: «Fornitura di libri per le facoltà di Lingue e Veterinaria dell'Università Nazionale Somala (U.N.S.) a Mogadiscio». CT. 440.

Con ordinativi d'acquisto del 15 marzo 1990 e 18 aprile 1990, l'Ambasciata d'Italia a Mogadiscio richiese alla Libreria Progetto S.n.c. di Padova la fornitura di volumi destinati alle Facoltà di Lingue e Veterinaria dell'Università Nazionale Somala (U.N.S.) a Mogadiscio, per un importo complessivo di lire 8.857.280.


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La Società provvide alla spedizione della merce commissionata ed alla relativa fatturazione con documenti n. 1353 del 22 giugno 1990 per lire 2.332.000, n. 1648 del 4 settembre 1990 per lire 494.640 e n. 2274 del 6 novembre 1990 per lire 6.030.640.
In tale periodo, la città di Mogadiscio veniva interessata da disordini, sfociati poi in un vero e proprio conflitto civile, che hanno portato all'evacuazione dell'Ambasciata italiana in data 12 gennaio 1991, alla sua temporanea riapertura in data 30 luglio 1991 ed alla successiva chiusura in data 20 novembre 1991.
Alla riapertura definitiva, la nostra rappresentanza era stata messa a subbuglio è versava in condizioni di disordine; infatti, quando nel 1995, la Società Libreria Progetto, a mezzo del proprio legale avvocato Portinari, cominciò a sollecitare il pagamento delle fatture, fu molto difficoltoso per la D.G.C.S. riuscire a risalire all'origine del credito vantato poiché non vi era più traccia della corrispondenza intercorsa con l'Ambasciata in loco, né tantomeno copia delle fatture in questione.
Fu pertanto, la stessa Società, che nel frattempo in data 13 dicembre 1997 si era rivolta al pretore di Padova con ricorso per decreto ingiuntivo, a fornire copia della documentazione andata perduta, per consentire la ricostruzione del fascicolo.
In data 8.1.98, l'Avvocatura Distrettuale di Venezia trasmetteva il decreto ingiuntivo n. 1945 del 1997 con il quale la D.G.C.S. veniva condannata al pagamento dell'importo di lire 8.857.280, oltre gli interessi legali fino al saldo, nonché a rifondere le spese di giudizio.
La D.G.C.S., su parere dell'A.G.S. del 17 febbraio 1998, provvedeva a quantificare gli interessi legali in lire 167.440, mentre le spese di giudizio risultavano pari a lire 1.652.640, per un importo complesssivo di lire 10.677.380.
La D.G.C.S. ha inoltrato il pagamento dell'importo così determinato, ma i relativi decreti hanno incontrato per ben due volte (9 aprile 1998 e 6 agosto 1998) osservazioni formali da parte dell'Ufficio di Ragioneria che ha sollevato eccezioni in merito al reperimento della documentazione originale. Appurato che era effettivamente impossibile reperire la documentazione originale, in data 30 ottobre 1998 l'Ufficio di controllo procedeva all'inoltro in Tesoreria dell'ordinativo di pagamento.
Successivamente, il legale della Libreria Progetto, dopo aver ricevuto il pagamento di quanto disposto in sentenza, ha richiesto con nota del 17 maggio 1999 il rimborso delle spese di registrazione del decreto ingiuntivo pari a lire 940.000.
La D.G.C.S. ha, quindi, nuovamente interessato l'Avvocatura dello Stato in relazione alla legittimità di tale richiesta ed, a seguito del positivo parere reso in data 25 agosto 1999, ha liquidato anche tale importo in data 16 novembre 1999.

5) SENEGAL/CESEN S.P.A.: « Programma multisettoriale integrato per lo sviluppo rurale nel Dipartimento di Sedhiou ed interventi regionali in Casamance» - CT 478.

Il caso in questione è accessorio a quello relativo al Consorzio COSVINT, di cui si è già riferito al punto n. 1 dell'interrogazione n. 07693 dell'onorevole Costa.
Si rimanda pertanto a detta trattazione per maggior completezza dei dati sul programma.
In questa sede, occorre specificare che, al gigantesco e complesso programma varato dal Comitato Direzionale per il Senegal, affidato al Consorzio COSVINT, fu annesso un incarico di assistenza all'Amministrazione committente per il controllo (tecnico, di sovraintendenza delle attività, contabile, eccetera) della esecuzione delle prestazioni che il Consorzio stesso doveva eseguire. A detto incarico di assistenza, formalizzato nel contratto stipulato il 27 luglio 1989 con la CESEN S.p.A. (individuata mediante trattativa privata), si univa contestualmente un ulteriore affidamento concernente la Direzione Lavori del programma, assegnata all'ingegner A.F. La durata di tale contratto di assistenza, controllo e direzione lavori veniva legata a quella del «contratto base» con COSVINT: cinque anni.
Considerato che l'esecuzione del programma risentì di notevoli ritardi e, soprattutto, fu contrassegnata da mutamenti


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significativi di merito (e, dunque, dell'oggetto del contratto), resisi necessari in corso d'opera e formalizzati in ben sette Atti aggiuntivi al «contratto base» con COSVINT, allo stesso modo l'annesso contratto con CESEN e con l'ingegner A. F. non ebbe uno svolgimento lineare: anche in questo caso, infatti, fu necessario perfezionare tre Atti di sottomissione. Nonostante tali sforzi giuridico-amministrativi da parte della Committente per ricondurre nell'alveo di una fisiologica disciplina contrattuale l'esecuzione dell'intera iniziativa, permasero tuttavia diversi aspetti di conflittualità tra i contraenti, in conseguenza ed in connessione diretta con i punti critici registratisi nell'adempimento del «contratto base».
In particolare, l'insorgere della controversia con CESEN e con l'ingener A. F. dipese dal ritardo verificatosi nella retribuzione delle prestazioni dei predetti contraenti, nonché dall'accrescimento e dal mutamento sostanziale dei compiti di assistenza, controllo e di Direzione Lavori affidati agli stessi, in simmetrica corrispondenza dell'intervenuto prolungamento e mutamento del «contratto base» con COSVINT.
La differenza fra i termini contrattuali (durata, compenso, natura ed entità delle prestazioni) come originariamente pattuiti e rettificati con gli intervenuti Atti aggiuntivi e quanto, invece, si verificò nella effettiva esecuzione del programma, portarono il MAE, da un lato e la CESEN e l'ingegner A.F., dall'altro, su posizioni sempre più distanti: i numerosi tentativi di soluzione amministrativa della nascente controversia, pur promossi dell'Amministrazione, non sortirono alcun risultato.
CESEN e il professionista proposero, così, domanda di arbitrato, in parallelo a quanto aveva già fatto in precedenza COSVINT, in relazione al «contratto base».
È ben vero che la condanna dell'Amministrazione intervenuta il 28 gennaio 2000 ad opera del costituito Collegio arbitrale, riconobbe a controparte la somma complessiva di lire 4.731.550.400 (ripartita tra sorte, interessi e spese, nelle misure indicate nell'interrogazione parlamentare) ma è anche pur vero che molte delle iniziali pretese di CESEN e dell'ingegner A. F. non furono accolte dal lodo: ciò in virtù della circostanza, accertata dal Collegio arbitrale, che lo stravolgimento del programma rispetto all'iniziale suo concepimento, dipese più da fattori oggettivi (complessità ed entità dell'intervento, difficoltà operative e gestionali, fattori addebitabili al Beneficiario), che dalla responsabilità della DGCS. In sostanza, a quest'ultima si chiese giudizialmente poco più (l'aggravio degli interessi e della rivalutazione) di quanto già la stessa avrebbe potuto riconoscere alle controparti in via bonaria, in rapporto a quanto le medesime avevano diritto ad ottenere per prestazioni aggiuntive e costi indebitamente sostenuti, conseguenza del prolungamento e dei mutamenti intervenuti nel programma. Il fatto poi che, dopo il pagamento del lodo succitato, si siano corrisposti maggiori ed ulteriori interessi per lire 346.312.760 dipese dal fatto che sul capitolo di bilancio cui imputare «interessi e spese legali» si verificò una temporanea mancanza di cassa, considerato che non sempre è possibile prevedere - nell'ambito della programmazione di bilancio, all'inizio di ogni esercizio finanziario - l'entità esatta delle somme da liquidare nell'anno in esecuzione di sentenze, né il momento esatto in cui esse vengono, per così dire, a maturazione. Pertanto, fu necessario - per norma di contabilità di Stato e per obiettiva impossibilità concreta di disporre pagamenti - attendere che il capitolo venisse «rifinanziato» per poter procedere alla corresponsione. Detta attesa obbligata produsse i citati ulteriori interessi.
Dopo la sentenza lodale, l'Avvocatura Generale dello Stato propose Appello, ma anche il gravame interposto vide l'Amministrazione ancora soccombente.
La Procura Regionale della Corte dei conti, svolte indagini sul caso, ha archiviato la pratica in data 13 novembre 2002 non ravvisando responsabilità perseguibili.

6) YEMEN/ARCH. E.G.: «Recupero conservativo del centro storico di Sana'a nello Yemen».

Con contratto del 19 aprile 1988 il ministero degli affari esteri affidò alla Società


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Bonifica quale capogruppo mandataria di apposita Associazione Temporanea di Imprese (ATI) la esecuzione di un programma di recupero conservativo del centro storico di Sana'a nello Yemen. Con disciplinare del 12 novembre 1991 all'architetto E. G. fu conferito l'incarico della Direzione dei Lavori di consolidamento statico e restauro conservativo dell'edificio campione, di quelli relativi alla costruzione dell'edificio polifunzionale e di quelli riferiti alle opere di sistemazione e di arredo urbano. Nel disciplinare d'incarico fu stabilito anche il compenso e le modalità di pagamento.
I lavori ebbero inizio il 19 dicembre 1990. Prima di tale data l'architetto aveva effettuato dei sopralluoghi, pur con incarico non ancora formalizzato. I lavori subirono rallentamenti per la guerra del Golfo e si conclusero tardivamente il 23 aprile 1993.
A lavori ultimati l'Architetto si fece liquidare dall'ordine un compenso di lire 300.622.088 oltre il 2 per cento alla Cassa pari a lire 6.012.441, avendo documentato di aver diretto lavori per lire 5.802.226.067. In rapporto agli acconti ricevuti, all'architetto spettava il residuo di lire 105.469.488.
Con lettera 30 gennaio 1995 l'amministrazione contestò alcuni aspetti della parcella e successivamente negò il rimborso dei viaggi aerei. Con istanza notificata il 22-24 luglio 1995 il professionista propose domanda di arbitrato. Il ministero degli affari esteri designò l'arbitro in data 8 marzo 1998 ed il Collegio si costituì il 22 maggio 1998 per decidere il lodo il 9 aprile 1999.
Il motivo del contendere ha riguardato il fatto che in sede esecutiva, causa il crollo di uno degli edifici da recuperare e la indisponibilità di altro edificio, fu predisposta dalla Direzione Lavori una perizia di variante non onerosa che fu autorizzata dal Direttore Generale ma che non venne formalizzata con decreto. Nel frattempo i lavori modificati come da perizia erano andati avanti e si erano conclusi.
Nei confronti di una situazione oggettivamente complessa, quale era quella venutasi a determinare causa la mancata formale approvazione della variante, il ricorso ad un collegio arbitrale per dirimere i problemi insorti, sui quali si erano espressi anche l'Ufficio di Ragioneria e la Corte dei conti, risultò nei fatti un percorso inevitabile.
Evidenziato che il ministero conosceva esattamente il tenore e la valenza delle modifiche apportate all'originario progetto, il collegio ha ritenuto che laddove viceversa l'amministrazione committente fosse stata consapevole che la situazione era anomala o illegittima, avrebbe doverosamente dovuto attivarsi per la sospensione della esecuzione delle opere, pretendendone la riconduzione allo schema contrattuale solo in ritardo reclamato. Il collegio ha pertanto riconosciuto legittimo il richiesto compenso di lire 300.156.139 ed ha ritenuto, visti gli acconti già anticipati, dovessero essere liquidate lire 102.859.945 (sorte capitale) oltre gli interessi dal 5 marzo 1995 fino all'effettivo soddisfo. Le spese del procedimento sono state compensate tra le parti.
Con decreto 11 agosto 1999 è stata autorizzata la spesa di lire 49.275.490 di cui lire 30.181.644 per interessi legali e la restante parte per compensi e spese di funzionamento del collegio arbitrale, oneri, diritti e spese accessorie esposte in precetto.
Con altro decreto è stata impegnata altra somma di lire 2.106.510 per ulteriori interessi dovuti sull'importo di sorte dal 6 giugno 1999 fino al soddisfo del 31 marzo 2000. La procura della Corte dei conti, svolte le indagini sul caso, ha archiviato la pratica in data 13 novembre 2002 non ravvisando responsabilità perseguibili.

7) SOMALIA/LOFEMON «Lavori di costruzione del secondo tronco della strada Garoe-Bosaso».

Si tratta di una ripetizione del caso già esaminato al punto n. 3 dell'interrogazione parlamentare n. 4-07693, dell'onorevole Costa.
Come riferito, in detta sede, il complesso programma diede luogo ad una controversia molto intricata che venne definita da due lodi arbitrali parziali e da uno successivo definitivo, come già illustrato diffusamente nella precedente risposta.
Pertanto, il presente punto si riferisce ad uno dei tronconi della controversia, deciso da uno dei due lodi parziali.


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8) GIORDANIA/COTECNO: «Preparazione di quadri tecnici esperti nel campo della generazione, trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica».

Nell'ambito delle finalità previste dalla legge n. 49 del 1987, il Ministero del Piano del Regno Hascemita di Giordania inviava al Governo Italiano la richiesta di cooperazione in data 4 maggio 1985, avente ad oggetto l'istituzione di un'unità pilota nel settore elettrico per la formazione di tecnici impiantistici in alta e media tensione presso l'Istituto Politecnico di Amman. Lo stesso Ministero del Piano indicava come esecutore del programma la Società Cotecno, che si dichiarava disponibile a fornire i richiesti servizi, presentando la proposta del 9 novembre 1987 per l'ammontare di lire 3.250.000.000, al netto di I.V.A. L'iniziativa veniva approvata dal Comitato Direzionale per la Cooperazione allo Sviluppo, con delibera del 28 luglio 1988, n. 220, che ne autorizzava l'attuazione mediante la stipula di un contratto con la Società Cotecno della durata di quarantadue mesi al corrispondente importo. Quest'ultimo veniva poi ridotto a lire 2.509.700.000 anche sulla base di un parere di congruità del competente Ufficio Tecnico. Un ulteriore importo di lire 118.200.000 veniva tenuto a disposizione per compensare l'incremento dei prezzi nei due anni successivi al primo. Su richiesta della Cotecno, il suddetto corrispettivo contrattuale veniva aggiornato a lire 2.653.570.000, al mese di maggio 1989 sulla base degli indici ISTAT. In data 23 giugno 1989 veniva pertanto stipulato tra il M.A.E.D.G.C.S. e la Società Cotecno un contratto, da realizzarsi nell'arco di 42 mesi, con oggetto lo sviluppo presso le istituzioni educative di livello superiore - nella specie l'Istituto Politecnico di Amman - della preparazione di quadri tecnici esperti nel campo della generazione, trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica. Il contratto, approvato dal ministero degli affari esteri il 28 giugno 1990 con decreto divenuto efficace ed esecutivo il 2I novembre 1990, prevedeva:
a) la fornitura c.i.f. Amman di attrezzature didattiche;
b) prestazioni in loco suddivise in missioni brevi ed in missioni lunghe di esperti;
c) elaborazione di programmi di informazione per attività didattiche in loco;
d) elaborazione di sussidi didattici per la formazione in loco;
e) formazione in Italia di esperti giordani;
f) spese di gestione in loco per le quali la Cotecno era delegata all'impiego di una somma per contribuire alla gestione del programma in Giordania.

Come innanzi si è visto, la D.G.C.S. si obbligava a corrispondere alla Cotecno l'importo complessivo di lire 2.653.570.000, oltre I.V.A., così ripartiti: lire 1.080.960.000 per fornitura Amman; lire 1.000.700.000 per prestazioni in Giordania; lire 140.000.000 per elaborazione preliminare e definitiva dei programmi di formazione; lire 1.190.000.000 per elaborazione di sussidi didattici; lire 182.160.000 per la realizzazione dei corsi di formazione in Italia degli esperti giordani; lire 59.750.000 come fondo spese da effettuare per la gestione in Giordania. Oltre al pagamento dei corrispettivi l'amministrazione si obbligava ad ottenere la collaborazione della Giordania per la realizzazione del programma. I prezzi delle prestazioni concordate, erano, secondo l'articolo 9 del contratto, suscettibili di revisione a decorrere dal secondo anno successivo alla stipula del contratto, con riferimento agli indici mensili ISTAT sul costo della vita. In data 25 maggio 1990 e nelle more del perfezionamento dell'iter di approvazione, il M.A.E. modificava parzialmente il contenuto del contratto, limitando l'erogazione delle somme destinate all'assolvimento degli impegni contrattuali ed articolando le spese su quattro esercizi annuali dal 1990 al 1993. In considerazione degli eventi bellici intervenuti nel corso dell'esecuzione del contratto, l'University College della Giordania chiedeva una riarticolazione del programma. La Cotecno presentava al ministero la proposta di variante onerosa del 16 marzo 1992, che prevedeva


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un aumento dell'importo contrattuale pari a lire 256.642.000, sulla quale l'ufficio tecnico della D.G.C.S. esprimeva il parere di congruità in data 31 luglio 1992, riducendo l'incremento all'importo di lire 232.617.000. Per il perfezionamento dell'approvazione della variante, l'amministrazione richiedeva, in data 8 luglio 1993, che la Cotecno sottoscrivesse un apposito atto di sottomissione. Il M.A.E. invitava nel prosieguo la Cotecno a predisporre una proposta di variante non onerosa, che comportava una redistribuzione dei corrispettivi in contratto, senza modificarne l'ammontare complessivo. La variante veniva predisposta ed inviata alla D.G.C.S. il 15 novembre 1993 ed il 24 novembre successivo la società sottoscriveva il relativo Atto di sottomissione. Il 13 aprile 1994, la Cotecno sottoscriveva il relativo Atto aggiuntivo al contratto, (denominato Atto di sottomissione), che disponeva l'aumento delle forniture di attrezzature integrative di completamento, la conseguente riduzione dei corsi di formazione da realizzare in Italia per esperti giordani e degli impegni in termini di invio del personale in Giordania, nonché l'aumento dei fondi di gestione in loco, in considerazione della maggiore durata del contratto, e lo spostamento del termine di scadenza contrattuale al 20 novembre 1995. Tale Atto di sottomissione veniva approvato dalla D.G.C.S. - in data 7 novembre 1994, con decorrenza dal 15 dicembre 1994. La situazione in Giordania, conduceva a posticipare le missioni preliminari di circa quattro mesi, a causa della situazione bellica e postbellica determinatasi nell'area in occasione della crisi del Golfo, nonché del protrarsi di tempi tecnici di approvazione della variante. Con nota del 3 ottobre 1991, la Cotecno comunicava al ministero di aver sospeso le attività nel periodo compreso tra il 15 gennaio 1991 ed il 31 maggio 1991, chiedendo, contemporaneamente, un congruo slittamento della data conclusiva delle attività in programma. Con successiva comunicazione del 21 marzo 1994, la Cotecno chiedeva al M.A.E. una proroga della durata del contratto per far fronte alla sospensione di quattro mesi e mezzo ed al ritardo con cui la stessa amministrazione aveva provveduto ad approvare la perizia di variante non onerosa. L'intervenuta approvazione della proroga del termine di conclusione delle attività, alla data del 20 novembre 1995, veniva comunicata alla Società con nota del 7 dicembre 1994. Al termine di tutte le attività, la Società Cotecno, sosteneva di aver ricevuto pagamenti tardivi da parte della D.G.C.S., di aver sopportato oneri e costi aggiuntivi quali l'impiego di una maggiore quantità di mesi-uomo ed ulteriori spese per mantenere la sede del programma in Italia. Inoltre riteneva, a causa del ritardo della D.G.C.S. nell'approvazione della variante non onerosa, applicabile la revisione dei prezzi prevista dall'articolo 10 del contratto, le cui variazioni avevano stravolto l'originaria impostazione del programma. La D.G.C.S. esperiva invano tentativi di composizione bonaria della vertenza. Per tutta risposta, con domanda di arbitrato e contestuale nomina di arbitro (notificata al ministero in data 21 maggio 1999) la Società chiedeva che le venissero riconosciuti: a) gli interessi maturati a causa del ritardo con il quale il Ministero aveva effettuato i pagamenti dovuti; b) il corrispettivo dei mesi-uomo spesi in eccedenza ed in modo difforme da quanto contrattualmente stabilito, nonché il rimborso degli oneri aggiuntivi sostenuti a causa della maggiore durata del contratto; c) il pagamento del periodo di ferie dovuto e non corrisposto per il personale espatriato in Giordania; d) la revisione dei prezzi sui corrispettivi dovuti dal Ministero a fronte delle prestazioni eseguite; e) l'equo compenso per le modifiche apportate nel corso dell'esecuzione del contratto per la diversa collocazione delle risorse disponibili; f) i maggiori oneri sostenuti a causa del ritardo con cui la D.G.C.S. aveva provveduto a sbloccare le fideiussioni prestate a garanzia della somma riscossa a titolo di anticipazione; g) i maggiori oneri progettuali ed i costi aggiuntivi sostenuti a causa della modifica unilaterale da parte del ministero degli importi da corrispondere come anticipazione e per ogni anno di attività.
Il collegio arbitrale si costituiva il 15 settembre 1999 nella sede prescelta presso il


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M.A.E. in Roma. Nella fase conclusionale la Cotecno chiedeva l'accoglimento delle domande formulate con l'atto introduttivo e precisate nella memoria depositata in sede di giudizio, nonché in particolare che «dichiarato il contratto adempiuto correttamente dalla Cotecno, venisse accertato l'inadempimento del ministero alle proprie obbligazioni e la conseguente condanna al pagamento delle seguenti somme: in relazione al primo punto: lire 230.804.308, somma comprensiva di interessi moratori e di interessi prodotti dal capitale residuo; in relazione al secondo punto: lire 1.023.040.291, somma comprensiva di rivalutazione e di interessi moratori; in relazione al terzo punto: lire 293.065.450, oltre interessi e rivalutazione sino alla data del pagamento; in relazione al punto quarto: lire 1.425.912.799, oltre rivalutazione ed interessi sino alla data del pagamento; in relazione al quinto punto: lire 79.185.556, oltre interessi sino alla data del soddisfo; in relazione al sesto punto: lire 12.372.397, oltre interessi sino alla data del saldo; in relazione al settimo punto; lire 119.146.544, oltre interessi fino alla data del saldo.
L'Avvocatura dello Stato, costituitasi in giudizio, per l'amministrazione, dopo aver convenuto circa l'entrata in vigore del contratto in data 21 novembre 1990, precisava, peraltro, che il 20 luglio 1991 le Autorità giordane avevano richiesto una modifica delle prestazioni commissionate, in ragione della ristrutturazione del loro sistema d'istruzione superiore, che comportava un innalzamento della formazione a livello universitario. In relazione a ciò, proseguiva l'Avvocatura dello Stato, la Cotecno aveva proposto, il 16 marzo 1992, alla D.G.C.S. una variante onerosa per soddisfare tali mutate esigenze. In ossservanza del nuovo quadro normativo sui contratti di cooperazione, introdotto dai decreti-legge del 1o settembre 1993 e del 29 ottobre 1993 (che avevano vietato le varianti onerose) il 15 novembre 1993 la Cotecno presentava una proposta di variante non onerosa, che pur modificando alcune voci contrattuali, lasciava inalterato l'importo originario del contratto. La proposta veniva approvata dai competenti organi della Direzione il 10 gennaio 1994 ed in tale sede venivano ridefiniti i prezzi delle attrezzature da fornire. Essendo quindi prossima la scadenza del contratto (20 maggio 1994) senza che fosse stato concluso l'iter di approvazione della variante, la Cotecno chiedeva una proroga del contratto principale fino al 20 novembre 1995, alla quale aderiva l'Amministrazione il 10 giugno 1994, con atto formalizzato il sette dicembre successivo. L'atto di sottomissione, relativo alla suddetta variante non onerosa, veniva sottoscritto il 13 aprile 1994 ed il Decreto di approvazione della variante stessa diveniva efficace ed esecutivo, al completamento dell'iter procedimentale, il 15 dicembre 1994, giorno pertanto nel quale la variante entrava in vigore. Le attività contrattuali si concludevano nel febbraio 1996 con la presentazione da parte della Cotecno del Rapporto di fine attività e senza che in fase di esecuzione fosse stata evidenziata alcuna anomalia nello svolgimento del rapporto.
L'Avvocatura dello Stato, dopo aver ciò premesso, precisava le seguenti eccezioni in diritto circa i singoli quesiti proposti: circa il primo quesito riteneva del tutto destituita di fondamento la richiesta di ottenere gli interessi sin dalla data di compilazione delle fatture, atteso che l'articolo 8 del contratto faceva dipendere l'esigibilità dei crediti pecuniari dalla previa presentazione della relativa fattura, con ciò significando dalla ricezione delle fatture da parte del committente all'indirizzo indicato, unitamente alla documentazione di volta in volta occorrente. Riteneva la Difesa Erariale del pari destituita di fondamento e contraria al canone della buona fede, in assenza di un termine iniziale per il computo degli interessi, la pretesa della Cotecno di applicare il criterio del
quod sine die debetur, statim debetur. Infatti la disciplina di contabilità pubblica, richiamata dall'articolo 19 del contratto, implicava che gli interessi non potevano iniziare a decorrere prima dell'emissione dei relativi singoli titoli di pagamento. In subordine, l'Avvocatura sosteneva che la decorrenza andava regolata con la franchigia di cui al decreto ministeriale del 3 marzo 1995 n. 171 (60 giorni), tacitamente


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recepita dalle parti, perché veniva utilizzata in tutti i contratti inerenti la Cooperazione allo Sviluppo. In tal senso peraltro portava a concludere la richiesta alla D.G.C.S. in data 20 maggio 1996 n. 31512 da parte della Cotecno della somma di lire 34.222.790, a titolo di ritardato pagamento dei corrispettivi contrattuali, ove si utilizzava la franchigia di giorni sessanta. Sul punto, la A.G.S. concludeva sostenendo che in ogni caso gli interessi non erano cumulabili con la rivalutazione monetaria, a meno che non si fosse voluta concretizzare una inammissibile duplicazione della copertura risarcitoria. Circa il secondo quesito, l'Avvocatura riteneva infondata la pretesa al corrispettivo dei mesi-uomo in eccedenza ed in difformità rispetto al contratto. Era, inoltre, senza fondamento la pretesa degli oneri aggiuntivi sopportati a causa della maggiore durata del contratto ed inerenti il funzionamento della sede del programma in Italia, atteso che il contratto non prevedeva che la Società istituisse una sede del programma in Italia. La variante apportata al contratto aveva, poi, notevolmente ridotto le proporzioni delle attività da svolgere in Italia (attività di formazione di docenti giordani), limitandole alla partecipazione di tre docenti in luogo dei sei stabiliti e, pertanto, a circa lire 98.000.000 in luogo delle iniziali lire previste in 182.000.000. Le attività erano comunque cessate alla scadenza fissata dalla variante. Sul punto pertanto l'A.G.S. concludeva che la remunerazione che poteva essere ottenuta dall'appaltatore a fronte degli oneri sostenuti non poteva essere che quella pattuita fino a tale data nell'ambito della stessa variante. Circa il terzo quesito, per l'Avvocatura risultava infondata la pretesa al pagamento del periodo di ferie per il personale esperto inviato in Giordania, atteso che nel fabbisogno contrattuale di 56 mesi-uomo di personale per missioni lunghe, erano già ricompresi i periodi di ferie: quindi il corrispondente compenso pattuito era stato già calcolato con le ferie compreso il prezzo. Circa il quarto quesito, secondo l'Avvocatura, era destituita di fondamento la pretesa della revisione prezzi sui corrispettivi per un importo di lire 518.231.163 avanzata con lettera del 16 aprile 1996, a maggior ragione quella ben diversa sollevata in sede di arbitrato per lire 1.503.752.932. Infatti, non è possibile riconoscere la revisione prezzi per il periodo di prolungamento della durata contrattuale pattuito tramite variante (che differiva dal 20 maggio 1994 al 20 novembre 1995 la scadenza del contratto) a fronte di appena quattro mesi e mezzo di forzata inattività per la crisi del Golfo Persico e precisamente dal 15 gennaio 1991 al 31 maggio 1991. Sarebbe altrimenti del tutto travisata la natura della variante in questione come «variante gratuita» che non avrebbe dovuto comportare alcun onere aggiuntivo ai sensi dell'articolo 2 della legge 17 dicembre 1994 n. 121. Ciò stante anche la vigenza della normativa sopravvenuta, che ha soppresso l'istituto revisionale, non potendosi in ogni caso fare riferimento ai prezzi determinati in base a quelli correnti sul mercato all'epoca del nuovo accordo e non già in base agli elementi economici desunti dal vecchio contratto. È comunque inammissibile il cumulo fra interessi e rivalutazione monetaria, stante la natura «di valuta» del credito da revisione prezzi, che non è suscettibile di rivalutazione automatica. In relazione al quinto quesito, andava disattesa la richiesta di equo compenso per gli oneri di modifica progettuale connessi alle varianti nonché per la diversa allocazione delle risorse. Il sesto quesito non rilevava perché lo sblocco delle fideiussioni era avvenuto negli anni 1995 e 1996 e quindi nell'imminenza della chiusura delle operazioni contrattuali, senza che fosse stato fissato a monte un termine perentorio. La settima pretesa della Società era estranea al contenuto della domanda di arbitrato, in quanto formulata soltanto in occasione della precisazione dei quesiti in data 21 dicembre 1999, e pertanto non rilevante sul piano processuale. Il Collegio arbitrale, sottoscriveva il lodo il 6 aprile 2000. Definitivamente pronunziandosi sulle domande, respingeva, a maggioranza, il secondo quesito ed all'unanimità il terzo. Accoglieva a maggioranza e per quanto di ragione i quesiti primo, quarto e settimo ed all'unanimità


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il quinto ed il sesto, e per l'effetto condannava il M.A.E. al pagamento in favore della Cotecno delle somme in seguito indicate e precisamente per il primo quesito: lire 172.521.043; per il quarto quesito: lire 604.616.520; per il quinto quesito: lire 60.000.000; per il sesto quesito: lire 12.372.397; per il settimo quesito: lire 60.000.000. Su tutte le predette somme, inferiori alle pretese di controparte, dovevano essere corrisposti gli interessi legali dalla data 7 aprile 2000 fino al soddisfo. In conseguenza, in esecuzione del lodo, munito di formula esecutiva dal tribunale di Roma in data 4 maggio 2000 e registrato in Roma il successivo 29 maggio 2000, veniva intimato precetto al M.A.E., mediante atto notificato in data 3 luglio 2000. Nel precetto veniva ingiunto all'Amministrazione di pagare la somma di lire 1.292.297.200, di cui lire 508.289.830 per sorte capitale e lire 790.007.390 per interessi, diritti, tasse di registro, spese legali, compenso degli arbitri, eccetera, somme erogate all'avente diritto con decreto del 7 agosto 2000 n. 2000/340/003569/6 per lire 790.907.390 (interessi, diritti, eccetera) e con decreto n. 2000/333/003574/4 di pari data per l'importo di lire 488.059.210 (a titolo di sorte capitale), che sarebbe stato completato con successivo provvedimento per lire 14.230.620, non appena detta somma sarebbe stata reiscritta in bilancio, essendo andata perente, sì da garantire il pagamento completo dell'importo di precetto di lire 502.289.830.
Da quanto innanzi esposto, il prolungamento del contratto non poteva essere ascritto a condotta colposa dell'amministrazione, ma al verificarsi di fattori oggettivi esterni al sinallagma negoziale, sia a causa della guerra del Golfo sia per la richiesta inoltrata dall'University College della Giordania di una riarticolazione del programma.

9) Mauritania/Interconsulting

Gli elementi conoscitivi relativi al presente caso sono contenuti nella risposta già fornita al punto 17) dell'interrogazione parlamentare n. 4-07697 dell'onorevole Costa.

10) Mozambico/CMC

Gli elementi conoscitivi relativi al presente caso sono contenuti nella risposta già fornita al punto 14) dell'interrogazione parlamentare n. 4-07696 dell'onorevole Costa.

11) SOMALIA/COIPA SELENIA SALINI «Commissione di collaudo per i lavori eseguiti in Somalia inerenti la ristrutturazione dell'aeroporto di Mogadiscio, la realizzazione del programma di pesca a Braawa e la realizzazione della strada Afgoy-Golwen». ct. 412.

Con provvedimento 14 dicembre 1990 il ministero degli affari esteri ha nominato una Commissione di collaudo per i lavori eseguiti in Somalia inerenti la ristrutturazione dell'aeroporto di Mogadiscio, la realizzazione del programma di pesca a Braawa e la realizzazione della strada Afgoy-Golwen. Con successive note, di cui l'ultima del 3 febbraio 1995, concernente l'esame e il parere sulle riserve relative ai lavori di ristrutturazione dell'aeroporto, la Commissione ha provveduto a rimettere all'Amministrazione gli atti dovuti in relazione all'incarico conferito.
Per le attività svolte i cinque componenti la Commissione di collaudo, il 24 luglio 1996 hanno presentato all'Amministrazione la richiesta di pagamento delle parcelle per un totale di lire 401.178.549. Poiché il credito vantato non è stato liquidato perché il MAE non ne condivideva l'entità, ritenendo invece congruo tutt'altro importo, con istanza rivolta al tribunale civile di Roma depositata in cancelleria il 18 ottobre 1996, i collaudatori hanno chiesto di ingiungere all'amministrazione degli affari esteri il pagamento delle somme richieste. Con decreto del 23 ottobre 1996, dichiarato provvisoriamente esecutivo con provvedimento del 24 ottobre 1997, il Tribunale ha ingiunto all'amministrazione il pagamento della somma predetta.
Il ministero degli affari esteri con atto di opposizione notificato in data 7 gennaio 1997 ha contestato detto decreto, ammettendo


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nel contempo la sussistenza del diritto degli intimanti a percepire la somma complessiva di lire 220.229.033.
Ne è seguito un atto transattivo datato 4 giugno 1999 con il quale i collaudatori hanno accettato complessivamente tale ultimo importo al netto della detrazione dell'IRPEF, con il riconoscimento aggiuntivo degli interessi legali, maturati dalla data di deposito degli atti dei lavori condotti dalla Commissione fino al 30 giugno 1999, oltre le spese legali sostenute nella controversia quantificate in lire 15.265.280, IVA e CAP compresi, maggiorate di lire 550.600 per altre spese.
Con successiva nota del 7 ottobre 1999 i collaudatori hanno riconosciuto che l'effettiva somma da liquidare era pari a lire 313.650.845 - di cui 209.905.125 per sorte e 103.745.720 per interessi - anziché lire 336.803.912 come leggibile nell'atto di transazione. Detto sovrappiù è stato causato da alcuni errori di calcolo intervenuti in fase di elaborazione dell'accordo transattivo.
Tuttavia, considerata l'I.V.A. dovuta ad uno dei collaudatori, che per errore materiale non era stata corrisposta con la transazione, si è reso necessario rettificare l'entità del riconoscimento con successive integrazioni che hanno condotto la somma liquidata a lire 393.517.140.

12) EL SALVADOR/COGEFAR: «Realizzazione di opere di urbanizzazione (1o lotto) in Apopa».

In conseguenza degli eventi sismici che avevano colpito lo Stato di El Salvador il 10 ottobre 1986, il ministero degli affari esteri italiano, sulla scorta di indagini in loco e previa consultazione con le autorità salvadoregne, elaborava un ampio programma di ricostruzione che prevedeva, tra l'altro, anche il risanamento di aree della capitale S. Salvador. Pertanto il comitato direzionale, con deliberazione n. 126 del 2 dicembre 1987, riconosceva l'esistenza dei presupposti di straordinarietà, ai sensi dell'articolo 9, comma 4 lettera d), della legge 26 febbraio 1987 n. 49, per la realizzazione del primo lotto delle opere civili e delle abitazioni per la riubicazione dei senza tetto ad Apopa, con un impegno finanziario entro il limite massimo di 19 milioni di dollari U.S.A. (corrispondenti a lire 24.700.000.000) nell'ambito della parte a dono autorizzando la trattativa privata con la COGEFAR Costruzioni Generali spa. In data 28 dicembre 1987 veniva firmato il contratto tra la D.G.C.S. ed il consorzio «Salvador E» per l'affidamento delle attività di studio, progettazione e direzione lavori relativi all'intero programma (sia per la parte a dono che per quella a credito d'aiuto). La Direzione generale in data 18 maggio 1988 stipulava, previa autorizzazione concessa al direttore generale dal ministro degli affari esteri con atto deliberativo n. 6/XV/88 del 18 marzo 1988, apposito contratto con la società Cogefar avente ad oggetto la realizzazione dell'iniziativa di cooperazione in El Salvador denominata «Programma di riubicazione dei senza tetto in Apopa, primo lotto», per un valore complessivo massimo pari a lire 24.700.000.000 (ventiquattromiliardi settecentomilioni). Successivamente, si rendeva necessaria l'approvazione di una perizia di variante e suppletiva da parte della Direzione, recepita nell'Atto di sottomissione sottoscritto dalla Società - nella sua nuova denominazione «Cogefar-lmpresit» - in data 23 maggio 1991, che comportava una variazione, in aggiunta al prezzo contrattuale di lire 989.461.000, contenuta nel quinto d'obbligo di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 16 luglio 1992, n. 1063. Con decreto del 13 febbraio 1992, infatti, il Direttore Generale approvava l'Atto di sottomissione per l'esecuzione della perizia di variante e suppletiva, relativa alle opere e ai lavori di cui al contratto succitato. L'ultimazione dei lavori avveniva in data 31 dicembre 1991, come da verbale della Direzione Lavori emesso in data 5 febbraio 1992; lo stato finale dei lavori veniva accertato in data 25 febbraio 1992. Il collaudo delle opere veniva concluso con esito favorevole in data 28 febbraio 1992. A questo punto, l'Impresa richiamava le riserve precedentemente iscritte nel Registro di Contabilità, e riportava le stesse nello Stato Finale per un ammontare di lire


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10.059.478.031, comprensivo degli interessi calcolati al 31 dicembre 1991. Con decreto 8 settembre 1992 n. 1992/128/03473/6, registrato dalla Ragioneria il 14 dicembre 1992, n. 359, veniva approvato il certificato di collaudo. L'importo finale del contratto, come si evinceva dal certificato di collaudo rilasciato dalla Commissione collaudatrice, risultava essere di lire 26.025.201.583, spesi per la costruzione di unità abitative, edifici sociali e relative infrastrutture, nonché per la realizzazione di una nuova urbanizzazione in Apopa a trenta Km dalla capitale, S. Salvador. Con le riserve iscritte nel Registro di contabilità, confermate nello stato finale e con le note indirizzate a questa direzione, l'impresa avanzava la richiesta per oneri aggiuntivi di cui alle succitato riserve, la revisione prezzi e le spese sostenute per la vigilanza del complesso abitativo, per un importo di circa 14,5 miliardi. L'unità tecnica centrale della D.G.C.S., dopo aver acquisito il parere della commissione di collaudo e della direzione lavori, redigeva una relazione tecnica di valutazione, sostanzialmente in linea con le conclusioni dei collaudatori. Considerata la complessità delle rivendicazioni della Società, la relativa consistenza economica, l'interconnessione fra le riserve e la revisione prezzi, nonché la discrepanza tra il parere della commissione di collaudo e quello della direzione lavori, la D.G.C.S. riteneva di sottoporre la questione al Consiglio superiore dei lavori pubblici, affinché esprimesse il proprio parere per la definizione della questione pendente. L'impresa aveva iscritto nel registro di Contabilità e confermato nello stato finale dodici riserve. Il contenuto di queste ultime veniva riportato sia nella relazione «riservata» del direttore dei lavori, sia nella Relazione «riservata» della commissione di collaudo. Tra le riserve risaltavano la n. 5 e la n. 6 che concernevano la richiesta d'indennizzo a causa dei blocchi del cantiere avvenuti per la guerra civile, oltre che per lo sciopero delle manovalanze. Nei casi di cui trattasi, infatti, ricorrevano le speciali circostanze, previste dal capitolato generale, che consentivano la sospensione dei lavori, in quanto in Salvador era allora in atto una violenta guerra civile - era l'epoca dei desaparecidos - e quindi il fermo cantiere era stato determinato e causato da eventi politico-sindacali in paese straniero che sfuggivano al normale controllo di un'impresa di costruzioni. La commissione di collaudo aveva concluso con il riconoscimento di un indennizzo di lire 1.091.232.752 per la riserva n. 5 e di lire 1.025.149.901 per la riserva n. 6. Inoltre assumeva importanza anche la riserva n. 7 che riguardava gli oneri derivanti dall'applicazione degli accordi sindacali stipulati in loco il 6 febbraio 1989 per un importo di lire 861.173.189. Tali accordi erano il risultato di un lungo negoziato con le forze sindacali per uscire dalla situazione creatasi con il blocco del cantiere, atteso che, anche su invito delle autorità italiane, si era cercato di non arrivare con i sindacati, che appoggiavano l'occupazione del cantiere, ad una rottura che avrebbe potuto determinare l'intervento di forze esterne e causare quindi con molta probabilità la «militarizzazione» del programma con le evidenti negative conseguenze anche di carattere diplomatico. Bisogna poi considerare che l'impresa, trovandosi in territorio straniero, non aveva potuto smobilitare rapidamente la propria organizzazione di cantiere, per non doversi poi trovare ad affrontare, al cessare delle ragioni che avevano causato la sospensione, notevoli costi di rimobilitazione. L'Amministrazione era intervenuta presso l'impresa e la direzione dei lavori, perché prendessero tutte le cautele necessarie a garantire la sicurezza del personale italiano in Salvador e l'incolumità dei lavoratori del luogo e quindi raggiungessero un accordo, impegnandosi a riconoscere gli oneri conseguenti alla stipula di nuovi contratti di lavoro. Pertanto la direzione dei lavori si dichiarava favorevole all'accoglimento della riserva, salvo l'ammontare degli oneri richiesti, mentre la commissione di collaudo riteneva ammissibili gli oneri stessi, ma subordinava il loro riconoscimento alla decisione dell'amministrazione. L'unità tecnica centrale della D.G.C.S. riteneva invece di poter esprimere un parere favorevole all'accoglimento della riserva n. 7 per un importo di


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lire 852.552.905. Infine si presentava rilevante la riserva n. 12 relativa al rimborso dei costi di vigilanza del cantiere per il semestre immediatamente successivo all'ultimazione dei lavori, riserva che non poteva essere accolta in quanto una specifica norma del capitolato speciale prescriveva che la custodia delle opere rientrava nella responsabilità dell'impresa fino all'emissione del certificato di collaudo finale. In sintesi, l'impresa richiedeva per riserve ed interessi finanziari, lire 10.102.693.414, la direzione lavori ne limitava l'importo a lire 3.804.108.772 e la commissione di collaudo ne riduceva ulteriormente l'importo a lire 3.313.968.387. L'impresa poi richiedeva, con note separate, la corresponsione degli interessi sulla revisione prezzi per lire 106.040.717 ed il riconoscimento degli oneri di vigilanza per lire 227.210.201. Sulla base di questi dati, l'unità tecnica centrale della D.G.C.S., tenuto anche conto degli avvisi della commissione di collaudo e della direzione lavori, esprimeva il seguente parere: l'impresa aveva diritto per le riserve, in relazione alle richieste per oneri extracontrattuali, ad un importo di lire 3.313.968.387 rispetto ad una richiesta di 10.102.693.414, per la vigilanza del complesso abitativo ad un importo di lire 227.210.201 rispetto ad identica richiesta, per revisione dei prezzi ad un importo zero su una richiesta di lire 4.105.570.351. Il totale quindi richiesto dall'impresa era di lire 14.435.473.966, mentre l'U.T.C. riconosceva un importo di lire 3.541.178.588. Come innanzi si è accennato, per la diversità di contenuto dei pareri tecnici espressi, la questione era stata demandata all'esame della prima sezione del consiglio superiore dei lavori pubblici che, nell'adunanza del 20 settembre 1994, esprimeva il parere che «le riserve espresse dall'Impresa Cogefar-Impresit ..., fossero da respingere in toto, ad eccezione delle riserve n. 5 e n. 6 per la sola aliquota attinente i periodi di sospensione per guerra civile, sempreché regolarmente documentati», avvisato che il calcolo dei corrispettivi attinenti alle sole aliquote di cui innanzi potesse essere demandato ai direttore dei lavori. Sulla base dei pareri innanzi acquisiti e della relazione tecnica dell'U.T.C. in data 24 maggio 1996, il comitato direzionale, con atto n. 113 del 25 settembre 1996, deliberava la liquidazione alla Società Cogefar Impresit S.p.a. della somma di lire 3.773.737.458 a soddisfazione ed a tacitazione delle richieste dell'impresa relative agli oneri per riserve, revisione prezzi e vigilanza, pendenze che andavano tutte definite dopo l'ultimazione dei lavori e del relativo collaudo. Il direttore generale comunicava alla società, al termine dell'iter procedimentale di accertamento amministrativo, quanto determinato, con la richiesta, in caso di accettazione della proposta, di rinunciare espressamente ad avanzare qualsiasi ulteriore pretesa. L'impresa accettava la proposta della direzione con lettera del 14 ottobre 1996. Con decreto del direttore generale n. 3798 del 18 ottobre 1996 veniva liquidata ed autorizzata la spesa di lire 3.773.737.458 per oneri relativi a revisione prezzi, riserve e vigilanza inerenti ai contratto di cui trattasi. Tale provvedimento veniva inviato all'Ufficio di ragioneria ai fini della registrazione dell'impegno di spesa e per il successivo corso ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 49 del 1987. L'Ufficio di Riscontro registrava l'impegno della spesa in data 4 dicembre 1996 e trasmetteva il decreto, ai fini del controllo successivo di legittimità al competente ufficio della Corte dei conti. Infatti l'articolo 15 comma 3 della citata legge n. 49 del 1987 prescriveva un controllo generalizzato di legittimità in via successiva sugli atti della Direzione. Pertanto anche dopo l'entrata in vigore della Legge 14 gennaio 994, n. 20, si riteneva che fosse ancora completamente vigente la legge 49 perché legge speciale. Orbene poiché la legge 20/94 sopraggiunta non poteva, giusta la dottrina e la giurisprudenza allora prevalente, derogare o abrogare, anche in parte, la normativa di cooperazione precedente di carattere speciale, si era dell'avviso di seguire la normativa propria della cooperazione, che assicurava in ogni caso maggiore celerità ai provvedimenti, tant'è che, con l'intervenuta registrazione dell'impegno della spesa, l'atto di liquidazione diveniva efficace ed esecutivo, con decorrenza allora dalla data di registrazione da parte dell'ufficio di ragioneria.


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Ma proprio nel triennio successivo all'entrata in vigore della legge 14 gennaio 1994 n. 20, si andava affermando e consolidando un orientamento giurisprudenziale della Corte dei conti, che riteneva la nuova legge generale sui controlli prevalente sulle relative norme previste nella legge speciale n. 49 del 1987 ed in particolare sul comma 3 dell'articolo 15 che prescriveva il controllo di legittimità in via successiva sugli atti della direzione. Infatti, nella giurisprudenza contabile diveniva determinante il principio che la legge speciale derogasse alla normativa di carattere generale previgente, ma non certo alle leggi di «riforma generale» emanate successivamente, eventualmente derogabili con ulteriore legge speciale. Con il Foglio dei Rilievi n. 1 del 3 gennaio 1997, l'ufficio di controllo restituiva il provvedimento sostenendo che si configurava nella sostanza come approvazione di una vera e propria transazione, che avrebbe richiesto quindi la stipulazione di un atto a sé da assoggettare alle previste formalità, quali anche l'acquisizione del parere del Consiglio di Stato e dell'Avvocatura Generale dello Stato. In ordine poi all'intervenuta trasmissione del provvedimento ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 49 del 1987 concernente il controllo successivo di legittimità sugli atti, l'Ufficio di Controllo osservava, affermando il nuovo orientamento giurisprudenziale, che il sostanziale atto amministrativo sotteso a quello formale appariva riconducibile alla lettera G dell'articolo 3, punto 3, della legge n. 20 del 1994 e come tale soggetto al controllo preventivo di legittimità. Nella replica, in data 4 aprile 1997, la D.G.C.S. denegava la configurabilità del provvedimento quale transazione, poiché si trattava di una semplice definizione in via amministrativa delle riserve apposte dall'appaltatore sul registro di contabilità, nel corso dello svolgimento dei lavori, con accoglimento parziale delle riserve stesse mediante un atto unilaterale dell'amministrazione, cui era seguita un'acquisizione espressa dall'appaltatore. Quindi la risoluzione delle riserve rientrava in un ambito espressamente previsto dalla normativa speciale, costituita dal regio decreto n. 350 del 1895. Il consigliere delegato al controllo provvedeva a trasmettere il provvedimento al presidente della Corte dei conti per il deferimento alla Sezione del Controllo della pronuncia sul visto e sulla conseguente registrazione del provvedimento stesso. La Corte dei conti in Sezione del Controllo - Collegio I - nell'adunanza del 29 maggio 1997, dopo aver accertato che l'Amministrazione, ai sensi dell'articolo 42 del Capitolo Generale d'Appalto dei lavori pubblici e dell'articolo 109 del Regolamento approvato con regio decreto 25 maggio 1895 n. 350, aveva deliberato sulle domande dell'appaltatore e quindi aveva risolto e definito in via unilaterale il contenzioso insorto a seguito di pretese aggiuntive dell'appaltatore, sulla base di una istruttoria tecnico-amministrativa perfettamente idonea a giustificare i criteri di quantificazione degli oneri addizionali riconosciuti, riteneva tale comportamento corretto, atteso che l'atto unilaterale dell'Amministrazione sfociava poi in una mera autorizzazione di spesa che, come tale, non era soggetta al controllo preventivo della Corte.
In pendenza del procedimento di controllo preventivo da parte della Corte dei conti, trascorsi sei mesi dall'accettazione delle proposte dell'amministrazione senza effettivi risultati, la società aveva comunicato, con lettera pervenuta il 29 aprile 1997, di non ritenersi più impegnata al rispetto del contenuto della lettera di accettazione del 14 ottobre 1996 e pertanto di aver dato mandato ai propri legali di tutelarne gli interessi. Infatti, in data 17 giugno 1997, veniva notificata domanda di arbitrato con una richiesta complessiva di 14,5 miliardi di lire.
Essendo poi venuti meno gli impedimenti amministrativi alla liquidazione della somma di lire 3,7 miliardi, a suo tempo proposta, a seguito della decisione della Sezione del Controllo - Collegio I - della Corte dei Conti (depositata in Segreteria il 28 giugno 1997), la Società veniva nuovamente contattata dalla D.G.C.S., in data 31 luglio 1997, che le proponeva una rapida liquidazione della somma già proposta in precedenza, chiudendo così sul nascere la vertenza arbitrale.


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Il successivo 6 agosto 1997, l'imprenditore accettava la somma liquidata e rinunciava all'arbitrato, a condizione che il pagamento fosse avvenuto entro il 30 settembre 1997 e che sull'importo accertato e proposto di 3,7 miliardi, gli fossero riconosciuti gli ulteriori interessi decorrenti dalla data di accettazione (14 ottobre 1996) fino al soddisfo. La somma dovuta per le riserve veniva pagata dalla D.G.C.S. entro il termine prefissato, mentre quella per gli ulteriori interessi veniva sottoposta a procedura di analisi tecnico-giuridica. Al termine dell'istruttoria cadevano le perplessità in ordine al fatto che la direzione generale dovesse pagare gli interessi per responsabilità non proprie, adducendosi che il ritardo non fosse imputabile alla direzione ma eventualmente all'organo di controllo (soprattutto dopo che tali difficoltà fossero state fatte presenti alla società, la quale aveva però mantenuto ferme le proprie richieste), atteso che il quantum dovuto dall'amministrazione della Società - una volta da quest'ultima accettato - diveniva debito di valuta e come tale produttivo di interessi.
Da qui l'intervenuta liquidazione e pagamento di interessi per lire 164.390.207, a fronte di una richiesta iniziale per interessi da parte della società di lire 233.661.397.
Da quanto innanzi, emerge che la diligenza è stata massima, a tal punto da escludere qualsiasi tipo di colpa grave nella gestione dell'iniziativa che - tra l'altro - ha conseguito tutti gli obiettivi nonostante le oggettive difficoltà ambientali. Inoltre, nel valutare gli eventuali danni, va ricordato che essi sarebbero stati largamente superati in via generale dal raggiungimento degli obiettivi del progetto, con i vantaggi prevalenti conseguiti dalla popolazione in via di sviluppo tramite la sua realizzazione. Ecco perché nella vicenda non ricorrono i presupposti di responsabilità per eventuale danno all'Erario dello Stato: tant'è vero che la procura della Corte dei conti ha indagato sul caso, archiviando la pratica in data 13 novembre 2002, non ravvisando responsabilità perseguibili.

13) CAMERUN/IMPRESTIRLING (oggi Impregilo-Imprepar): «Realizzazione della strada Dschang-Bamougoun in Camerun».

La Imprestirling S.p.a. ed il MAE stipularono un contratto ai sensi della legge n. 49 del 1987 in data 30 ottobre 1987, avente ad oggetto l'appalto per la realizzazione della strada così come descritta in oggetto nello Stato del Camerun, a fronte di un corrispettivo di 23.314.651 Ecu. In data 15 dicembre 1988, perfezionati gli adempimenti amministrativi, interveniva l'ordine del Committente di dare inizio ai lavori. Ne conseguiva che l'appaltatrice dava inizio ai lavori, nel corso del mese di gennaio, dell'anno 1989, anche in considerazione del termine contrattuale di 24 mesi per l'esecuzione e l'ultimazione della prima fase del programma, decorrente dall'ordine di inizio lavori, che comportava, in caso di ritardo nella consegna, l'applicazione di penali.
In seguito alla necessità di rispettare gli accordi OCSE intervenuti nel frattempo (non, quindi, per unilaterale ed immotivata decisione del Ministero), si dovettero modificare alcune condizioni contrattuali ed in particolare la composizione del finanziamento riducendo la parte a «credito» d'aiuto e procedendo, al fine di integrare l'intervento, all'attribuzione di un elemento «a dono» a valere sul Fondo della Cooperazione allo Sviluppo.
Il dono veniva proposto nella forma di prestazioni di progettazione e ritenuto congruo dalla Unità tecnica centrale della Direzione generale della Cooperazione allo Sviluppo. L'iniziativa veniva approvata con delibera del comitato direzionale in data 26 giugno 1990 che autorizzava la trattativa diretta con la S.p.a. Imprestirling (cui subentrò successivamente la Impregilo), società che le autorità camerunensi avevano già individuato per la realizzazione del progetto. A novazione dell'originario contratto di appalto (in seguito agli intervenuti mutamenti finanziari), si procedette alla stipula dell'atto contrattuale «in funzione ausiliaria e subalterna al contratto principale», entro un massimale di lire 2.775.717.000.


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Dunque, nel luglio del 1991 le parti stipularono il nuovo contratto a trattativa privata, con il quale il ministero si assumeva l'obbligazione di pagare il detto importo come corrispettivo per l'attività di progettazione e manutenzione della strada che al momento della stipula era in corso di realizzazione, affidandone l'incarico alla stessa S.p.a. Imprestirling sotto la supervisione del Governo del Camerun. Il contratto veniva approvato dal ministero con decreto ministeriale n. 128 del 6 agosto 1991, sicché la parte privata contraente prestava, a fronte della regolare esecuzione, fideiussione bancaria a titolo di cauzione per la somma di lire 138.785.850.
Progettazione e lavori venivano eseguiti e consegnati in data 31 gennaio 1992 al competente ministero dello Stato africano e collaudati; seguiva un periodo di un anno (sino al 31 gennaio 1993) di attività di manutenzione contrattualmente prevista. Una volta terminata l'esecuzione delle obbligazioni assunte con la stipula del contratto del 1o luglio 1991, ed anche dopo la notificazione di apposito atto di diffida, avvenuta in data 24 marzo 1994, la Imprestirling spa non otteneva il pagamento dell'intero importo del contratto (2.775.717.000), né il ministero provvedeva a svincolare la fideiussione prestata a garanzia dell'esecuzione dei lavori contrattuali, perché il Decreto che disponeva la liquidazione venne fatto oggetto di rilievo dalla Ragioneria.
È però importante rilevare che la direzione generale, a seguito della diffida ad adempiere notificata dall'Impregilo, avviò la procedura prevista per il riconoscimento del debito relativamente alle prestazioni dedotte nel contratto del 1o luglio 1991, (approvato con decreto ministeriale 1991/128/002607/0), non divenuto esecutivo per mancata apposizione del «visto» di Ragioneria, per le ragioni più oltre indicate.
Successivamente la Impregilo spa, nelle more succeduta quale cessionaria del credito ad Imprestirling spa, aveva anch'essa partecipato al procedimento relativo al riconoscimento del debito, dichiarandosi attuale titolare del correlativo credito. L'Attrice rappresentò di avere proposto domanda di arbitrato con dichiarazione di nomina di arbitro, volta ad ottenere la condanna del Ministero al pagamento dell'importo contrattuale, oltre agli accessori maturatisi in ragione del ritardo verificatosi, ai sensi dell'articolo 10 del contratto. Infatti la Ragioneria non approvò il pagamento del corrispettivo contrattuale disposto dal MAE, in quanto non riconobbe come legittimo creditore la Società cessionaria (Impregilo), poiché - a giudizio dell'organo di controllo - l'intervenuta cessione del credito non importava la cessione dell'intero contratto cui il credito stesso ineriva, sicché il legittimo ed unico creditore sarebbe dovuto rimanere l'originaria società contraente, ovverosia la Imprestirling.
Si fa presente che, in quel periodo, i decreti dell'Amministrazione, sottostavano all'apposizione del Visto di Ragioneria, quale condizione di efficacia. Ragione per cui, il permanere della contrarietà dell'organo di controllo alle motivazioni addotte dalla DGCS a fondamento dei provvedimenti, impediva che gli stessi divenissero efficaci. L'impresa passò dunque alla fase contenziosa.
Dopo la costituzione del contraddittorio e del collegio arbitrale, veniva emesso in data 30 aprile 1888 il lodo, con il quale si dichiarava la competenza degli arbitri, ed inoltre si dava atto che le parti avevano stipulato un contratto a trattativa privata valido ed efficace, e che Impregilo era creditrice del ministero degli affari esteri della somma di lire 2.775.717.000 e si condannava il ministero al pagamento della somma e degli interessi maturati e maturandi.
A seguito di precetto della società, l'amministrazione eseguiva il lodo corrispondendo le relative somme per capitale ed interessi a seguito di presentazione di fideiussione bancaria, che ne garantiva la restituzione in caso di accoglimento dell'impugnazione del lodo, che il Ministero in seguito proponeva con atto notificato in data 3 giugno 1999, all'uopo convenendo Impregilo spa dinanzi alla Corte di Appello di Roma.


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Con sentenza n. 1876/2001, la Corte di appello adita dichiarava la nullità del lodo in sede rescindente ai sensi dell'articolo 829, comma 1 c.p.c., avendo ritenuto che il collegio arbitrale difettasse di qualsiasi potere giurisdizionale sulla controversia, dal momento che «la cessione del credito non avrebbe implicato la cessione del contratto cui il credito ineriva. Sicché Impregilo, rimasta estranea al contratto, non avrebbe potuto invocarne la clausola compromissoria».
Peraltro secondo la Corte di appello, non risultava che l'Amministrazione avesse mai espresso la volontà che il rapporto con Impregilo spa fosse deciso dagli arbitri, rinvenendosi la clausola arbitrale nel contratto originario stipulato con Imprestirling.
La controparte, soccombente in secondo grado, si risolse ad adire la suprema Corte, ma la Cassazione ha confermato con sentenza n. 13893/2003 la declaratoria di nullità già sancita in sede di Appello, del noto lodo arbitrale del 30 aprile 1998, favorevole alla ditta Impregilo spa per un totale di lire 5.678.793.379 (sorte più interessi).
A considerazione, quindi, di quanto su esposto e considerato, è del tutto evidente che l'amministrazione ha tenuto, per il contenzioso
de quo, un comportamento assolutamente corretto ed ineccepibile.
Ed infatti, in prima battuta è stata di fatto costretta, l'amministrazione, dato il precetto notificatogli da Impregilo, a pagare a quest'ultima le somme liquidate nel Lodo, e ciò, evidentemente, per evitare, in caso di inottemperanza, di pagare maggiori somme a titolo di interessi per ritardato pagamento, e per le spese dell'esecuzione. In maniera, poi, assolutamente diligente l'amministrazione proponeva immediatamente appello avverso il lodo, all'esito del quale veniva riconosciuta vincitrice.
Con nota 340/X/38985 del 27 novembre 2003 l'amministrazione metteva formalmente in mora la «Zurich International Italia spa» presso la quale Compagnia assicurativa, la Impregilo aveva acceso, a suo tempo, la relativa polizza fidejussoria proprio a garanzia delle somme pagate dal MAE (alla Impregilo spa) per l'importo di lire 5.678.793.379.
Il MAE rimane in attesa dunque di ricevere la somma summenzionata, rivalutata degli interessi di legge. La procura regionale della Corte dei conti, svolte indagini sul caso, ha archiviato la pratica in data 13 novembre 2002, non ravvisandovi responsabilità perseguibili.

14) ANGOLA/GILCO: «Lavori di costruzione dell'Acquedotto di Porto Amboim. Contratto del 3 aprile 1990». CT n. 15,1.

Il contratto in argomento è riconducibile al Fondo Aiuti Italiani (F.A.I.) istituito con la legge 8 marzo 1985 n. 73 e, quindi, prima dell'istituzione dell'attuale D.G.C.S. avvenuta con la legge n. 49 del 1987.
Il contratto tra il Sottosegretario delegato e l'impresa G.I.L.CO., dell'importo forfettario di lire 8.500.000.000, è stato stipulato in data 3 aprile 1990 approvato con decreto ministeriale n. 128/1298//6 del 3 gennaio 1990, registrato il 22 giugno 1990 al n. 1649 ed è entrato in vigore il 29 giugno 1990. Essendo il tempo di esecuzione del programma previsto in 24 mesi, l'ultimazione era prevista al 28 giugno 1992, termine successivamente prorogato al 31 dicembre 1992.
A causa della ripresa della guerra civile, i lavori furono sospesi e l'impresa ha mantenuto sul posto n. 3 tecnici italiani sia per la custodia dell'impianto che per consentire, su specifica ed esplicita richiesta delle Autorità locali, l'erogazione dell'acqua alla città di Porto Amboim per il periodo dal 30 ottobre 1992 al 30 giugno 1993 come attestato dal Governo Municipal de Porto Amboim.
Solo al termine della guerra civile, il MAE ha potuto nominare la Commissione di collaudo con decreto ministeriale n. 10974 del 7 dicembre 1995.
La Commissione di collaudo ha eseguito la visita nel maggio 1996 ed ha ritenuto le opere ben eseguite e conformi al progetto approvato ed al relativo contratto. Tuttavia la Commissione ha ritenuto qualificabili come extracontrattuali le prestazioni eseguite dall'Impresa su richiesta delle Autorità


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locali relative all'erogazione dell'acqua potabile. Al riguardo, la Commissione si è limitata a verificarne l'effettiva esecuzione e ad esprimere un parere di congruità, al fine di consentire al MAE di adottare le opportune decisioni in merito. Il solo costo dell'erogazione dell'acqua è stato valutato in circa lire 1.306 milioni, cui va aggiunto il costo della custodia delle opere che il decreto legge ha valutato in 236 milioni circa. Il tutto al netto degli interessi e della rivalutazione monetaria relativi al periodo 1992-1996.
A seguito dell'intervenuto fallimento della Soc. Gilco, il MAE ha provveduto a riconoscere in misura notevolmente ridotta al Curatore fallimentare le prestazioni extracontrattuali eseguite dalla Soc. Gilco liquidando gli importi riferiti nell'interrogazione.
La Procura della Corte dei Conti, svolte indagini sul caso, ha archiviato la pratica in data 13 novembre 2002 non ravvisando responsabilità perseguibili.

15) GIBUTI/ATI CIDONIO-COSMAR: «Realizzazione di un'officina riparazioni navali e di un molo nel porto di Gibuti».
Il 5 luglio 1991, fu stipulato un contratto tra il ministero degli affari esteri e l'impresa Cidonio SpA quale mandataria dell'ATI costituita tra la stessa Società e la COSMAR SpA, per la progettazione esecutiva per la realizzazione di un'officina di riparazioni navali e di un molo nel porto di Gibuti. L'importo originario della prestazione era pari a lire 1.900.000.000.
Nel corso della progettazione furono apportate modifiche al progetto originario con conseguente modifica degli oneri, che si sono ridotti a lire 1.807.675.000 come da decreto 23 maggio 1994, di approvazione dell'atto di sottomissione, approvante dette modifiche.
Con diffida del 15 marzo 1996, fu richiesta dall'impresa mandataria la somma di lire 77.211.140 a titolo di interessi moratori per i ritardati pagamenti dei SAL emessi.
Il 26 novembre 1996, non essendo stata soddisfatta la richiesta, è stata inoltrata domanda di arbitrato. Il lodo che ne è seguito è stato deciso il 28 gennaio 1998. Il Collegio ha riconosciuto che sono stati pagati in ritardo alcune fatture per cui ha condannato il ministero degli affari esteri al pagamento di lire 40.087.404, oltre agli interessi anatocistici su tale somma dalla data della domanda arbitrale (26 novembre 1996) al saldo effettivo. L'amministrazione è stata pure condannata al pagamento del 70 per cento delle spese del giudizio arbitrale. Il Collegio ha rigettato l'ulteriore domanda dell'attrice inerente alla liquidazione del maggior danno
ex articolo 1224, comma 2, del codice civile.
In conseguenza di tale lodo l'Amministrazione ha disposto il pagamento, come da decreto 29 settembre 1988, di lire 74.703.230 a favore della ditta Cidonio SpA di cui lire 40.087.380 quale sorte capitale e lire 34.615.850 per interessi, spese, diritti e onorari, poi ridotto a lire 30.740.600 a seguito di Osservazioni nel merito da parte dell'Ufficio di Ragioneria presso la DGCS. Pertanto, la somma complessiva corrisposta alla società in ottemperanza al lodo arbitrale è stata pari a lire 70.828.000.
La procura regionale della Corte dei conti, svolte le indagini sul caso, ha archiviato la pratica in data 13 novembre 2002, non ravvisando responsabilità perseguibili.

16) SIERRA LEONE/FORTUNATO FEDERICI SPA (EX FEDERSAGRI): «Progetto integrato Rhombe». Contratto del 31 luglio 1986.

Anche il contratto in argomento è riconducibile al Fondo Aiuti Italiani (FAI) istituito con la legge 8 marzo 1985 n. 73, e, quindi, prima dell'istituzione dell'attuale DGCS avvenuta con la legge n. 49 del 1987. Il contratto tra il sottosegretario delegato e l'ATI Federsagri dell'importo di lire 27.000.000.000, è stato stipulato in data 31 luglio 1986, ed è divenuto efficace in data 8 ottobre 1986.
Dopo l'avvenuta approvazione da parte del sottosegretario delegato di un primo lotto funzionale, in sede esecutiva si evidenziarono tutta una serie di difficoltà geologiche (acidità dei terreni con pH dell'ordine di 4-5) che rendevano problematica


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la coltivazione dei terreni inclusi nell'iniziativa di sviluppo. Inoltre la situazione (prefigurata dal dettato contrattuale) connessa ad un'attribuzione delle terre a singole famiglie ne avrebbe comportato la loro indisponibilità e, quindi, il conseguente venir meno dell'unica fonte di sostentamento delle famiglie medesime, per il periodo pari agli anni della durata dell'intervento.
A seguito di tale situazione, la DGCS sospese i lavori in data 16 luglio 1987, e provvide in data 8 giugno 1988, ad invitare l'Alta Vigilanza a riformulare il Progetto sulla base di nuove linee conclusive ed in base ai risultati di una apposita missione, ottenendo anche l'approvazione di detta variante da parte dell'Autorità locale in data 17 ottobre 1988.
Il nuovo progetto riformulato per un importo di 20,5 miliardi di lire è stato presentato in data 19 ottobre 1989, ed approvato dal MAE il 17 gennaio 1990.
Di quanto sopra la DGCS ha provveduto ad informare il Comitato Direzionale nella seduta del 27 luglio 1990.
I lavori hanno avuto corso regolarmente e sono stati ultimati in data 15 luglio 1991.
In conseguenza degli eventi sopra accennati, verificatisi nel corso dei lavori, la Federsagri ha formulato riserve per un importo di lire 12 miliardi 822 milioni oltre lire 1 miliardo 76 milioni per interessi e rivalutazione monetaria.
La struttura
ex-FAI del MAE ha esaminato le suddette riserve e le ha ritenute fondate per un importo di lire 7 miliardi 942 milioni con esclusione di interessi e rivalutazione monetaria. Gli elementi di valutazione suddetti sono stati sottoposti all'esame dell'Avvocatura Generale dello Stato che ha espresso l'avviso che fosse opportuno ricercare una soluzione transattiva e che l'importo da riconoscere all'esecutrice dovesse essere contenuto entro un totale di 3,2 miliardi di lire.
Il MAE ha quindi avviato la procedura di risoluzione in via amministrativa delle riserve prevista dal regio decreto 25 maggio 1895, n. 350, inglobando le medesime in un atto transattivo da proporre alla contro- parte. L'impresa ha manifestato il suo assenso, condizionato soltanto dalla celerità dei tempi di perfezionamento della transazione.
Il MAE ha richiesto inoltre l'allora prescritto parere del Consiglio di Stato, precisando che per le intervenute (nel frattempo) azioni di guerriglia non era stato possibile eseguire il collaudo dei lavori, pur essendo l'Amministrazione in possesso di un «certificato di regolare esecuzione» rilasciato dalla Direzione lavori e dall'Alta Vigilanza.
Conseguito anche il parere favorevole del Consiglio di Stato, il MAE ha stipulato la transazione approvandola con apposito decreto, per un importo omnicomprensivo di lire 3,2 miliardi. La Corte dei conti ha rigettato il suddetto decreto sostenendo che la mancanza del certificato di collaudo non consentiva la stipula della transazione.
Il provvedimento decadde e, con esso, anche l'ipotesi transattiva. Pertanto, la Federsagri si ritenne libera di riattivare la procedura arbitrale che si è conclusa con la condanna del MAE al pagamento - tra l'altro - di lire 11.833.566.660, a titolo di interessi e spese legali, come da lodo arbitrale del 23 novembre 1997.
La procura della Corte dei conti, svolte indagini sul caso, ha archiviato la pratica in data 13 novembre 2002 non ravvisando responsabilità perseguibili.

17) SOMALIA-MOGADISCIO/FARPEL: «Nuova Conceria di Mogadiscio». Contratto ex lege 73/85 per l'importo di lit. 12.850.000.000. Ente esecutore R.T.I. «Farpel-Giza».

Il contratto in oggetto fu stipulato in data 21 ottobre 1986, per l'importo totale di lit. 12.850.000.000 così suddivisibile:
1. Forniture franco cantiere: lit. 6.517.000.000;
2. Parti di ricambio per un periodo di due anni: lit. 380.000.000;
3. Montaggi ed esecuzione opere civili: lit. 5.663.000.000;
4. Addestramento personale locale: lit. 165.000.000;


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5. Fornitura N. 10 copie manuali di manutenzione: lit. 125.000.000.

In data 25 febbraio 1987 fu stipulato un atto aggiuntivo, senza aumento di oneri, che prevedeva lo spostamento dell'ubicazione dell'impianto in area adiacente a quella del nuovo mattatoio finanziato con la stessa legge. In concomitanza a tale spostamento veniva anche approvato il potenziamento dell'impianto di depurazione dei reflui liquidi (in modo da poter trattare in unico impianto anche i reflui dell'adiacente mattatoio) e l'eliminazione di alcune apparecchiature ausiliarie.
Il termine contrattuale per l'esecuzione dei lavori (19 mesi dalla data del 21 novembre 1986, compreso il mese di proroga concesso con l'approvazione del citato atto aggiuntivo) veniva a scadere il 21 giugno 1988. Con certificato in data 20 giugno 1988 i lavori sono stati dichiarati ultimati. L'impianto in oggetto è stato quindi completamente realizzato senza alcun aumento né dei tempi né della spesa originariamente previsti, risultato difficilmente raggiunto anche per lavori eseguiti sul territorio nazionale.
La visita di collaudo è stata effettuata in data 25 settembre 1988 ed in data 6 dicembre 1988 è stato emesso il relativo certificato di collaudo tecnico. Tuttavia, l'ente governativo somalo preposto alla gestione della conceria, alla data, non era in grado di prendere in consegna l'impianto; né di provvedere alle spese per l'avvio dello stesso: acquisto reattivi di concia, messa a disposizione del personale, eccetera. Pertanto, non è stato possibile per il RTI esecutore del progetto fornire le previste attività di assistenza tecnica immediatamente dopo la visita di collaudo, come previsto in contratto.
La consegna al Governo somalo è stata possibile solo in data 18 maggio 1989 e, contestualmente, si è potuto dare avvio al periodo di assistenza tecnica previsto in contratto. Terminato tale periodo, è stato possibile chiudere il rapporto contrattuale con l'impresa, con l'emissione del conto finale e del certificato di collaudo. Su tale certificato è stata operata una detrazione di lit. 5.825.000, per mancanza di alcune parti di ricambio previste in contratto.
Il ritardo fra la data di ultimazione dei lavori, l'effettiva consegna al Governo somalo e la chiusura dei rapporti amministrativi con l'impresa sono all'origine delle maggiori somme poi riconosciute in via amministrativa all'ente esecutore, a seguito di specifica istanza dello stesso, voci che possono così riassumersi: oneri di guardiania e di manutenzione (liquidate mediante l'istituto del riconoscimento di debito): lit. 162.520.000; altre voci (per ritardato svincolo fideiussioni, interessi, eccetera) riconosciute quali riserve sul conto finale: lit. 119.503.499.000.
Il riconoscimento di tali somme, che rappresentano complessivamente un'entità pari al 2,2 per cento dell'importo contrattuale, ha ricevuto l'approvazione sia della commissione consultiva istituita con legge n. 121 del 1994 sia dell'Avvocatura dello Stato.
La procura della Corte dei conti ha svolto indagini sul caso ed ha archiviato la pratica in data 13 novembre 2002 non ravvisando responsabilità perseguibili.

18) COLOMBIA/AUGUSTA S.P.A.: «FINMECCANICA (Settore AGUSTA) e MAE-DGCS relativa alla fornitura di un elicottero per un'iniziativa in COLOMBIA».

In data 15 aprile 1991 fu stipulato il contratto tra il MAE-DGCS e la AGUSTA S.p.A. avente ad oggetto il programma denominato: «Fornitura alla COLOMBIA di un elicottero A109/C», approvato con DM. n. 1991/128/1613/0 del 30 maggio 1991, per l'importo di lit. 7.173.599.470.
Risulta in atti (certificato di navigabilità dell'8 novembre 1991; verbale di avvenuta consegna a firma del Dipartimento amministrativo dell'Aeronautica civile colombiana e della stessa AGUSTA, vistato dall'Ambasciata d'Italia in Colombia) che l'elicottero e le altre forniture indicate in contratto furono prese in consegna dal beneficiario, perfettamente funzionanti, sin dal 26 novembre 1991 e, cioè, entro i 180 giorni lavorativi prescritti dal contratto medesimo, eccezion fatta per alcune componenti


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del materiale di ricambio consegnate dalla Società il 2 novembre 1994 e cioè con notevole ritardo (483 giorni lavorativi). Risulta altresì in atti che, in data 2 novembre 1994, fu emesso certificato di collaudo finale da parte dell'apposita Commissione nominata dalla DGCS.
Risultava ancora non pagato, alla data del 24 marzo 1995, alla AGUSTA l'importo a saldo di lit. 1.614.189.915, corrispondente al 30 per cento del prezzo delle forniture al netto dell'anticipazione a garanzia, ricevuta dalla Società predetta.
Successivamente, in data 30 giugno 1995, detta ultima
tranche dell'importo contrattuale venne saldata, ma la Società presentò diverse istanze per il riconoscimento di interessi di ritardato pagamento, computati in un primo momento in lit. 483.412.474 e poi lievitati, con il decorso del tempo, fino all'importo di lit. 616.655.860. A questo punto, la direzione generale, chiariti i dubbi giuridici ed amministrativi che pur sussistevano circa l'ammissibilità (l'an) della richiesta societaria (in particolare, vi era questione interpretativa su alcune clausole contrattuali), dispose il pagamento di lit. 616.655.860, venendo incontro all'istanza di AGUSTA, ma il decreto di liquidazione (n. 3738 del 16 ottobre 1996) venne bloccato da un rilievo di Ragioneria del 25 novembre 1996. Alla risposta dell'amministrazione fece seguito ulteriore rilievo, il 19 febbraio 1997 e, ancora, una «replica» dell'organo di controllo si ebbe in data 18 novembre 1997 (il decreto, intanto, era stato riproposto con n. 198 del 28 gennaio 1997). I rilievi mettevano in dubbio la correttezza del riconoscimento degli interessi sotto vari profili, sia nell'an che nel quantum.
Come è noto, all'epoca i rilievi della Ragioneria avevano l'effetto di sospendere l'efficacia dei decreti della direzione generale, fino alla concessione del visto da parte della Ragioneria stessa, visto che poteva anche non essere concesso, qualora le risposte dell'amministrazione non fossero state reputate esaustive e soddisfacenti, a supporto della decisione assunta con la decretazione. Nel caso in esame, la direzione generale decise di non insistere oltre, data la persistente contrarietà della Ragioneria alla corresponsione dei suddetti interessi.
La AGUSTA nel frattempo veniva incorporata nella FINMECCANICA, di cui è divenuta uno specifico «Settore», come da atto di fusione per incorporazione del 23 dicembre 1996.
Il nuovo soggetto societario (incorporante) riprese a rivendicare la somma che, in precedenza, la DGCS non era riuscita a pagare alla incorporata, naturalmente accrescendo di molto le pretese, per l'ulteriore decorso del tempo. L'avvocato Leone Pontecorvo, del Foro di Roma, legale della FINMECCANICA significò al MAE diffida ad adempiere il 23 marzo 1999, con riserva di ricorrere al giudizio arbitrale in caso di mancato raggiungimento di un accordo.
A questo punto, dopo vari incontri di approfondimento e di confronto con rappresentanti della Società e con l'avvocato Pontecorvo, si elaborò un atto di transazione, supportato ovviamente dall'Avvocatura generale dello Stato, che incontrò il favore della FINMECCANICA e del suo legale. La transazione venne stipulata il 22 dicembre 1999, previo parere favorevole e visto di legittimità della A.G.S.; essa previde la corresponsione della suddetta somma di lit. 616.655.850 (a suo tempo computata a titolo di interessi di ritardato pagamento nella misura legale, con riferimento alla esecuzione del contratto) che divenne, in sostanza, la sorte capitale dell'accordo transattivo. La Società rinunciò ad attualizzare detto importo (risalente al 1996, siamo a fine 1999) di interessi legali di ritardato pagamento e di eventuale rivalutazione e interessi moratori. Va da sé che la stipula della transazione consentì di evitare un contenzioso arbitrale in cui, quasi certamente, l'Amministrazione avrebbe perso per una somma ben maggiore, se si considera altresì il tempo necessario al formarsi di un giudicato, attraverso i vari gradi di giudizio.
Per inciso, non è esatta l'affermazione secondo la quale con la transazione si sarebbero corrisposti anche ulteriori interessi, in aggiunta alla somma sopra menzionata. La convenienza a transigere per il MAE è consistita proprio nella rinuncia da


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parte di FINMECCANICA ad attualizzare e ad accrescere di altri oneri, ciò che nel 1996 si era già tentato di liquidarle per via ordinaria (decreto).
In sostanza, dalla esposizione dei fatti emerge che:
a) il ritardo nel pagamento dell'ultima tranche contrattuale (genesi della successiva vertenza) può essere ascrivibile ad alcune disfunzioni nel pagamento dei contratti, nonché allo stesso ritardo nella nomina della Commissione di collaudo; sebbene non deve trascurarsi che anche la esecutrice AGUSTA ritardò notevolmente la consegna di alcuni pezzi di ricambio; b) l'Amministrazione ha tentato in tutti i modi di corrispondere la somma che era stata computata, nel contraddittorio con la Società, quale riconoscibile a titolo di interessi di ritardato pagamento, ma incontrò una persistente opposizione della Ragioneria, che all'epoca si valeva del meccanismo del visto di efficacia per bloccare il corso dei provvedimenti; c) la convenienza del raggiunto accordo transattivo con l'incorporante FINMECCANICA è di tutta evidenza, sia quanto all'entità della posta, sia all'utilità del transigere per l'interesse dell'Amministrazione.
Infine, si fa rilevare che l'Ufficio di Ragioneria, nel vagliare gli atti relativi alla transazione (e, ovviamente, allo stesso contratto a monte), non ha ritenuto di inoltrare denuncia alla Procura della Corte dei conti, non rinvenendo elementi di responsabilità imputabili a carico di appartenenti all'Amministrazione.

19) SOMALIA/RTI (GIZA, DELMA, L'AGRICOLA)

Gli elementi conoscitivi relativi al presente caso sono contenuti nella risposta già fornita al punto dell'interrogazione parlamentare n. 4-07696 dell'onorevole Costa.

20) EGITTO/CMT: «Potenziamento del Medical Research Institute dell'Università di Alessandria d'Egitto». Rep. n. 609.

In data 17 maggio 1991, il MAE affida al consorzio C.M.T., costituito da: II Università di Roma «Tor Vergata», Consorzio «Mario Negri Sud» ed ITAL.CO.SER l'esecuzione del progetto summenzionato.
Per la realizzazione di tale iniziativa, la cui durata era stimata in anni sei, ed il cui costo finanziato era di lit. 25.330.011.000 (IVA compresa) il consorzio era tenuto all'effettuazione delle seguenti operazioni: progettazione e costruzione di un Centro di Ricerca ad Alessandria d'Egitto; fornitura di attrezzature (elettromedicali, computers, tipografiche) per l'allestimento del Centro di ricerca; fornitura di attrezzature scientifiche in Italia; prestazioni di servizi vari.
Si provvide, dunque, alla nomina della direzione lavori, per il succitato programma, e la scelta del relativo professionista cui affidare tale incarico, ricadde sull'architetto Leoni previo esame dei curricula da parte del gruppo di lavoro all'uopo appositamente costituito dalla DGCS.
Con nota del 19 agosto 1991, il succitato professionista ha accettato l'incarico in questione, assicurando la propria disponibilità immediata all'inizio delle attività; con la successiva nota del 23 novembre 1992 l'architetto Leoni ha preso atto del contenuto delle prestazioni oggetto dell'incarico, meglio specificato a seguito di riunioni presso l'Unità Tecnica Centrale della DGCS.
Successivamente al succitato scambio di note, non si è addivenuti, in tempi ordinari, alla stipula del previsto disciplinare, a causa di intervenuti disaccordi fra la DGCS ed il professionista, riguardo alcuni punti particolari dell'oggetto dell'incarico, oltreché delle modalità di svolgimento del medesimo e della stessa entità della parcella, pur avendo l'architetto Leoni provveduto a rendere determinate prestazioni iniziali inerenti il compito, su impulso della stessa DGCS, nelle more del perfezionamento dell'incarico.
A questo punto l'architetto Leoni, ritenendo non accettabili le modifiche apportate al programma in rapporto ai riflessi che - a suo convincimento - poteva subire l'incarico di direzione lavori, su cui tra l'altro permanevano i disaccordi citati con la DGCS, comunicò la propria decisione di rinunciare all'incarico medesimo, svolto parzialmente sino alla predetta data, senza


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che fosse stato conseguito il perfezionamento formale del relativo disciplinare.
Giunti a questo punto, la DGCS ritenne conveniente avocare alla competenza dei propri Uffici tecnici la direzione lavori in argomento, cosa pienamente legittima, ma si rese necessario provvedere alla corresponsione a beneficio dell'architetto Leoni degli onorari spettantegli per le prestazioni rese in buona fede sulla base della sola lettera di conferimento.
Si ritenne poi che la via più idonea e corretta per la corresponsione dei suddetti onorari fosse quella della liquidazione in forma ordinaria di una parcella inerente a un incarico conferito ed accettato ufficialmente, seppur non perfezionato in tutte le necessarie fasi del relativo procedimento amministrativo, ed il cui inizio in via di fatto è pienamente giustificabile, dato l'impulso della DGCS e la correttezza e buona fede del professionista nel tentativo di mantenere il rispetto degli originari tempi contrattuali del programma.
Allo stato delle cose non era possibile sotto il profilo giuridico stipulare un formale contratto con riferimento alle prestazioni già rese, e, nel caso di specie, non si ravvisano gli elementi di fatto né i presupposti tipici dell'istituto giuridico del riconoscimento di debito, poiché sussiste un incarico della DGCS al professionista ed una sua corrispondente espressa volontà di accettare, pur non essendo stato perfezionato il conseguente disciplinare.
Nel luglio del 1997 si provvide dunque a liquidare al succitato professionista la parcella per i lavori sino a quel momento da lui espletati, corrispondendogli la somma di lit. 93.436.000, e contestualmente l'architetto Leoni rilasciò nei confronti del MAE-DGCS quietanza liberatoria, dichiarando che non aveva più nulla a che pretendere nei confronti del MAE.
Nessun contenzioso vero e proprio dunque si è mai ingenerato tra il Leoni ed il MAE.
Per ciò che concerne invece l'oggetto dell'interrogazione parlamentare, ovverosia il pagamento a titolo di interessi (per ritardato pagamento) a CMT della somma di 474.121.240 delle vecchie lire, si precisa che tra questa amministrazione e l'esecutrice del programma nessun contenzioso si è mai prodotto. Infatti il succitato pagamento, il cui importo esatto è stato tra l'altro di lit. 468.757.529, corrisposto con mandato di pagamento del 17 giugno 1999 n. 1999/0000028/5, avvenne a seguito di riconoscimento da parte della DGCS, su istanza del Consorzio, in via meramente amministrativa.
Il prodursi di tali interessi di ritardato pagamento, nell'ambito del contratto base con CMT, deriva naturalmente dalle descritte vicende relative alla direzione lavori, che ritardarono l'esecuzione dei lavori veri e propri.
La Procura della Corte dei conti, svolte indagini sul caso, ha archiviato la pratica in data 13 novembre 2002 non ravvisando responsabilità perseguibili.

TITTI DE SIMONE. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
all'inizio del mese di dicembre 2003 è stato occupato a Bologna l'immobile sito in via Azzo Gardino, 61 da tempo vuoto e non utilizzato di proprietà di Monopoli di Stato precedentemente utilizzato come sede del dopolavoro;
l'idea degli occupanti era quella di realizzare un vero e proprio Media center, aperto a tutti, un luogo di incontro e di riferimento per la città;
nel lasso di tempo in cui è rimasto aperto lo spazio di via Azzo Gardino ha confermato la sua vocazione di luogo aperto alla città, di luogo pieno di iniziative, di mostre, di incontro, di sala studio per studenti;
l'immobile di via Azzo Gardino 61 è stato sgomberato all'inizio di gennaio;
lo sgombero è avvenuto mentre erano in corso trattative tra la proprietà e alcuni organi istituzionali e dopo un'incontro avvenuto tra i rappresentanti dei Monopoli di Stato e alcuni parlamentari della zona;
il 9 gennaio era previsto un incontro in regione per discutere del progetto del


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Media center, ed era emersa la disponibilità della regione Emilia-Romagna di contribuire, anche a livello economico, all'apertura di uno spazio per la comunicazione e per l'informazione;
si sarebbe dovuta svolgere a metà gennaio una riunione del tavolo tecnico con Monopoli di Stato, Ministero delle finanze, comune, regione e parlamentari al fine di cercare una soluzione alla vertenza in un clima di ampia collaborazione;
suscita perplessità il fatto che lo sgombero sia stato deciso proprio contemporaneamente all'inizio delle operazioni scattate in seguito all'attentato al Presidente della Comunità europea Romano Prodi e all'indomani delle polemiche sulla sicurezza che ne sono scaturite: non sarebbe accettabile, secondo l'interrogante, alcun parallelismo tra terrorismo ed altre forme di contestazione -:
per quali motivi si sia deciso di procedere allo sgombero dell'immobile di via Azzo Gardino, 61 nonostante negli incontri avvenuti si fosse deciso di trovare una soluzione alla vertenza;
se l'azione di sgombero si ricolleghi in qualche modo alle iniziative messe in atto dalle forze dell'ordine e dell'antiterrorismo nell'ambito della vicenda dei pacchi bomba.
(4-08653)

Risposta. - Si comunica che il 6 dicembre 2003 un gruppo di giovani ha occupato uno stabile dismesso di proprietà dei Monopoli di Stato, ubicato a Bologna.
Il giorno successivo, il capo dell'ispettorato compartimentale dei Monopoli di Stato ha sporto, per conto della propria amministrazione, formale denuncia-querela a carico di ignoti per invasione di edificio, chiedendo contestualmente il reintegro nel possesso dello stabile.
La denuncia è stata inoltrata all'autorità giudiziaria il 9 dicembre, il giorno 29 la questura di Bologna ha proceduto allo sgombero e alla riconsegna della struttura ai Monopoli di Stato.
Non risulta e, comunque, non è mai stata rappresentata dai Monopoli di Stato una trattativa in corso con gli occupanti.
La questura di Bologna ha, infine, precisato che non sussiste alcun collegamento tra lo sgombero e le iniziative poste in essere dalle forze di polizia per risalire ai responsabili dei plichi esplosivi inviati, nel medesimo periodo, ad autorità italiane ed estere.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.

DELMASTRO DELLE VEDOVE. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nel corso dell'anno 1991 il ministero degli affari esteri stipulò con la società Agusta spa un contratto per la fornitura di un elicottero A 109/C nell'ambito del programma di cooperazione con la Colombia;
la società Agusta spa provvide alla consegna del velivolo e cercò di ottenere il pagamento;
dopo un lungo contenzioso la società Agusta spa ha ottenuto il pagamento della sorte capitale oltre ad interessi per complessive 616.655.850 vecchie lire -:
se le cifre riportate in premessa siano rispondenti a verità;
in caso affermativo, quali siano le ragioni del grave ritardo nel pagamento;
se non vi siano responsabilità tali da rendere necessaria la trasmissione degli atti alla procura regionale della Corte dei conti.
(4-07708)

Risposta. - Con l'atto parlamentare cui si risponde l'interrogante evidenzia uno dei casi di contenzioso che hanno coinvolto la nostra Cooperazione allo Sviluppo, sin dal 1987, e che sono stati risolti in questo ultimo quinquennio (1998-2003) a seguito di lodi arbitrali, sentenze dei tribunali ordinari, o in via transattiva.
Sulle cause che hanno ingenerato molte delle controversie sopracitate dovrebbero


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essere tenuti nella debita considerazione alcuni fattori di oggettiva difficoltà: anzitutto la non facile scelta dei contraenti, avvenuta all'epoca in mancanza di procedure concorsuali certe e trasparenti; la non agevole definizione poi dei primi impegni contrattuali, che conseguentemente non ha previsto tutte le possibili ipotesi in seguito verificatesi; l'impostazione sperimentale dei progetti in una fase iniziale e nuova della nostra cooperazione allo sviluppo; il verificarsi in loco di fattori non previsti (calamità naturali, crisi militari o politiche, instabilità giuridica ed amministrativa, incapacità gestionale dei beneficiari) che hanno ritardato o reso irrealizzabili varie iniziative intraprese. Va infatti evidenziato che svariati casi citati si riferiscono al periodo in cui iniziative di cooperazione vennero avviate nell'ambito del Fondo Aiuti Italiani (FAI), con un approccio poi profondamente ripensato sia in termini di finalità che di procedure operative e di controllo.
In linea generale va poi ricordata l'esigenza di avere un riscontro operativo da parte di altri organi dello Stato coinvolti nella trattazione del contenzioso o nell'esercizio del controllo contabile e nell'esame di conformità alla legge. Prima dell'approvazione del decreto del Presidente della Repubblica 20 febbraio 1998, la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del MAE era infatti strettamente vincolata al visto di ragioneria quale necessaria condizione di efficacia dei suoi provvedimenti: questo ha indubbiamente implicato per tali provvedimenti procedure purtroppo non celeri - con ripetuti rilievi e repliche - che hanno causato inevitabilmente l'accrescersi degli interessi per ritardato pagamento in caso di contenziosi. Dopo l'approvazione del citato decreto del Presidente della Repubblica e la soppressione del «visto», quale condizione sospensiva dell'efficacia del provvedimento, la situazione è nettamente migliorata, almeno sotto questo profilo, consentendo una maggiore speditezza dei controlli.
Il superamento di una difficile situazione pregressa è stato in questi ultimi anni un obiettivo prioritario per il Ministero degli affari esteri: la valutazione complessiva di questi ed altri analoghi casi - senza voler escludere specifiche manchevolezze o carenze - deve tuttavia considerare le innegabili difficoltà e vischiosità che in questo settore sono state riscontrate anche nell'esperienza - sovente ben più collaudata della nostra - di organismi multilaterali o di altri donatori internazionali.
Al fine di meglio contestualizzare le problematiche affrontate dall'On. Interrogante, sembra tuttavia utile inquadrarle e valutarle da un punto di vista storico-giuridico, mettendo in luce i molteplici fattori e circostanze che ne hanno caratterizzato le vicende. Il caso in questione si colloca nei più importanti tra i 657 «repertoriati» dall'inizio dell'attività della Cooperazione allo Sviluppo in Italia. La maggior parte di questi 657 casi di contenzioso è stata chiusa (435 al 31 marzo 2003) ed ulteriori casi vengono risolti ogni mese mediante il ricorso a pratiche transattive che - qualora si giudichino oggettivamente fondate le ragioni della parte avversa - sono un mezzo di composizione delle controversie certamente molto meno oneroso per l'erario del pagamento, dopo svariati anni, di quanto stabilito da lodi arbitrali o sentenze sfavorevoli.
A questo riguardo va anzitutto sottolineato che la soccombenza del ministero degli affari esteri per un ammontare complessivo di circa trecento miliardi di lire - se considerata nel quadro delle attività globali della Cooperazione allo Sviluppo svolte in questi ultimi quindici anni - si riduce ad una misura largamente inferiore al due per cento di tutti gli investimenti effettuati per la realizzazione di programmi o progetti. Questo ammontare appare quindi nettamente inferiore alla «soglia di contenzioso fisiologico» del 10 per cento, prevista dal legislatore per un appalto di lavori (si veda la legge-quadro in materia di lavori pubblici: legge n. 109 del 1994, articolo 31-
bis estesa per «analogia iuris» alla generalità degli appalti).
Va inoltre rimarcato che ogni caso è meglio inquadrabile con una trattazione completa, anche sotto il profilo della valutazione tecnica, amministrativa e contabile, effettuata a tutti i competenti livelli, I dati


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citati nell'atto in esame si riferiscono infatti quasi esclusivamente alla fase del controllo contabile e di conformità alla legge di ciascuna iniziativa, mancando tutte le valutazioni tecniche e gestionali effettuate da altri organi dello Stato quali l'Avvocatura Generale o la Corte dei conti; né si tiene conto dei risultati dell'eventuale esame giurisdizionale effettuato da parte della procura regionale competente della Corte dei conti.
La corretta applicazione delle procedure concorsuali, la semplificazione delle procedure amministrative, la netta preferenza per l'accordo transattivo (rispetto ai lodi arbitrali o alle sentenze del tribunale) hanno già reso l'azione italiana in questo campo più sollecita ed efficace, senza peraltro impedire che ulteriori provvedimenti amministrativi o gestionali possano ancora migliorare la nostra azione. È a tal fine, infatti, che tende un complesso e articolato processo di revisione delle procedure amministrative seguite dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo e dalle nostre Ambasciate nel realizzare i progetti o i programmi previsti: questo obiettivo viene perseguito attraverso una drastica semplificazione di tutte le procedure e la verifica della loro completa conformità alla normativa vigente (in continua evoluzione) che favoriscano una gestione moderna ed efficace delle iniziative di cooperazione intraprese dall'Italia.
Parallelamente alla revisione delle procedure, è in corso, in attuazione della delega legislativa conferita con l'articolo 3, comma 43 della legge finanziaria per il 2003, la predisposizione di provvedimenti che correggano le inadeguatezze normative che hanno causano quelle disfunzioni in passato più volte riscontrate.
Più specificatamente, si forniscono qui di seguito gli elementi di risposta relativi al caso a cui si fa riferimento nell'interrogazione in questione.
In data 15 aprile 1991 fu stipulato il contratto tra il MAE-DGCS e la AGUSTA S.p.A. avente ad oggetto il programma denominato: «Fornitura alla COLOMBIA di un elicottero A109/C», approvato con decreto ministeriale n. 1991/128/1613/0 del 30 maggio 1991, per l'importo di lire 7.173.599.470.
Risulta in atti (certificato di navigabilità dell'8 novembre 1991; verbale di avvenuta consegna a firma del Dipartimento amministrativo dell'Aeronautica civile colombiana e della stessa AGUSTA, vistato dall'Ambasciata d'Italia in Colombia) che l'elicottero e le altre forniture indicate in contratto furono prese in consegna dal Beneficiario, perfettamente funzionanti, sin dal 26 novembre 1991 e, cioè, entro i 180 giorni lavorativi prescritti dal contratto medesimo, eccezion fatta per alcune componenti del materiale di ricambio consegnate dalla società il 2 novembre 1994 e cioè con notevole ritardo (483 giorni lavorativi). Risulta altresì in atti che, in data 2 novembre 1994, fu emesso certificato di collaudo finale da parte dell'apposita commissione nominata dalla DGCS.
Risultava ancora non pagato, alla data del 24 marzo 1995, alla AGUSTA l'importo a saldo di lire 1.614.189.915, corrispondente al 30 per cento del prezzo delle forniture al netto dell'anticipazione a garanzia, ricevuta dalla Società predetta.
Successivamente, in data 30 giugno 1995, detta ultima
tranche dell'importo contrattuale venne saldata, ma la Società presentò diverse istanze per il riconoscimento di interessi di ritardato pagamento computati in un primo momento in lire 483.412.474 e poi lievitati, con il decorso del tempo, fino all'importo di lire 616.655.860. A questo punto, la Direzione Generale, chiariti i dubbi giuridici ed amministrativi che pur sussistevano circa l'ammissibilità (l'an) della richiesta societaria (in particolare vi era questione interpretativa su alcune clausole contrattuali), dispose il pagamento di lire 616.655.860, venendo incontro all'istanza di AGUSTA, ma il decreto i liquidazione (n. 3738 del 16 ottobre 1996) venne bloccato da un Rilievo di Ragioneria del 25 novembre 1996. Alla risposta dell'Amministrazione fece seguito ulteriore Rilievo, il 19 febbraio 1997 e, ancora, una «replica» dell'Organo di controllo si ebbe in data 18 novembre 1997 (il decreto, intanto, era stato riproposto con


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n. 198 del 28 gennaio 1997). I Rilievi mettevano in dubbio la correttezza del riconoscimento degli interessi sotto vari profili, sia nell'an che nel quantum.
Come è noto, all'epoca i Rilievi della Ragioneria avevano l'effetto di sospendere l'efficacia dei decreti della direzione generale, fino alla concessione del visto da parte della Ragioneria stessa, visto che poteva anche non essere concesso, qualora le risposte dell'Amministrazione non fossero state reputate esaustive e soddisfacenti, a supporto della decisione assunta con la decretazione. Nel caso in esame, la Direzione generale decise di non insistere oltre, data la persistente contrarietà della Ragioneria alla corresponsione dèi suddetti interessi.
La AGUSTA nel frattempo veniva incorporata nella FINMECCANICA, di cui è divenuta uno specifico «Settore», come da atto di fusione per incorporazione del 23 dicembre 1996.
Il nuovo soggetto societario (incorporante) riprese a rivendicare la somma che, in precedenza, la DGCS non era riuscita a pagare alla incorporata, naturalmente accrescendo di molto le pretese, per l'ulteriore decorso del tempo. L'avvocato Leone Pontecorvo, del Foro di Roma, legale della FINMECCANICA significò al MAE diffida ad adempiere il 23 marzo 1999, con riserva di ricorrere al giudizio arbitrale in caso di mancato raggiungimento di un accordo.
A questo punto, dopo vari incontri di approfondimento e di confronto con rappresentanti della società e con l'avvocato Pontecorvo, si elaborò un atto di transazione, supportato ovviamente dall'Avvocatura Generale dello Stato, che incontrò il favore della FINMECCANICA e del suo legale.
La transazione venne stipulata il 22 dicembre 1999, previo parere favorevole e visto di legittimità della A.G.S.; essa previde la corresponsione della suddetta somma di lire 616.655.850 (a suo tempo computata a titolo di interessi di ritardato pagamento nella misura legale, con riferimento alla esecuzione del contratto) che divenne, in sostanza, la sorte capitale dell'accordo transattivo. La Società rinunciò ad attualizzare detto importo (risalente al 1996, siamo a fine 1999) di interessi legali di ritardato pagamento e di eventuale rivalutazione e interessi moratori. Va da sé che la stipula della transazione consentì di evitare un contenzioso arbitrale in cui, quasi certamente, l'Amministrazione avrebbe perso per una somma ben maggiore, se si considera altresì il tempo necessario al formarsi di un giudicato, attraverso i vari gradi di giudizio.
Per inciso, non è esatta l'affermazione secondo la quale con la transazione si sarebbero corrisposti anche ulteriori interessi, in aggiunta alla somma sopra menzionata. La convenienza a transigere per il MAE è consistita proprio nella rinuncia da parte di FINMECCANICA ad attualizzare e ad accrescere di altri oneri, ciò che nel 1996 si era già tentato di liquidarle per via ordinaria (decreto).
In sostanza, dalla esposizione dei fatti emerge che:
a) il ritardo nel pagamento dell'ultima tranche contrattuale (genesi della successiva vertenza) può essere ascrivibile ad alcune disfunzioni nel pagamento dei contratti, nonché allo stesso ritardo nella nomina della commissione di collaudo; sebbene non deve trascurarsi che anche la esecutrice AGUSTA ritardò notevolmente la consegna di alcuni pezzi di ricambio; b) l'amministrazione ha tentato in tutti i modi di corrispondere la somma che era stata computata, nel contraddittorio con la società, quale riconoscibile a titolo di interessi di ritardato pagamento ma incontrò una persistente opposizione della Ragioneria, che all'epoca si valeva del meccanismo del visto di efficacia per bloccare il corso dei provvedimenti; c) la convenienza del raggiunto accordo transattivo con l'incorporante FINMECCANICA è di tutta evidenza, sia quanto all'entità della posta, sia all'utilità del transigere per l'interesse dell'amministrazione.
Infine, si fa rilevare che l'Ufficio di Ragioneria, nel vagliare gli atti relativi alla transazione (e, ovviamente, allo stesso contratto a monte), non ha ritenuto di inoltrare denuncia alla Procura della Corte dei conti, non rinvenendo elementi di responsabilità imputabili a carico di appartenenti all'amministrazione.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Luigi Mantica.


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DELMASTRO DELLE VEDOVE. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
a seguito di stipula di contratto, nel 1989, fra la società Cotecno e la Direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo avente ad oggetto la «Preparazione, presso le istituzioni educative di livello superiore, di quadri tecnici esperti nella generazione, trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica presso il Politecnico di Amman in Giordania», sono insorte controversie decise con lodo arbitrale 6 aprile 2000 cui è seguito l'atto di precetto;
l'amministrazione, al fine, ha dovuto stanziare la somma di 1.287.488.000 di vecchie lire di cui 502.289.830 per sorte capitale e 790.007.390 per interessi, diritti e spese di giudizio -:
se le cifre esposte in premessa siano rispondenti a verità;
quali siano state le ragioni del contenzioso insorto con la società Cotecno e se, attraverso la motivazione contenuta nel lodo arbitrale, sia possibile individuare elementi di responsabilità amministrativa di coloro che hanno gestito la pratica;
se, comunque, sia stata disposta la trasmissione della copia degli atti alla procura regionale della Corte dei conti per l'eventuale azione di recupero del danno erariale subito dall'amministrazione.
(4-07709)

Risposta. - Con l'atto parlamentare cui si risponde l'interrogante evidenzia uno dei casi di contenzioso che hanno coinvolto la nostra Cooperazione allo Sviluppo, sin dal 1987, e che sono stati risolti in questo ultimo quinquennio (1998-2003) a seguito di lodi arbitrali, sentenze dei tribunali ordinari, o in via transattiva.
Sulle cause che hanno ingenerato molte delle controversie sopracitate dovrebbero essere tenuti nella debita considerazione alcuni fattori di oggettiva difficoltà: anzitutto la non facile scelta dei contraenti, avvenuta all'epoca in mancanza di procedure concorsuali certe e trasparenti; la non agevole definizione poi dei primi impegni contrattuali, che conseguentemente non ha previsto tutte le possibili ipotesi in seguito verificatesi; l'impostazione sperimentale dei progetti in una fase iniziale e nuova della nostra cooperazione allo sviluppo; il verificarsi in loco di fattori non previsti (calamità naturali, crisi militari o politiche, instabilità giuridica ed amministrativa, incapacità gestionale dei beneficiari) che hanno ritardato o reso irrealizzabili varie iniziative intraprese. Va infatti evidenziato che svariati casi citati si riferiscono al periodo in cui iniziative di cooperazione vennero avviate nell'ambito del Fondo Aiuti Italiani (FAI), con un approccio poi profondamente ripensato sia in termini di finalità che di procedure operative e di controllo.
In linea generale va poi ricordata l'esigenza di avere un riscontro operativo da parte di altri organi dello Stato coinvolti nella trattazione del contenzioso o nell'esercizio del controllo contabile e nell'esame di conformità alla legge. Prima dell'approvazione del decreto del Presidente della Repubblica 20 febbraio 1998, la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del MAE era infatti strettamente vincolata al visto di ragioneria quale necessaria condizione di efficacia dei suoi provvedimenti: questo ha indubbiamente implicato per tali provvedimenti procedure purtroppo non celeri - con ripetuti rilievi e repliche - che hanno causato inevitabilmente l'accrescersi degli interessi per ritardato pagamento in caso di contenziosi. Dopo l'approvazione del citato decreto del Presidente della Repubblica e la soppressione del «visto», quale condizione sospensiva dell'efficacia del provvedimento, la situazione è nettamente migliorata, almeno sotto questo profilo, consentendo una maggiore speditezza dei controlli.
Il superamento di una difficile situazione pregressa è stato in questi ultimi anni un obiettivo prioritario per il Ministero degli affari esteri: la valutazione complessiva di questi ed altri analoghi casi - senza voler escludere specifiche manchevolezze o carenze - deve tuttavia considerare le innegabili difficoltà e vischiosità che in questo settore sono state riscontrate anche


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nell'esperienza - sovente ben più collaudata della nostra - di organismi multilaterali o di altri donatori internazionali.
Al fine di meglio contestualizzare le problematiche affrontate dall'On. Interrogante, sembra tuttavia utile inquadrarle e valutarle da un punto di vista storico-giuridico, mettendo in luce i molteplici fattori e circostanze che ne hanno caratterizzato le vicende. Il caso in questione si colloca nei più importanti tra i 657 «repertoriati» dall'inizio dell'attività della Cooperazione allo Sviluppo in Italia. La maggior parte di questi 657 casi di contenzioso è stata chiusa (435 al 31 marzo 2003) ed ulteriori casi vengono risolti ogni mese mediante il ricorso a pratiche transattive che - qualora si giudichino oggettivamente fondate le ragioni della parte avversa - sono un mezzo di composizione delle controversie certamente molto meno oneroso per l'erario del pagamento, dopo svariati anni, di quanto stabilito da lodi arbitrali o sentenze sfavorevoli.
A questo riguardo va anzitutto sottolineato che la soccombenza del ministero degli affari esteri per un ammontare complessivo di circa trecento miliardi di lire - se considerata nel quadro delle attività globali della Cooperazione allo Sviluppo svolte in questi ultimi quindici anni - si riduce ad una misura largamente inferiore al due per cento di tutti gli investimenti effettuati per la realizzazione di programmi o progetti. Questo ammontare appare quindi nettamente inferiore alla «soglia di contenzioso fisiologico» del 10 per cento, prevista dal legislatore per un appalto di lavori (si veda la legge-quadro in materia di lavori pubblici: legge n. 109 del 1994, articolo 31-
bis estesa per «analogia iuris» alla generalità degli appalti).
Va inoltre rimarcato che ogni caso è meglio inquadrabile con una trattazione completa, anche sotto il profilo della valutazione tecnica, amministrativa e contabile, effettuata a tutti i competenti livelli. I dati citati nell'atto in esame si riferiscono infatti quasi esclusivamente alla fase del controllo contabile e di conformità alla legge di ciascuna iniziativa, mancando tutte le valutazioni tecniche e gestionali effettuate da altri organi dello Stato quali l'Avvocatura Generale o la Corte dei conti; né si tiene conto dei risultati dell'eventuale esame giurisdizionale effettuato da parte della procura regionale competente della Corte dei conti.
La corretta applicazione delle procedure concorsuali, la semplificazione delle procedure amministrative, la netta preferenza per l'accordo transattivo (rispetto ai lodi arbitrali o alle sentenze del tribunale) hanno già reso l'azione italiana in questo campo più sollecita ed efficace, senza peraltro impedire che ulteriori provvedimenti amministrativi o gestionali possano ancora migliorare la nostra azione. È a tal fine, infatti, che tende un complesso e articolato processo di revisione delle procedure amministrative seguite dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo e dalle nostre Ambasciate nel realizzare i progetti o i programmi previsti: questo obiettivo viene perseguito attraverso una drastica semplificazione di tutte le procedure e la verifica della loro completa conformità alla normativa vigente (in continua evoluzione) che favoriscano una gestione moderna ed efficace delle iniziative di cooperazione intraprese dall'Italia.
Parallelamente alla revisione delle procedure, è in corso, in attuazione della delega legislativa conferita con l'articolo 3, comma 43 della legge finanziaria per il 2003, la predisposizione di provvedimenti che correggano le inadeguatezze normative che hanno causano quelle disfunzioni in passato più volte riscontrate.
Più specificatamente, si forniscono qui di seguito gli elementi di risposta relativi al caso a cui si fa riferimento nell'interrogazione in questione.
Nell'ambito delle finalità previste dalla legge n. 49/1987, il Ministero del Piano del Regno Hascemita di Giordania inviava al Governo Italiano la richiesta di cooperazione in data 4 maggio 1985, avente ad oggetto l'istituzione di un'unità pilota nel settore elettrico per la formazione di tecnici impiantistici in alta e media tensione presso l'istituto Politecnico di Amman. Lo stesso Ministero del Piano indicava come esecutore del programma la Società Cotecno, che si


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dichiarava disponibile a fornire i richiesti servizi, presentando la proposta del 9 novembre 1987 per l'ammontare di lire 3.250.000.000, al netto di I.V.A. L'iniziativa veniva approvata dal Comitato Direzionale per la Cooperazione allo Sviluppo, con delibera del 28 luglio 1988, n. 220, che ne autorizzava l'attuazione mediante la stipula di un contratto con la società Cotecno della durata di quarantadue mesi al corrispondente importo. Quest'ultimo veniva poi ridotto a lire 2.509.700.000 anche sulla base di un parere di congruità del competente ufficio tecnico. Un ulteriore importo di lire 118.200.000 veniva tenuto a disposizione per compensare l'incremento dei prezzi nei due anni successivi al primo. Su richiesta della Cotecno, il suddetto corrispettivo contrattuale veniva aggiornato a lire 2.653.570.000, al mese di maggio 1989 sulla base degli indici ISTAT. In data 23 giugno 1989 veniva pertanto stipulato tra il M.A.E.D.G.C.S. e la Società Cotecno un contratto, da realizzarsi nell'arco di 42 mesi, con oggetto lo sviluppo presso le istituzioni educative di livello superiore - nella specie l'istituto Politecnico di Amman - della preparazione di quadri tecnici esperti nel campo della generazione, trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica. Il contratto, approvato dal ministero degli affari esteri il 28 giugno 1990 con decreto divenuto efficace ed esecutivo il 21 novembre 1990, prevedeva:
a) la fornitura c.i.f. Amman di attrezzature didattiche;
b) prestazioni in loco suddivise in missioni brevi ed in missioni lunghe di esperti;
c) elaborazione di programmi di informazione per attività didattiche in loco;
d) elaborazione di sussidi didattici per la formazione in loco;
e) formazione in Italia di esperti giordani;
f) spese di gestione in loco per le quali la Cotecno era delegata all'impiego di una somma per contribuire alla gestione del programma in Giordania.

Come innanzi si è visto, la D.G.C.S. si obbligava a corrispondere alla Cotecno l'importo complessivo di lire 2.653.570.000, oltre I.V.A., così ripartiti: lire 1.080.960.000 per fornitura Amman; lire 1.000.700.000 per prestazioni in Giordania; lire 140.000.000 per elaborazione preliminare e definitiva dei programmi di formazione; lire 1.190.000.000 per elaborazione di sussidi didattici; lire 182.160.000 per la realizzazione dei corsi di formazione in Italia degli esperti giordani; lire 59.750.000 come fondo spese da effettuare per la gestione in Giordania. Oltre al pagamento dei corrispettivi l'amministrazione si obbligava ad ottenere la collaborazione della Giordania per la realizzazione del programma. I prezzi delle prestazioni concordate, erano, secondo l'articolo 9 del contratto, suscettibili di revisione a decorrere dal secondo anno successivo alla stipula del contratto, con riferimento agli indici mensili ISTAT sul costo della vita. In data 25 maggio 1990 e nelle more del perfezionamento dell'iter di approvazione, il M.A.E. modificava parzialmente il contenuto del contratto, limitando l'erogazione delle somme destinate all'assolvimento degli impegni contrattuali ed articolando le spese su quattro esercizi annuali dal 1990 al 1993. In considerazione degli eventi bellici intervenuti nel corso dell'esecuzione del contratto, l'University College della Giordania chiedeva una riarticolazione del programma. La Cotecno presentava al ministero la proposta di variante onerosa del 16 marzo 1992, che prevedeva un aumento dell'importo contrattuale pari a lire 256.642.009 sulla quale l'Ufficio tecnico della D.G.C.S. esprimeva il parere di congruità in data 31 luglio 1992, riducendo l'incremento all'importo di lire 232.617.000. Per il perfezionamento dell'approvazione della variante, l'amministrazione richiedeva, in data 8 luglio 1993, che la Cotecno sottoscrivesse un apposito atto di sottomissione. Il M.A.E. invitava nel prosieguo la Cotecno a predisporre una proposta di variante non onerosa, che comportava una redistribuzione dei corrispettivi in contratto, senza modificarne l'ammontare complessivo.


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La variante veniva predisposta ed inviata alla D.G.C.S. il 15 novembre 1993 ed il 24 novembre successivo la Società sottoscriveva il relativo Atto di sottomissione. Il 13 aprile 1994, la Cotecno sottoscriveva il relativo Atto aggiuntivo al contratto, (denominato Atto di sottomissione), che disponeva l'aumento delle forniture di attrezzature integrative di completamento, la conseguente riduzione dei corsi di formazione da realizzare in Italia per esperti giordani e degli impegni in termini di invio del personale in Giordania, nonché l'aumento dei fondi di gestione in loco, in considerazione della maggiore durata del contratto, e lo spostamento del termine di scadenza contrattuale al 20 novembre 1995. Tale Atto di sottomissione veniva approvato dalla D.G.C.S. in data 7 novembre 1994, con decorrenza dal 15 dicembre 1994. La situazione in Giordania, conduceva a posticipare le missioni preliminari di circa quattro mesi, a causa della situazione bellica e postbellica determinatasi nell'area in occasione della crisi del Golfo, nonché del protrarsi dei tempi tecnici di approvazione della variante. Con nota del 3 ottobre 1991, la Cotecno comunicava al Ministero di aver sospeso le attività nel periodo compreso tra il 15 gennaio 1991 ed il 31 maggio 1991, chiedendo, contemporaneamente, un congruo slittamento della data conclusiva delle attività in programma. Con successiva comunicazione del 21 marzo 1994, la Cotecno chiedeva al M.A.E. una proroga della durata del contratto per far fronte alla sospensione di quattro mesi e mezzo ed al ritardo con cui la stessa Amministrazione aveva provveduto ad approvare la perizia di variante non onerosa. L'intervenuta approvazione della proroga del termine di conclusione delle attività, alla data del 20 novembre 1995, veniva comunicata alla società con nota del 7 dicembre 1994. Al termine di tutte le attività, la società Cotecno, sosteneva di aver ricevuto pagamenti tardivi da parte della D.G.C.S., di aver sopportato oneri e costi aggiuntivi quali l'impiego di una maggiore quantità di mesi-uomo ed ulteriori spese per mantenere la sede del programma in Italia. Inoltre riteneva, a causa del ritardo della D.G.C.S. nell'approvazione della variante non onerosa, applicabile la revisione dei prezzi prevista dall'articolo 10 del contratto, le cui variazioni avevano stravolto l'originaria impostazione del programma. La D.G.C.S. esperiva invano tentativi di composizione bonaria della vertenza. Per tutta risposta, con domanda di arbitrato e contestuale nomina di arbitro (notificata al ministero in data 21 maggio 1999) la Società chiedeva che le venissero riconosciuti:
a) gli interessi maturati a causa del ritardo con il quale il Ministero aveva effettuato i pagamenti dovuti; b) il corrispettivo dei mesi-uomo spesi in eccedenza ed in modo difforme da quanto contrattualmente stabilito, nonché il rimborso degli oneri aggiuntivi sostenuti a causa della maggiore durata del contratto; c) il pagamento del periodo di ferie dovuto e non corrisposto per il personale espatriato in Giordania; d) la revisione dei prezzi sui corrispettivi dovuti dal Ministero a fronte delle prestazioni eseguite; e) l'equo compenso per le modifiche apportate nel corso dell'esecuzione del contratto per la diversa allocazione delle risorse disponibili; f) i maggiori oneri sostenuti a causa del ritardo con cui la D.G.C.S. aveva provveduto, a sbloccare le fidejussioni prestate a garanzia della somma riscossa a titolo di anticipazione; g) i maggiori oneri progettuali ed i costi aggiuntivi sostenuti a causa della modifica unilaterale da parte del Ministero degli importi da corrispondere come anticipazione e per ogni anno di attività.
Il collegio arbitrale si costituiva il 15 settembre 1999 nella sede prescelta presso il M.A.E. in Roma. Nella fase conclusionale la Cotecno chiedeva l'accoglimento delle domande formulate con l'atto introduttivo e precisate nella memoria depositata in sede di giudizio, nonché in particolare che «dichiarato il contratto adempiuto correttamente dalla Cotecno, venisse accertato l'inadempimento del Ministero alle proprie obbligazioni e la conseguente condanna al pagamento delle seguenti somme: in relazione al primo punto: lire 230.804.308, somma comprensiva di interessi moratori e di interessi prodotti dal capitale residuo; in relazione al secondo punto: lire 1.023.040.291, somma comprensiva di rivalutazione


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e di interessi moratori; in relazione al terzo punto: lire 293.065.450, oltre interessi e rivalutazione sino alla data del pagamento; in relazione al punto quarto: lire 1.425.912.799, oltre rivalutazione ed interessi sino alla data del pagamento; in relazione al quinto punto: lire 79.185.556, oltre interessi sino alla data del soddisfo; in relazione al sesto punto: lire 12.372.397, oltre interessi sino alla data del saldo; in relazione al settimo punto: lire 119.146.544, oltre interessi fino alla data del saldo.
L'Avvocatura dello Stato, costituitasi in giudizio per l'amministrazione, dopo aver convenuto circa l'entrata in vigore del contratto in data 21 novembre 1990, precisava, peraltro, che il 20 luglio 1991 le Autorità giordane avevano richiesto una modifica delle prestazioni commissionate, in ragione della ristrutturazione del loro sistema d'istruzione superiore, che comportava un innalzamento della formazione a livello universitario. In relazione a ciò, proseguiva l'Avvocatura dello Stato, la Cotecno aveva proposto, il 16 marzo 1992, alla D.G.C.S. una variante onerosa per soddisfare tali mutate esigenze. In osservanza del nuovo quadro normativo sui contratti di cooperazione, introdotto dai decreti-legge del 1o settembre 1993 e del 29 ottobre 1993 (che avevano vietato le varianti onerose) il 15 novembre 1993 la Cotecno presentava una proposta di variante non onerosa, che pur modificando alcune voci contrattuali, lasciava inalterato l'importo originario del contratto. La proposta veniva approvata dai competenti organi della Direzione il 10 gennaio 1994 ed in tale sede venivano ridefiniti i prezzi delle attrezzature da fornire. Essendo quindi prossima la scadenza del contratto (20 maggio 1994) senza che fosse stato concluso l'iter di approvazione della variante, la Cotecno chiedeva una proroga del contratto principale fino al 20 novembre 1995, alla quale aderiva l'Amministrazione il 10 giugno 1994, con atto formalizzato il sette dicembre successivo. L'atto di sottomissione, relativo alla suddetta variante non onerosa, veniva sottoscritto il 13 aprile 1994 ed il Decreto di approvazione della variante stessa diveniva efficace ed esecutivo, al completamento dell'iter procedimentale, il 15 dicembre 1994, giorno pertanto nel quale la variante entrava in vigore. Le attività contrattuali si concludevano nel febbraio 1996 con la presentazione da parte della Cotecno del Rapporto di fine attività e senza che in fase di esecuzione fosse stata evidenziata alcuna anomalia nello svolgimento del rapporto.
L'Avvocatura dello Stato, dopo aver ciò premesso, precisava le seguenti eccezioni in diritto circa i singoli quesiti proposti: circa il primo quesito riteneva del tutto destituita di fondamento la richiesta di ottenere gli interessi sin dalla data di compilazione delle fatture, atteso che l'articolo 8 del contratto faceva dipendere l'esigibilità dei crediti pecuniari dalla previa presentazione della relativa fattura, con ciò significando dalla ricezione delle fatture da parte del committente all'indirizzo indicato unitamente alla documentazione di volta in volta occorrente. Riteneva la Difesa Erariale del pari destituita di fondamento e contraria, al canone della buona fede, in assenza di un termine iniziale per il computo degli interessi; la pretesa della Cotecno di applicare il criterio del «
quod sine die debetur, statim debetur». Infatti la disciplina di contabilità pubblica, richiamata dall'articolo 19 del contratto, implicava che gli interessi non potevano iniziare a decorrere prima dell'emissione dei relativi singoli titoli di pagamento. In subordine, l'Avvocatura sosteneva che la decorrenza andava regolata con la franchigia di cui al decreto ministeriale del 3 marzo 1995 n. 171 (sessanta giorni), tacitamente recepita dalle parti, perché veniva utilizzata in tutti i contratti inerenti la Cooperazione allo Sviluppo. In tal senso peraltro portava a concludere la richiesta alla D.G.C.S. in data 20 maggio 1996 n. 31512 da parte della Cotecno della somma di lire 34.222.790, a titolo di ritardato pagamento dei corrispettivi contrattuali, ove si utilizzava la franchigia di giorni sessanta. Sul punto, la A.G.S. concludeva sostenendo che in ogni caso gli interessi non erano cumulabili con la rivalutazione monetaria, a meno che non si fosse voluta concretizzare una inammissibile duplicazione della copertura risarcitoria.


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Circa il secondo quesito, l'Avvocatura riteneva infondata la pretesa al corrispettivo dei mesi-uomo in eccedenza ed in difformità rispetto al contratto. Era, inoltre, senza fondamento la pretesa degli oneri aggiuntivi sopportati a causa della maggiore durata del contratto ed inerenti il funzionamento della sede del programma in Italia, atteso che il contratto non prevedeva che la Società istituisse una sede del programma in Italia. La variante apportata al contratto aveva, poi, notevolmente ridotto le proporzioni delle attività da svolgere in Italia (attività di formazione di docenti giordani) limitandole alla partecipazione di tre docenti in luogo dei sei stabiliti e, pertanto, a circa lire 98.000.000 in luogo delle iniziali lire previste in 182.000.000. Le attività erano comunque cessate alla scadenza fissata dalla variante. Sul punto pertanto l'A.G.S. concludeva che la remunerazione che poteva essere ottenuta dall'appaltatore a fronte degli oneri sostenuti non poteva essere che quella pattuita fino a tale data nell'ambito della stessa variante. Circa il terzo quesito, per l'Avvocatura risultava infondata la pretesa al pagamento del periodo di ferie per il personale esperto inviato in Giordania, atteso che nel fabbisogno contrattuale di 56 mesi-uomo di personale per missioni lunghe, erano già ricompresi i periodi di ferie: quindi il corrispondente compenso pattuito era stato già calcolato con le ferie compreso il prezzo. Circa il quarto quesito, secondo l'Avvocatura, era destituita di fondamento la pretesa della revisione prezzi sui corrispettivi per un importo di lire 518.231.163 avanzata con lettera del 16 aprile 1996, a maggior ragione quella ben diversa sollevata in sede di arbitrato per lire 1.503.752.932.
Infatti non è possibile riconoscere la revisione prezzi per il periodo di prolungamento della durata contrattuale pattuito tramite variante (che differiva dal 20 maggio 1994 al 20 novembre 1995 la scadenza del contratto) a fronte di appena quattro mesi e mezzo di forzata inattività per la crisi del Golfo Persico e precisamente dal 15 gennaio 1991 al 31 maggio 1991. Sarebbe altrimenti del tutto travisata la natura della variante in questione come «variante gratuita» che non avrebbe dovuto comportare alcun onere aggiuntivo ai sensi dell'articolo 2 della legge 17 dicembre 1994 n. 121.
Ciò stante anche la vigenza della normativa sopravvenuta, che ha soppresso l'istituto revisionale, non potendosi in ogni caso fare riferimento ai prezzi determinati in base a quelli correnti sul mercato all'epoca del nuovo accordo e non già in base agli elementi economici desunti dal vecchio contratto. È comunque inammissibile il cumulo fra interessi e rivalutazione monetaria, stante la natura «di valuta» del credito da revisione prezzi che non è suscettibile di rivalutazione automatica. In relazione al quinto quesito, andava disattesa la richiesta di equo compenso per gli oneri di modifica progettuale connessi alle varianti nonché per la diversa allocazione delle risorse. Il sesto quesito non rilevava perché lo sblocco delle fidejussioni era avvenuto negli anni 1995 e 1996 e quindi nell'imminenza della chiusura delle operazioni contrattuali, senza che fosse stato fissato a monte un termine perentorio. La settima pretesa della Società era estranea al contenuto della domanda di arbitrato, in quanto formulata soltanto in occasione della precisazione dei quesiti in data 21 dicembre 1999, e pertanto non rilevante sul piano processuale. Il collegio arbitrale, sottoscriveva il lodo il 6 aprile 2000. Definitivamente pronunziandosi sulle domande, respingeva, a maggioranza, il secondo quesito ed all'unanimità il terzo. Accoglieva a maggioranza e per quanto di ragione i quesiti primo, quarto e settimo ed all'unanimità il quinto ed il sesto, e per l'effetto condannava il M.A.E. al pagamento in favore della Cotecno delle somme in seguito indicate e precisamente per il primo quesito: lire 172.521.043; per il quarto quesito: lire 604.616.520; per il quinto quesito: lire 60.000.000; per il sesto quesito: lire 12.372.397; per il settimo quesito: lire 60.000.000. Su tutte le predette somme, inferiori alle pretese di controparte, dovevano essere corrisposti gli interessi legali dalla data 7 aprile 2000, fino al soddisfo. In conseguenza, in esecuzione del lodo, munito di formula esecutiva dal tribunale di Roma


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in data 4 maggio 2000 e registrato in Roma il successivo 29 maggio 2000, veniva intimato precetto al M.A.E., mediante atto notificato in data 3 luglio 2000. Nel precetto veniva ingiunto all'amministrazione di pagare la somma di lire 1.292.297.200, di cui lire 508.289.830 per sorte capitale e lire 790.007.390 per interessi, diritti, tasse di registro, spese legali, compenso degli arbitri, eccetera, somme erogate all'avente diritto con decreto del 7 agosto 2000 n. 2000/340/003569/6 per lire 790.007.390 (interessi, diritti, eccetera) e con decreto n. 2000/333/003574/4 di pari data per l'importo di lire 488.059.210 (a titolo di sorte capitale), che sarebbe stato completato con successivo provvedimento per lire 14.230.620, non appena detta somma sarebbe stata reiscritta in bilancio, essendo andata perente, sì da garantire il pagamento completo dell'importo di precetto di lire 502.289.830.
Da quanto innanzi esposto, il prolungamento del contratto non poteva essere ascritto a condotta colposa dell'amministrazione, ma al verificarsi di fattori oggettivi esterni al sinallagma negoziale, sia a causa della guerra del Golfo sia per la richiesta inoltrata dall'University College della Giordania di una riarticolazione del programma.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Luigi Mantica.

DELMASTRO DELLE VEDOVE. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nel mese di giugno del 2003 il ministero degli affari esteri ha dovuto sborsare la somma di euro 2.143.972,42 (corrispondente a circa quattro miliardi di vecchie lire) in favore della società Mediacoop in forza di un lodo arbitrale che ha disposto la condanna al pagamento degli interessi per ritardato pagamento relativamente alla realizzazione del centro servizi con un mulino per cereali a Chimaltego (Guatamala);
con atto 270 del 19 giugno 2002 la direzione generale per la cooperazione allo sviluppo ha dovuto sborsare euro 601.043,06 (corrispondente a circa 1 miliardo e 200 milioni di vecchie lire), sempre in favore di Mediacoop per il pagamento del corrispettivo capitale;
l'operazione, dunque, si è complessivamente conclusa con il pagamento di un miliardo e 200 milioni di vecchie lire per capitale e di quattro miliardi di vecchie lire per interessi -:
se le cifre esposte in premessa sono rispondenti a verità;
quando e per quale ragione è insorta la controversia che ha dato origine all'arbitrato;
se sia stata valutata la decisione espressa con lodo arbitrale sotto il profilo di eventuali responsabilità di funzionari responsabili del procedimento;
se, in caso affermativo, sia stata segnalata le vicenda alla procura regionale della Corte dei conti per l'eventuale giudizio di responsabilità e per il conseguente recupero del danno erariale.
(4-07710)

Risposta. - Con l'atto parlamentare cui si risponde l'interrogante evidenzia uno dei casi di contenzioso che hanno coinvolto la nostra Cooperazione allo Sviluppo, sin dal 1987, e che sono stati risolti in questo ultimo quinquennio (1998-2003) a seguito di lodi arbitrali, sentenze dei tribunali ordinari, o in via transattiva.
Sulle cause che hanno ingenerato molte delle controversie sopracitate dovrebbero essere tenuti nella debita considerazione alcuni fattori di oggettiva difficoltà: anzitutto la non facile scelta dei contraenti, avvenuta all'epoca in mancanza di procedure concorsuali certe e trasparenti; la non agevole definizione poi dei primi impegni contrattuali, che conseguentemente non ha previsto tutte le possibili ipotesi in seguito verificatesi; l'impostazione sperimentale dei progetti in una fase iniziale e nuova della nostra cooperazione allo sviluppo; il verificarsi in loco di fattori non previsti (calamità naturali, crisi militari o politiche, instabilità giuridica ed amministrativa, incapacità


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gestionale dei beneficiari) che hanno ritardato o reso irrealizzabili varie iniziative intraprese. Va infatti evidenziato che svariati casi citati si riferiscono al periodo in cui iniziative di cooperazione vennero avviate nell'ambito del Fondo Aiuti Italiani (FAI), con un approccio poi profondamente ripensato sia in termini di finalità che di procedure operative e di controllo.
In linea generale va poi ricordata l'esigenza di avere un riscontro operativo da parte di altri organi dello Stato coinvolti nella trattazione del contenzioso o nell'esercizio del controllo contabile e nell'esame di conformità alla legge. Prima dell'approvazione del decreto del Presidente della Repubblica 2002/1998, la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del MAE era infatti strettamente vincolata al visto di ragioneria quale necessaria condizione di efficacia dei suoi provvedimenti: questo ha indubbiamente implicato per tali provvedimenti procedure purtroppo non celeri - con ripetuti rilievi e repliche - che hanno causato inevitabilmente l'accrescersi degli interessi per ritardato pagamento in caso di contenziosi. Dopo l'approvazione del citato decreto del Presidente della Repubblica e la soppressione del «visto», quale condizione sospensiva dell'efficacia del provvedimento, la situazione è nettamente migliorata, almeno sotto questo profilo, consentendo una maggiore speditezza dei controlli.
Il superamento di una difficile situazione pregressa è stato in questi ultimi anni un obiettivo prioritario per il Ministero degli affari esteri: la valutazione complessiva di questi ed altri analoghi casi - senza voler escludere specifiche manchevolezze o carenze - deve tuttavia considerare le innegabili difficoltà e vischiosità che in questo settore sono state riscontrate anche nell'esperienza - sovente ben più collaudata della nostra - di organismi multilaterali o di altri donatori internazionali.
Al fine di meglio contestualizzare le problematiche affrontate dall'On. Interrogante, sembra tuttavia utile inquadrarle e valutarle da un punto di vista storico-giuridico, mettendo in luce i molteplici fattori e circostanze che ne hanno caratterizzato le vicende. Il caso in questione si colloca nei più importanti tra i 657 «repertoriati» dall'inizio dell'attività della Cooperazione allo Sviluppo in Italia. La maggior parte di questi 657 casi di contenzioso è stata chiusa (435 al 31 marzo 2003) - ed ulteriori casi vengono risolti ogni mese mediante il ricorso a pratiche transattive che - qualora si giudichino oggettivamente fondate le ragioni della parte avversa - sono un mezzo di composizione delle controversie certamente molto meno oneroso per l'erario del pagamento, dopo svariati anni, di quanto stabilito da lodi arbitrali o sentenze sfavorevoli.
A questo riguardo va anzitutto sottolineato che la soccombenza del ministero degli affari esteri per un ammontare complessivo di circa trecento miliardi di lire - se considerata nel quadro delle attività globali della Cooperazione allo Sviluppo svolte in questi ultimi quindici anni - si riduce ad una misura largamente inferiore al due per cento di tutti gli investimenti effettuati per la realizzazione di programmi o progetti. Questo ammontare appare quindi nettamente inferiore alla «soglia di contenzioso fisiologico» del 10 per cento, prevista dal legislatore per un appalto di lavori (si veda la legge-quadro in materia di lavori pubblici: legge n. 109 del 1994, articolo 31-
bis estesa per «analogia iuris» alla generalità degli appalti).
Va inoltre rimarcato che ogni caso è meglio inquadrabile con una trattazione completa, anche sotto il profilo della valutazione tecnica, amministrativa e contabile, effettuata a tutti i competenti livelli, I dati citati nell'atto in esame si riferiscono infatti quasi esclusivamente alla fase del controllo contabile e di conformità alla legge di ciascuna iniziativa, mancando tutte le valutazioni tecniche e gestionali effettuate da altri organi dello Stato quali l'Avvocatura Generale o la Corte dei conti; né si tiene conto dei risultati dell'eventuale esame giurisdizionale effettuato da parte della procura regionale competente della Corte dei conti.
La corretta applicazione delle procedure concorsuali, la semplificazione delle procedure amministrative, la netta preferenza per


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l'accordo transattivo (rispetto ai lodi arbitrali o alle sentenze del tribunale) hanno già reso l'azione italiana in questo campo più sollecita ed efficace, senza peraltro impedire che ulteriori provvedimenti amministrativi o gestionali possano ancora migliorare la nostra azione. È a tal fine, infatti, che tende un complesso e articolato processo di revisione delle procedure amministrative seguite dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo e dalle nostre Ambasciate nel realizzare i progetti o i programmi previsti: questo obiettivo viene perseguito attraverso una drastica semplificazione di tutte le procedure e la verifica della loro completa conformità alla normativa vigente (in continua evoluzione) che favoriscano una gestione moderna ed efficace delle iniziative di cooperazione intraprese dall'Italia.
Parallelamente alla revisione delle procedure, è in corso, in attuazione della delega legislativa conferita con l'articolo 3, comma 43 della legge finanziaria per il 2003, la predisposizione di provvedimenti che correggano le inadeguatezze normative che hanno causato quelle disfunzioni in passato più volte riscontrate.
Più specificatamente, si forniscono qui di seguito gli elementi di risposta relativi al caso a cui si fa riferimento nell'interrogazione in questione.
La DGCS, ai sensi dell'articolo 15, comma 5 della legge n. 49/1987, con delibera n. 18 del Comitato Direzionale approvò l'iniziativa di cooperazione con il Guatemala denominata «Progetto per la realizzazione di un centro di servizi con un mulino per cereali a Chimaltenango». Per la realizzazione del programma in questione la DGCS il 15 dicembre 1987 stipulò un contratto con la Società MEDIACOOP INTERNAZIONALE srl, per un importo complessivo di lire 6.866.670.000, che entrava in vigore il 15 aprile 1988. Ai fini della corretta esecuzione del programma le competenti Autorità del Paese beneficiario si erano assunte l'impegno di finanziare la realizzazione di alcune opere civili indispensabili per la fornitura in opera e l'installazione delle macchine e delle attrezzature previste dal predetto contratto. Tale impegno era stato formalmente sancito dal Ministero degli Esteri della Repubblica del Guatemala con nota indirizzata alla nostra Rappresentanza diplomatica.
Nella prima fase d'esecuzione le attività sono procedute come previsto dal cronogramma del contratto, che prevedeva per la fornitura in opera e l'installazione delle macchine il termine massimo di venti mesi dalla data di entrata in vigore dello stesso (16 dicembre 1989). La Società esecutrice, pertanto, iniziò l'attività di assistenza tecnica volta al rafforzamento organizzativo della Federazione di Cooperative, ente beneficiario del progetto; contemporaneamente provvedeva ad eseguire la progettazione delle opere civili e la fornitura degli impianti previsti. Si dava quindi avvio, sempre sotto l'assistenza tecnica della MEDIACOOP, alle gare di appalto per la realizzazione delle citate opere civili. Nella primavera del 1989, iniziarono le difficoltà della Controparte ad ottenere il finanziamento necessario alla realizzazione delle previste opere civili a causa della valutazione negativa della locale Banca di sviluppo agricolo sulla struttura finanziaria del Beneficiario stesso. Protraendosi nel tempo tali difficoltà costrinsero la MEDIACOOP a comunicare alla DGCS la sospensione delle attività di montaggio degli impianti forniti, previste nel cronogramma delle attività, a causa della mancata esecuzione delle opere civili di competenza della parte guatemalteca, con l'esplicita riserva di valutare i tempi di proroga dei termini contrattuali necessari per la realizzazione di dette attività, una volta completate le opere civili in questione. La MEDIACOOP, al fine di assistere il Beneficiario nella soluzione dei citati problemi, oltre a mantenere a sue spese la saltuaria presenza in loco di un proprio rappresentante, presentò alla DGCS l'elaborazione di una variante non onerosa che teneva conto delle difficoltà sopraggiunte. La situazione fu complicata dall'insediamento del nuovo Governo guatemalteco la cui politica, indirizzata verso la vendita ai privati degli impianti forniti, si trovava in netto contrasto con le finalità della legge n. 49/1987; tale circostanza provocò una netta opposizione all'ipotesi di


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vendita sia da parte della nostra Ambasciata, sia della DGCS. Finalmente, alla fine del 1993, con l'insediamento di un nuovo Governo disposto a finanziare direttamente le opere civili necessarie alla corretta realizzazione del programma e quindi in netta sintonia con le finalità della Cooperazione Italiana, si riuscì a realizzare un nuovo Consorzio tra le Autorità locali ed un'altra Federazione di Cooperative guatemalteche (FECOAR) ben più solida finanziariamente. La nostra Ambasciata in città del Guatemala, con telegramma del 10 gennaio 1994 comunicava che, superate le precedenti difficoltà d'ordine interno, le Autorità guatemalteche, reperiti i necessari finanziamenti, avevano confermato l'impegno di dare immediata esecuzione alla realizzazione delle opere civili indispensabili per la ripresa delle attività della MEDIACOOP. Lavori civili che il Beneficiario iniziò sempre con l'assistenza tecnica della Società. L'Ambasciata in Guatemala il 2 settembre 1994 trasmise copia del primo stato d'avanzamento lavori (6 aprile - 6 agosto 1994) presentato da MEDIACOOP dopo la ripresa delle attività.
L'Ufficio di Ragioneria, in data 7 aprile 1995, bloccò con rilievo il pagamento relativo a tale SAL successivo alla ripresa delle attività, eccependo sia la mancanza di documentazione relativa alla tempistica del progetto, sia la scadenza dei termini temporali fissati nel contratto senza che si fosse mai proceduto ad alcuna proroga degli stessi, circostanze che conducevano all'applicazione delle penali previste nel contratto stesso. La Direzione Generale, nel prendere atto che la sospensione delle attività previste dal contratto con la MEDIACOOP, circostanza dovuta a fatti indipendenti dalla volontà dei contraenti, non era stata a suo tempo sancita da atto formale, ritenne di dover confermare la continuità del rapporto negoziale con la Società sino alla data di ripresa delle attività stesse mediante un atto formale controfirmato dalle parti e, tenendo conto della iniziale durata di 36 mesi delle attività (prevista nel cronogramma allegato al contratto) e della sospensione di fatto avvenuta dopo venti mesi, fissò il 31 dicembre 1996 quale nuovo termine di conclusione delle attività. L'atto in questione, vistato dall'organo di controllo il 31 ottobre 1995, oltre ad inserire come parte integrante dell'allegato 3 al contratto del 15 dicembre 1987 le specifiche dei prezzi della voce «Servizi generali di supporto all'assistenza tecnica» pani a lire 237.940.000, approvava la sospensione delle attività attribuendola a cause di forza maggiore, la ripresa delle attività medesime non comportanti maggiori oneri finanziari, nonché la proroga del termine finale al 31 dicembre 1996 per il completamento di tutte le prestazioni previste dal contratto in questione. Nel mese di dicembre 1996, a seguito di apposita missione di verifica e valutate le nuove esigenze maturate nel protrarsi del programma, la DGCS richiedeva alla società - che accettava l'incarico - l'elaborazione di un'ulteriore variante progettuale che sostituisse lo stage di formazione in Italia di tre tecnici guatemaltechi e la fornitura di insetticidi con l'acquisto in Guatemala di un
pick-up e di tre moto enduro e la proroga di ulteriori tre mesi di assistenza tecnica. Al fine di permettere tali variazioni al programma il termine finale delle attività veniva spostato al 30 giugno 1997 e comunque entro il terzo mese successivo alla decorrenza della variante. La nuova variante, recepita in un Atto aggiuntivo firmato dalle parti il 19 febbraio 1997 ed approvato con il decreto 1997/128/2464/3 del 15 luglio 1997, subiva una serie di osservazioni da parte della Corte dei conti, che esprimeva perplessità circa il cambiamento dell'oggetto del contratto iniziale (sostituzioni di alcune forniture con altre) e sulla mancanza di certezza degli elementi contrattuali (indeterminatezza del termine finale delle attività). Nel frattempo il 25 settembre 1997 la DGCS approvava il verbale di collaudo ed il relativo certificato emessi dalla commissione all'uopo incaricata.
L'Ufficio di Ragioneria presso la DGCS, alla luce delle osservazioni mosse dalla Corte dei conti sull'approvazione della seconda variante, restituiva «non registrato» il provvedimento d'approvazione del Certificato di collaudo osservando che «successivamente al collaudo effettuato in data 11


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luglio 1997, è stata approvata una variante non onerosa comportante una proroga dei termini contrattuali», e subordinandone l'approvazione alla completa definizione di tutte le procedure amministrative riguardanti il contratto. Solo in data 16 gennaio 1998 la Corte dei conti ritenute esaustive le risposte fornite dall'amministrazione alle proprie osservazioni, vistava il provvedimento di approvazione della citata variante che, pertanto, veniva definitivamente approvata dal MAE e diveniva efficace il 30 gennaio 1998, ragione per cui il termine finale delle attività veniva fissato il 30 aprile 1998. La DGCS il 12 febbraio 1998 riproponeva l'approvazione del certificato di collaudo, atto che veniva definitivamente vistato dall'Organo di controllo il 24 marzo 1998. Il 17 luglio 1998 il Centro Servizi con mulino per cereali veniva consegnato alle autorità guatemalteche. La Mediacoop, il 30 luglio 1998, richiedeva alla DGCS lo svincolo della fideiussione e dei CCT vincolati a garanzia ed il pagamento del 5 per cento trattenuto a garanzia della corretta esecuzione del contratto. A tali richieste si dava seguito rispettivamente il 23 ottobre 1998, il 4 dicembre 1998 ed il 13 aprile 1999.
Nel 1999 la Società MEDIACOOP ha avanzato rivendicazioni per ottenere la liquidazione di interessi per ritardato pagamento di fatture emesse a fronte di prestazioni eseguite alla ripresa dei lavori ed il riconoscimento della revisione prezzi così come previsto all'articolo 8 del contratto. Dopo aver valutata la legittimità delle richieste avanzate dalla MEDIACOOP, si concluse di far eseguire sia il calcolo degli interessi legali e moratori, previa verifica dell'imputabilità dei ritardi all'Amministrazione e della sua formale messa in mora, sia il calcolo della revisione prezzi, verificando la sussistenza o meno dei presupposti per conseguirla, vista la richiesta effettuata dalla stessa l'8 giugno 1999, vale a dire dopo l'approvazione del certificato del collaudo. La DGCS, ritenendo che almeno relativamente alla revisione prezzi questa non fosse dovuta, stante la sua richiesta avvenuta solo dopo l'approvazione del certificato di collaudo, liquidò alla MEDIACOOP, con decreto 2000/340/654/3 del 24 febbraio 2000 vistato dall'Ufficio di Ragioneria il 5 giugno 2000, per i soli interessi su ritardati pagamenti l'importo di lire 150.341.240. La società MEDIACOOP il 28 febbraio 2001, notificava al ministero degli affari esteri la domanda di arbitrato formulata ai sensi dell'articolo 12 del contratto richiedendo:
a) gli interessi maturati a causa del ritardo con il quale il MAE ha effettuato i pagamenti dovuti; b) il corrispettivo dei mesi-uomo spesi in eccedenza nonché il rimborso degli oneri aggiuntivi sostenuti a causa della maggiore durata del contratto e della sospensione di fatto del contratto; c) la revisione prezzi sui corrispettivi dovuti dal MAE a fronte delle prestazioni eseguite dalla Mediacoop Internazionale; d) l'equo compenso per le modifiche apportate nel corso dell'esecuzione del contratto e per la diversa allocazione delle risorse disponibili; e) i maggiori oneri sostenuti a causa della maggiore durata delle fideiussioni prestate dalla Società. Con lodo emesso in data 19 dicembre 2001 il MAE veniva condannato al pagamento di un importo complessivo di euro 2.745.015,48.
Vale la pena di evidenziare che proprio l'atteggiamento guatemalteco con i ritardi provocati nell'esecuzione delle opere civili necessarie ed indispensabili all'esecuzione del contratto in questione abbia fatto ricadere oneri e responsabilità sull'amministrazione committente.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Luigi Mantica.

DIDONÈ. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 12 novembre 2003, presso la sede municipale del comune di Isola Vicentina, in Provincia di Vicenza, si teneva una riunione avente ad oggetto la presentazione di progetti per la realizzazione presso il comune stesso di una «Cittadella dello sport»;
alla riunione erano ammessi e partecipavano il sindaco signor Walter Baruchello,


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il segretario comunale, i consiglieri di maggioranza, la giunta comunale, assessori esterni compresi, nonché giornalisti di carta stampata e di televisioni locali;
i consiglieri di minoranza si recavano presso la sala conferenze per poter assistere a tale riunione di rilevante interesse per la comunità locale e venire a conoscenza dei relativi documenti amministrativi, sempre sottratti alla loro disponibilità sebbene forniti alla stampa locale;
agli stessi consiglieri comunali di minoranza, tuttavia, un vigile urbano dell'unione dei comuni di Isola Vicentina-Caldogno-Costabissara impediva l'accesso alla riunione in ottemperanza ed esecuzione di una precisa disposizione del sindaco;
non riuscendo in altro modo a far valere le proprie ragioni, i medesimi consiglieri si vedevano costretti a richiedere l'intervento dei carabinieri che tuttavia giungevano sul posto solo a riunione conclusa non potendo che constatare i fatti;
si determinava dunque un'incresciosa ed ingiustificata discriminazione e disparità di trattamento nei confronti dei rappresentanti della minoranza del consiglio comunale, cui veniva impedito di assistere ad una adunanza pubblica e di partecipare all'assunzione di determinazioni adottate nell'interesse comunale a nome di tutta l'amministrazione;
come risulta dalla stampa locale, la riunione si sarebbe conclusa con la sottoscrizione di una convenzione tra il comune di Isola Vicentina, la società Sporting Club e il Vicenza calcio, in assenza di una previa deliberazione in merito da parte del consiglio comunale;
la mancanza di tale necessaria fase procedurale sarebbe peraltro evidenziata dalla circostanza che nello stesso documento firmato dal sindaco si farebbe menzione dell'approvazione del consiglio comunale, ma con gli estremi in bianco -:
quali iniziative di propria competenza intenda adottare, nell'ambito dei poteri previsti dal decreto legislativo n. 267 del 2000 (testo unico degli enti locali), in ordine alla vicenda esposta in premessa.
(4-08220)

Risposta. - In merito alla vicenda richiamata dall'interrogante, si comunica, sulla base degli elementi forniti dalla prefettura di Vicenza, che il comune di Isola Vicentina (Vicenza), allo scopo di favorire la pratica delle attività sportive da parte dei suoi cittadini, ha ritenuto opportuno agevolare la realizzazione di un centro tecnico sportivo, adottando in tal senso il 15 dicembre 2000 una variante al piano regolatore generale e successivamente approvando, in data 20 febbraio 2003, la delibera consiliare concernente il programma presentato dalla Società «Sporting Club Isola» srl, che avrebbe dovuto attuare il progetto previa stipula di una convenzione tra quella Società, il «Vicenza Calcio» spa ed il comune.
Lo schema di convenzione è stato ufficialmente acquisito agli atti del Comune subito dopo lo svolgimento, presso la sede municipale, della riunione richiamata nel testo del documento parlamentare.
Nella circostanza il Sindaco incaricava il personale della Polizia Municipale di svolgere un servizio di vigilanza all'ingresso dell'edificio, al fine di evitare l'accesso di altre persone.
Verso le ore 12.00, alcuni consiglieri di minoranza, ai quali era stato impedito l'ingresso alla struttura ove era in corso l'evento, richiedevano l'intervento di personale della stazione Carabinieri di Malo (Vicenza), competente per territorio.
I militari dell'Arma, giunti sul posto, constatavano che la riunione era conclusa ed i presenti si stavano allontanando.
Successivamente, però, i consiglieri di minoranza formalizzavano un atto di denuncia-querela che veniva inoltrato alla procura della Repubblica presso il tribunale di Vicenza.
La vicenda in esame riflette sicuramente il clima di tensione politica in atto da qualche tempo nel comune di Isola Vicentina; tuttavia lo stesso Sindaco ha precisato che la riunione era stata organizzata al solo


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scopo di confermare ai consiglieri ed al segretario comunale la volontà delle società «Vicenza Calcio» spa e «Sporting Club Isola» srl di accettare tutte le condizioni e le clausole previste nello schema di convenzione, prima che la stessa fosse sottoposta all'approvazione del consiglio comunale.
Non si trattava, quindi, di un evento di carattere istituzionale, ma di un incontro fra gli esponenti della maggioranza di governo dell'ente ed i rappresentanti delle due società interessate, al quale il sindaco riteneva di dover dare una particolare ufficialità, invitando anche i locali organi d'informazione.
Il sindaco ha altresì sottolineato che il 3 novembre 2003 si era svolta un'assemblea pubblica appositamente organizzata, con la partecipazione di oltre duecentocinquanta persone ed i componenti del gruppo consiliare di minoranza, nel corso della quale, ai consiglieri che ne avevano fatto domanda, era stata rilasciata copia del progetto di piano particolareggiato e dello schema di convenzione.
Risulta, comunque, che nel corso di tale riunione non era stata sottoscritta alcuna convenzione.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

DUILIO, RUSCONI e GIOVANNI BIANCHI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
è stata rilasciata dal comune di Milano l'autorizzazione all'insediamento di un campo di cittadini di nazionalità ucraina, moldava e rumena in via Cilea (Molino Dorino) in un'area (parcheggio della Motorizzazione civile) assolutamente non idonea;
il 4 marzo 2003 avveniva una prima rissa, e sei ucraini regolari di età tra i 25 e i 30 anni venivano arrestati dai carabinieri del nucleo radiomobile mentre si picchiavano nel piazzale in oggetto con i colli di bottiglie di vetro mandate in frantumi;
nella notte tra sabato 12 e domenica 13 aprile 2003 si è verificata un'aggresione a dipendenti dell'Atm che rientravano nel deposito di Molino Dorino, con danneggiamento delle vetture condotte; i suddetti dipendenti, temendo per la propria incolumità, dovevano attendere l'arrivo della polizia municipale per poter lasciare, scortati ed in sicurezza, l'area dell'Atm per raggiungere le proprie abitazioni al termine del proprio turno lavorativo;
negli stessi giorni le due persone di cittadinanza ucraina che avevano fatto da garanti e da tramite con il comune di Milano, sono state arrestate dalla Dia di Torino, in collaborazione con la Dia di Milano, in seguito a lunghe ed approfondite indagini, risultando implicati in attività illecite sul territorio dello Stato italiano;
il 18 aprile 2003 alle ore 22,40 circa una donna veniva aggredita, riportando gravi contusioni, nell'area del parcheggio di cui sopra;
il giorno 20 aprile 2003, come riportato dai principali quotidiani nazionali, nella medesima area un cittadino ucraino di 32 anni, B. O., clandestino, è stato ricoverato in stato di coma a causa di un vasto ematoma cerebrale all'ospedale San Carlo di Milano dopo essere stato trovato la mattina di Pasqua da alcuni passanti ferito al capo a bordo di un furgone parcheggiato nell'area di Molino Dorino, ed è deceduto pochi giorni dopo per le gravi ferite;
quando la volante della polizia di Stato, avvertita dai responsabili dell'ospedale, interveniva sul posto del ritrovamento, il furgone non c'era più, e, in seguito ad alcuni controlli, venivano sequestrate alcune autovetture;
i suddetti cittadini di nazionalità ucraina, moldava e rumena risultano essere dimoranti nei propri automezzi di proprietà ivi parcheggiati, in particolare furgoni, trovandosi pertanto in una situazione di forte disagio;


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appare altresì necessario garantire ai dimoranti le normali condizione igienico-sanitarie previste dalle normative e dai regolamenti in vigore, oltre che l'ordine e la sicurezza, viste le recenti manifestazioni di protesta dei cittadini milanesi residenti nelle adiacenze e gli episodi sopra descritti;
l'amministrazione comunale di Milano a tutt'oggi non appare ancora in grado di collocare i suddetti dimoranti in un'altra area idonea, posto che essi richiedono una sistemazione nelle immediate adiacenze della metropolitana -:
se si ritenga l'area indicata idonea ad ospitare i dimoranti, sotto il profilo dell'ordine pubblico;
se non sia il caso di adottare urgentemente i provvedimenti necessari atti a risolvere la situazione di disagio descritta, al fine di garantire la sicurezza dei cittadini residenti nel comprensorio;
quale sia il parere del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza riguardo la situazione descritta.
(4-06983)

Risposta. - Il comune di Milano ha autorizzato nelle adiacenze del parcheggio di via Cilea, e soltanto per il fine settimana, la sosta temporanea di furgoni, provenienti da Romania, Ucraina e Moldavia - in un numero massimo di 80 unità - per effettuare scambi commerciali con i cittadini dell'Est residenti nel capoluogo. Non si tratta, pertanto, di un campo sosta per cittadini extracomunitari.
Il comune di Milano ha ritenuto, infatti, che la zona di via Cilea fosse più idonea allo svolgimento delle predette attività di scambi, in quanto più decentrata, rispetto alla zona individuata in precedenza che, essendo adiacente alla Stazione Ferrovie dello Stato di Milano Centrale e, quindi, più densamente abitata e trafficata, aveva suscitato numerose proteste da parte dei residenti e dei commercianti locali, anche per il crescente degrado ambientale.
La proposta di spostamento è stata oggetto di un'apposita riunione di coordinamento delle forze di polizia, alla quale hanno partecipato anche i rappresentanti dell'amministrazione comunale e il presidente del consiglio di zona al fine di attivare idonee misure di sicurezza per procedere al trasferimento delle predette attività commerciali nella zona proposta dal comune limitando il più possibile l'impatto ambientale.
La locale questura, sin dall'8 marzo 2003, data dello spostamento dell'attività, ha disposto, con cadenza settimanale, specifici servizi di vigilanza per garantire il regolare e tranquillo svolgimento dell'attività e assicurare al contempo l'ordinata sosta dei furgoni negli appositi spazi.
Effettivamente, nelle prime settimane, la permanenza notturna, all'interno dei furgoni, aveva dato luogo a problemi di convivenza ed episodi di violenza tra appartenenti a diverse etnie, spesso riconducibili alla suddivisione degli spazi per il parcheggio dei furgoni.
Alcuni episodi di violenza segnalati dall'interrogante, sono da ricondurre a tale fase iniziale, mentre altri episodi verificatisi prima dell'8 marzo 2003, non sembrano correlati all'attività commerciale.
Non appena insediata tale attività, alcuni cittadini residenti nella zona hanno protestato soprattutto per le carenti condizioni igieniche ed ambientali dovute ad una iniziale insufficienza di servizi igienici e di contenitori per la raccolta dei rifiuti, nonché per l'uso improprio delle aree verdi adiacenti all'area di parcheggio da parte degli utenti del mercato che vi effettuavano improvvisati
pic-nic con abuso di sostanze alcoliche.
Il sindaco di Milano ha quindi emanato apposita ordinanza di divieto di somministrazione di bevande alcoliche in tutta l'area verde adiacente alla zona interessata e si è provveduto ad installare un congruo numero di servizi igienici, di contenitori per rifiuti solidi, di panchine e reti di recinzione per i giardini, predisponendo, inoltre, idonea segnaletica per la viabilità.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.


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FOLENA, GIULIETTI e MELANDRI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
è stato prodotto un film documentario dalla Stefilm di Torino, dalla tv finlandese Yle e da Channel 13 di New York, dal titolo «Citizen Berlusconi» con la regia di Susan Gray;
il documentario è in distribuzione in Dvd in Italia allegato al settimanale «Internazionale»; ed è stato trasmesso in Olanda, Svezia, Australia, Norvegia e negli Stati Uniti dal canale pubblico Pbs;
l'opera affronta il tema della libertà di stampa, del pluralismo nell'informazione, e del conflitto di interessi nel nostro Paese;
il giorno 2 aprile 2004, alcuni organi di informazione (l'Unità, il Manifesto, l'Espresso) hanno dato notizia che l'ambasciata d'Italia in Norvegia è intervenuta nei confronti degli organizzatori dell'European Documentary Festival di Oslo chiedendo che il film venisse ritirato dalla manifestazione con la motivazione di problemi tecnici;
il film è stato effettivamente ritirato dalla manifestazione anche se la proiezione dell'opera è stata comunque effettuata nei giorni successivi, ma gli organizzatori non hanno accolto la seconda richiesta della nostra ambasciata ed hanno reso pubbliche le pressioni operate dalla nostra rappresentanza diplomatica, creando in Norvegia scandalo pubblico sui mezzi di informazione e nell'opinione pubblica -:
se tali notizie corrispondano al vero ed in caso affermativo quali siano state le motivazioni che hanno portato ad operare da parte della nostra rappresentanza diplomatica tali pressioni;
se tale decisione sia stata assunta dal Ministero degli Affari Esteri e da chi per la precisione;
se fra i compiti del Ministero degli Affari Esteri e del Governo italiano vi sia quello di operare censure ed indebite ingerenze su produzioni culturali e giornalistiche in giro per il mondo.
(4-09666)

Risposta. - Si è svolto ad Oslo dal 29 marzo 2004 il Festival del documentario europeo organizzato e sponsorizzato dalla Delegazione della Commissione europea, dalle Ambasciate ad Oslo dei Paesi Membri e candidati dell'Unione Europea, e dagli Istituti di Cultura dei Paesi europei, insieme con il Filminstitut norvegese.
Prima dell'inizio del Festival è risultato che nel festival stesso era prevista la proiezione, nella giornata inaugurale, del documentario «Citizen Berlusconi», improntato ad accenti fortemente critici nei riguardi del Presidente del Consiglio dei Ministri italiano.
Questo filmato è apparso oggettivamente inadatto al contesto del Festival e l'opportunità della sua proiezione nell'ambito di una iniziativa promossa e sponsorizzata proprio dalle Ambasciate dei Paesi Europei presenti in Norvegia è stata sottoposta alla valutazione delle competenti Autorità norvegesi.
La Direttrice del Filminstitut decideva quindi, con sua autonoma determinazione, come da lei stessa poi sottolineato, di non proiettare il film nel corso del Festival Europeo, ritenendolo inadatto a quella occasione.
Successivamente, e sempre con sua autonoma determinazione, la Direttrice del Filminstitut decideva di proiettare il film in una giornata successiva del Festival predetto.
La Direttrice del Filrninstitut ha ripetutamente precisato alla stampa che sia il ritiro del film sia la successiva sua riprogrammazione sono stati oggetto di una sua autonoma decisione.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.

GIORDANO e PISAPIA. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per gli italiani nel mondo. - Per sapere - premesso che:
in occasione delle passate elezioni del locale Comites nella circoscrizione consolare di Stoccarda gli elenchi ministeriali


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degli elettori contenevano circa 82.000 elettori, elenchi spulciati dal consolato di circa 15.000 unità ed integrati di altri 12.000 in base agli elenchi consolari;
migliaia di connazionali non hanno ricevuto il plico elettorale entro il 26 marzo, termine ultimo entro il quale il plico votato doveva pervenire in consolato. Sino a giovedì 25 marzo 2004 erano pervenuti 20.800 plichi; venerdì 26 marzo sono diventati circa 25.300;
nelle lettere circolari inviate dal Console generale dottor Mario Musella, ai presentatori di lista, alle associazioni, patronati, missioni cattoliche, si chiedeva la massima divulgazione per una massiccia partecipazione al voto;
venerdì 26 marzo si viene a conoscenza che il consolato stava rilasciando plichi elettorali a persone terze, che si presentavano in Consolato con elenchi di elettori che non avevano ricevuto il plico presentando una delega informale con firma non autenticata da nessuna autorità;
di tale procedura non è stato informato nessuno, né le associazioni, né il CEC;
al fine di verificare se tale procedura corrispondeva al vero, il candidato della lista n. 7 Giuseppe Tabbi, si presentava con delega informale di 2 elettori, che non avevano ricevuto il plico, di cui uno non è risultato iscritto negli elenchi elettorali, mentre per l'altro dopo la rettifica dei dati di nascita errati sulla sua delega, gli veniva consegnato il plico;
dietro richiesta di spiegazioni, si arrivava a conoscenza che gia da martedì erano stati ritirati plichi con questo sistema;
sempre venerdì 26, tra le ore 16 e le ore 17,30, davanti al consolato è arrivata l'autovettura di Conte il quale personalmente ha imbucato diverse centinaia di plichi votati nella buca lettere consolare, ed un'altra autovettura con targa di Pforzheim, distante da Stoccarda circa 40 Km, che eseguiva la stessa operazione;
nella riunione del CEC venivano messe a verbale tali irregolarità e si chiedeva che il consolato fornisse gli elenchi delle deleghe per i plichi consegnati;
per quanto riguarda invece lo scrutinio, si è svolto inizialmente sulla base dei dati informatici. Crollato però il sistema dei computer si è dovuto procedere al controllo dei votanti sugli elenchi raccolti in faldoni. Ogni seggio ha avuto in consegna 5 faldoni, contenenti l'elenco di tutti i votanti. Di conseguenza il controllo in un singolo seggio, se un elettore ha votato o meno e se si tratta di voto doppio o multiplo, non è possibile o efficace, in quanto ogni seggio non conosce le registrazioni che parallelamente vengono fatte negli altri 15 seggi. In pratica non è possibile accertare se un elettore ha votato più volte;
per un controllo effettivo è necessario un riesame al computer, controllando tutti i tagliandi sulla base degli elenchi ufficiali, senza considerare eventuali registrazioni precedenti rimaste incomplete;
sui tagliandi dei certificati elettorali risultano due registrazioni: a) sui certificati in genere e cioè registrazioni dattiloscritte e registrazioni a mano, indicate come duplicati; b) sui certificati aggiuntivi (indicati come AGG) e cioè registrazioni dattiloscritte e registrazioni corrette a mano -:
se non ritenga doveroso verificare se il diritto di voto sia stato garantito a tutti coloro che potevano esercitarlo;
se non ritenga di dover verificare tempestivamente la regolarità dello svolgimento della consultazione elettorale.
(4-09777)

Risposta. - Nella giornata di venerdì 26 marzo 2004, ultimo giorno utile per far pervenire le schede votate presso gli Uffici consolari, sono pervenuti al Consolato Generale di Stoccarda 2.103 plichi, a seguito del pressante intervento del Consolato stesso che ha consentito di organizzare, al di fuori dei normali orari di consegna, una


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spedizione straordinaria dei plichi elettorali contenenti le schede votate in giacenza presso gli uffici postali.
Il plico contenente il certificato e la scheda elettorale è stato inviato agli elettori, tramite il servizio postale, dal Consolato Generale d'Italia in Stoccarda in data 5 marzo 2004, quindi entro i termini previsti dall'articolo 17, terzo comma, della legge n. 286 del 2003. Tuttavia si è verificato che alla data del 24 marzo alcuni elettori non lo avevano ancora ricevuto. A quel punto anche un ulteriore invio tramite posta prioritaria non avrebbe loro consentito di esprimere il proprio voto nei termini prescritti dalla normativa in vigore.
In tale situazione, il Consolato - a seguito della volontà di ricevere il plico tramite terzi espressa da alcuni elettori impossibilitati a ritirarlo personalmente, nonché in considerazione della richiesta da parte delle liste di utilizzare mezzi di consegna più spediti per far giungere in tempo utile il materiale elettorale ai connazionali che non lo avevano ancora ricevuto - ha consegnato un numero esiguo di plichi elettorali ai rappresentanti delle diverse liste, dopo aver accertato il diritto al voto dei singoli nominativi. Tale procedura, peraltro utilizzata in casi molto limitati, ha riguardato tutte le liste in competizione, a riprova che le stesse erano informate in merito.
In relazione al disposto dell'articolo 17, comma 7 («Sono considerate valide ai fini dello scrutinio le buste comunque pervenute agli uffici consolari entro le ore 24 del giorno stabilito per le votazioni»), nei due/tre giorni immediatamente precedenti tale scadenza, sono state prese in consegna anche le buste depositate manualmente in apposito contenitore all'interno del Consolato, al fine di garantire nel modo più ampio il diritto di voto costituzionalmente tutelato.
Lo scrutinio dei voti ha avuto inizio utilizzando il sistema informatico, messo a disposizione dei seggi elettorali, che però ha manifestato alcuni inconvenienti e difficoltà applicative, senza tuttavia mai bloccarsi completamente. Prontamente è stato richiesto l'intervento dei due tecnici responsabili, i quali, nel giro di tre-quattro ore, hanno provveduto a potenziare il sistema informatico e a renderlo fruibile per tutti i computer. Intanto, per consentire una veloce verifica di eventuali doppi voti, veniva messo a disposizione dei seggi, nella stanza attigua alla sala dove avveniva lo scrutinio, un computer perfettamente funzionante, che però i Presidenti dei seggi non hanno voluto utilizzare in quanto nel frattempo si erano serviti dei supporti cartacei ed erano passati alla fase relativa al controllo delle schede. In ogni caso il sistema messo in atto si è dimostrato efficace in quanto ha consentito di individuare e quindi annullare un congruo numero di doppi voti.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.

LUCCHESE. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere: se non ritenga, come appare giusto, di concedere alle forze dell'ordine - che hanno dovuto subire quella che, ad avviso dell'interrogante è stata una canagliesca aggressione di maldestri giovinastri, di chiara estrazione di estrema sinistra, sabato a Roma in occasione del vertice europeo - un encomio ed un premio una tantum in busta paga.
(4-07620)

Risposta. - Con lettera del 22 ottobre 2003, il capo della polizia ha fatto pervenire, per il tramite del Questore di Roma, una lettera di ringraziamento a tutti gli uffici e reparti della polizia di Stato della Capitale impegnati nei servizi di ordine pubblico in occasione della Conferenza Intergovernativa del 4 ottobre 2003 a Roma.
Si soggiunge che il questore di Roma ha deliberato la concessione di un premio in denaro in favore di tredici operatori in servizio presso il 1o reparto mobile e presso l'ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico, per i meriti di servizio acquisiti durante gli avvenimenti che hanno accompagnato l'evento internazionale.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.


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MANTOVANI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
con lettera del 1 ottobre 2002, la cittadina bielorussa signora Svetlana Vadimovna Verghel, nata a Bucia (Ucraina) il 28 febbraio 1969, assunta in qualità di traduttrice-interprete presso l'Ambasciata italiana a Minsk, Bielorussia, con contratto a tempo indeterminato, regolato dalla legge locale, è stata raggiunta da lettera di licenziamento;
con lettera dell'8 ottobre 2002, la signora Verghel chiedeva delucidazioni circa la motivazione del suo licenziamento;
con lettera del 28 ottobre 2002, la signora Verghel informava l'Ambasciata italiana a Minsk di aver impugnato il licenziamento, appellandosi a quanto previsto dall'articolo 16 del contratto di lavoro che stabiliva che «... competente a risolvere le eventuali controversie che possano insorgere dall'applicazione del presente contratto è il foro locale.»;
in data 24 dicembre 2002, la signora Verghel inoltrava al Tribunale del Rione Leninskii di Minsk la domanda giudiziale per la reintegrazione nell'impiego, il pagamento per l'assenza forzata ed il risarcimento del danno morale;
il predetto Tribunale ed il Tribunale cittadino di Minsk, rispettivamente con decisione del 3 aprile 2003 e del 12 maggio 2003, declinavano la propria competenza, poiché l'Ambasciata italiana a Minsk non accordava il proprio consenso all'esame del ricorso presentato dalla signora Verghel;
con ripetute istanza scritte, e da ultimo anche a mezzo dei legali che la rappresentano e difendono in Italia, la signora Svetlana Verghel chiedeva inutilmente di ottenere copia di tutti gli atti relativi al procedimento disciplinare che aveva portato al suo licenziamento, e in particolare dell'atto di denuncia dal quale sembra sia originato il licenziamento medesimo -:
per quale motivo l'Ambasciata italiana a Minsk, nonostante abbia sottoscritto un contratto di lavoro a tempo indeterminato nel quale si dice che «... competente a risolvere le eventuali controversie che possano insorgere dall'applicazione del presente contratto è il foro locale.», non ha dato il proprio consenso al Tribunale bielorusso affinché possa essere avviato il ricorso presentato dalla signora Verghel, impedendo così alla stessa di poter esercitare un proprio diritto;
le ragioni per cui, nonostante la normativa vigente in materia di procedimento disciplinare a carico dei dipendenti del Ministero degli Affari Esteri preveda che «il diritto di accesso agli atti del procedimento disciplinare non può essere oggetto di limitazioni» di alcun genere (v. circ. min. prot. 031/22190 del 21 settembre 2001), l'Ambasciata italiana a Minsk continua a negare alla signora Verghel il diritto di accesso ai predetti atti.
(4-09592)

Risposta. - L'articolo 16 del contratto di lavoro sottoscritto dalla signora Svetlana Verghel con l'Ambasciata d'Italia a Minsk, il quale riproduce l'articolo 154 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967 n. 18, recita: «fermo restando quanto disposto in materia dalle norme di diritto internazionale generale e convenzionale, competente a risolvere le eventuali controversie (...) è il foro locale».
In base a tale disposto e in considerazione della prassi, instauratasi nell'ambito del diritto internazionale, per cui soltanto per le azioni aventi ad oggetto gli aspetti patrimoniali del rapporto di lavoro è in via di principio esclusa l'immunità degli Stati dalla giurisdizione locale, le azioni riguardanti l'assunzione o la reintegrazione nel posto di lavoro - quale quella oggetto del ricorso proposto dalla signora Verghel dinanzi alle autorità bielorusse - configurano, invece, un'indebita ingerenza nella sfera di sovranità e indipendenza propria degli Stati.
Per quanto riguarda la domanda di accesso agli atti del procedimento disciplinare, si fa presente che, a seguito di regolare istanza presentata dai legali dell'ex dipendente dell'ambasciata a Minsk, il ministero degli affari esteri ha di recente provveduto


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a trasmettere la documentazione allo Studio legale interessato.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.

PERROTTA. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
considerato che i napoletani con le loro migrazioni hanno contribuito a diffondere la «Napoletanità» nel mondo, sarebbe logico creare un circuito culturale che riconduca tutti coloro, che hanno oltrepassato il confine campano, nella loro città di appartenenza in modo da contribuire alla crescita della città sotto il profilo economico, sociale e culturale -:
se il Ministro intenda avviare una analisi per risalire al numero di cittadini nati a Napoli e che, allo stato attuale, risiedono all'estero;
se il Ministro, a seguito di questa analisi, possa fornire i dati nazione per nazione.
(4-09459)

Risposta. - In merito alla questione posta dall'interrogante si osserva in via preliminare che nella banca dati «Anagrafe consolare esistente presso ciascun Consolato sono registrati solo i cittadini italiani che si sono manifestati presso tali uffici. Da ciò consegue che da tali banche dati - istituite e mantenute in ottemperanza alle disposizioni dell'articolo 67 del decreto del Presidente della Repubblica n. 200 del 1967 e della legge n. 470 del 1988 - rimangono esclusi sia coloro che, pur essendo giuridicamente cittadini italiani, non hanno segnalato la propria residenza all'estero alle autorità consolari, sia coloro che nonostante l'origine italiana non ne hanno la cittadinanza giuridica.
È inoltre necessario ricordare che, sempre in virtù delle norme sopra citate, presso l'amministrazione centrale degli affari esteri non esiste una banca dati centralizzata risultante dal totale delle banche dati «Anagrafe Consolare» dei vari uffici all'estero. Di conseguenza, l'effettuazione di una ricerca sull'insieme dei dati registrati negli schedari consolari - comunque soggetti ai limiti fattuali e giuridici sopra illustrati - presupporrebbe la creazione di una simile banca dati che comporterebbe oneri e tempi attualmente non quantificati.
Per completezza di informazione, si precisa che la raccolta dei dati delle Anagrafi consolari, finalizzata alla predisposizione degli elenchi degli elettori nelle occasioni previste dalla legislazione vigente, comporta procedure diverse da quelle necessarie all'eventuale creazione di un database unico.
Si ricorda infine che, sempre in ottemperanza alla legge n. 470 del 1988, esiste la banca dati centralizzata relativa all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero («A.I.R.E.»), istituita e mantenuta presso il ministero dell'interno.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.

PISTONE. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la rigidità della legge sull'immigrazione è costata la vita ad un giovane immigrato senegalese colpito dalla leucemia: Djieng Doudou è morto a Livorno, città nella quale viveva da una decina d'anni, in attesa del fratello, l'unico che avrebbe potuto salvarlo donandogli il midollo spinale e che non è riuscito ad ottenere in breve tempo il visto d'ingresso dall'ambasciata italiana a Dakar, dove le troppe lungaggini burocratiche ed i troppi intoppi hanno impedito un suo pronto arrivo in Italia;
il suddetto drammatico episodio, che fa seguito ad altri analoghi casi di visti negati e sui quali l'interrogante è già intervenuta con apposite interrogazioni, impone anche dal punto di vista legislativo un necessario e urgente cambiamento di rotta nei confronti della legge sull'immigrazione -:
quali iniziative intenda adottare al fine di apportare le necessarie e opportune


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modifiche legislative alla legge in oggetto, nell'intento di evitare che episodi come questo non si verifichino mai più.
(4-08173)

Risposta. - Sulla base degli elementi forniti dalla prefettura di Livorno, si fa presente, che Don Luigi Zoppi, in qualità di presidente dell'associazione di volontariato CE.I.S. Tre Ponti di Livorno, ha presentato, il 4 agosto 2003, al ministero degli affari esteri, per il tramite di quella Prefettura, la richiesta per un permesso di ingresso, per motivi umanitari, per alcuni familiari del signor Djieng Doudou in quanto «...ammalato leucemico con prognosi nefasta», allegando documentazione medica dell'ospedale di Livorno rilasciata il 24 luglio 2003.
Il 6 agosto successivo, la prefettura inviava all'Ambasciata di Dakar e al ministero degli affari esteri la richiesta con la relativa documentazione, specificando, nella lettera di trasmissione, che si trattava di una richiesta di permesso di ingresso per motivi umanitari, che il malato era ormai in fase terminale e che l'associazione richiedente era conosciuta presso la prefettura stessa per l'opera altamente meritoria.
Il 20 agosto 2003, la richiesta veniva ritrasmessa dalla prefettura all'ambasciata e al ministero degli affari esteri, precisando, anche in questo caso e con la medesima dicitura, la gravità delle condizioni di salute del signor Djieng.
Il 12 novembre 2003, Don Luigi Zoppi segnalava direttamente al ministero degli affari esteri il carattere di estrema urgenza delle richieste di visto, evocando la possibilità di un trapianto midollare, come risulta dalla allegata comunicazione emessa dalla Azienda U.S.L. n. 6 del Presidio Ospedaliero di Livorno in data 11 novembre 2003.
A seguito di questa ulteriore comunicazione, il Centro Visti di quel dicastero inoltrava la citata documentazione all'Ambasciata italiana in Dakar, segnalando l'estrema urgenza e l'aspetto umanitario del caso.
Purtroppo, pochi giorni dopo, il signor Djieng moriva a Livorno, senza che si potesse assicurare la presenza dei suoi familiari in Italia.
Nel merito di quanto verificatasi, va evidenziato, innanzitutto, che il rilascio dei visti d'ingresso attiene alle competenze del ministero degli affari esteri in quanto gli stessi vengono concessi dalle rappresentanze diplomatiche e consolari all'estero, le sole responsabili dell'accertamento e della valutazione dei requisiti necessari per il rilascio, secondo quanto previsto dall'articolo 4, 2o comma, del Testo Unico sull'immigrazione e dall'articolo 5, 4o comma, del relativa regolamento di attuazione.
Detto questo, la sequenza dei fatti mette in evidenza come la mancata, immediata percezione del carattere di emergenza del caso ha purtroppo portato ad una trattazione della richiesta di visto secondo criteri e tempi che si sono rivelati non corrispondenti alle esigenze di cura del cittadino senegalese e che non possono essere riconducibili, neppure indirettamente, ad elementi di rigidità delle disposizioni introdotte dalla legge n. 189 del 2002, cosiddetta Fini-Bossi, a parziale modifica del citato articolo 4, comma 2, del testo unico in materia di immigrazione.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

ROSATO, BOCCIA, DAMIANI e PISTELLI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
con la Legge 12 agosto 2000, il governo della repubblica federale di Germania ha istituito un fondo di indennizzo, gestito dalla Fondazione «Memoria, Responsabilità e futuro» a favore di quanti si sono trovati nel corso della seconda guerra mondiale, nei territori occupati o all'interno del Terzo Reich, nelle condizioni di schiavitù o di lavoro forzato;
il tribunale amministrativo di Berlino ha rinviato in data 19 febbraio 2004 la sentenza prevista sulle prime due richieste di indennizzo presentate da Antonio Basile e Giacomo Malcerto, due soldati italiani catturati dai tedeschi subito dopo l'armistizio ed inviati a lavorare in Germania e rappresentati dall'associazione degli Internati militari italiani (Imi);


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il contenzioso deriva dalla decisione del governo tedesco di negare la possibilità di ottenere i risarcimenti agli ex militari italiani perché vengono inclusi nella categoria dei prigionieri di guerra, espressamente esclusa da una clausola della legge istitutiva;
in realtà, Hitler ordinò di negare lo status di prigionieri di guerra ai militari italiani dopo la proclamazione dell'armistizio, privandoli di tutte le tutele minime garantite dal diritto internazionale e dalla Convenzione di Ginevra, utilizzandoli a tutti gli effetti come lavoratori coatti, con l'aggravio di essere considerati «traditori»;
i dati forniti dall'Imi dicono che su 600.000 soldati italiani fatti prigionieri dai tedeschi, alla fine del 2001 ne erano ancora in vita circa 100.000 di cui 4.200 hanno presentato formale richiesta di risarcimento -:
se il Governo italiano abbia sostenuto o intenda farlo le ragioni di tanti nostri concittadini.
(4-09029)

Risposta. - Sin dall'approvazione della legge istitutiva della Fondazione «Memoria, Responsabilità e Futuro», la legittimazione degli ex Internati Militari Italiani (IMI) ad ottenere l'indennizzo è stata posta in dubbio da parte tedesca, in quanto la legge esclude espressamente che di essa possano beneficiare gli ex prigionieri di guerra.
La questione è stata seguita dal ministero degli affari esteri con la massima attenzione già dalla fase preparatoria della legge tedesca. Una delegazione Esteri-Difesa ha illustrato, nel novembre 2000, alle autorità tedesche una memoria storico-giuridica sullo
status speciale degli IMI. Ai militari italiani deportati dopo l'8 settembre 1943 e successivamente impiegati come lavoratori coatti in campi di concentramento e imprese industriali e agricole, infatti, non fu mai applicata la Convenzione di Ginevra del 1929 che regolava il trattamento dei prigionieri di guerra, mentre è incontrovertibile il fatto che essi si trovarono a subire misure punitive e di limitazione della libertà personale, nonché a svolgere lavoro forzato, non retribuito, in condizioni inumane.
A seguito di tale intervento, il governo tedesco decise di incaricare un esperto giuridico, il professor Tomuschat, di approfondire la questione e fornire un parere sull'ammissibilità degli IMI alle provvidenze della legge. Il 3 agosto 2001 il professor Tomuschat si pronunciò nel senso che gli IMI debbono essere giuridicamente considerati quali prigionieri di guerra, anche se non furono trattati come tali, e ritenuti quindi, in linea generale, esclusi dai benefici. Tale tesi è stata fatta propria dal governo tedesco con un comunicato dell'11 agosto successivo. Il
Kuratorium della Fondazione ha formalizzato tale esclusione l'11 ottobre 2001.
Da parte italiana si è deplorato con molta forza e con molta franchezza un giudizio che riteniamo ingiusto e non corredato dai fatti.
Indipendentemente dalla questione degli IMI, la legge tedesca prevede che tutti i lavoratori forzati hanno diritto ad un risarcimento se sono stati rinchiusi in campi di concentramento o in «altre prigioni» con condizioni di detenzione assimilabili a quelle dei campi di concentramento, ed inserite in una apposita lista compilata dalle autorità tedesche. Per quanto riguarda i deportati o detenuti come lavoratori forzati che non sono stati internati nei predetti luoghi, è prevista una possibilità di risarcimento qualora abbiano sofferto di condizioni di vita «estremamente dure», ma, in base alla volontà del legislatore tedesco, tale fattispecie si applica soltanto a quei gruppi di lavoratori forzati che furono sottoposti ad una discriminazione di carattere razzista, cioè in special modo nei confronti degli appartenenti ai popoli slavi, ma non occidentali.
Per quanto riguarda, in particolare, la sentenza prevista per il 19 febbraio 2004 dal tribunale amministrativo di Berlino sulle prime due richieste di indennizzo presentate dal signor Antonio Basile e dal signor Giacomo Malberto (e non «Malcerto» come erroneamente indicato nel testo dell'interrogazione) non è stata ancora emessa e resa pubblica: non se ne conosce dunque il dispositivo.
Infine per connessione di argomento, con una recente sentenza delle Sezioni unite


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della Corte di Cassazione civile (n. 5044/2004), che parrebbe avere incidenza su questa materia, è stata dichiarata la giurisdizione del giudice italiano con riferimento ad una domanda di condanna della Germania al risarcimento dei danni subiti da un cittadino italiano, deportato nell'agosto 1944 per essere utilizzato presso imprese tedesche quale «lavoratore forzato». La Corte Suprema ha tenuto a precisare che nella specie «[...] i fatti sui quali si fonda la domanda si sono verificati in Italia». Ma - aggiunge - «[...] essendo essi qualificabili come crimini internazionali, la giurisdizione andrebbe comunque individuata secondo i principi della giurisdizione universale» (par. 12).
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.

ROSATO, DAMIANI, BOCCIA e PISTELLI. - Al Presidente del Consiglio dei Ministri. - Per sapere - premesso che:
con la legge 12 agosto 2000, il Governo della Repubblica Federale di Germania ha istituito un fondo di indennizzo, gestito dalla fondazione «Memoria, Responsabilità e Futuro» a favore di quanti si sono trovati nel corso della seconda guerra mondiale, nei territori occupati o all'interno del Terzo Reich, nelle condizioni di schiavitù o di lavoro forzato;
in questa categoria rientrano anche coloro che, residenti nella Venezia Giulia tra il 1943 e il 1945, pur non sottoposti per motivi di età all'esercizio della leva militare, furono mobilitati con bando pubblico e cartolina precetto dalle forze di occupazione tedesche costituente la Zona d'Operazioni Litorale adriatico, nel servizio obbligatorio del lavoro ed impiegati in dure condizioni di vita nell'erezione di fortificazioni e trinceramenti nella parte settentrionale dell'Istria, sul Carso triestino e sulle alture goriziane. In alcune località furono allestiti dei campi di punizione Straflager accanto ai più comuni Lager;
l'International Organization for Migration con sede a Ginevra, che esamina e valuta le domande di indennizzo per conto della suddetta Fondazione, ha adottato, secondo gli interroganti, criteri discriminatori nei riguardi di appellanti residenti nella Venezia Giulia all'epoca dei fatti sotto la sovranità del Regno d'Italia. I richiedenti attualmente di cittadinanza slovena e/o croata, ma in passato jugoslava, trovatisi nelle citate condizioni hanno trovato accolta la domanda, mentre i richiedenti di cittadinanza italiana, ristretti e coatti alla pari dei primi e nelle medesime località, se la sono vista negare per il solo fatto che le norme della legge 12 agosto 2000 prevedono l'accoglimento di domande provenienti solo da soggetti che esprimono particolari categorie discriminate, quali Ebrei, Sinti, Rom, origine slava. Quest'ultima specifica non può essere applicata integralmente per gli ex lavoratori coatti che, dopo il Trattato di pace (1947) hanno optato per la cittadinanza jugoslava, e quando applicata discrimina altri cittadini italiani che trovatisi in tempo di guerra nelle medesime condizioni dei primi, hanno invece optato per la cittadinanza italiana. In effetti, beneficiano dell'indennizzo i cittadini croati e sloveni, già lavoratori coatti nell'Adriatisches Kuesterland, allora residenti nei territori ceduti alla Jugoslavia a seguito del Trattato di pace del 10 febbraio 1947. Sono invece esclusi dal risarcimento i cittadini italiani del Friuli-Venezia Giulia ed i profughi dai Territori ceduti alla Jugoslavia, per quanto si siano trovati tutti nelle medesime condizioni dei lavoratori coatti slavi -:
se il Governo intenda intervenire presso le autorità tedesche per conoscere i motivi di tale distinzione, espressa, secondo gli interroganti, capziosamente nelle comunicazioni di rigetto della domanda, adducendo il fatto che (citazione), «gli ex lavoratori forzati dell'Europa occidentale, inclusi i civili italiani, non sono ammessi all'indennizzo ai sensi della legge istitutiva della Fondazione tedesca, poiché non subirono specifiche discriminazioni in base a decreti o regolamenti ufficiali del regime


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nazista e non furono quindi sottoposti alle condizioni di vita estremamente dure di cui alla suddetta Legge», e per chiedere una correzione della procedura valutativa dei richiedenti in oggetto.
(4-09031)

Risposta. - L'articolo 11 della legge tedesca del 12 agosto 2000, relativo agli aventi diritto alle compensazioni da essa previste, non specifica particolari categorie di soggetti che possano essere discriminati positivamente nell'accoglimento delle loro domande. La legge tedesca prevede infatti che tutti i lavoratori forzati, ad esclusione degli ex prigionieri di guerra (categoria nella quale sono stati compresi gli Internati Militari Italiani), hanno diritto ad un risarcimento se sono stati rinchiusi in campi di concentramento, ovvero in «altre prigioni» con condizioni di detenzione assimilabili a quelle dei campi di concentramento, ed inserite in una apposita lista compilata dalle autorità tedesche.
Per quanto riguarda i deportati o detenuti come lavoratori forzati che non sono stati internati nei predetti luoghi, è prevista una possibilità di risarcimento qualora abbiano sofferto di condizioni di vita «estremamente dure», ma, in base alla volontà del legislatore tedesco, tale fattispecie non si applica purtroppo ai detenuti occidentali, ma soltanto a quei gruppi di lavoratori forzati che furono sottoposti ad una discriminazione di carattere razzista, cioè in special modo nei confronti degli appartenenti alle categorie menzionate nel testo presentato dall'interrogante.
Si ricorda inoltre che, per corrispondere alle giuste proteste di coloro che si sentono indebitamente esclusi dai benefici della legge tedesca, il Parlamento italiano sta attualmente esaminando un progetto di legge a favore delle vittime italiane militari e civili del regime nazista (Atto Parlamentare 2240, in discussione alla Commissione IV Difesa, relativo a «Disposizione per la concessione di un indennizzo ai militari italiani detenuti durante la seconda guerra mondiale in Germania»).
Tale iniziativa parlamentare fa riscontro all'azione di sensibilizzazione che il Governo italiano ha ripetutamente sviluppato con le Autorità tedesche su questa delicata ed importante problematica.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.

ROSATO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la Fondazione «Memoria, Responsabilità e Futuro» di Berlino è incaricata di pagare un indennizzo alle persone che sono state costrette in condizioni di schiavitù o di lavori forzati nei territori occupati o all'interno del Terzo Reich, in base a quanto stabilito dalla legge della Repubblica Federale di Germania varata il 2 agosto 2000, ed entrata in vigore il 12 agosto 2000;
al momento, risulta erogato, alla maggior parte degli aventi diritto, solo il 50 per cento delle somme dovute, mentre i restanti aventi diritto non hanno ancora ricevuto nulla;
la Fondazione «Memoria, Responsabilità e Futuro», ha ritenuto opportuno subordinare l'erogazione della seconda rata ai risultati di un questionario a campione, per assicurarsi che il denaro sia pervenuto alle persone aventi diritto, che i prescelti, una volta ricevuto, devono compilare e spedire alla Fondazione, indicando di aver percepito o meno la somma, e il suo eventuale ammontare;
è evidente che una simile procedura, pur consentendo un indicativo controllo delle somme già erogate, comporta l'impiego di tempi lunghi, e un rallentamento delle operazioni che rischiano di rendere in molti casi vana la finalità della legge stessa, trattandosi ovviamente di persone molto anziane e spesso in precarie condizioni di salute, che in più di qualche caso potrebbero non riuscire a vedere riconosciuto loro quell'indennizzo di valore non solo materiale, ma anche morale -:
se sia a conoscenza di questa prassi, e se non ritenga opportuno adottare in sede diplomatica eventuali iniziative affinché


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si possa giungere ad una sua modifica e quindi ad una sollecitazione ed accelerazione dei pagamenti.
(4-09785)

Risposta. - Secondo quanto indicato dall'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, che cura l'istruzione delle richieste di compensazione di coloro che furono sottoposti durante il secondo Conflitto Mondiale a lavoro coatto, e ne predispone la loro successiva liquidazione, la procedura segnalata dall'interrogante fa parte degli strumenti di auditing predisposti dalla Fondazione «Memoria, Responsabilità e Futuro» per verificare il corretto operato dell'OIM e dell'istituto finanziario che ha ottenuto l'appalto dei pagamenti.
Tale procedura rappresenta un prerequisito per autorizzare il pagamento della seconda rata. È stato altresì sottolineato come esso, in sé, non ingeneri nessun ritardo, perché, in ogni caso, come già indicato nella risposta all'interrogazione a risposta scritta n. 4-09030, anch'essa presentata dall'interrogante, la corresponsione della seconda rata ai beneficiari che hanno ricevuto la prima, verrà erogata solo dopo il vaglio di tutte le domande di rimborso, e degli appelli che sono stati inoltrati all'O.I.M. da coloro che si sono visti respinta la domanda.
In presenza infatti di un ammontare fisso del fondo di cui dispone la Fondazione per i risarcimenti, è necessario verificare l'esatto numero dei beneficiari finali prima di utilizzare le risorse finanziarie che sono rimaste a seguito del pagamento della prima rata.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.

ROTUNDO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il Direttore della gestione tributi dell'Agenzia delle Entrate ha reso noto che il fondo per il 2003 di 1.740 milioni di euro stanziati per il credito d'imposta alle imprese che investono al Sud è stato totalmente utilizzato per far fronte alle domande presentate nel 2002 che erano in lista d'attesa;
l'esaurimento dei fondi 2003 vuol dire che le imprese che hanno già fatto gli investimenti e che hanno presentato la relativa domanda per il bonus entro il 1 aprile 2003 dovranno attendere i nuovi stanziamenti del 2004;
molte imprese salentine e meridionali che hanno giustamente fatto affidamento sulla certezza della legge e sui previsti tempi di concessione del bonus si verranno a trovare in gravissime difficoltà;
tutto ciò rappresenta una vera e propria beffa per il Mezzogiorno, perché mentre da un lato non si trovano i fondi per le imprese che investono al Sud, dall'altro il Governo proroga gli sgravi sugli investimenti per ben 1.600 comuni del Nord -:
quali provvedimenti urgenti intenda adottare il Governo per sanare tale assurda ed iniqua situazione e per reperire le somme necessarie per la copertura del credito d'imposta per il 2003 per le imprese che investono al Sud, stanziando subito i relativi finanziamenti.
(4-06637)

Risposta. - Con l'atto di sindacato ispettivo cui si risponde, l'interrogante chiede quali provvedimenti si intendano adottare per soddisfare le richieste per la fruizione del credito d'imposta previsto dall'articolo 8 della legge n. 388 del 2000, relativo agli investimenti da realizzare nel 2003, in quanto risultano esaurite le risorse stanziate per l'anno 2003, interamente utilizzate per le richieste presentate nel 2002.
Al riguardo, l'Agenzia delle entrate, sulla base del monitoraggio introdotto dal decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, ha provveduto a gestire le istanze per l'attribuzione del credito d'imposta per gli investimenti nelle aree svantaggiate, presentate a decorrere dal 25 luglio 2002.
Successivamente, l'articolo 62 della legge finanziaria per l'anno 2003 (legge 27 dicembre 2002, n. 289), nel modificare la


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disciplina del credito d'imposta in esame, ha rideterminato in 1000 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2003 al 2006 gli stanziamenti in bilancio, originariamente fissati dall'articolo 10 del citato decreto-legge n. 138 del 2002.
Inoltre, il medesimo articolo 62 ha previsto, tra l'altro, la facoltà di rinnovare l'istanza a suo tempo presentata, alla quale viene garantito l'ordine di priorità conseguito con l'istanza originaria non accolta a quei soggetti che non hanno ottenuto nel 2002 l'accoglimento dell'istanza di ammissione al contributo a causa dell'esaurimento dei fondi disponibili, nonché l'obbligo, per tutti gli altri soggetti che intendono effettuare investimenti nelle aree svantaggiate a decorrere dal 2003, di presentare specifica istanza in via telematica.
In attuazione delle citate disposizioni sono stati approvati, con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate del 30 gennaio 2003, due distinti modelli: il Modello RTS, per le istanze di rinnovo, ed il Modello ITS per le nuove istanze.
Per consentire ai contribuenti i predetti adempimenti è stato reso quindi disponibile gratuitamente, sul sito dell'Agenzia delle entrate, il relativo programma di compilazione e trasmissione telematica.
Infine, la predetta Agenzia ha assicurato che, per effetto delle disposizioni contenute, in particolare, nella lettera
d) del comma 1 del citato articolo 62 della legge n. 289 del 2002, le istanze di rinnovo sono state esaminate in base all'ordine cronologico di presentazione delle istanze originarie non accolte nel 2002.
Ciò ha comportato l'esaurimento dei fondi stanziati nel 2003 con la conseguenza che le nuove istanze, presentate a decorrere dal 1o aprile 2003, sono state tutte respinte.
Al riguardo, il CIPE, con delibera n. 23 del 25 luglio 2003, ha deciso, tra l'altro, un'assegnazione integrativa di fondi, per l'anno 2003 e per l'anno 2004, pari rispettivamente a 302,00 milioni di euro ed a 3 milioni di euro, a favore dei crediti d'imposta per gli investimenti nelle aree svantaggiate.
I soggetti ai quali è stato negato il contributo nell'anno 2003 per esaurimento dei fondi disponibili hanno quindi presentato l'istanza di rinnovo dal 2 al 20 gennaio 2004, redatta su Modello RTS, secondo quanto previsto dal provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate del 30 gennaio 2003.
Sono stati emanati, da parte dell'Agenzia delle entrate, i provvedimenti di accoglimento di dette istanze, sulla base dell'ordine di priorità conseguito con l'istanza originaria non accolta e tenuto conto delle attuali risorse disponibili per il 2004.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Daniele Molgora.

RUSSO SPENA, MASCIA e CENTO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
un giovane immigrato senegalese, Djieng Doudou, è morto a Livorno, città nella quale viveva da una decina d'anni, per leucemia. Era in attesa del fratello, l'unico che avrebbe potuto salvarlo donandogli il midollo spinale. Al fratello, però, non è stato concesso il visto d'ingresso dall'ambasciata italiana a Dakar. Per mesi si è intervenuto sull'ambasciata italiana di Dakar, ma l'autorizzazione a partire per Livorno non è mai arrivata, e Djeng Doudou, che nell'ultimo anno è vissuto presso il CEIS, ai Tre Ponti, nella comunità di Don Luigi Zoppi, è morto solo, all'ospedale di Livorno. La burocrazia gli ha negato la presenza di un qualsiasi familiare e di una possibilità di salvezza;
Doudou faceva l'ambulante e, come tanti suoi connazionali, ogni mese inviava alla sua famiglia i soldi che guadagnava dal suo lavoro. Improvvisamente, le sue condizioni di salute hanno iniziato a peggiorare. Questa estate, dopo una serie di accertamenti medici eseguiti nell'ospedale di Livorno, è arrivata la terribile diagnosi: leucemia. Da quel momento i medici che lo avevano in cura, ma anche don Luigi Zoppi, rettore della comunità Ceis ai Tre Ponti nella quale viveva, hanno cercato di aiutare Doudou in tutti i modi;


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per salvarlo occorreva un trapianto di midollo, ma il «donatore» - come denuncia oggi la comunità dei Tre Ponti - per le «troppe lungaggini burocratiche e i troppi intoppi» di una legge così feroce e inumana, non è riuscito ad arrivare in tempo;
la cosiddetta legge Bossi-Fini sull'immigrazione è così costata la vita a un giovane malato di leucemia, colpevole, probabilmente, di avere la pelle nera, di fare l'ambulante per vivere e di provenire da un paese africano;
sul Tirreno di Livorno del 27 novembre 2003, è riportata la notizia di un'altra situazione gravissima che si trascina da due mesi;
un altro straniero, un marittimo filippino, che ha perso l'uso delle braccia per un infortunio al porto, aspetta con ansia l'arrivo della moglie per esser aiutato. Ma, come nel caso del senegalese, il visto d'ingresso è fermo da quasi due mesi. Il caso è stato denunciato in Consiglio comunale. L'assessore al sociale Alfio Baldi, ha chiesto per iscritto l'intervento del questore Antonino Pugliesi, che ha subito preso contatto con l'ambasciata. Il filippino, che ha bisogno di assistenza giorno e notte, viene seguito da personale del volontariato, oltre che, a livello medico, dal personale dell'ospedale -:
quali iniziative intenda prendere per permettere l'accesso, così urgente ed indispensabile, a persone che vengono in Italia esclusivamente per una funzione umanitaria, tenendo conto che queste persone sono individuate singolarmente, controllate e, quindi, non certo portatrici di pericolo per l'ordine pubblico e che strumenti e possibilità vi sarebbero pur nelle maglie troppo strette, troppo rigide della legge «Bossi-Fini»;
quali iniziative normative, a tal fine, intenda portare avanti anche per giungere, sui punti in questione, ad una proposta della stessa legge, dopo la drammatica verifica su avvenimenti così gravi che il Ministro ha empiricamente fatto.
(4-08227)

Risposta. - Sulla base degli elementi forniti dalla prefettura di Livorno, si fa presente, che Don Luigi Zoppi, in qualità di Presidente dell'Associazione di Volontariato CE.I.S. Tre Ponti di Livorno, ha presentato, il 4 agosto 2003, al Ministero degli Affari Esteri, per il tramite di quella Prefettura, la richiesta per un permesso di ingresso, per motivi umanitari, per alcuni familiari del signor Djieng Doudou in quanto «...ammalato leucemico con prognosi nefasta», allegando documentazione medica dell'Ospedale di Livorno rilasciata il 24 luglio 2003.
Il 6 agosto successivo, la pretura inviava all'Ambasciata di Dakar e al ministero degli affari esteri la richiesta con la relativa documentazione, specificando, nella lettera di trasmissione, che si trattava di una richiesta di permesso di ingresso per motivi umanitari, che il malato era ormai in fase terminale e che l'Associazione richiedente era conosciuta presso la Prefettura stessa per l'opera altamente meritoria.
Il 20 agosto 2003, la richiesta veniva ritrasmessa dalla Prefettura all'Ambasciata e al ministero degli affari esteri, precisando, anche in questo caso e con la medesima dicitura, la gravità delle condizioni di salute del signor Djieng.
Il 12 novembre 2003, Don Luigi Zoppi segnalava direttamente al ministero degli affari esteri il carattere di estrema urgenza delle richieste di visto, evocando la possibilità di un trapianto midollare, come risulta dalla allegata comunicazione emessa dalla Azienda U.S.L. n. 6 del Presidio Ospedaliero di Livorno in data 11 novembre 2003.
A seguito di questa ulteriore comunicazione, il Centro Visti di quel dicastero inoltrava la citata documentazione all'Ambasciata italiana in Dakar, segnalando l'estrema urgenza e l'aspetto umanitario del caso.
Purtroppo, pochi giorni dopo, il signor Djieng moriva a Livorno, senza che si potesse assicurare la presenza dei suoi familiari in Italia.
Nel merito di quanto verificatosi, va evidenziato, innanzitutto, che il rilascio dei visti d'ingresso attiene alle competenze del ministero degli affari esteri in quanto gli


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stessi vengono concessi dalle rappresentanze diplomatiche e consolari all'estero, le sole responsabili dell'accertamento e della valutazione dei requisiti necessari per il rilascio, secondo quanto previsto dall'articolo 4, 2o comma, del Testo Unico sull'immigrazione e dall'articolo 5, 4o comma, del relativo regolamento di attuazione.
Detto questo, la sequenza dei fatti mette in evidenza come la mancata, immediata percezione del carattere di emergenza del caso ha purtroppo portato ad una trattazione della richiesta di visto secondo criteri e tempi che si sono rivelati non corrispondenti alle esigenze di cura del cittadino senegalese e che non possono essere riconducibili, neppure indirettamente, ad elementi di rigidità delle disposizioni introdotte dalla legge n. 189 del 2002, cosiddetta Fini-Bossi, a parziale modifica del citato articolo 4, comma 2, del testo unico in materia di immigrazione.
Per quanto riguarda, invece, il signor Franklin Ebrada, cittadino filippino, si comunica che l'Ambasciata d'Italia a Manila, per il tramite del Ministero degli Affari Esteri, ha fatto presente di aver rilasciato, in data 25 novembre 2003, su sollecitazione della compagnia marittima filippina Sealanes Marine Services Inc., un visto d'ingresso per turismo alla cittadina filippina Renerose Altizo, per assistere il signor Franklin Ebrada, infortunatosi, in quanto lavoratore marittimo, nel porto di Livorno il 29 settembre 2003.
La stessa Ambasciata ha precisato che la signora Renerose Altizo, peraltro soltanto convivente e non coniuge del marittimo, aveva presentato domanda di visto in data 14 novembre 2003, dopo aver ottenuto il rilascio del passaporto dalle competenti autorità locali in data 11 novembre.
Per una tempestiva definizione della richiesta, la questura di Livorno, su interessamento della locale amministrazione comunale, aveva, a sua volta, inviato all'Ambasciata in questione una segnalazione, ricevuta dalla Rappresentanza diplomatica il 26 novembre 2003.
Si precisa che la signora Renerose Altizo è poi giunta, in breve tempo, a Livorno, dove è rimasta per assistere il signor Franklin Ebrada, con spese a carico di un'agenzia marittima di quel capoluogo.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

SAGLIA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2003 sul monte Maddalena, nel comune di Brescia, si è sviluppato un incendio in nove-dieci punti che si è espanso e circuito lungo un unico fronte di oltre un chilometro e mezzo;
secondo il comandante del corpo forestale di Brescia l'incendio, che ha mandato in fumo cinquanta ettari di boscaglia, è molto probabilmente di origine dolosa;
i vigili del fuoco ed i volontari della protezione civile sono intervenuti tempestivamente ed hanno scongiurato una situazione molto pericolosa trovandosi in un luogo a poche centinaia di metri dalle abitazioni della città;
la regione lombarda ha promosso l'intervento immediato di due elicotteri;
la polizia provinciale di Brescia ha definito l'avvenimento un grande disastro ecologico visto che l'ingente danno forestale si alla preclusione sia dell'attività venatoria sia della pastorizia;
fotografie pubblicate sulla stampa nazionale evidenziano il tentativo di comporre con le fiamme la scritta Nowar e che sul luogo dell'incendio sono stati rinvenuti centinaia di metri di corda disposti sul percorso dell'ipotetica scritta -:
quali iniziative si intendano adottare sul piano della prevenzione affinché episodi come quello descritto in premessa non abbiano a ripetersi.
(4-05695)

Risposta. - Il 24 febbraio 2003, un'ampia area boschiva del versante sud del monte Maddalena, che domina la città di Brescia, è stata interessata da un incendio che il Corpo Forestale dello Stato ha ritenuto doloso.


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Il difficile accesso alla zona particolarmente accidentata, i nove focolai d'incendio individuati e l'oscurità della notte hanno fatto pensare ad una precisa volontà di causare un incendio difficile da arginare. Infatti le operazioni delle squadre del Corpo Forestale, dei Vigili del Fuoco e dei volontari intervenuti hanno avuto definitivamente ragione del fuoco solo nel pomeriggio del giorno seguente, grazie all'ausilio di due elicotteri messi a disposizione dalla regione Lombardia.
In relazione alla scritta «NOWAR» va precisato che il personale della Questura con le squadre dei Vigili del Fuoco hanno effettuato accurati sopralluoghi ed accertamenti tecnici che non hanno evidenziato nessuna prova in ordine alla volontà degli autori dell'incendio di riprodurre delle lettere con il fuoco.
Infatti, secondo le valutazioni del Corpo Forestale dello Stato, un disegno del genere sarebbe pressoché irrealizzabile a causa della morfologia della zona caratterizzata da pendenze accentuate e attraversata da valli con una vegetazione variegata e molto fitta.
Per quanto riguarda il Piano di prevenzione si fa presente che l'articolo 3 della legge quadro in materia di incendi boschivi n. 353 del 21 novembre 2000 dispone che le regioni approvino e revisionino ogni anno un Piano regionale di previsione, basato sulle linee guida deliberate dal Consiglio dei Ministri.
In questo Piano sono indicate le cause degli incendi, le aree percorse dal fuoco negli anni precedenti, rappresentate con apposita cartografia e le aree a rischio di incendio boschivo, anch'esse rappresentate con un'apposita cartografia tematica aggiornata, con l'indicazione delle tipologie di vegetazione prevalenti.
In particolare, per quanto riguarda gli incendi boschivi, sono stati determinati i comportamenti che possono provocare l'innesco degli incendi nelle aree verdi, nei periodi a rischio più elevato, gli interventi per la previsione e la prevenzione, anche attraverso sistemi di monitoraggio satellitare, la quantificazione e localizzazione dei mezzi, degli strumenti, delle risorse umane e delle procedure per la lotta attiva contro gli incendi boschivi.
Sono state, inoltre, identificate le vie di accesso e dei tracciati spartifuoco, nonché le fonti per l'approvvigionamento idrico, le operazioni silvicolturali di pulizia e di manutenzione del bosco, con la facoltà di interventi sostitutivi nel caso in cui il proprietario sia inadempiente e le attività di programmazione e di previsione economico-finanziaria previste nel piano stesso.
Nell'ambito delle proprie competenze il Dipartimento della protezione civile, avvalendosi del Contro Operativo Unificato (COAU), garantisce e coordina, sul territorio nazionale «le attività aeree di spegnimento con la flotta aerea antincendio dello Stato, assicurandone l'efficacia operativa e provvedendo al potenziamento e all'ammodernamento della stessa». Con un'apposita direttiva, indirizzata ai Presidenti delle regioni e delle province autonome di Bolzano e Trento, relativa agli «indirizzi operativi per fronteggiare il rischio incendi boschivi», il predetto Dipartimento mira a coordinare tutte le iniziative ed attività necessarie a prevenire e a fronteggiare in modo risolutivo le situazioni di emergenza.
È, infatti, di fondamentale importanza l'azione coordinata tra gli interventi dei mezzi aerei antincendio e l'azione di contrasto effettuata da terra.
La predetta direttiva, inoltre, mira a potenziare i sistemi antincendio regionali e locali e ad attivare, in tempi rapidi, le sale operative unificate permanenti ed i Centri funzionali regionali, nonché a definire, con il Corpo Forestale dello Stato e con il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, specifiche intese ed accordi su base locale.
Infine va sottolineata l'importanza di un sistema di informazione finalizzata a diffondere, tra i cittadini e soprattutto tra i giovani, la cultura della protezione civile, con particolare riguardo agli incendi boschivi ed alle conseguenze sociali ed ambientali che ne derivano.
Infatti, grazie alla continua attenzione che in questi ultimi anni ha contrassegnato la lotta agli incendi boschivi, si è verificato il decremento della superficie media di


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bosco danneggiato per incendio che ha avvalorato l'efficacia degli interventi fino ad oggi attuati.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento: Carlo Giovanardi.

SANDI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
durante il conflitto mondiale dall'Italia erano deportati in Germania migliaia di persone, civili e militari, come prigionieri di guerra o internati costretti a lavorare nelle condizioni disumane maggiormente nei campi militari;
il Parlamento tedesco ha approvato nel 2000 una legge con la quale si stanziava la somma di 540 milioni di marchi (circa 540 milioni di lire) per il risarcimento individuale fino ad un massimo di 15 mila marchi a favore dei civili fatti «schiavi di Hitler»;
la somma è destinata solo a favore degli ex lavoratori forzati civili, gli «Imi» (ex internati militari italiani) risultano esclusi;
in Italia la domanda per il risarcimento riguarda 90 mila persone, che con l'esclusione dei militari si sono molto ridotte;
la Corte di cassazione ha esteso il diritto di risarcimento anche agli eredi degli ex deportati;
si tratta di somme molto modeste ma da parte dei deportati, delle famiglie si esprime soddisfazione per il riconoscimento delle sofferenze che essi hanno subito durante il regime nazista, e comunque si esprimono anche molte perplessità sulle modalità di realizzazione del diritto riconosciuto in quanto ognuno dovrebbe rivolgersi singolarmente, tramite rappresentanti legali, allo Stato tedesco;
per quanto riguarda la particolarità degli internati militari italiani si sta cercando di provvedere con una proposta di legge ferma in Commissione Difesa per mancanza di copertura finanziaria -:
se intenda assumere iniziative diplomatiche per semplificare le procedure attraverso accordi dei due Governi in modo che ognuno possa ottenere agevolmente il risarcimento dovuto.
(4-09621)

Risposta. - Sin dall'approvazione della legge istitutiva della Fondazione «Memoria, Responsabilità e Futuro», la legittimazione degli ex Internati Militari Italiani (IMI) ad ottenere l'indennizzo è stata posta in dubbio da parte tedesca, in quanto la legge esclude espressamente che di essa possano beneficiare gli ex prigionieri di guerra.
La questione è stata seguita dal ministero degli affari esteri con la massima attenzione già dalla fase preparatoria della legge tedesca. Una delegazione Esteri - Difesa ha illustrato, nel novembre 2000, alle autorità tedesche una memoria storico - giuridica sullo
status speciale degli IMI. Ai militari italiani deportati dopo l'8 settembre 1943 e successivamente impiegati come lavoratori coatti in campi di concentramento e imprese industriali e agricole, infatti, non fu mai applicata la Convenzione di Ginevra del 1929 che regolava il trattamento dei prigionieri di guerra, mentre è incontrovertibile il fatto che essi si trovarono a subire misure punitive e di limitazione della libertà personale, nonché a svolgere lavoro forzato, non retribuito, in condizioni inumane.
A seguito di tale intervento, il Governo tedesco decise di incaricare un esperto giuridico, il professor Tomuschat, di approfondire la questione e fornire un parere sull'ammissibilità degli IMI alle provvidenze della legge. Il 3 agosto 2001 il professor Tomuschat si pronunciò nel senso che gli IMI debbono essere giuridicamente considerati quali prigionieri di guerra, anche se non furono trattati come tali, e ritenuti quindi, in linea generale, esclusi dai benefici. Tale tesi è stata fatta propria dal Governo tedesco con un comunicato dell'11 agosto successivo. Il
Kuratorium


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della Fondazione ha formalizzato tale esclusione l'11 ottobre 2001.
Da parte italiana si è deplorato con molta forza e con molta franchezza un giudizio che si ritiene ingiusto e non corredato dai fatti.
Indipendentemente dalla questione degli IMI, la legge tedesca prevede che tutti i lavoratori forzati hanno diritto ad un risarcimento se sono stati rinchiusi in campi di concentramento o in «altre prigioni» con condizioni di detenzione assimilabili a quelle dei campi di concentramento, ed inseriti in una apposita lista compilata dalle autorità tedesche. Per quanto riguarda i deportati o detenuti, come i lavoratori forzati che non sono stati internati nei predetti luoghi, è prevista una possibilità di risarcimento qualora abbiano sofferto di condizioni di vita «estremamente dure», ma, in base alla volontà del legislatore tedesco, tale fattispecie si applica soltanto a quei gruppi di lavoratori forzati che furono sottoposti ad una discriminazione di carattere razzista, cioè in special modo nei confronti degli appartenenti ai popoli slavi, ma non occidentali.
Per quanto riguarda le modalità di realizzo del rimborso, il legislatore tedesco ha disposto che le domande di indennizzo dovevano essere presentate all'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) con sede a Ginevra, anche tramite l'Ufficio di Roma della stessa Organizzazione. Per eventuali ricorsi avverso il rigetto della domanda di indennizzo, l'interessato può ricorrere all'Organo di Appello istituito presso l'OIM di Ginevra.
Non è chiaro infine il riferimento dell'interrogante alla decisione della Corte di Cassazione che avrebbe esteso il diritto di risarcimento anche agli eredi degli ex deportati, già peraltro previsto nella normativa tedesca, limitatamente agli eredi degli ex deportati deceduti dopo l'entrata in vigore della legge. Se si riferisce alla sentenza n. 05044 dell'11 marzo 2004, questa dispone la competenza del giudice italiano su di una causa intentata da un ex deportato contro il Governo della Repubblica Federale di Germania per ottenere il risarcimento per essere stato utilizzato per lavoro forzato in Germania durante il secondo conflitto mondiale.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.

TOLOTTI e REDUZZI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
le misure contenute nella legge finanziaria per il 2003 e nel cosiddetto «decreto taglia-spese», riducendo del 20 per cento i fondi per le spese di gestione, hanno reso più difficile la funzionalità operativa della polizia di Stato, già gravata dalla carenza di organici, in molte regioni del Nord;
a Bergamo, secondo notizie di fonte sindacale riprese e diffuse dalla stampa locale, si sta determinando una situazione di grave difficoltà operativa, resa evidente da alcuni riscontri obiettivi:
a) da tempo non arrivano divise e attrezzature per il personale;
b) da alcuni mesi gli anticipi per le trasferte esistono solo sulla carta e possono essere incassati solo molto tempo dopo l'effettuazione delle trasferte stesse;
c) la manutenzione del parco macchine è difficoltosa, in quanto, per la carenza di fondi, riparazioni anche banali richiedono tempi biblici per essere eseguite;
d) l'ufficio immigrazione, alle prese con il super-lavoro provocato dalle regolarizzazioni previste dalla Bossi Fini oltre che con il lavoro ordinario legato alla presenza di 40.000 immigrati regolari, è sotto organico di almeno cinque unità (secondo la valutazione del Questore Burriolo);
a fine giugno 2003, secondo quanto affermato da Sebastiano Piermattei, segretario SILP CGIL, i fondi stanziati per la gestione 2003 sono già terminati -:
se al Ministro risulti che la situazione operativa della polizia di Stato di Bergamo stia nei termini sopra descritti;


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se e quali provvedimenti intenda adottare per porre rimedio ad una carenza di fondi che rischia di compromettere in misura grave la operatività della polizia di Stato di Bergamo, con conseguenze negative sulla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini;
se intenda potenziare gli organici dell'ufficio immigrazione, alla luce dell'importante compito che deve svolgere in una provincia, come quella bergamasca, caratterizzata da una rilevante presenza di cittadini extracomunitari in regola e in attesa di regolarizzazione.
(4-06802)

Risposta. - Effettivamente, nel primo semestre dell'anno 2003, si è verificata una situazione di sofferenza per i settori equipaggiamento e motorizzazione di tutte le questure, compresa quella di Bergamo, a causa delle riduzioni sugli stanziamenti dei capitoli di bilancio operate dal cosiddetto «decreto taglia-spese» (decreto-legge 6 settembre 2002, n. 194, convertito con modificazioni dalla legge 31 ottobre 2002, n. 246).
La situazione, peraltro, è stata superata con il ricorso alle risorse stanziate dalla legge finanziaria per l'anno 2003 (legge n. 289 del 2002) per il fondo a disposizione del Ministro dell'interno per i consumi intermedi.
Dal gennaio 2003, inoltre, sono stati superati anche gli inconvenienti, registrati nel secondo semestre 2002, connessi alla mancata corresponsione al personale degli anticipi delle missioni a causa dell'indisponibilità dei fondi occorrenti.
Si soggiunge che l'Ufficio Immigrazione, costituito da 33 operatori della polizia di Stato e da 3 dipendenti dell'amministrazione civile dell'interno, si è avvalso, dal mese di marzo fino al 31 dicembre 2003, di 8 impiegati con contratto di lavoro a tempo determinato, addetti al disbrigo delle incombenze connesse alla legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari, previste dalla legge n. 189 del 2002 e dal decreto-legge n. 222 del 2002.
Al fine di ottimizzare i servizi resi all'utenza con la chiusura delle procedure, nello scorso mese di dicembre è stata effettuata per tre settimane una straordinaria apertura al pubblico per la consegna dei titoli di soggiorno, in aggiunta ai normali servizi resi.
Attualmente, vengono rilasciati permessi e carte di soggiorno, previo appuntamento fissato all'atto della consegna dell'istanza, con ritiro a data definita.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

TRUPIA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
presso il municipio di Isola Vicentina (Vicenza), il 12 novembre 2003 si è tenuta una riunione pubblica avente ad oggetto la presentazione di progetti per la realizzazione di una «Cittadella dello Sport», alla quale hanno partecipato il sindaco, signor Valter Baruchello, il segretario comunale, i consiglieri di maggioranza, la giunta comunale, gli assessori esterni e i giornalisti;
ai consiglieri comunali di minoranza, recatisi presso la sala conferenze per assistere a tale riunione, è stato vietato l'ingresso da un vigile urbano per precisa disposizione del sindaco;
impossibilitati quindi a partecipare i medesimi consiglieri hanno richiesto l'intervento dei Carabinieri che, giunti ad assemblea conclusa, hanno solo preso atto dell'accaduto;
come risulta dalla stampa locale, la riunione si sarebbe conclusa con la sottoscrizione di una convenzione tra il comune di Isola Vicentina, la società Sporting Club e il Vicenza Calcio, e ciò sarebbe avvenuto in assenza di una previa deliberazione in merito da parte del consiglio comunale. La mancanza di tale necessaria fase procedurale sarebbe peraltro evidenziata dalla circostanza nello stesso documento firmato dal sindaco si farebbe menzione dell'approvazione da parte del consiglio comunale, ma con gli estremi in bianco -:
quali iniziative di propria competenza, nell'ambito dei poteri previsti dal decreto legislativo n. 267 del 2000 (testo unico sugli enti locali) intenda adottare in ordine alla vicenda esposta in premessa.
(4-08179)


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Risposta. - In merito alla vicenda richiamata dall'interrogante, si comunica, sulla base degli elementi forniti dalla prefettura di Vicenza, che il comune di Isola Vicentina (Vicenza), allo scopo di favorire la pratica delle attività sportive da parte dei suoi cittadini, ha ritenuto opportuno agevolare la realizzazione di un centro tecnico sportivo, adottando in tal senso il 15 dicembre 2000 una variante al piano regolatore generale e successivamente approvando, in data 20 febbraio 2003, la delibera consiliare concernente il programma presentato dalla Società «Sporting Club Isola» srl, che avrebbe dovuto attuare il progetto previa stipula di una convenzione tra quella Società, il «Vicenza Calcio» spa ed il comune.
Lo schema di convenzione è stato ufficialmente acquisito agli atti del comune subito dopo lo svolgimento, presso la sede municipale, della riunione richiamata nel testo del documento parlamentare.
Nella circostanza il sindaco incaricava il personale della polizia municipale di svolgere un servizio di vigilanza all'ingresso dell'edificio, al fine di evitare l'accesso di altre persone.
Verso le ore 12.00, alcuni consiglieri di minoranza, ai quali era stato impedito l'ingresso alla struttura ove era in corso l'evento, richiedevano l'intervento di personale della stazione Carabinieri di Malo (Vicenza) competente per territorio.
I militari dell'Arma, giunti sul posto, constatavano che la riunione era conclusa ed i presenti si stavano allontanando.
Successivamente, però, i consiglieri di minoranza formalizzavano un atto di denuncia-querela che veniva inoltrato alla procura della Repubblica presso il tribunale di Vicenza.
La vicenda in esame riflette sicuramente il clima di tensione politica in atto da qualche tempo nel comune di Isola Vicentina; tuttavia lo stesso Sindaco ha precisato che la riunione era stata organizzata al solo scopo di confermare ai consiglieri ed al segretario comunale la volontà delle società «Vicenza Calcio» spa e «Sporting Club Isola» srl di accettare tutte le condizioni e le clausole previste nello schema di convenzione, prima che la stessa fosse sottoposta all'approvazione del consiglio comunale.
Non si trattava, quindi, di un evento di carattere istituzionale, ma di un incontro fra gli esponenti della maggioranza di governo dell'Ente ed i rappresentanti delle due società interessate, al quale il Sindaco riteneva di dover dare una particolare ufficialità, invitando anche i locali organi d'informazione.
Il sindaco ha altresì sottolineato che il 3 novembre 2003 si era svolta un'assemblea pubblica appositamente organizzata, con la partecipazione di oltre duecentocinquanta persone ed i componenti del gruppo consiliare di minoranza, nel corso della quale, ai consiglieri che ne avevano fatto domanda, era stata rilasciata copia del progetto di piano particolareggiato e dello schema di convenzione.
Risulta, comunque, che nel corso di tale riunione non era stata sottoscritta alcuna convenzione.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

VENDOLA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'area di Is Arenas fa parte del Parco regionale del Sinis Montiferru, vasto 42.664 ettari, e ricade sotto le amministrazioni comunali di Narbolia (Oristano) e di San Vero Milis (Oristano);
l'area di Is Arenas è un sito di interesse comunitario (SIC) per cui è tutelata dalla Direttiva Habitat (92/43/CEE);
la società Is Arenas s.r.l. ha avviato da anni un faraonico progetto nell'area Is Arenas. Dopo aver realizzato un campo da golf a 18 buche, che è costato all'Italia una procedura di infrazione da parte della Commissione europea per la violazione della Direttiva Habitat, il progetto prevede la costruzione di alberghi, residence e strutture connesse per circa 240.000 metri cubi di cemento all'interno del territorio


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di Narbolia e per circa 210.000 metri cubi di cemento all'interno del territorio di San Vero Milis;
molte associazioni ambientaliste, nel contrastare il progetto e la sua messa in opera, hanno cercato di capire chi ci fosse dietro la Is Arenas s.r.l. e, con molto stupore, è venuta fuori una ragnatela inestricabile di società, un universo di «scatole cinesi» e di «vasi comunicanti»;
il procuratore della Is Arenas s.r.l. è il prof. Piero Maria Pellò (ex consigliere d'amministrazione dell'Enel), il presidente della Is Arenas è il dott. Raffaele Stracquadanio (ex presidente della Standa ed ex Direttore amministrativo e finanziario della Montedison), mentre il consiglio d'amministrazione è formato da Salvatore Iadevaia, Giuseppe Genoni, Stefano Dolcini e Michel Vauclair (ex Direttore della Swisse Hotel);
la Is Arenas s.r.l. sarebbe di proprietà della Banca Svizzera Italiana (BSI), istituto che fa capo alla SBS (Società di banche Svizzere);
la BSI nella prima metà degli anni novanta fu al centro della inchiesta giudiziaria avviata dalla Procura della Repubblica di Milano riguardante le tangenti ENI;
la Is Arenas s.r.l. al giugno del 1995 aveva un capitale sociale di 8.714.284.000 di lire e il pacchetto societario era così suddiviso: Antil BV con il 46,229 per cento, Promozione Immobiliare s.r.l. con il 42,312 per cento e Gefin S.p.A. con l'11,458;
l'Antil BV era l'azionista di riferimento della Is Arenas s.r.l.;
nel 1996 la BSI rilasciava una fideiussione alla Cassa Lombarda S.p.A nell'interesse della Is Arenas. Il 18 giugno 1997, la Antil BV diventa azionista di maggioranza della Is Arenas acquistando il 6,0016 per cento delle quote dalla Promozione Immobiliare s.r.l. in stato di liquidazione;
la Antil BV è una società a responsabilità limitata riservata, ha sede ad Amsterdam e, attualmente, sarebbe amministrata da due organi dirigenti: una holding e una persona fisica. La holding si chiama Intra Beheer (con sede ad Amsterdam) e la persona fisica si chiama Diego Lissi, noto avvocato d'affari di Lugano (Svizzera);
gli ex amministratori della Antil BV, Paul van Baarle e Piet Hein Andreas van Hooijdonk, unitamente al signor Piet Deege erano dirigenti della Addax BV (una società che importava prodotti petroliferi soprattutto dall'Africa) le cui azioni erano depositate nelle Isole Vergini britanniche (considerate un paradiso fiscale). Il signor Deege era dirigente di un'altra società, la Nidex BV, che nascondeva le proprie azioni nelle Antille olandesi; sia la Addax BV e sia la Nidex BV hanno sempre avuto un filo robusto di collegamento con i sistemi finanziari della Svizzera e del Principato di Montecarlo;
la Intra Beheer è una holding che non ha dipendenti e non realizza profitti, ma rappresenta lo snodo strategico di un enorme ragnatela di company che s'irradia dall'Olanda fino ad arrivare al Canton Ticino: si tratta di un sistema di «scatole cinesi» aziendali e di «vasi comunicanti» finanziari creato oltre trent'anni fa dal potentissimo e discusso finanziere svizzero Tito Tettamanti;
la holding Intra Beheer nella sola Olanda ha partecipazioni fino al 100 per cento del capitale in ben 357 società, in ciascuna di queste detiene comunque il pacchetto di maggioranza delle azioni; nel 99 per cento dei casi di tratta di società finanziarie. Altro dato interessante è che l'indirizzo e il numero di telefono di quasi tutte le società sono gli stessi della Intra Beheer così come per la Antil BV controllante con la quota del 52 per cento della Is Arenas s.r.l.;
la Intra Beheer avrebbe una forte presenza anche in Svizzera dove controllerebbe una trentina di company;
il sistema della Intra Beheer è stato ideato dal finanziere svizzero Tito Tettamanti e l'altro rappresentante della Antil BV è l'avvocato d'affari Diego Lissi. L'avvocato


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Lissi per molto tempo è stato al vertice della Fidinam (il cuore dell'impero di Tettamanti) e, ad oggi, siederebbe nel consiglio d'amministrazione di alcune società che ruotano attorno al Tettamanti: per esempio, sarebbe l'unico membro del C.d,A. della Co.In. Commerciale Industriale SA;
l'avvocato Diego Lissi viene considerato uno dei più abili mediatori d'affari del Canton Ticino, ma la sua specialità è quella di «rappresentate fiduciario»: viene spesso delegato a rappresentare nei consigli di amministrazione delle società quei detentori di pacchetti azionari che preferiscono non esporsi. Si pensi che solo in Svizzera è presente in 57 consigli d'amministrazione;
c'è uno strettissimo legame tra l'avvocato Diego Lissi e il procuratore della Is Arenas s.r.l., prof. Piero Maria Pellò. Precisamente, come risulta da documenti della Camera di Commercio di Lugano, il prof. Piero Maria Pellò viene indicato come inhaber (proprietario) al 100 per cento della società Tecnoservice SA, mentre l'avvocato Diego Lissi, insieme a un certo Michele Clerici, come membro del verwaltungsrat (consiglio d'amministrazione) della società anzidetta;
l'abilità dell'avvocato Diego Lissi nel trattare affari è indubbia: ancora recentemente è stato il regista di una transazione miliardaria che ha visto il Presidente della Camera di Commercio di Lugano, che è anche titolare della Ambrosetti Ettore & Figli SA, vendere una villa faraonica di proprietà della famiglia Ambrosetti a tale signor Tolposkij;
il nome del signor Tolposkij compare nello scandalo del «Russiangate», laddove risulta nei panni di plurindagato dalla magistratura moscovita per aver illegittimamente trasferito capitali, non proprio trasparenti, nelle sicure casseforti elvetiche;
l'avvocato Diego Lissi ricopre un ruolo importante nel gruppo Ambrosetti che, attraverso la controllata Ambrosetti Technologies SA, costruisce per conto della Boeing i carrelli dei cacciabombardieri americani F/A-18 Hornet;
dietro la società Is Arenas s.r.l., che vuole investire in cemento all'interno del SIC di Is Arenas, vi sarebbe un universo complesso, torbido e labirintico. Un universo finanziario che ha le sue radici in Svizzera, ma che ha le sue articolazioni e le sue indecifrabili diramazioni in Olanda, Islanda, nelle Isole Vergini, nelle Antille olandesi e nelle isole Caiman. Dunque, un universo finanziario che sembra ruotare intorno ad un epicentro rappresentato da una banca molto discussa nel recente passato, la Banca Svizzera Italiana -:
se, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490, siano state chieste da parte dell'Amministrazione pubblica concedente al prefetto di Oristano le informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte della società concessionaria e, in caso affermativo, quale ne sia l'esito.
(4-08180)

Risposta. - La prefettura - UTG di Oristano ha comunicato di aver acquisito, a seguito di richiesta degli interessati, informazioni concernenti l'esistenza di cause interdittive di cui all'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575 nonché eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490 sul conto della società «Is Arenas Golf» srl e del suo amministratore unico signor Alessandro Riva.
Tali informazioni hanno dato esito negativo in quanto non sono risultate sussistere cause interdittive né tentativi di infiltrazioni mafiose e sono state, conseguentemente, fornite, in data 5 novembre 2003, al Soggetto Intermedio Locale (S.I.L.) Società Consortile Patto Territoriale Oristano, sul conto della Società «Is Arenas Golf» srl.
Si rappresenta, infine, che nell'ultimo triennio analoghe informazioni sono state richieste e fornite in data 26 gennaio 2000, anch'esse con esito negativo, sempre al suddetto Patto Territoriale sul conto della Società «Is Arenas Hotel Residence» srl.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.