Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 425 del 17/2/2004
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(Esame degli ordini del giorno - A.C. 4645)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli ordini del giorno presentati (vedi l'allegato A - A.C. 4645 sezione 5).
Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibili ai sensi dell'articolo 89 del regolamento, in quanto dal contenuto estraneo a quello del decreto-legge in esame, che riguarda esclusivamente la disciplina per la definitiva cessazione del regime transitorio della legge 31 luglio 1997, n. 249, i seguenti ordini del giorno che, se pur attengono alla materia radiotelevisiva, non attengono al contenuto della legge n. 249 del 1997: Bianchi Clerici n. 9/4645/85, volto a favorire interventi del Governo nel settore radiofonico; Reduzzi n. 9/4645/113, riguardante gli ammortizzatori sociali nei settori produttivi della comunicazione; Pinza n. 9/4645/114, riguardante il contributo alle emittenti locali; Rutelli n. 9/4645/115, riguardante il codice di autoregolamentazione delle trasmissioni pubblicitarie; Cima n. 9/4645/179, riguardante la disciplina dei messaggi pubblicitari; Lion n. 9/4645/181, riguardante le trasmissioni delle cosiddette emittenti di strada.
La Presidenza non ritiene, altresì, ammissibili, in quanto riproduttivi del contenuto di emendamenti presentati in Assemblea e che si intendono respinti con l'approvazione del voto di fiducia, i seguenti ordini del giorno: Merlo n. 9/4645/89 (emendamento Colasio 1.32); Parisi n. 9/4645/117 (emendamento Rosato 1.48); Mosella n. 9/4645/118 (emendamento Colasio 1.47); Milana n. 9/4645/119 (emendamento Colasio 1.46); Micheli n. 9/4645/120 (emendamento Colasio 1.44); Gentiloni Silveri n. 9/4645/144 (emendamento Colasio 1.31); Gambale n. 9/4645/145 (emendamento Gentiloni Silveri 1.30); De Mita n. 9/4645/146 (emendamento Colasio 1.32); Carra n. 9/4645/147 (emendamento Carra 1.27); Colasio n. 9/4645/148 (emendamento Colasio 1.29); Cardinale n. 9/4645/149 (emendamento Colasio 1.26); Castagnetti n. 9/4645/150 (emendamento Rosato 1.15); Tanoni n. 9/4645/151 (identici emendamenti Gentiloni Silveri 1.13 e Panattoni 1.14); Monaco n. 9/4645/152 (emendamento Colasio 1.11); Lusetti n. 9/4645/153 (emendamento Colasio 1.10); Maura Cossutta n. 9/4645/170 (emendamento Colasio 1.29); Franci n. 9/


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4645/171 (emendamento Gentiloni Silveri 1.30); Grotto n. 9/4645/188 (emendamento Colasio 1.46).
Tale decisione, che deriva direttamente dal disposto di cui all'articolo 88 del regolamento, è, peraltro, conforme ai precedenti (in questo senso, si veda la seduta del 31 luglio del 1996).
La Presidenza, infine, non ritiene ammissibile l'ordine del giorno Boccia n. 9/4645/86, limitatamente agli ultimi due capoversi dell'impegno, in quanto contrastanti con il contenuto del decreto-legge.
Avverto che sono iscritti a parlare tutti i presentatori degli ordini del giorno, che sono comunque in numero superiore a centosessanta.

RENZO INNOCENTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RENZO INNOCENTI. Signor Presidente, lei sa bene che ciascuno di noi è in grado di seguire i lavori se è in possesso della necessaria documentazione. Non abbiamo le copie degli ordini del giorno: le chiedo pertanto di sospendere brevemente la seduta, nell'attesa che tali copie siano distribuite, in modo da darci la possibilità di intervenire nel merito.

PRESIDENTE. Non c'è dubbio che l'illustrazione degli ordini del giorno avrà luogo dopo la distribuzione dei testi degli stessi, che, secondo quanto mi riferiscono gli uffici, è imminente. Pertanto, i testi saranno disponibili prima dell'inizio dell'esame degli ordini del giorno.

ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, intervengo in primo luogo in relazione al suo annunzio relativo agli ordini del giorno dichiarati inammissibili in quanto riproducenti i contenuti di emendamenti respinti. A mio avviso, c'è stata una marginale disfunzione da parte degli uffici: questa mattina - ritengo che lei non ne sia stato informato -, mentre era ancora in corso la discussione, ho comunicato agli uffici il ritiro degli emendamenti da me presentati, proprio al fine di evitare la dichiarazione di inammissibilità degli ordini del giorno (conosco infatti la sua solerzia e la sua precisione). Ho dunque comunicato agli uffici il ritiro dei miei emendamenti (che altrimenti sarebbero stati considerati respinti, a norma di regolamento) in quanto alcuni di essi, come è stato riscontrato, vengono riprodotti effettivamente negli ordini del giorno. Se sussistono ulteriori motivi alla base della dichiarazione di inammissibilità, ne prendo atto: come lei sa, mi rimetto sempre alla decisione della Presidenza; ma se il motivo dovesse essere esclusivamente quello al quale ho fatto riferimento, le chiedo la cortesia di rivedere le sue decisioni.
Inoltre, signor Presidente, intervengo su quanto accaduto ieri, che è, a nostro avviso, molto grave nonché disdicevole: la posizione della questione di fiducia prima ancora dell'inizio l'esame del provvedimento, quando il Governo era già a conoscenza del fatto che era stato presentato un ristretto numero di emendamenti, ci sembra costituisca un vulnus significativo. Avremo modo, nelle prossime ore e nei prossimi giorni, di esprimere ancor più di quanto non sia stato fatto ieri dal collega Colasio e degli altri colleghi intervenuti tutto il nostro disappunto.
La questione va ora sottoposta all'attenzione della Presidenza della Camera. Ci rivolgiamo pertanto a lei, signor Presidente, per chiederle di essere garante del nostro diritto di condurre un'opposizione, che sarà costruttiva ma durissima sino al limite dell'ostruzionismo, in quanto riteniamo, per quanto attiene sia al merito sia al metodo, di dover dare una risposta all'atteggiamento del Governo.
Quindi, signor Presidente, dopo averle chiesto questa maggiore attenzione, le pongo il primo problema. Lei comprenderà che un buon rapporto tra maggioranza e opposizione, anche al fine del


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buon funzionamento dell'istituto camerale, sta nel rispetto del regolamento e dei tempi. Le chiederei, signor Presidente, di decidere a che ora terminerà la seduta questa sera, in modo che i colleghi sappiano esattamente come si procederà e che ci si possa organizzare, sia da una parte sia dall'altra. Comprenderà che la mia richiesta attende una risposta comprensiva e tollerante rispetto al ruolo che un'opposizione deve svolgere, in presenza di una quasi violenza che è stata perpetrata, nel momento in cui è stato impedito a noi - e ancor più che a noi, ai colleghi della maggioranza - di partecipare all'esame degli emendamenti. Sono certo che, come sempre, lei non vorrà fare da copertura a questo atteggiamento del Governo e in qualche modo sarà garante del nostro diritto di praticare un'opposizione, anche molto dura, come quella che porremmo in essere nelle prossime ore.
La ringrazio, signor Presidente.

PRESIDENTE. Onorevole Boccia, le assicuro che non faccio da copertura; mi attengo al mio ruolo, il che è diverso.
Lei ha posto anche altre questioni, alle quali voglio rispondere. Dopo la posizione della questione di fiducia, il procedimento è regolato interamente da specifiche norme regolamentari e dalla relativa prassi applicativa. Non vi è una fase di discussione degli emendamenti con conseguente possibilità di ritiro degli stessi, come è dimostrato dai precedenti (si veda la seduta del 26 febbraio 1997).
Per quanto riguarda la richiesta volta a conoscere l'orario preciso di conclusione dei nostri lavori, prima di iniziare l'esame dei singoli ordini del giorno, le fornirò una risposta in proposito.

ELIO VITO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. Collegandomi alle ultime parole pronunciate dal collega Boccia, signor Presidente, è evidente, anche in base a quanto da lei dichiarato poco fa, che siamo di fronte ad un legittimo - per carità! - ma dichiarato atteggiamento ostruzionistico da parte dell'opposizione: 160 richieste di intervenire soltanto per illustrare gli ordini del giorno che sono stati presentati. Peraltro, mi pare che l'opposizione non abbia mai assunto un simile atteggiamento nel corso di questa legislatura e, sicuramente non a caso, ritiene di doverlo assumere su questo provvedimento che, probabilmente, le sta particolarmente a cuore (Commenti del deputato Grignaffini).

MAURA COSSUTTA. A voi sta a cuore!

ELIO VITO. Vi è il caos in un settore particolarmente delicato del nostro paese. Non voglio intervenire sul merito, signor Presidente, perché già ieri i nostri rappresentanti, i membri del Governo e il relatore hanno ricordato che furono i Governi del centrosinistra, tre diversi Governi, ad approvare tre diversi provvedimenti di proroga dei termini relativi al settore radiotelevisivo (mi riferisco ai Governi Prodi, Dini ed Amato). In quell'occasione, colleghi dell'opposizione, non solo non avete praticato alcun ostruzionismo ma li avete approvati, determinando una situazione di incertezza, nella quale questo settore si trova da decenni e alla quale l'attuale Governo sta cercando in maniera innovativa di porre mano, grazie anche all'evoluzione tecnologica.
Non voglio intervenire neppure sulle questioni di metodo. Basterebbe ricordare, signor Presidente, che in un solo anno di legislatura il Governo Prodi ha posto più questioni di fiducia di quante ne siano state poste, durante gli ultimi tre anni, dal Governo Berlusconi: furono poste 25 questioni di fiducia in un solo anno. Allora, sicuramente, non gridavate allo scandalo.
Signor Presidente, siamo di fronte all'esame, particolarmente delicato, di un provvedimento complesso ma con una scadenza, quale è il disegno di legge di conversione di un decreto-legge, al quale seguirà, purtroppo, l'esame di un altro provvedimento delicato e complesso, il disegno di legge di conversione di un altro


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decreto-legge, anch'esso con una scadenza, quello relativo alla proroga di termini previsti da disposizioni legislative. È evidente che, di fronte ad un dichiarato ostruzionismo, la maggioranza ha il diritto di ricorrere a tutti gli strumenti, regolamentari o procedurali, di cui dispone. Dopodiché, signor Presidente, mi auguro che questa circostranza le possa fornire finalmente, con le modalità e nei tempi che riterrà più opportuni, l'occasione per una riflessione, in sede di Giunta per il regolamento, sull'esame dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge.
Ci richiamiamo tante volte all'Europa e al resto del mondo: in nessuna parte del mondo è previsto un esame senza contingentamento, senza alcuna limitazione, per nessun tipo di provvedimento, nemmeno per i decreti-legge.

MAURA COSSUTTA. Avete il conflitto di interessi!

ELIO VITO. Siamo l'unico paese al mondo che rende teoricamente possibile l'esame infinito di un provvedimento, quindi, con tutte le contraddizioni che questo comporta, a fronte di ciò che richiamava poco fa il collega Boccia, ossia la necessità di dare certezza ai tempi del nostro esame.
Quindi, signor Presidente, io credo che per la maggioranza, proprio per dare certezza ai tempi dell'esame di questo provvedimento, dell'altro decreto-legge e di tutti gli altri provvedimenti iscritti in calendario, compresi quelli che stanno a cuore dell'opposizione, sia doveroso proporre all'Assemblea di deliberare che la seduta prosegua ininterrottamente con l'esame di questo disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge n. 352 del 2003 sino al voto finale dello stesso disegno di legge (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Vi è una serie di colleghi che avevano chiesto di parlare precedentemente alla proposta formulata dall'onorevole Elio Vito, sulla quale darò ora la parola ad un oratore a favore e ad uno contro: presumo che quello contro sia l'onorevole Innocenti... Tuttavia, prima che l'onorevole Elio Vito formulasse la sua proposta, avevo iniziato un giro di interventi di un rappresentante per gruppo. Aveva parlato l'onorevole Boccia, poi l'onorevole Innocenti; ora darò la parola all'onorevole Giordano e poi alla collega Mazzuca Poggiolini.
Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Giordano. Ne ha facoltà.

FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, dubito che l'onorevole Elio Vito sia sprovvisto di senso della logica. La verità è che l'ostruzionismo - che è adesso in campo, evidentemente: nessuno lo nega - è solo la reazione al fatto che è stata posta la fiducia su un provvedimento che, unico al mondo - questo sì, onorevole Elio Vito -, vede il Presidente del Consiglio, titolare di un'azienda, che pone la fiducia su un provvedimento che riguarda un vantaggio per la sua stessa azienda! È questa l'unica cosa al mondo che si possa fare e che è così clamorosamente incredibile (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
La verità, signor Presidente, è che, poiché ieri è stata posta la fiducia in questa maniera, a questo punto, mentre sul piano parlamentare il nostro conflitto è ovviamente e naturalmente contro il Governo, le chiediamo, sul piano regolamentare, di tenere un atteggiamento, come le chiedeva anche l'onorevole Boccia, di rispetto per la battaglia politica dell'opposizione. Per questo motivo, le chiediamo di dare un tempo per la discussione sugli ordini del giorno, un tempo per le dichiarazioni di voto sugli stessi e un tempo per le dichiarazioni di voto sull'intero provvedimento. Signor Presidente, a questo punto ci rivolgiamo a lei come garante di questo libero dibattito parlamentare, dopo che il vulnus ci è stato inferto dalla maggioranza e dal Governo!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Mazzuca Poggiolini. Ne ha facoltà.


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CARLA MAZZUCA POGGIOLINI. Signor Presidente, è chiaro che la discussione degli ordini del giorno supplisce alla mancanza di dibattito e, soprattutto, alla mancanza di speranza di poter vedere approvato almeno un emendamento, chiamando alla ragione qualche amico, qualche collega di maggioranza, così come peraltro è avvenuto riguardo a taluni emendamenti sulla legge Gasparri. È chiaro che aver frustrato questa speranza, che è insita nella stessa funzione del parlamentare - che è quella di credere che non tutto sia stato già deciso, determinato, sottoscritto, blindato, in altre sedi che non siano il Parlamento - ha portato alla presentazione degli ordini del giorno.
Anche i parlamentari dell'UDEUR-Alleanza Popolare volevano avere la possibilità di illustrare un ordine del giorno, ma poiché l'ordine del giorno da noi sottoscritto, quello originariamente presentato dall'onorevole Cima - il n. 9/4645/179 -, è stato dichiarato inammissibile, le chiedo, signor Presidente, se sia possibile, durante l'illustrazione degli altri ordini del giorno, dare la parola anche a qualcuno di noi, visto che non abbiamo più il nostro «veicolo» regolamentare. Naturalmente ci aspettiamo - e la nostra richiesta va in questa direzione - che tutto avvenga nel pieno rispetto delle regole di cui lei, Presidente, rappresenta il garante, ruolo che noi le abbiamo sempre riconosciuto e le riconosciamo.

MAURA COSSUTTA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAURA COSSUTTA. Signor Presidente, volevo rispondere all'onorevole Elio Vito, con pacatezza, ma con grande forza. Se c'è una cosa inaudita, onorevole Vito, non è certo la legittimità e la necessità che l'opposizione faccia ostruzionismo. La cosa inaudita - come hanno detto i colleghi - è l'anomalia dell'Italia rispetto all'Europa e al mondo, cioè la presenza di un premier che assume questo drammatico conflitto di interessi! La cosa inaudita è che chiedete la fiducia - Berlusconi chiede la fiducia - per salvare le sue reti e per impedire il voto segreto! Altro che verifica conclusa, la verifica continua... per impedire il voto segreto sugli emendamenti!
Permettetemi, colleghi, qui non si tratta soltanto di scorrettezza istituzionale; voi chiedete la fiducia su una cosa molto corposa: 163 milioni di euro, questi sono gli introiti pubblicitari nei cinque mesi di regime transitorio coperti dal decreto-legge! Per questo chiedete la fiducia, per gli interessi di famiglia del premier Berlusconi (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani)!

LUCIANO VIOLANTE. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, volevo chiederle - e lo chiedo anche ai colleghi presidenti di gruppo - se non sia il caso di convocare la Conferenza dei presidenti di gruppo.

PRESIDENTE. Onorevole Violante, lei mi ha preceduto, si vede che abbiamo una forma grave di telepatia (Commenti)... Ascoltatemi un momento, perché qui si tratta di buonsenso, non del regolamento. L'onorevole Elio Vito ha avanzato la proposta - che, a rigore di regolamento, io non posso non sottoporre al voto dell'Assemblea - di andare avanti ininterrottamente. Peraltro, alcuni colleghi che sono intervenuti mi hanno chiesto di fare il possibile per essere garante, ma non di ciò di cui non lo posso essere... Il Governo si è assunto la responsabilità di porre la questione di fiducia, ma non lo ha chiesto al Presidente della Camera e, giustamente, ogni gruppo reagisce come ritiene opportuno. L'onorevole Giordano dice che siamo in presenza di ostruzionismo, ma non è che mi sia stato chiesto il parere... Tuttavia, io debbo cercare di fare appello, oltre che al regolamento, anche al buonsenso.
Il regolamento mi impone di sottoporre al voto dell'Assemblea la proposta del


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l'onorevole Elio Vito. Poiché vi sono state richieste in tal senso, prima di dare la parola ad un oratore a favore e ad uno contro e di procedere al voto dell'Assemblea, convoco immediatamente la Conferenza dei presidenti di gruppo che si riunirà nella sala dei ministri al piano aula; dopo di che, nel giro di una ventina di minuti, rientreremo in aula e, se non sarà stato raggiunto un accordo metodologico (Commenti)... Scusate, lo voglio dire ai deputati di opposizione e a quelli di maggioranza: la possibilità che vi sia un accordo politico su questo provvedimento è equivalente allo zero; stiamo parlando di un accordo metodologico, affinché i lavori si svolgano con ordine. Se verrà raggiunto questo accordo, bene, altrimenti sottoporremo al voto dell'Assemblea la proposta dell'onorevole Elio Vito.
Sospendo quindi la seduta.

La seduta, sospesa alle 17,55, è ripresa alle 18,20.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, registro che, nonostante i tentativi di mediazione del Presidente della Camera, la Conferenza dei presidenti di gruppo non ha prodotto nemmeno un'intesa sul piano metodologico. Un'intesa politica, come preannunciato, era impossibile, ma non si è realizzata nemmeno un'intesa sul piano metodologico per affrontare questa parte finale dei lavori.
Sulla proposta avanzata dall'onorevole Elio Vito di deliberare che la seduta prosegua ininterrottamente con l'esame del disegno di legge di conversione n. 4645, fino alla votazione finale del medesimo, darò ora la parola, ai sensi dell'articolo 41, primo comma, del regolamento, a un deputato a favore e ad uno contro.

ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, le chiedo scusa, ma le chiedo solo di precisare bene i termini della votazione, perché lei ha detto che sarà una seduta-fiume, che proseguirà ininterrottamente. Ora, credo che, per una questione di civiltà, occorra interpretare cosa ciò significhi, nel senso che almeno qualche ora di tempo per dormire ai colleghi bisogna evidentemente concederla (Commenti)...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non ho bisogno della vostra benevola interpretazione! La domanda è rivolta a me, e sarò io a rispondere!

ANTONIO BOCCIA. Credo sia ragionevole, oltre che civile, prevedere che la Camera chiuda per un certo numero di ore; comunque, mi affiderò alla sua decisione. La ringrazio, signor Presidente.

PRESIDENTE. Onorevole Boccia, come le ho appena qui detto in un angolo davanti a tutti, ma riservatamente - questa è una casa di vetro, per cui non ho problemi a ripetere pubblicamente quanto le ho detto -, ricordo che, una volta deliberata la seduta continua, sono da ritenere inammissibili richieste volte a determinare, con voto dell'Assemblea, sospensioni a vario titolo della seduta stessa.
Le uniche sospensioni, di natura esclusivamente tecnica, sono decise dal Presidente per motivazioni, appunto, tecniche, per cui possono essere solo sospensioni brevissime. È questa la ragione per cui mi sono peritato di convocare la Conferenza dei presidenti di gruppo, perché deve essere chiaro cosa significhi la deliberazione di una seduta-fiume, come quella che stiamo per effettuare. Lo stesso svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, secondo i precedenti, non avrà luogo in presenza della seduta-fiume.

RENZO INNOCENTI. Chiedo di parlare contro.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RENZO INNOCENTI. Signor Presidente, comprendiamo benissimo anche lo stato di tensione che si è creato, perché è stato precedentemente ricordato che, in effetti, si tratta della prima volta in cui,


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nell'attuale legislatura, adottiamo alcuni strumenti, previsti dal regolamento, per cercare di contrastare l'approvazione di un provvedimento. Ma lo facciamo per la prima volta perché siamo in presenza di un provvedimento che consideriamo gravissimo. L'opposizione...

GIORGIO CONTE. Basta!

PRESIDENTE. Onorevole collega...

RENZO INNOCENTI. I cinque minuti a disposizione, signor Presidente (Commenti del deputato Giorgio Conte)...

PRESIDENTE. Onorevole Giorgio Conte, la prego, la richiamo all'ordine!

RENZO INNOCENTI. Perché credo che avete già dato ampia dimostrazione di non farci parlare sugli argomenti del pluralismo nell'informazione! (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani - Proteste dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale)! E forse una preoccupazione c'è, e non è rivolta solo a noi dell'opposizione, ma forse anche a settori della maggioranza!
È chiaro, allora, che la questione di fiducia, anche alla luce di questo nervosismo trasparente, viene posta non per bloccare le iniziative dell'opposizione, ma soprattutto per cercare di «tappare le falle» e di «mettere una pezza» intorno alle forti lacerazioni esistenti all'interno della maggioranza di Governo, a supporto di questo provvedimento che garantisce gli interessi del Presidente del Consiglio, e basta!
Non c'è una pervicace lotta né, tanto meno, odio o quant'altro nei confronti di chicchessia: qui c'è una critica dell'opposizione, netta e forte, su uno strumento, il decreto-legge al nostro esame, che è oggetto di una questione di fiducia e che salvaguarda gli interessi del Presidente del Consiglio, gli interessi economici del Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani), di cui taluno - senza essere smentito - ha indicato anche l'entità! Al riguardo, gradirei che qualcuno tentasse di darmi una risposta nel merito.
Ecco perché abbiamo dichiarato l'ostruzionismo su questo provvedimento. Conosciamo bene il significato di un impegno da parte dei gruppi parlamentari all'interno di quest'aula, ma credo che, per quanto riguarda proprio il senso della nostra battaglia e le materie che sono all'attenzione del Parlamento, il nostro costituisca un doveroso atto di rispetto nei confronti di un Parlamento che vuole discutere una questione importante: quella della concentrazione anomala - questa sì unica nel mondo, onorevole Vito - nelle mani del Presidente del Consiglio delle reti televisive e di altri settori dell'informazione.
Ecco perché vogliamo cercare di ordinare questo dibattito secondo criteri organizzativi diversi da quello della seduta fiume, affinché possa esserci il confronto che non ci è stato possibile avere durante la discussione della Gasparri a causa della vostra decisione di rinviare tale provvedimento in Commissione e di non proseguirne l'esame in Assemblea fino a quando questa fantomatica verifica non sarà stata conclusa (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani). Prima ci avete impedito di discutere e di decidere nel merito; adesso, per paura che potesse esservi qualche votazione segreta su proposte emendative riferite agli articoli del decreto-legge, avete posto la fiducia!
Per questi motivi, noi voteremo contro la proposta avanzata dall'onorevole Vito: chiediamo che il Parlamento si esprima sul presente decreto-legge nei tempi necessari e dovuti, secondo il normale svolgimento dei nostri lavori (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo).


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PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Innocenti.
Nessuno chiedendo di parlare a favore, passiamo ai voti.
Per facilitare il computo dei voti, dispongo che la votazione avvenga mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi.
Indìco la votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, sulla proposta di procedere alla seduta ininterrotta, avanzata dall'onorevole Vito.
Ciascuno voti per sé, onorevoli colleghi!

(La Camera approva per 91 voti di differenza).

Onorevoli colleghi, essendo stata approvata la proposta dell'onorevole Vito, la seduta proseguirà ininterrottamente nella discussione del disegno di legge di conversione n. 4645 con le successive fasi dell'esame degli ordini del giorno, delle dichiarazioni di voto finale e della votazione finale.
La Presidenza, secondo prassi, si riserva di stabilire le sospensioni di natura tecnica ritenute necessarie. Ricordo che sono inammissibili da ora in poi eventuali richieste volte a determinare, con voto dell'Assemblea, sospensioni a vario titolo della seduta stessa.
Procediamo all'illustrazione degli ordini del giorno.
Comunico che l'ordine del giorno Realacci n. 9/4645/141 è stato sottoscritto dall'onorevole Colasio e che l'ordine del giorno Chiti n. 9/4645/52 è stato sottoscritto dall'onorevole Grandi.
L'onorevole Bogi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/1.

GIORGIO BOGI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, appare effettivamente estraneo al dibattito l'argomento, speso reiteratamente da componenti della maggioranza parlamentare, sul numero di richieste di fiducia da parte del Governo in questa legislatura e nella precedente.
Ciò di cui parliamo è il fatto che l'apposizione della fiducia su questo decreto-legge impedisce il confronto di merito sui suoi contenuti.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, fate silenzio, per cortesia!

GIORGIO BOGI. Di questo parliamo.
Gli ordini del giorno, ancorché numerosi, cercano di porre in discussione elementi di merito che strutturano il decreto-legge e che l'apposizione della fiducia impedisce di discutere. Nel caso dell'ordine del giorno che illustro, il problema attiene, nell'ambito della competenza del Governo, all'accertamento dell'effettiva disponibilità di radiofrequenze.
Il sistema di pianificazione ed uso delle radiofrequenze è avvenuto in Italia, mediante il meccanismo della semplice registrazione dell'occupazione di fatto delle radiofrequenze. Ciò ha creato una condizione di oggettiva difficoltà nel loro impiego ottimale e anche una limitazione del numero di soggetti che possono accedere all'uso di esse per trasmettere. Nell'ordine del giorno si chiede che il Governo accerti l'uso ridondante o in eccesso di radiofrequenze, da parte di singoli soggetti, per coprire il territorio ad essi assegnato in concessione.
La situazione attuale del sistema di pianificazione italiana lo rende totalmente rigido, non tale da essere modificato nel tempo per adattarsi, ad esempio, a nuove forme imprenditoriali che potrebbero essere proposte in ordine all'offerta di nuovi servizi, e che, in quanto nuove, sfuggono alla tipologia prevista nel piano di assegnazione.
Il piano nazionale conseguente all'occupazione di fatto, nella sua rigidità ostacola la stessa possibilità di tutelare la ricezione, spesso turbata da interferenze.
Se vogliamo porci il problema - come effettivamente è nelle intenzioni di tutti, almeno nelle dichiarazioni - di garantire una sufficiente pluralità di presenze perché si abbia un meccanismo concorrenziale adeguato ed una molteplicità di fonti di informazione e di programmi


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adeguata al rispetto all'intenzione di pluralismo. Se ci poniamo un obiettivo di questo genere, dobbiamo concludere che la ricerca di frequenze impiegate in eccesso da singoli soggetti, per coprire il territorio loro assegnato in concessione, ci metterebbe nella condizione di fare entrare nel sistema nuovi soggetti.
Sappiamo tutti che alcuni soggetti sono titolari di concessione, ma non possono trasmettere, perché non sono state loro assegnate radiofrequenze utili. L'obiettivo del pluralismo sufficiente ed adeguato in una società che voglia essere democraticamente aperta dipende anche - se non solamente - dalla disponibilità dei supporti trasmissivi, ossia delle radiofrequenze. Questa possibilità è, oggi, limitata anche per i motivi che vi ho indicato.
Spero che il Governo, recependo ciò che appare essere nelle sue stesse intenzioni, vale a dire consentire un'ampia rappresentazione di soggetti diversi, voglia accettare l'impegno ad esaminare ed analizzare l'eventuale uso eccedentario delle radiofrequenze.

PRESIDENTE. L'onorevole Panattoni ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/4.

GIORGIO PANATTONI. Signor Presidente, mi permetta di esprimere, innanzitutto, l'imbarazzo di dover parlare in occasione di questa fiducia imposta dalla maggioranza per difendere gli interessi materiali del Presidente del Consiglio.
È inutile dire cosa ha fatto il centrosinistra. Il centrosinistra non è mai venuto in quest'aula a difendere interessi personali, di qualcuno, è venuto a difendere interessi generali del paese (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
Voi lo state tradendo questo paese con questo comportamento e con questo approccio!

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI (ore 18,36)

GIORGIO PANATTONI. Seconda questione. Per Retequattro si presenta un decreto alla vigilia di Natale. Per le acciaierie di Terni, di Genova, per le crisi industriali che stanno attraversando il paese non si fanno né decreti, né azioni, né interventi, con l'economia allo sfascio e la povertà che aumenta.
Altro che le dichiarazioni di Berlusconi che questo paese è diventato più ricco! Bell'esempio che state dando all'Italia che lavora! Si è parlato di ostruzionismo; mi pare assolutamente paradossale. Voi considerate questo Parlamento un intralcio, un ostacolo al vostro modo di procedere; avete un atteggiamento di regime! Per piacere, questo è l'unico modo che ci concedete per portare all'attenzione degli italiani la vera sostanza di questo decreto-legge, e gli italiani hanno diritto di capire per votare la prossima volta. Citavo questa mattina Berlusconi: oggi, il «Cavaliere inesistente», ieri, il «barone rampante», domani, speriamo, il «visconte dimezzato»!
Adesso veniamo al merito di questo ordine del giorno. Qui noi chiediamo che il Governo si impegni a dare un sostegno all'acquisto dei decoder e che questo sostegno sia in funzione del reddito; che almeno il Governo abbia coraggio, avendo stanziato, per decoder bidirezionali, una somma che ne copre 400 mila su 20 milioni di televisori, cioè una goccia nel mare, di non premiare, come al solito, i ricchi, ma di destinare queste risorse a chi i soldi non ce li ha, a chi non ha i 500 euro per avere accesso all'innovazione tecnologica. Per favore, non fate un altro provvedimento che discrimina, per l'ennesima volta, chi ha meno risorse e che, per l'ennesima volta, premia chi ne ha tante. Io credo che questo approccio sia molto sbagliato e sia anche lo specchio di come voi considerate il problema della nazione nel suo complesso e della distribuzione delle risorse, di come intendete gestire questi processi, dando soldi ai ricchi e togliendone sempre di più ai poveri, rendendo cioè la povertà di questo paese uno dei dati emergenti da questo sfascio dell'economia che è in atto.
Io credo che dire queste cose agli italiani sia innanzitutto un dovere. Vorrei ricordarvi che siamo stati eletti per questo,


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non per seguire i voleri di Berlusconi, e che almeno metà del paese non è d'accordo con quello che state facendo. Abbiate l'onestà di raccontare le cose come stanno e non di raccontare l'ennesima bugia, dicendo che le cose vanno bene perché servono al padrone. Non è questa la logica con la quale si gestisce un paese, non è questo il modo con il quale si deve governare una democrazia. Purtroppo, lo dicevamo nei mesi scorsi - l'ho detto di nuovo questa mattina -, quando parlavamo di regime emergente o di rischio di democrazia, tutti noi eravamo attaccati perché catastrofisti; bene, più tempo passa più questo rischio appare palese, più davvero si sente il peso di una democrazia che si sta spegnendo, di una speranza nel futuro che sta diventando sempre più flebile, di una incapacità di rispondere ai bisogni veri della nazione per perdere tempo attorno ai decoder, al digitale, agli interessi personali, limitando una delle fonti fondamentali della democrazia, che è proprio l'accesso ad un'informazione plurale e libera. Finché siete in tempo, per favore, pensateci; mi rivolgo soprattutto a quei «pezzi» della maggioranza che a parole non sono d'accordo, ma che, nei fatti, poi non reagiscono mai. A me pare che sia venuto il momento di fare grande chiarezza nei rapporti con i cittadini.

PRESIDENTE. L'onorevole Grignaffini ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/18.

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Signor Presidente, con questo ordine del giorno si impegna il Governo a destinare risorse finanziarie per lo sviluppo, nel servizio pubblico radiotelevisivo, della tecnica digitale terrestre. Si tratta dunque di un intervento volto a configurare quelle politiche di carattere industriale, che sarebbe stato necessario attivare nel caso in cui davvero il digitale terrestre fosse stata l'opzione nella mente di questa maggioranza e di questo Governo, cioè l'esatto contrario di quello che invece voi fate sia con la legge Gasparri sia con questo provvedimento in particolare.
Il provvedimento in esame non è soltanto il risultato di un'indecenza politica ed etica, come è già stato ricordato e dimostrato ampiamente da molti colleghi, in particolare con quei 150 milioni di euro che costituiscono da oggi il guadagno tangibile del Presidente del Consiglio, che firma questo decreto-legge e vi pone la questione di fiducia. Di fatto, questo decreto-legge ci presenta anche una sorta di indecenza dal punto di vista legislativo e cercherò di spiegarne brevemente il motivo.
Poiché nel nostro sistema informativo non vi è pluralismo, voi avete inventato un marchingegno che, attraverso un decreto-legge, dichiara che il pluralismo esiste. Non dite come svilupparlo, non destinate risorse, non liberate frequenze, non fate ciò che ci hanno ricordato l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e l'Autorità antitrust. Voi dite: impegniamo l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a dichiarare, fra tre mesi, previa indagine, che questo pluralismo si è realizzato. Quindi, per far dichiarare questo evidente falso all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si definiscono dei parametri folli ed assurdi che, in qualche modo, possano rendere possibile tale falsa dichiarazione. Così, si dice che una rete è nazionale, anche se copre il 50 per cento del territorio (che, equivale effettivamente al 20 per cento della popolazione) e si dice che basta verificare una congrua presenza di decoder sul mercato per dire che il digitale è diffuso.
Tra l'altro, non vi accontentate di ciò, perché potrebbe accadere che, da qui a tre mesi, neanche queste condizioni si realizzino. Quindi, fornite un'ulteriore scappatoia all'Autorità con un emendamento presentato ed approvato al Senato che prevede di tener conto delle tendenze in atto nel mercato. È una dichiarazione che vanifica del tutto ogni possibilità di verifica e di controllo. Infatti, si potrebbe dichiarare che, siccome una famiglia italiana ha comprato un decoder, vi è una tendenza nel mercato che porta verso lo sviluppo del digitale.


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Tuttavia, questo provvedimento, come hanno già ricordato molti colleghi, ha il respiro corto perché, mancando il quadro di ridefinizione complessivo del pluralismo nel settore radiotelevisivo, in particolare con l'avvento del digitale, create un'anitra zoppa.
In altri termini, questo provvedimento è illegittimo ed incostituzionale, perché proroga surrettiziamente quanto contenuto in una sentenza della Consulta che indica il 31 dicembre 2003 come termine ineludibile, a meno che non intervenga un reale pluralismo. Questo pluralismo poteva essere garantito da un vero sviluppo tecnologico o dall'approvazione della cosiddetta legge Gasparri che poteva costituire la cornice all'interno della quale la proroga trovava un senso. Tuttavia, il decreto-legge, senza la cosiddetta legge Gasparri, di fatto è illegittimo fin da oggi e sarà dichiarato tale dalla Consulta.
Allora, ve lo dico francamente, onorevoli colleghi: avete detto al povero Fede che con questo decreto-legge poteva tornare a respirare; non gli avete detto però che era ancora sott'acqua (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. L'onorevole Calzolaio ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/6.

VALERIO CALZOLAIO. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, tre mesi fa, il 16 dicembre, il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere la cosiddetta legge Gasparri che era stata approvata il 2 dicembre. Il Presidente del Repubblica ha sollevato dubbi sul complesso di quel provvedimento e, in particolare, sull'ampiezza del sistema integrato delle comunicazioni e sul rischio di creazione di posizioni dominanti.
In sostanza, il Presidente della Repubblica ha rilevato come quel provvedimento fosse, più che altro, un tentativo di aggirare la sentenza della Corte costituzionale che stabiliva la data del 31 dicembre 2003 come termine ultimo oltre il quale Retequattro sarebbe dovuta andare sul satellite.
Questa era ed è la sentenza della Corte costituzionale. Dopo i rilievi formulati dal Presidente della Repubblica, il 23 dicembre il Presidente del Consiglio dei ministri Berlusconi ha firmato un decreto-legge che riguardava direttamente le sue proprietà ed i propri interessi, in un evidente conflitto di interessi. Un decreto-legge che prevede la verifica, entro la fine di aprile, della reale diffusione del digitale terrestre e dei relativi decoder, che sono poi l'oggetto specifico dell'ordine del giorno presentato, subordinando a tale verifica ed ai relativi risultati l'attuazione della sentenza della Corte costituzionale.
Come hanno rilevato poc'anzi l'onorevole Grignaffini e gli altri colleghi intervenuti, questo è il modo attraverso il quale si aggira ancora una volta il merito della sentenza pronunciata dalla Corte costituzionale. Il problema è che con questo decreto-legge l'aggiramento della sentenza avviene attraverso una serie di disposizioni furbe, fantasiose, creative, che nel complesso costituiscono una violazione della sentenza della Corte, un forte sbreco alla Carta costituzionale ed anche una somma di interventi modesti e contraddittori che rischiano di pregiudicare, piuttosto che aiutare, lo sviluppo di un sistema realmente pluralista e democratico dell'informazione nel nostro paese.
Il termine per la conversione del decreto-legge cade il 27 febbraio ed oggi è stata votata la questione di fiducia. Vorrei leggere le parole su questo aspetto politico di un deputato della maggioranza, che non so se sia presente in aula. Dice un deputato di Alleanza nazionale: «Ritengo che questa scelta nasconda una qualche certa protervia nel voler continuare su una strada che non è quella del confronto, ma della riaffermazione del punto di vista del Presidente del Consiglio. Per evitare sorprese si corre il rischio di incrementare un disagio che esiste tra i deputati e che potrebbe trovare sfogo nel prossimo voto segreto». Non nel voto segreto che era previsto sugli emendamenti, fra l'altro alcuni


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migliorativi e richiesti anche dall'authority delle telecomunicazioni, ma in un prossimo voto segreto.
Questo atteggiamento, queste forzature del regolamento della Camera e della normativa esistente, nonché della sentenza della Corte costituzionale e della stessa Carta costituzionale provocano un disagio anche in settori rilevanti della maggioranza. Provocano inoltre un disagio nell'applicazione di norme generali ed astratte nel nostro paese.
Con i vari ordini del giorno presentati, noi vogliamo sottolineare proprio questa contraddittorietà e la confusione provocata dalle norme che sono previste nel decreto-legge. Molto si è discusso ieri (e sono debitore di queste riflessioni nei confronti dell'onorevole Panattoni), sullo stesso concetto di interesse nazionale e di dimensione nazionale.
L'ordine del giorno che ho presentato fa esplicitamente riferimento alla situazione dei decoder che è decisiva per dare un senso allo stesso decreto-legge. Spiego brevemente quale sia il significato dell'ordine del giorno presentato. Il decreto-legge prevede che sul mercato nazionale debbano essere disponibili decoder a prezzi ragionevoli. Sembrerebbe quindi sufficiente che i decoder siano presenti nei negozi. Qual è tuttavia questo prezzo ragionevole? Con l'ordine del giorno presentato, le chiediamo di rispettare alcune fasce sociali e di tutelare l'interesse di tanti cittadini impoveriti dalla politica economica adottata da questo Governo a dotarsi di uno strumento indispensabile per poter godere delle moderne tecnologie (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Magnolfi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/7.

BEATRICE MARIA MAGNOLFI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei riprendere alcune vicende trascorse. Qualche mese fa, con la legge finanziaria per il 2004, il Governo destinava 150 euro per ogni famiglia italiana come contributo per l'acquisto di un decoder. L'anno precedente il contributo era di 750 euro, ma evidentemente l'inflazione ha picchiato duro!
Questo contributo viene dato senza distinzioni di reddito fino alla spesa di 120 milioni di euro. Si tratta pressoché dell'unica misura contenuta nella legge finanziaria per l'innovazione. Tale misura è concentrata su un aspetto residuale e non strategico per un importo superiore all'intero Fondo per l'innovazione tecnologica a disposizione del ministro Stanca su cui gravano - lo ricordo - tutti i progetti strategici in tale settore (dall'e-government, alle infrastrutture digitali, all'alfabetizzazione informatica).
Insomma, da due anni il Governo del centrodestra, che si era presentato come il Governo della modernizzazione del paese, investe quasi tutte le risorse che possono iscriversi sotto tale voce su questo nuovo elettrodomestico di cui, allo stato attuale dello sviluppo tecnologico, non si comprende l'utilità. Per due anni l'ossessione di questo Governo è stata quella di spingere le famiglie all'acquisto di un decoder, facendolo diventare un oggetto del desiderio, un nuovo status symbol. Per fare ciò, l'esecutivo è disposto ad aiutare le famiglie senza badare a spese, come se si trattasse di un bene di prima necessità più importante dei libri di testo per far studiare i figli, di alcune prestazioni sanitarie, del sostegno all'affitto o al tempo pieno o all'handicap. Il decoder è un po' come il latte per i terremotati: che si tratti di famiglie ricche o povere non importa, il Governo dà loro 150 euro per acquistarlo.
Alcuni di noi avevano avuto il sospetto che tale ossessione avesse a che fare con il riordino del sistema radiotelevisivo e che fosse collegata all'enfasi del passaggio dal sistema analogico al sistema digitale, uno degli escamotage per aggirare la sentenza della Corte costituzionale. Con il decreto-legge in esame si è svelato l'arcano intorno a tale oggetto misterioso e tutti i cittadini possono capire a cosa serva il decoder. Infatti, il decreto-legge stabilisce che per cambiare la definizione di reti digitali terrestri a copertura nazionale uno dei


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requisiti è la presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili. Poiché dal numero di reti a trasmissione digitale terrestre dipende il tetto antitrust e, dunque, la possibilità di salvare Retequattro, ecco che il decoder è il perno su cui ruota tale indecente inganno.
I decoder, tuttavia, costano di più dei 150 euro che elargisce il Governo: il prezzo si aggira dai 300 ai 500 euro. Si tratta di una spesa a cui non corrisponde una piena utilità pratica perché non ci sono programmi prodotti appositamente per la tecnologia digitale, non ci sono programmi interattivi, ma si trasmettono in digitale gli stessi programmi che si possono vedere in analogico. Sapete quanti decoder hanno comprato finora le famiglie italiane nonostante il pacco dono del Governo? Trentanove decoder sul territorio nazionale!
Insomma, il decoder è il nuovo totem che simboleggia il mostruoso conflitto di interessi che attanaglia questo paese. Almeno, datelo a chi davvero non ha i soldi per pagarlo approvando il mio ordine del giorno n. 9/4645/7 (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. L'onorevole Giulietti ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/24.

GIUSEPPE GIULIETTI. Signor Presidente, vorrei dare un contributo alla nuova formazione politica che sta nascendo in questi giorni: il partito dell'amore. Le devo porre una questione pregiudiziale e spero che non siano vere alcune notizie di agenzia. Signor sottosegretario Innocenzi, uno dei fondatori di tale formazione, il Presidente Berlusconi a lei caro - e non solo a lei! -, nel pomeriggio ha abbandonato il tradizionale riserbo che lei conosce sulle questioni delle televisioni. Ha detto che non se ne può più della Corte costituzionale quando si occupa della televisione. Glielo segnalo perché ciò rischia di essere in controtendenza con il tema dell'amore e di apparire una posizione di profondo livore sociale e di odio verso le altre imprese.
Quella di oggi potrebbe essere ricordata - ed è un fatto positivo - come la festa nazionale del conflitto di interessi.
Vorrei richiamare la vostra attenzione su questo dono d'amore, che una parte della maggioranza, solo una parte - voi lo sapete, perché altrimenti sareste non così divertiti, ma disperati -, fa ad un imprenditore, in parabola discendente, non come imprenditore (non bisogna mai augurare a grandi imprese di essere in parabola discendente) ma come Presidente del Consiglio. Questo provvedimento è tecnicamente un atto di cortesia. Attenzione, tuttavia, perché un atto d'amore così estremo rischia di stritolare il fanciullo e in questi casi il fanciullo è comunque in età avanzata e non è più tale. Bisognerebbe, quindi, stare attenti al principio di soffocamento.
Vedete colleghi, di sicuro la giornata di oggi rappresenta una sconfitta della politica, perché nel centrodestra ci sono donne e uomini che sanno che questo provvedimento prepotente è funzionale al partito unico e all'«interruttore» unico. Chi oggi sorride potrebbe scoprire che questo provvedimento lede l'autonomia non solo del Parlamento, ma anche di una parte del centrodestra italiano. Attenzione agli atti di cortesia, di vassallaggio o di amore, perché potrebbero rivelarsi dannosi anche per chi pensa di trarne un beneficio. Di sicuro non è un atto di lealtà verso le imprese italiane, verso le altre imprese e verso tutti quei cittadini che non si regaleranno mai un decreto.
Signor sottosegretario, questo ordine del giorno riguarda un impegno, che lei ha assunto. Esso riguarda proprio l'amore e la passione per tutte le altre imprese, della fiction, del cinema, dell'editoria. Se voi dedicaste a queste un milionesimo dell'amore che dedicate ad un piccolo ramo d'azienda soltanto del Presidente del Consiglio, avreste risolto i problemi strutturali delle imprese e del lavoro italiano, che rappresentano una grande ricchezza in Europa (e non sono una bazzecola). Penso che di questo avreste dovuto occuparvi. Il mio ordine del giorno raccoglie gli orientamenti


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non delle opposizioni, ma degli editori, degli imprenditori, dei produttori indipendenti. Mi chiedo, allora, signor sottosegretario, perché non lo avete fatto contestualmente. Perché c'è una corsa su Retequattro e si allontana invece la legge sul sistema televisivo? Perché non avete accolto un solo emendamento di merito? Quello che infatti mi spaventa non è il problema di «chiudere» qualcuno, ma che si continuino a «chiudere» i mercati, la libertà e l'uguaglianza tra le imprese ed anche tra i cittadini.
Voi, con questo provvedimento, avete inaugurato la via giustizialista rispetto alla televisione: delegherete alla Corte costituzionale, alle Autorità, ai tribunali, le decisioni su un grande comparto industriale. È una scelta folle, sbagliata, che non produrrà serenità e che si ritorcerà contro chi l'ha pensata. In ogni caso, con questo voto di fiducia, non solo avete dichiarato la sfiducia alle imprese italiane; questo è infatti il primo voto di fiducia che rappresenta un atto di sfiducia verso la maggioranza. Avete precettato la maggioranza - non solo umiliato il Parlamento -, per la paura che tutti i colleghi potessero esprimersi liberamente su questo provvedimento, che riguarda la libertà in senso soggettivo ed oggettivo. Voi non vi fidate più di voi stessi! Questo è l'elemento di crisi politica, che emerge oggi. Voi avete sfiducia in voi stessi e nella vostra maggioranza! Evidentemente, avete buoni motivi per respirare questa sfiducia reciproca, ma penso che presto, molto presto, saranno i cittadini italiani a decretare la loro sfiducia nei vostri confronti (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Adduce ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/10.

SALVATORE ADDUCE. Signor Presidente, lei mi consentirà, aprendo questo intervento per illustrare il mio ordine del giorno, di rivolgermi per qualche secondo ai colleghi della Lega. Mentre il centrosinistra, unito, sta svolgendo una battaglia ostruzionistica, per cercare di impedire o quantomeno di ritardare l'espressione del voto, che in qualche modo si prospetta alla chiusura di questa discussione, ebbene mentre noi siamo qui, nel tentativo di difendere la libertà di comunicazione e la possibilità per operatori diversi di entrare in un mercato che è stato bloccato a seguito di un eccesso di concentrazione in un unico gestore, mentre ciò avviene in quest'aula, amici della Lega nord, al Senato sta accadendo, in queste ore, qualcosa di straordinario.
Le promesse che vi erano state fatte, vale a dire l'avvio di grandi riforme, si stanno via via modificando. Era stato annunciato, con grande enfasi, l'accorpamento delle elezioni regionali con quelle generali politiche per consentire la contemporanea elezione dei consigli regionali e del cosiddetto Senato federale. Tuttavia, dalla riunione svoltasi a Palazzo Chigi, a cui ha preso parte il ministro per le riforme istituzionali Bossi, è emersa la volontà - è una costante di questo Governo - di rinviare ancora una volta le vostre stesse proposte e idee agli anni futuri.
Le contemporanee elezioni, se vi saranno, per i consigli regionali ed il Senato federale non si svolgeranno più nel 2005 e 2006, ma nel 2011. Vi è la stessa protervia con la quale, in queste ore, il Presidente del Consiglio annunzia che le riduzioni delle tasse e la sistemazione dei conti saranno operate con la legge finanziaria del 2005 e del 2006. Ciò significa continuare ad operare come è stato fatto nel corso dei primi tre anni di Governo, rinviando costantemente, attraverso atti e iniziative politiche, le promesse e gli impegni assunti nel corso della campagna elettorale del 2001.
Anche il decreto-legge in discussione è sicuramente un altro esempio di rinvio per proteggere le casse di un grande monopolista, la concentrazione di televisioni, di mezzi di comunicazione nelle mani dell'operatore Mediaset. È anche un tentativo di interpretare, in via surrettizia, il messaggio


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del Presidente della Repubblica, il quale, a dicembre, ha affermato che la prima legge Gasparri, sulla quale siamo impegnati a discutere oramai da un anno e mezzo in Parlamento, non meritava di essere approvata e, quindi, controfirmata dal Presidente stesso. È stata, pertanto, rinviata alle Camere per una nuova deliberazione.
Con riferimento al decreto-legge in discussione, non potevate fare altro che osservare le parole del Presidente della Repubblica; avete dovuto tenere conto del suo messaggio ed in particolare avete dovuto piegarvi all'idea che, secondo quanto disposto con nettezza dalla sentenza della Corte costituzionale, la data del 31 dicembre 2003 rappresentava davvero un termine finale assolutamente certo, definitivo e, dunque, non eludibile per il rispetto delle vigenti norme antitrust.
Per cercare di trovare un argine a queste modalità, ancora una volta avete sottoposto ...

PRESIDENTE. Onorevole Adduce, si avvii a concludere.

SALVATORE ADDUCE. ...questa Camera ad uno stress indicibile con la posizione della questione di fiducia sul provvedimento in esame che elimina la discussione sul medesimo. Non è una novità, perché è uno stile del vostro Governo. Pensiamo, pertanto, che anche per queste ragioni...

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Adduce.
L'onorevole Benvenuto ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/11.

GIORGIO BENVENUTO. Signor Presidente, le nuove tecnologie digitali possono rappresentare l'occasione per attenuare il duopolio televisivo che si sta avviando ad essere un vero e proprio monopolio. Si può garantire un maggiore pluralismo, ma è necessario che i decoder vengano diffusi sul territorio e che vi siano indicazioni puntuali e precise, perché le famiglie possano accedere a questo nuovo strumento. Perché ciò sia possibile, deve essere intrapresa un'iniziativa che garantisca almeno al 20 per cento delle famiglie la possibilità di usufruire di agevolazioni per acquistare i decoder.
Con questo decreto-legge ciò non si verifica, in quanto tale grottesca situazione viene imposta con un voto di fiducia, impedendo lo svolgimento di qualsiasi discussione. Attraverso questo provvedimento si ripropone dunque ancora una volta, con perseveranza, con insistenza, con arroganza, la necessità, sulle questioni relative al sistema delle comunicazioni - come avviene anche con riferimento a temi inerenti la giustizia -, di una posizione che non accetta un confronto con l'opposizione.
L'onorevole Elio Vito ha affermato che i decreti-legge ai quali ricorre la maggioranza sono meno di quelli adottati dai Governi del centrosinistra. Temo che con questa maggioranza sgangherata, che ritrova la fiducia solo se è chiamata a votare nome per nome, di voti di fiducia ne avremo ancora parecchi. Infatti, vi è l'incapacità di confrontarsi sulle questioni, l'incapacità di dimostrare che, su altri problemi all'attenzione del paese, vi sia la stessa rapidità e la stessa capacità che il Presidente del Consiglio e il ministro dell'economia e delle finanze hanno dimostrato nell'affrontare questioni relative ad interessi specifici e personali.
Come mai, ad esempio, non è stata presa una decisione per restituire a 400 mila lavoratori 2 mila miliardi di vecchie lire sottratti attraverso una tassazione occulta sui trattamenti di fine rapporto? Perché la stessa decisione non è stata adottata, ad esempio, per risarcire le vittime del terrorismo? E che dire del chiasso che, in questi giorni, sta facendo il ministro dell'economia e delle finanze sulla lotta all'inflazione? Ma quale lotta all'inflazione! La Guardia di finanza e i superispettori del Secit sono utilizzati non per controllare i prezzi, ma per obbligare i commercianti e gli artigiani ad un condono preventivo; ecco la vera logica!


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Voglio inoltre denunciare che l'aumento dell'inflazione non è avvenuto, come sostiene il ministro dell'economia e delle finanze, nel momento del passaggio dalla lira all'euro, ma quando sono stati realizzati i condoni, quando si è posta in essere una logica estorsiva che ha spinto artigiani, commercianti e banche a condoni tombali o a concordati. Dunque, con l'obbligo di pagare due volte, molti di quei condoni si sono riversati sui prezzi.
Quindi, si tratta di una politica sciagurata, nella quale si annunciano delle cose e se ne realizzano delle altre! Ecco perché riteniamo che le nuove tecnologie debbano servire ad informare la gente, cosa che non riusciamo a fare. Non riusciamo a denunciare le assurdità e il grottesco di una politica profondamente sbagliata e profondamente ingiusta, contro la quale ci batteremo fino in fondo (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. L'onorevole Bonito ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Bolognesi n. 9/4645/12, di cui è cofirmatario.

FRANCESCO BONITO. Signor Presidente, colleghi, attraverso una serie di ordini del giorno stiamo tentando di inserire nella procedura di legislazione posta in essere istanze, proposte, questioni, problematiche che, più propriamente, avremmo dovuto affidare ad una nostra attività emendativa.
Ciò non è stato possibile, attesa la decisione del Governo, sostenuta dalla sua maggioranza, di ricorrere al voto di fiducia. In assenza della possibilità, che potremmo definire ordinaria, di affidare il nostro dissenso all'attività emendativa, altro non ci è rimasto che affidarci ad una serie di ordini del giorno per lasciare agli atti della Camera e per affidare al confronto in Assemblea la nostra posizione di forte dissenso, per un verso, e di proposta, per l'altro.
Le premesse di questa vicenda parlamentare sono, ahimè, assai note. Vi è una grande questione nazionale e democratica: il pluralismo dell'informazione. Tale grande questione viene peraltro vissuta politicamente tra importanti e fondamentali pronunce della Corte costituzionale e tra importanti e delicatissime iniziative del Presidente Repubblica. Corte costituzionale e Presidente della Repubblica, quali espressioni massime della funzione di garanzia della nostra Repubblica, tutti protesi a bilanciare un atteggiamento parlamentare e politico della maggioranza scesa a supino sostegno degli interessi patrimoniali ed economici del Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritengo di sconfinare nell'ovvietà nel momento in cui ricordo che il pluralismo dell'informazione costituisce un momento strutturale della democrazia, anzi direi che è uno di quei momenti di garanzia dei quali una democrazia evoluta e solida non può fare a meno. E tutti i momenti e gli istituti di garanzia, nell'ambito di una democrazia che sceglie il sistema maggioritario per alimentarsi, assumono un'importanza straordinaria; direi che assumono l'importanza di un momento ineludibile. Per carità, strutture e momenti di garanzia sono sempre fondamentali, ma in una democrazia maggioritaria quest'esigenza assume un'importanza e una rilevanza ben maggiori. Non è un caso che questa maggioranza abbia assunto nel proprio programma l'attacco e la demolizione degli istituti e dei momenti di garanzia e di ciò che è strutturale a far vivere un sano equilibrio democratico del sistema.
Questo è ciò che è accaduto ed accade quotidianamente con l'attacco all'autonomia della magistratura, e ciò che viviamo nel momento in cui si attacca la libertà e il pluralismo dell'informazione. E qui lo si fa attraverso il ricorso ad un voto di fiducia che sarà oggetto di studio da parte dei costituzionalisti perché, in questo caso, si pone la questione di fiducia su un interesse personale del Presidente del Consiglio dei ministri, con modalità assolutamente sconosciute alla storia democratica di questo Parlamento. Ciò, a mio parere, andava sottolineato e ringrazio il Presidente Fiori per avermi concesso qualche


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secondo in più per concludere il mio intervento (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Bova ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/13.

DOMENICO BOVA. Signor Presidente, non le nascondo il disagio che, insieme con numerosi colleghi, avverto nel momento in cui siamo costretti, per sostenere le nostre motivazioni, a ricorrere a questo strumento non consueto. Ritengo ci fossero le condizioni perché la Camera affrontasse l'importante discussione sul pluralismo dell'informazione in maniera diversa, al fine di trattare le questioni con maggiore attenzione e riflessione. Prendiamo atto della situazione determinata dalla maggioranza e sviluppiamo il nostro ragionamento.
L'ordine del giorno che ho presentato tratta della necessità di assicurare a tutti gli utenti l'accesso all'offerta informativa digitale, distribuendo le risorse in modo equo ed equilibrato sul territorio nazionale. Infatti, il decreto-legge in esame, emanato a seguito del rinvio alle Camere della legge di riforma del sistema radiotelevisivo da parte del Presidente della Repubblica e della concomitante scadenza del termine indicato dalla Corte costituzionale per porre fine alla situazione di indebita concentrazione delle frequenze radiotelevisive e di conseguente limitazione del pluralismo del sistema dell'informazione, prevede una procedura volta a verificare se le opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali possano consentire la coesistenza di un numero crescente di operatori nazionali, superando l'ormai anacronistico duopolio italiano.
L'elemento indispensabile per l'espletarsi del diritto di accesso all'informazione per il tramite delle nuove tecnologie digitali è costituito dall'effettiva disponibilità di decoder sul mercato nazionale a prezzi accessibili. Il decreto-legge non definisce puntualmente tali indicatori, lasciando, a mio parere e a parere del collega Burlando, cofirmatario dell'ordine del giorno in esame, spazi di indeterminatezza ingiustificati. L'intervento dello Stato per il sostegno finanziario dell'acquisto di detti dispositivi decodificatori risulta indispensabile per consentire l'utilizzo della nuova tecnologia con gli apparecchi televisivi di cui dispongono le famiglie italiane e per rendere, dunque, concreta la fruizione dell'auspicato ampliamento dell'informazione radiotelevisiva.
Per tali ragioni, intendiamo impegnare il Governo ad adottare misure finanziarie di sostegno per l'acquisto dei decoder, stanziando risorse economiche che vadano ben oltre quelle attualmente previste, in modo da rendere significativa la loro diffusione, e nel contempo garantendo una distribuzione omogenea di detti stanziamenti su tutto il territorio nazionale, in ragione della popolazione residente.
A fronte di tale esigenza, la questione di fiducia posta dal Governo ha impedito una ricca e proficua discussione da parte della Camera, su questa come su altre questioni importanti che ritenevamo fosse necessario affrontare e dirimere. Credo che ciò costituisca, fra l'altro, un ulteriore ed evidente segnale della crisi della coalizione di Governo, nonostante le trionfalistiche dichiarazioni che leggiamo oggi sui giornali rispetto alla cosiddetta verifica che si sarebbe svolta in questi mesi. I fatti dimostrano altro e sono sotto gli occhi di tutti, onorevole Presidente.
Concludo, ribadendo l'esigenza che ho avvertito in merito alla necessità che sia assicurato, a tutti gli utenti l'accesso all'offerta informativa digitale, distribuendo le risorse in modo equo - sottolineo questo dato - ed equilibrato, su tutto il territorio nazionale.

PRESIDENTE. L'onorevole Cennamo ha facoltà di illustrare su ordine del giorno n. 9/4645/14.

ALDO CENNAMO. Con questo ordine del giorno noi intendiamo impegnare il Governo ad adottare misure finanziarie di sostegno per l'acquisto di decoder, stanziando risorse economiche che rendano significativa la loro diffusione e garantendo


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una distribuzione omogenea di detti stanziamenti su tutto il territorio nazionale, in ragione della percentuale di popolazione residente, da determinare di intesa con la Conferenza Stato-regioni. Il decreto-legge in questione è stato emanato a seguito di un messaggio del Presidente della Repubblica di rinvio in Parlamento della legge di riforma del sistema radiotelevisivo e in vista della concomitante scadenza del termine, indicato nella sentenza della Corte costituzionale, per porre fine alla situazione di indebita concentrazione delle frequenze radiotelevisive e di conseguente limitazione del pluralismo nel sistema di informazione. Tale decreto-legge prevede una procedura volta a verificare se le opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali possano consentire la coesistenza di un numero crescente di operatori nazionali, superando l'ormai anacronistico duopolio italiano. A proposito del messaggio, noi riteniamo che il Capo dello Stato abbia rinviato il provvedimento alle Camere sulla base di una valutazione che investe l'intera legge e non soltanto alcune singole disposizioni.
Per quanto se ne abbia memoria, è la prima volta che accade che il Presidente della Repubblica abbia rinviato una legge di sistema. Si tratta della disciplina dell'intero sistema radiotelevisivo, con effetti rilevanti sulla carta stampata. Si tratta, inoltre, di una disciplina contenente disposizioni strettamente concatenate le une con le altre, talché ogni intervento su di una parte, specialmente se rilevante, comporta necessariamente riflessi diretti e indiretti su altre parti della legge. Separare una parte dalle altre, senza tenere conto degli effetti che le modifiche introdotte possano avere sul resto del sistema, dà luogo a squilibri, contraddizioni e incertezze che penalizzano gravemente la sua applicazione. In verità, il messaggio del Capo dello Stato non si limita a indicare le specifiche disposizioni oggetto del rinvio. In particolare, dopo avere indicato espressamente alcune norme, il messaggio del Presidente della Repubblica afferma: «...tutto ciò detto, in relazione alla compatibilità delle succitate disposizioni della legge in esame con la sentenza n. 466 del 20 novembre 2002, non posso esimermi dal richiamare l'attenzione del Parlamento su altre parti della legge che, per quanto attiene al pluralismo dell'informazione, appaiono non in linea con la giurisprudenza della Corte costituzionale». Il messaggio prosegue indicando, non i singoli articoli da modificare, ma i principi cui la futura legge deve adeguarsi per garantire - afferma il Presidente della Repubblica - il massimo pluralismo esterno e un'idonea disciplina che prevenga la formazione di posizioni dominanti. A questo proposito, il Capo dello Stato richiama espressamente anche il proprio precedente messaggio che, come è noto, sollecitava il Parlamento ad adottare, non singole e specifiche misure, ma una completa disciplina di tutto il sistema dell'informazione. Infine, il Presidente della Repubblica richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 1985, la quale richiede che sia evitato il pericolo che la radio e la televisione, inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento della libera stampa, rechino pregiudizio ad una libertà che la Costituzione fa oggetto di energica tutela.
In conclusione, signor Presidente, noi intendiamo raccogliere le preoccupazioni espresse dal Presidente della Repubblica e riteniamo che elemento indispensabile per l'espletarsi del diritto all'accesso dell'informazione per il tramite delle nuove tecnologie digitali, nonché la reale disponibilità di decoder sul mercato nazionale a prezzi accessibili siano indicatori che il decreto-legge non definisce puntualmente, lasciando spazi di indeterminatezza ingiustificati.

PRESIDENTE. L'onorevole Crisci ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/15.

NICOLA CRISCI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, mentre il paese è prossimo alla crescita zero, il lavoro è sempre più incerto e precario; i risparmiatori o sono stati defraudati o sono fortemente preoccupati per il destino del proprio risparmio;


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la crisi industriale ha colpito e continua a colpire le piccole e medie imprese, ma anche le grandi industrie, come la FIAT, la Cirio o la Parmalat. Mentre accade tutto questo, il Governo è impegnato a mantenere acceso, in modo incomprensibile e dannoso, lo scontro non solo con la magistratura ma anche con gli operatori della sanità, della scuola, dell'università e della ricerca e più in generale con tutto il mondo del lavoro. Mentre il paese è più povero e più insicuro, pervaso sempre di più da sfiducia ed inquietudine, il nostro Governo e la maggioranza mostrano ancora una volta di essere lontani dai problemi degli italiani e prigionieri degli interessi del Presidente del Consiglio. Su un provvedimento come questo in discussione, che doveva seguire la via ordinaria del confronto in Parlamento, è stata posta la questione di fiducia. Il Parlamento è stato nuovamente svuotato delle sue funzioni ed è stato ridotto, ancora una volta, a luogo di mera vidimazione di decisioni prese in altri luoghi da zelanti e servizievoli uomini di fiducia del Capo del Governo. Con il mio intervento, pertanto, esprimo il mio convinto e forte dissenso non solo sul contenuto del testo in discussione ma anche e soprattutto sul metodo seguito che, come in altre occasioni, imbavaglia il Parlamento e impedisce il confronto su provvedimenti che, come questo, servono solo a salvaguardare gli interessi economici del Presidente del Consiglio e ad impedire nel contempo un confronto libero e democratico su temi delicatissimi come quello dell'informazione.
Sono passati due anni e mezzo dall'elezione del 2001 e la riduzione delle tasse non vi è stata, oltre cinque milioni di pensionati aspettano ancora l'aumento al minimo pensionabile di un milione di vecchie lire; il miracolo economico annunciato rumorosamente non si è realizzato, ma intanto, in questo periodo, con voti di fiducia e leggi ad personam molti problemi del Presidente del Consiglio e dei suoi sodali sono stati ampiamente risolti. Almeno in questo, dobbiamo riconoscere che la maggioranza ha dimostrato di sapere essere compatta e determinata. Quando si sono evidenziati possibili dissensi, le coscienze sono state subito tacitate, chiedendo la fiducia, nonostante l'ampio scarto di circa 100 voti.
Gli ordini del giorno presentati - e quindi anche il mio - vogliono essere una risposta per molti versi rabbiosa all'impossibilità di contribuire a migliorare un pessimo provvedimento, che rafforza la posizione dominante del Capo del Governo nel settore radiotelevisivo, che mortifica ulteriormente il Parlamento e che rende ancora più precaria la libertà di informazione nel nostro paese che, dopo due anni di governo delle destre, oltre ad essere più povero e più diviso, è certamente anche meno libero e meno democratico. Ma gli italiani lo stanno capendo e la sfiducia verso il Governo aumenta di giorno in giorno (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Labate ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/16.

GRAZIA LABATE. Signor Presidente, membri del Governo, colleghi, credo che, dopo la recente approvazione della questione di fiducia posta su questo decreto-legge, dovremmo porci tutti una domanda. Errare è umano, perseverare è diabolico: come si può porre la questione di fiducia su un decreto-legge di questa natura, dopo una sentenza della Corte costituzionale, dopo i richiami del Capo dello Stato, dopo le osservazioni di merito dell'Antitrust, dopo che la realtà del paese assiste, quasi quotidianamente, all'incapacità dell'attuale Governo e di questa maggioranza di rispondere ai problemi reali della società italiana? Credo che la domanda dovrebbe avere una risposta: l'arroganza non ha limiti e anche oggi non ha conosciuto limiti.
Siamo di fronte ad un problema delicatissimo, che riguarda il tema dell'informazione e, nel merito, la discussione e il confronto non hanno avuto, su un tema come questo, di importanza fondamentale per la democrazia e la civiltà di un paese, la risposta di una maggioranza di Governo


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attenta ad ascoltare le proposte emendative e migliorative dell'opposizione. Voi credete che i cittadini italiani siano colti da una specie di torpore soporifero oppure che credano ancora alle favole o a quelle belle sceneggiate televisive nelle quali si descrive un paese felice, prospero, che ha realizzato tutti i progetti, risolto tutti i problemi; vorreste far credere che, in fondo, questi cittadini italiani sarebbero turlupinati da una sinistra catastrofista, che ha l'ossessione di porre al centro dell'attenzione problemi che altri ritengono inesistenti. Bene, vi sbagliate profondamente, perché i cittadini italiani si saranno chiesti, nelle ultime ventiquattr'ore, come sia possibile che, nelle massime istituzioni del paese, di fronte ad un decreto-legge di questa natura, la maggioranza non si interroghi, almeno per senso del pudore! Si saranno chiesti come sia possibile porre la questione di fiducia su un decreto-legge che apre con tutta evidenza, grossa come una casa, la questione del conflitto di interessi, anzi, non di conflitto: in questo caso, si tratta di interesse, interesse che, peraltro, i colleghi che sono già intervenuti nel dibattito hanno quantificato in svariati miliardi di euro! Come è possibile che si ripeta questo rito ossessivo ed arrogante? Come fate a non comprendere che la gente ormai quotidianamente deve confrontarsi con la realtà della vita e noi qui imponiamo loro questo show istituzionale, in cui per cento voti in più non si discute nel merito, nemmeno gli emendamenti tecnici migliorativi, ma, con l'arroganza del potere, si dice: tutti a raccolta, tutti obbedienti, votate la fiducia! La questione del pluralismo dell'informazione e di come dovrà funzionare dopo questo decreto-legge, la realtà dell'informazione italiana non sono problemi che interessano la maggioranza che ci governa.
Signor Presidente, colleghi, colleghi del Governo, con questi ordini del giorno che stiamo illustrando poniamo un problema di principio e di realtà. Come potete immaginare che i cittadini italiani sognino l'idea dell'avvento del digitale, sapendo oramai tutti noi, figli dell'era informatica, che senza i decoder tale pluralismo dell'avanzamento tecnologico sarà accessibile a pochi?
Ed allora, come è possibile che voi non abbiate avuto...

PRESIDENTE. Onorevole Labate, si avvii a concludere.

GRAZIA LABATE. Concludo, signor Presidente.
Come è possibile che non abbiate avuto neanche il buon gusto di prevedere le misure e le risorse finanziarie necessarie affinché tutto ciò non sia una favola e tutte le famiglie italiane possano almeno essere dotate di tale strumento?
Ma a voi tutto ciò non importa. Tra il sogno e la realtà, anche qui c'è un'antica massima. Ricordatevi che il pifferaio di Hamelin andò per suonare il piffero, ma poi fu suonato: la coscienza civile degli italiani dirà davvero qual è il vostro grado di consenso nel paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Lucidi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/17.

MARCELLA LUCIDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'ordine del giorno che ho presentato assieme al collega Lolli intende garantire che la conversione in legge del presente decreto-legge realizzi, almeno per il tema da noi considerato, il principio di uguaglianza sostanziale. Conviene qui ricordare che tale principio impone al legislatore di rimuovere gli ostacoli che impediscono lo sviluppo della persona e ad orientare in tal senso tutta la propria attività.
Promuovere l'uguaglianza significa garantire opportunità, sostenere chi resta indietro contro la sua volontà, costruire un orizzonte entro il quale il privilegio ceda il posto all'equità, le regole della competizione non siano truccate, i vincitori non siano scelti in anticipo e le illusioni di un prestigiatore siano spazzate via per migliorare la qualità della vita di tutti.


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Quanto è distante da tali idee l'azione politica di questa maggioranza, che ha bisogno di dominare il sistema televisivo perché vuole coprire le proprie miserie umane e, insieme, le ricchezze economiche del Presidente del Consiglio, e deve frapporre uno schermo per proporsi ai cittadini! Mi domando: sarebbe capace Silvio Berlusconi di andare in un mercato rionale, in un giorno qualsiasi, senza organizzare le truppe, per dire quanto ha affermato in televisione, vale a dire che l'Italia è più ricca, che è aumentata la capacità di spesa dei cittadini e che l'aumento dei prezzi è solo una percezione? Sono una percezione anche i conti di fine mese che fanno le famiglie italiane?
Vedete, la questione non è solo quella di mandare Emilio Fede sul satellite, ma anche quella di far tornare questo Governo e questa maggioranza - che sul satellite ci sono già - sulla terra, dove i cittadini italiani vivono problemi veri e non virtuali e le difficoltà economiche si misurano ogni volta che occorre mettere mano al portafoglio per le spese di ogni giorno.
Appare oggi evidente che il conflitto di interessi non riguarda solo il Presidente del Consiglio, ma investe il rapporto tra questa maggioranza ed i cittadini. Qui si sta compiendo un altro grave conflitto di interessi e vorrei spiegarmi. Silvio Berlusconi lavora per Silvio Berlusconi, la maggioranza politica che governa questo paese lavora per Silvio Berlusconi. Il primo dato è grave, ma rivela un'intelligenza; il secondo lo è di più, perché nega l'intelligenza, quell'intelligenza che dovrebbe portarvi, in questa occasione, ad un moto di ribellione, ad uno scatto di orgoglio per dire «io non ci sto» e ritrovare, così, la fiducia di chi vi ha votato. Invece state qui, sperando di restare in onda, mentre gli italiani hanno già cambiato canale. Ne abbiamo avuto prova nelle scorse elezioni, ne avremo conferma ancora nella prossima campagna elettorale.
Vedete, cari colleghi, voi potete pure cambiare non una, ma tante facce: alla fine, resterà solo una triste e pietosa caricatura! In quel momento, non ci troverete, non troverete gli italiani!

PRESIDENTE. Onorevole Lucidi...

MARCELLA LUCIDI. Noi vogliamo fare opposizione fino in fondo, restando qui e testimoniando, con le nostre parole, la nostra contrarietà, dando voce anche a chi, fuori da questo Parlamento, ci chiede di prestargli la nostra (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Montecchi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/5.

ELENA MONTECCHI. Colleghe, colleghi, il Governo ha chiesto la fiducia fondamentalmente per paura dei franchi tiratori. Si tratta di una prova di forza che, però, non nasconde la debolezza di una maggioranza che ricorre ad imbarazzate dichiarazioni, come, ad esempio, quella del collega Elio Vito, il quale ha sostenuto che quella di porre la fiducia è stata una decisione tecnica; gli ha fatto eco il sottosegretario Innocenzi dicendo: «è un fatto tecnico: abbiamo poco tempo!».
Sulle ragioni per le quali è stato adottato questo decreto-legge, invece, si tace; allo stesso modo, si tace sulle peripezie della legge Gasparri e si vorrebbero soffocare le perplessità ed i dissensi nella maggioranza. La maggioranza non tiene sulla proroga della vita di una televisione della famiglia del Presidente del Consiglio: altro che fatto tecnico! Le cose vanno dette e descritte per ciò che esse sono in realtà: un grande conflitto di interessi, con il Presidente del Consiglio che interviene direttamente su una delle imprese della sua famiglia. È un fatto inaudito per questa nazione, colleghe e colleghi!
Ovviamente, le colleghe ed i colleghi della maggioranza ci ascoltano distrattamente e ci guardano come se fossimo gli attori di uno stanco rito. In qualche modo lo siamo, ma io non esito ad affermare che questo è un fatto che ci interroga su cosa


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sia la politica, su cosa sia la rappresentanza parlamentare e su quale debba essere il rapporto tra il Parlamento ed un Governo. Le colleghe ed i colleghi della maggioranza, sfilando sotto il banco della Presidenza, hanno espresso la loro fiducia per una delle imprese della famiglia del Presidente del Consiglio dei ministri!
Dunque, cos'è la politica? A cosa serve la politica se essa non è confronto, mediazione e decisione parlamentare in un rapporto corretto e trasparente tra un Governo ed un Parlamento, tanto più su un tema così delicato come quello del sistema radiotelevisivo? Eppure, si tratta di un tema sul quale il Presidente della Repubblica ha mandato messaggi alle Camere, anche rinviando loro la relativa legge di riforma, sul quale è intervenuta la Corte costituzionale e del quale si parla in tutto il mondo, in tutto il mondo, colleghe e colleghi! E non mi riferisco a giornali che si potrebbero definire comunisti!
Non siamo riusciti a discutere di molti aspetti: quali opportunità imprenditoriali si aprono rispetto alle nuove tecnologie digitali? Quale pluralismo vi sarà tra gli operatori? Quale mercato si apre e con quali regole? Di quanti nuovi o altri diritti di accesso all'informazione godranno i cittadini? Quelli che ho appena menzionato sono temi che appassionano le democrazie, che riguardano anche la mediazione tra gli interessi, ma che riguardano, anzitutto, il nostro futuro, la nostra crescita nazionale ed anche la nostra dignità internazionale.
Non siamo riusciti a discutere di tutto ciò perché l'obiettivo era ed è un altro: quello di arraffare qualche altro scampolo di potere, di privilegio, di interesse, prima che sia troppo tardi (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. L'onorevole Battaglia ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Melandri n. 9/4645/ 19, di cui è cofirmatario.

AUGUSTO BATTAGLIA. Signor Presidente, ancora una volta (periodicamente, ormai, siamo abituati a questo rito) ci troviamo ad esaminare un provvedimento di urgenza che, anziché guardare ai problemi reali del paese, si preoccupa degli interessi personali del Presidente del Consiglio, della sua famiglia e del suo gruppo economico-finanziario.
Dispiace vedere come forze politiche quali i gruppi di Alleanza nazionale, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e della Lega Nord Federazione Padana seguano (per quanto riguarda quest'ultima, non so se lo faccia ancora per l'indipendenza della Padania, se abbia abbandonato tale obiettivo oppure se si accontenti di qualcosa di meno), in questa forsennata azione, il gruppo di Forza Italia. Capirei Forza Italia, espressione personale del Presidente del Consiglio, ma mi meraviglia che forze politiche con una tradizione e un radicamento nel paese, per anni portatrici - come Alleanza nazionale - di idee che facevano riferimento a regole e principi, oggi si accodino a ciò che ogni volta il Presidente del Consiglio desidera. Credo che, in questa maniera, le forze di maggioranza perdano di vista i problemi reali degli italiani, come, per esempio, la casa.
Ieri, il sindaco di Roma, Veltroni, con la sua consueta sensibilità ed attenzione ai problemi soprattutto delle fasce sociali più disagiate, ha chiamato i parlamentari di Roma per segnalare il grave problema della casa che si vive in tante aree metropolitane. Nella totale assenza di un'iniziativa del Governo, i prezzi degli affitti salgono vertiginosamente; famiglie, non povere ma appartenenti al ceto medio (mi riferisco ai lavoratori dipendenti, ai percettori di un reddito che dovrebbe consentire loro di vivere) si trovano in difficoltà e non riescono nemmeno ad arrivare alla fine del mese e a pagare affitti che in città come Roma, Milano, Napoli o Bari ormai raggiungono cifre che superano i 500, 600 o 700 euro al mese, assorbendo il 70-80 per cento di un salario medio e di una pensione.
Ci saremmo aspettati un provvedimento d'urgenza su un tema di questa portata, e non per salvare una rete del


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Presidente del Consiglio, dopo la sentenza della Corte costituzionale che stabilisce che tale rete da anni è illegale e dopo che lo stesso Presidente della Repubblica vi ha rispedito indietro il disegno di legge Gasparri, che ignorava i contenuti della sentenza della Corte costituzionale.
Ci saremmo aspettati attenzione da parte del Governo su altre questioni. In questi giorni, per esempio, tanti pensionati italiani stanno assediando le sedi dell'INPS, poiché da parte dell'INPS e dell'INPDAP arriva loro il riepilogo di ciò che percepiranno nel corso del 2004; con loro sommo stupore, in un paese che, ad avviso del Presidente del Consiglio, si è arricchito, hanno potuto verificare che nel 2004 prenderanno una pensione inferiore a quella del 2003, nonostante l'adeguamento del 2,5 per cento al costo della vita. Questo perché, grazie all'entrata in vigore delle nuove disposizioni del ministro Tremonti, aumentano le tasse per molti pensionati; tale aumento colpisce le loro pensioni e non si riesce nemmeno a compensare l'aumento del costo della vita. Questi pensionati avranno una pensione inferiore a quella del 2003, mentre i prezzi, come sappiamo, salgono del 6, 7, 8 e 9 per cento su beni di prima necessità.
Allora, è su questi temi che voi dovreste adottare dei provvedimenti d'urgenza, perché sono questi i temi che stanno a cuore ai pensionati italiani, alle famiglie dei lavoratori italiani, che vedono sempre più, giorno dopo giorno, un Governo disattento ai loro problemi, ai problemi delle famiglie, un Governo che mostra tutta la sua incapacità.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Battaglia.

AUGUSTO BATTAGLIA. Concludo, Presidente.
Per questo motivo noi abbiamo presentato l'ordine del giorno in discussione, con cui sollecitiamo il Governo ad individuare misure di sostegno finanziario per favorire un programma di diffusione della programmazione della concessionaria pubblica ed evitare che attraverso questa nuova modalità...

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Battaglia.
L'onorevole Ottone ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/20.

ROSELLA OTTONE. Signor Presidente, ancora una volta assistiamo ad una farsa. La cospicua maggioranza parlamentare non è in grado di garantire il sostegno al proprio Governo, che è costretto a prendere la poco edificante scorciatoia del voto di fiducia. Per l'opinione pubblica la storia del provvedimento in esame è talmente datata che corriamo il rischio di apparire persone incapaci di intendere e di volere se ancora non si è riusciti a trovare la quadra.
La verità è che, di fronte ad un provvedimento il cui obiettivo prioritario è salvare una rete di proprietà del Presidente del Consiglio, è talmente palese il conflitto di interessi che, lungi dall'essere un argomento superato, come ha sostenuto questo pomeriggio un autorevole collega della maggioranza, è lì sul tappeto, irrisolto, un macigno fonte di disagio per la maggioranza stessa, che purtroppo non ha il coraggio di manifestarlo apertamente ed attende il voto segreto per lanciare i suoi vistosi segnali di dissenso al premier.
Io direi che si potrebbe sostituire l'espressione «voto di fiducia» con l'espressione «consenso forzoso», più appropriata alle procedure che osserviamo. Colleghi, non è vero, come voi sostenete, che il decreto-legge in esame risponde alle osservazioni del Presidente Ciampi, argomentate con precisione nel messaggio di rinvio alle Camere. Con questo provvedimento non si affronta il nodo del pluralismo, come esplicitamente richiesto, né si implementa il grado di competitività tra i protagonisti del sistema; non si rispetta il diritto comunitario sulla concorrenza, che è volto ad impedire che il controllo delle società del settore si concentri in modo monopolistico. Il pluralismo per l'Europa è un valore, per noi un po' meno. Il pluralismo non si garantisce se muta il concetto di rete nazionale.


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La legge in vigore, la cosiddetta legge Maccanico, prevede la copertura dell'80 per cento del territorio nazionale e il 90 per cento della popolazione; il decreto in esame abbassa al 50 per cento la soglia della popolazione e al 20 per cento quella del territorio. Allora, se è vero quello che sostiene la maggioranza, cioè che tale decreto è volto non solo a favorire Retequattro, ma anche a garantire il successo della terza rete pubblica, con il mio ordine del giorno n. 9/4645/20, firmato anche dall'onorevole Pennacchi, si chiede al Governo di dare un segnale forte, non di tipo verbale ma concreto, un segnale finanziario, che garantisca la realizzazione di un progetto di diffusione della programmazione della concessionaria pubblica, con l'obiettivo di raggiungere almeno l'80 per cento della popolazione nazionale entro il 1o gennaio 2005. Attendiamo fiduciosi (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Rava ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/21.

LINO RAVA. Signor Presidente, credo di non scoprire l'acqua calda dicendo che il sistema dell'informazione è fondamentale per ogni paese. Quindi, sarebbe del tutto normale e, soprattutto, giusto e corretto discutere seriamente in quest'aula su un disegno di legge che rivedesse l'ordinamento del sistema radiotelevisivo. Ciò sarebbe normale, anche partendo da posizioni radicalmente diverse, come è naturale che succeda in una democrazia matura, confrontandosi su argomenti tutti ispirati all'interesse generale. Questo dovrebbe essere il criterio informatore e direttivo dei nostri lavori.
Purtroppo, questa discussione si sta invece muovendo su un altro livello e sembra utile soltanto per dimostrare la gravità della scelta che si sta compiendo, ossia calpestare principi che dovrebbero essere fondanti per tutti e che sono stati autorevolmente indicati.
Noi lo vogliamo fare con chiarezza, attraverso tutti gli interventi dell'opposizione di centrosinistra, per dimostrare prima di tutto ai cittadini ed al paese che c'è chi ha a cuore i principi di giustizia, i principi di libertà e, soprattutto, i principi di libertà dell'informazione. Lo facciamo per dimostrare che c'è chi ha a cuore la politica come strumento di confronto al servizio della società nella sua interezza e non certamente di propri interessi particolari.
La maggioranza, invece, troppo spesso sta dimenticando questi principi e troppo spesso sta piegando la politica agli interessi particolari. Lo diciamo con lo spirito polemico che è giusto manifestare in questo contesto e con grandissima preoccupazione. Infatti, credo che si stia verificando un fatto davvero drammaticamente negativo per il paese, che naturalmente tutti pagheremo, chi lo vuole e chi non lo vuole.
Credo che quanto avvenuto sulla cosiddetta legge Gasparri, che ormai è insabbiata in qualche oscuro cassetto, sia emblematico del sentire di una larga parte della maggioranza non disposta a calpestare la propria coscienza. Ritengo che la posizione della questione di fiducia - lo hanno già detto molti colleghi - su questo provvedimento «salva interessi» sia stata un'ulteriore conferma della paura che la buona coscienza prevalesse sugli ordini di scuderia.
Lo scandalo di questo voto di fiducia non sta nell'utilizzo dello strumento. Giustamente, anche molti esponenti della maggioranza sottolineano come il centrosinistra, nella scorsa legislatura, abbia usato molte volte lo strumento della fiducia. È un fatto che corrisponde a verità e che non è scandaloso. Ritengo tuttavia che, in questo contesto, lo scandalo stia nel fatto che sia stata posta la questione di fiducia, da parte del Governo e di chi rappresenta la totalità del Governo, ossia il Presidente del Consiglio, su un provvedimento che interessa lo stesso Presidente nella sua veste di proprietario delle aziende che acquisiscono vantaggi da questo provvedimento. Certamente, egli non


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sarà l'unico titolare di aziende che acquisiranno vantaggi, ma farà parte di coloro che trarranno dei benefici.
Come qualcuno ha avuto anche modo di sottolineare, con lo stesso disegno di legge Frattini, che noi non condividiamo e che riteniamo abbia dei limiti pesantissimi, non sarebbe stato possibile ricorrere alla procedura che oggi viene utilizzata.
L'ordine del giorno - e concludo - parte proprio dalla genesi del decreto-legge e, in sostanza, fornisce una risposta alle sentite esigenze di chiarezza nei confronti dello stesso provvedimento. Esso impegna il Governo almeno a garantire alla concessionaria pubblica del sistema radiotelevisivo le risorse necessarie per sviluppare la tecnologia che viene indicata nel decreto-legge. Quantomeno, considerato che lo stesso decreto-legge non indica un tempo di lavoro per l'Autorità, che il Parlamento abbia la possibilità di controllare l'evoluzione dei lavori.
Credo che questi rappresenterebbero già due aspetti molto importanti per cercare di attenuare realmente il danno procurato dal decreto-legge in esame (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Albonetti ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/22.

GABRIELE ALBONETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, i colleghi intervenuti stamattina nel dibattito virtuale sul complesso degli emendamenti - dico virtuale perché gli emendamenti sono stati sottratti al giudizio dell'Assemblea attraverso la votazione di fiducia - hanno già ampiamente motivato le ragioni delle nostre osservazioni tecniche e politiche su quello che per noi, ma per molti altri nell'opinione pubblica italiana, è un brutto provvedimento. Un brutto provvedimento a cui peraltro si è sovrapposto un bruttissimo atto politico da parte del Governo, che ha impedito al Parlamento, a noi ma anche a molti di voi, di discutere nel merito il decreto-legge. Ci resta soltanto la possibilità di votare sugli ordini del giorno, che, pur non essendo emendamenti, tuttavia mantengono un rilevante significato politico.
Noi chiediamo a voi della maggioranza, che avete accordato la fiducia al Governo, perché non avete avuto la fiducia del Governo per approvare almeno quegli ordini del giorno che lo impegnano a migliorare il testo del decreto-legge, anche sulla scorta delle osservazioni formulate dall'Autorità di garanzia volte a cambiare strada e ad evitare che si formi nell'opinione pubblica l'idea che, mentre il paese declina, le aziende del Presidente del Consiglio dei ministri fioriscono.
Credo sia necessario un colpo di reni, un sussulto di dignità politica, per il bene della maggioranza stessa, che non potrà vincere a lungo, se somiglierà sempre meno ad un Governo e sempre di più ad un comitato di affari.
Vorrei usare il minuto che mi resta per leggere alcune righe, citando non le parole di Bruti Liberati né quelle di Sartori, bensì quelle di Sant'Agostino, il quale nel De Civitate Dei afferma: «Senza giustizia cosa sarebbero i regni, se non bande di ladroni? Che cosa le bande di ladroni, se non piccoli regni ? Anche una banda di ladroni è infatti un'associazione di uomini nella quale vi è un capo che comanda, nella quale è riconosciuto un patto sociale e la divisione del bottino è regolata secondo convenzioni primariamente accordate. Se questa associazione di malfattori cresce fino al punto da occupare un paese e stabilisce in esso la sua propria sede, essa sottomette popoli e città e si arroga apertamente il titolo di regno, titolo che le è assegnato non dalla rinuncia alla cupidigia, ma dalla conquista dell'impunità». Intelligente fu dunque la risposta data ad Alessandro il Grande da un pirata che era caduto in suo potere. Avendogli chiesto il re per quale motivo infestasse il mare, il pirata rispose: «Per lo stesso motivo per cui tu infesti la terra; ma perché io lo faccio con un piccolo naviglio sono chiamato pirata, perché tu lo fai con una grande flotta, sei chiamato imperatore».
Vi chiedo per quanto tempo ancora la vostra flotta sarà così grande da impedire


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che chi vi guida si trasformi, nell'opinione dei cittadini, da imperatore a pirata (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Raffaldini ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/23.

FRANCO RAFFALDINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ricordavo questa mattina che non è un artificio retorico il racconto che molti colleghi hanno fatto dei sentimenti che molti cittadini hanno mostrato nelle ultime ore, quando hanno saputo della scelta di porre la questione di fiducia sul decreto-legge «salva Retequattro». Lo confermo anch'io.
Le persone stamattina si guardavano tra loro incredule, non credevano alla notizia. In altre parole, il Governo oggi ha messo in gioco tutto se stesso. Si è sottoposto ad un voto di fiducia, ma per cosa? Sul problema di Retequattro, mentre in questi giorni si stanno accumulando problemi su problemi senza soluzioni da parte del Governo. Penso all'economia che non riesce a crescere, alla crisi della siderurgia, alle burrasche del sistema industriale italiano, alla prospettiva di licenziamenti per migliaia di lavoratori. Penso alle famiglie che faticano a giungere alla fine del mese con i loro salari sempre più scarsi. Penso ai lavoratori ed ai pensionati che vivono impauriti perché l'urto sulle pensioni rende pericoloso il loro futuro. Penso ai milioni di giovani che, per la prima volta, percepiscono che il loro futuro può essere peggiore di quello dei loro padri. Penso ai genitori che vedono scomparire il tempo pieno e sono costretti a decidere, quando il loro figlio ha 13 anni, se iscriverlo definitivamente al cosiddetto avviamento professionale o al liceo. Penso alle comunità locali che vedono disgregarsi il sistema sanitario ed assistenziale. Penso al comparto dei trasporti in cui non si è aperto un nuovo cantiere con i nuovi soldi del Governo.
Guardiamo a quel che sta succedendo in Alitalia in queste ore, dove vi è una crisi profondissima. Il Presidente del Consiglio, al massimo, è riuscito a dire che il problema è serio. Nelle città è stato lasciato nel più totale abbandono il trasporto pubblico locale che può precipitare, nei prossimi mesi, in una situazione difficilissima. Si è operato per disarticolare le ferrovie per poter moltiplicare le vostre nomine. Per quanto riguarda la sicurezza, peggiorano le condizioni di serenità nelle città. Nei tribunali manca la carta per il ciclostile; alla polizia, a volte, manca la benzina per le volanti.
In Europa il Presidente del Consiglio esprime, ormai, un peso di quarta fila. Del «contratto con gli italiani» non è stato mantenuto in modo compiuto nemmeno un punto; addirittura, il Presidente del Consiglio ed i suoi ministri non sono stati capaci di rispettare la promessa, fatta a Milano, alla provincia ed alla regione Lombardia, di 192 milioni di euro per completare la linea metropolitana.
Dopo quasi tre anni di Governo, i cittadini vi vedono impegnati soltanto in un'infinita verifica ed a difendere i vostri interessi particolari. Oggi di cosa si è parlato nel dibattito sulla fiducia? Dei problemi del nord Italia, onorevole Bossi, colleghi della Lega? Dei problemi del sud? No, siete ormai lontani dal paese e questi atti di forza come la questione di fiducia sono il segno che avete paura, che siete deboli, che non avete più idee per l'Italia, che il vostro passo è ormai incerto e senza rigore. Girate a vuoto e surriscaldate il motore con parole vuote. Tutti sappiamo che, quando le parole degradano - e ciò voi fate -, degradano anche le cose.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA (ore 20,08)

FRANCO RAFFALDINI. Non vi accorgete che vivete in un altro mondo: il mondo dei vostri interessi, in cui vi guardate solo tra di voi, mentre il mondo reale è teso in uno sforzo difficilissimo e faticoso, nelle fabbriche, negli uffici, negli ospedali, nelle scuole, nel volontariato. Di


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tanto in tanto, questo mondo reale alza gli occhi, ma non vi vede perché non ci siete! Siete lontani dai bisogni dei cittadini, siete impegnati soltanto a sostenervi l'un l'altro. Non c'è aria fresca, ma aria viziata, aria vecchia. Vi siete dati la fiducia, ma non siete più in sintonia con il paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Nicola Rossi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/8.

NICOLA ROSSI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi è martedì 17 febbraio: in base alle regole che ci sono state tramandate, è un giorno dispari. Infatti, non a caso, il Presidente del Consiglio ha auspicato controlli non punitivi per il commercio. Ieri, lunedì 16 febbraio, giorno pari, il ministro dell'economia e delle finanze aveva invece minacciato di fare chissà cosa ai commercianti che avevano sfruttato in maniera non sempre nobile l'introduzione dell'euro.
Non è la prima volta che il Governo adotta la regola, abbastanza innovativa, di fare politica a giorni alterni e di adottare linee politiche diverse a seconda che si tratti di un giorno pari o di un giorno dispari.
Ieri, che era un giorno pari, il ministro dell'economia e delle finanze ha parlato di un euro malfatto. Qualche giorno prima, invece, (un giorno rigorosamente dispari) il Presidente del Consiglio aveva sottolineato come, senza l'euro, l'Italia si sarebbe trovata in guai abbastanza seri. Tutto ciò però non accade, e questa regola non viene adottata, quando invece ci troviamo di fronte ad argomenti come quelli oggetto del decreto che stiamo esaminando. Quando infatti si discute di assetti del settore televisivo, sparisce questa regola semplice che il Governo si è dato, che di solito adotta quando si parla di serie questioni di interesse collettivo, e che piova o che tiri vento, che faccia bel tempo o che nevichi, che il barometro segni gran secco o che ci sia nebbia, la regola del Governo a quel punto diventa una sola: tetragona, unica, ferrea. Non tanto, notate bene, quella di esprimere un'assoluta compattezza delle idee della maggioranza e del Governo stesso su un argomento, quanto piuttosto quella di impedire alla maggioranza stessa di esprimere le sue opinioni su determinati argomenti, perché se le esprimesse, come abbiamo visto più di una volta e come è accaduto ripetutamente, si avvertirebbe con particolare evidenza il disagio della maggioranza rispetto a questo tipo di provvedimenti.
La posizione della questione di fiducia, come è stato fatto oggi su questo provvedimento, ha dunque questa valenza: è la modalità con la quale il Governo impedisce alla propria maggioranza di esprimere una qualunque opinione. Notate, però, che nel caso odierno la posizione della questione di fiducia (questa modalità di comportamento) è, per molti versi, particolarmente grave ed imbarazzante, perché oggi è stata posta la questione di fiducia su una menzogna, in quanto il testo del decreto-legge prevede che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni effettui entro il 30 aprile 2004 un esame dell'offerta complessiva dei programmi televisivi digitali terrestri, allo scopo di accertare la sussistenza di alcune condizioni (la copertura di almeno il 50 per cento della popolazione, la presenza sul mercato nazionale di decoder a prezzi accessibili, nonché l'effettiva offerta al pubblico anche di programmi diversi).
È bene dirci con chiarezza - lo sappiamo tutti, non si scopre nulla - che al 30 aprile 2004 l'Autorità non esprimerà un parere positivo o negativo, perché entro quella data, con ogni probabilità, l'Autorità semplicemente non potrà esprimere alcun parere. Si provvederà, a quel punto - su questo si accettano scommesse -, ad un nuovo rinvio e ad un'ulteriore proroga. Anche se l'attuale Governo ci ha abituati alle proroghe (non a poche, naturalmente), vorrei tuttavia sottolineare come, in questo caso, la proroga apparirebbe come un atto di sbeffeggiamento non solo del Parlamento e dei cittadini, ma, se posso dirlo, anche del Capo dello Stato, il quale aveva detto chiaramente come la cessazione del


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regime transitorio fosse condizione affinché un determinato provvedimento potesse essere varato. Invece, questa non è una definitiva cessazione. Quella che avremo nei prossimi mesi sarà una rete in prorogatio. Al riguardo, osservo però che, mentre un qualunque amministratore che si trovi in regime di prorogatio, si limita, di solito, all'ordinaria amministrazione, temo che nei prossimi mesi la rete di cui sopra non si limiterà all'ordinaria amministrazione, ma parteciperà attivamente, come di solito ha fatto, alle vicende politiche e soprattutto a quelle elettorali di questo paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Sasso ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/25.

ALBA SASSO. È grave la decisione di non aver voluto discutere in Assemblea questo provvedimento. È una soluzione tecnica adottata per non perdere tempo, ha argomentato un deputato della maggioranza. Allora, mi chiedo: è perdere tempo ragionare su un provvedimento che, come avete sostenuto, rappresenta un evento storico ed epocale per l'avvio del digitale terrestre?
La sfida dell'innovazione interessa molto anche noi: le tecnologie non sono strumenti neutri, ma possono rappresentare potenti strumenti di crescita dei singoli, soprattutto in presenza di sistemi agili ed interattivi, se viene garantito quel pluralismo che è diversità di opinioni, idee e punti di vista, che abitua ad esercitare un'autonomia di pensiero e capacità critica, che insegna, per dirla in altre parole, ad essere cittadini liberi.
Il vostro decreto-legge, certo, non garantisce il pluralismo, anzi aggrava la situazione di duopolio... Presidente, potrei chiedere un po' di silenzio?

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia! Onorevole Landolfi, onorevole Romani, onorevole Vito, onorevole Gasparri, onorevole Adornato! Colleghi, lasciate parlare l'onorevole Sasso. Vi prego di sedervi! Prego, onorevole Sasso.

ALBA SASSO. Il vostro decreto-legge, dicevo, non garantisce certo il pluralismo, non tiene conto delle osservazioni mosse dal Presidente Ciampi, anzi aggrava la situazione di duopolio e la trasferisce addirittura nel digitale.
In presenza di un monopolio dell'informazione, anche le tecnologie non sono più efficaci e diventano strumenti di omologazione acritica di pensieri, di opinioni e, persino, di stili di vita. Tutto ciò, nella società contemporanea, può consentire la crescita della democrazia che i filosofi della politica chiamano regime dell'apprendimento? Può esservi crescita della democrazia se i cittadini sono meno liberi e più subalterni?
In realtà, non avete posto un problema epocale, ma un piccolo problema, un problema del «particulare», come direbbe Guicciardini: salvare Retequattro, risolvere una questione patrimoniale del Presidente del Consiglio. Ciò, però, è un'ulteriore e gravissima manifestazione di quel conflitto di interessi che pesa su questo Governo e su questa maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. L'onorevole Capitelli ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/26.

PIERA CAPITELLI. Signor Presidente, colleghi, la decisione di non discutere il provvedimento in esame è molto grave e ci costringe ad intervenire nel merito, nella fase dell'illustrazione degli ordini del giorno presentati.
Intervengo in questa fase per illustrare un ordine del giorno che riprende il contenuto di alcuni emendamenti di assoluto buon senso, i quali, in un clima democratico e non arrogante, avrebbero dovuto e potuto essere approvati all'unanimità.
L'ordine del giorno in esame impegna il Governo a favorire, per quanto di sua competenza, l'ideazione e la realizzazione di una programmazione specifica, volta al pubblico dei minori, nel rispetto dei principi e delle finalità del codice di autoregolamentazione TV e minori, approvato il


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29 novembre 2002 e che viene ripreso, quasi integralmente, dall'articolo del provvedimento concernente la tematica TV e minori.
Ferma restando la valutazione molto negativa che esprimiamo sul provvedimento, non si può dire che, da parte nostra, non vi sia stato il riconoscimento della correttezza, almeno parziale, di alcune linee ispiratrici dell'articolo che regolamenta il rapporto bambini e televisione. Avrebbe potuto esservi una convergenza sul voto se non vi fosse stato l'atteggiamento di arroganza di cui ho parlato inizialmente.
Creare un sistema di vigilanza sui palinsesti televisivi, attraverso idonee segnalazioni e strumenti di selezione in alcune fasce orarie, significa riferirsi ad un sistema legislativo mite, tale da non configurare deprecabili forme di censura nei confronti delle quali siamo profondamente avversi e significa anche riconoscere che l'infanzia non è solo un'età della vita, ma un grande bene da tutelare e coltivare.
La maggioranza, nella discussione di questo articolo, ha fatto qualche concessione rispetto alla linea di rigorosa incomunicabilità assunta su tutto il provvedimento, ma non è riuscita ad andare fino in fondo, non ce la fa a non essere arrogante!
Perché non voler accettare emendamenti che non snaturavano il testo, ma ne miglioravano l'efficacia operativa? Perché, soprattutto - e qui sta la ragione per la quale, se ce ne fosse stata data la possibilità, avremmo espresso un voto contrario anche sull'articolo su TV e minori -, Governo e maggioranza non hanno voluto accogliere emendamenti sottoscritti da tutta l'opposizione - come quello a prima firma Rognoni - che sostanzialmente completavano un quadro di tutela, con la promozione di una televisione di qualità, attraverso agevolazioni e supporti economici ai diversi soggetti impegnati in questa azione?
Questo è il problema: quando si tratta di applicare la cultura del divieto, la destra non si fa scrupoli. Prendere la direzione della libertà e della promozione è troppo complicato, troppo costoso, forse troppo poco demagogico. Questa maggioranza continua a pensare che la demagogia paghi; non è più così, in quanto i cittadini hanno scoperto i molti inganni di questo Governo.
Farsi paladini di una ideologia politica della famiglia piuttosto che mettere al centro il bambino e i suoi bisogni è inaccettabile ed è un inganno, un'offesa ai bambini. Se ci fosse interesse per il bambino non lo si considererebbe come un «bamboccio» al quale si può propinare qualsiasi programma televisivo. Il bambino, se ne ha la possibilità, sceglie la qualità, perché sa giudicare; i bambini hanno senso estetico, hanno una capacità quasi naturale di capire e di scegliere quello che è bello e quello che lo è meno.
Perché allora non coltivare questo senso estetico favorendo la visione di buoni programmi prodotti da professionisti competenti e stimati? Ce ne sono e non aspetterebbero altro che essere interpellati e sollecitati. L'articolo su TV e minori non fornisce loro nessuna speranza!
Il nostro timore è che si continueranno ad acquistare programmi a basso costo all'estero, programmi che rappresentano realtà lontane dalla nostra cultura (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Duca ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/27.

EUGENIO DUCA. Signor Presidente, colleghi, poche ore fa il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato, tra l'altro, che il voto di fiducia sul decreto-legge in esame è stato previsto per snellire i lavori parlamentari. Forse non ci credono i colleghi della maggioranza e della minoranza, ma sicuramente ci crederanno i cittadini italiani, i lavoratori e le lavoratrici che sanno quanto il Governo intenda accelerare i lavori parlamentari sulla crisi dell'Alitalia, sui lavoratori di Terni, dell'Ancoopesca o di tante altre aziende in crisi.
Sì, c'è bisogno di snellire le procedure, in particolare di quelle volte all'incasso di


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soldi freschi per una delle reti del Presidente-imprenditore! Sapete, cari colleghi, grazie a questo decreto-legge il Presidente del Consiglio dei ministri si è fatto un bel regalo di Natale, ovviamente agevolato da alcuni colleghi ministri e, ora, con il coinvolgimento dell'intera maggioranza. Un bel regalo di Natale di 240 milioni di euro all'anno, 20 milioni di euro al mese, 4,3 milioni di euro a settimana, 623 mila euro al giorno, 26 mila euro all'ora, 499 euro al minuto, 8 euro al secondo.
Questa è l'esigenza e l'urgenza di porre la questione di fiducia? 26 mila euro ad ora, come la paga annua di un impiegato, 499 euro al minuto, per due minuti l'equivalente della paga di un operaio. E ciò non per gli operai di Terni o dell'Alitalia, ma per le tasche del Presidente del Consiglio dei ministri. E questo sì, che si giudica urgente; altro che effettivo pluralismo dell'informazione!
Colleghi, non ci troviamo di fronte ad un conflitto di interessi: c'è solo un interesse che viene imposto al Parlamento e alla sua maggioranza; mi riferisco all'interesse all'incasso immediato e personale di soldi che altrimenti non potrebbe avere, i quali dovrebbero spettare ad un'altra impresa che si chiama Europa 7. Che cosa è avvenuto a quest'impresa? Nel 1999 la società Europa 7 partecipa alla gara indetta dallo Stato italiano, nel rispetto del regolamento e del disciplinare redatto dal Governo e dalle sue istituzioni, per il rilascio delle concessioni nazionali delle frequenze; così facendo ottiene una delle sette concessioni nazionali. Mediaset partecipa alla stessa gara ed ottiene le concessioni per Canale 5 ed Italia 1, ma non per Retequattro. Quest'ultima, quindi, dal luglio del 1999 utilizza un bene pubblico - le frequenze - senza avere la concessione, che costituisce il titolo indispensabile per utilizzare quel bene pubblico.
Dopo quattro anni Europa 7 è ancora in attesa di ricevere quelle frequenze per poter iniziare le trasmissioni e, per evitare di vedere completamente depauperato anche l'avviamento del marchio, lo ha ceduto in comodato. Nel frattempo, Europa 7 per iniziare le trasmissioni si è dotata di una struttura di oltre ventimila metri quadrati, di otto grandi studi di registrazione per le proprie eventuali produzioni, di una library di oltre tremila ore di programmi e di tutto ciò che è necessario per esercire una rete televisiva nazionale con circa 700 dipendenti. Questa preparazione è stata necessaria perché la legge stabilisce che entro sei mesi dall'ottenimento della concessione la neo-emittente ha l'obbligo di iniziare le trasmissioni.
Attualmente, Centro Europa 7 è una società praticamente ferma e, quindi, non ha alcun introito perché non è stata messa in condizione di operare; e con questo decreto-legge, come già del resto con la legge Gasparri, si vuole impedire a chi ha vinto una gara di lavorare, per far continuare a far entrare soldi nelle casse del Presidente del Consiglio dei ministri che utilizza frequenze televisive che non potrebbe avere. E questo grazie alle vostre belle leggi e al vostro bel regalo di natale.

PRESIDENTE. Onorevole Duca, si avvii a concludere.

EUGENIO DUCA. Concludo, Presidente. Centro Europa 7 si trova in questa situazione a causa di gravi inadempienze e di omissioni da parte del Ministero delle comunicazioni che, invece di fare ottemperare la legge facendo lavorare chi ha vinto una gara, glielo impedisce ricorrendo anche al meccanismo dello strumento del decreto-legge. Vorrei capire perché c'è tanto odio verso questa impresa da parte del Governo e della maggioranza di centrodestra. Come mai quest'odio verso altre imprese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)?

PRESIDENTE. L'onorevole Mazzarello ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/28.

GRAZIANO MAZZARELLO. Signor Presidente, questo mio ordine del giorno impegna il Governo ad adottare tempestivamente - a cominciare dalla ripresa dell'esame del disegno di legge di riforma del sistema radiotelevisivo - le misure


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necessarie per riprendere la delicatissima e imprescindibile fase di riallocazione delle strutture e delle imprese nel nuovo sistema digitale.
So che voi non vi volete confrontare sui temi e sulle questioni che noi vi poniamo.
Avete bloccato nuovamente il Parlamento su una legge ad personam. Vi rifiutate di discutere in questa sede i temi che interessano i lavoratori, le famiglie e gli imprenditori italiani. Ascoltate ciò che dice un parlamentare dell'opposizione: fate un decreto per restituire il fiscal drag ai pensionati e ai lavoratori del nostro paese! Fate un decreto per affrontare i problemi economici e produttivi del paese! Fate un decreto - ditelo al ministro dell'economia - per affrontare finalmente il problema dell'aumento dei prezzi (su questo dovreste chiedere la fiducia, perché non avete ancora una posizione sull'aumento dei prezzi: cambiate opinione tutti i giorni)! Di tutto ciò non parlate e non volete discutere. State bloccando il Parlamento su provvedimenti quali quello in esame, e non volete neppure confrontarvi nel merito delle vostre proposte.
Comprendo che il confronto sia difficile, perché è difficile anche per voi giungere alla conclusione che hanno davanti gli italiani e che ha davanti il paese, ovvero che chiedete la fiducia e bloccate il Parlamento su un decreto-legge che riguarda le proprietà del Presidente del Consiglio. Ciò non accade in alcun paese del mondo, non accade in nessun luogo, si tratta di un fatto di una gravità inaudita. Quale «fatto tecnico», dunque, sarebbe alla base della questione di fiducia? Non c'è nessun «fatto tecnico»! C'è al contrario un fatto molto chiaro: quando si tratta di discutere e di affrontare tali temi, non potete permettervi alcun errore e avete l'ordine di non apportare alcun cambiamento.
A dire il vero, tuttavia, avete introdotto alcuni cambiamenti peggiorativi, nel corso dell'esame da parte del Senato. Ritengo sia opportuno che tutti gli italiani sappiano che durante tale esame avete ulteriormente peggiorato il provvedimento, nonostante si trattasse di un provvedimento che non rispondeva alla sentenza della Corte costituzionale, ed anzi era in contrasto con essa, e che non rispondeva al messaggio del Presidente della Repubblica.
Avete infatti introdotto alcune parole e frasi piuttosto singolari. Cito alcuni casi. È stata introdotta la possibilità di valutare il pluralismo «anche tenendo conto delle tendenze in atto nel mercato», non dunque valutando se si sia effettivamente determinata una situazione di pluralismo nell'informazione: sono questi i parametri che vengono dati all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Inoltre, sostituite la parola «raggiunta» con la parola «coperta». Ciò vuol dire che non è importante che una parte di cittadini italiani possa vedere determinate trasmissioni: è sufficiente che vi sia un ripetitore che trasmette. Siamo dunque arrivati al pluralismo virtuale! Avete altresì stabilito che una rete è definita «nazionale» se copre il 50 per cento dei cittadini.
Anche sulla base di tali previsioni, che riguardano questioni di buonsenso, i cittadini italiani possono capire la gravità del provvedimento in esame, su cui avete posto la questione di fiducia per non discutere, e per rifiutare ogni possibile miglioramento e cambiamento.
Quanto alle sanzioni, non se ne prevede alcuna. Se non verranno rispettati i parametri previsti, che peraltro sono praticamente inesistenti, non sarà comunque adottata alcuna sanzione (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Vigni ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/29.

FABRIZIO VIGNI. L'ordine del giorno che illustro riguarda il modo di razionalizzare la collocazione degli impianti di telecomunicazioni salvaguardando la salute ed il paesaggio. Prima ancora, però, anch'io vorrei sottolineare come sia avvilente e mortificante - non tanto per il parlamentare, costretto in questa situazione, quanto per il Parlamento nel suo insieme, umiliato dal voto di fiducia richiesto dal Governo - potersi esprimere solo


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attraverso gli ordini del giorno, perché la Camera è stata espropriata, è stata scippata della possibilità di discutere e modificare il decreto-legge.
Conosco l'obiezione, l'abbiamo ascoltata in queste ore: anche i Governi dell'Ulivo - si dice - erano ricorsi al voto di fiducia. Tuttavia, ci sono due differenze colossali. La prima è che in questo caso il Governo pone il voto di fiducia non per superare l'ostruzionismo dell'opposizione, non per sconfiggerla, ma per coprire le divisioni all'interno alla maggioranza, quelle stesse divisioni che, in materia radiotelevisiva, già si sono manifestate clamorosamente pochi giorni fa quando si è votato, in questa Assemblea, un altro provvedimento in materia di sistema radiotelevisivo.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI (ore 20,40)

FABRIZIO VIGNI. La seconda rilevantissima questione è che, in questo caso, il voto di fiducia è posto su un provvedimento che riguarda interessi concreti e personali dello stesso Presidente del Consiglio dei ministri. Ciò avviene dopo che la Corte costituzionale, nel 2002, ha emesso una sentenza che, per favorire finalmente il pluralismo dell'informazione, prevedeva la data del 31 dicembre 2003 come termine ultimo per adeguare il sistema. Il decreto-legge sul quale stiamo discutendo è in violazione di quella sentenza della Corte costituzionale e, come se non bastasse, oggi, su tale provvedimento il Governo ha posto il voto di fiducia.
Quanto sta avvenendo in queste ore, dunque, è di una gravità inaudita, è qualcosa di impossibile, è inconcepibile in qualunque altro Stato di diritto, in qualunque altra democrazia occidentale. Ciò che sta avvenendo ci dice a che punto sia arrivata la degenerazione della democrazia italiana sotto il peso di un gigantesco e irrisolto conflitto di interessi. Segnalo che, questa settimana, su Panorama, lo stesso Giuliano Ferrara ammette che il Governo non ha ancora sgombrato il campo dal problema del conflitto di interessi.
Ciò che sta accadendo in queste ore - dicevo - ci dimostra a che punto sia arrivata la degenerazione della nostra democrazia, sotto il peso di questo conflitto di interessi e sotto gli impulsi autoritari di una maggioranza di destra che sta erodendo, pezzo dopo pezzo, alcune fondamenta dello Stato di diritto, a cominciare dalla libertà e dal pluralismo dell'informazione.
Il collega Rognoni, in particolare, ha ricordato come la destra non sia stata neppure sfiorata dall'idea che la blindatura di questo provvedimento, entrato nelle cronache giornalistiche come il decreto-legge salva Retequattro, il decreto-legge redatto da Berlusconi a favore della famiglia Berlusconi, possa essere letto, non soltanto in Italia, come una miserevole caduta di stile. Ci si chiede come sia possibile che il conflitto di interessi non sia, per questa maggioranza e per questo Governo, non diciamo una ragione di vergogna, ma neppure di prudenza e neppure una occasione per mostrare un minimo di sensibilità istituzionale. Forse, chiedersi questo è chiedersi troppo, visto che, non a caso, sono trascorsi, non cento - come era stato promesso - ma mille giorni da quando il Presidente del Consiglio dei ministri, in persona, ha promesso di far approvare una legge sul conflitto di interessi.
Questa è la natura del provvedimento che stiamo discutendo; questa è la ragione che ci aveva spinto a presentare emendamenti, quanto meno per modificarla; questa è la ragione per cui, di fronte ad un atteggiamento arrogante e inaccettabile da parte del Governo, che su questo provvedimento ha chiesto il voto di fiducia, ciascuno di noi è posto nella condizione avvilente di poter parlare soltanto su ordini del giorno ed il Parlamento stesso è posto nella condizione mortificante di non poter liberamente e democraticamente discutere il provvedimento.


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PRESIDENTE. L'onorevole Alberta De Simone ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/58.

ALBERTA DE SIMONE. Signor Presidente, vorrei dire alcune cose semplici che credo rendano meglio delle espressioni più gergali la gravità, l'enorme gravità, della pagina che stiamo vivendo stasera in quest'aula parlamentare.
La lettera con la quale il Presidente della Repubblica, a norma dell'articolo 74, primo comma della Costituzione, ha rinviato alle Camere la legge approvata in data 16 dicembre ultimo scorso, inizia non a caso, con due parole che sono: «Signori parlamentari». È ai parlamentari, singolarmente e tutti insieme, che il Presidente della Repubblica rivolge le sue osservazioni che riguardano una totale mancanza di sintonia tra i dettami di più sentenze della Corte costituzionale e il contenuto della legge approvata dalle Camere. Invece, noi ci troviamo dinanzi al fatto che il Governo, espropriando il destinatario di questa lettera, ossia i «Signori parlamentari», adotta un decreto-legge e poi, forzando ancora di più, costringe il Parlamento a votare su una domanda - avete fiducia nel Governo? - dentro la quale è implicita la minaccia di elezioni anticipate. Quindi, mette sotto ricatto la sua maggioranza con una domanda impropria che non consente al Parlamento di pronunciarsi nel merito delle osservazioni puntualmente elencate dal Presidente della Repubblica.
A questa prima considerazione vorrei aggiungere poche opinioni. Io credo che se i grandi pensatori che per primi applicarono la loro intelligenza su come configurare un diritto moderno che abbia un limite dentro di sé e di cui proprio il limite lo rendeva democratico, se quei pensatori, quelli dell'illuminismo, quelli dell'indomani delle grandi rivoluzioni, si fossero trovati nella società mediologica, io credo che avrebbero posto tra i grandi pilastri della democrazia la questione dell'autonomia e dell'obiettività dell'informazione come condizione necessaria, perché in un paese democratico il potere è legittimato dal consenso. L'unica cosa che legittima il potere è il consenso e se questo consenso è truccato, come può accadere quando i mezzi di informazione sono di parte o c'è un concentrazione di mezzi di informazione, come un monopolio, o peggio ancora, come nel caso italiano, se c'è addirittura un interesse materiale oltre che un interesse di tipo politico, allora noi siamo in quella situazione così ben descritta da Vance Packard quando scrisse il suo libro «Come far mangiare le prugne».
Ecco perché io credo che la questione sia alla radice stessa di cosa vuol dire libertà, libera opinione, libero consenso, legittimazione del potere e, quindi, democrazia oggi, mentre stiamo favorendo un evolversi della società che va sempre di più ...

PRESIDENTE. Onorevole Alberta De Simone, la prego di concludere.

ALBERTA DE SIMONE. Sto concludendo, signor Presidente.
Stiamo favorendo un evolversi della società - dicevo - che va sempre di più a sancire una vittoria di ciò che sembra su ciò che è, di ciò che dice il mezzo virtuale rispetto a ciò che accade nella realtà vera.
Se non avremo il coraggio di interrompere questo tipo di involuzione, di scivolamento, noi avremo contaminato la possibilità stessa di essere democratici.
Alcuni mesi fa abbiamo avuto occasione di affrontare questi temi su invito del Parlamento europeo ed è venuta da più parti la sottolineatura dell'anomalia italiana, che è questa, ma è anche quella ugualmente intollerabile degli interessi materiali del premier. Io, Presidente, davvero non capisco perché un geometra che diventa assessore di un comune versa subito in una situazione di incompatibilità e non può più firmare progetti, anche di semplice ristrutturazione, in quel comune, mentre un Presidente del Consiglio che è proprietario dei mezzi che gli garantiscono il consenso truccato può continuare a fare il suo interesse e a detenere quei mezzi (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).


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PRESIDENTE. L'onorevole Rognoni ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/30.

CARLO ROGNONI. Signor Presidente, signor sottosegretario, signor ministro, onorevoli colleghi, è inutile che ce lo nascondiamo: ci sono ordini del giorno chiaramente ostruzionistici; perché non ammetterlo? D'altra parte, se uomini e donne, tutti adulti e vaccinati, chi più chi meno maturo, chi non più giovanissimo e di primo pelo, anzi, di una certa età, come il sottoscritto, si sottopongono a questo tour de force è perché evidentemente sentono che c'è una ragione forte. Essi sentono il bisogno, in primo luogo, di farvi capire che questa volta avete esagerato, che nel rosario delle «leggi canaglia» questa, insieme alla Gasparri, le batte tutte.
In secondo luogo, essi sentono il bisogno di far capire agli italiani che ci ascoltano e a quelli che domani leggeranno le cronache di questa giornata che l'opposizione c'è e non intende concedervi strade in discesa, non intende facilitare questo mostruoso vostro obiettivo di fare gli interessi di una azienda sola rispetto all'interesse generale.
Ma oltre a questi ordini del giorno - d'altra parte sono 190, se non ve ne fossero di ostruzionistici saremmo dei mostri - ve ne sono alcuni invece che meritano di essere valutati con attenzione, perché entrano nel merito e toccano problemi seri e, se questo Governo si degnasse di accettarli, credo farebbe il suo interesse. Mi riferisco all'ordine del giorno che porta la mia firma e che impegna il Governo a fare una cosa abbastanza semplice, anche se va spiegata.
L'obiettivo è quello di impegnarvi ad effettuare, avvalendosi delle strutture ministeriali, le verifiche e le ispezioni per accertare che i segnali televisivi irradiati in tecnica digitale siano classificabili di «qualità buona», secondo la codificazione vigente, e a darne immediata e periodica informazione. Ho visto che la definizione «qualità buona» ha fatto sorridere, quando ne ho parlato in Commissione, pensando si trattasse di un'invenzione; in realtà, è un termine tecnico. Allora vorrei ricordarvi che la legge n. 249 del 1997 all'articolo 3, comma 5, recita: le concessioni relative alle emittenti radiotelevisive in ambito nazionale devono consentire l'irradiazione dei programmi secondo i criteri tecnici stabiliti dall'articolo 2, comma 6, e comunque l'irradiazione del segnale in un'area geografica che comprenda almeno l'80 per cento del territorio (ma questo abbiamo già visto che non vi tocca più di tanto, perché avete cambiato l'80 per cento del territorio in 50 per cento della popolazione).
Ma i criteri tecnici stabiliti nell'articolo 2, comma 6, dicono semplicemente che devono essere segnali ricevibili «senza disturbi». Attenzione: quel «senza disturbi» impone la valutazione dell'interferenza e rende il vincolo effettivo. Quindi, Autorità e ministero interpretano quel «senza disturbi» come qualità 4, che è una buona qualità: è il numero di un livello che, se ne parlaste con l'Autorità, il presidente Cheli vi potrebbe spiegare cosa significa. Significa che i segnali irradiati sono effettivamente visibili, servono bene gli utenti e non sono «sporcati» da interferenze. Dunque, in tal modo si realizza non soltanto una copertura «virtuale» (come di fatto si evince leggendo il vostro decreto-legge), ma un'operazione seria.
Al riguardo, ricordo che questa mattina ho illustrato una proposta emendativa, recante anche la mia firma, che affrontava la necessità di cambiare quella che, nel testo originario del decreto-legge, era la parola «raggiunta» (per dire che le trasmissioni digitali devono raggiungere la popolazione). Voi, nel corso dell'esame svolto presso il Senato, avete cambiato tale parola, trasformandola in «coperta »...

PRESIDENTE. Onorevole Rognoni, si avvii a concludere.

CARLO ROGNONI. Intendevo suggerire, allora, una modifica semplice, introducendo l'espressione «servita con buona qualità». Ciò per far sì che almeno quel 50 per cento sia in grado di godere del


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digitale terrestre; ma temo, in base all'atteggiamento e alle posizioni che avete assunto, ed anche al grande pasticcio esistente nelle frequenze, che ciò non avverrà: questo sempre alla faccia del pluralismo (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. L'onorevole Rossiello ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/31.

GIUSEPPE ROSSIELLO. Signor Presidente, attraverso lei mi rivolgo alla maggioranza, e vorrei porre una domanda: ma ne vale la pena? Sulla cosiddetta legge Gasparri e su questo disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 352 del 2003, infatti, ci avete offerto uno spettacolo paragonabile alla scenografia di un film dal sapore western: in buona sostanza, una rissa da saloon.
Avete dato uno schiaffo alla Corte costituzionale, che pure aveva posto scadenze precise ed aveva imposto il tema del pluralismo. Avete dato uno schiaffo al Capo dello Stato, che era intervenuto su alcuni aspetti, raccomandandosi in ordine ad un potere vero quale quello della comunicazione mediatica. State dando uno schiaffo al Parlamento, perché avete evitato il confronto di merito. Infine, avete dato uno schiaffo alla cosiddetta legge Gasparri, per cui non so se il ministro sia il crocifero di un provvedimento che ormai è morto, oppure sia iscritto all'ordine dei flagellanti, nel senso che si schiaffeggia da solo!
Avete dato uno schiaffo al paese, che soffre di ben altri problemi e che certamente non sta pensando se dovrà acquistare i decoder e a quale cifra. Si tratta di un paese che soffre di problemi gravi, con le famiglie monoreddito impossibilitate a raggiungere la fine del mese. Avete dato uno schiaffo all'immagine internazionale dell'Italia, perché ci troviamo di fronte non ad un conflitto di interessi, ma alla tutela di un interesse, e di un interesse vero!
Allora, vorrei porvi una domanda: dov'è la politica, nel momento in cui avete interrotto ogni dialogo tra i poteri? Dov'è la politica, quando ruggite con il voto segreto e belate la vostra obbedienza al capo con il «sì» della fiducia?
Vedete, il Presidente del Consiglio non è più credibile in questo paese, e sembra oramai un alieno. La gente credeva a chi diceva «alzati e cammina» o «apri gli occhi e vedrai», perché camminavano e vedevano! Questo Capo del Governo ha detto, in buona sostanza, che saremo più ricchi, ma la ricchezza non l'ha vista nessuno!

DONATO BRUNO. Vi siete fregati i soldi!

GIUSEPPE ROSSIELLO. Sarete più sicuri, ma la sicurezza non la vede nessuno: qui è il punto!
Voi siete di fronte al vostro Presidente del Consiglio in un atteggiamento di obbedienza cieca. Tuttavia, il Presidente del Consiglio non è cieco: fa aggio sulla vostra obbedienza!
Il suo problema, in questo momento, è uno solo: fare cassa!
Io non so se, con questo decreto-legge, egli porti a casa 163 milioni di euro o 240. Non lo so, ma, comunque sia, si tratta di cifre enormi. Il vostro Presidente del Consiglio, per fare cassa, dice: oggi, incassiamo; domani, si vedrà! E si vedranno macerie! Vedo fortemente schiacciati gli elementari diritti di libertà di espressione, qui dentro e fuori di qui, soltanto in nome di un privilegio. In nome del privilegio, voi state assestando un altro colpo serio alla stagione dei diritti!
Se non volete che uno storico, interrogandosi fra qualche anno su questa fase della politica italiana, si affanni nel ricostruire chi, fra voi, oggi, è stato vassallo o valvassore o valvassino e magari finisca per concludere che il vostro atteggiamento è da servaggio della gleba, vi invito, per favore, ad alzare la schiena!
Con la democrazia in ginocchio di fronte a questo decreto-legge, che ha il sapore di una legge canaglia, lanciare l'allarme, sia pure su un ordine del giorno, credo sia doveroso da parte dell'opposizione


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(Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e di Rifondazione comunista)!

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Rossiello.
L'onorevole Soda ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/32.

ANTONIO SODA. Signor Presidente, signor ministro telefonante ...
Prosegua pure i suoi racconti, signor ministro, tanto ... Vada anche fuori a telefonare, signor ministro! Considerato che il Capo dello Stato ci ha chiamati ...

LUCIANO VIOLANTE. Aspetta, Soda, non disturbare il ministro! ...

ANTONIO SODA. Ah, sì, chiedo scusa, signor Presidente, non vorrei disturbare il ministro.

PRESIDENTE. Signor ministro, viene richiesta la sua attenzione da parte dell'opposizione. Grazie.

MAURIZIO GASPARRI, Ministro delle comunicazioni. La mia presenza ...

ANTONIO SODA. Mi rivolgo al ministro, signor Presidente, e credo che un membro del Parlamento abbia diritto all'attenzione del Governo.

PRESIDENTE. Non c'è dubbio! Non c'è dubbio, onorevole Soda!

ANTONIO SODA. Se il Governo ha questioni urgenti da risolvere telefonicamente, lo faccia pure, perché io posso aspettare anche fino a domani mattina!

PRESIDENTE. Signor ministro, vorrei pregarla di prestare ascolto - e la ringrazio - perché stiamo discutendo un decreto-legge che la interessa.

MAURIZIO GASPARRI, Ministro delle comunicazioni. C'è il viceministro Possa.

LUCIANO VIOLANTE. Ma non è competente!

MAURIZIO GASPARRI, Ministro delle comunicazioni. Prima la telefonata, poi Soda...

ANTONIO SODA. La ringrazio per la sensibilità verso il Parlamento: considerato che l'ho definita come autore del SIC in qualità di semplice strumento di altri, non credo che lei, signor ministro, possa averla verso di me in particolare.
Signor Presidente, il titolo di questo decreto-legge non ha mai fatto pensare alla possibilità ed alla capacità delle parole di tradire il loro senso. Non mi è mai capitato di leggere un provvedimento il cui titolo tradisca il conflitto con la logica, l'imbroglio, l'inganno ed il dileggio verso l'etica e di esprimere con quale sottile capacità si possa consumare, con le parole, un tale inganno.
Voi annunciate che lo scopo del decreto-legge è la definitiva cessazione del regime transitorio, quello di fatto, quello dell'attuale assetto radiotelevisivo illegale che si trascina da decenni e che vede l'esistenza di un duopolio che distrugge il pluralismo dell'informazione, fondamento, come ha detto il Presidente della Repubblica, della democrazia. Poi, nel contenuto del provvedimento, consolidate questa situazione di fatto e rafforzate lo stato di duopolio.
Dunque, abbiamo un primo ministro, un ministro presente in aula ed una maggioranza (ora assente perché ha già pagato il suo obolo al sovrano) che ammettono l'esistenza di una situazione di duopolio, fonte di annichilimento del pluralismo dell'informazione. Tuttavia pensate, con un artificio linguistico, di affidarvi esclusivamente alla tecnica come fonte di ampliamento delle possibilità di accesso a questo strumento di comunicazione di massa e, quindi, come punto di approdo al pluralismo che non c'è.
È certo: la tecnica, vale a dire lo strumento per arrivare alla conoscenza, è stata sempre la via attraverso la quale l'umanità si è evoluta, ha progredito, riuscendo


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a raggiungere livelli alti di civiltà. Ma voi arrivate a manipolare anche la tecnica. Poco fa, l'onorevole Rognoni ha sottolineato tutti gli aspetti specifici di questo provvedimento, nel quale fate un uso distorto della tecnica per poter dire fittiziamente che, attraverso la stessa, si raggiungerà il pluralismo dell'informazione, mentre, di fatto, consolidate la situazione di duopolio.
L'ordine del giorno che reca la mia firma e quella del collega, onorevole Ranieri, rileva la necessità dell'effettiva ricezione dei segnali in tecnica digitale. Anche qui vi è un nodo: se la qualità del segnale è tale da garantire la ricezione, abbiamo, effettivamente, un uso della tecnica che consentirà lo sviluppo del pluralismo. Se, al contrario, nessuna attenzione sarà dedicata a questo aspetto specifico della tecnica, avrete sulla carta definito strumenti per ampliare il pluralismo, ma, in realtà, ancora una volta, avrete consumato un tradimento ai danni di quei valori di fondo di una società democratica.
Dal testo, si comprende che a voi non interessa l'effettiva ricezione e la qualità dei segnali...

PRESIDENTE. Onorevole Soda, la invito a concludere. Le ho concesso un minuto di recupero.

ANTONIO SODA. Un minuto, Presidente? Il ministro è stato al telefono per quattro minuti! Capisco che la telefonata di un ministro, certamente, è molto più importante delle povere parole che posso pronunciare, tuttavia...

PRESIDENTE. Onorevole Soda, la prego di concludere.

ANTONIO SODA. Concludo, Presidente. Mi dispiace di non aver potuto sviluppare adeguatamente il tema del rapporto tra tecnica e legislazione. Forse il ministro, su questo punto, potrà essere più chiaro nel dire se, in questo testo di legge, vi sia effettivamente un'attenzione particolare alla qualità dei segnali cui questa maggioranza affida il compito di realizzare il pluralismo nel nostro paese.
Badate, non si ricorre ad una pluralità... (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Soda. Le ho concesso due minuti e mezzo in più.
L'onorevole Rotundo ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Spini n. 9/4645/33, di cui è cofirmatario.

ANTONIO ROTUNDO. Signor Presidente, dopo di me altre decine di deputati interverranno in questa battaglia per la libertà, il pluralismo e la democrazia.
Presidente, il rinvio alle Camere della cosiddetta legge Gasparri ha tolto un pilastro alla costruzione del nuovo sistema televisivo, obbligando il Governo ad adottare un provvedimento che aggira la sentenza della Corte costituzionale.
È chiaro infatti che il decreto-legge in discussione è una risposta a quella sentenza, la quale stabiliva che al 31 dicembre 2003 Retequattro sarebbe dovuta andare sul satellite. Questa era ed è la decisione della Corte costituzionale. La legge inventava un sistema di riferimento diverso che dava risposte anche a questo problema. Ora che la legge non c'è più occorre un decreto-legge. Secondo questa maggioranza il decreto-legge risponde alle osservazioni del Presidente della Repubblica contenute nel messaggio di rinvio alle Camere. A nostro avviso non è così e le modifiche apportate a questo decreto al Senato hanno reso, se fosse possibile, la situazione ancora più confusa ed inaccettabile.
Qual era l'osservazione fondamentale che il Presidente Ciampi ha formulato sulla legge? Sostanzialmente il Presidente della Repubblica ha ricordato che la riforma non produce un effettivo incremento del pluralismo. Questo era il punto di partenza di tutte le considerazioni che successivamente lo stesso Presidente ha sviluppato in una serie di punti. Questo è il parametro rispetto al quale noi dobbiamo giudicare tutti gli interventi operati nel settore radiotelevisivo, compreso quello posto in essere con questo decreto.


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Noi abbiamo la sensazione, invece, che questa maggioranza faccia finta di non aver capito o di non considerare il pluralismo come un valore fondante, oppure faccia finta di non ascoltare il Presidente della Repubblica. Ci sembra che si aggiri il problema con alcune definizioni che sostanzialmente sfiorano l'assurdo ed il ridicolo, quale quella di definizione di rete a copertura nazionale sulla quale tornerò tra breve.
Si disegna inoltre un dispositivo di legge indirizzato esclusivamente all'obiettivo di salvare Retequattro. Questa è l'operazione della quale stiamo discutendo: un intervento normativo compiuto con decreto-legge per difendere un'azienda del Presidente del Consiglio dei ministri. Non solo, avete respinto emendamenti a sostegno e a favore delle tv locali (penso alla mia regione), di televisori serie ed importanti quali Telenorba e Telerama. Si torna a respirare in quest'aula l'aria della legge Cirami, della legge sul reato di falso in bilancio, quella sul rientro dei capitali dall'estero e dei condoni, l'aria di quel malgoverno a cui questa maggioranza purtroppo ha abituato gli italiani.
Veniamo al merito. Per cambiare le carte in tavola, il decreto-legge decide di cambiare la definizione di rete a copertura nazionale. Oggi la legge vigente definisce una rete nazionale quella che copre l'80 per cento del territorio, ossia il 90 per cento della popolazione. Cosa prevede questo decreto? Dal momento che la definizione di nazionale sembrava impossibile da realizzare in un lasso di tempo così breve, muta il concetto di nazionale, prevedendo che una rete venga definita tale se copre il 50 per cento della popolazione, ovvero il 20 per cento del territorio del paese.
Vengo alla seconda questione.

PRESIDENTE. Onorevole, deve concludere, è esaurito il tempo a sua disposizione.

ANTONIO ROTUNDO. Si dice che è sufficiente che il segnale digitale copra il 20 per cento del territorio nazionale e non che il segnale sia utilizzato dalla popolazione che vive in quel 20 per cento del territorio nazionale. L'arricchimento del pluralismo... (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. La ringrazio onorevole Rotundo.
L'onorevole Michele Ventura ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/34.

MICHELE VENTURA. Signor Presidente, credo che non sfuggirà ai superstiti colleghi della maggioranza la serietà ed il rigore delle nostre argomentazioni. Probabilmente, questo è anche uno dei motivi per i quali si è pensato di sfuggire ad un serio dibattito parlamentare. Noi abbiamo la presunzione di aver compreso il motivo per cui è stata posta la questione di fiducia. Al riguardo, lasciatemi introdurre una nota riferita ad una affermazione resa dall'onorevole Bondi in una trasmissione televisiva, secondo cui si è voluta porre la questione di fiducia per non recare più dolore alla famiglia dell'onorevole Berlusconi. Poiché si temevano nuovi sgambetti, con la posizione della questione di fiducia si è cercato di mettere la parola fine ad ogni confronto e dialettica parlamentare. Leggendo questa affermazione dell'onorevole Bondi, ho dovuto tornarci sopra più volte. Infatti, è francamente inconcepibile che venga affermato con tale chiarezza che il Parlamento della Repubblica si trova impegnato da mesi per risolvere esclusivamente i problemi materiali dell'onorevole Berlusconi e della propria famiglia.
Signor Presidente, per questo motivo, nei prossimi giorni, torneremo ad insistere sulla questione del conflitto di interessi, per porre fine ad una anomalia che fa dell'Italia un paese sicuramente non normale, come hanno affermato molti colleghi intervenuti prima di me. Infatti, credo che in nessun altro paese sia concepibile ciò che sta avvenendo, ancora in queste ore, alla Camera dei deputati.
È un decreto-legge che non risponde alle esigenze del pluralismo tante volte


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richiamate e - lasciatemelo dire - siamo di fronte ad un modo di fare che si rivolge ad una parte della società italiana, probabilmente quella che si ritiene più volgare e meno interessata a riflettere sulle questioni e sugli aspetti di fondo che la riguardano.
Ho presentato, insieme ad un altro collega, un emendamento che affronta una questione particolare: quella del digitale e della qualità, sulla base della codificazione vigente, per ciò che riguarda tutto il territorio nazionale. Questo emendamento concerne le popolazioni di una regione, la Valle d'Aosta. Il fatto che un deputato che non proviene dalla Valle d'Aosta si preoccupi di tale regione potrebbe far dire al collega Bondi che continuiamo ad essere degli internazionalisti impenitenti, considerato che ci preoccupiamo anche di realtà che non sono propriamente del nostro collegio di provenienza. Tuttavia, signor Presidente, al di là delle battute, credo che ci troviamo di fronte ad una situazione che meriterà, in altri momenti, ulteriori riflessioni, e questo nostro impegno sta a dimostrare che riteniamo effettivamente eccezionale la situazione che si è determinata.
Penso che non si possa rispondere, con riferimento alla questione di fiducia, come ha fatto il presidente del gruppo di Forza Italia, ossia quantitativamente, affermando che il Governo di centrodestra ha posto 11 questioni di fiducia contro le ben più numerose del Governo di centrosinistra.
Vorrei ricordarvi che gli ultimi voti di fiducia hanno riguardato un decreto-legge che svuotava la legge finanziaria, la stessa legge finanziaria ed un decreto-legge come questo, che fa riferimento alla cosiddetta legge Gasparri e che, per delicatezza, avrebbe dovuto suggerire ben altra sensibilità (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Sabattini ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Visco n. 9/4645/35, di cui è cofimatario.

SERGIO SABATTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è quasi imbarazzante dover intervenire in questo modo sul decreto-legge in questione e sulla scelta operata. Devo dire, signor Presidente, che ho apprezzato molto le sue parole pubblicate sui giornali stamattina. Lo dico non strumentalmente...

PRESIDENTE. Onorevole Sabattini, in quel caso io sono una persona diversa: mi sdoppio. Qui sono un'altra cosa!

SERGIO SABATTINI. Lei è una persona fisica che pensa, come pensano tutti, che sia pericoloso sottoporre la Camera a stress di questo tipo perché ciò comporta più cose. La prima è una violazione di quelle che sono le prerogative del Parlamento: fare discutere quest'ultimo su un progetto di tale rilevanza sarebbe importante!
La seconda è rappresentata dal fatto che ci si espone a prassi che potrebbero poi essere utilizzate in futuro; la terza è che l'oggetto è così palesemente di interesse di chi governa questo paese, quanto meno di interesse «per memoria», se non di interesse materiale, e così cogente che bisognerebbe evitare alle Camere l'imbarazzo di questa scelta.
Devo dire - e non per caso l'ho citata, perché io considero che sia criticabile in questo caso la Presidenza della Camera - che in questo caso avrebbe dovuto assumersi una responsabilità diversa e non sottoporre al voto della maggioranza, perché di questo si tratta, la scelta operata. Lo so che il regolamento stabilisce determinate regole: so però che ci sono delle responsabilità che si possono assumere, quanto meno per indirizzare verso il buonsenso il rapporto tra il Governo ed il Parlamento.
Dicevo che è imbarazzante e si prova disagio per il fatto che altri colleghi, per esempio il capogruppo di Forza Italia, sui giornali di questa mattina hanno dichiarato che vi sono delle ragioni tecniche mentre qui in aula dichiarano che vi sono ragioni politiche, cioè l'ostruzionismo dell'opposizione. Come voi sapete, questa è una bugia perché sul punto non si è potuto misurare l'ostruzionismo, in quanto noi


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non stiamo facendo ostruzionismo. Stiamo «bloccando» i lavori dopo ciò che di grave ha compiuto la maggioranza: la scelta cioè di sottoporre alla votazione di fiducia un decreto-legge così importante e con gli interessi in ballo così cogenti.
Devo allora dire che, almeno per rispetto del luogo in cui tutti siamo seduti, un capogruppo del partito di maggioranza relativa doveva avere la «faccia» di riconoscere un problema della maggioranza e per questa ragione, ancorché per ragioni tecniche, è stata posta la questione di fiducia.
Signor Presidente, questo è il punto: voglio dire che su questa strada, per semplificare i lavori, potremmo anche non riunirci in Parlamento. Potremmo liberamente e tranquillamente dare tutto in mano a quel sant'uomo del Presidente del Consiglio dei ministri. È un'esperienza che, se non si trattasse di un volgarissimo «sciur Brambilla», potremmo anche fare, ma, visto che si tratta di un «rifatto» socialmente, non appartenente a nessuna aristocrazia intellettuale, imprenditoriale e della cultura di questo paese, io non me la sentirei di delegargli questa scelta. Di questo, infatti, si tratta: solo un «rifatto» culturalmente, socialmente e politicamente può pensare di sottoporre al voto di fiducia tale scelta.
Devo dire, come parlamentare della provincia di Bologna, di essere alquanto imbarazzato nel sostenere un ordine del giorno che riguarda la Lombardia (che forse più propriamente avrebbe dovuto sostenere la Lega Nord Federazione Padana o qualcuno di quel movimento) e che verte sulla qualità del segnale televisivo irradiato in tecnica digitale. Cosa significa questo (e mi avvio alla conclusione)? Significa che vi è la subornazione, rispetto a questo procedimento interessato e diretto del Presidente del Consiglio dei ministri, degli alleati, dal momento che il Capo di Governo non si fida degli alleati. Questa serata e la giornata di domani segnano un alto momento di pericolo per la vita democratica del nostro paese.
Ritengo che segnalarlo, come faranno anche i miei colleghi successivamente, non sia di scarso rilievo. Poi, naturalmente, il Presidente del Consiglio non ne terrà conto, ma mi auguro che cose di questo genere lo porteranno a «sbattere» come merita (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. L'onorevole Zani ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/36.

MAURO ZANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei fare una premessa prima di illustrare adeguatamente il mio ordine del giorno. Vorrei cogliere l'occasione per dissentire parzialmente da quanti, anche tra i miei colleghi, come abbiamo sentito, imputano all'attuale maggioranza di non avere concluso granché in tre anni di legislatura. Qualcuno, anzi, si spinge ad affermare che voi della maggioranza, finora, non avete combinato un bel nulla. Ritengo che questa sia una visione ingenerosa. In verità, oltre alla molto apprezzata introduzione della patente a punti, i colleghi della maggioranza hanno profuso un impegno costante, diuturno e, idealmente, anche notturno, ai fini di assicurare all'onorevole Presidente del Consiglio, nonché ai suoi cari, una serena vecchiaia.
In effetti, dopo la lunga serie di provvedimenti in favore del Presidente del Consiglio e della sua più ristretta cerchia di sodali, oggi, con la fiducia sul decreto-legge in esame, voi della maggioranza recate un'ulteriore provvista di serenità al Presidente Berlusconi, allontanando la grave minaccia satellitare che pesa come un'arma totale sul capo del suo più spasmodico ammiratore. Quindi, non definirei quello in esame - come ha fatto l'onorevole Rognoni - un provvedimento canaglia. Tutt'altro: si tratta di un atto di generosità, di un tributo all'amicizia. Qui, signori, non sono in gioco il vil danaro ed il portafoglio. Qui sono in gioco i sentimenti!
La vostra provvida e buona azione non risolve del tutto il problema, poiché ancora oggi in Italia appare maledettamente


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complicato - ve ne siete accorti! - aggirare del tutto ed in un colpo solo istituzioni benemerite come la Corte costituzionale e la Presidenza della Repubblica. Capisco che sia un problema. Così, dopo avere inventato un gioco delle tre carte che si chiama SIC, avete pensato di spacciare all'opinione pubblica anche un pluralismo differito, una forma nuova di pluralismo, in nome della tecnologia digitale.
Il decreto-legge in esame senza la posizione della questione di fiducia, come sapete, avrebbe incontrato seri ostacoli già nella maggioranza dato che, fortunatamente, non tutti tra di voi vogliono vivere per sempre sotto padrone.
Tutto ciò premesso, nella verifica sullo stato attuale della diffusione del digitale resta aperto un serio, rilevante, grave ed urgente problema che mi permetto di sollevare con il mio ordine del giorno, come certamente avrete notato e vi ringrazio dell'attenzione. Tale problema riguarda la chiarezza e la qualità del segnale. Infatti, il decoder non basta; occorre anche chiarezza, pulizia, nitore del segnale.
Nel mio ordine del giorno, come in quello di altri colleghi, si svolgono considerazioni specifiche.
A questo punto, e concludo, voi della maggioranza, anzi voi residue sparse membra della maggioranza - con tutto il rispetto - potreste chiedermi: scusa, collega Zani, ma perché nel tuo ordine del giorno c'è un particolare riferimento alle aree della regione Trentino-Alto Adige? Voi potreste chiedermi questo e la mia risposta sarebbe: ma perché no (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)?

PRESIDENTE. L'onorevole Zanotti ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/37.

KATIA ZANOTTI. Questo decreto-legge dovrebbe definire normativamente i parametri che autorizzano a sostenere l'esistenza di un sistema pluralistico. È chiaro a tutti, in quest'aula, ma anche fuori di essa, che si tratta di temi cruciali e ci interessa, all'interno di quest'aula, ma anche fuori di essa, capire come si sta affrontando il tema del pluralismo, che è un tema serio, troppo serio, per essere così mortificato. Voi, infatti, lo avete ridotto a questione di puri interessi familiari - sono d'accordo con l'onorevole Zani, certo, perché basati sull'affetto -, ma anche aziendali, del Presidente del Consiglio. Ancora una volta, appunto, assistiamo ad una mortificazione delle istituzioni, senza che nessuno, eccetto pochi (alcuni), della maggioranza manifesti uno scatto di orgoglio e di autonomia di pensiero, per non soggiacere, per l'ennesima volta - troppo spesso lo abbiamo detto in quest'aula -, alla disciplina di voto imposta dal Presidente del Consiglio.
Il Presidente della Repubblica, rinviando la legge Gasparri alle Camere, ha ricordato che la riforma non produce un effettivo incremento del pluralismo. Questa maggioranza ha l'arroganza di far finta di non aver capito che cos'è il pluralismo ed, inoltre, non riconosce il pluralismo - diversi atti, peraltro, lo confermano, in questa legislatura, e lo confermano, ahimè, in modo molto pesante - come valore fondante di una comunità nazionale, che si vuole riconoscere e che può riconoscersi solo nell'accettazione delle diverse opinioni culturali, nella convivenza dei diversi principi etici, nel riconoscimento delle differenze e, appunto, nel pluralismo dell'informazione. Quello che accade oggi non è una novità e noi non smetteremo di indignarci e di dichiararlo qui, all'interno di quest'aula e al di fuori di essa, di fronte alla vostra cultura politica, che, se mi permettete, è puro asservimento, e si traduce spesso in una miserevole caduta di stile, come quella alla quale stiamo assistendo. Possibile che il conflitto di interessi non sia per molti di voi ragione di prudenza e occasione per mostrare un minimo di sensibilità istituzionale? Era davvero necessario porre la questione di fiducia? Uso le parole del collega Rognoni: lo avete fatto - avete detto - per ragioni tecniche; è una bugia grande come una casa e non vi fa onore.


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Con questo provvedimento l'arricchimento del pluralismo è totalmente virtuale e teorico. Si dice che è sufficiente che il segnale digitale copra il 20 per cento del territorio nazionale e non che il segnale sia utilizzato dalla popolazione che vive in quel 20 per cento di territorio nazionale. Sappiamo che i cittadini non hanno accesso a quel tipo di informazione; anzi, tale informazione non esiste proprio. Dico ciò, perché al 31 dicembre 2003, che era la data di riferimento della sentenza della Corte costituzionale, non vi era ancora alcuna traccia di digitale terrestre nelle case degli italiani. Succederà allora che le cittadine e i cittadini vi chiederanno conto delle ferite profonde che avete inferto alla democrazia di questo paese, al pluralismo dell'informazione, ai valori di libertà, uguaglianza, giustizia e solidarietà, che sono le ragioni fondanti per la crescita di una collettività nazionale, che vuole riconoscersi in scelte di civiltà, all'interno di una compiuta democrazia moderna. Voi state distruggendo il senso di appartenenza ad una comunità nazionale, perché asserviti, semplicemente e totalmente asserviti, agli interessi di un capo (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Abbondanzieri ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/38.

MARISA ABBONDANZIERI. A volte, la lettura del titolo di un provvedimento, delle scadenze previste, di chi deve attuare delle norme e di come deve farlo, è più illuminante di qualsiasi ragionamento, per non parlare poi dei «visti» e dei «considerata» a premessa del dispositivo di questo decreto-legge.
Il provvedimento in questione, in teoria, contiene previsioni concernenti la fine del regime transitorio; il soggetto che dovrà agire è l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, mentre la scadenza dell'adempimento è il 30 aprile 2004.
Domando, allora, al ministro Gasparri: cosa mai potrà fare l'Autorità entro il 30 aprile 2004, considerato che anche la legge Gasparri prevedeva, quanto al digitale terrestre, per esempio, il riferimento al 2006? Deve esaminare il rispetto dell'offerta complessiva dei programmi, ovvero, probabilmente per quella data, un insieme di ampia clonazione nonché le tendenze in atto nel mercato; tuttavia, vi sembra che gli italiani in questo momento, gli italiani di Terni, di Cornigliano, i lavoratori dell'Alitalia, siano intenti ad acquistare la tecnologia ed il cosiddetto digitale? Mi sembra che abbiano, purtroppo, tanti e troppi altri pensieri!
Per non parlare poi della questione relativa alla misurazione della popolazione. Quando il ministro - e lo ha fatto molto spesso in questi mesi - si reca in televisione per parlare del digitale terrestre, mi sembra un'evocazione: gli brillano gli occhi, l'espressione, la voce ed i gesti, come se il digitale terrestre fosse arrivato in ogni landa, in ogni casa ed in ogni famiglia; come se gli italiani, tutte le mattine, si chiedessero se il digitale terrestre è entrato in casa e, magari, si è seduto a tavola! Si tratta, purtroppo, dell'ennesimo provvedimento del Presidente del Consiglio dei ministri che giunge all'esame in quest'aula, così come è accaduto per i provvedimenti sul falso in bilancio, sulla tassa di successione, per la Cirami, il lodo Schifani, il SIC.
Sono mesi che il Parlamento è costretto a seguire gli interessi del primo ministro, la sua agenda, la sua ostinazione e le sue personali decisioni (interessi, in qualche caso, immateriali, ma importanti ed interessi materiali, molti e sostanziosi). Chi vuole vedere la materializzazione del conflitto di interessi, dovrebbe pensare a ciò (e sarebbe sufficiente).
Giovanardi, ogni tanto, ci trasmette in casella, ma lo fa anche il Presidente del Consiglio dei ministri nelle sue conferenze stampa, un tabulato composto di colonne in orizzontale ed in verticale, con tanti colori. Ad ogni colore corrisponde il significato del provvedimento e lo stato di attuazione. Allora, Giovanardi ci inserisca


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un'altra colonna: quella relativa agli interessi del Presidente del Consiglio dei ministri!
Oggi, il Presidente del Consiglio - lasciatemi passare l'espressione, lo fa spesso, come un «ganzo» che scende dall'aereo - ha inteso porre la questione di fiducia, perché il Parlamento ha molto da fare e non può perdere tempo. Decida lui: a volte, ci dice che in questa sede non si fa niente ed, a volte, ci dice che abbiamo molto da fare, a seconda dei provvedimenti che gli piacciono.
In conclusione, vorrei dire che il decreto-legge non garantirà il pluralismo.
Signor ministro, cosa dovrò dire agli handicappati della cooperativa della televisione di strada di Senigallia o di Peccioli, quelli che si sono visti apporre i sigilli dai suoi uomini, per far capire loro che non sono sulla stessa barca?
Il provvedimento è un ennesimo trattamento sanitario obbligatorio: quello della fiducia per realizzare gli interessi di Mediaset.
Spero che, almeno, prenda in considerazione ciò che chiedo nel mio ordine del giorno, vale a dire di seguire l'andamento nel Friuli-Venezia Giulia...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Abbondanzieri.
L'onorevole Sedioli ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Amici n. 9/4645/39, di cui è cofirmatario.

SAURO SEDIOLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel pomeriggio ho ascoltato con molta attenzione il dibattito - non in merito al decreto, in quanto non ci è stato consentito - sulle procedure. Ero curioso di conoscere quali fossero le motivazioni della maggioranza per il ricorso al voto di fiducia, non mi volevo affidare esclusivamente alle mie considerazioni così pessimistiche sulla possibilità di un confronto democratico in Parlamento.
Ebbene, su questo decreto-legge, la maggioranza ha usato una ricca aggettivazione, definendolo delicato, importante, rilevante, urgente, indispensabile per cogliere le opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali. In verità, con il presente provvedimento, le opportunità sono quelle che favoriscono le concentrazioni, il duopolio e gli interessi delle reti che appartengono al Presidente del Consiglio.
Signor Presidente, io condivido quell'aggettivazione, tuttavia ritengo che essa non possa giustificare il ricorso al voto di fiducia, anzi credo che lo contraddica. Proprio perché si tratta di un provvedimento delicato, importante, rilevante, urgente, era necessario garantire un confronto più ampio nel dibattito parlamentare.
E neppure l'urgenza può motivare il ricorso al voto di fiducia. Se effettivamente vi era l'urgenza di risolvere i problemi dell'informazione nel nostro paese, la strada da seguire doveva essere un'altra. Non è colpa nostra se, oggi, siamo qui a discutere di un decreto-legge perché la legge Gasparri era sbagliata ed è stata dunque rinviata alle Camere dal Presidente la Repubblica. Tale legge aveva aperto un acuto conflitto tra i poteri del nostro sistema democratico - il Capo dello Stato, la Corte costituzionale -, in un momento in cui invece avremmo avuto bisogno del contrario, in particolare di una maggiore armonia tra i poteri dello Stato, al fine di affrontare meglio i problemi che il nostro paese sta vivendo.
Dunque, i tempi sono lunghi perché quella legge era sbagliata, perché non aveva tenuto conto del dibattito parlamentare, perché non aveva accettato le proposte dell'opposizione e non per responsabilità dell'opposizione.
Ancora, signor Presidente, ho notato che i caratteri dell'urgenza hanno ben altra motivazione, che non si ravvisa nella paura dell'ostruzionismo da parte dell'opposizione, ma nella paura presente all'interno della maggioranza che anche un semplice emendamento potesse essere approvato. E proprio questa «fifa blu» ha portato la maggioranza a ricorrere ad un voto di fiducia che umilia il nostro Parlamento.
Dunque, con il presente ordine del giorno proponiamo una iniziativa di buonsenso,


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che poteva essere accolta dalla maggioranza proprio perché migliorativa del provvedimento, sollecitando un impegno del Governo ad aumentare la qualità dell'introduzione e dell'utilizzo delle nuove tecnologie. Qualità, nel senso di possibilità di un'effettiva ricezione dei segnali televisivi in tecnica digitale e di un'effettiva copertura del territorio, che deve costituire il riferimento indispensabile per il riconoscimento del diritto di accesso ad una pluralità di offerta informativa radiotelevisiva.
Purtroppo, siamo stati costretti a ricorrere ad un ordine del giorno proprio perché su una proposta così semplice, di buon senso, giusta e intelligente, non c'è stata la possibilità di confrontarsi nell'aula parlamentare. Ebbene, siamo ancora una volta di fronte all'arroganza e, forse, qualcuno pensa che questa possa accelerare i tempi, ma l'arroganza conduce, invece, a scelte sbagliate e pericolose e non produce riforme, ma controriforme (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Angioni ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/40.

FRANCO ANGIONI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, il decreto-legge in questione, emanato a seguito del messaggio presidenziale di rinvio al Parlamento della legge di riforma del sistema radiotelevisivo e della concomitante scadenza del termine indicato nella sentenza della Corte costituzionale per porre termine alla situazione di indebita concentrazione delle frequenze radiotelevisive e la conseguente limitazione del pluralismo nel sistema dell'informazione, prevede una procedura volta a verificare se le opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali possano consentire la coesistenza di un numero crescente di operatori nazionali, superando l'ormai anacronistico duopolio tipicamente italiano.
Ai fini dell'effettiva ricezione dei segnali televisivi in tecnica digitale, il tema della qualità del segnale rappresenta un elemento essenziale per quanto attiene all'effettiva copertura del territorio e, pertanto, il reale riconoscimento del diritto all'accesso ad una pluralità di offerta informativa radiotelevisiva, come previsto non solo dai principi della democrazia ma anche dalla precisa indicazione del Presidente della Repubblica.
La norma che il decreto-legge punta ad attuare si intreccia alla modifica della par condicio, cioè alle norme della parità di accesso ai mezzi di informazione. A parole, tutti, a partire dai vertici istituzionali, hanno sottolineato l'importanza del ruolo che l'informazione gioca nella democrazia; anzi, il Presidente del Senato, senatore Pera, ebbe a dichiarare in una recente circostanza, cito testualmente: «Il problema della par condicio non si porrebbe se ci fossero tutti editori puri». Questa affermazione, naturalmente, mi ha fatto sorridere e non ci sarebbe, quindi, necessità di dedicare altre parole all'argomento se questo assioma, la parità, fosse reale.
Faccio qualche esempio. Per informare i cittadini su norme di particolare valore sociale, come ad esempio la riforma della scuola, al fine di esporre i singoli provvedimenti, illustrarne le conseguenze applicative, indicarne gli inconvenienti e gli eventuali rimedi, chi non dispone dei mezzi di comunicazione ha dovuto fare ricorso ad assemblee successive, a manifesti, al volantinaggio; mentre coloro che hanno accesso al mezzo televisivo, nazionale e locale, si riservano pochi minuti, nelle ore più qualificate, e non hanno bisogno di altro.
Non solo, alcune emittenti locali, assolutamente in regola con permessi ed autorizzazioni, vengono oscurate o zittite con iniziative pretestuose imposte dagli organi di controllo che costringono a ricorsi, a spese legali, ingiunzioni ed udienze e quant'altro. Si tratta di esempi di dettaglio che riguardano il mio collegio, tuttavia costituiscono dei fatti concreti.
Altro che pluralismo e par condicio! Sono accantonate tutele e prescrizioni costituzionali a partire dalla straordinaria necessità e urgenza previste dalla Costituzione,


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inventate per giustificare il decreto-legge in esame, oppure la indispensabilità della posizione della questione di fiducia.
Di fronte a tali macroscopiche trovate, fanno sorridere le querele preannunciate da Mediaset nei confronti di quanti hanno diffuso a mezzo stampa «plateali falsità», quando è stato semplicemente affermato che quanto disposto dalla Corte costituzionale e dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è rimasto per anni completamente disatteso.
Non vengono rispettate le regole che esistono e vengono proposte norme che costituiscono semplicemente favoritismi nei confronti di chi, di fatto, dispone del monopolio. Auspichiamo che il Governo, avvalendosi delle strutture ministeriali esistenti, che ormai, purtroppo, funzionano solo «a comando», effettui le necessarie verifiche ed ispezioni volte ad accertare che i segnali televisivi irradiati in tecnica digitale siano classificabili di buona qualità, secondo la codificazione vigente, e a darne informazione all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e al Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Siniscalchi ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Roberto Barbieri n. 9/4645/41, di cui è cofirmatario.

VINCENZO SINISCALCHI. La formulazione degli ordini del giorno è certamente paradossale, ma abbiamo il dovere di essere ottimisti e fiduciosi, secondo le regole dello Stato democratico. Il paradosso sta nella frase con cui l'ordine del giorno impegna il Governo ad osservare determinate regole, che abbiamo ripreso dagli emendamenti su cui un libero Parlamento avrebbe dovuto discutere, ma che sono stati invece travolti dalla singolare decisione del Governo di porre la questione di fiducia.
Confidiamo tuttavia nel fatto che il voto sugli ordini del giorno riesca a darci la sensazione che non tutto si sia risolto con un voto che è paradossalmente definito di fiducia: credo infatti che mai come in questo caso chiamare tale voto in questo modo significhi operare un profondo distacco tra il concetto di fiducia popolare e democratica, ad esempio nei confronti della massima istituzione dello Stato, ovvero il Presidente della Repubblica, che oggi è stato virtualmente sfiduciato, e la fiducia cieca, irrazionale e priva di senso nell'approvazione di un decreto-legge sul quale non c'è stata di fatto discussione.
Confidiamo nel parere del Governo sugli ordini del giorno, che tentano di dare all'esecutivo stesso direttive sull'applicazione di una legge che non è stata discussa, la cui approvazione non può, come in altri casi, essere risolta con il voto di fiducia, perché si tratta di farsi interpreti ed eco di un messaggio che il Capo dello Stato non ha inviato al Governo, bensì al Parlamento, affinché corregga ed adegui il provvedimento, fissando termini certi. La questione è stata risolta con un singolare aggiramento del messaggio, che non è stato neppure sottoposto alla libera determinazione della discussione sugli emendamenti. Si trattava di emendamenti volti proprio a dare senso all'articolo 1, che non fa altro che spostare arbitrariamente un termine fissato dalla Corte costituzionale. Infatti, il termine viene apparentemente spostato dal 31 dicembre 2003 al 30 aprile 2004, con un'intelligente clausola - intelligente nel senso dell'astuzia, non nel senso della trasparenza legislativa - introdotta dal Senato e nella quale si prevede la continuazione dell'esercizio di Retequattro fino al 30 aprile 2004, ma soltanto se ricorreranno determinate condizioni. Ciò significa avere sostanzialmente sfiduciato, con il voto di fiducia nei confronti del Governo, il Capo dello Stato.
Ma non basta. È stata sfiduciata la sentenza della Corte costituzionale. Il Capo dello Stato non si era inventato un messaggio alle Camere per ragioni diverse da quelle della istituzione di un rapporto chiaro e corretto con una decisione del giudice delle leggi. Tuttavia, anche questa decisione è stata aggirata e sfiduciata e questo non renderà impossibile che la Corte costituzionale torni ancora una volta


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su questo punto (fiducia o non fiducia, perché la questione di fiducia non risolve il problema della incostituzionalità della legge) e dichiari, come è accaduto per molte leggi approvate durante i due anni e mezzo di questa legislatura, che si è trattato di una violazione dell'articolo 21, che si è trattato di una violazione dell'articolo 3, che si è trattato di una violazione dei principi fondamentali della nostra Carta costituzionale. Non si tratta di rendere omaggio formale ad un messaggio. Che cosa abbiamo ascoltato, in questa Assemblea, che possa farci pensare che alla radice di questa proroga del termine vi è stata una ottemperanza nei confronti del messaggio? Nulla.
Anche noi pensiamo ad una primavera, ma non è quella dell'aprile 2004. Pensiamo, senza retorica ma con serena fiducia nei confronti del popolo italiano, alla primavera del 2006, quando dovremo assumere, quale nuova maggioranza, un impegno: abbattere le leggi vergognose che hanno caratterizzato buona parte dei due anni e mezzo di questa legislatura.

PRESIDENTE. L'onorevole Bellini ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/42.

GIOVANNI BELLINI. Intervengo per illustrare il mio ordine del giorno, di cui è cofirmatario il collega Stramaccioni. Si tratta di un ordine del giorno che intende richiamare l'attenzione del Governo su un tema molto importante, quello della qualità del segnale. Quest'ultima, infatti, è una questione fondamentale nell'esame che abbiamo avviato a seguito della prima discussione sul cosiddetto disegno di legge Gasparri e sul conseguente decreto-legge. È molto importante perché, allo stato attuale, c'è un problema di fondo, rappresentato dalla situazione che si è determinata con questo decreto, il quale cerca di affermare che nel nostro paese esiste il pluralismo dell'informazione televisiva e che questo pluralismo dovrà essere certificato alla fine di aprile 2004. Affinché questo possa accadere, si è voluto inventare un sistema del tutto astratto, nelle condizioni attuali, quello dell'introduzione virtuale delle nuove tecnologie digitali e del digitale terrestre in particolare. Di qui l'importanza della qualità del segnale. Infatti, risulta chiaro che, in mancanza di una effettiva estensione di questo sistema a tutto il paese, mancheranno le condizioni che consentano la ricezione dei nuovi canali televisivi con tecnologia digitale terrestre.
Allora, non potremo avere assolutamente quanto è stato calcolato con questo decreto, vale a dire un nuovo pluralismo che consenta e che, in questo momento di regime transitorio, sta consentendo il mantenimento delle tre emittenti televisive nella proprietà del Presidente Berlusconi e, in particolare, di Retequattro. Come ben sappiamo da sentenza della Corte costituzionale, quest'ultima, da tempo, non ha la concessione ma solo una autorizzazione e dovrebbe trasmettere, non col sistema analogico, ma attraverso il satellite. La mancanza di diffusione di questa tecnologia può causare, effettivamente, quello che noi abbiamo più volte denunciato, cioè la mancanza di pluralismo nell'informazione, perché mancherà una effettiva ricezione televisiva da parte della popolazione.
Noi avevamo presentato una proposta emendativa a questo riguardo, per sostituire la parola « raggiunta », al secondo comma del primo articolo del decreto-legge in discussione, con la parola « servita con buona qualità ». In altri termini, la nuova televisione digitale deve essere servita con buona qualità. L'espressione «buona qualità» - lo ricordo a beneficio di chi non lo sapesse - è una definizione tecnica, significa che non basta irradiare il segnale di un ripetitore ma è necessario che questo segnale sia buono e sia tale che lo si possa vedere e decodificare in modo facile. È necessario che questa operazione riesca effettivamente.
Un segnale sporco nel digitale vuol dire non vedere niente. Cosa costava allora accettare questo emendamento che rappresenta un effettivo miglioramento? Noi sappiamo bene cosa vuol dire non averlo accettato. Al Governo basta e avanza dire


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che c'è una diffusione della nuova tecnologia, che è una tecnologia virtuale: magari il segnale rimane sporco, nessuno lo potrà vedere, però interessa fare i calcoli come se tutti lo potessero vedere. Anzi, si vanno a fare dei calcoli in modo tale che si potranno rilasciare delle concessioni per TV nazionali che non hanno diritto, stante l'attuale legge Gasparri, ovvero stante la mancata approvazione della legge Gasparri. Infatti, per avere una nuova concessione nazionale occorre che il segnale sia irraggiato sull'80 per cento del territorio nazionale e che sia visto quindi con un segnale buono, in chiaro, netto, da almeno il 90 per cento della popolazione.
Pertanto, siccome questo non è possibile, nemmeno facendo qualche sconto, è stato inventato in questo decreto-legge un ulteriore passaggio che è una vera propria truffa. È stato detto che sarà possibile rilasciare concessioni di tipo nazionale a quegli imprenditori che perlomeno copriranno il carattere locale delle televisioni, cioè il 50 per cento degli utenti.

PRESIDENTE. Onorevole Bellini, la prego di concludere.

GIOVANNI BELLINI. Ho finito, signor Presidente.
Questo è un vero e proprio inganno che ci ha accompagnato nel corso degli ultimi tempi, perché il Governo Berlusconi ci ha abituato, purtroppo, a vedere che prima si fanno gli inganni e poi si fa la legge. Questa è una legge-inganno che non merita la fiducia del nostro Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Susini ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Bersani n. 9/4645/43, di cui è cofirmatario.

MARCO SUSINI. Signor Presidente, con questo voto di fiducia ci troviamo di fronte all'ennesima, sfrontata, manifesta riproposizione del conflitto di interessi che ormai mina e corrode ad ogni piè sospinto il sistema politico e parlamentare del nostro paese. Questa vostra scelta è poi un ulteriore e arrogante dimostrazione dello sprezzo del confronto e della dialettica parlamentare che il Governo ancora una volta manifesta, ma è anche un segno evidentissimo di debolezza: è anche il segno della paura che questo Governo ha prima di tutto verso la sua stessa maggioranza.
Anzi, vorrei dire che questo è proprio un voto di fiducia che il Governo ha chiesto per mettere il bavaglio alla sua stessa maggioranza, per impedire che si ripeta oggi quanto è accaduto qui, in quest'aula, sulla legge Gasparri, quando più volte avete rischiato il tracollo, nonostante abbiate 100 parlamentari in più, tanto è in pezzi questa maggioranza. Non è un caso che questa verifica interminabile, che non si chiude più, ha portato soltanto a una conclusione certa e cioè a verificare che una maggioranza degna di questo nome ormai non c'è più.
Dunque, non vi era nessuna motivazione di urgenza per apporre la questione di fiducia, non vi era nessun ostruzionismo dell'opposizione che, come abbiamo fatto sulla legge Gasparri, aveva avanzato poche e sensate proposte. Tuttavia, c'era evidentemente il terrore che si ripetessero le imboscate, i «mal di pancia» che si sono manifestati con la legge Gasparri e tutto questo ha portato il Governo a valutare che valeva la pena di mettersi al riparo di questi rischi anche a costo di coprirsi del ridicolo. Perché di questo si tratta, cari colleghi: di una scelta ridicola che trasforma un Parlamento libero ridotto al rango di una Assemblea della «repubblica delle banane», dove si vota per favorire un'azienda del Presidente del Consiglio.
Vorrei chiedere ai colleghi del centrodestra che conservano uno spirito civico e una certa dignità: non vi rendete conto di che razza di segnale state dando al paese? Non avete percezione di come possa essere vissuta un'iniziativa di questo tipo da un paese in declino, stremato dai fallimenti e dalla inanità della politica economica del Governo, da un paese che sperimenta disagi e tensioni inedite, da un paese


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solcato da un nuovo e diffuso malessere sociale che coinvolge non solo gli operai delle tante fabbriche in crisi ma anche gli insegnanti, i medici, i magistrati, persino i vigili del fuoco?
Questa è l'Italia del centrodestra, un paese che, dietro l'ottimismo di cartapesta di Silvio Berlusconi, vede crescere la fila di coloro che non arrivano al 27 del mese, vede crescere la fascia di povertà e di impoverimento. A questo paese voi rispondete con la questione di fiducia, danneggiando altre imprese, alterando la concorrenza, sbeffeggiando la Consulta e il Capo dello Stato, praticando contro ogni regola e contro ogni buonsenso quella che il professor Sartori ha definito una sorta di «dittatura della maggioranza». Una maggioranza, lo ripeto, tanto fragile e divisa quanto prona e ossequiosa su tutto ciò che ha a che fare con gli interessi materiali del premier. Una scelta penosa, dunque, che umilia il Parlamento e la sua dignità, tanto penosa da vanificare la chirurgia plastica a cui Berlusconi si è affidato, perché dopo pochi giorni che si è rifatto la faccia con questa scelta l'ha subito persa di nuovo!
Vi siete dunque assunti gravissime responsabilità: non avete voluto ascoltare il messaggio del Capo dello Stato, anzi, lo avete irriso parlando di «tecnici del Quirinale»; non avete ascoltato i suggerimenti dell'Autorità, non avete preso in considerazione le poche proposte dell'opposizione.
Votatevi dunque la fiducia, votate la fiducia ad un Governo allo sbando, tanto, quando sarà il momento, la fiducia ve la toglieranno gli elettori (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Bettini ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/44.

GOFFREDO MARIA BETTINI. Signor Presidente, un punto essenziale del nostro ordine del giorno è la verifica della qualità del segnale in tecnica digitale. Nella premessa del nostro ordine del giorno noi ribadiamo la nostra contrarietà al decreto-legge, una contrarietà di metodo e di merito. Di metodo, perché l'utilizzo ancora una volta della questione di fiducia in questo Parlamento ripropone il tema di una condotta arrogante e, allo stesso tempo, impaurita, della maggioranza. Di merito, perché questo decreto-legge è l'ennesima forzatura che il Governo fa in difesa degli interessi del Presidente del Consiglio e, in questo caso, di una sua azienda.
Vedete, la condotta così dissennata sta logorando anche la fiducia e il consenso delle vostre file. Il cappio della fiducia, in realtà, è il sintomo di una sfiducia in voi stessi, di una insicurezza che ormai vi pervade. La maggioranza ha svolto un'infinita verifica, che ormai non si sa più quando sia iniziata e quando sia finita, ma il risultato è il permanere di un vostro reciproco sospetto. La verità è che in Italia c'è una diffusa stanchezza, ormai talmente diffusa che in forme diverse investe settori della maggioranza che non si sentono di legarsi a tutti i costi a tutte le avventure. Questo decreto-legge è, in senso negativo, esemplare di questo modo di governare, di questo modo di intendere la cosa pubblica e di agire con l'intento di confondere, disinformare, ingannare l'opinione pubblica e i cittadini. Perché dico esemplare? La Corte costituzionale, con una sua sentenza stabiliva che al 31 dicembre 2003 Retequattro sarebbe dovuta andare sul satellite. La legge Gasparri, per aggirare questa decisione, ha inventato un sistema di riferimento diverso. Il Presidente della Repubblica svolge considerazioni in riferimento alla legge e ricorda che essa non produce un effettivo aumento del pluralismo. La legge «cade» anche per questo motivo, viene rinviata a causa del malessere generale, ma anche del malessere che cresce tra i parlamentari della maggioranza. A questo punto chiunque si sarebbe atteso un momento di riflessione, una presa d'atto, un'apertura vera al confronto. No! Si fa il decreto-legge, si chiudono porte e finestre e si impone la fiducia, per non discutere.
Qui davvero si supera il segno: si manifesta un'arroganza che è, in verità, il sintomo di una grande debolezza. E si


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prende un abbaglio perché, cari colleghi, se dentro il turbinio di bugie e di promesse, con le quali Berlusconi ha vinto le elezioni, si poteva pensare di far digerire agli italiani tanti indicibili interessi di parte, oggi che è chiaro che quelle promesse sono fumo al vento e che vi è tanta gente che non arriva alla fine del mese, tutto ciò è terribilmente indigesto (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Borrelli ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/45.

LUIGI BORRELLI. Signor Presidente, la sentenza della Corte costituzionale ha posto il limite al 31 dicembre 2003 per la cessazione del regime transitorio stabilito dalla legge n. 249 del 1997 per il rispetto delle norme antitrust. Il messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere sulla delicata questione dell'informazione, inoltre, è ritornato sulla questione del termine del 31 dicembre 2003, definendolo testualmente un termine finale, assolutamente certo e definitivo, e dunque non eludibile.
In realtà, questa maggioranza ha cercato di forzare i termini sopra ricordati già con la cosiddetta legge Gasparri, e tutti ricordano che quel progetto di legge ha ricevuto una seria bocciatura da parte del Presidente della Repubblica; anzi, proprio la mancata firma della cosiddetta legge Gasparri da parte del Capo dello Stato ha fatto sì che, alla vigilia del Natale scorso, il Governo corresse ai ripari per salvare un pezzo importante dell'impero mediatico di proprietà del Presidente del Consiglio, varando un decreto-legge che non ha altro senso se non quello di piegare gli interessi generali a quelli del capo della maggioranza.
Si è in presenza, dunque, di un conclamato conflitto di interessi, che è ben lungi dall'essere superato, e che il Presidente Berlusconi si era impegnato a risolvere, come sappiamo, nei primi cento giorni di Governo. Di giorni ne sono passati quasi mille, ed il conflitto di interessi del Presidente del Consiglio, invece di risolversi o attenuarsi, è addirittura peggiorato. Ne sono testimonianza tutti i provvedimenti di un certo rilievo, approvati con leggi che la società italiana e quella internazionale hanno definito come leggi-vergogna, dalla giustizia al falso in bilancio, alla tassa sulle successioni per i più ricchi.
Ma non vi siete accontentati di garantire a Retequattro, con uno strumento straordinario quale il decreto-legge, di continuare a trasmettere per via analogica oltre il termine ultimo fissato dalla Corte costituzionale: avete anche posto la questione di fiducia per la conversione in legge di un decreto-legge appesantito da modifiche peggiorative del Senato.
La verità è che il voto di fiducia è servito ad evitare che qualche proposta emendativa, tra quelle presentate, potesse essere votata a scrutinio segreto, e quella cosiddetta tetragona maggioranza - si fa per dire - di cui disponete potesse, nel segreto dell'urna, far fare al decreto-legge in esame la stessa fine che ha fatto la legge Gasparri due. Altro che questione tecnica! La verità è che Berlusconi non si fida della sua maggioranza, allo stesso modo in cui gli italiani non si sentono più in sintonia e non si fidano del Governo Berlusconi!
Questo provvedimento, approvato con il ricorso alla fiducia, protrae praticamente in maniera indefinita la situazione di indebita concentrazione delle frequenze radiotelevisive e comporta la limitazione del pluralismo nel sistema dell'informazione come conseguenza incontrovertibile.
Il punto cruciale, su cui si vuole intervenire con l'ordine del giorno presentato, riguarda la verifica delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali, vale a dire la possibilità di raggiungere, in maniera adeguata, un numero considerevole di utenti. È noto, infatti, che la qualità del segnale rappresenta un elemento dirimente per quanto riguarda l'effettiva copertura del territorio e di conseguenza il reale riconoscimento del diritto all'accesso ad una pluralità di offerta informativa radiotelevisiva.


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Non basta, infatti, che sia installato un certo numero di ripetitori, ma occorre che il segnale digitale sia di buona qualità e che gli utenti abbiano la possibilità di utilizzarlo. D'altra parte, il fatto che la quota di popolazione coperta dal segnale digitale terrestre non debba essere inferiore al 50 per cento, anziché all'80 per cento com'era previsto dalla legislazione preesistente, crea il rischio che i territori più marginali non vengano coperti.
Con il mio ordine del giorno n. 9/4645/45 si vuole richiamare l'attenzione del Governo sul fatto che la copertura del segnale digitale terrestre riguardi la maggior parte del territorio e della popolazione e non trascuri i territori montani e marginali, come sono, per la loro gran parte, quelli della regione Abruzzo.
In conclusione, signor Presidente si chiede che il Governo, per quanto di sua competenza, avvalendosi delle strutture ministeriali preposte, effettui le necessarie verifiche ed ispezioni volte ad accertare che i segnali televisivi irradiati in tecnica digitale siano classificabili di qualità buona, secondo la codificazione vigente, e ne dia immediata e periodica informazione all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ed al Parlamento.

PRESIDENTE. L'onorevole Buffo ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/46.

GLORIA BUFFO. Signor Presidente, recentemente, il Presidente Putin è stato ufficialmente richiamato perché la principale rete televisiva del suo paese gli ha dato troppo spazio: ciò è stato considerato incompatibile con una regolare campagna elettorale.
La notizia ha fatto il giro del mondo e ci ha colpiti perché la Russia non è un modello assoluto di democrazia: capita che candidati alternativi al presidente spariscano e ricompaiano, diversi giorni dopo, denunciando di essere stati rapiti e drogati! D'altro canto, la vicenda cecena, nonostante le dichiarazioni alla Walt Disney del nostro Presidente del Consiglio, ci parla di mancato rispetto dei diritti umani.
Ebbene, anche in Russia, con tutti i limiti di cui ho detto, esistono confini al potere di uno solo sui mezzi di comunicazione. Qui, a casa nostra, invece, il Re Sole del nostro paese ha dichiarato: «La TV sono io!»; e la sua maggioranza, per amore o per forza, gli tiene bordone!
Nelle more, tra un monologo a Porta a Porta ed un decalogo rivolto alle donne, le quali devono affrontare la prova di sopravvivenza quotidiana della spesa (donne italiane che vengono definite, come nel ventennio, massaie), il Capo del Governo ha chiesto ed ottenuto di confermare il sequestro di frequenze a favore di Retequattro ed a danno di Europa 7 senza tema del ridicolo.
A noi, oggi, di fronte ad una maggioranza che, al posto della faccia, ha messo il video e, al posto della capacità di persuasione, ha messo le bugie, interessa sapere cosa farete per garantire buoni segnali, con la tecnica digitale, nella regione Molise. Di ciò parla l'ordine del giorno che sto illustrando.
Potremmo chiedere molte altre cose che non riguardano la regione Molise. Per esempio, potremmo chiedere che intenzioni abbia questa maggioranza rispetto al pluralismo dell'informazione o rispetto alla grande questione dello sviluppo della comunicazione, che, in quanto potere sociale enorme, va democraticamente gestito e diffuso. Tuttavia, abbiamo deciso di non chiedervelo nemmeno. Sarebbe tempo perso: i fatti parlano da soli!
Nel nostro paese, assistiamo ad un controllo ferreo della comunicazione da parte dell'esecutivo - in questo modo, si mette in discussione un pilastro delle democrazie liberali e dello Stato di diritto -, ad un controllo ferreo, costi quel che costi, visto che non si controlla il consenso con la forza di una buona politica!
Ora quel «costi quel che costi» non è che costi poco all'Italia, alla sua credibilità ed alla sua considerazione nel mondo. Non è un caso che ne parlino i giornali e gli opinionisti di tutto il pianeta!
Dopo il dicktat bulgaro, sono scomparsi dai nostri teleschermi il più autorevole giornalista italiano, Enzo Biagi, Michele


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Santoro, opinionisti ed intellettuali della destra come Massimo Fini. Sono stati mandati gli ispettori al TG3, ma non risulta - lo dico io che sono in Commissione parlamentare per la vigilanza; me ne devo occupare, giustamente, tutte le settimane - che siano stati mandati gli ispettori al TG1. Lo dico, non perché auguri una politica fatta di ispettori; tuttavia, se non si mandano gli ispettori al TG1 non si mandano neanche al TG3.
Abbiamo assistito al confezionamento della legge Gasparri: un abito perfettamente adatto alle misure e alle fattezze del Presidente del Consiglio, dei suoi interessi, delle sue aziende, e abbiamo assistito alla clamorosa smentita, con un gesto istituzionale di grande valore, da parte del Presidente della Repubblica.
Oggi assistiamo ad un decreto-legge sul quale avete chiesto la fiducia per salvare, non Retequattro, come andate dicendo nei comizi, sperando che la gente non capisca (voi scommettete, molto spesso, sul fatto che la gente non si informi), ma la proprietà e le frequenze, che spettano ad altri, di una rete, più che amica, direi «fidanzata» del Presidente del Consiglio. Adesso minacciate anche di cambiare la legge sulla par condicio!
Non voglio aggiungere nulla. Confidiamo sulla consapevolezza e il buonsenso degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. L'onorevole Trupia ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Buglio n. 9/4645/ 47, di cui è cofirmataria.

LALLA TRUPIA. Signor Presidente, è proprio vero che al peggio non c'è fine. Proprio oggi, dopo la legge Cirami, dopo la legge sul falso in bilancio, dopo quella sul rientro dei capitali dall'estero, bisogna salvare con urgenza Retequattro, farlo a tutti i costi, ma, in realtà, si vuole salvare, come è stato qui ricordato, un'azienda del Presidente del Consiglio e, insieme all'azienda, naturalmente l'amico del cuore di cui è inutile che io faccia il nome.
Berlusconi pensa esclusivamente a se stesso, ai suoi interessi economici, patrimoniali e familiari. Mette sempre con costanza, persino con pignoleria, i suoi interessi davanti agli interessi del paese - e, mentre fa questo, insegna alle cosiddette massaie italiane come fare la spesa, spendendo poco, lui che si arricchisce grazie al suo Governo - e a chi si impoverisce grazie allo stesso Governo. Un Governo che ha la faccia tosta di presentare un decreto-legge urgente, per salvare un'impresa di famiglia del Presidente del Consiglio, anziché risolvere finalmente quel conflitto di interessi nell'ambito delicato e decisivo che è il pluralismo dell'informazione e che tutta l'Europa ci invita a risolvere.
Questo è un decreto-legge con cui, in realtà, si è voluto aggirare, in modo offensivo per l'intero Parlamento, una sentenza della Corte costituzionale e, soprattutto, le osservazioni con cui il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere la legge Gasparri. Lo sapete anche voi, colleghi della maggioranza, che la principale motivazione di quel rinvio era relativa al fatto che la riforma non produce quell'incremento del pluralismo ritenuto necessario da Ciampi. Eppure aggirate, con leggerezza e nessun senso delle istituzioni, anche il parere motivato del Presidente della Repubblica. Anzi, non contenti, ponete, in modo del tutto ingiustificato, la fiducia.
Siete terrorizzati che qualcuno, magari molti della vostra maggioranza, abbiano un sussulto di buona coscienza e votino finalmente in libertà. D'altra parte, non sarebbe la prima volta. Allora, la via più semplice è quella di tappare la bocca al Parlamento e all'opposizione e di mettere al sicuro l'azienda di Berlusconi.
Ma è possibile, colleghi della maggioranza, che non sentiate vergogna, che non abbiate nessuna, ma proprio nessuna, dignità? Siete semplicemente una maggioranza sotto padrone che deve servilmente fare, sempre e comunque, gli interessi del padrone.
Non siete in sostanza dei parlamentari liberi. Retequattro continuerà a trasmettere per la vita, visto che stiamo per prendere una decisione definitiva, ed Emilio


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Fede potrà non andare più in pensione e continuare ad adulare Berlusconi. In questo decreto-legge riuscite perfino a sostenere che una rete è nazionale se copre, non più il 90 per cento della popolazione, ma solo appena il 50 per cento, cioè un quinto del paese. Altro che valore dell'unità della nazione, cari colleghi (alcuni almeno) della maggioranza, a cui vi appellate! Voi, pur di salvaguardare gli interessi del vostro padrone, siete disposti ad essere più devoluti della devoluzione di Bossi, quella che voi criticate, e vi mettete sotto i piedi un bene di tutti, dell'intera democrazia, come la libertà e il pluralismo dell'informazione. L'aver posto perciò il voto di fiducia su questo provvedimento è la dimostrazione definitiva che solo gli interessi privati sono alla base del programma di questo Governo, non quelli del paese, e che solo questo tiene insieme la maggioranza di centrodestra. È ormai passata più di metà della legislatura e credo che non ci sia materia che abbia tenuto occupato il Parlamento tanto quanto la riforma dell'assetto del sistema radiotelevisivo. Questo decreto - e ho concluso - è semplicemente un imbroglio, che propinate agli italiani in nome dell'occupazione di mille persone, che verrebbero, a vostro dire, licenziate. Lo sapete anche voi: è un'operazione semplicemente indecente. Siamo ormai convinti che voi siate una pessima classe dirigente per questo paese e che il paese se ne stia accorgendo. Per questo avete paura e avete posto la fiducia.

PRESIDENTE. Onorevole, la prego di concludere.

LALLA TRUPIA. Ho finito, Presidente.
Ma la fiducia che vi date tra di voi in Parlamento non è più, io penso, la fiducia di cui godrete nel paese (Applausi dei deputati del gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e di Rifondazione comunista)!

PRESIDENTE. L'onorevole Carlo Carli ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Carboni n. 9/4645/49, di cui è cofirmatario.

CARLO CARLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, signor sottosegretario che è rimasto solo (mentre in altre circostanze il banco del Governo era pieno di ministri, evidentemente sono stanchi in questo momento!) chiedendo la fiducia su questo provvedimento avete impedito all'opposizione di esprimersi e di proporre contributi certamente migliorativi, di cui il decreto-legge necessita. Sarebbe stato doveroso da parte vostra fare in modo che fin dal testo originario fossero recepiti i contenuti del messaggio del Presidente della Repubblica Ciampi e i rilievi delle sentenze più volte emesse dalla Corte costituzionale, anche in coerenza con le disposizioni dell'Unione europea. È evidente che questo decreto-legge, invece, è il risultato di un forte richiamo che arriva alla maggioranza da parte del Presidente Berlusconi e della propria famiglia. Chiedo a voi, colleghi della maggioranza, se, nel momento in cui siete stati chiamati a dare il consenso con la fiducia, non siate stati minimamente sfiorati dal dubbio o se non abbiate provato un po' di vergogna. Non vi siete accorti del palese conflitto di interessi che riguarda il Presidente del Consiglio Berlusconi e della tutela della sua azienda che questo decreto-legge assicura, e, forti di oltre cento deputati in più rispetto all'opposizione, avete voluto evitare il confronto parlamentare senza neppure ragionare su ciò che con i nostri emendamenti si proponeva di migliorare. Rimane così gravemente inascoltato il messaggio del Presidente della Repubblica, il suo richiamo all'attuazione di quanto contenuto nelle sentenze della Corte costituzionale e a legiferare perché vi sia un effettivo arricchimento del pluralismo. Inoltre, vi rimando alla lettura integrale dell'intero messaggio presidenziale per constatare che esso non sia stato accolto sia nella lettera che nello spirito. Questo decreto-legge è incostituzionale, come ampiamente dimostrato dagli interventi dei diversi colleghi del centrosinistra. Esso viola l'articolo 21 della Costituzione, che prevede che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto


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e ogni altro mezzo di diffusione. Questo è un articolo fondamentale per la nostra democrazia, per lo sviluppo civile, sociale ed economico.
La Corte costituzionale è, peraltro, più volte intervenuta, ribadendo questo concetto e sottolineando come tale libertà sia una pietra angolare dell'ordine democratico, così come recita la sentenza n. 84 della stessa Corte costituzionale fin dal 1969. Infatti, è a tutti evidente che un ordinamento non può funzionare democraticamente in mancanza di una libera circolazione di idee politiche, sociali, culturali e religiose. Quando i mezzi di comunicazione sono a disposizione di pochissimi (e nel nostro paese vi è una posizione fortemente dominante delle aziende di proprietà del Presidente del Consiglio e, quindi, si manifesta anche in questa circostanza un evidente conflitto di interessi) è necessario intervenire legislativamente per assicurare il pluralismo anche delle imprese, in modo da rifuggire dalle situazioni di monopolio nel settore dell'emittenza privata a cui si assiste oggi nel campo della comunicazione e dell'informazione nel nostro paese.
Per quanto riguarda, in particolare, l'emittenza privata, il diritto all'informazione dei cittadini va composto con la libertà di informazione e di iniziativa economica. Per pluralismo si intende anche pluralità di voci concorrenti, in modo da soddisfare il pieno diritto del cittadino all'informazione.
Di fronte a questi autorevoli richiami che vengono dal Presidente della Repubblica e dalla Corte costituzionale, il Governo risponde con un decreto-legge, spacciandolo come una semplice proroga in attesa dell'approvazione della cosiddetta legge Gasparri, che certamente non è una legge di sistema delle comunicazioni, ma è una legge che rafforza il potere all'interno della comunicazione a vantaggio dell'azienda Berlusconi.
Con questo provvedimento si mette una vera e propria pietra tombale sulla sentenza della Corte costituzionale che stabiliva che una rete privata sarebbe dovuta andare sul satellite entro il 31 dicembre 2003.
Signor Presidente, mi avvio alla conclusione dicendo che voi, Governo e maggioranza, avete ignorato anche questi richiami così autorevoli. L'ordine del giorno che ho sottoscritto, in coerenza con quanto affermato precedentemente circa il diritto di tutti i cittadini di godere del diritto all'informazione in qualunque parte del territorio nazionale si trovino, tende a far sì che il Governo, per quanto di sua competenza, attivi tutte le proprie strutture affinché i segnali televisivi irradiati in tecnica digitale siano classificabili di buona qualità in tutte le regioni e, in questo caso, nella regione Basilicata.
Come parlamentare toscano, ho sottoscritto molto volentieri quest'ordine del giorno. Maggioranza e Governo, vi prego: fermatevi e ritirate questo decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. L'onorevole Chianale ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Cazzaro n. 9/4645/50, di cui è cofirmatario.

MAURO CHIANALE. Signor Presidente, illustrerò l'ordine del giorno a mia firma e del collega Cazzaro e, di fronte ad un atteggiamento così determinato e intransigente su un tema quale quello relativo al pluralismo ed ai suoi assetti di struttura e di funzionalità, non posso che sottolinearne la gravità.
Con questo sbaglio contrapponete una pregiudiziale sia al pluralismo sia alla concorrenza. La concorrenza stessa è il fondamento del pluralismo. Gli epigoni del libero mercato stanno anche tra voi e, anzi, principalmente tra voi e la libertà senza barriera, proprio in questo caso, deve essere il presupposto del mercato televisivo.
Certo, parlare di mercato in queste ore in cui nel nostro paese, in tante regioni italiane ed anche nella mia regione, tante industrie si trovano in crisi, oggettivamente mi fa pensare ad altro mercato e ad


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altre esigenze. Nel mio comune un'azienda del gruppo Finmek sta per chiudere uno stabilimento di 500 dipendenti e 350 dipendenti da due mesi non percepiscono lo stipendio. Tra questi 350 operai che non percepiscono lo stipendio, vi sono 100 giovani assunti a tempo indeterminato, che hanno avuto speranze e prospettive, che hanno creduto in un futuro e, ad oggi, se lo vedono negato.
Tuttavia, questo, forse, è un mercato che non vi interessa. L'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha affermato che bisogna tutelare il pluralismo informativo e ciò può avvenire attraverso gli strumenti di tutela della concorrenza. La concentrazione impedisce la possibilità di espressione dei pareri e delle opinioni plurali e le imprese europee e quelle italiane sono consapevoli dell'importanza del pluralismo. L'attenzione rispetto al contenuto di un provvedimento che dovrebbe declinare i valori costituzionalmente tutelati, quali la libertà di espressione del proprio pensiero con lo scritto, la parola e ogni mezzo di espressione, viene fortemente sottoposta ad un compromesso.
Regolare l'assetto e la conformazione del nostro sistema radiotelevisivo dovrebbe significare scrivere regole e procedure che rivestano una valenza rilevante di democrazia plurale.
Le regole generali sono il fondamento di una democrazia moderna. Tutti noi ci siamo interrogati sul modo in cui questo vostro decreto-legge affronta i nodi della concorrenza, le regole antitrust e la tutela della libera opinione politica. Lo sapete anche voi che il provvedimento in esame contrasta con il dettato costituzionale. Il tasso di concentrazione è un elemento che lede le condizioni in gioco della democrazia. Secondo voi, il decreto-legge risponde alle osservazioni del Presidente della Repubblica?
Le modifiche che voi avete proposto hanno reso ancora più confuso e inaccettabile tale provvedimento.
Questo decreto-legge decide di cambiare la definizione di reti a copertura nazionale. Oggi, la legge vigente definisce quale rete nazionale quella che copre l'80 per cento del territorio, ossia il 90 per cento della popolazione. Cosa prevede il decreto? Modifica la percentuale, definendo nazionale una rete che copre il 50 per cento della popolazione, ovvero il 20 per cento del territorio del paese. Il pluralismo è virtuale e teorico.
Il decreto-legge stabilisce inoltre che la misura di modifica deve tener conto delle tendenze in atto nel mercato. Una misura che, di per sé, è un valore oggettivo, posto che deve tener conto, appunto, della tendenza.
Se il futuro della televisione è quello digitale, perché occorre misurare la copertura se, poi, si deve tener conto delle tendenze in atto sul mercato?
Anche quei giovani cui, in precedenza, facevo riferimento e che hanno problemi sul mercato, pensano al loro futuro. Ma i loro pensieri non sono la vostra preoccupazione.
Il vostro impegno è fuori dalla realtà del paese ed il paese stesso se ne è accorto (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Zunino ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Chiaromonte n. 9/4645/51 di cui è cofirmatario.

MASSIMO ZUNINO. Onorevoli colleghi, signor sottosegretario, la prima considerazione da cui parto (anche se ripeto cose già dette, ma non ci stancheremo di farlo), riguarda proprio l'anomalia del dibattito in corso. Tale anomalia sta nel rapporto tra ciò di cui stiamo discutendo, cioè il contenuto di questo decreto-legge (come altri argomenti di altri decreti-legge che, in questi due anni, hanno costellato il lavoro parlamentare e che hanno avuto in comune il fatto di riguardare, in qualche modo, gli interessi del Presidente del Consiglio) ed il paese reale, cioè ciò che succede fuori da quest'aula.
È strano che di ciò non ci si renda conto e che ciò non venga avvertito, in maniera sempre più evidente, dalla maggioranza.


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L'anomalia è nel rapporto fra ciò che prevede il decreto-legge e ciò che la gente pensa, che la gente vive, le parole quotidiane che «fotografano» una realtà in profonda crisi, che ci parlano, attraverso le cronache dei giornali, dei problemi delle famiglie italiane. Questi problemi sono rappresentati dalla difficoltà di mantenere il posto di lavoro, dall'aumento dei prezzi delle tariffe e dall'aumento della povertà.
I colleghi lo hanno già rilevato nel dibattito di questa mattina: ci sono centinaia di aziende a rischio nel nostro paese, ci sono numerose situazioni di crisi di aziende, anche importanti, che provocano difficoltà per migliaia di dipendenti, che non sanno quale sarà il loro futuro occupazionale.
L'onorevole Mazzarello lo ricordava nell'intervento di questa mattina. Cito un caso per tutti: gli operai delle acciaierie di Terni, dell'ILVA di Cordigliano, a Genova i lavoratori della Ferrania di Cairo Montenotte, in provincia di Savona. Quest'ultima è un'azienda i cui lavoratori sono in stato di agitazione per difendere il proprio posto di lavoro e la propria fabbrica e per la quale sono state avviate le procedure previste dalla Prodi-bis. È un'azienda non decotta: è l'unica, in Italia, a produrre materiale fotosensibile, quindi, di alta qualità. I lavoratori, ieri, sono scesi in piazza, hanno invaso le strade della Val Bormida e hanno tentato di occupare l'autostrada Savona-Torino. Attendevano, ormai da più di una settimana, che la Presidenza del Consiglio fissasse loro un incontro, richiesto attraverso la regione Liguria ma, fino a ieri, tale incontro non era stato ancora fissato. La comunicazione della data dell'incontro (fissato per martedì prossimo) è arrivata al termine della serata di ieri, una serata di grande tensione. Ancora una settimana. Forse, la Presidenza del Consiglio aveva altre cose di cui occuparsi, in questi giorni!
La seconda considerazione che voglio anch'io sottolineare, perché credo che sia veramente l'elemento di gravità che riguarda questo decreto-legge, è il voto di fiducia.
Non c'era, da parte dell'opposizione, un atteggiamento ostruzionistico; non c'erano emendamenti che facessero pensare a tale volontà. Al contrario, vi era una volontà di discutere, di entrare nel merito. La verità è che la maggioranza è ormai divisa su tutto e non sarebbe stata in grado di procedere all'approvazione del provvedimento.
Si tratta peraltro di un provvedimento di cui era stato richiesto il rinvio in Commissione, perché in aula non c'era il clima giusto (così almeno è stato detto). Il clima atmosferico era sereno, ma non era serena la maggioranza. Il voto di fiducia è stato, perciò, utilizzato per blindare la maggioranza stessa.
L'ultima considerazione riguarda il conflitto d'interessi. La fiducia è stata posta sul decreto-legge salva-Retequattro, cioè sul caso più evidente di conflitto d'interessi. È questa l'altra anomalia che vogliamo rilevare. Non vi è prudenza. Non vi è sensibilità istituzionale. Non c'è vergogna, come ha detto l'onorevole Rognoni, nell'intervento di questa mattina. Invece di risolvere il conflitto d'interessi, viene proposto un decreto-legge che lo aggrava e, poiché il Presidente del Consiglio non è sicuro nemmeno dei voti della sua maggioranza, pone la fiducia.
Ci sembra, francamente, troppo! Crediamo che tale sensazione sia largamente condivisa dalla maggioranza degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Grandi ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Chiti n.9/4645/52, di cui è cofirmatario.

ALFIERO GRANDI. È difficile sognare, di fronte ad un decreto di questo tipo. Al massimo, ci si può opporre.
Avete messo la fiducia su questo decreto-legge, che poteva essere discusso e, naturalmente, contestato, nei suoi orientamenti; ma avete deciso di chiedere il voto di fiducia per farlo approvare il più rapidamente.
Del resto, avete fatto bene. Bisogna dirlo di fronte a ciò che è avvenuto sulla


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legge Gasparri (che, com'è noto, nell'ultima versione cercava di porre rimedio alle osservazioni del Presidente della Repubblica, formulate nel messaggio di rinvio alle Camere), legge che voi avete ritirato dal voto in Assemblea, di fronte alla preoccupazione di non riuscire a tenere unita questa maggioranza. Probabilmente su alcuni degli argomenti contenuti in questo decreto-legge, quindi oggetto di emendamenti e di possibili voti segreti, avete temuto che ci fosse da parte della maggioranza uno scollamento, una difficoltà ad approvare definitivamente tale provvedimento.
In realtà, il voto di fiducia - come sempre accade - non è, come ho sentito affermare poco fa anche da parte di esponenti del Governo, un voto di fiducia tecnico, un modo per fare prima, un modo per non perdere tempo in Parlamento (procedura francamente svilente del ruolo del Parlamento e quindi, del tutto inaccettabile), ma un modo per tenere insieme la maggioranza.
Si tratta di una maggioranza con molte difficoltà, attraversata da tanti problemi che, come ha affermato l'onorevole La Russa poco fa in una dichiarazione televisiva, si appresta, in una riunione serale, a limare ancora di più un testo che dovrebbe essere la seconda parte del programma di legislatura.
Certo, è molto diverso il tono rispetto alla prosopopea e alla baldanza dei primi mesi di Governo, quando si riteneva di avere di fronte, grazie anche ad una maggioranza così ampia, la possibilità di varare provvedimenti e di portare avanti il promesso cambiamento del paese. Adesso, siamo alla limatura del testo che deve ridefinire l'accordo di maggioranza per la seconda parte della legislatura: i toni sono molto più bassi, ci si accontenta di poco e si cerca di proseguire giorno dopo giorno, mese dopo mese, approvando provvedimenti come questo, turandosi il naso e facendosi costringere dal voto di fiducia a dare la definitiva approvazione.
Questo è un fatto molto grave, perché il voto di fiducia oggi è finalizzato ad approvare un decreto-legge che, come già hanno avuto occasione di dire anche altri colleghi, cerca di mantenere e di salvaguardare, in particolare, il ruolo attuale di Retequattro, contravvenendo agli orientamenti della Corte costituzionale che, più di anno fa, reiterando una sentenza, aveva chiesto di creare le condizioni affinché questa rete televisiva andasse sul satellite, come anche RAI 3 cessasse la raccolta pubblicitaria, creando le condizioni, in questo modo, per avere una novità in campo televisivo.
Non essendo voi riusciti ad affrontare il problema, non avendo avuto la possibilità e la forza di risolvere le questioni dinanzi agli appuntamenti determinati dalla sentenza della Corte, non essendo voi riusciti ad approvare alcun provvedimento, si è giunti a questo decreto-legge. Il provvedimento potrebbe anche essere oggetto di un vero e proprio insegnamento scolastico, perché, nella parte delle premesse, si giustifica il decreto-legge stesso, quindi un intervento di urgenza, con il fatto che non è stata approvata in via definitiva la cosiddetta legge Gasparri, licenziata però, si dice, da un ramo del Parlamento, il Senato. Ora, come sappiamo, la legge Gasparri è stata ritirata ed è, in questo momento, di nuovo oggetto di discussione in Commissione alla Camera. Quindi, viene meno uno dei primi presupposti con cui si motiva l'urgenza del decreto-legge, perché, se la Camera dei deputati modificasse ciò che è stato approvato dall'altro ramo del Parlamento, evidentemente cadrebbe la prima motivazione del decreto-legge.
In realtà, il provvedimento non è motivato, non ha fondamento, come del resto non lo ha neanche la norma che voi non avete avuto la forza di approvare per dissensi interni alla maggioranza. Oggi la richiesta del voto di fiducia cerca di coprire questa situazione e, con un gioco di agganci reciproci, cerca di proseguire nel tempo, andare oltre le elezioni europee, oltre l'appuntamento elettorale, cercando nel frattempo di trovare altre soluzioni in grado di coprire non solo questo vuoto oggi, ma guardando alla prospettiva.
Il voto di fiducia è stato un atto molto grave e ad esso non si può che rispondere con la presentazione di documenti di indirizzo,


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come questi ordini del giorno, cercando con determinazione di ottenere che il provvedimento sia respinto (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Cialente ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/53.

MASSIMO CIALENTE. Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, la debolezza di fondo della maggioranza, le tensioni ed i ricatti tra i partiti della Casa delle libertà che paralizzano il paese (un paese ormai smarrito, sfiduciato, preoccupato, in balia di una grave recessione) oggi segnano un altro risultato, quello di sottrarre al Parlamento di un grande paese europeo la possibilità di discutere di una delle grandi questioni su cui, oggi, si misura la reale democrazia di una società, il problema del pluralismo e quindi della libertà dell'informazione.
Colleghi della maggioranza, insieme a noi dell'opposizione siete stati oggi costretti ad esprimere un voto di fiducia che riguarda una questione, quella, diciamo per semplificare, di Retequattro, emittente di proprietà della famiglia del Presidente del Consiglio. Tale voto traduce in modo eclatante il dramma, così lo definisco, del conflitto di interessi che ormai attanaglia l'Italia, umiliandola anche agli occhi di tutti i paesi democratici del mondo che, sbalorditi, assistono a quanto accade nel nostro paese.
Il Presidente del Consiglio avrebbe dovuto risolvere questo conflitto di interessi, a sua promessa, in pochi mesi e invece deve, chiaramente con la vostra complicità, rinviarlo sine die. Con questo voto, infatti, oggi il Presidente del Consiglio, e voi con lui, con la complicità di un ministro di Alleanza nazionale, un altro partito che ha conosciuto una bella mutazione genetica, ha sottratto una delle sue reti televisive a quanto stabilito da una sentenza della Corte costituzionale, permettendo così di occupare ancora, al di là del termine del 31 dicembre 2003, e quindi illegalmente, una frequenza analogica. Da questa occupazione si ricava un bonus di 150 milioni di euro. Ma, soprattutto, tale frequenza avrebbe dovuto essere assegnata ad un'altra azienda, una azienda del sud del nostro paese, abruzzese, che aveva vinto la gara per vedersi assegnata quella frequenza, che aveva presentato un piano industriale che prevedeva, tra l'altro, l'assunzione di 700 persone e per la quale, in poco tempo, subito dopo la gara, era stata costretta, secondo i termini di legge, a compiere notevoli investimenti.
Colleghi, Retequattro, passando sul satellite, come stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale, non avrebbe né chiuso né licenziato nessuno. Quindi, non solo non abbiamo creato posti di lavoro, come previsto per una azienda che già ne aveva diritto, ma, ancora una volta, ciò avviene per gli interessi di un imprenditore che non sa cosa significhi il rispetto del libero mercato e della libera concorrenza, che può fare leggi e decreti a propria misura. Egli, se lo ricordate, partiva nella sua grande avventura televisiva da una minacciata crisi di Governo per trasmettere un «mondialito»; tutto ciò, con buona pace della vostra idea liberale dello Stato e del mercato.
Questo voto di fiducia è un voto di vergogna, come è stato definito da editori e giornalisti. Questa sera, la Federazione nazionale della stampa italiana, che non penso sia composta esclusivamente da «bolscevichi», ha espresso sconcerto e protesta, al di là, afferma nell'ordine del giorno votato all'unanimità con una sola astensione, del contenuto del decreto-legge, ma per il fatto che su questo tema che riguarda la comunicazione televisiva (quindi l'informazione, il pluralismo, la libertà) il Parlamento del paese non possa svolgere un dibattito sereno.
Vergogna, perché questo voto di fiducia su un interesse netto del Presidente del Consiglio e della sua famiglia ben traduce il «berlusconismo», un fenomeno strano, una tragedia di questi anni del paese, che rappresenta un grave problema. Si tratta di un uomo che è un padre-padrone, che regna, non governa, ma gestisce e controlla valvassori e valvassini a proprio piacimento per i suoi interessi, incurante dei


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problemi drammatici, richiamati da alcuni colleghi, che ha il paese questo momento.
Questo è il senso dei vostri mugugni in Transatlantico, in Commissione, dei vostri voti in dissenso ogni volta che ne avete la possibilità, vale a dire con un voto segreto, al contrario di quando non potete fare a meno di esprimere la vostra disciplina. È stato già detto, in particolare dall'onorevole Giulietti, che il voto di fiducia odierno è il voto della vostra sfiducia. La verità è che il padre-padrone sa di non potersi fidare sino in fondo, sa che molti di voi non se la sentono di votare certi decreti e quindi vi chiama a sfilare, uno per uno, davanti al Presidente, a dichiarare il vostro «sì».
Credo che questa sia una vera vergogna! Il voto su questa materia peserà sulla coscienza civile di molti dei parlamentari presenti, così come pesa minaccioso sul futuro del paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Coluccini ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/54.

MARGHERITA COLUCCINI. Grazie, signor Presidente. L'ordine del giorno che reca la mia firma e quella della collega Turco ha l'intento di spingere il Governo a comprendere, anche in ultima istanza (si tratta di un tentativo estremo, vista la vostra capacità di ascolto), la necessità e l'urgenza di garantire al paese il diritto all'accesso ed alla libertà di informazione, ciò che state negando con protervia.
Credo che il Governo dovrebbe fermarsi e riflettere sui guasti che una gestione caotica, infelice, profondamente distruttiva, come quella in cui si sta distinguendo, causa al corpo reale del paese. Sarebbe necessario fermarsi e smetterla con la farsa un po' stanca degli atti che avreste compiuto e riconoscere finalmente il fallimento, non tanto e non solo di un programma, ma di un'intera strategia di visione politica, quella che vuole un intera maggioranza soggiogata alla bramosia ed al preciso interesse familiare del Presidente del Consiglio.
Il voto di fiducia che avete voluto imporre è l'espressione plastica di una crisi, la voce potente del padrone che zittisce ed annulla ogni residua resistenza. È chiaro ormai il patto che vi lega ed ancora più chiaro è il disegno che state perseguendo: annunci, proclami e mirabolanti promesse, niente di più; curare la facciata, per nascondere la fatiscenza di un progetto politico che avete proposto al paese e che oggi dovete cominciare malinconicamente a smentire. Curare la facciata, per nascondere interessi spudorati e indicibili. È certo che siete al palo. La legge del fedele Gasparri è ferma. È ferma la legge sul conflitto di interessi, che avreste dovuto approvare nei primi cento giorni di Governo. L'incertezza regna sovrana. La certezza, invece, è che avete bloccato il Parlamento e il paese su questioni che non hanno niente a che vedere con le problematiche e con gli interessi di un paese in affanno: l'interesse delle imprese in crisi, di cittadini truffati, di giovani senza prospettive di futuro, di commercianti ricattati.
Certo, qualcosa è andato di traverso. Il rinvio alle Camere della legge Gasparri da parte del Presidente della Repubblica, evidentemente temuto, ha scosso ulteriormente l'equilibrio precario della vostra maggioranza, già minato dai passaggi oscuri del voto segreto. Per voi questa è una prova d'appello e la possibilità di risparmiare al paese una legge brutta, immorale e lesiva del diritto alla pluralità dell'informazione.
Dovreste dirci, ma dovreste dire al paese, come intendete superare le mille contraddizioni che attraversano la vostra strategia politica e la vostra azione di Governo. Sono contraddizioni che vi tengono in ostaggio e che, purtroppo, tengono in ostaggio il paese intero. È certo che il risultato che contate di incassare sa di scandaloso, immorale e cinicamente improponibile.
Voglio farvi un esempio: provate a chiedere ad un qualunque sindaco o amministratore di paese se gli sarebbe consentito nel proprio comune adottare atti che lo vedessero beneficiario di un qualunque


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privilegio per sé o per la propria famiglia. Vi risponderà che non è possibile, perché c'è un'etica di comportamento, nonché una legge rigorosa, che vuole che chi governa e gestisce la cosa pubblica sia libero da qualunque compromissione o interesse personale.
Probabilmente questo è un esempio che non scalfisce le vostre convinzioni critiche o, se preferite, la costrizione a cui è stata piegata la vostra autonomia. Ma voi dovete fare i conti con il nostro ostruzionismo e con l'impegno civico della nostra opposizione, perché esso asseconda, e in qualche maniera anticipa, un sentimento diffuso tra la gente, quello stesso che si farà consapevolezza e che permetterà a questo paese di avere finalmente un'alternativa (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Dameri ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/55.

SILVANA DAMERI. Signor Presidente, quando si scriverà la storia di questa fase della vita politica italiana e di questa stagione della vita parlamentare, siamo certi che queste giornate non brilleranno certamente per la vitalità delle istituzioni democratiche, per una ricchezza di confronto, per una dialettica libera e consapevole che si affronta e si attarda sui problemi del paese, per un'attenzione che sarebbe dovuta a quelle che - come hanno ricordato tanti colleghi - sono le vere questioni reali e di fondo che riguardano il presente e il futuro dell'Italia.
Anzi, oggi possiamo dire, purtroppo, con preoccupazione, angoscia e sgomento che davvero viviamo in tempi bui. Si tratta di tempi bui nei quali il padrone del sistema informativo (che costituisce un aspetto fondamentale delle moderne democrazie), in spregio a qualunque rispetto del pluralismo dell'informazione e del diritto dei cittadini ad un'informazione libera, pluralista e completa, è il domino indiscusso ed indiscutibile, non solo della maggioranza, ma dell'intera vita delle nostre istituzioni.
Il voto di fiducia di oggi è la rappresentazione plastica di questa situazione grave che vivono la vita democratica e le istituzioni nel nostro paese. Altro che divisione e bilanciamento dei poteri!
Non vale la pena di dire nulla sulle provocazioni del capogruppo di Forza Italia, l'onorevole Vito, che in modo un po' patetico parla di presunti precedenti e di abusi nell'utilizzo del voto di fiducia nelle legislature precedenti da parte di altri Governi, segnatamente del Governo dell'Ulivo. Dico «patetico», perché allora, quando ci furono occasioni in cui si pose la questione di fiducia, ciò avvenne su problemi che riguardavano l'insieme del paese, problemi di carattere economico e sociale o le grandi scelte che consentirono appunto al Governo dell'Ulivo di portare il nostro paese in Europa, per esempio.
Oggi davvero il minimo che possiamo fare di fronte ad un utilizzo del voto di fiducia non per problemi che riguardano l'interesse generale ma che riguardano un singolo, per la dignità delle istituzioni parlamentari e di ogni singolo parlamentare che in quest'aula rappresenta gli interessi generali, è quello di ricorrere, attraverso l'illustrazione degli ordini del giorno, a manifestare la nostra contrarietà per un vulnus gravissimo recato con questa brutale azione di forza al normale svolgersi della dialettica democratica e che lede la libertà di tutti i cittadini.
Ma tant'è. E lo sappiamo che quando ci sono di mezzo gli interessi del premier, mero proprietario di Mediaset, che nella fattispecie ammontano a 163 milioni di euro di introiti pubblicitari, che sarebbero a rischio nel caso in cui Retequattro fosse oscurata, la maggioranza, se l'interesse del dominus è forte, sostanziale e concreto, è invitata a procedere compatta.
Penso che dovreste sentirvi un po' avviliti da questo tipo di imposizione che subite. Quello che noi cerchiamo di fare con l'ordine del giorno che mi accingo ad illustrare, se ho ancora qualche secondo, è quello di richiamare la vostra sensibilità attorno a questa questione, affinché si possa impegnare il Governo ad effettuare, attraverso le sue competenze ed avvalendosi


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delle strutture ministeriali preposte, le necessarie verifiche ed ispezioni volte ad accertare che i segnali televisivi irradiati in tecnica digitale siano classificabili di buona qualità secondo la codificazione vigente e a darne immediata informazione all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e al Parlamento con apposite relazioni da redigere, come recita questo ordine del giorno, ogni sei mesi.

PRESIDENTE. Onorevole Dameri, la invito a concludere.

SILVANA DAMERI. Concludo subito, signor Presidente. Vorrei dire a tutti i colleghi che a mio avviso ha avuto davvero ragione il collega Giulietti nel suo intervento di poco fa: questa di oggi non è una richiesta di fiducia da parte del Governo, ma è una dichiarazione di sfiducia in sé stessa da parte della maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Pennacchi ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno De Brasi n. 9/4645/56, di cui è cofirmataria.

LAURA MARIA PENNACCHI. Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge su cui è stato chiesto il voto di fiducia viene contrabbandato dal Governo e dalla maggioranza come una modesta proroga. In realtà, esso rappresenta uno strappo senza precedenti e molto grave che impressiona, nonostante abbiamo già assistito, quasi al limite dell'assuefazione, ad episodi di questa gravità.
Ma oggi siamo al di là di quell'assuefazione. Il decreto-legge non rispetta i richiami del Presidente della Repubblica sul pluralismo dell'informazione, che è un aspetto cardine delle democrazie contemporanee e moderne. Quindi, questo cardine fondativo della democrazia è gravemente messo in discussione.
Nelle cronache giornalistiche il decreto-legge va sotto il nome di decreto «salva Retequattro» o di decreto «salva patrimonio» personale dell'onorevole Berlusconi e della sua famiglia. Se non fossimo scandalizzati ed indignati, potremmo dire che l'intreccio personale tra interessi privati e pubblica autorità, che questo decreto-legge mette drammaticamente in luce, fa dell'onorevole Berlusconi una figura emblematica dei tempi moderni, l'incarnazione del conflitto di interessi all'ennesima potenza.
Dell'onorevole Berlusconi il quotidiano The Washington Post, non solo giornale conservatore ma organo rappresentativo dei mercati borsistici e finanziari della più potente nazione del mondo, ha scritto: Silvio Berlusconi è l'uomo più ricco d'Italia, il più potente barone dei media e, dal maggio 2001, il suo premier; in pratica ogni legge approvata dal Parlamento ha un impatto diretto sui suoi affari, sul suo potere e sul suo status legale. Questo scriveva The Washington Post nell'ottobre del 2003; chissà cosa scriverà nelle prossime settimane! Certo, attraverso questa emblematica figura dei tempi moderni, in Italia si ripropone, attraverso questo uso delle istituzioni destinate ad amministrare il bene comune in funzione dell'interesse dei potenti, un problema che affatica il pensiero occidentale sin dall'inizio della sua storia: il problema dei rapporti tra la forza, la legittimità, la libertà ed il bene comune.
C'è una declinazione privatistica delle stesse funzioni di Governo che fa paura, come fa paura la noncuranza con cui si ripetono affermazioni come quella che è stata fatta oggi pomeriggio sul ritenere morale che vengano evasi gli obblighi fiscali quando la pressione fiscale supera un certo limite. Potremmo dire, se non fossimo, come dicevo all'inizio, scandalizzati ed indignati, che questa figura emblematica viene spinta fino alla incitazione a delinquere, fino a violare le regole fondamentali. C'è una declinazione privatistica delle stesse funzioni di Governo, che del resto è anch'essa connaturata ad uno schema propagandistico a cui il Presidente del Consiglio ha fatto molto riferimento con la riproposizione dell'immagine del presidente-imprenditore, un'immagine con cui viene propagandato un populismo carismatico, ma al tempo stesso viene diffuso


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quel conflitto irredimibile che porta i mezzi dell'imprenditore a dominare pezzi della politica e porta la politica a farsi imprenditorializzare con schemi, linguaggi, valori che erano e sono assolutamente inediti nell'occidente e nelle democrazie mature.
Nel frattempo, mentre l'onorevole Berlusconi ha saputo ben curare i propri interessi, gli interessi della nazione italiana, del bene comune del paese sono stati totalmente dimenticati, anzi più che dimenticati. Siamo di fronte ad un impoverimento crescente dei ceti medi; vi è un depauperamento di scuola, sanità, previdenza, della ricerca e dello sviluppo, di tutte le funzioni di cui i veri imprenditori dovrebbero essere garanti quando appunto non accadono quelle commistioni fra interessi privati, bene comune ed autorità pubblica di cui siamo invece, ancora una volta, dolenti testimoni (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Maurandi ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Martella n. 9/4645/78, di cui è coofirmatario.

PIETRO MAURANDI. Signor Presidente, questo Governo nella sua politica ha due linee ed una costante. La prima linea è la cura, si fa per dire, degli interessi del paese. La seconda linea è la cura, quella sì autentica, degli interessi del Presidente del Consiglio. Sugli interessi del paese voi brancolate nel buio, raccontate bugie ai cittadini, assumete iniziative contraddittorie e, comunque, tardive, come le ultime misure di Tremonti per combattere l'inflazione, giunte quando l'inflazione ha ormai eroso i redditi degli italiani. Tremonti ricorda tanto quel profeta specializzato in profezie, ma sul passato!
Vi siete affannati a spiegare cose diverse e contraddittorie. Prima avete detto che c'era il miracolo economico dietro l'angolo, poi che c'era la crisi, ma che era colpa dell'11 settembre, dell'euro, della «sfiga», dei Governi passati, comunque di qualcosa d'altro rispetto a questo Governo. Ora dite che tutto va bene e, se la dura realtà fa a pugni con la fiction del contratto con gli italiani, la colpa, manco a dirlo, è della realtà. Invece, sugli interessi del Presidente del Consiglio dispiegate una grande efficienza, una grande determinazione, una grande rapidità. Tutto questo mentre milioni di cittadini non ce la fanno ad andare avanti con il loro reddito, mentre migliaia di lavoratori sono minacciati di perdere il proprio posto di lavoro ed altri non riescono a trovarne uno. Tutti attendono invano segnali dal Governo, politiche e non parole o promesse. Anche su questo decreto-legge vi siete affannati a spiegare che è fatto per l'arricchimento del sistema radiotelevisivo (così ha detto la relatrice). L'arricchimento c'entra, ma non proprio quello del sistema radiotelevisivo. Non c'è nessuno, in Italia, nel mondo e, voglio credere, neanche fra voi, che pensi davvero questo. È chiaro per tutti che questo decreto-legge vuole consolidare il duopolio, aggirando le sentenze della Corte Costituzionale e i rilievi del Presidente della Repubblica. Qualche maligno pensa perfino che vi sia un interesse diretto del Presidente del Consiglio.
Vi è poi una costante della vostra politica: la ricorrente posizione della questione di fiducia pur essendoci cento voti di scarto fra maggioranza ed opposizione. Due mesi fa abbiamo votato in rapida successione due volte la fiducia sulla manovra finanziaria. Questa volta vi siete affannati a spiegare che la fiducia era necessaria per fare in fretta perché vi sarebbero altre urgenze che premono. Quali sono queste urgenze? Forse una politica industriale per ridare fiato alle attività produttive in crisi o misure per la scuola e l'università, che voi state portando alla rovina, o ancora misure per la sanità, che voi state mandando a fondo, o forse provvedimenti per restituire il fiscal drag ai contribuenti? Non c'è nessuno che creda al fatto che la fiducia derivi dal voler fare in fretta per passare ad altri provvedimenti; non c'è nessuno che lo creda davvero in Italia e nel mondo e, voglio credere, neanche fra di voi.


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La verità è che il Governo ha voluto impedire ancora una volta al Parlamento, più alla maggioranza che all'opposizione, di entrare nel merito di questo decreto-legge, di modificarlo e perfino di discuterlo, perché il Governo non si fida della sua maggioranza. La maggioranza, tuttavia, ha accolto di buon grado la richiesta che veniva dal Presidente del Consiglio e gli ha fatto un regalo.
E allora, colleghi della maggioranza, giusto per non dimenticare, quando il decreto-legge verrà approvato, quando verrà pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, credo che dobbiate infiocchettarlo a dovere, fare una bella confezione e spedirlo a Palazzo Chigi, giusto per ricordare che si tratta veramente di un bel regalo! In ogni caso questo Governo ha continuamente bisogno della fiducia per andare avanti e voi gliel'avete votata, gliela voterete ancora, non mancherà sicuramente occasione, ma fra qualche mese, la fiducia dovrete chiederla agli italiani e allora le cose andranno diversamente (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Di Serio D'Antona ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/59.

OLGA DI SERIO D'ANTONA. Percepiamo un malessere che serpeggia anche nelle fila della maggioranza; un malessere, evidentemente, percepito anche dal Presidente del Consiglio nel porre il voto di fiducia sul decreto, pur potendo contare su cento voti di differenza. Un malessere, a mio avviso, dovuto all'umiliazione che i parlamentari della maggioranza, se pure non la sentano su di sé, debbono pur sentire nel vedere umiliata l'istituzione parlamentare, piegata a difendere gli interessi personali del Presidente del Consiglio.
Del resto, l'avevamo capito fin dall'inizio della legislatura, quando i primi provvedimenti discussi e votati in quest'aula sono stati: il falso in bilancio, le rogatore internazionali, il rientro dei capitali all'estero, la cosiddetta legge Cirami; una sequenza di atti legislativi che vedevano in modo macroscopico - proprio oggi abbiamo parlato, appunto, di conflitto di interessi - gli interessi personali del Presidente del Consiglio e del suo entourage venire prima dei bisogni veri e reali delle persone in carne ed ossa di questo paese.
Assistiamo, in questi giorni, a fenomeni preoccupanti nelle città di Genova, Terni, Savona; centinaia e centinaia di lavoratori, che rischiano il posto di lavoro o sono senza stipendio. Abbiamo poi visto il malessere manifestatosi negli scioperi di Milano; il malessere che viene dall'impoverimento (di classi che povere non erano), dalla mancanza di servizi, da una sanità che va in crisi, da una scuola non più all'altezza della tradizione della scuola italiana, dai servizi che mancano, dai disabili che ormai, nonostante i proclami sull'anno europeo del disabile, hanno visto tagliare i loro fondi e, quindi, i relativi servizi.
Ebbene, dinanzi a tutto ciò, quali sono i provvedimenti urgenti? Salvare Retequattro; ma lo spazio occupato da Retequattro non è uno spazio libero. È uno spazio che spetterebbe ad altre aziende, che, invece, se lo vedono negato.
Quindi, sussiste un conflitto di interessi che nega interessi di altri per la propria personale ingordigia; e, allora, io concludo in questo senso. Ci è stata negata, o si è tentato di negarci, la possibilità di svolgere una discussione seria su tali temi; ebbene, noi siamo qui, in questa sede, ad effettuare il cosiddetto ostruzionismo. Ebbene sì, questo è ostruzionismo; siamo qui, vi passeremo la notte, di fronte ai banchi vuoti della maggioranza. Speriamo comunque che almeno questo atto possa essere utile affinché nel paese arrivi una voce, una voce che, purtroppo, è un lamento; è un'amarezza profonda nel vedere umiliata l'istituzione parlamentare.
Dunque, a mio avviso, gli italiani che sono stati ingannati, quanti hanno creduto alle promesse elettorali del Presidente del Consiglio, quanti lo hanno votato, credo si stiano rendendo conto. Penso anche a quegli italiani che hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese; a quanti rischiano


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il posto di lavoro, a quei giovani che vivono una condizione di precarietà, che non riescono a costruirsi un progetto di vita e che si vedono offrire, invece, come provvedimento urgente, un piccolo contributo di 150 euro. Per fare cosa? Per comprare un decoder...
Credo vi sia una grande confusione rispetto alle priorità di questo paese, ai bisogni veri e reali delle persone che vivono quotidianamente grandi difficoltà. Abbiamo un'emergenza abitativa e credo che il Presidente della Camera, anche lui cittadino di Roma, sappia in quale drammatica situazione versi la condizione abitativa romana. Le coppie non hanno la possibilità di acquistare e neanche di affittare una casa; abbiamo mille famiglie, soltanto a Roma, con tali gravissime difficoltà. I fondi per il buono casa sono diminuiti; ma quali sono i provvedimenti veramente urgenti di cui ha bisogno il paese? Siamo certi siano questi? A tale riguardo, ritengo che la resa dei conti arriverà, che i nodi arriveranno al pettine. Credo che dovrete fare i conti con tali ingiustizie (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Filippeschi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/60.

MARCO FILIPPESCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con il voto di fiducia di oggi, il Governo ha reso più che mai trasparente al paese il conflitto di interessi; un imprenditore editore, monopolista, preoccupato di prevenire ogni competizione nel settore della comunicazione e della pubblicità, usa il potere politico non soltanto per limitare sfacciatamente il pluralismo dell'informazione - un diritto di libertà garantito dall'articolo 21 della Costituzione - ma anche per impedire la concorrenza e per aggirare di fatto i pronunciamenti dell'Alta Corte.
L'onorevole Berlusconi non si fida della propria maggioranza; la maggioranza ha accettato di perdere la faccia di fronte al paese e, una volta in più, di fronte all'Europa, in ossequio agli interessi privati di colui che si comporta come padrone di un partito e di una coalizione politica, e che oggi tiene in ostaggio le istituzioni, gli interessi legittimi di imprenditori e degli utenti del sistema televisivo.
Retequattro avrebbe potuto essere riconvertita sia sul satellite sia sul digitale terrestre - come altri colleghi hanno sostenuto in modo convincente e come abbiamo proposto in Parlamento -; invece, con il voto di fiducia, si è sancita la più grave diseguaglianza tra le imprese ed i cittadini, tra chi ha diritto al proprio privato decreto - blindato, per di più, con la fiducia - e chi, di certo, non può godere dello stesso trattamento da parte dello Stato.
Sono state respinte le richieste degli imprenditori e degli editori; si è voluta affermare la logica del monopolio, una concezione medievale del sistema della comunicazione che intende piegare le potenzialità delle nuove tecnologie al potere sconfinato di un oligarca. E tutto ciò si è fatto sfidando apertamente la lettera e lo spirito delle indicazioni offerte al Parlamento dal Presidente della Repubblica e calpestando quelle proposte dalle Autorità di garanzia che via via sono dovute intervenire, promuovendo un provvedimento di assai dubbia legittimità; provvedimento impugnabile, e non solo in un'unica sede.
Quanto voi avete compiuto attraverso il voto di fiducia, è un atto palesemente impopolare; la mancata risoluzione del conflitto di interessi è la «prova provata» di una grave patologia che affligge la nostra democrazia. In Italia, vi è un macroscopico e tentacolare conflitto di interessi; la maggioranza, fino ad oggi, è stata insensibile alla necessità di garantire una chiara distinzione dei poteri che evitasse la sovrapposizione, l'intreccio perverso tra mercato e politica. La questione che si pone nelle moderne democrazie è proprio quella della separazione tra mercato e politica, della difesa della politica dal mercato e di quest'ultimo dalla politica.
Sussiste, nel nostro paese, una concentrazione del potere che è nemica della democrazia; vi è, infatti, un eccesso di potere in capo ad un soggetto, posto al


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vertice dell'apparato pubblico ma, altresì, proprietario, sul mercato, di un bene essenziale.
Vi è una spirale che si sta avvitando e che, via via, limita le libertà, rendendo concreto il rischio di una «dittatura della maggioranza». Questo è quanto abbiamo denunciato e denunciamo noi dell'opposizione; è, altresì, quanto hanno denunciato tante voci libere della società civile europea.
Ma potrei anche citare le preoccupazioni e le denunce di esponenti della maggioranza, di autorevolissimi studiosi ed uomini delle istituzioni, quali, ad esempio, il professore Domenico Fisichella, Vicepresidente del Senato.
Queste, dunque, sono le nostre preoccupazioni, che crescono in modo esponenziale quando si profilano, come si stanno profilando, anche i rischi di un assoggettamento del potere giudiziario agli altri poteri dello Stato e a quelli materiali.
L'ordine del giorno da me presentato è aderente al messaggio presidenziale ed alla sentenza della Corte costituzionale: chiede al Governo di razionalizzare ed ottimizzare la diffusione degli impianti di trasmissione radiotelevisivi.
Chiedo, pertanto, all'Assemblea di valutarlo e di approvarlo (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Fluvi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/62.

ALBERTO FLUVI. Signor Presidente, è difficile stupirsi ancora degli atti di questo Governo. Potremmo fare un lungo elenco, ma sono sicuro che i più accorti di voi, colleghi di maggioranza, si rendono conto che ogni limite ormai rischia di essere superato. Il Governo è arrivato a chiedere e ad imporre la fiducia anche sul decreto salva Retequattro, sul decreto che salva l'impresa del Presidente del Consiglio, sul decreto, come è stato più volte ricordato, che consentirà di introitare altri cinque mesi di pubblicità. È giunto ad imporre il voto di fiducia su un provvedimento che riguarda la libertà di informazione: è un argomento delicato, che va trattato con cura e che investe direttamente il tema della democrazia.
Ma è mai possibile che su un argomento come questo si proceda con il voto di fiducia? Lo dico con tranquillità agli onorevoli colleghi della maggioranza: perché tutto questo? A chi giova? Perché porre la fiducia quando alla Camera la maggioranza può contare su circa 100 voti di differenza? Colleghi, sono convinto che la fiducia non sia stata posta tanto per impedire all'opposizione di svolgere la sua legittima funzione e la sua legittima battaglia parlamentare, ma sia stata posta anche contro di voi, per impedirvi di discutere e per evitare a gran parte di voi di votare secondo il proprio pensiero. Lo abbiamo visto quando siete lasciati liberi, quando con il voto segreto ciascuno è libero di esprimersi. Siete stati costretti persino a chiedere la sospensione del dibattito sulla legge Gasparri perché era troppo rischioso camminare sul filo, procedere con pochissimi voti di scarto e con il rischio frequente di andare sotto.
Allora, meglio non correre rischi, evitare il confronto, evitare il voto segreto e, quindi, imporre il voto di fiducia sul provvedimento al nostro esame. Vi rendete conto in quale vicolo state conducendo il Parlamento? Un Parlamento che rischia di essere trasformato in uno «votificio», piegato ai voleri del Governo o, meglio, del Presidente del Consiglio. Vanno avanti solo i provvedimenti che interessano al premier e si pone la fiducia ai suoi provvedimenti che riguardano le televisioni e la giustizia. Soprattutto, state rendendo evidente al paese che oramai contano solo gli interessi del Presidente del Consiglio, mentre gli interessi del paese e degli italiani vengono dopo, ma è un dopo che non arriva mai. Non intendo cavalcare, perlomeno in questa sede, la retorica del declino del paese, ma sono sicuro che molti fra di voi si rendono conto che queste non sono le priorità che l'Italia aspetta. A sostegno di questo provvedimento state dicendo che sono a rischio centinaia di posti di lavoro a Retequattro, ma siete voi a sostenere che


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il futuro è nel digitale e che vi sarà un boom di questa nuova tecnica; allora, se è così, l'occupazione crescerà, non diminuirà. Ma se siete così preoccupati per la perdita di posti di lavoro, di tutti i posti di lavoro e non solo quelli di Retequattro, l'elenco delle crisi industriali è lungo: allora, onorevoli colleghi, per quegli altri posti nessun decreto e nessun voto di fiducia? La verità è che non siete più in sintonia con il paese reale, con quello che lavora, che fa la spesa al mercato e al supermercato, che utilizza i servizi.
È ormai evidente che l'Italia non ha una guida autorevole in politica economica e questo è un handicap per un paese appesantito dalla crisi economica, per un paese che si sta impoverendo, per un sistema industriale e imprenditoriale che sta combattendo da solo con le proprie forze con i nuovi competitori internazionali, per un paese che riceve segnali devastanti da questo Governo, segnali che rompono le regole dello stare insieme, che impongono forzature anche quando sono in gioco beni importanti per la collettività, come appunto la libertà dell'informazione. Cari colleghi, la questione della fiducia non è un segno di forza per la maggioranza e per il Governo, ma è un segno di debolezza, è la testimonianza che questa verifica è infinita: non solo non si concluderà mai, ma non si può concludere perché manca l'oggetto dell'accordo, cioè la condivisione di un progetto politico. Quindi, vi tiene insieme solo l'interesse del capo, ma state tranquilli, questo provvedimento e questa prepotenza finirà con il libero voto degli italiani.

PRESIDENTE. Onorevole Fluvi, la invito a concludere il suo intervento.

ALBERTO FLUVI. Gli italiani continueranno a cambiare canale con il telecomando, ma con il voto in cabina cambieranno questo Governo e questa maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Folena ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/63.

PIETRO FOLENA. Signor Presidente, siamo di fronte - è stato detto ampiamente in queste ore - ad un atto di imperio, di arroganza e di prepotenza che, sinceramente, non ha precedenti. Non si tratta dell'ennesimo voto di fiducia, ma di un tentativo del Governo di impedire che la maggioranza possa esprimere fino in fondo la propria opinione, i propri sentimenti e le proprie valutazioni attorno a questa vicenda, prima della legge Gasparri e ora del decreto-legge al nostro esame. È un atto di arroganza e di prepotenza che cela debolezza e fragilità politica. Abbiamo tutti memoria del volto del ministro Gasparri, presente in aula quando i colleghi di alcuni gruppi parlamentari, probabilmente anche molti di Alleanza nazionale, solo 15 giorni fa approvarono con voto segreto gli emendamenti dell'opposizione attorno al nuovo provocatorio testo della cosiddetta legge Gasparri, portandola così al rinvio in Commissione ed a quella singolare condizione di legge desaparecida.
Tuttavia, oggi con questo atto di arroganza con cui volete impedire che la vostra maggioranza si possa esprimere, avete provocato una reazione legittima e democratica dell'opposizione, che questo pomeriggio, questa notte e domani si propone di riportare di fronte al paese, con un grande atto di verità, la sostanza del provvedimento su cui il Parlamento è chiamato a votare con un voto di fiducia. Quindi, si vuole restituire all'opinione pubblica italiana il diritto di sapere e di conoscere quello che il TG1 e il TG2, il grosso delle informazioni della televisione pubblica e di quella di proprietà del Presidente del Consiglio non hanno permesso in queste ore di conoscere. La straordinaria concentrazione di potere nelle mani del Presidente del Consiglio ha portato a questo dilagare di decretazione d'urgenza e di leggi delega, sottraendo al Parlamento le sue prerogative e mutando già la natura di democrazia parlamentare. Si tratta di un tentativo continuo - ne discuteremo fra qualche settimana in Parlamento e non vi preoccupate che faremo sentire in modo energico la nostra voce - di mutare la natura dell'ordinamento giudiziario,


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portando il pubblico ministero sotto il controllo gerarchico e, quindi, in qualche modo ritornando ad un ordinamento proprio del ventennio fascista.
Il tentativo che abbiamo visto varie volte in questi tre anni, da parte del Governo, di tappare la bocca e criminalizzare i movimenti: penso, ad esempio, all'ignobile campagna contro il sindacato e la CGIL che si scatenò nei giorni successivi all'assassinio del professor Marco Biagi. E tutto questo trova oggi compimento dopo le leggi vergogna, dopo la lunga sequenza di legislazione ad personam, in un decreto che, in cinque mesi, ha regalato 163 milioni di euro al Presidente del Consiglio, alla sua famiglia, alla sua azienda. Il Presidente del Consiglio si propone di cambiare la legge sulla par condicio, di andare ad una campagna elettorale massiccia e personalizzata: ebbene grazie a questo voto di fiducia userà, probabilmente, parte di quei 163 milioni di euro - acquisiti con la pubblicità su Retequattro in questi cinque mesi - per pagarsi la campagna elettorale. Neppure in una Repubblica sovietica, neppure in Corea del nord, neppure in una «repubblica delle banane» si usava arrivare a tanto. Per tali ragioni, noi abbiamo presentato questo ordine del giorno e tanti altri, per riportare all'interno di questo Parlamento la voce di quegli emendamenti che sono stati cancellati. Oggi, infatti, porre il tema della salute della democrazia vuol dire porre il tema delle condizioni vere del paese, e dire «no», con questa nostra grande battaglia democratica, a un tentativo inaccettabile di tappare la bocca non a noi, non all'opposizione, ma ai tanti cittadini che oggi, come è successo all'università La Sapienza di Roma, protestano per chiedere che i loro diritti siano rispettati e che questo paese non declini, come purtroppo sta avvenendo, per colpa di un Governo che antepone i propri interessi ai bisogni veri dell'Italia (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di Sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Fumagalli ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/64.

MARCO FUMAGALLI. Non nascondo che vorrei intervenire soprattutto sulle questioni generali, commentando anche il comportamento del Governo in questa occasione. Ma prima di fare qualunque riflessione, vorrei concentrarmi sull'ordine del giorno che ho presentato, che pone un problema serio, sul quale chiedo un impegno del Governo. Ci troviamo di fronte a una fase nuova delle telecomunicazioni e del sistema radiotelevisivo. Abbiamo di fronte, infatti, una rivoluzione del sistema e uno sviluppo delle tecnologie digitali.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA (ore 23,35)

MARCO FUMAGALLI. Noi poniamo un problema a questa maggioranza e al Governo: è possibile, oggi, proprio grazie allo sviluppo di quelle tecnologie, razionalizzare la diffusione degli impianti tradizionali sul territorio, nell'interesse prioritario della salute delle popolazioni e della tutela del paesaggio? Non è un tema secondario e vorrei anche evitare qui, tra i pochi che ascoltano, che la mia proposta assuma un carattere provocatorio. Tutti noi conosciamo quanti siano oggi i danni arrecati al paesaggio, prodotti dallo sviluppo del sistema della trasmissione, dalle antenne paraboliche, e sappiamo anche, ricordandone le polemiche, quanto questo abbia pesato sulla salute dei cittadini. Ricordiamo quando, qualche anno fa, un intero quartiere di Roma manifestò contro le minacce alla salute legate alla trasmissione delle onde radio televisive.
Ebbene, questo non riguarda il passato, riguarda il presente, riguarda le condizioni di milioni di italiani. Vorrei chiedere un impegno al Governo: è possibile che ogni quattro mesi il Governo venga in Parlamento o in Commissione a relazionare sul monitoraggio compiuto, su un intervento avviato, capace di ridurre, di incidere, di garantire la salute e il paesaggio italiani? Avanzo questa richiesta nell'interesse proprio dei cittadini e non credo che sia chiedere molto. Dovrebbe essere questione


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principale per un Governo occuparsi degli italiani nell'interesse del paese.
Una maggioranza di Governo non dovrebbe rappresentare gli interessi di una parte, di una persona bensì il bene collettivo del paese, seppure in una dialettica necessaria ed inevitabile tra maggioranza e opposizione. Eppure, mi assale il dubbio che anche di fronte a questa proposta, una proposta riformista, moderata, di chi chiede al Governo di occuparsi di questi aspetti, la risposta della maggioranza sia negativa. Ciò che interessa a questa maggioranza, infatti, non è il paese, non è il destino degli italiani ma i propri interessi essenzialmente coincidenti con quelli del Presidente del Consiglio. Non è la prima volta che ciò avviene. Stiamo discutendo oggi di un decreto-legge definito decreto salva Retequattro e se guardiamo alle nostre spalle ne abbiamo altri, con altri interventi diretti sempre soprattutto a difendere gli interessi del Presidente del Consiglio.
Non nascondo la convinzione e al tempo stesso la preoccupazione che nei prossimi mesi, finché gli elettori non decideranno di mandarvi a casa, altri provvedimenti interverranno per difendere sempre gli interessi del Presidente del Consiglio. Ora, qui lo avete fatto, innanzitutto ponendo la fiducia: è un atto estremo che usualmente una maggioranza utilizza per bloccare l'ostruzionismo dell'opposizione.
Di fronte alla difficoltà di affermare e far passare un proprio decreto-legge, la maggioranza ricorre alla fiducia, per bloccare l'ostruzionismo. Quello che è avvenuto in quest'aula è il contrario: non una maggioranza che pone la fiducia per bloccare l'ostruzionismo dell'opposizione, ma una maggioranza che ricorre alla fiducia per bloccare il pericolo presente al suo interno, il rischio che emergano differenze tali da mettere in discussione il decreto stesso. Si tratta, cioè di una fiducia contro se stessa e non contro un'iniziativa dell'opposizione. La cosa paradossale è che questo avviene non con una maggioranza che ha pochi voti di differenza rispetto all'opposizione, ma con una maggioranza che ha un ampio numero di parlamentari in più rispetto alla minoranza, in una misura senza eguali nella storia della nostra Repubblica. Vedete, questo è un segnale importante per me, perché vuol dire che il tarlo del dubbio, la sofferenza, oggi, su questi atti, non riguarda solamente questa parte di emiciclo.

PRESIDENTE. Onorevole Fumagalli, la invito a concludere.

MARCO FUMAGALLI. Riguarda anche una parte di quei banchi, cioè la maggioranza; il dubbio del «dove stiamo andando» comincia a diffondersi e la ragione per cui quella serata che considero una serata negativa per la democrazia...

PRESIDENTE. Onorevole Fumagalli, la prego di concludere!

MARCO FUMAGALLI. Ho concluso, Presidente. Il fatto che voi siete costretti a porre la fiducia è un segno che anche dentro di voi il dubbio alligna e c'è speranza per tutti (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di Sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Galeazzi ha facoltà di illustrare il suo l'ordine del giorno n. 9/4645/65.

RENATO GALEAZZI. Onorevoli colleghi, abbiamo interrotto il ritmo circadiano dei nostri lavori, e questo non fa bene alla salute, ma siamo quasi obbligati a ciò dal fatto che anche voi avete interrotto il normale ritmo dei lavori con una richiesta di un voto di fiducia che io definirei inutile. Inutile perché le argomentazioni che avete portato sono molto deboli; addirittura è stato un voto di fiducia contro un ostruzionismo presunto. Siamo al voto di fiducia preventivo per inibire non soltanto l'opposizione, in questo caso, ma la stessa maggioranza e precluderle la possibilità di discutere un decreto-legge. Perché, in fondo, gli emendamenti erano soltanto 70, erano emendamenti di merito e quindi non c'era alcun tentativo di colpo di mano. Quindi si è trattato di un voto di


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fiducia immotivato e più probabilmente rivolto alla stessa maggioranza piuttosto che all'opposizione. Qualcuno dice che è un segno di debolezza. Questa è una riflessione forse vera.
Tutti sappiamo del travaglio di questa maggioranza, di una verifica infinita che, secondo me, non finirà mai, sino alla caduta di questo Governo, che continuerà forse anche dopo le elezioni.
Quindi, una situazione di difficoltà ma, piuttosto che di debolezza, io parlerei di prova di forza del Primo ministro.
Noi stiamo cercando, in questi giorni, di convincerci che non bisogna attaccare la persona del Primo ministro. Non vogliamo personalizzare la politica, né vogliamo criminalizzare alcuno, ma è difficile non parlare del Primo ministro perché questo Parlamento discute e vota leggi che fanno parte della sua vita materiale, dei suoi interessi!
È stato detto anche oggi dal ministro Gasparri che questa è soltanto una questione tecnica e non esiste alcun problema politico, anzi, dobbiamo lasciare il tempo per esaminare altri decreti e leggi più importanti. A me sembra il contrario: il paese ha bisogno di leggi importanti, ha bisogno di provvedimenti seri per quanto riguarda il lavoro, la scuola, la sanità; invece, noi chiudiamo, interrompiamo i nostri lavori perché i decreti-legge, le misure e tutto quello che riguarda il Primo ministro, «passano sopra» ed hanno la precedenza assoluta!
Fate attenzione: al di là della quantità dei voti di fiducia, oggi noi abbiamo votato e l'opposizione è stata battuta per 91 voti. Voi avevate, oggi pomeriggio, 91 voti di maggioranza, che erano più che sufficienti per la prova di forza dei numeri. Quindi, ritengo che questa richiesta di fiducia e questa situazione molto particolare nasca da problemi che sono interni alla maggioranza e dalle difficoltà che ha questo Governo nel governare veramente il paese, invece di difendere interessi molto particolari.
La vicenda che riguarda la RAI e tutto il contesto che sta dietro ad essa (poiché, ricordiamolo, si parte da lontano) era un'opportunità per il centrodestra, per il Polo, di dare una soluzione dignitosa ad argomenti che riguardano cosa serie.
Parliamo del pluralismo, parliamo della libertà di espressione del pensiero, parliamo di regole civili che devono regolare la comunicazione.
Qualche collega, questa sera, è preoccupato perché non sa se questa nostra manifestazione di dissenso sarà comunicata dai telegiornali. Mi sembra di no: i telegiornali, per quel che ho sentito, non parlano dell'opposizione che fa un'azione di protesta, allungando i tempi della discussione proprio per mettere in risalto queste difficoltà.
Guardando il sito web del Governo, sull'iter della legge Gasparri, vediamo che manca il fatto che il Presidente della Repubblica ha rimandato alle Camere tale legge! Quindi, vedete quanto è importante la comunicazione! Quella che va oggi per la maggiore non è tanto la comunicazione dei telegiornali, bensì quella mediatica, di cui potremo parlare in un altro momento.
Le proposte che avevamo sul campo, di fare qualcosa di serio, sono state eluse con un decreto che, invece, sicuramente non risolve il problema ma ne crea altri.
Noi non vogliamo abituarci a questa maniera di governare: non vogliamo e non siamo abituati! Sono certo che neanche gli italiani vorranno abituarsi a questo Governo e a questa maniera di fare e lo dimostreranno esprimendo la sfiducia a questa maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. L'onorevole Gasperoni ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/66.

PIETRO GASPERONI. Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, anche con questo ordine del giorno si cerca di sollevare, ancorché del tutto parzialmente, quei temi che il libero confronto parlamentare avrebbe potuto e dovuto consentirci di fare in maniera ben più approfondita. Ma si è voluti ricorre alla fiducia e, quando ciò accade, lo si fa o perché i


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tempi per la conversione del decreto sono talmente ristretti che la battaglia di opposizione potrebbe impedirne la conversione, oppure perché il Governo non si fida della propria maggioranza. Questa seconda mi sembra proprio la situazione nella quale ci si trova e la ragione per la quale è stata posta la fiducia.
Ma la verifica non era ormai conclusa, o temevate un secondo tempo delle difficoltà emerse sulla legge Gasparri? La verità è che siamo in presenza di un classico esempio di interessi privati in luogo pubblico! Troppo importante questo provvedimento per gli interessi economici, anche personali, del Presidente del Consiglio, da poter fallire. Che l'interesse ci sia, è tanto vero che il Presidente del Consiglio, almeno così informò il paese, non avrebbe partecipato alla riunione del Consiglio dei ministri in cui si varava il decreto.
In questi giorni, molti esponenti della maggioranza hanno sostenuto l'argomento secondo cui questo Governo è più virtuoso di quelli di centrosinistra, dal momento che Prodi ricorse molte più volte al voto di fiducia di quanto stia facendo il Governo Berlusconi. Guardate, ciò è emblematico del modo mistificatorio con cui trattate la verità. Se il dato quantitativo non è accompagnato dal contesto, si manomette la verità, perché se si omette di dire, cari colleghi della maggioranza, che al momento dell'insediamento del Governo Prodi vi erano 80 decreti che si trascinavano da anni e che era intervenuta nel frattempo una sentenza della Corte costituzionale con cui si impediva la possibilità di reiterare i decreti non convertiti nei 60 giorni prestabiliti, si altera la verità.
Questa è ormai per voi pratica costante: un misto di arroganza e mistificazione, così come arrogante e prepotente è questo decreto!
Ma dov'è finito il principio di eguaglianza tra i cittadini e tra le imprese? Ma perché mai il Parlamento è costretto ad impegnarsi così intensamente per un'azienda - Retequattro - e non trova 180 secondi per le decine di grandi aziende in crisi nel nostro paese, nelle quali sono a rischio decine di migliaia di posti di lavoro?
Ebbene, a queste decine di migliaia di lavoratori ed intere famiglie che vivono con drammaticità l'incertezza del futuro, voi rispondete paralizzando il Parlamento per garantire la sopravvivenza di Retequattro: mi sembra proprio un bel risultato, quello che state proponendo al paese!
Sappiate però che quei milioni di italiani che avete ingannato con l'illusione del miracolo economico, del «sarete tutti più ricchi», non tarderanno a punirvi sonoramente e, forse, lo faranno ancora prima di quanto vi aspettiate!

PRESIDENTE. L'onorevole Giacco ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/67.

LUIGI GIACCO. Signor Presidente, mi accingo ad illustrare l'ordine del giorno sul decreto che più propriamente dovrebbe essere definito «salva Retequattro».
Ho la sensazione che la maggioranza faccia finta di non aver capito il pluralismo come un valore fondante della Carta costituzionale repubblicana e di non saper ascoltare il messaggio del Presidente della Repubblica.
È evidente che il decreto-legge è una risposta alla sentenza della Corte costituzionale, la quale stabiliva che, al 31 dicembre 2003, Retequattro sarebbe dovuta andare sul satellite.
Si torna a respirare in quest'aula l'aria della legge Cirami, del falso in bilancio, quella del rientro dei capitali dall'estero e dei condoni.
Il decreto-legge non accoglie nessun richiamo dell'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato. Mi chiedo: perché non procedere ad una legge rispettosa del pluralismo che consenta l'ingresso di nuovi operatori della comunicazione? Forse, perché sono in ballo 20 milioni di euro al mese, cioè 240 milioni di euro l'anno per le casse di Mediaset! Il decreto-legge in esame, adottato dal Consiglio dei ministri e firmato dal Presidente del Consiglio,


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produce mille e 300 milioni di vecchie lire al giorno al presidente Berlusconi.
L'arroganza di questo Governo non ha limiti, tanto da umiliare la maggioranza, obbligandola a votare la fiducia posta su un provvedimento che nasconde soltanto un bieco interesse economico.
La legge vigente definisce rete «nazionale» quella che copre l'80 per cento del territorio e il 90 per cento della popolazione. Cosa prevede invece il decreto-legge in esame? Dal momento che la definizione di «nazionale» sembrava impossibile da realizzare in un lasso di tempo così breve, esso muta il concetto di nazionale, prevedendo che una rete sia definita tale se copre il 50 per cento della popolazione ed il 20 per cento del territorio del paese.
Credo che, in base a tale definizione, occorrerà cambiare il dizionario della lingua italiana, laddove per nazionale si intende qualcosa che riguarda la nazione e non un quinto del territorio o la metà della sua popolazione.
Infine, mi permetto un'ultima considerazione: mentre Retequattro, grazie a questo decreto-legge, non va sul satellite, alla data del 31 dicembre 2003, la televisione di strada, Disco volante, di Senigallia, di cui mi onoro di essere presidente, costituita e gestita da una cooperativa di disabili, nel mese di luglio 2003 è stata chiusa dalla polizia postale.
Tutto ciò è inaccettabile; è politicamente indecente (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Grillini ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/68.

FRANCO GRILLINI. Molti colleghi hanno già sottolineato, ed anch'io lo voglio ribadire, l'anomalia di un voto di fiducia che ha impedito non solo una serena e franca discussione parlamentare sul decreto-legge che riguarda una delle televisioni di proprietà personale del Presidente del Consiglio, ma, soprattutto che un voto segreto mettesse a repentaglio la permanenza di Retequattro su una frequenza terrestre che non gli appartiene.
Sulla questione si sta perpetrando una violazione della sentenza della Corte costituzionale che non ha pari nei parlamenti occidentali.
Berlusconi ha affermato che la Corte è dominata da giudici di sinistra. Ha fatto anche i numeri: dieci a cinque. Non so come faccia a saperlo (o in base a quale considerazione lo affermi). Lo si legge nelle agenzie di stampa di poche ore fa. Pertanto, pare di capire, le sentenze non valgono e non si rispettano.
Con una personalissima interpretazione della legalità, Silvio Berlusconi ci annuncia che rispetta e rispetterà solo le sentenze emesse da una Corte, magari nominata da sé medesimo, a sua immagine e somiglianza, ovviamente, e ad immagine e somiglianza dei suoi personalissimi interessi, quegli interessi che hanno portato nelle casse Mediaset, grazie a Retequattro, ben 163 milioni di euro in pubblicità, negli ultimi mesi.
Berlusconi è l'uomo più ricco d'Italia. È il settimo uomo più ricco del mondo. Basterebbe tale considerazione ad evidenziare il gigantesco conflitto di interessi di chi siede su di una montagna di denaro e ne cura la solidità dalla poltrona di Presidente del Consiglio.
Non interessi collettivi, quindi, non interessi del paese, non il bene pubblico, ma il proprio personalissimo tornaconto. Che tale tornaconto sia diventato molto indigesto a buona parte del paese e, soprattutto, sia diventato insopportabile ad una parte della maggioranza è sotto gli occhi di tutti.
Anzi, il fastidio è talmente evidente che, già in occasione della discussione della legge Gasparri, il Governo ha rischiato la clamorosa bocciatura, in sede di esame di pregiudiziali di costituzionalità. In tale occasione, 42 esponenti della maggioranza hanno votato con l'opposizione, a mio parere consapevoli che il Governo poteva subire una sconfitta definitiva. Ecco quindi che il Presidente del Consiglio, con il voto di fiducia, si difende, in primo luogo, dalla propria maggioranza, una parte della quale comincia a pensare seriamente


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ad un'ipotesi di ricambio, ad una alternativa ad una gestione padronale, aziendale della maggioranza stessa.
Forse non è un caso che Silvio Berlusconi si prepari a «cannibalizzare» i suoi alleati alle prossime elezioni, come il conte Ugolino di dantesca memoria.
Voglio approfittare di questo intervento e dell'opportunità che abbiamo di prendere la parola per sottolineare un punto che mi sta particolarmente a cuore: il controllo monopolistico sull'insieme dei media televisivi esercitato, di fatto, dal Presidente del Consiglio.
Nel mondo vi è un solo caso analogo, che, ovviamente, ha preso esempio dall'originale: quello del premier thailandese che controlla anch'egli i media del suo paese, grazie ai quali ha creato, in poco tempo, un partito simile, in tutto e per tutto, a Forza Italia. Ma tale paese non è certo un esempio di democrazia e di libertà.
Anche in Italia il monopolio di fatto delle televisioni controllate direttamente o indirettamente dal Governo e dal premier rende sempre più difficile, se non del tutto assente, l'informazione che, per esempio, riguarda le minoranze. Di tale clamorosa censura, di fatto, ne abbiamo avuto una riprova sabato scorso, quando una grande ed emozionante manifestazione organizzata a Roma dall'ARCI Gay il giorno di San Valentino - una manifestazione che ha visto il più grande bacio collettivo della storia d'Italia e che rivendicava il rapido esame e l'approvazione della proposta di legge del PACS, del patto civile di solidarietà - è stata ignorata da tutti i telegiornali di prima serata. Il massimo della censura è stato raggiunto da un telegiornale delle reti Mediaset, che ha parlato delle manifestazioni analoghe in altre parti del mondo, ignorando completamente quella che si era tenuta, con grande successo, in Italia. D'altra parte, i diritti delle persone omosessuali sono ormai ignorati sistematicamente dai Tg della televisione pubblica e di quella privata. Quando si parla di omosessualità non c'è nemmeno il famoso « panino », quello del TG1, perché viene data voce solo agli omofobi ed ai razzisti di turno.
Ecco perché è giusto dare corso alle decisioni della Corte costituzionale in difesa di un vero pluralismo, senza il quale non c'è né libertà né democrazia, ma solo democrazia truccata (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Guerzoni ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/69.

ROBERTO GUERZONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho chiesto di intervenire per illustrare l'ordine del giorno a mia firma, ma, visto l'andamento della discussione ed anche l'ora, oltre che la caduta di interesse del ministro, penso sia opportuno non solo illustrare l'ordine del giorno, ma leggerlo integralmente.
«La Camera, premesso che, il decreto-legge in questione emanato a seguito del messaggio presidenziale di rinvio al Parlamento della legge di riforma del sistema radiotelevisivo e della concomitante scadenza del termine indicato nella sentenza della Corte costituzionale per porre fine alla situazione di indebita concentrazione delle frequenze radiotelevisive e la conseguente limitazione del pluralismo nel sistema d'informazione, prevede una procedura volta a verificare se le opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali possano consentire la coesistenza di un numero crescente di operatori nazionali, superando l'ormai anacronistico duopolio italiano; nel nuovo sistema di trasmissione radiotelevisiva offerto dall'avvento delle tecnologie digitali si profila la possibilità di un programma di razionalizzazione e risanamento del territorio dalla presenza di una miriade di impianti che deturpano il passaggio e soprattutto rischiano di produrre conseguenze negative sulla salute delle popolazioni: impegna il Governo a favorire e sostenere iniziative di razionalizzazione della diffusione degli impianti sul territorio nell'interesse prioritario della salvaguardia della salute delle popolazioni


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e della tutela del paesaggio, nonché ad inviare una relazione trimestrale al Parlamento sullo stato di distribuzione sul territorio degli impianti di trasmissione radiotelevisiva, con particolare riguardo al territorio della regione Veneto».
Signor ministro, qualcuno potrebbe chiedersi se sia possibile intervenire, in modo così forte, con un ordine del giorno che pone una questione che, tra l'altro, è analoga a quella posta per l'Emilia Romagna, regione dalla quale provengo.
Rispondo come hanno fatto i miei colleghi precedentemente. Era possibile fare qualcosa di diverso di fronte al fatto che il Governo ha deciso di porre la fiducia sul decreto-legge al nostro esame? Il Governo ha deciso, in qualche modo, non per ragioni tecniche ma per ragioni politiche, di coartare non soltanto la libera dialettica parlamentare, nel confronto tra maggioranza opposizione, ma gli stessi orientamenti e posizioni che potevano venire dalla sua maggioranza, della quale, evidentemente, non si sente sicuro.
Non c'è nessun'altra ragione che può spiegare questo voto di fiducia su un decreto-legge, che, tra l'altro, riguarda gli interessi dell'azienda del Presidente del Consiglio. Credo che, di fronte ad un atto di pervicacia di tal genere, come quello che il Governo ha compiuto nel porre la fiducia, non vi possa che essere l'utilizzo di tutte le forme di protesta e di opposizione che il regolamento ci consente nella battaglia parlamentare.
Questa è stata la nostra scelta. Una scelta, in sostanza, alla luce del sole per dire che non è possibili continuare con un Governo che decide sempre di mettere al primo posto non gli interessi generali del paese ma gli interessi particolari. La stessa urgenza noi non l'abbiamo ritrovata quando, nelle settimane che ci hanno visto impegnati di fronte a crisi aziendali difficilissime, come quella delle acciaierie di Terni, non vi è stata da parte del Governo alcuna iniziativa adeguata.
Ebbene, la nostra è una posizione di battaglia dura perché questo decreto non sia convertito e perché possa di nuovo esservi nel paese una politica delle telecomunicazioni ispirata a principi di pluralismo e libertà (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. L'onorevole Kessler ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/70.

GIOVANNI KESSLER. L'ordine del giorno presentato intende impegnare il Governo a favorire e a sostenere iniziative di razionalizzazione della diffusione di impianti e di tecnologie digitali sul territorio, nell'interesse prioritario della salvaguardia della salute delle popolazioni e della tutela del paesaggio.
Chiediamo queste verifiche puntuali da parte del Governo e le chiediamo con lo strumento dell'ordine del giorno, anche perché ci sono stati impediti altri strumenti ben più efficaci, come gli emendamenti.
La legge di conversione del decreto-legge ha deciso, con una logica del tutto singolare, di cambiare la definizione di reti a copertura nazionale, prevedendo che una rete venga definita nazionale se copre il 50 per cento della popolazione, ovvero il 20 per cento del territorio del paese, quando la legge vigente, peraltro conformemente alla logica ed anche alla lingua italiana, prevede che una rete si possa definire nazionale quando copre almeno l'80 per cento del territorio ovvero il 90 per cento della popolazione.
Una ben ordita innovazione è, dunque, quella messa in atto da questo decreto-legge, un'innovazione del concetto di rete nazionale e un aggiramento del dizionario della lingua italiana, al solo scopo di salvare Retequattro del gruppo Mediaset del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, per salvare una posizione monopolistica, che, ormai, già la Corte costituzionale aveva dichiarato non più accettabile. Per questa via, dunque, si dà un colpo ulteriore e mortale al pluralismo televisivo ed in generale a quello dell'informazione, la cui mancanza rischia, ogni giorno di più, di compromettere i caratteri stessi del nostro sistema politico e democratico. Una


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preoccupazione diffusa in tutto il paese, quella sulla mancanza del pluralismo e confermata autorevolmente dal Presidente della Repubblica nel messaggio di rinvio alle Camere della stessa legge Gasparri.
Non discutiamo, quindi, di una norma che definisce, in modo più o meno tecnico, i criteri distributivi e regolativi del sistema delle telecomunicazioni, quanto piuttosto di una questione centrale di alto valore democratico che definisce il rapporto tra pluralismo e concorrenza, così come anche ricordato dall'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato.
Quella che si realizza con questo decreto-legge è una forma di tutela del monopolio del Presidente del Consiglio dei ministri e delle sue aziende, attuato, oltre che mediante una modifica della lingua italiana per decreto, con un aggiramento e con un annullamento di una sentenza della Corte costituzionale che aveva posto un termine alla sussistenza di questo monopolio.
Abbiamo un ulteriore esempio di come questa maggioranza, questo Governo e il suo Presidente, il suo padrone, riesca, a colpi di leggi che vengono imposte al Parlamento, a modificare la realtà a suo uso e consumo. Ma qual è allora la libertà che vuole tutelare questa Casa delle libertà? Quali sono le libertà della Casa delle libertà? Le libertà di monopolio, le libertà degli interessi del monopolista più grande d'Italia e d'Europa, il capo della Casa delle libertà (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. L'onorevole Lulli ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/72.

ANDREA LULLI. Siamo qui ad illustrare i nostri ordini del giorno, il mio analogo a tanti altri, per compiere una testimonianza di libertà. Lo vogliamo fare senza iattanza, con civile compostezza, ma con altrettanta fermezza. Vogliamo difendere la dignità delle istituzioni democratiche e testimoniare la libertà dell'azione parlamentare. È una ribellione civile contro l'arroganza di un Governo mediocre che sta danneggiando il nostro paese. Non importa quante emergenze vi siano qui da noi, non importa se i lavoratori perdono il lavoro, se il salario è ormai a livelli vergognosi, se i giovani non riescono a trovare occupazioni degne, se le famiglie hanno la preoccupazione di arrivare a fine mese e, soprattutto, l'angoscia di non capire in quale paese potranno vivere i propri figli.
C'è una sola ossessione che domina tutto e si tratta dell'ossessione della difesa strenua degli interessi del padrone della coalizione di maggioranza, cui tutto il resto è subordinato, perfino il decoro nel dibattito parlamentare, persino il ruolo dei deputati della maggioranza, ai quali viene negato lo svolgimento di un confronto civile e serrato in difesa delle proprie opinioni, dal quale certamente potrebbe scaturire qualcosa di più avanzato, una proposta migliore anche per le cose che qui stiamo discutendo. E invece no, invece si pone la fiducia perché c'è l'interesse superiore, la difesa dell'interesse del Presidente del Consiglio e delle sue aziende.
Non siamo solo dinanzi ad un generico conflitto di interessi: siamo dinanzi all'idea che chi vince può prendere tutto, chi vince può decidere della prospettiva dei propri interessi personali o di azienda. Non conta il resto. Non conta se vi sia la necessità, anche nel campo dell'informazione, di procedere ad innovazioni, allargare il mercato, fronteggiare una competizione globale, dare la possibilità di crescere ad intere generazioni che possano esercitare l'attività intellettuale ed imprenditoriale. Ciò non interessa, perché l'interesse generale del paese non è il primo punto a cui si fa riferimento nello svolgimento del programma del Governo.
A dispetto di tutte le promesse ed i miracoli e con la cornice azzurra di miraggi incartapecoriti che nessun lifting potrà coprire a lungo dal ridicolo, il padrone non concede neppure ai partiti della maggioranza la possibilità di correggere il proprio programma, prendendoli in giro in una verifica lunga che fa impallidire tutti


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i balletti, così tanto ironizzati, della prima Repubblica che, al cospetto di questa, era di ben altra levatura.
È veramente avvilente assistere alla mortificazione del dibattito parlamentare. Non si tratta del numero richiesto di «voti di fiducia»; si può porre la questione di fiducia quando si è convinti di portare al paese le proprie opinioni nel nome dell'interesse generale, di chi lavora, di chi vive, di chi ha bisogno dello Stato. Il problema è che la gran parte dei «voti di fiducia» posti si richiedono sull'interesse di una singola azienda, di un singolo gruppo.
Qual è la libertà? La libertà di concorrenza, la libertà di mercato? Qual è il pluralismo? Avere qualche minuto per l'opposizione nelle televisioni di Stato, nelle reti Mediaset? No! Il pluralismo è quando si consente a più imprese di competere sul mercato, quando si accetta la sfida della competizione, non quando la si coarta, non quando si pensa prima di tutto a se stessi e poi si danno le briciole agli altri. Così si mortificano le professionalità... (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Grazie onorevole Lulli, lei ha finito il tempo a disposizione.
L'onorevole Lumia ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/73.

GIUSEPPE LUMIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, al ciclo delle impunità si accompagna quello degli affari. Il decreto-legge varato dal Governo e sostenuto dal centrodestra lacera ancora una volta la fitta trama della democrazia. È un decreto che si impone con arroganza sulla vita parlamentare ed anche sulla vita sociale ed economica del paese. Il più delle volte il conflitto politico è il sale della democrazia. Il conflitto democratico libera risorse, aiuta la politica ad esprimere più progettualità, più capacità di dialogo e di ascolto con i cittadini e gli interessi legittimi presenti nella società, migliora la cultura di governo della maggioranza e dà senso alla stessa funzione insostituibile dell'opposizione.
Naturalmente il conflitto, per essere virtuoso e capace di migliorare il paese, ha bisogno di esprimersi in una competizione reale sulla ricerca del bene comune. Sino adesso avete trascinato il Parlamento su un terreno velenoso per la vita democratica: l'impunità e gli affari del Presidente del Consiglio.
Colleghi, lo spazio televisivo deve essere uno spazio di libertà, di pluralismo, di crescita culturale e sociale per tutti gli italiani. È una grande risorsa per contribuire a dare una buona identità al paese e valore positivo alla crescita della società. Ma per essere una grande risorsa deve essere gestito con grande rigore e lealtà democratica. Voi state trasformando questo spazio in un luogo ristretto, servile, umiliante per le tante ed ottime professionalità e competenze presenti nel sistema televisivo.
Con la scuola pubblica state mettendo in crisi un forte pilastro della nostra comune identità, che ci porta ad essere un paese coeso ed innovativo. State contribuendo a realizzare con la cosiddetta devolution lo stesso meccanismo di frantumazione della nostra identità. Per l'unità del paese lasciate lo spazio residuo di una televisione mediocre, priva di pluralismo, di creatività, di cultura critica e di libertà.
Impunità ed affari sono dannosi e mortificano anche la politica, la vostra politica, anche le competenze e le funzioni dei vostri partiti e gruppi parlamentari, trascinati su un terreno privo della funzione nobile della politica.
Con il ritiro dall'Assemblea della cosiddetta legge Gasparri, rinviata in Commissione, con il voto di fiducia espresso poche ore fa in aula, siete costretti, ancora una volta, a fuggire dal Parlamento, a fuggire dalle vostre responsabilità, dal ruolo che il paese vi ha assegnato: governare per ricercare il bene comune. La fiducia su questo decreto-legge sarà certo un favore agli affari di Berlusconi, ma sarà anche una ulteriore tappa verso la vostra sconfitta democratica. Sarà compito nostro evitare che si trasformi in una ulteriore tappa del degrado della vita pubblica


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ed istituzionale del nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Mancini ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Luongo n. 9/4645/74, di cui è cofirmatario.

GIACOMO MANCINI. Mentre il paese reale sta attraversando un lungo periodo di grave crisi, testimoniato dalle difficoltà che incontrano le famiglie italiane nella propria vita quotidiana, il Governo della destra occupa il Parlamento con l'approvazione di un decreto-legge che ha lo scopo di salvare una televisione di proprietà del Presidente del Consiglio e consentire ad essa di proseguire le sue trasmissioni.
Non sta a me criticare - lo hanno già fatto bene i tanti colleghi che sono intervenuti prima di me e bene lo faranno quelli che interverranno dopo - il deprecabile strumento del ricorso al voto di fiducia. Mi associo alle critiche espresse. Voglio però evidenziare in maniera critica il fatto che l'agenda del Parlamento sia stata occupata dal Governo con questi problemi, distogliendo l'attenzione dai veri problemi dei cittadini ed impedendo agli italiani che venga loro concessa quella fiducia di cui giustamente parla il Presidente della Repubblica.
Un Governo serio dovrebbe avere il compito di stilare una agenda che abbia l'obiettivo di aumentare e migliorare la qualità della vita ed aumentare le opportunità dei cittadini che governa. Al contrario, questo Governo rimane in silenzio sui problemi reali, non interviene per risolvere gli interessi dei cittadini ed occupa il proprio tempo ed il tempo di parlamentari per approfondire e risolvere gli interessi di una circoscritta cerchia di personaggi ben individuati.
Poco e niente si è fatto per risolvere il problema che riguarda tutte le famiglie italiane, quello dell'aumento del costo della vita; nessun provvedimento è stato varato. Nessun provvedimento è stato varato per migliorare la sanità nel paese e per dare risposte a quei medici e paramedici che richiedono attenzione per i tanti cittadini italiani che ricorrono agli ospedali ed alle strutture private. Poco e niente è stato fatto anche per aumentare gli investimenti per l'innovazione, la formazione, la ricerca, che potrebbero rappresentare alcune delle poche possibilità per il nostro paese di diventare competitivo con i nuovi paesi che dal 1o maggio 2004 entreranno nell'Unione europea.
Su questi temi, su quello del costo della vita, sulla sanità, sull'amministrazione della giustizia, sull'innovazione e la formazione, poco o niente è stato fatto. Anzi, quel poco che è stato proposto è andato nel senso opposto. Le opportunità per i cittadini sono diminuite e sono aumentati i privilegi per alcuni. Gli interessi dei molti sono stati in qualche modo messi da parte per curare e preservare gli interessi e i privilegi di pochi.
Il fatto che oggi discutiamo di un provvedimento che ha l'unica valenza e l'unico obiettivo di tutelare il patrimonio personale del Presidente del Consiglio del nostro paese è l'ennesima dimostrazione di quanto poco si faccia nell'interesse del paese e di come si lavori nella direzione dell'interesse di pochi.
Per questo critichiamo con forza questo provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Maran ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Manzini n. 9/4645/75, di cui è cofirmatario.

ALESSANDRO MARAN. La decisione del Governo di porre la fiducia sul decreto «salva Retequattro» non è che un'altra prova di forza e un altro strappo al quale gli alleati del Presidente del Consiglio si sono dovuti adeguare. Tutti quelli che nella maggioranza non erano d'accordo si sono dovuti alla fine otturare il naso. Gli assenti hanno dovuto presentarsi, i franchi tiratori dovranno attendere un'altra occasione, la prossima.
A dire il vero ci siamo ormai abituati a questo modo di governare. Le uniche riforme


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che il centrodestra riesce a portare a casa sono solo quelle che in qualche modo toccano gli interessi del Presidente del Consiglio, siano essi personali, aziendali o di lungo periodo.
Le riforme tante volte annunciate possono aspettare. Ciò su cui non si transige sono gli interessi del premier. Su questo ogni mezzo e ogni scorciatoia sono buoni. Rimarrebbe da chiedersi quanto a lungo la coalizione di centrodestra possa farsi prendere per il naso, ma credo che a questo punto basti aspettare.
Il bello è che nessuno in linea di principio è contro un decreto che tampona il vuoto che si è creato dopo la bocciatura della legge Gasparri da parte del Capo dello Stato. I nostri emendamenti sono lì a testimoniarlo. Ma, naturalmente, vorremmo che nel Parlamento si aprisse la discussione seriamente e venisse sanato quel vulnus costituzionale che ha indotto il Quirinale a rinviare il provvedimento alla Camera. Non è un mistero per nessuno che un decreto-legge approvato sulla base di un voto di fiducia certo non favorisce la discussione necessaria, anzi suona come un de profundis per la Gasparri e per qualsiasi sua nuova versione emendata. Infatti, una volta garantito che Retequattro continuerà le sue trasmissioni in chiaro, chi si è visto si è visto, almeno fino alle elezioni, e i conti, soprattutto quelli all'interno della maggioranza, si faranno dopo! Quel che rimane, tuttavia, è la necessità insoddisfatta di offrire una risposta giudicata costituzionale che ci chiede una legge che riporti il pluralismo nel sistema televisivo.
La tendenza alla concentrazione del mercato televisivo è comune a tutti i paesi europei e in buona misura anche al più vasto mercato nordamericano. In tutti i paesi europei i primi quattro canali raccolgono la gran parte dell'audience e degli introiti pubblicitari, ma l'Italia rappresenta un caso estremo perché la concentrazione del settore televisivo deriva dalle modalità di concorrenza tra reti generaliste finanziate con la pubblicità e non dall'insufficiente disponibilità di frequenze per la trasmissione.
L'Italia rappresenta un caso estremo anche per la presenza di due gruppi multicanale, che con una programmazione coordinata riescono a massimizzare l'audience e a rendere più difficile l'entrata di nuovi canali in segmenti non coperti dal mercato. Su questa struttura particolarmente concentrata si innesta un meccanismo di assetti proprietari, pubblici e privati, molto concentrati. Il problema del pluralismo richiede, quindi, di affrontare la forte concentrazione proprietaria di mercato del duopolio attuale.
Il principale obiettivo della legge Gasparri, quello di rispondere alla fondamentale esigenza di pluralismo e di imparzialità dell'informazione, resta ancora da raggiungere. Da qui nascono gli ordini del giorno che cerchiamo di proporre per sollevare questa esigenza.
Ci sarebbe ancora un altro aspetto da aggiungere e mi limito a farlo molto rapidamente. La stessa attenzione che ottiene Retequattro la meriterebbero moltissimi casi di crisi aziendali. Ne cito uno in particolare: quello dei lavoratori delle imprese di spedizioni internazionali. Gli spedizionieri doganali, e le loro famiglie, di otto Stati dell'Europa centrale e orientale e di due Stati del bacino del Mediterraneo - siamo tornati su questa questione molte volte - con l'abolizione delle barriere doganali conseguente all'adesione all'Unione europea, dal 1o maggio prossimo rischiano il posto di lavoro e aspettano che l'intervento del Governo si concentri sulle misure necessarie ad affrontare quella crisi, sperando addirittura che il Governo conceda loro la possibilità di un incontro per discutere delle misure necessarie. Ma forse quei lavoratori, che non sono dipendenti di Mediaset, agli occhi del Governo sono figli di un dio minore e non meritano l'interesse che l'azienda del premier naturalmente costringe loro a rivolgere. È evidente a tutti che quei lavoratori e le loro famiglie coinvolti in questa crisi sapranno a loro volta giudicare l'operato del Governo (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).


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PRESIDENTE. L'onorevole Raffaella Mariani ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Paola Mariani n. 9/4645/76, di cui è cofirmataria.

RAFFAELLA MARIANI. È con un senso di umiliazione che dobbiamo affrontare l'argomento questa sera e riferire alcune delle questioni che fanno il punto negli ordini del giorno presentati su questioni specifiche.
Nessuno di noi riesce ad evitare una discussione più generale sul senso delle cose che stiamo facendo in questo momento con questo decreto-legge. Negli interventi e negli interrogativi di tutti i miei colleghi ho potuto cogliere una grandissima difficoltà rispetto al tema di cui stiamo discutendo. Siamo reduci dall'esame della legge finanziaria ma anche di altri provvedimenti importanti degli ultimi mesi e abbiamo più volte sollecitato il Governo ad intervenire su questioni contingenti che riguardavano stanziamenti di cifre in grado di dare veramente sollievo a situazioni occupazionali e sociali disastrose e ad un'emergenza ben superiore a quella del decreto-legge di cui stiamo trattando.
Purtroppo, si sono fatte «orecchie da mercante» e si è creato un clima di distanza e di distacco totale dalle questioni reali e concrete del paese. Si continua, seppur nella demagogia, perché tutti noi ci troviamo a sentire discussioni, soprattutto da parte della destra sociale, che fanno riferimento a problemi locali, a volte molto concreti ed urgenti, ma rispetto ai quali non si trovano le soluzioni.
Si fa sempre riferimento a una crisi, ad una situazione economica disastrosa, a colpe che provengono dai Governi precedenti, senza assumersi la responsabilità del momento. Su questo tema, invece, l'ipocrisia è veramente eclatante. Su questo argomento non ci sono famiglie, non ci sono pensionati, non ci sono lavoratori, non ci sono disoccupati: non c'è niente che tenga. Si riconoscono i fattori di urgenza e le questioni di emergenza e si riconosce anche che queste debbano avere la priorità, al punto da chiedere la fiducia; quindi su questo argomento si taglia ogni possibilità di discussione.
Ci si arrende e si mette in campo un'arrendevolezza che effettivamente da parte della maggioranza è inquietante.
I miei colleghi hanno indicato le cifre che fanno riferimento ai guadagni del Presidente del Consiglio e della sua famiglia e sono cifre che veramente fanno tremare i polsi. Penso che, paragonate alle esigenze delle diverse e numerosissime categorie del paese che si trovano in difficoltà, possono sembrare uno schiaffo veramente indecente e possono comunque anche far ragionare sulla impossibilità della maggioranza di reagire. Capisco che cifre di questo genere non possono che provocare imbarazzo, ma anche incapacità di avviare qualsiasi polemica e discussione.
La discutibilità dell'utilizzo della fiducia di fronte ad un paese che chiede provvedimenti urgenti su questioni concrete è palese. Penso che qualsiasi cittadino, anche il più scoraggiato dall'atteggiamento e dalla discussione politica che stiamo svolgendo in questo momento, abbia colto il senso della questione e abbia potuto giudicare con piena consapevolezza che stiamo percorrendo un binario che ci allontana completamente dalla discussione sui temi concreti della realtà del paese.
Penso che non abbiamo più bisogno di spiegare questo argomento: saremmo demagogici anche noi se continuassimo a ripetere questioni che ormai i cittadini hanno compreso benissimo. Ciascuno di noi conosce il territorio, incontra i cittadini e si sente ripetere come un ritornello che ormai non si può più tollerare un atteggiamento di questo genere, non solo dal premier, che ovviamente fa i suoi interessi, ma da una maggioranza che lo sostiene senza un minimo di critica, senza un momento di riflessione, senza poter esternare in maniera concreta e chiara le proprie posizioni, anche per contraddire proposte alcune volte veramente indecenti.
Oggi i cittadini si interrogano anche su come il decreto-legge affronti con coerenza i nodi della concorrenza, le regole dell'antitrust, il rispetto del pluralismo informativo e anche la correzione di tutte


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quelle storture del sistema che in questo momento sono state evidenziate da una serie di atteggiamenti del Governo e della maggioranza che sono diventati intollerabili per i cittadini (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Mariotti ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/77.

ARNALDO MARIOTTI. Signor Presidente, colleghi, prendo la parola per illustrare un ordine del giorno che impegna il Governo sulla corretta diffusione degli impianti sul territorio per tutelare l'ambiente e la salute dei cittadini, ma anche per assicurare a tutti la fruizione di un servizio pubblico nel principio del pluralismo. Tuttavia, voglio prima fare qualche considerazione a premessa di questo ordine del giorno.
Il Governo ha posto il voto di fiducia sull'approvazione senza emendamenti ed articoli aggiuntivi di questo disegno di legge di conversione così come è stato licenziato dal Senato. La motivazione formale, ripetuta anche oggi dal ministro Gasparri, è quella legata a ragioni tecniche. Su queste ragioni «tecniche» verrebbe da pensare che si tratti di impedire che la decadenza del decreto-legge avvenga prima della sua conversione da parte del Parlamento. Oggi siamo al 18 di febbraio; il decreto dovrebbe scadere il 27 febbraio. Quindi noi avremmo avuto i tempi necessari per convertire in legge questo decreto ed anche gli altri che sono all'ordine del giorno dell'Assemblea.
Voglio ricordare, a me stesso e a tutti, che questa Camera dalla ripresa delle festività natalizie lavora a malapena due giorni alla settimana, non perché i parlamentari non si presentino, ma perché il Governo, a causa di una verifica interminabile, non riesce a portare in questo consesso i provvedimenti veri che interessano il paese, per farli discutere ed approvare.
I motivi tecnici sono quindi prettamente politici, e ne voglio richiamare due. Il primo è che, di fronte agli interessi economici del Presidente del Consiglio dei ministri e della sua famiglia, non è tollerabile e non è pensabile alcun rischio. Il secondo motivo è che oramai molti colleghi della maggioranza, come dimostrato nelle votazioni segrete sulla legge per il riassetto del sistema radiotelevisivo, non sono più disponibili a sostenere gli interessi privati in atti d'ufficio del Capo del Governo.
Si tenta allora di imbavagliare l'opposizione e si tenta di impedire alla maggioranza di esprimersi senza vincolo di mandato ed in piena coscienza. Voi, cari colleghi della maggioranza, fate come volete; noi dell'opposizione, invece, non ci vogliamo fare imbavagliare.
Questo è il senso dei nostri interventi, che chiaramente hanno un significato ostruzionistico, che continueremo fino a quando il regolamento ce lo permetterà. Naturalmente lo facciamo non per parlare a voi, che sappiamo non avete alcuna voglia o interesse ad ascoltarci, ma per parlare al paese. Vogliamo parlare a quel paese reale che non pensa di rifarsi una faccia nuova ogni inizio anno come fa il Presidente del Consiglio dei ministri, perché impegnato a barcamenarsi per arrivare a fine mese con un salario falcidiato dall'inflazione e, quando va peggio, come accade nelle tante fabbriche in crisi, a cercare di difendere il posto di lavoro con la palpitazione di cuore, sapendo che è l'unica fonte di reddito.
Con l'ordine del giorno a mia firma chiedo al Governo di razionalizzare la diffusione degli impianti sul territorio della regione Abruzzo in modo particolare. Il primo obiettivo di questo ordine del giorno è tutelare la salute delle popolazioni sottoposte all'inquinamento elettromagnetico, in diversi casi, in particolare quello del quartiere San Silvestro di Pescara, che il ministro Gasparri conosce benissimo, perché quando era all'opposizione faceva il capopopolo, pilotando i comitati di agitazione; questo quartiere è sottoposto ad un intenso inquinamento di onde elettromagnetiche. La stessa cosa capita a gran parte della città di Vasto. Vi voglio poi citare il caso di un piccolo


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comune, Schiavi d'Abruzzo, all'interno della provincia di Chieti, nel quale si registra l'assurdità più acuta. I cittadini di questo comune non riescono a ricevere il segnale di RAI 3 e, quindi, a vedere il telegiornale regionale, ma sono fortemente inquinati dalle emissioni radiotelevisive delle antenne degli impianti di Mediaset.
Con questo ordine del giorno noi chiediamo al Governo un impegno concreto per razionalizzare la diffusione degli impianti, per tutelare l'ambiente e difendere gli interessi e la salute dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Martella ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/78.

ANDREA MARTELLA. Signor Presidente, fino a qualche giorno fa c'era da pensare che la maggioranza, dopo i fallimenti che sono sotto gli occhi di tutti i cittadini e dopo trecento giorni di verifica mai conclusa, avesse esaurito la sua spinta, non esistesse più politicamente, ma almeno avesse i numeri per andare avanti, per sopravvivere, per galleggiare o per continuare a vendere qualche inganno. Ieri, con la richiesta del voto di fiducia, ed oggi, con il voto, si è esplicitamente ammesso che questo Governo, che pure aveva messo insieme tanti interessi (che però non è riuscito a trasformare in consensi), non ha neanche più i numeri o, perlomeno non si fida dei propri numeri e della propria maggioranza, così come i partiti che compongono la maggioranza non si fidano l'uno dell'altro.
Per fortuna, sta emergendo con nettezza che anche il paese non si fida più di questo Governo, per le promesse tradite, certo, per gli impegni non mantenuti, ma, soprattutto, non si fida della capacità del Governo di uscire dalla crisi in cui ha gettato il paese.
Certo, con il voto di oggi avete evitato i franchi tiratori, ma avete anche dimostrato di non avere più un accordo politico e di non avere neanche i numeri per continuare a stare assieme, nonostante i cento voti di differenza a vostro favore. Vi è rimasto soltanto il collante del potere, è rimasto solamente l'interesse del capo, delle sue aziende, del suo sistema di interessi; ma, in fondo, è sempre stato questo il filo conduttore dell'attuale Governo e così, ancora una volta, passate sopra al pluralismo, alla libertà, alla democrazia, all'interesse nazionale e producete l'ennesimo scandalo. Uno scandalo che non esiste in alcuna parte del mondo. Producete l'ennesima vittoria degli interessi privati, l'ennesima vittoria degli interessi del Presidente del Consiglio, la festa, come l'ha definita il collega Giulietti, del conflitto di interessi, con un altra legge ad personam, per salvaguardare e valorizzare una azienda del Presidente del Consiglio. Lo fate in maniera arrogante e subdola, aggirando la sentenza della Corte Costituzionale, eludendo il significato del messaggio del Presidente della Repubblica, che pure aveva firmato questo decreto legge, prima però delle trasformazioni avvenute al Senato, e lo fate senza tenere conto delle dichiarazioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ponendo una fiducia contro l'interesse del paese, contro il libero confronto parlamentare, contro il Parlamento, contro una parte rilevante di questa stessa maggioranza di centrodestra.
Tutto ciò avviene mentre il paese paga il prezzo del fallimento delle politiche economiche e sociali del Governo e mentre Berlusconi dice in TV che gli italiani si sono arricchiti. Certo per lui l'economia gira in modo diverso, visto che anche con questa fiducia riesce a portare una ricaduta economica di 163 milioni di euro!
Ma oggi, per così dire, Berlusconi ha portato a casa il risultato della votazione di fiducia, però ha perso, ancora una volta, la fiducia degli italiani, che presto, alle prossime elezioni, gli faranno capire che il Governo non solo ha fallito ed ha tradito altri impegni presi, ma ha anche lacerato l'etica pubblica, la coesione sociale; non merita quindi più di governare e aprirà le porte ad un altro Governo che potrà riprendere un cammino di riforme e di modernizzazione, nell'interesse del paese,


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e non in quello di Berlusconi e della schiera di amici che l'hanno seguito nel suo percorso, prima di imprenditore, poi di uomo politico (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Nannicini ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Motta n. 9/4645/79, di cui è cofirmatario.

ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, ieri il ministro Luigi Mazzella, sorprendentemente apparso in aula, ha chiesto il voto di fiducia, con motivazioni che lascio poi anche all'intervista del Presidente del Consiglio precisare (in vista del tanto lavoro, bisognava ricorrere al voto di fiducia sul cosiddetto decreto salva Retequattro, atteso che si sarebbe potuto contare su troppo poco tempo per adempiere agli altri impegni parlamentari). Ebbene, prima di tale intervento, il sottosegretario Giancarlo Innocenzi, rispondendo ad alcuni interventi dell'opposizione, si era soffermato su tre aspetti. Chiedeva perché si discutesse sempre di pluralismo; pluralismo d'altra parte garantito all'interno di ciascuna rete, dall'articolo 1 della cosiddetta legge Mammì del 1990. Disposizione che richiama al pluralismo chi esercita una concessione nel sistema radiotelevisivo; anzi, il sottosegretario ha fatto anche un richiamo storico che noi, per la nostra esperienza di opposizione nel paese, conosciamo bene. Abbiamo condotto tante battaglie perché anche nella RAI vi fosse pluralismo ed apertura culturale rispetto ad una parte di mondo che non vedevamo mai in televisione.
Quindi, ci richiamava, il sottosegretario, a tale aspetto del pluralismo interno alle reti; ma, a tale riguardo, vorrei ricordare al sottosegretario che l'allontanamento di Biagi, di Santoro e di altri conduttori delle trasmissioni RAI anche in nome di un pluralismo di carattere culturale, non indica che la linea seguita sia questa. Il pluralismo all'interno delle reti, si vede sempre meno, rispetto sia alla RAI sia alle reti Mediaset.
Un altro argomento portato dal sottosegretario consisteva nel fatto che il passaggio dall'analogico al digitale fosse una rivoluzione, un aumento di mercato; quindi, di fatto, le posizioni dominanti sarebbero state ridotte. Di fatto, con l'apertura di un mercato nuovo come il digitale, il problema, per il sottosegretario, sarebbe stato risolto.
Vorrei ricordare al sottosegretario che la vicenda è lunga; si parte da una sentenza della Corte costituzionale del 1988, dalla quale è nata la cosiddetta legge Mammì, sentenza che aveva previsto un tetto del 25 per cento delle reti nazionali; al riguardo, si badi che le reti nazionali erano calcolate nel numero di 12. Ancora mi riesce difficile vedere 12 reti nazionali col sistema terrestre analogico; al massimo, ne vedo sette. Ebbene, si trovò il modo di aggirare la cosiddetta legge Mammì, ma non attraverso la concessione: Retequattro non è mai stata una concessione nazionale; ha sempre operato in base ad autorizzazione. Quindi, si tratta non di una concessione bensì di una autorizzazione. Si potrebbe fare l'esempio di un cittadino che lavori a tempo determinato e che trovi, per decreto, trasformato il proprio contratto in uno a tempo indeterminato; oppure, di un cittadino che abbia un'autorizzazione temporanea per un esercizio e che, sempre, per tutta la vita, lo avrà.
La Corte interviene nuovamente nel 1997 e la legge Maccanico fissa la soglia del 20 per cento delle reti nazionali. Retequattro rimane sempre in regime di autorizzazione, mai in regime di concessione; ma la sfacciataggine - me lo lasci dire il sottosegretario Innocenzi - sta nel fatto che lo stesso Innocenzi, dinanzi all'argomento delle sentenze, obietti che anche il centrosinistra ha disposto delle proroghe, nel 1997 e nel 1999. Anche le stesse sentenze della Corte costituzionale avrebbero fissato tempi per la loro attuazione. Ribadisco che tali argomenti del sottosegretario ci fanno intendere che in 16 anni in Italia non siamo stati capaci di affermare come Parlamento il principio del mercato. Il principio del mercato, con le


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sue regole, si richiede ai cittadini normali, non ai cittadini protetti dalla politica.
Come possiamo pensare di essere un esempio e di portare avanti elementi di privatizzazione e di mercato pure esistenti in Italia, senza dare regole al mercato del sistema radiotelevisivo e della comunicazione? Non è solo un problema di pluralismo nell'informazione (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. L'onorevole Nieddu ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/80.

GONARIO NIEDDU. Signor Presidente, anche questa volta - non la prima ma neanche, probabilmente, l'ultima -, l'ordine del giorno è l'unico strumento di confronto rimasto all'opposizione (e, anzi, all'intero Parlamento) per confrontarsi, o tentare di farlo, sulla conversione di un decreto-legge, decreto la cui importanza non sfugge al popolo italiano. Agli italiani non sfugge, soprattutto, l'importanza che tale provvedimento ha per il Presidente del Consiglio o, meglio, per la sua famiglia e per gli interessi materiali di questa. Interessi che voi, parlamentari di maggioranza, nuovamente, non per la prima volta, garantite con la copertura, offerta dal voto di fiducia, allo scambio tra voi e Berlusconi; votazione fiduciaria che è una costante di questa legislatura e che rappresenta la sfiducia del vostro capo nei vostri confronti.
È un fatto che tale provvedimento di urgenza aggiri la sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2002, che era destinata ad incidere pesantemente sugli interessi del Presidente del Consiglio ma che, con il vostro operato, ha inciso pesantemente sul libero mercato e sul pluralismo dell'informazione.
È un fatto che tale provvedimento non risponda alle osservazioni con le quali la Presidenza della Repubblica ha rinviato alle Camere la cosiddetta legge Gasparri e che erano tese a garantire, appunto, il pluralismo dell'informazione; pluralismo che parte necessariamente dal contrastare l'affermazione di posizioni dominanti, proprio quelle oggi rappresentate - in Italia, e non solo; invero, è un caso abbastanza unico - da Silvio Berlusconi.
Sarebbe stato, questo, un interessante terreno di confronto tra maggioranza ed opposizione, nel Parlamento e nel paese; una straordinaria occasione per discutere di conflitto di interessi. Voi rinviate, oggi, con questo voto, il confronto; ma non potete e non potrete sfuggire allo stesso ancora per molto. Ve lo chiederà il paese il confronto su tali materie; quel paese verso il quale non avete mantenuto le promesse e che avete preso in giro con una campagna elettorale fatta di sogni falsi e di bugie, quelle sì, vere. Quel paese che passa rapidamente dalla sensazione di impoverimento alla certezza di diventarlo ogni giorno di più. Quel paese fatto di cittadini che soffrono, sia che siano piccoli imprenditori (e ricorderete, a tale riguardo, le vostre promesse), sia che siano lavoratori dipendenti (e la mobilitazione nel paese di queste ultime settimane ne è l'esempio più chiaro), sia che siano pensionati (quelli cui avevate promesso grandi soddisfazioni).
È sempre più difficile anche per voi ignorare la gravità della situazione economica del paese. Sarà sempre più difficile anche per voi sfuggire dal bisogno di risposte e di azioni che non siano di indirizzo personale, come la maggioranza delle azioni che avete fatto finora. La vostra risposta a questi problemi è il digitale compatibile con le tendenze del mercato - a prescindere, ha detto qualcuno molto prima di me -, senza confronto, senza possibilità di apportare correzioni o miglioramenti, proprio perché con il voto di fiducia ci avete impedito di discutere, preoccupati non dei nostri emendamenti, che erano di merito e nel contenuto delle questioni, ma delle vostre imboscate sempre più frequenti che stanno a significare lo stato di una maggioranza sempre più in difficoltà.
Allora, l'ordine del giorno n. 9/4645/80, di cui sono firmatario insieme al collega Nigra, è il tentativo - come i precedenti ordini del giorno e quelli che seguiranno la


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nostra azione che stiamo svolgendo in queste ore - di impegnare il Governo su specifiche questioni, mal poste all'interno dello stesso provvedimento.
Parlate di proliferazione di impianti sul territorio senza interrogarvi o porvi i problemi quali la salvaguardia della salute delle popolazioni o la tutela del paesaggio. Allora, con il nostro ordine il giorno chiediamo al Governo l'impegno a favorire e a sostenere iniziative (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)...

PRESIDENTE. L'onorevole Olivieri ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno n. 9/4645/81, di cui è cofirmatario.

LUIGI OLIVIERI. Signor Presidente, colleghi, intervengo per illustrare l'ordine del giorno n. 9/4645/81, di cui sono cofirmatario insieme all'onorevole Oliverio, nell'ambito del procedimento di conversione del decreto-legge n. 352 del 2003, recante, guarda caso, modalità di definitiva cessazione del regime transitorio della legge n. 249 del 1997, già approvato dal Senato con modifiche, che hanno sicuramente peggiorato il non già condivisibile testo del decreto-legge del Governo. Per essere ancor più chiari e per uscire dal «politichese» - è già stato detto ma voglio ribadirlo per la comprensione assoluta di coloro che un giorno leggeranno i nostri resoconti, di quelli che ci ascoltano o magari di noi stessi - in buona sostanza si tratta, anche se è stato camuffato come intervento per la salvaguardia della pubblicità per RAI 3, del decreto «salva Retequattro».
Signor Presidente, colleghi, prima di addentrarmi nella discussione e nella disamina delle finalità del mio ordine del giorno, per chiederne successivamente la sua approvazione, non posso non esimermi dalla lettura, almeno per quanto mi riguarda assolutamente attenta, del resoconto stenografico della seduta di ieri e della replica puntuale che ha svolto il sottosegretario di Stato per le comunicazioni, Giancarlo Innocenzi, in merito alla sua concezione del pluralismo nel settore radiotelevisivo, nella fattispecie nel settore televisivo. A pagina 12 del resoconto stenografico del 16 febbraio egli dice: « Il pluralismo è la condizione in cui il pubblico può accedere ad una varietà di voci differenti tra di loro per impostazione ideologica».
Ho voluto leggere letteralmente questa dichiarazione del sottosegretario perché spero che, durante il nostro dibattito, egli abbia modo di intervenire e chiarire il suo pensiero. Infatti, se il suo pensiero del pluralismo è questo, allora si comprendono i motivi della nostra discussione e, soprattutto, dell'ostilità del Governo nei confronti dei suggerimenti minimali contenuti nelle indicazioni a seguito del giusto rinvio del Presidente della Repubblica, ex articolo 74 della Costituzione, della legge Gasparri. Infatti, il pluralismo non è solo una diversità di divulgazione e di impostazione ideologica, ma anche la possibilità e la necessità del popolo elettore di ricevere una corretta informazione. Quindi, pluralismo è la necessità di divulgare le verità, di dare alla nostra popolazione e ai nostri cittadini la possibilità di farsi una loro opinione, non di divulgare impostazioni ideologiche. In quel contesto qualcuno gli ha giustamente replicato che, probabilmente, egli è rétro dal punto di vista del ragionamento politico e che, dato che più di una volta si è vantato di conoscere il sistema americano della diffusione dell'informazione - dove esiste effettivamente un'opinione pubblica e quest'ultima ha gli strumenti per farsi una propria opinione e di poter intervenire con cognizione di causa -, la sua visione e la sua conoscenza di quel sistema è assolutamente superficiale.
Discutiamo tutto ciò oggi perché, giustamente, il Presidente della Repubblica ci ha dato la possibilità di intervenire. Il vostro decreto - avrò modo poi di intervenire successivamente - non prende solamente in giro il messaggio che il Presidente ha a suo tempo inviato alle Camere per darci modo di poter ragionare, ma, soprattutto, non tiene in alcuna considerazione le condizioni sulle quali e per le


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quali era intervenuto (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Petrella ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/82.

GIUSEPPE PETRELLA. Signor Presidente, vorrei rivolgermi al ministro Gasparri, se smette di leggere il giornale... Penso che dovrebbe essere interessato e, quindi, mi rivolgo al ministro e agli altri membri del Governo, dicendo loro che è veramente ridicolo ed offensivo nei confronti degli italiani, in un momento così difficile, in un momento nel quale tutte le mamme italiane vanno a fare la spesa, senza autisti e senza scorte, e molto spesso senza neanche i figli al seguito, e non sanno o, meglio - nonostante girino avanti e indietro nei mercatini, come consiglia giustamente il Presidente Berlusconi - non possono riempire la borsa neanche con i generi alimentari che non molti anni fa costavano ben di meno.
In un momento nel quale l'inflazione è così alta, in un momento nel quale l'economia italiana è scossa da scandali incredibili, come quello della Parmalat e della Cirio, in un momento nel quale in Iraq muoiono ogni giorno soldati e civili per una guerra sciagurata, di occupazione e basata su bugie e falsi dossier, su fantomatiche armi di distruzione di massa, in un momento nel quale questo Governo sta distruggendo la scuola, l'università e la ricerca, in un momento nel quale tutta la sanità italiana - cosa che non accadeva da oltre trent'anni - e tutte le relative 46 sigle sindacali sono scese in sciopero per lo sfascio che questo Governo ha prodotto in un settore così importante ed a difesa della sanità pubblica, ebbene, invece di parlare, di discutere, di confrontarsi, di trovare e di dare risposte a questi interrogativi, a queste ansie e a queste paure, che cosa fanno il Governo e il Presidente del Consiglio (che nell'ultimo mese, invece di pensare ai problemi dei cittadini che lui dovrebbe governare, ha pensato solamente a rifarsi il viso)?
Bloccano il Parlamento italiano. Perché la fiducia? Mi chiedo su cosa venga posta: su una manovra economica necessaria, sul disegno di legge riguardante l'occupazione, oppure sul sistema creditizio, sulla sanità? No, signori del Governo, voi e il Presidente del Consiglio impegnate l'intero Parlamento per una legge che ci garantisce, al massimo, il conflitto di interessi, la legge salva-azienda del Presidente Berlusconi e della sua famiglia. Di questo io penso che tutti voi vi dovreste vergognare, ma questa parola è a voi sconosciuta!
Avete approvato altre leggi ancora più vergognose di queste, come la Cirami, il lodo Schifani, il falso in bilancio, la detassazione sui grandi patrimoni. Meno male che c'è ancora qualcuno garante della Costituzione che ha impedito finora l'approvazione della sua legge, ministro Gasparri!
Ciò nonostante, questa pseudo-maggioranza, divisa su tutto, ma unita negli interessi del Presidente del Consiglio - e non riesco a capire perché -, afferma che il decreto-legge risponde alle osservazioni del Presidente della Repubblica, contenute nel messaggio di rinvio alle Camere. A nostro avviso, e non solo nostro, ciò non risponde al vero, anzi, le modifiche a questo vergognoso decreto-legge, apportate al Senato, lo hanno reso ancora più confuso e inaccettabile.
Il quesito principale è che questa riforma non produce un effettivo incremento del pluralismo. Questo è il parametro fondamentale rispetto al quale abbiamo il dovere morale e politico di giudicare tutti gli interventi operati nel settore, compreso quello posto in essere con il decreto-legge medesimo. La fiducia dimostra solo una cosa, per meglio dire due: da un lato, l'arroganza, ma, dall'altro, la paura, la paura che, nonostante i cento parlamentari in più, questa maggioranza con un voto segreto possa finire al di sotto del quorum necessario, perché tanti suoi membri ormai non ce la fanno più a subire la condizione di non fare politica e di eseguire gli ordini di Arcore. Ecco perché tutto ciò, signor Presidente, è indecente, immorale, inaccettabile e politicamente


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inqualificabile (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di Sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Pisa ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Pinotti n. 9/4645/83, di cui è cofirmataria.

SILVANA PISA. Signor Presidente, questo provvedimento trova origine in una apparentemente asettica ragione tecnica; in realtà, ha un motivo politico, anzi, per questa maggioranza è il più politico di tutti: salvaguardare per l'ennesima volta gli interessi del Presidente del Consiglio.
D'altra parte questa è la vera motivazione della sua «discesa in politica». Chi se ne importa delle condizioni materiali di vita (precarietà del lavoro, carovita, disagio, insicurezza generalizzate) di tutti i cittadini italiani, e anche di molti che lo hanno votato. La fiducia su questo decreto-legge è un atto sfacciato, non certo il primo, e arrogante, compiuto in dispregio del pluralismo e delle istituzioni. Evidenzia l'enormità del conflitto di interessi del Presidente del Consiglio nella sua concezione proprietaria della democrazia. Non sono bastate leggi e proroghe ad hoc e persino il rinvio alle Camere del Presidente della Repubblica della cosiddetta legge Gasparri. L'importante è mantenere il monopolio delle televisioni, soprattutto in vista della prossima campagna elettorale e della prossima introduzione, immagino con un altro voto di fiducia, della già annunciata «impar condicio».
Nel merito dell'ordine del giorno che ho presentato con la collega Pinotti, chiediamo al Governo l'impegno affinché nel nuovo sistema di trasmissione televisiva legato al digitale si prevedano iniziative che favoriscano la razionalizzazione della diffusione di impianti sul territorio, per salvaguardare, almeno, la salute dei cittadini e la tutela del paesaggio. Chiediamo anche l'invio periodico di una relazione al Parlamento, in particolare per quanto riguarda il territorio della regione siciliana.
Tuttavia, noi sappiamo che, in ordine al territorio e alla salute dei cittadini, queste esigenze rappresentano in realtà un optional rispetto alla tutela degli interessi del Presidente del Consiglio; in tal senso, l'intento di questo ordine del giorno è di sfidarlo a dimostrare il contrario (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di Sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Preda ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Pollastrini n. 9/4645/84, di cui è cofirmatario.

ALDO PREDA. Stiamo vivendo, o ci tocca vivere, una situazione quasi irreale, caratterizzata dai voti di fiducia, dal rinvio dei provvedimenti - mi riferisco alla legge Gasparri ma anche alla proposta di legge Boato -, dai litigi della maggioranza, che sembra aver paura - come accade - di se stessa, nonostante i cento parlamentari in più rispetto alla minoranza. Procedere così vuol dire continuare in una situazione quasi irreale. Su questo provvedimento dobbiamo svolgere alcune riflessioni. Innanzitutto, il Presidente della Repubblica ha chiesto alle Camere di garantire il pluralismo dell'informazione che è la condizione essenziale per una sistema democratico. In secondo luogo, il pluralismo c'è se esiste concorrenza, se nuovi gestori hanno possibilità di entrare sul mercato, se vi è libertà di opinione e concorrenza tra i vari soggetti. In terzo luogo, assicurare il pluralismo come condizione essenziale del sistema democratico vuol dire difendere il pluralismo.
Un Costituente abbastanza famoso, divenuto poi monaco - don Giuseppe Dossetti, che alla fine ruppe un silenzio durato parecchi decenni - metteva al primo posto tra i valori da difendere con forza nella Carta costituzionale il pluralismo. Vedete: l'opposizione a questo decreto non la facciamo noi, ma la società civile, la cultura, le comunità locali e infine i cittadini, stanchi dei «non valori» che volete comunicare e su cui volete informare la gente. Ecco, allora, che non ne usciamo! Pluralismo vuol dire valori, vuol dire difesa di questi valori, vuol dire cultura, diritti di cittadinanza. Sta avanzando un nuovo valore abbastanza strano, che è il decoder. Avete chiesto il voto di fiducia, l'avete


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motivato da un punto di vista tecnico; si è parlato di scadenze, di fare presto, degli emendamenti presentati, della necessità e del bisogno di governare, l'ossessione di farlo al di là di ogni regola.
Ebbene, si tratta di un provvedimento anticostituzionale che provocherà disuguaglianze, ricorsi alla magistratura, che aumenterà il lavoro degli avvocati, creerà precedenti gravi e non gioverà a nessuno. Allora, diciamoci la verità: questa fiducia chiesta e ottenuta è un atto politico, perché ve l'ha chiesta il Presidente del Consiglio, proprietario di Retequattro. L'ha chiesta perché non si fida di questa maggioranza, perché era forse sufficiente qualche voto segreto per andare sotto, e avete valutato anche questo; lo ha chiesto per garantire se stesso, Presidente del Consiglio e presidente dell'azienda interessata; lo ha chiesto per garantirsi dalla sua maggioranza. Ho un minuto, forse, per leggere una lettera, del giugno 1946, mandata da don Primo Mazzolari ai parlamentari di questo Parlamento: «il deputato che ha l'unanimità fittizia del proprio partito sacrifica la verità, non so come possa lavorare attorno alla costituzione dell'uomo, non avendone la misura». Voi non avete la misura (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di Sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. L'onorevole Ruzzante ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/9.

PIERO RUZZANTE. Signor Presidente, è il mio l'ottantaquattresimo intervento del gruppo dei Democratici di sinistra, l'ultimo che il nostro gruppo svolgerà. Abbiamo avviato questa maratona con gli altri gruppi dell'opposizione, che dura ormai da quasi 7 ore.
La nostra scelta, intendiamo chiarirlo, non era una scelta che avevamo deciso nell'avvio della discussione su questo decreto, ma è stata ovviamente provocata da una forzatura, incomprensibile, di questa maggioranza nella richiesta del voto di fiducia.
Noi l'abbiamo già chiarito: questa scelta del voto di fiducia non era assolutamente giustificata perché avevamo presentato, complessivamente come gruppi di opposizione, solo 70 emendamenti! Le iscrizioni a parlare nella discussione generale erano assolutamente un numero limitato.
Allora, la verità è un'altra: questa fiducia, in realtà, è una fiducia contro la maggioranza! Lo abbiamo ben chiarito. L'elemento di preoccupazione era quello relativo al voto segreto su alcuni emendamenti. La preoccupazione deriva da un dato politico che voi fingete ancora di non comprendere (mi rivolgo in particolar modo al ministro Gasparri), poiché si continua a far finta di non sapere che 40 deputati della maggioranza hanno votato insieme all'opposizione.
Quindi, evidentemente, la nostra battaglia è condivisa anche da 40 deputati eletti nelle liste della Casa delle libertà ma che hanno votato decine di emendamenti e hanno svolto il ruolo dei cosiddetti franchi tiratori relativamente alla legge Gasparri. È probabile, quindi, che anche su questo decreto si sarebbe verificata la stessa divisione interna alla maggioranza. Certamente non è l'unica divisione.
Vorrei ricordare che in quest'aula è stata approvata la pregiudiziale contro la riforma sui tribunali dei minorenni, prevista e proposta dal ministro Castelli. Siete divisi un po' su tutto, persino sulla riforma e l'anticipo della sospensione della leva, visto che la Lega nord ha votato insieme all'opposizione un emendamento che vi costringerà a modificare al Senato quel disegno di legge. Vorrei aprire una riflessione su questo punto.
Non credo che a questa maggioranza convenga avere posto la fiducia, perché si risolve solo parzialmente il problema degli emendamenti con scrutinio segreto ma, in realtà, non vi conviene in termini di tempo e lo stiamo dimostrando.
La questione di fiducia non ha aiutato la maggioranza a risolvere i problemi politici che sono sul tappeto ed evidenzia a tutti gli italiani (e questo è anche un po' il motivo di questa scelta di interventi a catena da parte dell'opposizione) che l'unico collante che tiene insieme la maggioranza


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sono gli interessi economici del premier piuttosto che la volontà di affrontare i problemi reali del paese.
Nel mio ordine del giorno propongo una questione molto precisa e chiara, per la quale si impegna il Governo ad adottare misure finanziarie di sostegno alle famiglie italiane per l'acquisto dei decoder, stanziando risorse economiche che rendano significativa la diffusione su tutto il territorio nazionale. È evidente che questo elemento è legato agli aspetti della libertà di informazione (ed è questo l'elemento attraverso il quale si giustifica questo ordine del giorno).
Tuttavia, c'è anche l'aspetto economico e vorrei ricordarlo in particolar modo ai colleghi della Lega Nord Federazione Padana i quali, durante la campagna elettorale, avevano condotto una battaglia politica di cui ancora oggi si trova traccia nei siti della Lega nord e relativa al fatto che avreste cancellato il canone della RAI.
Anche questa è un'altra ennesima promessa fatta agli italiani che non è stata assolutamente rispettata perché da quando governate questo paese, non solo non avete diminuito le tasse, non solo non è migliorata la sicurezza degli italiani, come avevate promesso in quei poster giganteschi ma, per quanto riguarda il canone della RAI, non l'avete affatto cancellato, anzi, cari colleghi della Lega, avete aumentato del 7 per cento il costo di tale canone: altro che averlo abolito!
Desidero, infine, rivolgermi alla Presidenza e al ministro Gasparri. L'opposizione ha presentato diversi ordini del giorno e assicuro che il contenuto di tutti non è assolutamente ostruzionistico.
Noi vogliamo una valutazione attenta di tutti gli ordini del giorno dell'opposizione e spiego anche al collega Leone perché non sono ostruzionistici. Infatti, nel momento in cui c'è un voto di fiducia, è evidente che non è stata concessa la possibilità di discutere gli emendamenti presentati dall'opposizione. Quindi, l'unico strumento nelle mani dell'opposizione è quello di poter presentare ed esaminare gli ordini del giorno.
Pertanto, chiedo al rappresentante del Governo, al ministro Gasparri, di esprimere una valutazione attenta di tutti gli ordini del giorno in maniera tale che, da parte dell'opposizione, ci sia almeno la possibilità di «portare a casa» qualche elemento importante di valutazione (contenuto, appunto, nei nostri ordini del giorno) (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Reduzzi ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Boccia n. 9/4645/86, di cui è cofirmataria.

GIULIANA REDUZZI. Grazie, signor Presidente. Prima di illustrare l'ordine del giorno, mi consenta di svolgere una riflessione generata in me dalla notizia del voto di fiducia sul decreto «salva Retequattro».
Se la maggioranza parlamentare, che gode di ben 100 voti di vantaggio sull'opposizione, ricorre al voto di fiducia, il messaggio per noi deputati è chiaro e vorrei che lo fosse per tutto il paese.
È evidente che la coalizione di centrodestra è in grande difficoltà. Non trova coesione e non può assolutamente contare su un voto a favore del decreto del Governo. Il fatto, dal punto di vista politico è molto grave. Segnala che la verifica interna non si è ancora conclusa, ammesso che sia iniziata, e, di conseguenza, che l'attività parlamentare continuerà ancora a rimanere in una situazione di stallo, a non produrre nulla se non rinvii di provvedimenti in attesa di accordi fra i gruppi di maggioranza.
Il provvedimento odierno è destinato a pesare nel patrimonio della nostra Repubblica perché stretta è la relazione tra le forme della comunicazione e le forme stesse della sovranità politica. Si tratta di un patrimonio acquisito della cultura costituzionale democratica e proprio questo patrimonio ha maggior peso e rilevanza anche rispetto alla salvezza di una rete televisiva e agli interessi del suo proprietario.
Stiamo infatti parlando dell'articolo 21 della Costituzione per il quale tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il


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proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Tale libertà viene definita dalla Corte costituzionale una pietra angolare dell'ordine democratico, così come troviamo scritto nella sentenza n. 84 del 1969.
Infatti, un ordinamento non può funzionare democraticamente in mancanza di una libera circolazione delle idee politiche, sociali, religiose, sulla morale e sul costume.
Il fatto che i mezzi economici necessari per poter, di fatto, esercitare una libertà siano ingenti e, dunque, a disposizione di pochissimi, contrasta con il diritto costituzionale al pluralismo nell'informazione, un diritto che va difeso contro l'insorgere di posizioni dominanti o, comunque, preminenti e tali da comprimere sensibilmente questo valore fondamentale.
Il Governo e la sua maggioranza come rispondono per garantire i principi del pluralismo esterno, di cui all'articolo 21 della nostra Costituzione? Rispondono con un decreto-legge che viene spacciato come una semplice proroga in attesa dell'approvazione della legge Gasparri, che più che una legge del sistema delle comunicazioni, è una legge che sistema il potere all'interno delle telecomunicazioni a vantaggio di qualcuno.
Questo decreto-legge non contiene una semplice proroga: è un salvataggio in grande stile, è una pietra tombale sulla sentenza della Corte costituzionale per cui si stabiliva che una rete privata doveva andare sul satellite entro il 31 dicembre 2003.
Il decreto-legge affida all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di accertare l'effettivo avvio del digitale terrestre, ma si guarda bene dallo stabilire su quali parametri dovrà basarsi questa istruttoria.
L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà accertare la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri, senza però indicare quale sia la soglia minima. Che cosa significa esattamente «popolazione raggiunta»? Conta la copertura o l'effettiva ricezione del digitale?
Il secondo parametro è la presenza sul mercato del decoder a prezzi accessibili.
Qual è il prezzo da usare come parametro? Il decreto non lo dice.
Terza ed ultima circostanza da valutare è l'effettiva offerta al pubblico anche di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche. L'espressione «anche» crea più di un fraintendimento e, in assenza di una precisazione da parte del Parlamento, l'Autorità porterà avanti il suo lavoro con la più ampia discrezione possibile.
Con l'ordine del giorno presentato, chiediamo che il Governo si attivi almeno per preparare le infrastrutture necessarie alla ricezione del digitale terrestre, in maniera tale da non svantaggiare la popolazione della provincia di Viterbo, come di Bergamo e di tutte le altre province italiane, e chiediamo anche che esso venga posto ai voti, affinché il digitale terrestre non sia un elemento di squilibrio sociale a danno della popolazione.

PRESIDENTE. L'onorevole Pasetto ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Ciani n. 9/4645/87, di cui è cofirmatario.

GIORGIO PASETTO. Signor Presidente, ieri mattina il Capo del Governo Berlusconi, conversando con i giornalisti che gli chiedevano che fine avessero fatto il decreto sulla privatizzazione dell'Alitalia, il piano industriale e il processo di ristrutturazione di questa azienda, rispondeva, sostanzialmente in modo ameno, che, tra i mille problemi di cui di occupava, c'erano anche quelli dell'Alitalia. Sempre ieri pomeriggio, il Presidente definiva l'Alitalia «fortunata» perché aveva impattato in capacità ed autorevolezza ed affermava che essa poteva contare sul signor Silvio Berlusconi. Queste sono state le testuali parole del Presidente del Consiglio, che impiegherà tutto il suo talento per risolvere il problema di questa azienda.
Ora, da questo punto di vista, l'azienda, i lavoratori, i cittadini, i fruitori del servizio possono stare tranquilli: non ci sarà lo sciopero convocato ieri dai lavoratori dell'Alitalia e da tutto il comparto del


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trasporto aereo, proprio perché c'è una grande affidabilità rispetto a queste affermazioni.
Il Presidente Berlusconi continuava con la solita litania, dicendo che le responsabilità dello sfascio, della difficoltà e della crisi di questo settore sono imputabili ai governi precedenti. I dati ci dimostrano che, dal 2000 al 2002, la compagnia nazionale, l'Alitalia, ha perduto il 25 per cento dei propri passeggeri, il 25 per cento della capacità di trasportare merci, linee, slot e mercato non soltanto nazionale ma anche internazionale.
Si pone quindi un interrogativo. Quali sono stati i mille problemi di cui Berlusconi ed il suo Governo si sono occupati in questi anni? La verità è davanti agli occhi di tutti. Siamo stati impegnati, per due anni, in questo Parlamento, ad affrontare due sole questioni, altro che mille problemi! Due sole questioni: una ha riguardato i provvedimenti legislativi tesi a rimuovere la situazione processuale del Presidente del Consiglio, l'altra, che dura ormai da oltre un anno, ci vede paralizzati all'interno del Parlamento e della Commissione trasporti e telecomunicazioni, prima con il disegno di legge Gasparri, oggi con il decreto su Retequattro, con i quali certo non si affrontano i problemi e le questioni che attengono al comparto delle telecomunicazioni e dei trasporti.
Ebbene, siamo paralizzati perché questa è la seconda questione che interessa il Presidente del Consiglio, di cui non si è occupato soltanto il Governo ma è costretto ad occuparsene anche il Parlamento e la sua maggioranza, rispetto ad un obiettivo pervicace che è quello di mantenere il dominio del sistema radiotelevisivo, dominio che è contro le sentenze della Corte costituzionale e contro il parere dei Garanti per le telecomunicazioni e la concorrenza.
Inoltre, questo decreto, come ormai risulta ormai sotto gli occhi di tutti, porta alle casse del signor Berlusconi e della sua famiglia 163 milioni - questo è il rendimento di questi quattro-cinque mesi - a fronte alle difficoltà che il paese sta attraversando. Ciò avviene con il ricorso alla fiducia e costringendo questa maggioranza.
È ameno l'atteggiamento del ministro Giovanardi che ha detto che la posizione della fiducia è un fatto meramente tecnico. Dietro alla richiesta di fiducia c'è la sfiducia del Presidente del Consiglio nei confronti della sua maggioranza. Non si fida, non si è fidato ed ha tremato quando abbiamo votato segretamente sugli emendamenti che avevamo presentato al provvedimento Gasparri (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Bimbi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/88.

FRANCA BIMBI. Signor Presidente, oggi non dovremmo parlare della salvezza di una rete televisiva e degli interessi del suo proprietario, bensì dell'articolo 21 della Costituzione e delle sue implicazioni per la democrazia, esso al primo comma recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». La libertà, che suole chiamarsi libertà di pensiero, viene definita dalla Corte costituzionale una pietra angolare dell'ordine democratico, come troviamo scritto nella sentenza n. 84 del 1969. Il Governo e la sua maggioranza come rispondono per garantire il principio del pluralismo esterno, di cui all'articolo 21 appena citato? Rispondono con un decreto-legge che viene spacciato come una semplice proroga, in attesa dell'approvazione della legge Gasparri, una legge «in frigorifero», come ormai si è detto, più che una legge sul sistema delle telecomunicazioni, una legge che sistema il potere all'interno delle telecomunicazioni a vantaggio di qualcuno.
Ma questo decreto-legge non contiene una semplice proroga, è un salvataggio in grande stile, è una pietra tombale sulla sentenza della Corte costituzionale che stabiliva che una rete privata doveva andare sul satellite entro il 31 dicembre


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2003, proprio per salvaguardare il pluralismo e dunque l'effettiva possibilità di manifestazione del pensiero. È molto semplice e facilmente argomentabile capire perché sosteniamo queste cose.
Il decreto-legge affida all'Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni il compito di accertare l'effettivo avvio del digitale terrestre, ma si guarda bene dallo stabilire i parametri sui quali dovrà basarsi questa istruttoria. Quindi, in qualche modo, ci basiamo su una nuvola, su una fantasia, su un'idea. Non solo, terminato l'esame e verificate le predette condizioni, l'Autorità dovrà adottare i provvedimenti indicati dal comma 7 dell'articolo 2 della legge 31 luglio 1997, n. 249, nota come legge Maccanico. Ed ecco la scappatoia, perché il passaggio qui richiamato dice che l'Autorità, una volta riscontrata l'esistenza di posizioni dominanti, dovrà aprire un'istruttoria. Questo è un grande potere sanzionatorio che abbiamo messo in capo all'Autorità, un'altra istruttoria per la questione ormai più istruita del mondo. Sono già state fatte tre istruttorie e tutte e tre hanno avuto la medesima conclusione: sussiste, grande come una casa, una posizione dominante. Ci troviamo di fronte, dunque, ad un infinito gioco di specchi che rinvia, sine die, una decisione che dovrebbe essere solo eseguita.
Con questo decreto-legge, con grande arroganza, il Governo e la sua maggioranza non eludono le sentenze della Corte costituzionale ed il messaggio del Presidente della Repubblica, ma li calpestano.
In questo decreto-legge non c'è alcun potere sanzionatorio diretto in capo all'Autorità. Signor Presidente, in esso si stabilisce che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà accertare la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri, senza però che si specifichi quale sia la soglia minima.
Cosa significa esattamente «popolazione raggiunta»? Conta la copertura o l'effettiva ricezione del segnale digitale? Siamo già abituati a varare leggi che non hanno alcun riscontro con la realtà. Stiamo, quindi, parlando all'interno di un sogno. È il sogno sognato da chi ha il potere.
Con l'ordine del giorno in esame chiedo che il Governo si attivi, almeno, per preparare le infrastrutture necessarie alla ricezione del digitale terrestre, in maniera tale da non svantaggiare la popolazione della regione Toscana. Preannuncio la richiesta di votazione di questo ordine del giorno, affinché il digitale terrestre non sia un elemento di squilibrio sociale a danno della popolazione. Tuttavia, mi rendo conto che richiamare l'attenzione sul bene pubblico non trova eco né nella maggioranza, né nel Governo, né nel ministro Gasparri, né nel Presidente del Consiglio.
Per illustrare la situazione, vi leggerò un passo, tratto da un libro famoso. È il dialogo tra un cavaliere errante ed un autore di libri (perché, allora, non c'era il digitale terrestre)!
Il dialogo è questo: «Questo libro lo stampa per suo conto? Lo stampo per mio conto, rispose l'autore. E penso di guadagnare perlomeno mille ducati. Bei conti si fa la signoria vostra. Come, dunque, rispose l'autore, vuole che chieda la pubblicazione di un libraio, il quale mi dia, per tale privilegio, 3 centesimi? E pensi anche di fare un regalo a darmeli? Io non stampo i miei libri allo scopo di ottenere fama nel mondo; voglio un utile, senza il quale il buon nome non vale un quattrino». Credo che questo passo tratto dal Don Chisciotte, sia una buona illustrazione del decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Bressa ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/90.

GIANCLAUDIO BRESSA. Come il ministro Gasparri sa, sono eletto in una terra di frontiera, l'Alto Adige. Pongo, dunque, un tema di frontiera, che ad un Governo e ad una maggioranza di todos caballeros dovrebbe suscitare un qualche interesse.
Questa vostra nuova forma di anarchismo conservatore e reazionario, che guarda con simpatia al far west come


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all'unico modello possibile di regole, vi ha portato a varare un decreto-legge palesemente incostituzionale. Avete calpestato l'articolo 21 della Costituzione italiana e vi siete fatti beffa delle sentenze della Corte costituzionale.
Con questo ordine del giorno, richiamo l'attenzione su un'ulteriore questione di possibile futura incostituzionalità.
L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà accertare la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri. Che cosa significa, esattamente, «popolazione raggiunta»? Conta la copertura o l'effettiva ricezione del digitale? Dovete chiarire. Tuttavia, non ve lo lasciano fare. Immagino che lei, ministro Gasparri, avrebbe sicuramente voluto chiarire questo punto ma, se lo avesse fatto, avrebbe varato qualcosa troppo simile ad una legge e si sa che la sola parola «legge» provoca l'allergia al nostro Presidente del Consiglio.
Pertanto, continuate nella vostra reticenza colpevole. Essa diventa ancora più colpevole e pericolosa nel caso particolare della provincia di Bolzano.
Le molte volte che lei, onorevole ministro, è venuto a Bolzano ha dimostrato di non avere molta dimestichezza con la tutela delle minoranze linguistiche, per cui sarebbe utile che ascoltasse il mio intervento e facesse tesoro di ciò che le dico, perché, tra qualche tempo dovrà gestire una commissione con il presidente della provincia di Bolzano, Durnwalder, per discutere insieme alcune questioni.
Ebbene, vista la sua totale imperizia nel trattare la materia, prenda qualche nota questa sera, in modo tale che si possa preparare convenientemente.
Per Bolzano, vi è un problema supplementare: bisogna garantire la copertura, avendo rispetto per la popolazione di lingua tedesca e di lingua ladina, oltre che di quella di lingua italiana.
Cosa significa ciò? Che, oltre alle normali leggi che regolano la materia nel resto del territorio nazionale, vi è una normativa particolare che riguarda la sola provincia di Bolzano. Si tratta del decreto del Presidente della Repubblica 1o novembre 1973, n. 691, recante norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige e concernente manifestazioni ed attività artistiche, culturali ed educative locali e, per la provincia di Bolzano, anche con mezzi radiotelevisivi, esclusa la facoltà di impiantare stazioni radiotelevisive. Al comma 3 dell'articolo 8 di tale decreto del Presidente della Repubblica, si dice che il tempo e gli orari delle trasmissioni televisive e radiofoniche in lingua italiana, tedesca e ladina per la provincia di Bolzano sono concordati dal Ministero delle poste e delle comunicazioni, sentito l'ente concessionario, con la provincia stessa.
Ora lei avrà anche tale incombenza, ministro Gasparri; sicuramente non così delicata come quella che le è stata affidata nella redazione di questo decreto-legge, che è riuscito a garantire la modesta «paghetta» settimanale al Presidente del Consiglio pari a 163 milioni di euro (cioè il valore monetizzabile della proroga di cinque mesi che questo «capolavoro» che ci state proponendo garantirà alle tasche del nostro Presidente del Consiglio).
È bene che si prepari, perché, nel momento in cui il digitale dovrà funzionare, lei, signor ministro, dovrà coprire tutte le valli della provincia di Bolzano. Siccome la popolazione tedesca e ladina è scarsamente presente nei centri maggiormente abitati, dovrà garantire che gli impianti portino il digitale terrestre in lingua tedesca e ladina in quelle sperdute valli.
È un problema molto serio perché lei sa quanto siano agguerrite quelle popolazioni. Se lei non sarà in grado di garantire ciò, scatterà sicuramente un ricorso alla Corte costituzionale.
In tal modo, lei correrà il rischio drammatico di vedersi bruciato due volte questo provvedimento. Certo, per lei, non è una novità. Già altri provvedimenti da lei portati in quest'aula e, con molta arroganza, sostenuti come funzionali, funzionanti e perfetti, hanno avuto la sanzione della Corte costituzionale. Il proverbio dice: «sbagliando, si impara». Lei dimostra che sbagliando, non solo non impara, ma continua a perseverare.


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Perseverare, il più delle volte, non è umano, ma diabolico. Lei è sicuramente un ministro diabolico di un Governo, però, che farà pochissima strada e che arriverà, molto in fretta, lungo le vie lastricate, all'inferno che gli elettori gli concederanno tra qualche settimana, quando si andrà a votare.

PRESIDENTE. L'onorevole Gerardo Bianco ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/99.

GERARDO BIANCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho due motivi per essere grato al ministro Gasparri: il primo è perché ci ha consentito, in queste discussioni, di vedere tutte le facce dei ministri seduti in quest'aula, come in una sacra famiglia che si riunisce per affrontare un problema; il secondo è perché, finalmente, posso restituire la cortesia che, da lungo tempo, coltivavo: praticare l'ostruzionismo, ricordando le sofferenze vissute quando la parte politica dell'onorevole Gasparri ci aveva abituati a tale tipo di rapporto.
Vorrei anche dissipare una preoccupazione che dovrebbe essere oggetto di discussione in questo Parlamento e cioè che noi siamo animati da una sorta di odio nei confronti del Presidente del Consiglio. In realtà, ho presentato un'interpellanza per chiedere, finalmente, al Presidente del Consiglio di conoscere il suo concetto di amore e di odio. Vorrei sapere se si tratta di una filosofia soltanto di amor sui o se si tratta di una visione più aperta, più piena di solidarietà.
Il Presidente del Consiglio, però, non viene a rispondere in questo Parlamento e dobbiamo accontentarci delle sue dichiarazioni. Questa sera ce ne ha fornita un'altra con cui, con l'evocazione di Machiavelli, si presenta come un moderno Principe. È chiaro che un principe non può avere regole precise e puntuali. Le regole le stabilisce lui; le deve fissare secondo i suoi principi ed i suoi criteri. È un principio delle corti.
All'epoca, lo dico alla collega Bimbi, che ha citato il Don Chisciotte del Cervantes, i principi avevano, come noto, grandi autori quali l'Ariosto, il Tasso, eccetera. I principi attuali si accontentano di qualche canzonetta oppure compongono loro stessi le parole che, poi, devono essere musicate.
Io, che ritengo di non essere un grande poeta, vorrei dedicare al ministro Gasparri ed anche al Presidente del Consiglio una mia piccola composizione a rime baciate. «Ecco apparir il Cavalier si vede/ sulla Gasparri al fin egli si siede./ Al popolo promette mari e monti,/ a fregarlo ci pensa poi Tremonti./ Se poi i conti non tornano mai,/ è inutile alzare alti lai;/ la colpa è sempre di qualcuno,/ la Cina, il buco e l'euro importuno./ Che importa aver del popolo cura/ se poi il Governo comunque dura,/ incassa condoni, frequenze e tivù,/ non c'è da chiedere molto di più./ Così van le cose in questo paese/ e la gente non riesce a raggiungere il fine mese/ (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo - Congratulazioni). Questo è tutto, signor ministro Gasparri; il resto si commenta da sé (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

MAURIZIO GASPARRI, Ministro delle comunicazioni. Ho sentito poesie migliori. Siamo ridotti male!

PRESIDENTE. L'onorevole Frigato ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/104.

GABRIELE FRIGATO. Il decreto-legge al nostro esame si è reso necessario a seguito del messaggio con il quale il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere la cosiddetta legge Gasparri, pena il trasferimento su satellite di una delle reti Mediaset, presumibilmente Retequattro, e la eliminazione della pubblicità di una rete della RAI, presumibilmente RAI3. Questa era la prescrizione della Corte costituzionale sin dal novembre del 2002. I problemi che il decreto lascia irrisolti sono molti. Esso, infatti, non tiene conto della necessità di tutelare il valore centrale che il Presidente della Repubblica e la


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Corte costituzionale hanno indicato: il pluralismo dell'informazione, che altro non è che uno dei fondamenti di tutte le moderne democrazie.
L'ampiezza e l'indeterminatezza della formula scelta dal Governo per la verifica sul digitale terrestre non è omaggio alla discrezionalità dell'Autorità garante, quanto piuttosto sinonimo di mancanza totale di regole e, quindi, anticamera di possibili errori, se non di veri e propri arbitri.
Troviamo singolare che venga richiesta una copertura del territorio nazionale solo del 50 per cento e non dell'80 per cento, come già previsto dall'ordinamento vigente e, soprattutto, che si parli di copertura e non di reale utilizzo del digitale terrestre o almeno di decoder venduti. Prevediamo anche che sarà impossibile, per l'Autorità, definire quale sia e cosa voglia dire «prezzo accessibile» dei decoder.
Il presidente dell'Autorità, professor Cheli, ha ripetutamente ricordato al Parlamento come, nella sua attuale formulazione, il decreto-legge sia sostanzialmente inapplicabile. Il presidente Cheli ha anche sottolineato che l'intero sistema degli accertamenti avrebbe dovuto essere indirizzato a verificare l'effettivo arricchimento - sottolineo effettivo - del pluralismo, attraverso l'introduzione del digitale terrestre. Noi non siamo assolutamente contrari al digitale terrestre, anzi riteniamo che le tecnologie innovative possano offrire un contributo significativo e positivo allo sviluppo della nuova televisione. Il sistema, bloccato attualmente dal duopolio RAI-Fininvest, non trova alcun giovamento dalle soluzioni adottate, le quali, nemmeno in questo decreto-legge, tengono conto delle osservazioni del Capo dello Stato.
Vedete, onorevoli colleghi, noi sappiamo che il digitale terrestre non risolve, oggi, il problema; anzi, se le cose rimarranno così, aggraverà la situazione.
Signor Presidente, l'ordine del giorno da me presentato tenta di indurre il Governo a ridurre un danno inevitabile. Il decreto-legge stabilisce che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà accertare la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri, senza però indicare quale sia la soglia minima. Con il presente ordine del giorno chiediamo che il Governo si attivi, almeno, per realizzare le infrastrutture necessarie alla ricezione del digitale terrestre, in maniera tale da non svantaggiare le popolazioni delle diverse province di cui è composto il nostro paese.
Preannuncio la richiesta di votazione su questo ordine del giorno affinché il digitale terrestre non sia elemento di squilibrio sociale a danno dei cittadini. Se posso aggiungere una considerazione sul piano del metodo, signor Presidente, credo che in Parlamento, questa sera, si stia consumando qualcosa di molto strano, che stride: i problemi del paese, che sono tanti, da una parte, e i lavori del Parlamento, dall'altra.
Concludo richiamando la crisi economica, l'aumento dei prezzi, la perdita della capacità di acquisto dei salari e delle pensioni, le crisi industriali, la crisi dell'Alitalia, i tagli alla sanità, i contratti di intere categorie che non sono rinnovati mentre noi, giorno e notte, siamo in aula per approvare un provvedimento che non riguarda i problemi degli italiani, ma i problemi di Retequattro, che non risponde ai problemi del paese, ma riguarda i bilanci di Mediaset, che non ha nulla a che fare con le domande degli italiani, ma risponde ad una precisa domanda del cavalier Berlusconi (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo - Alcuni deputati dello stesso gruppo gridano: «Elezioni! Elezioni!»).

PRESIDENTE. L'onorevole Morgando ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/93.

GIANFRANCO MORGANDO. Signor Presidente, dobbiamo cercare di capire le ragioni per cui stiamo dando una importanza così grande, facendo ostruzionismo parlamentare, al provvedimento in esame, un atteggiamento che l'opposizione non decide abitualmente e che è riservato alle questioni rilevanti. Non mi occupo abitualmente di problemi legati all'informazione


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e ne sono anche poco esperto, ma credo che questa sia un tema importante perché attiene, come abbiamo detto durante la fase della discussione generale, a questioni di fondo della nostra convivenza civile e democratica.
Come ha ricordato il Presidente della Repubblica nel suo messaggio alle Camere, sono in gioco gli elementi fondamentali del pluralismo che caratterizzano una società moderna, i problemi della concentrazione del potere dell'informazione, quelli di una democrazia, che per essere reale e sostanziale deve prevedere un equilibrio tra le capacità di influenza dei diversi soggetti sulla pubblica opinione.
Stiamo discutendo - ripeto - di una questione importante. Rispetto a ciò siamo dinanzi ad un decreto-legge che viene «spacciato» per una semplice proroga di date, in attesa dell'approvazione della cosiddetta legge Gasparri. In realtà, il decreto-legge non contiene una semplice proroga: è un salvataggio in grande stile, una sorta di pietra tombale sulla sentenza della Corte costituzionale che stabiliva che una certa rete privata dovesse andare sul satellite entro il 31 dicembre 2003.
Il decreto-legge affida all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di accertare l'effettivo avvio del digitale terrestre, ma si guarda bene dallo stabilire su quali parametri dovrà basarsi questa istruttoria. Non solo; terminato l'esame e verificate le condizioni, l'Autorità dovrà adottare i provvedimenti indicati dal comma 7 dell'articolo 2 della cosiddetta legge Maccanico. Questo passaggio stabilisce che l'Autorità, una volta riscontrata l'esistenza di posizioni dominanti, dovrà aprire un'istruttoria.
Questo è il grande potere sanzionatorio che abbiamo messo in capo all'Autorità, un'altra istruttoria per la questione più istruita del mondo. Sono già state fatte tre istruttorie e tutte e tre con la medesima conclusione: sussiste, grande come una casa, una posizione dominante.
Ci troviamo dunque di fronte ad un infinito gioco di specchi che rinvia sine die la decisione che dovrebbe essere soltanto eseguita. Non ci sono termini precisi nel decreto-legge per l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni entro i quali debbano essere adottati dei provvedimenti. Non c'è nel decreto-legge alcun potere sanzionatorio diretto in capo all'Autorità. C'è un'indeterminatezza nel decreto-legge che stabilisce che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni deve accertare la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri, senza però indicare quale sia la soglia minima. Cosa significa «popolazione raggiunta»? Conta la copertura oppure l'effettiva ricezione del digitale? È un tema che anche altri colleghi hanno posto.
L'ordine del giorno che illustro chiede che il Governo si attivi per preparare le infrastrutture necessarie alla ricezione del digitale terrestre, in maniera tale da garantire una significativa porzione della popolazione, almeno del 60 per cento, del territorio della provincia di Torino.
Facciamo tale proposta perché il digitale terrestre non sia un elemento di squilibrio sociale, ma anche perché vi è una ragione specifica che riguarda proprio la provincia di Torino. Questo ordine del giorno ha un senso particolare. Come il ministro sa, Torino è la città in cui ha sede la competenza della RAI in materia di trasmissione digitale. Il centro ricerche della RAI è presente a Torino e lì si sviluppano le tecnologie che consentono la realizzazione di questi obiettivi.
È necessario che sul territorio della provincia di Torino ci sia la possibilità di sperimentare concretamente la qualità di queste tecnologie e per questo è importante che ci sia un'adeguata diffusione su questa popolazione. Quindi, c'è un interesse particolare di questo territorio, accanto alle ragioni generali che ci fanno assumere questo atteggiamento così duro nei confronti del provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Rusconi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/94.

ANTONIO RUSCONI. Assistiamo oggi all'ennesima umiliazione del ruolo del


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Parlamento; un Parlamento costretto al voto di fiducia pur con una maggioranza chiara e schiacciante, ma che deve piegarsi ai timori del Presidente del Consiglio per un voto libero.
Il tema vero, quello su cui si chiede il voto di fiducia oggi, è la conferma del palese conflitto di interessi dell'onorevole Berlusconi, proprietario di Mediaset. Scrive opportunamente ieri sul Corriere della Sera Claudio Magris, per presentare il libro di Giovanni Sartori «Mala tempora currunt»: «lo scienziato della politica, ossia Sartori, è costretto a scrivere Mala tempora currunt quando commenta la legge Gasparri, che definisce spudorata e micidiale, ne smaschera i belletti che tentano di dissimulare il suo potenziale liberticida e non può trattenersi dal dire che chi la vota si dovrebbe vergognare.
Analoghe radiografie freddamente e appassionatamente obbiettive vengono dedicate al conflitto di interessi di Berlusconi e ai suoi fasulli rattoppi, ai progetti di riforma costituzionale ed elettorale e a tanti altri aspetti di quel processo degenerativo che vede in questi ultimi anni regredire il nostro paese, che ha una concezione e un esercizio premoderni e preliberali del potere, a una progressiva cancellazione dei meccanismi di controllo e di equilibrio elaborati nei secoli dal pensiero liberale per garantire la divisione dei poteri e impedire tirannidi esercitate sia da minoranze sia da maggioranze».
Oggi abbiamo la conferma che il richiamo del Presidente Ciampi a un maggiore pluralismo è stato tradito. Il Governo Berlusconi, obbediente e devoto al suo capo, mette la fiducia sul decreto che salva dal trasloco sul satellite Retequattro perché, dopo i recenti episodi, notevole è la paura dei franchi tiratori (come dice l'etimologia della parola, sono coloro che si sono o si sarebbero liberati dalla schiavitù) e troppi «mal di pancia» evidenti e il malcontento è palese su una verifica mai chiusa e che dura da almeno un anno.
Allora, non importa che in questo modo stiamo calpestando l'articolo 21 della Costituzione e le sue fondamentali implicazioni per la democrazia. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione: tale libertà, che suole chiamarsi libertà di pensiero, viene definita dalla Corte costituzionale una pietra angolare dell'ordine democratico.
L'esempio tipico di una siffatta conversione della libertà nel pluralismo, ossia nella garanzia di un diritto inviolabile e nella garanzia di un istituto giuridico di libertà, è costituito dalla sentenza della Corte costituzionale del 1988, la madre di tutte le sentenze, interamente incentrata sulla imprescindibile esigenza di un'effettiva tutela del pluralismo dell'informazione, che va difeso contro l'insorgere di posizioni dominanti, o comunque preminenti, tali da comprimere sensibilmente questo valore fondamentale.
Ma questo decreto-legge non contiene una semplice proroga: è un salvataggio in grande stile, è una pietra tombale sulla sentenza della Corte costituzionale, che stabiliva che una rete privata doveva andare sul satellite entro il 31 dicembre 2003.
Con questo decreto-legge, con arroganza indicibile, il Governo e la sua maggioranza non eludono solo le sentenze della Corte e il messaggio del Presidente della Repubblica, ma calpestano sentenze e messaggio. Con l'utilizzo del voto di fiducia avete umiliato il ruolo dei parlamentari.
Infine, con questo decreto-legge e con la legge Gasparri state scardinando la Costituzione e minando alla base le più elementari regole di democrazia. Questa è una brutta pagina per il nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Bindi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/95.

ROSY BINDI. Ho l'obbligo di illustrare un ordine del giorno simile a molti altri e che ha la funzione di colmare una delle tante carenze di questo decreto-legge, quella che riguarda, in maniera particolare, le nuove reti digitali terrestri.


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Com'è noto, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà accertare la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri, senza però che questa legge indichi la soglia minima e senza che questo decreto specifichi se si tratti di una popolazione effettivamente raggiunta da questo servizio. Conta la copertura o l'effettiva ricezione del digitale?
L'ordine del giorno, che ho sottoscritto insieme ad altri colleghi, impegna il Governo a preparare le infrastrutture necessarie alla ricezione del digitale terrestre in maniera tale da non svantaggiare la popolazione della provincia di Siena, una provincia che ha una bassa densità di popolazione e che si caratterizza per un territorio ricco di tante bellezze naturali ed artistiche che devono incontrarsi con le nuove infrastrutture, quelle che misureranno il nuovo modello di sviluppo e la capacità di innovazione, ma che rappresentano anche un grande fattore di equilibrio sociale.
Il modello di sviluppo della Toscana passa di qui, nella capacità di coniugare le sue tradizioni con l'innovazione e la modernità.
Pertanto noi chiediamo al Governo di accogliere questo ordine del giorno a servizio del modello di sviluppo di una parte importante del territorio del nostro paese e di farlo proprio per evitare che nuovi fattori di squilibrio sociale si inseriscano in un momento così difficile per la vita del paese.
Questo nostro atteggiamento parlamentare così grave, la prima volta in una legislatura nella quale vi sarebbero sicuramente state molte altre occasioni per giungere ad una decisione così grave e insieme così responsabile ed impegnativa, non è legato evidentemente a questo aspetto pure importante, ma proprio alla gravità di questo decreto-legge. Si tratta di un decreto emanato in spregio a tutte le istituzioni di garanzia del nostro paese, alle sentenze della Corte costituzionale, al messaggio del Presidente della Repubblica sul pluralismo dell'informazione, al rinvio alle Camere della legge Gasparri.
Con la conversione di questo decreto-legge il Parlamento non sta recependo le osservazioni del Presidente della Repubblica, ma sta di fatto calpestando la sua autorità ed il suo intervento a difesa della Costituzione, del pluralismo, della libertà, della democrazia nel nostro paese. Su tutto ciò il Governo mette anche la fiducia. La solitudine del ministro Gasparri al banco del Governo questa notte è la prova evidente della solitudine che si va traducendo in una mancanza di consenso: solo davanti alla responsabilità dell'opposizione e del Parlamento che è qui a difendere la libertà, il pluralismo, la democrazia, e la libertà economica del nostro paese dal macigno del conflitto di interessi del Presidente del Consiglio. Siamo tutti prigionieri di un uomo e della sua maggioranza alla quale manca l'elemento fondamentale per fare politica: la libertà.

PRESIDENTE. L'onorevole Papini ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/96.

ANDREA PAPINI. Signor Presidente, oggi non dovremmo parlare di una rete televisiva e degli interessi del suo proprietario, bensì dell'articolo 21 della Costituzione e delle sue fondamentali implicazioni per la democrazia: tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione. Tale libertà, che suole chiamarsi libertà di pensiero, viene definita dalla Corte costituzionale una pietra angolare dell'ordine democratico, come troviamo scritto nella sentenza n. 84 del 1969.
Il Governo e la sua maggioranza come rispondono per garantire il principio del pluralismo esterno, di cui all'articolo 21 della nostra Costituzione? Rispondono con un decreto-legge che viene spacciato come una semplice proroga in attesa dell'approvazione della legge Gasparri, che più che legge di sistema delle telecomunicazioni è una legge che sistema il potere all'interno delle telecomunicazioni a vantaggio di qualcuno. Questo decreto-legge, però, non contiene una semplice proroga,


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è un'operazione in grande stile, è una pietra tombale sulla sentenza della Corte Costituzionale, che stabiliva che una rete privata doveva andare sul satellite entro il 31 dicembre 2003. Infatti, il decreto-legge affida all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di accertare l'effettivo avvio del digitale terrestre, ma si guarda bene dallo stabilire su quali parametri dovrà basarsi tale istruttoria. Non solo, terminato l'esame e verificate le predette condizioni, l'Autorità dovrà adottare i provvedimenti indicati dal comma 7 dell'articolo 2 della legge n. 249 del 31 luglio 1997, nota come legge Maccanico. Ecco la scappatoia, perché il passaggio qui richiamato dice che l'Autorità, una volta riscontrata l'esistenza di posizioni dominanti, dovrà aprire un'istruttoria. Questo è il grande potere sanzionatorio che abbiamo messo in capo all'Autorità, un'altra istruttoria per la questione più istruita del mondo. Ne sono già state fatte tre, tutte con la medesima conclusione: sussiste, grande come una casa, una posizione dominante.
Ci troviamo dunque di fronte ad un infinito gioco di specchi che rinvia sine die una decisione che dovrebbe essere solo eseguita. Con questo decreto-legge, con una arroganza indicibile, il Governo e la sua maggioranza non eludono le sentenze della Corte e il messaggio del Presidente della Repubblica ma calpestano entrambi. In tale decreto non vi sono termini precisi entro i quali debbono essere adottati provvedimenti da parte delle Autorità, non vi è alcun potere sanzionatorio diretto. Signor Presidente, il decreto-legge stabilisce che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà accertare la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri, senza però indicare quali sia la soglia minima. Che cosa significa esattamente popolazione raggiunta? Conta la copertura o l'effettiva ricezione digitale?
Con il presente ordine del giorno chiedo che il Governo si attivi, almeno per preparare le infrastrutture necessarie alla ricezione del digitale terrestre in maniera tale da non svantaggiare la popolazione della provincia di Bologna. Chiedo il voto sul presente ordine del giorno affinché il digitale terrestre non sia un elemento di squilibrio sociale a danno della popolazione.
Voglio infine affrontare il tema del rapporto tra la condotta del Governo ed il Parlamento. Su questo provvedimento il Governo ha adottato il massimo di pressione che può essere esercitato nei confronti del Parlamento, emanando prima un decreto-legge e, successivamente, in sede di conversione ponendo la questione di fiducia. In questo decreto abbiamo però anche il massimo di interesse del Capo del Governo. Abbiamo quindi massima pressione del Governo e massimo interesse del Capo del Governo. È questa una semplice equazione, quasi inesorabile, che apre però la questione della modificazione del sistema politico sulla quale noi non concordiamo e io credo non concordi anche larga parte dei parlamentari che sostengono questa maggioranza. Questa equazione, nella sua inesorabile semplicità, parla agli italiani e dice che questo sistema politico non può essere cambiato in questi termini.

PRESIDENTE. L'onorevole Tonino Loddo ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/97.

TONINO LODDO. Signor Presidente, prima di iniziare l'illustrazione del mio ordine del giorno, mi consenta di chiederle di aiutarmi a sciogliere un dubbio che mi sta assillando. Vista l'ora e la stanchezza può darsi che io mi inganni, ma sul Corriere della Sera di oggi, mercoledì 18 febbraio 2004, a pagina 4 leggo: il Presidente della Camera Casini ha convocato i capigruppo, ma, non trovando l'accordo, ha messo ai voti la proposta di Forza Italia di procedere ad oltranza (cioè con la seduta notturna). Per l'occasione la terza carica dello Stato ha alloggiato nel suo appartamento della Camera; alle due di notte è toccato, infatti, proprio a Casini dare il cambio a Mastella sullo scranno di Presidente dell'Assemblea.
Ora, voglio capire, attesa l'ora (sono già le due e un quarto del mattino), se lei sia


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il Presidente Casini o il Presidente Mastella... (Commenti).

PRESIDENTE. Confesso che la battuta non mi fa ridere. Arriverà, il Presidente Casini.

TONINO LODDO. Non vi è dubbio; ho soltanto fatto rilevare come, sui giornali, lo diano già per arrivato da un quarto d'ora mentre invece a me non risulta.

PRESIDENTE. Apparirà una ristampa, corretta, del giornale; cosa vuole che le dica...

TONINO LODDO. Ebbene, signor Presidente, a parte la boutade, giustificata dall'ora tarda, nel cuore della politica italiana si annida un'anomalia unica: la posizione di un Capo di Governo che, oltre ad essere l'uomo più ricco del paese, è proprietario di quasi tutti i mezzi di comunicazione. Tale cruda contraddizione, che repelle al più elementare senso democratico, ha portato il Governo di destra ad approvare, in extremis, un decreto per proteggere l'impero televisivo del Capo del Governo. Lungi dal sanare il conflitto tra i suoi formidabili interessi economici ed il suo potere politico, come aveva promesso prima di vincere le elezioni del 2001, Berlusconi sottopone al Parlamento una legge fatta su misura per il suo impero mediatico. Il conflitto di interesse, intorno al quale ruota la governabilità italiana, possiede tinte surrealiste rispetto a qualsiasi altro ordinamento democratico.
Berlusconi, che «considera carta straccia le sue promesse elettorali e manifesta un'allarmante mancanza di rispetto verso le istituzioni» semplicemente «utilizza» il suo incarico a proprio beneficio, con l'apparente consenso dei suoi cittadini. Questo, signor Presidente, non è quanto pensi un qualunque deputato dell'opposizione; si tratta, piuttosto, di opinioni nutrite in Europa circa il provvedimento che siamo chiamati a votare. Quelle citate sono infatti le parole del quotidiano spagnolo El Pais, che echeggiano analoghe prese di posizione espresse da altri rilevanti organi di stampa europei.
Qualcuno ha anche detto, in quest'aula, che l'urgenza del decreto deriva dalla necessità di salvare i posti di lavoro dei dipendenti di Retequattro: salviamo Emilio Fede. Così, al suono di questa vocazione accorata, ministri e parlamentari della maggioranza hanno elaborato ed approvato a spron battuto: dapprima, una riforma delle comunicazioni; poi, un decreto di riparazione, dopo la bocciatura da parte del Capo dello Stato.
A tale nobile scopo, hanno pure inventato il SIC, il sistema integrato delle comunicazioni, nel quale confluiscono, praticamente, quasi tutti i sistemi di comunicazione; rimangono fuori solo le bandiere per l'alfabeto semaforico, i fischietti dei capi dei boy scout e poco altro.
Sembra, per la verità, che il grave problema possa avere un'altra soluzione; vi sarebbe, infatti, un'emittente già titolare della relativa licenza e pronta ad occupare le frequenze lasciate libere da Retequattro pronta quindi ad assumere l'eventuale personale in esubero proveniente da Mediaset.
Ma vi sarebbe mai oggi qualcuno in Italia disposto a fare quanto fa Emilio Fede? E soprattutto, perché far nascere in Italia una televisione concorrente con quelle del Capo del Governo? Inoltre, se il digitale terrestre non è ancora pronto - tra l'altro, le famiglie non possiedono il relativo decoder -, basta offrire a tutte le famiglie 150 euro di contributo, tagliando, in ipotesi, la relativa spesa dai fondi per gli alunni disabili.
Ancora: questo Governo, così tenero e sollecito verso i dipendenti Mediaset, non è forse lo stesso che si vanta di tagliare migliaia di cattedre nella scuola? Eppure, signor Presidente, resto fiducioso; atteso che questo Governo è così tenero e sollecito verso i problemi dei lavoratori e disponibile per i provvedimenti ad personam, avanzo la proposta di un decreto che serva a porre rimedio agli sciagurati tagli alla spesa sociale.


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Chiamiamolo, giusto per dargli un nome, decreto «salva Vincenzo». Signor Presidente, Vincenzo è un amico, insegnante precario, moglie e figlio a carico, che vive di incarichi annuali e che a Natale ha mangiato il panettone solo grazie ad una supplenza temporanea, oltretutto ringraziando il cielo, proprio lui miscredente, che ancora vi sia qualcuno che chiede ripetizioni private (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. L'onorevole Zanella ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/180.

LUANA ZANELLA. Signor Presidente, il Governo ha posto la questione di fiducia, puntualmente votata, su un provvedimento che, ancora una volta, sacrifica i principi costituzionali, le indicazioni del Presidente della Repubblica, il giudicato della Corte costituzionale, all'interesse ed all'egemonia mediatica del premier-imprenditore.
La richiesta del voto di fiducia sul cosiddetto decreto salva Retequattro rivela in modo inconfutabile la crisi, la debolezza del Governo che non rischia il confronto in aula per la paura di vedere collassare la propria maggioranza sotto la scure del voto segreto. È con un'instancabile sfrontatezza che il Presidente del Consiglio costringe, ancora una volta, il Parlamento ad occuparsi dei suoi affari anziché di quelli del paese. Ciò, a quanto pare, non è gradito, nemmeno a parte dei suoi alleati. Ribadisco che vengono ancora una volta sacrificati pluralismo e democrazia, senza alcuna considerazione né per i messaggi del Presidente Ciampi, né per le sentenze della Corte costituzionale.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI (ore 2,20)

LUANA ZANELLA. La saluto, Presidente Casini; benvenuto!
Vorrei entrare ora nel merito del contenuto dell'ordine del giorno che mi appresto ad illustrare; il decreto, infatti, prevede - come è noto e come è stato a lungo illustrato dai colleghi negli interventi precedenti - che entro il 30 aprile del 2004, l'Autorità garante per le comunicazioni effettui un esame dell'offerta dei programmi televisivi digitali terrestri per verificare l'effettiva estensione del digitale terrestre. Deve, cioè, accertare la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali, la presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili, l'effettiva offerta al pubblico di programmi che non siano quelli diffusi dalle reti analogiche (fatti passare, in ipotesi, per via digitale). La lettera a) del primo comma dell'articolo 1, peraltro risultante dalla proposta emendativa presentata e approvata al Senato, stabilisce che la quota che deve essere coperta - quindi non più raggiunta ma coperta - dalle nuove reti digitali terrestri, non debba essere inferiore al 50 per cento. È stata abbassata la percentuale; dianzi, era l'80 per cento. Con la modifica apportata dal Senato basterà, invece, il 50 per cento.
Tale riferimento, è evidente, non necessariamente garantisce una diffusione omogenea sul territorio nazionale; ai fini di una corretta valutazione dell'Autorità di garanzia, in relazione sia alle leggi vigenti sia alle direttive comunitarie in materia, occorre fare riferimento ad effettive condizioni di sviluppo delle trasmissioni in digitale e, dunque, di fruizione di programmi da parte degli utenti.
In un sistema televisivo in cui lo sviluppo delle reti digitali terrestri sia in termini di mercato adeguato anche rispetto ad altre modalità di trasmissione di programmi e di servizi interattivi tramite tecnologia digitale - penso alla TV via cavo o al digitale via ADSL -, è evidente che è necessario acquisire livelli di diffusione non inferiori a quanto previsto per le concessioni nazionali delle reti in analogico.
Ma la vaghezza dei criteri con i quali l'Autorità di garanzia dovrebbe arrivare, appunto, a valutare tale diffusione reale delle reti digitale terrestri e, quindi, a verificare l'effettiva sussistenza del raggiunto pluralismo, suggerisce che il Governo dia delle precisazioni ed indicazioni


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più adeguate al compito, anche in vista del contenimento della discrezionalità di un'Autorità che comunque ha una funzione prettamente amministrativa (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Colgo l'occasione per rivolgere all'onorevole Alfano i migliori auguri, visto che oggi compie cinquant'anni ed affronta la nuova impegnativa età con esemplare correttezza istituzionale, essendo presente in aula alle 2 di notte!
L'onorevole Tuccillo ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/102.

DOMENICO TUCCILLO. Signor Presidente, la procedura insolita a cui sta ricorrendo l'opposizione - lo ha ricordato già prima l'onorevole Morgando - è sicuramente un fatto straordinario ed eccezionale, a cui ci si richiama in momenti straordinari ed eccezionali. Potremmo dire che si tratta di un escamotage a cui ricorrono l'opposizione e il Parlamento per potersi esprimere e per poter dibattere rispetto ad un provvedimento di vitale importanza per la strutturazione del nostro sistema informativo e, quindi, necessario per la democrazia nel nostro paese.
Si tratta di un escamotage per potersi esprimere piuttosto che per poter decidere. Infatti, oggi si assume una decisione che è, ancora una volta, non negata ma visibilmente e prepotentemente coartata attraverso il voto di fiducia imposto al Parlamento. Per la verità, in questa legislatura la procedura a cui si è ricorsi più volte, prima del decreto-legge e poi della fiducia, l'abbiamo sperimentata in più occasioni e in più fasi, a partire dalla sessione di bilancio.
Oggi, invece, come in occasione della legge finanziaria, il Governo ricorre al decreto-legge e alla fiducia non solo per un certo pressappochismo e per una certa sciatteria istituzionale, ma anche per una notevole indifferenza al valore delle procedure, che viene insistentemente e pervicacemente offeso dalle stesse. Tuttavia, il ricorso a queste procedure da parte del Governo avviene anche per imboccare sbrigativamente una scorciatoia politica che serve ad eludere i problemi del confronto interno alla maggioranza e quasi ad estorcere con la forza un consenso a questa maggioranza che su simili argomenti e vicende si è dimostrata molto riottosa e recalcitrante, come abbiamo visto in quest'aula. Quindi, la decisione viene assunta per serrare i ranghi della maggioranza, non attraverso la persuasione, con l'accoglimento di rilievi e di osservazioni, pur sensate, che erano venute dall'opposizione e dalla stessa maggioranza, ma ricorrendo al voto di fiducia. Infatti, con l'ordine e con la forza si pone sotto controllo, non dico la coscienza, ma sicuramente la libera volontà di determinazione e di autodeterminazione di chi in quest'aula - quando non sono state sottratte le prerogative che tutelavano la riservatezza del voto - ha dimostrato di ribellarsi a queste imposizioni, di non voler avallare quelle nequizie e quelle prepotenze e di non voler svilire la propria funzione di parlamentare a semplice strumento di copertura di interessi singoli e particolari.
Oggi andrebbero rilette quelle sagge parole di Benedetto Croce che, in una garbata polemica con il rigore intransigente di Sturzo e in altre circostanze ancora più drammatiche del nostro paese, difese il mantenimento in questo Parlamento del voto segreto. Egli diceva che non essendo gli uomini eroi e non potendosi pretendere da essi che lo siano, è più giusto e più opportuno che il voto segreto permanga e che si crei e si preservi uno spazio sicuramente meno eroico ma certo più garante di una libera espressione della libera volontà dei parlamentari e, quindi, della democrazia.

PRESIDENTE. L'onorevole Giovanni Bianchi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/103.

GIOVANNI BIANCHI. Signor Presidente, le dotte citazioni dei colleghi che mi hanno preceduto mi spingevano a partire dall'Amleto, ma in questa follia non c'è del genio,


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bensì un disegno pervicace. A questo punto, mi pare interessante ed istruttivo confrontare la condizione della nostra democrazia con questa ultima forzatura per il vantaggio degli interessi del premier. Sussiste un'enorme accelerazione del rapporto tra media e democrazia, dove l'informazione e la comunicazione si presenta come elemento e stoffa irrinunciabile per il tessuto della democrazia medesima.
Recentemente, la sociologia francese ha scritto che l'immagine mangia il territorio: è vero, anche se non dobbiamo arrenderci alla sparizione e all'azzeramento del territorio. Ebbene, in questa circostanza cala come un ariete il conflitto di interessi e più ancora - non mi pare che su questo ci si sia ancora intrattenuti - la concezione dello Stato del premier, definita non da noi dell'opposizione ma dal direttore de Il Foglio come concezione patrimoniale dello Stato. In questo caso, per qualcuno svanisce e si azzera la distanza tra il privato e il pubblico. Da qui la nostra ferma opposizione che si aggiunge a quella della società civile e se ne fa interprete; da qui anche l'opposizione sorda ma tenace di un settore non esiguo della maggioranza, con un disaccordo che si è più volte manifestato all'ombra del voto segreto.
Ricordo anche una previsione del collega Mussi che, purtroppo, si è rivelata errata. Egli, richiamando l'abitudine proba dei sindaci di uscire dalla sala della giunta quando è in discussione un provvedimento che ne lambisce gli interessi, prevedeva che a palazzo Chigi per il premier sarebbe stato necessario installare la porta girevole di un Grand Hotel.
No, non vanno così le cose! Non ruota la porta girevole, la concezione patrimoniale dello Stato evita, insieme, la ginnastica e il disturbo. Però, rispetto a tutto questo c'è una pietra realissima di inciampo. Questa, è costituita, ed è di fronte al provvedimento, dalla constatazione - prima ancora che dalla convinzione - che il pluralismo non può essere virtuale. L'enfasi sul digitale può legittimarsi per passione nei confronti della tecnologia, ma misura una distanza più incolmabile, quella che la filosofia classica prima e la scolastica poi stabiliscono tra la potenza e l'atto.
Si possono illustrare le potenzialità tecnologiche e del mercato del decoder, però il problema sta nel fatto che il cavallo non beve, il mercato non tira, i decoder non invadono le nostre case; la base naturale di questo pluralismo viene evidentemente meno. Non è un inciampo da poco e anche se il decreto passa grazie al ricorso alla fiducia non decolla perché manca la piattaforma materiale di tutto questo e tutto il resto ne consegue. Perciò, vorrei ricordare, signor Presidente, il messaggio del Presidente della Repubblica sui vari profili di legittimità costituzionale e in particolare su quel richiamo per il quale «deve necessariamente ricorrere la condizione che sia intervenuto un effettivo arricchimento del pluralismo». Non si danno le condizioni né materiali né giuridiche di tutto ciò (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di Sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Santagata ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno, n. 9/4645/105.

GIULIO SANTAGATA. Signor Presidente, vorrei dedicare qualche secondo di questo mio intervento ad una questione procedurale. Ho guardato con attenzione il nostro regolamento e ho trovato disciplinato con cura il voto di fiducia agli articoli 115 e 116. Non ho trovato, invece, nulla in merito all'obbedienza e alla sottomissione. Quello che contraddistingue e fa la differenza tra un voto di fiducia e un voto di obbedienza lo dice con chiarezza il nostro regolamento. È la motivazione.

DANIELE FRANZ. Smettila, per l'amor di Dio! Sono le due e mezza!

PRESIDENTE. Onorevole Franz, la richiamo all'ordine!

GIULIO SANTAGATA. È la motivazione. Si parla, sia per la fiducia che per la sfiducia, dell'esigenza di una motivazione.


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Credo che stiamo discutendo su una questione che non ha avuto adeguata motivazione. Stiamo discutendo di uno dei beni fondamentali della società e dell'economia dei nostri giorni, che è l'informazione. Stiamo discutendo di una caratteristica fondamentale dell'informazione, di cui la Corte costituzionale ha voluto ricordarci il valore costituzionale, ovvero il pluralismo. Pluralismo ed informazione sono elementi costitutivi del mercato e della società di oggi; sennonché, per garantire con chiarezza il pluralismo in un mercato moderno noi dovremmo perseguire la strada maestra del mercato, cioè la concorrenza; purtroppo, invece, ritengo che con questo decreto ci stiamo allontanando chiaramente da quel sentiero. Concorrenza e mercato sono solo due parole, che evidentemente suonano male a questo Governo e a questa maggioranza, perché il mercato non è un bene che si trova in natura né un prodotto. Ed è il prodotto fondamentale delle regole. Non esiste mercato senza regole. Il ministro Tremonti se ne è ricordato dopo alcuni disastri delle imperfezioni del nostro mercato ed è corso ai ripari, chiedendo più controlli, più pene, chiedendo, in buona sostanza, che ci fosse un'Autorità in grado di comminare sanzioni.
Non si capisce perché questo non valga quando parliamo del bene pubblico e del bene di mercato più importanti del nostro tempo: l'informazione e il pluralismo. Come si fa a parlare di mercato e di Autorità quando non si definiscono né i metodi con cui l'Autorità deve misurare l'effettivo grado di pluralismo e di concorrenza né gli strumenti e le sanzioni a disposizione di questa Autorità? Ma c'è di più. Il mercato non è solo regole. Il mercato non si governa solo con le Authority: esso richiede una cultura, un clima, credo che il caso Parmalat lo dica con chiarezza.
Se non c'è un clima favorevole e il rispetto delle regole, si fa fatica a rimanere dentro un mercato concorrenziale. Allora, visto che abbiamo fatto mattina, scopro, leggendo i giornali di oggi che, a proposito di regole, il Presidente del Consiglio invita gli italiani ad evadere il fisco, perché non è equo, perché è eccessivo. Sono in Parlamento per la prima volta, ma mi sembra che siano passati più di due anni e mezzo da quando abbiamo promesso che avremmo modificato il fisco iniquo. Abbiamo approvato condoni su condoni per necessità di azzerare il vecchio modello di rapporto tra contribuente e fisco e siamo ancora ad un Presidente del Consiglio il quale, dopo aver detto agli operai di Termini Imerese che la cosa migliore è fare il doppio lavoro, ci invita ad evadere le tasse. Capisco che con gli utili che fa lui ne abbia bisogno (Applausi dei deputati dei Democratici di Sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. L'onorevole Bottino ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/106.

ANGELO BOTTINO. Signor Presidente, il decreto-legge 24 dicembre 2003 n. 352 fa seguito al rinvio alle Camere della cosiddetta legge Gasparri disposto dal Presidente della Repubblica ai sensi dell'articolo 74 della Costituzione, con messaggio motivato del 15 dicembre 2003. In particolare, il messaggio tra i vari profili di legittimità costituzionale della legge, individuava la sostanziale violazione della sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2002, sotto il profilo della mancata indicazione di un termine finale certo per la cessazione di regime transitorio, per il passaggio definitivo dal sistema analogico al digitale e per la mancata previsione di poteri sanzionatori in capo all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nell'ipotesi di esito negativo dell'accertamento della complessiva offerta dei programmi televisivi digitali terrestri. Secondo il messaggio presidenziale, per poter considerare realizzate le condizioni in grado di giustificare il superamento del termine del 31 dicembre 2003, deve necessariamente ricorrere la condizione che sia intervenuto un effettivo arricchimento del pluralismo, derivante dall'espansione della tecnica di trasmissione del digitale terrestre. Riguardo a tale profilo, il comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge non garantisce


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l'effettuazione di una compiuta verifica circa la sussistenza di un concreto pluralismo informativo. Il comma si limita infatti ad accorciare il termine per l'effettuazione delle attività di ricognizione del mercato da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, omettendo l'indicazione della data alla quale riferire l'accertamento e riferendo l'accertamento stesso non all'effettivo raggiungimento della popolazione da parte delle due nuove reti, ma alla sola copertura delle reti stesse.
Il comma 2 dell'articolo 1 non stabilisce un termine preciso entro il quale l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni deve adottare le deliberazioni in ordine alle violazioni dei limiti previsti per le emittenti radiotelevisive, con il rischio della prosecuzione, a tempo indefinito, dell'esercizio delle reti eccedenti tali limiti.
Il comma 2 dell'articolo 1, inoltre, non prevede alcun potere sanzionatorio diretto, derivante dall'esito negativo dell'accertamento da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Tale comma, infatti, in primo luogo rinvia a un procedimento complesso e comunque lungo (fino a 12 mesi), con la conseguente protrazione del periodo transitorio concesso dal decreto-legge; in secondo luogo, richiama il comma 7 dell'articolo 2 della legge n. 249 del 1997, che prevede l'assunzione di misure per la dismissione della rete che eccede i limiti antitrust senza prescrivere la cessazione delle trasmissioni della rete che si accerti eccedere detto limite. Le disposizioni contenute nel provvedimento in esame ancora non garantiscono, quindi, l'attuazione del principio del pluralismo informativo esterno di cui all'articolo 21 della Costituzione.
Signor Presidente, con l'ordine del giorno in esame si tenta di indurre il Governo a ridurre un danno inevitabile.
Il decreto-legge stabilisce che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà accertare la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri senza però indicare quale sia la soglia minima. Con l'ordine del giorno che ho presentato chiedo che il Governo si attivi almeno per realizzare le infrastrutture necessarie alla ricezione del digitale terrestre, in maniera tale da non svantaggiare la popolazione della regione Liguria.
Chiedo il voto sul mio ordine del giorno affinché il digitale terrestre non sia un elemento di squilibrio sociale a danno dei cittadini.

PRESIDENTE. L'onorevole Stradiotto ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n.9/4645/107.

MARCO STRADIOTTO. Signor Presidente, prima di affrontare il tema legato all'approvazione di questo decreto, vorrei raccontare un fatto avvenuto due anni fa in un comune che fa parte del collegio che ho l'onore di rappresentare. Si tratta di un racconto che permette di comprendere come nel nostro paese vi siano cittadini di serie A e cittadini di serie B.
Ebbene, nel comune di Mirano, due anni fa, un cittadino è stato costretto a dimettersi dalla carica di consigliere comunale in quanto, oltre ad essere consigliere comunale, era presidente di una associazione di volontariato senza scopo di lucro (un'associazione che assisteva i portatori di handicap). Costui, è stato costretto alle dimissioni in quanto l'associazione che rappresentava aveva una convenzione con il comune e questo, in base al testo unico per gli enti locali, è motivo di incompatibilità - testo unico che, mi pare, sia stato approvato da questa Assemblea - in quanto vi potrebbero essere dei conflitti di interesse. Che strano questo nostro paese: per qualcuno esiste il conflitto di interessi, per altri no!
Quando, lunedì pomeriggio, il rappresentante del Governo ha comunicato all'Assemblea che il Governo poneva la fiducia sul decreto «salva Retequattro», sono stato sorpreso e deluso. Sorpreso perché mi aspettavo perlomeno un po' di buon gusto e deluso perché mi aspettavo che, nella Casa delle libertà, vi fossero ancora dei colleghi che si riconoscessero nel motto «liberi e forti».
Purtroppo, i forti, che oggi comandano la maggioranza, appartengono ad altre


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tradizioni culturali. Ma come è possibile che si accetti di porre la fiducia su un provvedimento che tocca direttamente gli interessi del Presidente del Consiglio? Come è possibile che un Governo che conta una maggioranza di 100 parlamentari in più dell'opposizione abbia la necessità di porre la fiducia per paura dei franchi tiratori?
Non so se hanno ragione i colleghi che sostengono che nel paese sia in atto un declino economico. Ciò che è certo è che sempre più famiglie, con difficoltà, riescono ad arrivare a fine mese.
Altra cosa certa è che in Italia è in atto un vero e proprio declino morale.
In questi due anni e mezzo di Governo di destra, sono aumentate le differenze tra le classi forti e quelle deboli della nostra società. Vi è sempre più una suddivisione tra cittadini di serie A e di serie B ed è normale, in questa situazione, assistere ad un incremento dei conflitti sociali.
In questo caso, il Governo ha chiesto la fiducia su un provvedimento che garantisce un maggiore introito, pari a 150 milioni di euro, alle società di proprietà del Presidente del Consiglio. Ma, secondo voi, cosa può pensare oggi quel consigliere comunale di cui in precedenza parlavo, vedendo questo provvedimento e come si comportano le istituzioni che dovrebbero invece dare l'esempio?
Cari colleghi di maggioranza, guardate che queste forzature le pagherete tutte. La storia insegna che tutte le ingiustizie e le furberie, prima o poi, si pagano. (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Del Bono ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/108.

EMILIO DELBONO. Signor Presidente, non c'è dubbio che, leggendo il decreto-legge, ci chiediamo a che serva la Corte costituzionale. Certo, sappiamo che per molti della maggioranza essa è un luogo dove esistono pericolosi bolscevichi ed è presieduta da un pericoloso comunista come Zagrebelsky, che ricordo scrisse una cosa straordinaria, «diritto mite», che è assolutamente il contrario del diritto hard, cui la maggioranza, invece, guarda con molta attenzione. Ma ci chiediamo anche a che serve il Presidente della Repubblica, perché è molto chiaro come questo decreto cancelli in misura significativa il suo messaggio inviato alle Camere e temo che, per molti della maggioranza, il Capo dello Stato serva più che altro a rispolverare l'inno d'Italia (con qualche eccezione, perché la Lega chiede che anche questo possa essere evitato).
Ci chiediamo, poi, a cosa serva il Parlamento, visto che il Governo ha timore della sua maggioranza e del giudizio dei suoi parlamentari su un provvedimento come questo. È chiaro, quindi, che questo provvedimento a noi preoccupa non poco. Non a caso ho presentato un ordine del giorno - sono certo che il ministro lo ha letto con grande attenzione ed avrà modo di esprimere un giudizio favorevole al suo l'accoglimento - volto ad estendere almeno uno dei criteri fondamentali per verificare se vi sarà l'introduzione di questo benedetto digitale, in misura significativa, per introdurre il pluralismo dell'informazione. Si chiede cioè che in Lombardia, che, come tutti sanno, è una delle regioni più importanti, più evolute e, paradossalmente, anche più dotate economicamente, la copertura sia almeno del 60 per cento della popolazione. Sappiamo anche che, purtroppo, possiamo dirci con grande franchezza che gran parte dell'infrastrutturazione, semmai essa si farà per il digitale, verrà scaricata ancora una volta sui cittadini, perché la dovrà fare la RAI. Quindi, paradossalmente, ci troviamo di fronte alla richiesta che il cosiddetto pluralismo dell'informazione è un dovere che deve essere garantito attraverso l'esborso da parte dei cittadini sia di costi che si scaricano sulle famiglie sia di costi indiretti che si scaricano sul sistema. Ciò è davvero paradossale.
Un altro elemento che ci preoccupa moltissimo in questo decreto-legge è che non vi è nessuna sanzione nel caso in cui l'Autorità garante per le comunicazioni verifichi e registri un non raggiungimento


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dell'impatto. Qui siamo di fronte ad una vera e propria riforma costituzionale e, come dice il professor Zaccaria, ordinario di diritto costituzionale presso le università di Firenze e di Perugia, si è avanzata una prima riforma costituzionale che potremmo dire è un anticipo della devolution, della involution o della demolition. Siamo, sostanzialmente, di fronte ad una palese violazione dell'articolo 21 della Costituzione, perché, in realtà, il problema non è mandare sul satellite Emilio Fede, ma togliere Retequattro dal sistema RAI; significa colpire in modo significativo il sistema della raccolta pubblicitaria, che non diminuisce in misura proporzionale alla scomparsa in chiaro di Retequattro; significa quindi una modifica strutturale degli equilibri della raccolta pubblicitaria e quindi del pluralismo nel nostro paese.
È paradossale che un liberista a parole come Berlusconi che, ancora oggi, inneggia agli spiriti selvaggi della società, in realtà, è uno dei più grandi e straordinari statalisti, perché vuole la protezione e rigorosa della legge dello Stato per poter fare «colui che si è fatto da sé». Ma, per farsi da sé, avrebbe appunto la necessità di non essere tutelato e difeso da leggi che si fa da sé. Quindi è indubbiamente questo un tema che ci interessa da vicino perché siamo di fronte ad una violazione gravissima della Costituzione. (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Vernetti ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/109.

GIANNI VERNETTI. Signor presidente, onorevoli colleghi, questo è un paese dove domina sempre più l'incertezza e l'insicurezza, ove i risparmiatori sono traditi sovente da una finanza irresponsabile. È un paese nel quale le famiglie faticano a costruirsi un futuro, con l'inflazione senza precedenti, con prezzi che aumentano e con il welfare che si riduce; un paese dove l'incertezza cresce fra coloro che non sanno più se potranno mandare i propri figli a tempo pieno in una scuola pubblica, se potranno ancora curare gratuitamente i propri anziani, o avere ancora la certezza di un'equa previdenza. Questo, in poche parole, è un paese sempre meno europeo. E ciò in un'Europa che ha già dimenticato quel triste semestre europeo nel quale il liberale Berlusconi verrà richiamato solo per l'amicizia speciale creata con l'oligarchico Putin, deportatore di Ceceni; in un'Europa che ci lascia al margine, quando, domattina, a Berlino, Blair, Schröder e Chirac decideranno che altri luoghi multilaterali sono più idonei per costruire la politica europea; in un'Europa che guarda con crescente diffidenza ad un paese illiberale, con conflitti di interesse di proporzioni inaudite, con una Commissione europea che ha già ricordato più volte come il diritto comunitario della concorrenza, che contribuisce ad impedire che la troppa concentrazione metta in pericolo la libertà di opinione, con le democrazie liberali europee che ritengono che la concorrenza sia il sale della democrazia, il vero presupposto della pluralismo. L'Europa è un luogo nel quale il mercato televisivo è aperto, plurale, libero. Così non è nel nostro paese.
Guardate che l'assenza di libertà nell'informazione è, essa stessa, uno degli indicatori del declino. Come già ricordato da altri colleghi, questo è un paese nel quale vi è un forte declino morale ed economico. Un paese che non cresce più, che non investe più in ricerca e in innovazione, un paese nel quale le proprie imprese perdono complessivamente in competitività, un paese guardato con diffidenza dagli investitori stranieri.
In questo contesto di grave difficoltà, il Governo chiede la fiducia su Retequattro e si occupa dei bilanci dell'azienda di famiglia del Presidente del Consiglio. In conclusione, chiedendo la fiducia sulla conversione in legge di questo decreto-legge, ottenete un risultato certo: salvate Retequattro ma, non preoccupatevi, a noi, tra non molto, toccherà invece salvare questo paese. (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).


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PRESIDENTE. L'onorevole Marcora ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/110.

LUCA MARCORA. Il decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 352 fa seguito al rinvio alle Camere della cosiddetta legge Gasparri, disposto dal Presidente della Repubblica, ai sensi dell'articolo 74 della Costituzione, con messaggio motivato del 15 dicembre 2003. Siamo di fronte ad un problema che il Presidente del Consiglio stesso riportava come molto grave ed importante, quello del conflitto di interessi. Non a caso disse che, entro i primi cento giorni del suo Governo, lo avrebbe risolto. Oggi, a più di due anni e mezzo dall'inizio della legislatura, non abbiamo alcun segnale in questo senso, anzi, abbiamo la dimostrazione di come questo conflitto di interessi sia reale, concreto e tangibile e che, a fronte della sua non risoluzione, siamo inchiodati ai banchi di quest'aula per discutere un provvedimento che, come unica finalità, ha quella di salvare una delle reti del Presidente del Consiglio.
Le promesse di questo Governo sono state tante: il contratto con gli italiani, lo abbiamo visto ancora l'altra sera, è stato ribadito in una trasmissione televisiva.
Di fatto, ci ritroviamo in un paese più povero - lo sanno bene i nostri cittadini - in cui chi si è arricchito in questi due anni e mezzo è uno solo, ancora lui: il Presidente del Consiglio. È sufficiente esaminare i bilanci di Mediaset. L'aumento degli introiti pubblicitari di Mediaset, infatti, fa capire che se qualcuno è diventato più ricco, in questi due anni e mezzo, è sicuramente il Presidente del Consiglio.
Di fronte a tale conflitto di interessi, il Governo ha la spudoratezza di porre la questione di fiducia, pur avendo (come hanno già ribadito altri colleghi), cento deputati in più rispetto alla minoranza, pur disponendo, quindi, di una maggioranza che non dovrebbe aver bisogno di tali strumenti.
Il dato degli ultimi due mesi sui lavori parlamentari di questa maggioranza indica che, pur con tale differenza di parlamentari, il Governo non si sente sicuro. Non si sente sicuro perché il suo Presidente del Consiglio è ricattabile, proprio sulla base del suo conflitto di interessi. È ricattabile dalla sua stessa maggioranza. Altrimenti, non sarebbe assolutamente comprensibile perché debba ricorrere ad un voto di fiducia.
È una spudoratezza che blocca il Parlamento. Appartengo alla Commissione agricoltura; questa sera avremmo dovuto discutere gli emendamenti relativi al decreto Alemanno, che prevede interventi in favore dei creditori della ditta Parmalat, dei fornitori di latte o di servizi di autotrasporto. Ovviamente, non siamo stati in grado di lavorare in Commissione perché bloccati su questo problema del conflitto di interessi in aula.
Vi è, poi, un dato oggettivo, di offesa al Presidente della Repubblica, Ciampi. Egli ha rinviato alle Camere la cosiddetta legge Gasparri. Questo decreto-legge che discutiamo oggi è servito unicamente a salvare Retequattro, la rete del Presidente del Consiglio.
Porre la questione di fiducia su tale provvedimento va, ovviamente, contro le motivazioni che avevano spinto il Presidente Ciampi a rinviare alle Camere la cosiddetta legge Gasparri.
Tuttavia, i problemi degli italiani sono altri. Siamo bloccati in quest'aula a discutere del decreto-legge, mentre il PIL, praticamente, non cresce. I prezzi, non certo a causa dell'introduzione dell'euro, stanno aumentando ed il potere d'acquisto dei consumatori italiani si è notevolmente ridotto. La produzione industriale, per il terzo anno consecutivo, in Italia diminuisce ed è un dato assolutamente nuovo per l'economia italiana. È la prima volta che, per tre anni consecutivi, dal dopoguerra in poi, la nostra economia non cresce.
Di fronte a tutti questi problemi, il vostro unico obiettivo è salvare gli interessi di un monopolista, perché, evidentemente, di ciò si tratta. Un monopolista che, però, dall'altro lato, fa del liberalismo dei mercati la sua dottrina politica.


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PRESIDENTE. L'onorevole Rosato ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/111.

ETTORE ROSATO. Non ci siamo appassionati alle vicende televisive e, perciò, siamo qui, alle tre di notte. E non è vero che il nostro interesse o il nostro obiettivo siano (come qualcuno vuol far credere, perché fa comodo) quello di oscurare Retequattro o di mandarla sul satellite (come, in maniera assolutamente deplorabile, hanno voluto affermare Emilio Fede e, dall'altra parte, in modo molto più colpevole, il direttore della Rai). E non è vero neanche che ci disinteressiamo dei lavoratori che operano oggi nel mondo televisivo: ciò non fa parte della nostra cultura.
Noi oggi siamo in quest'aula per esprimere le nostre ragioni di profondo dissenso rispetto a questo provvedimento e, più in generale, rispetto alla politica complessiva che l'attuale maggioranza e il Governo portano avanti su tutto ciò che riguarda il settore radiotelevisivo.
Infatti, abbiamo a cuore i rilievi che il Presidente della Repubblica ha scritto nel suo messaggio: il pluralismo nell'informazione, la difesa dei valori e dei principi della Costituzione, che non sono valori e principi che difendono il centrosinistra o che vanno a tutela dei partiti che oggi sono all'opposizione! Sono valori e principi che servono a difendere i diritti dei cittadini di questo paese.
I fatti non stanno come li volete presentare. Nei telegiornali abbiamo sentito dire, senza grandi smentite (poiché le occasioni non ci sono state, a conferma delle nostre preoccupazioni sul pluralismo dell'informazione) che il voto di fiducia su questo provvedimento serve per parare l'ostruzionismo dell'opposizione. Invece sapete bene che così non è.
I nostri emendamenti, infatti - lo abbiamo dimostrato anche in sede di Commissione - entravano nel merito delle questioni, non erano pretestuosi, ma erano tutti motivati.
Dite semplicemente che il problema è un altro. Ditelo, con onestà al paese. Dite che vi è un accordo politico, che ha anche un contenuto economico, all'interno della maggioranza. Dite che tale contenuto è ciò che serve per pagare il « talento » di Berlusconi, che egli dichiara sulla stampa di oggi, di voler mettere a disposizione del paese!
Evidentemente, ogni talento ha un prezzo ed il prezzo del talento del Presidente Berlusconi sta nella legge Gasparri ed in tutto ciò che a tale legge gira intorno. Oggi stiamo valutando un ennesimo condono.
Dopo i condoni della legge finanziaria, abbiamo il condono televisivo per chi non rispetta le leggi, per chi non applica le sentenze. Ma c'è anche un condono per la maggioranza, per chi non sa fare le leggi. Se, infatti, la maggioranza avesse saputo fare le leggi, evidentemente il Presidente della Repubblica non le avrebbe rimandate alle Camere. Il percorso della legge Gasparri è una conferma di tutto ciò.
Si tratta di un provvedimento fatto veramente male, di un provvedimento che doveva andare a coprire certe lacune, che doveva attribuire all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni parametri seri, su cui valutare effettivamente il pluralismo nell'informazione e, invece, si trasforma in una vergognosa presa in giro degli italiani.
Io ritengo, infatti, che quando si vuol far credere a qualcuno che, avendo coperto il 50 per cento della popolazione con le reti digitali terrestri si è prodotto il pluralismo nell'informazione, evidentemente, lo si sta prendendo in giro.
Non c'era infatti bisogno di un decreto: già oggi la tecnologia satellitare consente di coprire tutto il territorio nazionale e credo che nessuno possa pensare di dichiarare che ciò garantisca il pluralismo nell'informazione.
La verità è che questo provvedimento - lo dicevo prima - ha una valenza puramente economica. Noi oggi, come Parlamento italiano, siamo qui ad occuparci degli affari di un unico imprenditore. Essendo questo imprenditore anche il Presidente del Consiglio, egli ha fissato l'agenda politica su tali provvedimenti, definendo le priorità del paese; e ciò non


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avviene perché il centrosinistra ha voluto portare, con una mozione, di nuovo all'attenzione del Parlamento questo provvedimento.

PRESIDENTE. L'onorevole Lettieri ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/121.

MARIO LETTIERI. Ho un certo fastidio a nominare sempre il Presidente del Consiglio, ma quando leggo su La Stampa di oggi che egli afferma che, per fortuna c'è il signor Berlusconi che risolve i problemi, non posso che dire che i problemi li risolve, ma soltanto i suoi, da quelli giudiziari a quelli economici (Applausi dei deputati del gruppo Margherita, DL-L'Ulivo).
È la decima volta che questo Governo pone la questione di fiducia. L'ha fatto e continua a farlo su leggi ad personam, che riguardano o la persona del Presidente del Consiglio o le sue aziende.
È una verità inconfutabile, scritta ormai, signor Presidente, nelle pagine nere del Parlamento italiano, ed anche di questa Camera, che, da quando governa il centrodestra, è sempre più mortificata.
Nella gran parte dei casi, la richiesta del voto di fiducia altro non è che un'evidente sfiducia nei confronti dei deputati e dei gruppi appartenenti alla coalizione di centrodestra, per tenerli buoni. Ciò dimostra l'assoluta inconsistenza politica della maggioranza, ormai allo sbando, nonostante le tranquillizzanti, ipocrite ed anche provocatorie dichiarazioni del Capo del Governo che, se riesce ad imbrigliare la propria maggioranza con i voti di fiducia, certamente non riuscirà a convincere i cittadini italiani.
Il Governo Berlusconi, infatti, ha determinato la situazione di sfascio economico, di impoverimento generalizzato, di insicurezza diffusa, di perdita di credibilità nel consesso internazionale, come dimostra l'incontro tra i Capi di Stato e di Governo della Francia, della Gran Bretagna e della Germania, che hanno escluso l'Italia. Evidentemente il prestigio del nostro paese, purtroppo e nonostante il semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, è calato e la responsabilità è certamente del Governo e del suo Presidente.
Non vi è alcuna urgenza per giustificare la richiesta del voto di fiducia sul decreto-legge, né è sufficiente la libido del potere. Vi è invece qualcosa di più, la forza del denaro, del business, che ha spinto il Presidente del Consiglio ad imporre alla propria maggioranza riottosa l'umiliazione di questo ennesimo voto di fiducia.
Non vedo il ministro Gasparri, un fedelissimo, ubbidiente alla volontà del Presidente del Consiglio, che non è riuscito, questa volta, a garantire la certezza del voto neanche dei suoi colleghi di partito. Eppure, egli ha dato prove di fedeltà enormi. Si pensi che, recentemente, le Poste italiane hanno stipulato una convenzione con la banca Mediolanum per domiciliare i suoi servizi presso i 12 mila sportelli delle poste. È un vero colpo grosso! Quale banca ha 12 mila sportelli nel nostro paese? Soltanto con questo marchingegno, questa convenzione, la banca Mediolanum, che ovviamente è di proprietà del Presidente del Consiglio, c'è riuscita.
Ciò che è avvenuto in questi due anni è troppo. Mi appello anche ai tanti colleghi, onestissimi, del centrodestra e li invito a ribellarsi, una volta per tutte, ad una situazione che sarebbe limitativo definire peronista. Non è possibile continuare ad assistere in maniera indifferente a questo affarismo che si attesta su una persona che dovrebbe avere l'autorevolezza morale verso il popolo italiano di garantire correttezza nell'amministrazione e nel governo del paese. Così non è. Occorre uno scatto, una ribellione vera e propria dinanzi allo sfascio che si è prodotto in questi due anni e mezzo.
Vi è stato un impoverimento generalizzato, l'accrescere dell'insicurezza. I giovani che aspirano ad avere un lavoro non vedono un futuro certo e dinanzi a questa situazione noi impegniamo il Parlamento a discutere quasi sempre di problemi che riguardano una sola persona o tutt'al più


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un gruppo di autorevolissimi personaggi (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Franceschini ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/122.

DARIO FRANCESCHINI. Signor Presidente, vedendola sul banco della Presidenza ho pensato che se una trentina d'anni fa, quando abbiamo cominciato insieme il nostro cammino politico nei giovani della Democrazia Cristiana, avessero detto che ci saremmo trovati in schieramenti opposti, qualcuno avrebbe faticato a credervi. Se avessero aggiunto che ci saremmo trovati, una notte, l'uno a presiedere la seduta alle 3 del mattino e l'altro ad intervenire, avremmo faticato a credere anche a questo. Se, infine (data l'ora non vi è alcun intento polemico), avessero detto che ci saremmo trovati a discutere di un provvedimento che avrebbe riguardato il Presidente del Consiglio, non nella sua funzione di Capo dell'esecutivo ma in quella di imprenditore, posto che il decreto-legge riguarda una delle sue televisioni, avremmo pensato che il racconto e la fantasia andavano oltre le possibilità. Eppure, siamo qui a discutere di un provvedimento che attiene direttamente ad un'impresa del Presidente del Consiglio.
Non intendo però parlare di ciò, dato che lo hanno già fatto altri. Se lei mi consente, vorrei consegnare agli atti della Camera, che garantiscono la permanenza delle parole, mentre i giornali del mattino finiscono nel cestino la sera stessa, le straordinarie frasi che il Presidente del Consiglio ha detto ieri sera, che arricchiscono un campionario di affermazioni inimmaginabili da pronunciare per chiunque si trovi a ricoprire una carica dello Stato.
La prima riguarda, oltre ai suoi avversari, anche i suoi alleati ed è la seguente: Purtroppo il destino ha diviso in due i politici italiani, quelli che hanno fatto disastri e quelli che sono portati a risolverli. E quando mi trovo davanti a queste persone io penso: ma tu cosa hai fatto nella vita? Cosa hai fatto? Non incontro leader e «leaderini» perché tutto si trasformerebbe in una rissa. Io espongo dati, soluzioni e loro fanno le chiacchiere, dicono menzogne. Queste sono le sue affermazioni sugli altri uomini politici.
Sulla Corte costituzionale, il massimo organo di garanzia, il Presidente del Consiglio si esprime così: A volte interviene con certi provvedimenti che sono addirittura l'opposto di quanto deciso dal popolo, come nel caso del referendum sulle reti televisive. Ma si sa, quello che dovrebbe essere un organo di garanzia, composto di dieci membri che appartengono allo schieramento di sinistra e cinque di destra, quindi non c'è da meravigliarsi se prende certi provvedimenti.
Infine, il capolavoro che chiarisce tante cose che in passato non avevamo capito riguarda le tasse: se io lavoro e faccio tanti sacrifici e lo Stato mi chiede il 33 per cento di quel che ho guadagnato, sento che è una richiesta corretta in cambio dei servizi che ricevo. Ma se lo Stato mi chiede il 50 e passa per cento, avverto che è una richiesta scorretta e mi sento moralmente autorizzato ad evadere per quanto questo possa richiedere. Noi che, ingenui, non avevamo capito cosa significassero quei manifesti attaccati sui muri delle strade con scritto «meno tasse per tutti», abbiamo capito le modalità per mantenere questa promessa elettorale: non pagarle, evaderle (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Sinisi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/123.

GIANNICOLA SINISI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, colgo l'occasione dell'illustrazione del mio ordine del giorno per introdurre alcune questioni che ne costituiscono il fondamento. Debbo dire che non immaginavo, nella mia vita di parlamentare, di dover assistere a tanta volgarità. La legge che porta il nome del ministro Gasparri costituiva, già di per sé, un insulto alla libertà, alla democrazia ed


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al Parlamento. Il rinvio del provvedimento alle Camere da parte del Presidente della Repubblica avrebbe dovuto suggerire un ripensamento più ossequioso della nostra Costituzione.
La risposta è stata l'emanazione di un decreto-legge che pone nel nulla una sentenza della Corte costituzionale e lo stesso messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere del suo atto di rinvio del provvedimento. Ma non è stata sufficiente tanta protervia, perché il Governo ha posto la questione di fiducia sul decreto-legge, un atto privo di decenza, nel quale si mescolano i profitti privati con atti di Governo, lesione di principi democratici ed insulto agli organi costituzionali.
Si discute della responsabilità del centrosinistra di non aver approvato la legge che disciplina il settore né la legge sul conflitto di interessi. In tale mancanza vi era qualche insipienza, anche il pudore di chi non voleva essere accusato di aver adottato un provvedimento in odio al capo dell'opposizione, un pudore evidentemente sconosciuto al panorama dei vostri sentimenti. Ma forse anche un altro argomento andrebbe confrontato. Si dice che imporre ad una rete televisiva privata di trasmettere via satellite significhi perdere posti di lavoro. Il monopolio asfissiante del sistema radiotelevisivo che voi difendete non solo costituisce una inaccettabile posizione dominante nel sistema dell'informazione, ma impedisce al settore di crescere in un mercato aperto e pluralista che potrebbe, questo sì, produrre nuova ricchezza e nuovi posti di lavoro.
Anche le nuove tecnologie avrebbero trovato il proprio ingresso autonomamente sulla base della spinta del mercato. Il monopolio - di questo ormai si tratta - è l'unica vera minaccia al mercato radiotelevisivo dell'informazione, il vero nemico da combattere in un paese che accetta la sfida della modernità ed anche le regole che salvaguardano il patrimonio ed i valori democratici che esso pone a proprio fondamento.
Fra questi valori democratici un posto di rilievo hanno la libertà e il pluralismo dell'informazione. I rimedi che sono stati adottati per coprire l'impudicizia di questo provvedimento sono davvero una foglia di fico inadeguata. Il sistema radiodigitale terrestre è un'astrazione tecnologica. Le previsioni di copertura sono meramente formali. Sarebbe come se, per rendere libero un popolo, bastasse un proclama e non fosse necessario, invece, l'esercizio in concreto delle libertà positive e di quelle negative: la libertà positiva di agire e quella negativa da ciò che impedisce l'agire positivo.
Oggi vale la pena di impegnarsi con il popolo italiano nel restituirgli le libertà che gli vengono negate e di augurargli fra le libertà positive di poter essere libero di avere un'informazione plurale e appropriata e fra quelle negative di poter essere presto libero da voi e da questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Piscitello ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/124.

RINO PISCITELLO. Qualche minuto fa ho avuto l'impressione che nella mia camera da letto suonasse la sveglia e che dovessi venire alla Camera per fare un intervento in sostegno di un ordine del giorno nel corso dell'ostruzionismo alle 3 e 16 minuti del mattino.
È ovvio che si tratta di un incubo e che spero di riprendere sonno velocemente. Ma la cosa più incredibile è che io mi ritrovavo a parlare in quest'aula, nel corso di un incubo, e trovavo autorevoli colleghi del mio gruppo, autorevolissimi colleghi degli altri gruppi e un sottosegretario. Addirittura pare che nel corso del mio sogno, fino a qualche ora fa, fosse presente anche il ministro in persona e, cosa ancora più incredibile che non augurerei davvero al vero Presidente, la seduta era presieduta dal Presidente della Camera, l'onorevole Casini.
La perversione degli incubi porta ad arrivare a pensare che un Presidente del Consiglio, proprietario di vari organi di informazione, nel corso di una situazione politica invero molto particolare, abbia


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posto la fiducia su un provvedimento che riguardava una sua proprietà.
Voi capite che la cosa è assolutamente inverosimile e che può essere giustificata soltanto da una cena molto pesante che devo aver fatto ieri. Certamente non è possibile che un'aula della Camera sia occupata per giorni e giorni da un provvedimento così assolutamente surreale. È chiaro che, oltre alla cena, la politica deve avere turbato particolarmente la mia coscienza nel corso di questi anni, producendomi incubi di questo genere.
Mi trovo in un'aula a sostenere un ordine del giorno su un provvedimento assolutamente insensato. Si tratta di un ostruzionismo che ci terrà qui per giorni e giorni per un provvedimento che, se lo raccontiamo all'estero chissà che reazione avrebbero. D'altronde, per fortuna siamo nel corso di un incubo, ma se questi fatti si vengono a sapere all'estero, dal momento che siamo in una società globalizzata, il mondo non può che preoccuparsi o, dall'altro lato, ridere a crepapelle.
Allora, Presidente, lo dico auspicando per me stesso che questo succeda: proviamo tutti insieme a risvegliarci da questo incubo, dal quale spero di essere coinvolto soltanto io. Spero davvero di svegliarmi presto e di trovarmi in un paese abbastanza normale (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Ladu ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/125.

SALVATORE LADU. Ho avuto la sensazione che non c'è stata la chiusura della verifica di Governo perché nell'inventario delle questioni aperte del nostro Presidente del Consiglio ci fosse ancora qualche sanatoria. Con questo decreto-legge, per la verità, il Governo e la sua maggioranza stanno completando l'impegno con il Presidente per il risanamento economico del gruppo che fa capo al cavaliere Berlusconi. Debbo dire che ciò avviene con un'arroganza ed una sfacciataggine che non hanno precedenti nella storia repubblicana.
Per il Presidente Berlusconi non c'è un risanamento del Mezzogiorno, ma c'è per tutto il sistema del gruppo che fa capo a lui. Per il Presidente si calpestano sentenze della Corte costituzionale e i messaggi del Presidente della Repubblica. Ma, insieme al Presidente, si sanano le vicende che riguardano gli alleati. Abbiamo sanato con la Presidenza di turno le vicende delle multe fatte dall'Unione europea agli allevatori della Padania e, contemporaneamente, questo rientrava nelle verifiche e negli impegni di Governo per la parte che riguardava la Lega. Lo stesso è stato fatto anche per altri, con sanatorie di carattere giudiziario. Insomma, la verifica si chiudeva con questo provvedimento.
Diciamo che si calpestano le sentenze e il messaggio del Presidente della Repubblica perché questo decreto-legge era stato rinviato alle Camere da parte del Capo dello Stato. In particolare, il messaggio, tra i vari profili di illegittimità costituzionale, individuava la sostanziale violazione della sentenza della Corte costituzionale sotto il profilo della mancata indicazione di un termine finale certo per la cessazione del regime transitorio per il passaggio definitivo dal sistema analogico a quello digitale e la mancata previsione, cosa gravissima, di un potere sanzionatorio in capo all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, cioè nell'ipotesi di esito negativo dell'accertamento della complessiva offerta di programmi televisivi digitali terrestri.
Secondo il messaggio presidenziale, disatteso da questo decreto, per poter considerare realizzate le condizioni in grado di giustificare il superamento del termine del 31 dicembre 2003, deve necessariamente ricorrere la condizione che sia intervenuto un effettivo arricchimento del pluralismo derivante dall'espansione della tecnica di trasmissione digitale terrestre. Riguardo a tale profilo, al comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge non si garantisce l'effettuazione di una compiuta verifica circa la sussistenza di un completo pluralismo informativo.
Il comma si limita infatti ad accorciare i termini per l'effettuazione dell'attività di ricognizione del mercato da parte dell'Autorità


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per le garanzie nelle comunicazioni, non all'effettivo raggiungimento della popolazione da parte delle nuove reti, ma alla sola copertura delle reti stesse.

PRESIDENTE. L'onorevole Iannuzzi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/126.

TINO IANNUZZI. Signor Presidente, in occasione della discussione di questo provvedimento legislativo, precisamente il disegno di legge di conversione del decreto legge n. 352 del 24 dicembre 2003, stiamo adottando un comportamento parlamentare insolito, in qualche misura straordinario ed eccezionale, perché vogliamo sottolineare, con l'unica forza che ci è concessa dalle decisioni ingiustificate del Governo e della maggioranza, come non siamo di fronte ad un evento legislativo qualsiasi, siamo di fronte invece alla discussione di un provvedimento legislativo che segue ed è strettamente connesso al messaggio con il quale il Presidente della Repubblica ha motivatamente rinviato l'esame e l'approvazione della legge Gasparri al Parlamento. Siamo, quindi, di fronte ad una vicenda legislativa di assoluta rilevanza perché investe valori fondanti il nostro sistema costituzionale, valori che sono tutti dentro le fondamenta del nostro sistema democratico. È evidente che questo provvedimento legislativo incrocia in profondità il principio della libertà di manifestazione del pensiero, scolpito dall'articolo 21 della Costituzione, che rientra tradizionalmente fra i diritti di libertà del cittadino, propri delle democrazie di derivazione liberale.
Naturalmente la libertà di manifestazione del pensiero ha oggi - nella nostra società caratterizzata da una presenza così rilevante dei mezzi di informazione, dalla incidenza che tali mezzi hanno rispetto alla formazione delle opinioni - un assetto ed una configurazione profondamente diversi rispetto a quanto poteva accadere nello Stato liberale ottocentesco o dell'inizio della metà di questo secolo. È evidente, infatti, che la libertà di manifestazione del pensiero si intreccia strettamente con il diritto alla libera informazione del cittadino e, quindi, con la realizzazione di un sistema dell'informazione autenticamente pluralistico, libero ed aperto. Ma quando parliamo di assetto del sistema dell'informazione inevitabilmente chiamiamo in causa le ragioni che sono a fondamento della libertà di iniziativa economica e che impongono la costruzione paziente, ma ineludibile, per un vero Stato democratico che si ponga con responsabilità i problemi di un equilibrio vero che garantisca un sistema pluralistico adeguato e che soprattutto consenta una apertura in profondità alla pluralità delle opinioni diverse, concorrenti e discordanti che contrassegnano la nostra comunità. Sussiste, quindi, un nesso inscindibile ed ineliminabile tra libertà di manifestazione del pensiero, diritto all'informazione del cittadino, formazione e mantenimento di un sistema dell'informazione adeguatamente pluralistico e democratico. Siamo quindi di fronte ad un terreno costituzionale di straordinaria delicatezza e di straordinaria rilevanza rispetto al quale il provvedimento legislativo in esame affronta nodi non secondari, ma decisivi, che sono tutti dentro il discorso della tutela di questi valori costituzionali.
Non possiamo non sottolineare come rispetto alla delicatezza di questi argomenti il Governo, pur forte di una maggioranza parlamentare di circa cento voti, per ottenere l'approvazione di questo provvedimento non trovi altra via, se non quella di inaudita violenza ed aggressività istituzionale, di ricorrere alla blindatura del provvedimento ed al voto di fiducia. Noi reagiamo per sottolineare alla pubblica opinione la gravità di questa situazione, di un provvedimento che viola la giurisprudenza della Corte Costituzionale, a cominciare dalle indicazioni vincolanti della sentenza n.466 del 2002, e che viola soprattutto il messaggio del Capo dello Stato, che è completamente in antitesi con l'esigenza di costruire un sistema dell'informazione libero, aperto, autenticamente pluralistico, indispensabile per realizzare un paese democratico, moderno, veramente


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evoluto e veramente europeo (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Annunziata ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/129.

ANDREA ANNUNZIATA. Signor Presidente, anche il mio ordine del giorno chiede al Governo di adoperarsi affinché nella quota di popolazione raggiunta dal digitale terrestre sia presente almeno il 60 per cento della popolazione della provincia di Avellino. Prima di fare ciò, pregherei lei, signor Presidente, e tutti i colleghi di intervenire definitivamente su questo problema che ci assilla ormai dal primo giorno della legislatura: il conflitto di interessi. Finiremo la legislatura con questo problema. Lasciatemi passare una battuta, non dico questo soltanto per salvare il nostro amico onorevole Giachetti, dal 3 febbraio in sciopero della fame, ma per salvare la democrazia in Italia e la libertà economica, affinché tutti possano avere le stesse possibilità economiche.
Il decreto-legge n. 352 del 24 dicembre 2003 fa seguito al rinvio alle Camere della cosiddetta legge Gasparri, disposto dal Presidente della Repubblica ai sensi dell'articolo 74 della Costituzione con messaggio motivato del 15 dicembre 2003. In particolare il messaggio, tra i vari profili di illegittimità costituzionale della legge, individuava la sostanziale violazione della sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2002, sotto il profilo della mancata indicazione di un termine finale certo per la cessazione del regime transitorio per il passaggio definitivo del sistema analogico al digitale e della mancata previsione di poteri sanzionatori in capo all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nell'ipotesi di esito negativo dell'accertamento della complessiva offerta dei programmi televisivi digitali terrestri.
Secondo il messaggio presidenziale per potere realizzare le condizioni in grado di giustificare il superamento del termine del 31 dicembre 2003, deve necessariamente ricorrere la condizione che sia intervenuto un effettivo arricchimento del pluralismo, derivante dall'espansione della tecnica di trasmissione digitale terrestre. Riguardo a tale profilo, il comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge non garantisce l'effettuazione di una compiuta verifica circa la sussistenza di un concreto pluralismo informativo. Il comma si limita infatti ad accorciare i termini per l'effettuazione dell'attività di ricognizione del mercato da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, omettendo l'indicazione della data alla quale riferire l'accertamento e riferendo l'accertamento non all'effettivo raggiungimento da parte delle nuove reti, ma anche alla sola coperture delle reti stesse.
Il comma 2 dell'articolo 1 non stabilisce un termine preciso entro il quale l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni deve adottare le deliberazioni in ordine alle violazione dei limiti previsti per le emittente radiotelevisive. Il comma 2 dell'articolo 1 non prevede alcun potere sanzionatorio derivante dall'esito negativo dell'accertamento da parte dell'Autorità (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Fistarol ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/131.

MAURIZIO FISTAROL. Signor Presidente, il decreto «salva Retequattro» affronta un tema cruciale per la democrazia italiana. Vengono definiti le condizioni ed i parametri con cui l'Autorità garante per le comunicazioni deve procedere per verificare se con l'avvento della nuova tecnologia del digitale terrestre il nostro sistema televisivo è diventato più pluralistico.
Un atto dovuto che consegue a diverse sentenze della Corte costituzionale - che anche per tale motivo, ancora ieri, il Presidente del Consiglio ha attaccato in modo inaccettabile - ed al messaggio del Presidente Ciampi. Di fatto, tali organi costituzionali sottolineano che, così com'è strutturato oggi, il sistema televisivo non è pluralistico poiché, per essere tale, necessita


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di più voci, di più soggetti portatori di opinioni diverse. Una condizione che l'attuale duopolio non solo non consente ma calpesta con atti quotidiani, con concretissime scelte, con concretissime programmazioni televisive mattutine, pomeridiane, serali e notturne.
Per poter sostenere l'esistenza di un mutamento di scenario che vada nella direzione dell'incremento del pluralismo bisognava indicare, all'Autorità preposta all'accertamento, criteri oggettivi: la quota di popolazione effettivamente raggiunta dalla nuova tecnologia digitale - di questo, si occupa l'ordine del giorno -; l'esistenza sul mercato di decoder per il digitale terrestre a prezzi accessibili; l'effettiva offerta su tali canali di programmi diversi da quelli diffusi dall'attuale sistema televisivo. Bisognava, in definitiva, mettere dei paletti, degli indicatori, delle regole, ancorare la verifica del nuovo pluralismo a precise condizioni; lo stesso rigore che chi investe in pubblicità vuole dei dati Auditel in termini di audience.
Ci si confronta con problemi seri perché non si tratta in tal caso - cosa di per sé grave - di garantire ad una azienda del premier di eludere la normativa antitrust; la posta in gioco è ancora più grande. È la qualità della nostra democrazia. Oggetto del contendere sono i valori, le regole, le procedure di una democrazia compiutamente competitiva e senza alterazione delle regole del gioco.
La comunicazione politica, il sistema dei media che la veicolano non sono elementi marginali rispetto alla formazione di una opinione pubblica libera, senza la quale viene meno - è bene ricordarlo - uno dei presupposti fondamentali di una democrazia liberale. Il ministro Gasparri e la maggioranza che governa il paese hanno sostenuto che la televisione digitale terrestre ha moltiplicato il numero dei canali; avrebbe moltiplicato e diversificato l'offerta di programmi ed il numero delle voci che accedono al sistema formativo.
Noi, non ce ne siamo accorti; non se ne sono accorti i pubblicitari e non se ne è accorta neppure l'opinione pubblica. Non è allora casuale che al testo originario del decreto-legge sia stata aggiunta una frase sibillina che, altrettanto sibillinamente, dice che l'accertamento del nuovo scenario pluralista dovrà tenere conto «delle tendenze in atto». Evocare le «tendenze in atto» scioglie ogni dubbio; il pluralismo non è un dato di fatto oggettivo, verificabile, ma una pura tendenza, uno scenario futuribile, lungi dal concretizzarsi.
Dopo la finanza creativa del ministro Tremonti, abbiamo il pluralismo creativo, virtuale, astratto, inventato, del ministro Gasparri. Francamente, con tali presupposti, è davvero arduo convincere della bontà del decreto gli spiriti liberali, i pochi eredi della grande tradizione degasperiana che ancora, a fatica, albergano nella Casa delle libertà.
A scanso di equivoci, è meglio ricorrere alla fiducia e così, si fa per dire, imporre il pluralismo per decreto (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Duilio ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/132.

LINO DUILIO. Signor Presidente, anch'io ho presentato un ordine del giorno che impegna il Governo ad operare affinché, nella quota di popolazione raggiunta dal digitale terrestre, sia presente almeno il 60 per cento della popolazione di una porzione del nostro territorio, in particolare, della provincia di Padova. Una realtà che è emblematica di un contesto, nel quale i cittadini hanno il diritto di fruire appunto di informazioni che caratterizzino il nostro sistema in termini di effettivo pluralismo.
Il provvedimento che infatti stiamo esaminando - ahimè, con un voto di fiducia che in termini draconiani ci ha impedito di discutere il merito delle questioni - ha a che fare con la creazione di condizioni di pluralismo rispetto ad un bene prezioso per la democrazia, quello dell'informazione. Molto spesso si evoca il discorso della libertà, il discorso di un sistema liberale, di un pluralismo che qualifichi la


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democrazia; noi, oggi, riteniamo si sia persa un'altra buona occasione per dimostrare che detti principi non sono semplicemente evocati e sistematicamente poi contraddetti dai provvedimenti varati. Non mi riferisco tanto al problema del conflitto di interessi; qualcuno ironicamente - ma non tanto - parla non di conflitto, bensì di coincidenza di interessi, per quanto sta accadendo nel nostro paese. Ce ne accorgiamo tutte le volte che trattiamo una questione in cui vi è, appunto, la coincidenza di interessi personali con l'interesse, invece, del paese. Mi limiterei ad offrire, se fosse possibile, un aureo libretto al Presidente del Consiglio: «Orazione ai nobili di Lucca». In esso si dimostra che, già nel 1600, i nobili di Lucca, quando dovevano assumere cariche pubbliche, si liberavano innanzi tutto del proprio patrimonio per governare senza avere alcun condizionamento. Erano altri tempi ed altro stile, evidentemente.
Mi richiamo ora al problema, più sostanziale, che riguarda la questione dell'autentica democrazia nell'epoca della comunicazione. Sappiamo bene che la democrazia è una pianticella fragile che va innaffiata e coltivata. Purtroppo, con la normativa che stiamo per varare, si dà un ennesimo contributo affinché questa pianticella così fragile, anziché essere coltivata, venga invece messa in condizioni di non poter crescere.
Mi permetto un'altra citazione: Diceva uno spirito liberale autentico, Alexis de Tocqueville, che vi è bisogno di una ragnatela senza fili dentro la società affinché possa vivere la democrazia. Ebbene, mi pare che stiamo agendo affinché questa ragnatela venga distrutta; peraltro, le questioni che stiamo affrontando - lo hanno detto in tanti - sono state autorevolmente richiamate dallo stesso Presidente della Repubblica. Qualche collega che mi ha preceduto si è chiesto quale sia l'opinione costituzionale ed istituzionale che si ha del Presidente della Repubblica atteso che il suo messaggio non è stato recepito nei termini che richiedeva.
Il provvedimento, peraltro, confligge anche con le norme raccomandate dall'Unione europea in materia di concorrenza e presenta incertezze interpretative tali da non consentire una sua correzione. I nostri emendamenti tendevano appunto a modificare tali incertezze. Se ne potrebbero citare alcune emblematiche: la quota di popolazione coperta dal segnale digitale, ma non effettivamente raggiunta; la mancanza di precisi indici relativi alla diffusione di decoder; l'offerta di programmi al pubblico con tecnica digitale, a prescindere da una loro effettiva ricezione; il riferimento surrettizio alle tendenze in atto sul mercato, che veniva richiamato dal collega Fistarol.
Ma non ci è stata data la possibilità di intervenire, ancora una volta con un sistema - quello della fiducia - che rende il Parlamento abbastanza inutile, realizzando quella «dittatura della maggioranza» che credo sia un'offesa alla democrazia. Anche per questo, abbiamo dato corso a questo nostro ostruzionismo (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Ruggieri ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/134.

ORLANDO RUGGIERI. Signor Presidente, dietro l'altisonante, serioso ed un po' pomposo titolo attribuito a questo decreto-legge, si celebra l'ennesima, dissennata bravata della maggioranza; questa volta, diretta a salvare una rete televisiva cara al «bravo» dei «bravi», moderna riedizione del don Rodrigo di manzoniana memoria. Infatti, il rinvio alle Camere da parte del Presidente Ciampi della cosiddetta legge Gasparri ha tolto alla maggioranza un pilastro per la costruzione del nuovo sistema televisivo ed ha obbligato il Governo ad adottare un provvedimento per aggirare la sentenza della Corte costituzionale. È chiaro che il decreto-legge è una risposta a quella sentenza, richiamata dal Presidente Ciampi, la quale stabiliva che al 31 dicembre 2003 Retequattro dovesse andare sul satellite.
Questa era ed è la decisione della Consulta; la legge, invece, inventava un


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sistema di riferimento diverso, che dava risposte anche a questo problema.
Venuta meno la legge, occorreva un decreto-legge; secondo questa maggioranza, il decreto-legge risponde alle osservazioni formulate dal Presidente Ciampi, contenute nel messaggio di rinvio alle Camere.
A mio avviso, non è così e, anzi, le modifiche apportate hanno reso, semmai fosse possibile, la situazione ancor più confusa ed inaccettabile. Questo decreto-legge, infatti, non contiene solo e semplicemente una proroga, ma è un vero e proprio sfacciato salvataggio. È una pietra tombale sulla sentenza della Corte costituzionale, che stabiliva che una rete privata doveva andare sul satellite entro il 31 dicembre 2003. Questo decreto affida all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di accertare l'effettivo avvio del digitale terrestre, ma si guarda bene dallo stabilire su quali parametri dovrà basarsi questa istruttoria.
L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà accertare la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri, senza indicare però quale sia la soglia minima. Ma che cosa significa esattamente «popolazione raggiunta»? Conta la copertura o l'effettiva ricezione del digitale?
Il secondo parametro è la presenza sul mercato dei decoder a prezzi accessibili, ma qual è il prezzo da usare come parametro? Il decreto non lo dice.
Terza ed ultima circostanza da valutare è l'effettiva offerta al pubblico, anche di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche. L'espressione «anche» crea molti fraintesi. Basta, infatti, un solo canale per sfuggire alla tagliola dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni? Queste sono tutte precisazioni che il Parlamento avrebbe dovuto fornire perché, in mancanza di esse, l'Autorità porterà avanti il suo lavoro con la più ampia discrezionalità possibile.
Il voto di fiducia posto ha travolto qualsiasi ragionamento e possibilità modificativa; inoltre, ingigantisce l'inganno perché, terminato l'esame e verificate le predette condizioni, l'Autorità dovrà adottare i provvedimenti indicati dal comma 7 dell'articolo 2 della cosiddetta legge Maccanico, che impone alla stessa Autorità, una volta riscontrata l'esistenza di posizioni dominanti, di aprire un'istruttoria. Questo è il grande potere sanzionatorio che hanno messo in capo all'Autorità: un'ennesima istruttoria per la questione più istruita del mondo! Infatti, ne sono già state effettuate tre e tutte hanno portato alla medesima conclusione: sussiste, gigantesca ed inquietante, una posizione dominante. Dunque, Presidente, ci troviamo di fronte ad un grande ed infinito gioco di specchi, che rinvia ad una decisione che dovrebbe essere solo eseguita. Con questo decreto-legge il nuovo Don Rodrigo afferma, con l'arroganza a lui consona, che il passaggio digitale della sua rete non s'ha da fare.
Sentenze della Corte e messaggio del Presidente della Repubblica vengono brutalmente calpestati. In questo decreto e in questa ennesima grida manzoniana non c'è alcun potere sanzionatorio diretto in capo all'Autorità, e quanti Don Abbondio si apprestano a questa prepotenza! Questa è una posizione indecente, inaccettabile e politicamente squalificata. È stata posta la fiducia su un provvedimento che salva una televisione di Don Rodrigo; praticamente si è chiesto agli italiani di dare fiducia a questa maggioranza per salvare una televisione del capo. Ancora una volta si è perpetrata una prepotenza, ma verrà un giorno, come Fra Cristoforo diceva, anche per questo Governo, e noi con gli italiani lo sentiamo sempre più vicino (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Carbonella ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/135.

GIOVANNI CARBONELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non ci sono parole per esprimere sino in fondo il senso di profonda indignazione che ci coglie di fronte ad un atteggiamento che definire arrogante è come usare un eufemismo. Il


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provvedimento in esame, per le implicazioni che comporta, avrebbe meritato un ampio e serrato confronto tra maggioranza ed opposizione. Cosa fa, invece, il Governo? Pone il voto di fiducia. In tal modo, si imbavaglia il Parlamento, si colpisce la democrazia, si mortifica la possibilità di migliorare una legge che è vitale per l'affermazione di un vero pluralismo nel sistema dell'informazione e della comunicazione del paese.
Non che tutto ci trovi impreparati, visto con quale foga la maggioranza si preoccupa di tutelare interessi ben noti, trascurando i problemi economici che stanno impoverendo sempre più le famiglie italiane. Personalmente, l'avevo già previsto sin dal 1994, allorquando si affacciò alla ribalta politica Berlusconi, al quale dedicai questi pochi versi che, nonostante l'ora, vorrei declamare:
È rrivvatu lu Messia, sembra ca è lui salvatori/ Iddù eti onnipotenti, si po' vetri a tutti l'ori/ Stannu giuvini alla spassu, e no tenunu fatia?/ nienti pena, surriditi, mò nci pensa lu missia/ Stù Paisi finarmenti, teni a capu nu lioni...

PRESIDENTE. Onorevole collega, la richiamo. Non mi sembra che lei stia illustrando il suo ordine del giorno, e questa poesia è al di fuori dello stesso!

GIOVANNI CARBONELLA. Se lei mi dà la facoltà di arrivare alla fine, vedrà che parlerò di tv.
Cu na guida comu cuesta, li posti essunu a miglioni/ Ci lu fiscu è lu nimicu e li tassi suffucanti/ Iddù faci li miraculi, pi imprenditori e cummircianti/ Eti allergicu alli critichi, ma culli prumessi è faciloni/ è filici è assai cuntientu, ci po' tagghiari li pinzioni/ Iddu riti, è ottimista, voli beni all'italiani/ Ma ci li giudici s'pacci, li causi nci lleva ti li mani/ Quantu è bravu a dà cunsigli, allu popolu e parienti/ Penza a tuttu cuantu iddù, l'atri no anà capiri nienti/ Lu guvernu ch'è criato, nd'avà salvà, ti li Casini/ l'è furmatu cu ricca genti, e cu pulitici sopraFFini/ Stù missia ch'è rrivvatu, è eleganti, è paciucconi/ e basta mpicci la TV, nò puè sbagliari, stai Berlusconi (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Ruggeri ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/136.

RUGGERO RUGGERI. Mi dispiace che non sia presente il ministro Gasparri perché è importante fare una riflessione su questi anni di Governo, in cui Gasparri ha visto costantemente bocciata la sua attività legislativa, non ultima quella incostituzionale delle antenne UMTS. Oggi ci troviamo di fronte ad una posizione molto precisa del Presidente della Repubblica, della Corte costituzionale, del diritto comunitario, dell'Authority per le comunicazioni, dell'Antitrust, che ci indicano in modo molto esplicito e chiaro che in questo mercato non c'è né pluralismo, né concorrenza, né possibilità di intervenire per stabilire se c'è o meno pluralismo e concorrenza.
Allora, proprio in riferimento a Gasparri, penso che abbia ragione Storace. State calpestando ogni regola, avete perso il senso dello Stato - che è sempre appartenuto al Movimento sociale italiano e ad Alleanza nazionale -, il senso del bene comune e il senso delle regole, che poi, alla fine, è la politica. Quindi, alla fine, ci presentate una Casa delle libertà che è contro il senso della politica, per fare, addirittura, l'antipolitica. Vi siete divisi tutto per quanto riguarda le reti e le comunicazioni, in un modo addirittura sfacciato. Avete, come diceva Storace, strappato la bandiera italiana. Questo è un Governo che si sta dimenticando degli interessi generali e che nega, alla fine, che ci sia conflitto di interessi. Berlusconi lo ha dichiarato molte volte: lui ha vinto le elezioni e, quindi, in questo momento rappresenta gli italiani, l'Italia e l'azienda Italia. Di conseguenza, dov'è il conflitto tra Mediaset e l'azienda Italia se lui rappresenta entrambe queste grandi aziende?
Ma, al di là di una dialettica e di un gioco di parole, a livello internazionale dov'è una situazione analoga a quella


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italiana, dove il Presidente del Consiglio interviene direttamente con una decisione che riguarda automaticamente le proprietà della sua famiglia? Ma questo lo si vede o no? E come lo affrontiamo? Se fosse in vigore la legge Frattini, il voto di fiducia non sarebbe stato possibile: questa è un'altra cartina di tornasole.
Allora, invito il Presidente della Camera a chiedere al collega Giachetti, che sta levando una protesta dura, pesante, di smettere, per ricondurre in questa sede la discussione sul conflitto di interessi. Sarebbe un passaggio di buonsenso, una volontà per dirimere una questione attorno a un tema che fu, insieme a molti altri, oggetto di una promessa elettorale, quando si disse che nei primi 100 giorni di Governo il problema sarebbe stato risolto. Sono passati più di mille giorni e la gente sta aspettando; Tutto finisce nel calderone. Oggi abbiamo grandi difficoltà a capire se ci sia una posizione dominante; ecco perché questo ordine del giorno vuole intervenire affinché venga introdotta una soglia precisa e si garantisca alle Autorità uno strumento idoneo per agire e permettere di regolamentare questo mercato.

PRESIDENTE. L'onorevole Squeglia ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/138.

PIETRO SQUEGLIA. Il decreto-legge si è reso necessario a seguito del messaggio con il quale il Presidente della Repubblica ha rinviato la legge Gasparri alle Camere, pena il trasferimento sul satellite di una delle reti Mediaset e l'eliminazione della pubblicità da una rete della RAI, presumibilmente Rai 3. Questa era la prescrizione della Corte costituzionale del novembre 2002.
Rispetto a queste prese di posizione, i problemi che il Governo lascia irrisolti sono molti. Il decreto, infatti, non tiene conto della necessità di tutelare il valore centrale che il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale hanno indicato, cioè il pluralismo dell'informazione, che altro non è che uno dei fondamenti di tutte le democrazie. L'ampiezza e l'indeterminatezza della formula scelta dal Governo per la verifica sulla diffusione del digitale terrestre non è un omaggio alla discrezionalità dell'Autorità garante ma piuttosto è sinonimo di mancanza di regole, e quindi rappresenta l'anticamera di possibili errori se non di veri e propri arbitri. Troviamo singolare che venga richiesta una copertura del territorio nazionale solo del 50 e non dell'80 per cento, così come già previsto dall'ordinamento vigente; ma soprattutto che si parli di coperture e non di reale utilizzo del digitale terrestre o almeno di decoder venduti.
Riteniamo, inoltre, che sarà impossibile per l'Autorità definire quale sia e cosa voglia dire prezzo accessibile; inoltre quali sono gli indici di riferimento per stabilire il grado di diffusione dei decoder sul mercato? Come sarà misurata l'accessibilità del prezzo? Come si valuterà l'effettiva offerta al pubblico di programmi diversi da quelli diffusi sulle reti analogiche? Il presidente dell'Autorità, Cheli, ha ricordato al Parlamento come, nella sua attuale formulazione, il decreto sia sostanzialmente inapplicabile. Il presidente Cheli ha anche sottolineato che l'intero sistema degli accertamenti avrebbe dovuto essere indirizzato per verificare l'effettivo arricchimento del pluralismo attraverso l'introduzione del digitale terrestre. Noi non siamo assolutamente contrari al digitale terrestre, anzi riteniamo che le tecnologie innovative possano contribuire in modo significativo agli sviluppi della nuova televisione. Il sistema - bloccato attualmente dal duopolio RAI-Fininvest - non trae alcun giovamento dalle soluzioni adottate. Questo decreto-legge non tiene nemmeno conto delle osservazioni del Capo dello Stato. Vedete, onorevoli colleghi, sappiamo che un digitale terrestre oggi non risolve il problema anzi, se le cose rimarranno così, la situazione si aggraverà.
Signor Presidente, con l'ordine del giorno presentato si tenta di indurre il Governo a ridurre un danno inevitabile. Il decreto-legge stabilisce che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà accertare la quota della popolazione rag


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giunta dalle nuove reti di digitale terrestre, senza però indicare quale sia la soglia minima. Con il presente ordine del giorno, chiedo al Governo che si attivi almeno per realizzare le infrastrutture necessarie alla ricezione del digitale terrestre, in maniera tale da non svantaggiate la popolazione della provincia di Caserta. Chiedo il voto sul presente ordine del giorno, affinché il digitale terrestre non sia un elemento di squilibrio sociale a danno di questi cittadini (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Meduri ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/ 4546/139.

LUIGI GIUSEPPE MEDURI. Signor Presidente, il decreto fa seguito al rinvio alle Camere della cosiddetta legge Gasparri disposto dal Presidente della Repubblica ai sensi dell'articolo 74 della Costituzione, come è stato già motivato nel 15 dicembre 2003. In particolare, il messaggio, tra i vari profili di illegittimità costituzionale della legge, individuava la sostanziale violazione della sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2002, sotto il profilo della mancata indicazione del termine finale certo per la cessazione del regime transitorio, per il passaggio definitivo dal sistema analogico a quello digitale e la mancata previsione di poteri sanzionatori in capo all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nell'ipotesi di esito negativo dell'accertamento della complessiva offerta dei programmi televisivi digitali terrestri. Secondo il messaggio presidenziale, per poter considerare realizzate le condizioni in grado di giustificare il superamento del termine del 31 dicembre 2003, deve necessariamente ricorrere la condizione che sia intervenuto un effettivo arricchimento del pluralismo derivante dall'espansione della tecnica di trascrizione digitale terrestre.
Riguardo a tale profilo, il comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge non garantisce l'effettuazione di una compiuta verifica circa l'esistenza di un concreto pluralismo informativo. Il comma si limita infatti ad accorciare i termini per l'effettuazione delle attività di ricognizione nel mercato da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, omettendo l'indicazione della data alla quale riferire l'accertamento e riferendo l'accertamento non all'effettivo raggiungimento della popolazione da parte delle nuove leggi ma alla sola copertura delle reti stesse.
Il comma 2 dell'articolo 1 non stabilisce un termine preciso entro il quale l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni debba adottare le deliberazioni in ordine alle violazioni dei limiti previsti per le emittenti radiotelevisive, con il rischio della prosecuzione a tempo indefinito dell'esercizio delle reti eccedenti tali limiti. Il comma 2 dell'articolo 1, inoltre, non prevede alcun potere sanzionatorio diretto derivante dall'esito negativo dell'accertamento da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Il comma, infatti, in primo luogo rinvia ad un procedimento complesso e comunque lungo, fino a 12 mesi, con la conseguente protrazione del periodo transitorio concesso dal decreto-legge; e in secondo luogo, con richiamo al comma 7 dell'articolo 2 della legge n. 249 del 1997, prevede l'assunzione di misure per la dismissione delle reti eccedenti i limiti antitrust senza prescrivere la cessazione delle trasmissioni della rete che si accerti eccedere detto limite.
Signor Presidente, con l'ordine del giorno in esame, si tenta di indurre il Governo a ridurre un danno inevitabile. Il decreto-legge stabilisce che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà accertare la quota della popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri, senza però indicare quale sia la soglia minima. Con il presente ordine del giorno chiedo che il Governo si attivi almeno per realizzare le infrastrutture necessarie alla ricezione del digitale terrestre in maniera tale da non svantaggiare la popolazione della provincia di Reggio Calabria. Chiedo il voto sul presente ordine del giorno affinché il digitale terrestre non sia un elemento di squilibrio sociale a danno dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).


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PRESIDENTE. L'onorevole Santino Adamo Loddo ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Realacci n. 9/4645/141, di cui è cofirmatario.

SANTINO ADAMO LODDO. Signor Presidente, sono le 4,20 del mattino ed anch'io mi associo alla richiesta poc'anzi avanzata dal collega Ruggeri affinché faccia desistere il collega Giachetti dalla prosecuzione della sua protesta, poiché già da 15 giorni sta digiunando.
Signor Presidente, oggi non dovremmo parlare della salvezza di una rete televisiva e degli interessi del suo proprietario, ma dell'articolo 21 della Costituzione e delle sue fondamentali implicazioni per la democrazia.
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Tale libertà suole chiamarsi libertà di pensiero e viene definita dalla Corte costituzionale una pietra angolare dell'ordine democratico, così come troviamo scritto nella sentenza n. 84 del 1969.
Il Governo e la sua maggioranza, come rispondono per garantire il principio del pluralismo esterno, di cui all'articolo 21 della nostra Costituzione? Rispondono con un decreto-legge che viene spacciato come una semplice proroga, in attesa dell'approvazione della legge Gasparri, che più che una legge del sistema delle comunicazioni, è una legge che sistema il potere all'interno delle telecomunicazioni a vantaggio di qualcuno.
Questo decreto-legge non contiene una semplice proroga: è un salvataggio in grande stile, è una pietra tombale sulla sentenza della Corte costituzionale che stabiliva che una rete privata doveva andare sul satellite entro il 31 dicembre 2003.
Perché sosteniamo queste cose? È molto semplice e facilmente argomentabile. Il decreto-legge affida all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di accertare l'effettivo avvio del digitale terrestre, ma si guarda bene dallo stabilire su quali parametri dovrà basarsi questa istruttoria. Non solo. Terminato l'esame, verificate le predette condizioni, l'Autorità dovrà adottare i provvedimenti indicati dal comma 7 dell'articolo 2 della legge n. 249 del 1997, nota come legge Maccanico: ecco la scappatoia!
Il passaggio qui richiamato dice che l'Autorità, una volta riscontrata l'esistenza di posizioni dominanti, dovrà aprire un'istruttoria. Questo è il grande potere sanzionatorio che abbiamo messo in capo all'Autorità! Un'altra istruttoria per la questione più istruita del mondo! Ne sono già state fatte tre di istruttore e tutte e tre con la medesima conclusione. Sussiste, grande come una casa, una posizione dominante!
Ci troviamo, dunque, di fronte ad un infinito gioco di specchi che rinvia sine die una decisione che dovrebbe essere solo eseguita.
Con questo decreto-legge, con un'arroganza indicibile, il Governo e la sua maggioranza non solo eludono la sentenza della Corte e il messaggio del Presidente della Repubblica ma addirittura li calpestano!
In tale decreto-legge, per l'Autorità per le garanzie nelle comunicazione non ci sono termini precisi entro i quali debbano essere adottati i provvedimenti. Non c'è, in questo decreto-legge, alcun potere sanzionatorio diretto in capo all'Autorità.
Signor Presidente, il decreto-legge in esame stabilisce che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà accertare la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri, senza però indicare quale sia la soglia minima. Ma che cosa significa esattamente «popolazione raggiunta»? Conta la copertura o l'effettiva ricezione del digitale?
Con il mio ordine del giorno chiedo che il Governo si attivi almeno per preparare le infrastrutture necessarie alla ricezione del digitale terrestre, in maniera tale da non svantaggiare la popolazione della provincia di Milano.
Preannuncio la richiesta di votazione del mio ordine del giorno affinché il digitale terrestre non rappresenti un elemento di squilibrio sociale a danno dei cittadini.


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PRESIDENTE. L'onorevole Giachetti ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/142.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, ritengo che in questa occasione si sia voluto mortificare e umiliare l'avversario (che, al momento, è l'opposizione). La scelta di imporci di portare le nostre argomentazioni su un provvedimento di tale rilevanza a quest'ora della notte, è una scelta imposta a tutti i deputati che avevano presentato emendamenti e proposte di modifica al testo del decreto-legge sul quale il Governo ha posto la fiducia. C'è stata una deliberata volontà di limitare il dovuto spazio che l'opposizione dovrebbe avere in quest'aula, di impedire la dovuta attenzione, la dovuta serenità e la dovuta calma con le quali si dovrebbero affrontare provvedimenti di questa natura e di simile portata.
Deliberatamente si è scelto di non consentire tutto ciò e di relegare la questione a quest'ora della notte, scegliendo, in questo modo, tra risatine e battute, di umiliare e mortificare coloro che oggi dovevano intervenire sull'argomento.
Ritengo che abbiano fatto bene i miei colleghi a non rinunciare agli interventi.
Sono orgoglioso di intervenire alle quattro e dodici del mattino, perché credo, senza alcuna demagogia, ma profondamente, che, se un giorno i nostri figli avranno la possibilità di leggere le pagine della storia di questo paese, di cui gli elettori ci hanno dato la fortuna, anche se per un segmento molto piccolo, di essere parte, potranno misurare le nostre argomentazioni.
Chi ha assistito al dibattito ha potuto verificare che ciascuno degli interventi porta al suo interno una lettura di quel che comporta questo decreto.
Siamo qui a parlare alle 4 di mattina perché, secondo il capogruppo di Forza Italia, onorevole Vito, a causa dell'atteggiamento dell'opposizione, alcuni provvedimenti non possono essere esaminati.
Signor Presidente, lei è testimone, avendo dovuto sedare una rissa, che la legge Gasparri, dalla quale viene estrapolato questo decreto, è stata rinviata in Commissione perché la maggioranza, dopo aver provato una serie di brividi in occasione delle votazioni segrete su quel provvedimento, è stata costretta, di corsa, a tornare in Commissione. Anche il disegno di legge sui fondi per le vittime del terrorismo è stato, dopo un dibattito di qualche ora, rinviato in Commissione per richiesta della maggioranza. Lo stesso è avvenuto per la proposta di legge Boato, la famosa legge sulla modifica del regime della grazia.
Il fatto che l'onorevole Vito, con una faccia di sasso, venga qua a spiegare che siamo noi ad impedire al Governo di governare, francamente, la trovo una cosa ridicola ed anche bugiarda. Siete anche un po' bugiardi - lo dico con rispetto a persone che stimo, in particolare, il presidente Romani, o che stimo un po' meno, come il ministro Gasparri - perché, quando andate in televisione, governando le televisioni, e sostanzialmente avendo il monopolio sulle stesse, a dire che voi non fate altro che recepire la richiesta del Presidente della Repubblica, mentite. Voi prendete da quello che il Presidente della Repubblica ha chiesto che voi facciate, la parte che vi interessa di più, quella che interessa i conti economici del Presidente del Consiglio. Su ciò avete presentato un decreto-legge, sul quale avete anche posto la fiducia. Però, il resto delle cose che ha chiesto il Presidente della Repubblica, rinviando alle Camere il disegno di legge Gasparri, giacciano in Commissione in preda a divisioni ancora in corso nella maggioranza. Quindi, mentite anche su questo punto, in quanto avete estrapolato una parte che riguarda l'interesse del Presidente del Consiglio. Esatto: si tratta di quegli interessi che permangono dall'inizio della legislatura e che il Presidente del Consiglio si era impegnato a risolvere dopo cento giorni. Trascorsi mille giorni da allora, dalla campagna elettorale, più di ottocentocinquanta da quando il ministro Frattini ha presentato il disegno di legge sul conflitto di interessi, quegli interessi sono ancora in corso, perché anche una


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legge blanda come quella sul conflitto di interessi è ferma al Senato, scomparsa dal calendario dei lavori.
Avrei voluto dire altre cose ma mi limito, signor Presidente, a pregarla di non chiedermi di recedere dal mio digiuno perché tanto non servirebbe assolutamente a nulla ed anche perché, come è noto, non dipende da lei, purtroppo - quando lei si è occupato di questa materia lo ha fatto ed anche bene - ma da un altro presidente che, evidentemente, ritiene di avere meno ragione di intervenire su una materia come questa (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, sono rammaricato per la parte finale del suo intervento, perché credo che anche chi non condivide le sue idee ha sempre avuto, in quest'aula, modo di apprezzare il rigore morale e la coerenza che la animano. Ritengo, quindi, che la speranza di tanti sia che lei receda da questa iniziativa di uno sciopero della fame che, senz'altro, può essere nocivo per la sua salute. Questo glielo voglio dire con assoluto rispetto, nella certezza di condividere i sentimenti di tutti colleghi.
L'onorevole Mantini ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/161.

PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, alle quattro e mezza del mattino vi sono evidentemente vari modi di intervenire su questo tema. Voglio solo sottolineare, richiamando le parole del collega Giachetti, il fatto che certamente è un po' umiliante dover svolgere questo dibattito in tale maniera. Nella mia breve esperienza parlamentare, ricordo un altro momento in cui abbiamo lavorato fino a notte inoltrata, quando si discuteva la legge sulle rogatorie. Devo dire che c'è uno strano modo di intendere, pur nel rispetto delle esigenze di efficienza del dibattito parlamentare, la possibilità di dialogo su temi così importanti.
A metà legislatura avanzata, l'unico dato certo è che il paese è sempre più povero e che il premier diventa sempre più ricco. Tutti gli indicatori stanno lì a ricordarlo e noi non siamo felici di un approccio fazioso e irresponsabile alla crisi ed allo smarrimento del nostro paese.
Pensiamo, anzi, che i problemi del declino del paese siano i nostri problemi e non ci accontentiamo di imputarli alle pur gravi responsabilità del Governo, ma vorremmo trovare insieme vie di uscita. Non siamo felici neanche dell'isolamento in cui l'Italia si trova, lontana per la prima volta dai padri fondatori e dai protagonisti dell'Europa, e pericolosamente impantanata in Iraq, in una situazione di guerra che non ci appartiene. Ci eravamo illusi che, con la famosa verifica, vi fosse il segno di qualche consapevolezza della volontà di correggere questa drammatica linea di scontro con quel paese e di chiudere una lunga fase di conflitti senza riforme. E invece no, perché questa vicenda, la posizione della questione di fiducia sul decreto, sta a dimostrarci che, sugli interessi propri del Presidente del Consiglio, evidentemente, siete decisi e compatti, privi di dubbi, pur in contrasto con le decisioni della Corte costituzionale, con il messaggio del Capo dello Stato e con le stesse norme, peraltro mai varate dopo così tanto tempo, della cosiddetta legge Frattini sul conflitto di interessi.
Da tutto ciò emerge il segno, purtroppo, assolutamente contrario della protervia e della irresponsabilità con cui si coltivano gli interessi propri e si trascurano quelli generali. Si rinuncia anche a cambiare il clima e a recuperare i valori del dialogo e del consenso. Ciò è grave in generale ma lo è ancor più in una materia tanto delicata come quella che attiene al pluralismo dell'informazione ed ai principi del sistema radiotelevisivo. Esprimo rammarico per il fatto che forze di cultura democratiche e liberali, pur presenti nella maggioranza, siano silenti e compiacenti con questa dissennata conduzione del Governo.
L'ordine del giorno che ho presentato insiste su un punto, che già altri colleghi hanno illustrato, che riguarda esattamente lo sviluppo del digitale. Il decreto non tiene conto della necessità di tutelare il


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valore centrale che il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale hanno indicato, cioè il pluralismo dell'informazione che è un fondamento di tutte le moderne democrazie. Il punto fondamentale è la capacità di misurare, attraverso parametri certi, lo sviluppo del digitale terrestre. L'ampiezza e l'indeterminatezza della formula scelta dal Governo per la verifica sul digitale terrestre non sono un omaggio alla discrezionalità dell'Autorità garante ma un punto assolutamente oscuro, uno dei più gravi che non risolveremo procedendo in questo modo.

PRESIDENTE. L'onorevole Villari ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/158.

RICCARDO VILLARI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a differenza di altri parlamentari, non mi sento mortificato dal parlare a quest'ora, perché, oggettivamente, ritengo che la mortificazione e l'umiliazione sia tutta di coloro i quali intendono ridurre il Parlamento in queste condizioni, offrendo a noi (che vogliamo contribuire ad un provvedimento del genere) solo attraverso questo strumento i mezzi per poter dire ciò che pensiamo.
Il provvedimento al nostro esame, onorevoli colleghi, non risponde alle osservazioni del Capo dello Stato; anzi, secondo il presidente Cheli, così com'è formulato, è inapplicabile. A nostro avviso, è questo il vero problema: esso smentisce anche il pluralismo dell'informazione, che è uno dei pilastri sui quali si fondano le moderne democrazie.
È questo il motivo per il quale ci opponiamo a questa legge, non già perché vogliamo chiudere Retequattro o sottrarre la pubblicità a RAI 3.
C'è anche da fare una riflessione che riporta in casa della maggioranza tutte le contraddizioni. Perché la fiducia? La fiducia è un atto di sfiducia verso la tenuta della stessa maggioranza. Già in altre occasioni, che alcuni colleghi hanno ricordato, essa ha dovuto fare precipitosamente dietro front per non smentire se stessa, non essendo capace di portare a termine taluni provvedimenti, per tutte le lacerazioni che al suo interno si sono evidenziati.
Perché la fiducia? Perché la verifica non è ancora terminata, nel momento in cui parliamo.
Qualche ora fa, infatti, le agenzie battevano la notizia di riunioni in corso e dell'esito delle stesse, con autorevoli rappresentanti di partiti della maggioranza e del Governo che affermavano che la verifica era chiusa al 90 per cento o che era ancora in corso. E proprio perché la verifica è in corso, il Governo ha inteso porre la fiducia, dimostrando tutta la propria debolezza e la mancanza di tenuta della propria maggioranza.
Altro che motivi tecnici, come (con un'altra affermazione creativa) il capogruppo di Forza Italia ha voluto definire il ricorso allo strumento del voto di fiducia!
Le vere motivazioni sono una crisi reale della maggioranza, che si manifesta portando avanti tanti provvedimenti che non si riesce a far giungere al termine.
L'ordine del giorno oggetto del mio intervento riguarda i problemi che il decreto-legge lascia irrisolti: innanzitutto, l'ampiezza e l'indeterminatezza della formula scelta dal Governo per la verifica sul digitale terrestre che non è, come potrebbe apparire, un omaggio alla discrezionalità della Autorità garante, quanto, invece, sinonimo di mancanza di regole, e quindi, anticamera di possibili errori, se non di veri e propri arbitri.
Troviamo singolare la richiesta di una copertura del territorio nazionale solo del 50 per cento e non dell'80 per cento, come già previsto dall'ordinamento vigente.
Ribadisco ancora che il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Cheli, ha ripetutamente ricordato al Parlamento come, nella sua attuale formulazione, il decreto-legge sia, sostanzialmente, inapplicabile.
Concludo, signor Presidente, ribadendo come con il mio ordine del giorno chiedo che il Governo si impegni, almeno, per realizzare le infrastrutture necessarie alla


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ricezione del digitale terrestre, in maniera tale da non svantaggiatare la popolazione della regione Campania.

PRESIDENTE. L'onorevole Ruta ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/160.

ROBERTO RUTA. Signor Presidente, invito l'Assemblea a votare a favore del mio ordine del giorno con cui si tenta di indurre il Governo a ridurre il danno che si sta perpetrando nei confronti del paese.
Il decreto-legge stabilisce che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà accertare la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri, senza, però, indicare quale sia la soglia minima. Con il mio ordine del giorno chiedo che il Governo si attivi, almeno, per realizzare le infrastrutture necessarie per la ricezione del digitale terrestre, in maniera tale da non svantaggiare la popolazione della regione Molise.
Che dire di questa vicenda? Svolgo qualche brevissima considerazione, posto che si tratta di una vicenda che, certamente, non fa onore alle istituzioni.
Vi è un Capo di Stato che rinvia una legge al Parlamento. Se ne estrapola una parte, la si porta in aula con la presentazione di un decreto-legge (e già questa è una forzatura, perché non è materia del Governo ma del Parlamento); poi, la si blinda, sottraendola definitivamente al Parlamento stesso.
È una procedura che fa parte del gioco viziato, iniziato con la presente legislatura, attraverso l'adozione di provvedimenti che servivano a risolvere i problemi di carattere giudiziario del Presidente del Consiglio, di amici e di parlamentari della maggioranza, evidentemente, tanto determinanti da produrre attività normativa.
La procedura è continuata con lo scudo fiscale, con il falso in bilancio, con tutta una serie di attività normative che non hanno, certamente, reso partecipi gli italiani di una azione di Governo che gli stessi avvertissero come propria. Essi l'hanno avvertita come estranea, ma l'hanno sopportata. Anzi, una parte degli italiani ha anche detto ad un certo punto: finirà, poi inizieranno a governare.
Ma quando iniziano a governare? Ci dicono che, intanto, va tutto bene, che tutto funziona, che questo è il Governo di una nazione. Forse, un colpo di scalpello, oggi, alla Corte costituzionale e domani ad un'altra istituzione e poi ad un'altra istituzione, con una frase sopra le righe, dopodomani. Ogni giorno un altro colpo! Tanto poi tutto dura ventiquattr'ore e viene macinato. E poi, ancora, altre frasi, altri colpi di piccone: a che cosa? A quale sistema?
Al sistema delle istituzioni, così come descritto nella Carta costituzionale che, quando ho studiato, nelle aule universitarie, non immaginavo rigida e bloccata per sempre.
So che il diritto è dinamico e che la società è dinamica. So anche che il diritto necessita di tempi più lunghi per adeguarsi alle mutate esigenze della società, ma non sapevo che esso dovesse essere distrutto, pezzo dopo pezzo, parola dopo parola.
Alle più alte autorità dello Stato (compresi il Capo dello Stato ed il Presidente della Camera) è affidato il potere di difendere un sistema che abbiamo costruito con grande equilibrio.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Boccia. Ne ha facoltà.

ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, alle 4 e 30 di questo primo giorno di opposizione che facciamo all'iniziativa del Governo di porre la fiducia e ai contenuti di questo decreto-legge, prima di passare il testimone ai colleghi del gruppo misto, in particolare agli amici della componente politica dei Comunisti italiani, devo, anzitutto ringraziarla per ciò che sta facendo ed anche per quanto, poco fa, ha detto, in relazione al digiuno, che ormai dura da 15 giorni, del collega Giachetti.
Oggi abbiamo letto, finalmente, che anche la grande stampa comincia ad interessarsi della situazione ed a preoccuparsene. E noi siamo preoccupati, più di ogni altro, anzitutto per la salute del collega Roberto Giachetti, ma anche per i contenuti della sua battaglia.


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Il nostro ringraziamento, ovviamente, vuol essere anche un impegno in tal senso. Sappiamo, infatti, che se lei, signor Presidente, vuole, riusciamo a conseguire risultati positivi.
Signor Presidente, vengo ora alle dolenti note: lei ha cancellato due periodi del mio ordine del giorno, dichiarandoli inammissibili. Se mi consente, non sono d'accordo, anche se, come sempre, rispetto le decisioni della Presidenza.
Signor Presidente, vi è inoltre una «dolente» nota. Lei ha cancellato due periodi dell'ordine del giorno a mia firma, dichiarandoli inammissibili. Se mi consente, non sono affatto d'accordo anche se, come sempre, rispetto le decisioni della Presidenza. Non sono d'accordo perché la lettera e lo spirito del comma 3, dell'articolo 1, del decreto-legge sono inequivocabili: «Fino alla data di adozione della deliberazione dell'Autorità per le garanzie nella comunicazione è consentito...». La norma prevede che il consenso debba essere fornito da qualcuno; non esiste un consenso automatico. Prevedere che vi sia un consenso significa che qualcuno dovrà dare un assenso, sia esso il ministero sia l'Autorità di garanzia. Lo prevede la norma.
L'ordine del giorno a mia firma era diretto a «caricare» di responsabilità, nei due commi dichiarati inammissibili, anzitutto le emittenti. Per avere consenso è necessario presentare una domanda, dato che la legge non prevede un automatismo; nel presentare la domanda queste devono motivare e, successivamente, assumere impegni. L'ordine del giorno mirava a ciò, a delimitare una previsione che nella norma esiste, cioè come si manifesta il consenso attraverso la presentazione di una domanda per la concessione di un assenso. Non sono d'accordo sulla sua dichiarazione in quanto i commi erano strettamente pertinenti ad una interpretazione dell'applicazione del consenso, trattandosi della previsione di un impegno al Governo ad interpretare come si applichi il consenso.
Anche l'ultimo comma, signor Presidente, ha una propria funzione; è evidente che, nel concedere il consenso, l'autorità competente e lo stesso ministero debbano compiere una valutazione. Se una emittente priva di requisiti, che non si dichiari disponibile ad accogliere la decisione dell'Autorità, improvvisamente applicasse, senza alcuna comunicazione, tale norma, sarebbe necessario che vi fosse qualcuno con il diritto di intervenire. Il terzo comma era diretto, appunto, a tale finalità.
Resta comunque fermo il primo aspetto dell'ordine del giorno, importantissimo, in quanto il provvedimento non specifica se i termini «30 aprile» e «trenta giorni» siano perentori. Mi auguro che il Governo dia parere favorevole alla parte residua del mio ordine del giorno perché in tal modo chiariremmo che non si rinvierà alle «calende greche» questa previsione.
Signor Presidente, come vede, si tratta del minimo che si possa chiedere ad un Governo che ha abusato moltissimo della nostra pazienza.

PRESIDENTE. L'onorevole Marco Rizzo ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/162.

MARCO RIZZO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo in primo luogo per ringraziare tutti della serietà con cui si sta affrontando la battaglia parlamentare, per rispetto all'istituzione ed in primo luogo al Parlamento. Stiamo discutendo di mass media e democrazia. Spesso si è detto, specialmente da parte dell'opposizione, ma anche da larghe parti del paese, che esiste una sorta di regime. Credo che questa definizione debba essere utilizzata con estrema attenzione. Non siamo nella condizione in cui si possa parlare di regime nei termini in cui abbiamo, purtroppo, conosciuto nel nostro paese questa definizione, cioè la mancanza di democrazia, l'autoritarismo, il fascismo.
Stiamo vivendo una stagione in cui la democrazia è ridotta per determinati fattori. I mass media sono uno di questi fattori su cui è necessario porre attenzione. Non è un caso che proprio su tale vicenda vi sia, da parte del Governo e, in primo luogo, del Presidente del Consiglio,


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una forte disattenzione verso il ruolo del Parlamento.
Il Parlamento in questa legislatura è stato spesso vilipeso politicamente. Non è un caso che si faccia un uso non politico dello strumento della fiducia e spesso, lo ha detto anche il Presidente del Consiglio, si consideri il Parlamento e l'attività parlamentare come qualcosa che appesantisce il meccanismo della democrazia, che non consente la rapida applicazione degli obiettivi del Governo. È una posizione fortemente errata che può davvero limitare la democrazia. Se ne deduce una concezione della democrazia da parte del Governo e del Presidente del Consiglio che può arrecare serie preoccupazioni. Io stesso sono stato protagonista, durante il question time, di una puntualizzazione nei confronti del Presidente del Consiglio, la cui presenza è stata più volte richiesta in Assemblea da parte degli intervenuti.
Dall'inizio della legislatura si sono svolti un centinaio di interrogazioni a risposta immediata senza che egli sia mai intervenuto, nonostante una sollecitazione da parte dello stesso Presidente della Camera. Tale concezione può anche essere letta secondo una attenta visione della propaganda del Governo che considera il Presidente del Consiglio incapace di sottoporsi ad un contraddittorio. Come è noto, le interrogazioni a risposta immediata sono composte da un intervento da parte di un proponente della maggioranza o dell'opposizione, una risposta da parte di esponenti del Governo a cui seguono altri due minuti di replica, di contrapposizione politica. Il Presidente del Consiglio non può sopportare politicamente il fatto che dopo di lui possa intervenire un deputato e parlare sulle sue dichiarazioni per ben due minuti. Il Presidente del Consiglio non lo può sopportare. Ciò la dice lunga sulla visione della democrazia, in primo luogo della democrazia parlamentare.
Non è un caso che in un provvedimento che riguarda democrazia e mass media, come quello al nostro esame, sia stata posta la fiducia. Ciò non soltanto per bloccare le iniziative dell'opposizione, ma per imbavagliare le valutazioni stesse della maggioranza, viste con estrema preoccupazione. Un Governo che arriva a ciò è un Governo in estrema difficoltà o come, più banalmente, direbbe qualcuno, è arrivato alla «frutta».

PRESIDENTE. L'onorevole Maura Cossutta ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/170.

MAURA COSSUTTA. Grazie, signor Presidente. Ormai è notte fonda, quasi alba, ma noi continuiamo in questo ostruzionismo forte e democratico, perché quanto sta avvenendo è davvero inaudito. Sentiamo tutta la responsabilità di rappresentare, noi dell'opposizione, l'indignazione, la protesta del paese reale contro questo provvedimento.
Berlusconi ha posto la fiducia sul decreto-legge «salva Retequattro» (perché di questo si tratta) per obbligare i propri deputati a salvare, appunto, le sue televisioni. Ha posto la questione di fiducia per la sfiducia che ha verso la sua maggioranza, per impedire i voti segreti sugli emendamenti. Lo abbiamo visto nella vicenda della cosiddetta legge Gasparri in Assemblea, che avete rimandato in Commissione per la vostra incapacità, perché le critiche, le proteste e l'indignazione venivano persino dalla maggioranza. Ha messo la fiducia per non rischiare, perché avrebbe rischiato troppo e di suo. Di ciò si tratta.
Il decreto, nei cinque mesi di regime transitorio previsto per Retequattro, garantisce infatti a Berlusconi 163 milioni di euro di introiti pubblicitari. È un gran buon motivo. Non c'è nessuno della maggioranza, ma la domanda resterà agli atti ed evidentemente la rivolgiamo a loro: dove stanno i liberali della maggioranza, i liberisti persino e, dico di più, dove stanno i cosiddetti ex democristiani della maggioranza? A che cosa ha portato la verifica che chiedevano?
Quello che sta succedendo è inaudito. Tutto, purtroppo, scorre, scivola e viene digerito, creando però un vulnus terribile nelle istituzioni democratiche e nella coscienza democratica della società. Vincono,


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insomma, i potenti e i furbi. Chi vuole le regole, chi rispetta i principi e chi si appella ai valori sono considerati vecchiume: così li definite. La Corte costituzionale: tutti comunisti! Il messaggio del Presidente della Repubblica: ininfluente e da rispedire al mittente! Mai il potere politico aveva dimostrato tanta arroganza nel dimostrare di essere, voler essere e rivendicare di essere semplicemente un'altra dimensione della ricchezza.
Questo decreto è una inaudita e sfacciata dichiarazione e manifestazione di potere, che si nutre di se stesso e umilia la politica. Forza Italia è questo, il partito-azienda, ma c'è il partito dell'antipolitica. Questo significa conflitto di interessi: Berlusconi è entrato in politica per pagare i suoi debiti. Berlusconi governa per finanziare le sue imprese e fa le leggi per mantenere il monopolio del sistema televisivo del mercato pubblicitario.
La legge dice che non può esserci una posizione dominante e quindi Mediaset non può possedere più del 20 per cento delle reti nazionali, cioè Berlusconi può possedere soltanto due televisioni e non quattro? Presto fatto: si cambia la legge! La legge prevede che le risorse pubblicitarie non possano superare il 30 per cento, cioè che Publitalia deve «dimagrire»? Presto fatto: ancora una volta si cambia la legge! La Costituzione impone il pluralismo come misura della libertà e dell'uguaglianza dei cittadini? Anche qui, ancora una volta, Berlusconi, il nuovo monarca, traduce così: pluralismo certo, pluralismo sempre, ma nelle sempre più numerose reti televisive obbligatoriamente tutte sue.
Quanto sta succedendo è inaudito. È una ferita grave che peserà nelle istituzioni democratiche e nella coscienza democratica del nostro paese. Noi qui, tutta l'opposizione, continuiamo in questo ostruzionismo per impedire che si compia questo vulnus e questa ferita. Sappiamo che i termini probabilmente non ci sono, ma ci appelliamo ancora fino alla fine al voto segreto, che vorremmo che il Presidente della Camera ci concedesse. Forse lì i liberali, i liberisti e i democristiani della maggioranza potranno avere qualche ultimo scatto di dignità istituzionale. Noi ci appelliamo anche a loro perché abbiamo dietro di noi la forza di rappresentare il paese, quello reale (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. L'onorevole Pistone ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/165.

GABRIELLA PISTONE. Grazie, Presidente. Il mio ringraziamento è sentito, vista la sua presenza in aula a quest'ora tarda della notte, o forse presto della mattina, essendo le 4,45!
Ritengo che oggi scriviamo un'altra brutta pagina nella storia del nostro Parlamento, non in quanto la stanno scrivendo i parlamentari dell'opposizione, ma in quanto la sta imponendo il premier alla maggioranza.
Si tratta di un'altra blindatura con un'ennesima fiducia su un provvedimento che grida vendetta per il peccato originale di cui è figlio: il conflitto di interessi, il quale vede, ancora una volta, coinvolto il premier Berlusconi in qualità di imprenditore e di padrone di una rete televisiva, in questo caso Retequattro, che appunto, come tutti sanno, è di Mediaset.
Si vuole scrivere l'ennesima brutta pagina nonostante le lezioni di democrazia che provengono anche dalle massime autorità, dal nostro Presidente della Repubblica, il quale il 16 dicembre ha rinviato alle Camere la legge Gasparri, approvata il 2 dicembre. Il Presidente Ciampi ha sollevato dubbi sull'ampiezza del sistema integrato delle comunicazioni, il cosiddetto SIC, e sul rischio della creazione di posizioni dominanti.
Con il blocco della Gasparri si sarebbe attuata la sentenza antitrust della Consulta, che disponeva dal 1o gennaio 2004 il passaggio di Retequattro sul satellite e la perdita di pubblicità per RAI 3. Allora, il Governo ha prontamente approvato il decreto che salva Retequattro e che oggi è al nostro esame, blindato da parte di un Governo e di una maggioranza assolutamente sfaldati, in fase di verifica oramai da tempo e che mi sembra non dia le


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assolute garanzie di cui il Presidente del Consiglio ha necessità. Tanto è vero che nessuno, neanche i bambini, possono credere al fatto che questa fiducia sia stata posta per ragioni tecniche.
Chi ci può credere? Perché questa bugia così grossa che offenderebbe chiunque? Erano stati presentati dalle opposizioni pochi emendamenti di merito che avrebbero avuto tutto il tempo e il diritto di essere approvati o, quanto meno, discussi. Invece no, si vuole procedere senza confronto perché il decreto vale ben di più, anche in termini economici. Lo diceva la collega Cossutta, come tanti altri. Evidentemente, l'introito della pubblicità vale ben altro rispetto ad un confronto.
Se il premier, come ha ribadito questa sera in televisione, ritiene che la Corte costituzionale, ovvero il massimo organo di garanzia del nostro ordinamento, sia comunista, che noi delle opposizioni sostanzialmente siamo dei buoni a nulla perché non abbiamo costruito niente e che lui, dall'alto della sua saggezza, ha lavorato tanto e ha fatto tanti sacrifici, e che sia giustificato chi evade le tasse - come ha detto stasera - poiché sono troppo alte, vorrei dire che sostanzialmente è molto corretto fare una battaglia per il pluralismo nell'informazione. Ciò vuol dire che ci vogliono più imprenditori, non certo come prevedeva la ricetta Gasparri di mettere in campo tanti di quei canali digitali per cui il pluralismo era garantito.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

GABRIELLA PISTONE. Ho finito, Presidente. È necessario ben altro: un bel progetto industriale che tenga conto dello sviluppo di un sistema autenticamente pluralista, come recita l'articolo 21 della nostra Costituzione: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure» (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani)!

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Bellillo: s'intende che abbia rinunziato all'illustrazione del suo ordine del giorno n. 9/4645/166.
L'onorevole Sgobio ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/167.

COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. Io non vorrei che questa lunga notte di monologo parlamentare, tenuto conto che si parla solo da un versante della Camera, possa rappresentare in qualche modo la notte della Repubblica così come l'abbiamo conosciuta: quella che è uscita dalla Resistenza. Non penso che i metodi che vengono usati, l'eccesso di ricorso alla decretazione d'urgenza e l'eccesso di apposizione di fiducia sui decreti governativi umilino tutto il Parlamento, anche se questo è il tentativo e probabilmente la cultura di chi ci governa.
Temo che umilino soprattutto la maggioranza quei gruppi che in qualche modo avrebbero voluto sottrarsi allo strapotere del capo; quei gruppi, quelle persone, quei deputati che magari avrebbero avuto voglia di dire la loro, di rappresentare la propria cultura, di votare secondo la propria coscienza. Un uso distorto degli strumenti parlamentari non può che accrescere le preoccupazioni che sono già alte nel nostro paese sul futuro democratico dell'Italia.
Questa lunga notte, questo impegno che l'opposizione sta mettendo in campo non è un impegno per opporsi ad un decreto che salva Retequattro o per contrastare il passo agli interessi del Presidente del Consiglio; è un impegno che dimostra come noi da questa parte dell'emiciclo non abbasseremo la guardia, siamo attenti, siamo sul chi vive. Difenderemo la democrazia nel nostro paese e la libertà vera da qualsiasi attacco.
È difficile che possa passare l'idea che questo decreto venga approvato solo ed esclusivamente per salvare i lavoratori di Retequattro. Se così fosse, se questo Governo fosse così sensibile ai problemi dei lavoratori, forse noi questa notte l'avremmo dedicata ai tanti casi che nel nostro paese sono aperti, alle tante migliaia di lavoratori che hanno il loro posto


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di lavoro a rischio, se non l'hanno già perso. Penso ai lavoratori dell'ILVA di Genova, a quelli di Taranto, ai lavoratori delle acciaierie di Terni, ai lavoratori della Ferrania, alle tante aziende in crisi che, purtroppo, segneranno in maniera ulteriormente negativa questo quinquennio.
Siamo in un momento decisivo della vita economica nazionale, la nostra economia è ferma o, addirittura, regredisce. La nostra economia è ormai imballata, non riesce più a fornire risposte positive. Abbiamo un Governo che non capisce che i metodi usati non sono quelli di cui l'Italia ha bisogno, ma il tempo, la voglia di fare, la sua grande capacità il nostro Presidente del Consiglio la consuma solo ed unicamente per salvare i suoi affari ed i suoi interessi!
Prego i colleghi dell'opposizione di non parlare più di conflitto di interessi. Non c'è conflitto, il problema vero è che questo Governo ed il suo Presidente pensa solo agli interessi (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani)!

PRESIDENTE. L'onorevole Franci ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/171.

CLAUDIO FRANCI. Signor Presidente, l'ordine del giorno che ho ritenuto di sottoporre al voto dell'Assemblea pone il problema della concentrazione del sistema delle comunicazioni e dell'emittenza radiotelevisiva, con la necessità di un vero affermarsi nel paese di un sistema plurale. Il Governo ha impedito, con il voto di fiducia, una discussione di merito e la possibilità di modificare il testo che qualche collega ha definito la «truffa di Natale»; ha impedito un confronto, non certo per paura delle opposizioni, che in questo ramo del Parlamento contano cento voti di meno, bensì per paura dei propri parlamentari, una parte dei quali sempre meno disponibile ad accettare strappi al sistema istituzionale.
Con pervicacia si è voluto difendere gli affari di famiglia del Presidente del Consiglio in barba ai principi di libera concorrenza e di rispetto delle regole democratiche. Si è fatto prima in aperto disprezzo alle riflessioni contenute nel messaggio del Capo dello Stato alle Camere, poi in aperto contrasto con i dettati costituzionali che hanno costretto il rinvio della legge Gasparri alle Camere, sottoponendo poi all'Assemblea questo decreto-legge, questo testo certamente non chiaro nei contenuti, fumoso, che non aiuta né la trasparenza né la chiarezza. L'unico obiettivo scritto e dichiarato è quello di risolvere il problema di Retequattro e, con esso, del suo proprietario.
Si tratta di un provvedimento che garantirà un vantaggio economico importante, come è stato documentato bene ieri sera dall'onorevole Duca, al Presidente-imprenditore. Altro che fiducia tecnica! Si tratta di una questione di fiducia politica, che coinvolge interessi materiali e di che «tinta», come si direbbe dalle mie parti! Esiste un conflitto di interessi che sta avvelenando la democrazia italiana. Noi siamo qui a discutere di decoder, di Retequattro, ma il paese avrebbe bisogno di ben altre risposte. Possiamo dire questo quando torniamo a casa ai nostri cittadini: che il Parlamento, invece di misurarsi con i problemi che li assillano (lavoro, carovita, aumento della povertà, crisi del sistema industriale e della competitività), garantisce loro una cena, magari con un tazza di latte senza biscotti, e di essere comunque felici, perché potranno vedere ancora Fede e Retequattro! Non credo sia questa la risposta giusta, ma così è. Vi siete lamentati che molti provvedimenti sono in ritardo e così motivate la fiducia, ma il Presidente del Consiglio si è reso conto che dalla ripresa dei lavori questo Parlamento va avanti di rinvio in rinvio a causa delle divisioni della maggioranza?
Attenzione: noi potremmo anche risolvere il problema del gruppo Mediaset, ma continuando su questa strada è la credibilità delle istituzioni ad andare a pezzi, è la politica ad entrare in crisi con tutto il sistema democratico. Quel cielo azzurro che ormai siamo abituati a vedere dietro il Presidente rimesso a nuovo è sereno solo per pochi, mentre per i più è nuvoloso, minaccia tempesta, mina la fiducia dei


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cittadini e delle imprese, che si sentono oggi più poveri, più insicuri, più incerti per il loro futuro. Questo Parlamento rischia di passare alla storia come il Parlamento che ha risolto prevalentemente i problemi della famiglia Berlusconi. Un Parlamento che ha promosso vendette con le Commissioni d'inchiesta, che sono poi diventate farse. Forse su questo occorrerebbe riflettere meglio e cambiare strada: gioverebbe all'Italia e ne guadagnerebbe anche la nostra immagine nel mondo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. L'onorevole Di Gioia ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/173.

LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, come socialisti democratici italiani, crediamo che l'opposizione abbia fatto bene ad usare lo strumento dell'ostruzionismo, perché è dovere dei parlamentari, dell'opposizione, far comprendere l'importanza del pluralismo dell'informazione. È importante per la libertà, per la formazione delle coscienze, perché nella società dell'informazione è sempre più urgente la creazione di un sistema pluralistico. Tutto questo viene ricordato con puntualità anche dall'Unione europea; basti ricordare la risoluzione del settembre 2002, che all'articolo 37 cita testualmente che è necessario quanto mai definire il sistema delle concentrazioni, perché in Europa vi sono pochissimi che gestiscono il potere dell'informazione. L'Unione europea pone il problema con forza affinché si costruisca un mercato europeo dei media che possa determinare più pluralismo e democraticità dell'informazione a livello europeo.
Nello stesso tempo, detta risoluzione ricorda con grande pregnanza che esiste, soprattutto qui in Italia, una concentrazione delle informazioni in mano ad un solo individuo e, contemporaneamente, sottolinea con specificità - quindi, ponendo in mora il Governo italiano - come mai ancora oggi non sia stato definito il problema del conflitto di interessi.
Signor Presidente, noi siamo profondamente convinti della sua onestà intellettuale e della sua cultura; siamo convinti che in gran parte dei deputati del centrodestra vi sia una cultura liberale, cattolico-popolare, democratico-popolare che ha sempre determinato, in questa sede, all'interno di questo Parlamento, una dialettica forte. Una dialettica importante volta comunque a curare gli interessi generali del paese, gli interessi dei cittadini italiani. Ebbene, ciò oggi non sta avvenendo, e lei lo sa; lei, sistematicamente, nel suo intimo, comprende benissimo che oggi più che mai, in questo Parlamento, si stanno definendo esattamente le costruzioni, le concezioni, gli interessi personali che sono riferibili sicuramente al Presidente del Consiglio.
Credo dobbiamo avere tutti un grande colpo d'orgoglio per fare in modo che si proceda alla determinazione di quelle regole che radicano la democrazia e, quindi, anche il pluralismo dell'informazione, come è stato sottolineato dal Presidente della Repubblica.
Sui giornali di oggi - e lo consideriamo di buon auspicio - apprendiamo come in occasione della cosiddetta verifica, gli onorevoli Follini e Fini non si siano presentati alla discussione sulla bozza di riforma del codice di procedura penale. Ciò significa che qualcosa si sta muovendo; credo nella discussione che stiamo sviluppando quest'oggi e che continueremo a sviluppare. È giusto, come sostenevo in precedenza, che i cittadini italiani sappiano quale sia l'importanza di quanto oggi è in gioco in questo paese, ovvero della libertà dell'informazione, della libertà della formazione della coscienza.
A mio avviso, tutti dobbiamo dare un colpo di ala per determinare questa concezione della libertà dell'informazione; noi, come socialisti democratici italiani, siamo fortemente convinti di continuare questa battaglia, in Parlamento e tra i cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Socialisti democratici italiani).

PRESIDENTE. L'onorevole Buemi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/174.


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ENRICO BUEMI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, per chiunque abbia un minimo di esperienza del funzionamento delle istituzioni pubbliche, di qualsiasi livello, quanto accaduto con questo decreto-legge rappresenterebbe qualcosa di abominevole ed aberrante; ciò senza, per così dire, tirare in ballo argomentazioni giuridiche o questioni morali. Normale buonsenso.
Se non ci trovassimo concretamente in questa situazione, non potremmo immaginare che la più alta autorità di Governo del paese avesse l'ardire di imporre, alla massima istituzione democratica, il Parlamento, un provvedimento a tutela dei suoi interessi privati, modificando leggi in vigore ed in elusione a sentenze della Corte costituzionale. E ciò sfacciatamente, con un decreto-legge, di per sé atto di urgenza per vitali interessi pubblici, ponendo sullo stesso la questione di fiducia, legando così, in modo perverso ed inaccettabile, i destini del Governo e della sua maggioranza ai suoi affari ed interessi privati. Affari ed interessi privati di colui che ormai, in un delirio di onnipotenza, pensa che quanto giova all'azienda di sua proprietà vada bene anche per il paese, per le sue istituzioni e per i cittadini.
Per ottenere tale risultato, il Presidente del Consiglio non si pone scrupolo alcuno, neppure minimo, di far venire meno le normali dialettiche democratiche ed il rispetto del mandato assunto dai parlamentari davanti agli elettori, ovvero quello di agire nell'interesse generale del paese.
Signor Presidente, dopo l'approvazione del provvedimento, il paese non sarà più lo stesso; sarà chiaro a tutti che i problemi, anche i più gravi che affliggono i cittadini, possono aspettare e che si può anche rinviare sine die la loro soluzione. Ciò che invece non può attendere è la tutela degli interessi privati di Berlusconi, delle sue aziende; come, per la verità, è già successo ripetutamente qualche mese fa per tutelare le priorità giudiziarie, i suoi interessi nei processi e quelli dei suoi amici.
Non si è ritenuto neanche di garantire - è questa la cosa più grave, signor Presidente - il voto segreto sul provvedimento; una misura minima, quindi. Una misura lieve ma comunque necessaria per salvaguardare un minimo di libertà a quanti della maggioranza vorrebbero esprimere un sommesso dissenso. Non vi sono margini di dissenso di fronte agli interessi del padrone; la libertà di coscienza può esserci su tutto o quasi. Ma non sugli interessi del Presidente del Consiglio; su quelli, l'imperativo categorico è: difenderli, difenderli, difenderli, anche colpendo gravemente le istituzioni democratiche.
L'ordine del giorno da noi proposto, signor Presidente, rappresenta un grido di dolore per queste ferite che vengono inferte alla democrazia (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Socialisti democratici italiani).

PRESIDENTE. L'onorevole Grotto ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/188.

FRANCO GROTTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo oggi ad affrontare uno dei momenti più difficili per il paese.
Il problema del conflitto di interessi, come più volte è stato denunciato, sta frenando lo sviluppo del paese ed impedisce di fatto che si stabilisca una reale democrazia dell'alternanza. Non è solo il fatto che si pone la fiducia su un tema così nevralgico per ogni sistema sinceramente liberaldemocratico; piuttosto, la fiducia viene posta su una questione che tocca molto da vicino l'interesse dell'attuale Presidente del Consiglio. Siamo dunque in una situazione talmente paradossale da non avere eguali in nessun altro paese civile; ma, nonostante ciò, il Presidente del Consiglio, che annuncia ai quattro venti che la verifica è chiusa e che non vi sono problemi nella maggioranza, chiede la fiducia onde evitare sgambetti in Assemblea.
Un voto di fiducia che dimostra ancora una volta una grande debolezza del Governo e della sua maggioranza, nonostante i circa cento deputati in più di cui essi dispongono in questo ramo del Parlamento. La verità è che il Governo ha


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fallito in tutti i campi, da quello economico a quello internazionale, e non affronta i problemi reali che investono il nostro paese, che sta progressivamente perdendo competitività, immerso in una delicata e preoccupante crisi economica. Tutti i risvolti negativi della crisi vengono scaricati sulle famiglie italiane, sempre più povere ed in difficoltà e sempre meno in grado di far quadrare i conti familiari; nonostante ciò, anziché affrontare i problemi reali, si continuano a «sfornare» leggi tese solo ed esclusivamente a risolvere il conflitto di interessi del Presidente del Consiglio.
Con questo decreto-legge avete acuito ulteriormente le lacerazioni con le maggiori istituzioni dello Stato. Si rischia di portare allo sbaraglio il nostro paese, solo e soltanto per continuare a garantire il potere mediatico ed economico all'attuale Capo del Governo.
Nel merito, avete glissato sulle motivazioni per le quali il Presidente della Repubblica ha rinviato al Parlamento, con un messaggio motivato, il progetto di legge in materia di riassetto del sistema radiotelevisivo. Tali motivazioni tenevano conto dei contenuti della sentenza n. 466 del 2002 della Corte costituzionale, in particolare nella parte in cui si chiedeva di definire in modo certo ed improrogabile il momento della cessazione del cosiddetto regime transitorio.
Con l'ordine del giorno in esame, noi socialisti vogliamo porre in parte rimedio ai danni che questo decreto determinerà al nostro sistema democratico ed alla libertà di informazione. Diciamo «in parte» perché riteniamo impossibile correggere un testo che si è voluto blindare anche perché non era possibile affrontare, su tali temi, un dibattito sereno e serio con l'altra parte, tanto erano madornali ed evidenti le mancanze e le anomalie in esso presenti.
Per questo, chiediamo di stabilire il limite certo entro il quale l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà adottare i provvedimenti indicati al comma 7, articolo 2, della legge n. 249 del 31 luglio 1997. Ci auguriamo che almeno su questo, nonostante l'arroganza con la quale si stanno affrontando temi così delicati per la nostra democrazia, si abbia il coraggio di votare favorevolmente (Applausi dei deputati del gruppo Misto-SDI).

PRESIDENTE. L'onorevole Ceremigna ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/176.

ENZO CEREMIGNA. Signor Presidente, da un po' di tempo non possiamo più adoperare la frase «abbiamo toccato il fondo». Infatti, con questa maggioranza, con questo Governo e, soprattutto, con questo Presidente del Consiglio non si sa mai dove viene a dislocarsi il fondo perché sprofondiamo sempre di più. Il decreto in esame è stato definito in tante maniere, ma più ci penso e più mi persuado che si tratti di un decreto osceno, di un'oscenità che rasenta la pornografia politica. Se dovessi imputare un qualche reato a questo decreto, direi che siamo di fronte ad atti osceni in luogo pubblico perché, signor Presidente, sono quei reati che compie chi non conosce vergogna.
Infatti, non conosce vergogna chi sui banchi della maggioranza ci dice che, tutto sommato, non siamo di fronte all'espropriazione del Parlamento, del diritto di voto e del libero confronto, ma ad un fatto tecnico. Così come non conosce vergogna chi afferma, come ha fatto ieri il ministro Gasparri, che noi - che stiamo cercando di alzare una diga contro lo scempio che si sta tentando di attuare della democrazia e della libera dialettica parlamentare -, in realtà, facciamo le nottate perché staremmo solo tentando di mascherare le nostre differenze sull'Iraq. Se dovessimo dare delle risposte alla maggioranza, dovremmo essere noi a provare per loro un po' di vergogna perché nel mondo non c'è paese civile e democratico in cui possa accadere quello che sta accadendo con questa maggioranza, con questo Governo e con questo Presidente del Consiglio.
Tuttavia, signor Presidente, dall'arroganza e dallo spregio delle istituzioni che dimostra l'attuale maggioranza noi non ricaviamo degli elementi di frustrazione perché non stiamo sprecando né il nostro


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tempo né il sonno che abbiamo perduto. In realtà, con questa battaglia parlamentare stiamo costruendo le prossime campagne elettorali, le prossime elezioni amministrative, europee e politiche. Infatti, basterà far leva sul resoconto stenografico di queste ore di dibattito per dimostrare a tutti cittadini cosa in realtà si sta perpetrando in loro nome e con i voti che hanno espresso a favore della maggioranza di centrodestra. Noi stiamo lavorando per impedire che altri scempi si compiano e per portare avanti una battaglia di alternativa ad un Governo che sta dimostrando in questo paese di non essere assolutamente all'altezza di guidarlo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-SDI).

PRESIDENTE. L'onorevole Intini ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/177.

UGO INTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, avremmo preferito fare notte per festeggiare qualcosa insieme a tanti amici qui presenti ed invece c'è poco da festeggiare. Il Presidente del Consiglio poche ore fa ha detto che la Corte costituzionale non esprime la volontà popolare perché si pronuncia contro Retequattro e contro il conservatorismo della maggioranza in materia televisiva. Invece, la Corte costituzionale deve essere libera di andare contro la presunta e, persino, contro la vera volontà popolare, cioè deve stare solo dalla parte della legge.
Berlusconi usa però un argomento che per lui è anche insidioso perché ricorda come l'opinione pubblica e i cittadini italiani si siano pronunciati con un referendum per lasciare le cose come stanno e per lasciargli tre reti televisive. Ma il referendum si svolse quando Berlusconi non era un politico ma un imprenditore, e come tale gestiva tre reti, mentre le altre tre reti della RAI gli facevano una concorrenza spietata. Oggi le cose non stanno più così e la situazione si è capovolta. Il Presidente del Consiglio delegittima, dunque, la Corte costituzionale e, nel contempo, il Parlamento perché quest'ultimo è ritenuto colpevole di votare, a scrutinio segreto, in materia televisiva sempre in modo contrastante con le sue esigenze aziendali. Per tali motivi, il Parlamento deve essere piegato, con un voto di fiducia, a fare ciò che le esigenze aziendali di Berlusconi richiedono.
Questo è molto grave perché la televisione è un tema di libertà e su ciò non si può forzare la volontà del Parlamento. Ciò costituisce anche una sorta di confessione perché i governi pongono la fiducia su ciò che ritengono vitale per il paese e, invece, questo non è un tema vitale per il paese ma solo per gli interessi aziendali del Presidente del Consiglio. Nella posizione del Governo c'è un'evidente contraddizione: continuamente ci parla di concorrenza, di pluralismo in materia economica e, invece, il Governo tenta di mantenere la mancanza di concorrenza e di pluralismo in un settore economico importante e decisivo come quello televisivo. Il Presidente del Consiglio, infatti, controlla la RAI proprio perché Presidente del Consiglio e Mediaset perché suo proprietario: dunque, RAI e Mediaset non si fanno concorrenza in modo sufficiente come richiederebbe un clima economico favorevole.
Ci troviamo in una situazione catastrofica e, durante gli anni in cui trionfava la retorica cosiddetta antipartitocratica, ricordavo una riflessione di Lester Turow, un politologo americano intelligente e di sinistra, il quale diceva che, quando i partiti vengono distrutti, si diffondono tre grandi malattie: localismo, corporativismo e lobbismo. Basta guardarsi intorno per l'Italia e vedere come queste tre malattie si siano, infatti, sviluppate in modo sensazionale. A proposito di lobbismo, quella che era nata come una lobby per difendere i legittimi interessi televisivi di Mediaset è diventata addirittura il partito di Governo.
Signor Presidente, i vecchi leader socialisti (Nenni, Pertini) erano grandi giornalisti e ci insegnavano che era inutile agitarsi a fare politica o altre cose perché, se i giornali non lo dicono, è come se non si facesse assolutamente niente: quello che non c'è sui giornali, non esiste. Oggi si può dire


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che quello che non c'è sulla televisione non esiste e lo si può dire con maggior ragione.
Oggi ci troviamo di fronte ad una democrazia virtuale perché si basa su una realtà virtuale, quella che fornisce la televisione. Per queste ragioni, signor Presidente, la questione televisiva è di decisiva importanza democratica e, quindi, noi non drammatizziamo un problema che drammatico non è, ma drammatizziamo un problema che è vitale per la democrazia del nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo Misto-socialisti democratici italiani).

PRESIDENTE. L'onorevole Cento ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/178.

PIER PAOLO CENTO. Ritengo che l'azione politica che stiamo conducendo in quest'aula, in queste ore improprie per il lavoro parlamentare, sia una grande battaglia di testimonianza di libertà e che essa segnali fortemente la necessità di una grande azione politica, parlamentare, civile nel paese sui temi dell'informazione, in difesa del pluralismo, contro ogni forma di lobbismo, anche di tipo radiotelevisivo.
È evidente che l'occasione fornita dalla conversione di questo decreto-legge è, da una parte, troppo importante e, dall'altra, troppo evidente nel segnalare la distorsione per la quale nel nostro sistema radiotelevisivo c'è un conflitto di interessi evidente che lacera il diritto e la libertà di informazione, un conflitto di interessi che questo decreto non solo non affronta e non risolve, ma addirittura aggrava, proprio sul terreno decisivo delle libertà civili del nostro paese.
Il decreto Gasparri, nella sua proposizione, rappresenta forse l'atto più forte di quell'autoritarismo moderno che non è fatto più di manganelli e olio di ricino, bensì dell'uso sapiente e invasivo della capacità di controllo degli strumenti di comunicazione. Forse, è per questa capacità di espressione autoritaria che il Governo ha dovuto tentare di mettere il bavaglio agli stessi parlamentari di centrodestra che, in maniera libera, si sono precedentemente espressi più volte, attraverso il voto segreto, in maniera autonoma e indipendente.
Tuttavia, il Governo ha poi dovuto porre la questione di fiducia con un atto di forza, perché la contraddizione è diventata oggi lacerante (nonostante i rilievi che da più parti sono stati avanzati anche sulla nuova versione che, nella sostanza, non accoglie e non dà ragione di quegli stessi motivi che hanno portato correttamente il Presidente della Repubblica a rinviare questo provvedimento all'esame delle Camere). Forse, proprio per questo, si è costretto il Parlamento a rendersi muto, a chinare la testa e ad accettare questo atto autoritario. Noi siamo qui per dire che c'è una parte dell'Italia, consistente, forse maggioritaria, una parte consistente di questo Parlamento che invece vuole dare ruolo e dignità all'aula parlamentare, affermando con chiarezza che questo decreto-legge è un atto autoritario, che va respinto e sul quale bisogna levare le nostre voci e il nostro grido di libertà.
Queste sono le ragioni che sono alla base dell'ordine del giorno da me presentato e per le quali è necessario che almeno esso sia accettato dall'Assemblea come segnale di testimonianza (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. L'onorevole Bulgarelli ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n.9/4645/182.

MAURO BULGARELLI. Il 20 novembre 2002, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla concentrazione nei mezzi di informazione, nella quale si afferma la necessità di creare un mercato europeo dei media per fare fronte a una crescente disparità tra le regolamentazioni nazionali e salvaguardare la libertà e il pluralismo dell'informazione.
In tema di pluralismo dell'informazione, il 4 settembre 2003, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sui diritti umani nel mondo e la politica dell'Unione europea in materia di diritti umani. Al punto 37 di tale risoluzione, il


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Parlamento europeo deplora che, nell'Unione europea, il problema della concentrazione del potere mediatico nelle mani di alcuni gruppi non abbia ancora trovato una soluzione legislativa. Sempre il Parlamento europeo ha, in più circostanze, espresso preoccupazione relativamente al fatto che in Italia permanga una situazione di concentrazione del potere mediatico senza che sia stata adottata una normativa sul conflitto di interessi.
Il 4 dicembre 2003, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in relazione alla comunicazione della Commissione sulla politica globale dell'Unione europea contro la corruzione.
Il Parlamento europeo ritiene che il pluralismo dei mezzi di comunicazione e la libertà di informazione siano fattori essenziali di un'efficace strategia anticorruzione, sia a livello nazionale sia a livello europeo, ed esorta pertanto la Commissione a verificare che tali principi, ripresi anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dal progetto di Costituzione europea, siano correttamente rispettati dagli Stati membri.
Sempre il 4 dicembre 2003, la Commissione per le libertà ed i diritti dei cittadini, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo è stata autorizzata dalla Conferenza dei presidenti ad elaborare una relazione di iniziativa sui rischi di violazioni delle libertà fondamentali nell'Unione europea, e in particolare in Italia, in materia di libertà di espressione e di informazione, come definite in particolare dall'articolo 11, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
Il problema del pluralismo dei media in Italia è oggetto di specifiche considerazioni anche nel progetto di relazione sulla situazione dei diritti fondamentali dell'Unione europea nel 2003, presentato il 15 gennaio 2003 e attualmente in discussione presso la Commissione per le libertà e i diritti dei cittadini, la giustizia e gli affari interni.
Se questa verità è di per sé intollerabile, va inquadrata oggi in un contesto economico e sociale del paese che precipita di ora in ora, che vede fasce sempre più vaste di popolazione impoverirsi, caratterizzato dall'erosione inesorabile del potere d'acquisto, dalla stagnazione dei salari, dallo sgretolarsi di un sistema finanziario surrettiziamente sovradimensionato, dalla cancellazione delle tutele sul lavoro.
Ecco, allora, che un provvedimento come il decreto «salva Retequattro» riesce ad assumere, in maniera quasi didascalica, il deprimente stato dell'arte della democrazia e dell'informazione in Italia: la bancarotta dei diritti, l'arroganza di un capitalismo familiare, predatorio e parassitario, che utilizza le istituzioni come un ramo d'azienda e le casse dello Stato come uno forziere privato (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. L'onorevole Lion ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/181.

MARCO LION. A seguito di questa lunga maratona, alle 5,30 della mattina del 18 febbraio, vorrei apportare qualche ulteriore elemento alla discussione sugli ordini del giorno che abbiamo presentato, ricordando che il 19 settembre 2003 alcuni funzionari del Ministero delle comunicazioni hanno disattivato e sigillato la Telestreet di Senigallia - la mia città - perché non provvista di concessione governativa (Telestreet si chiama Disco volante).
Disco volante è un'associazione che si occupa di handicap, e in particolare di tetraplegici. Sono gli stessi handicappati che, ogni giorno, producevano i contenuti della loro TV di strada. Disco volante trasmetteva da alcuni mesi in un raggio di alcune centinaia di metri ed è stata chiusa. Più o meno, è come impedire a due sordomuti di farsi dei gesti di saluto dai due lati della strada.
Il messaggio che arriva dal Governo appare chiaro: nessuno ha diritto di comunicare, lo hanno solo il Cavaliere e le sue aziende!
Disco volante, non avendo ottenuto la concessione governativa che autorizza a trasmettere, ha violato dunque un articolo


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della legge Mammì ed è stata chiusa. Anche Retequattro non dispone della concessione ed il suo raggio d'azione non è di centocinquanta metri. Tuttavia, Retequattro, che appartiene al circuito televisivo Mediaset, può trasmettere. Il ministro delle comunicazioni non l'ha chiusa e oggi questo ineffabile Governo ha posto anche la questione di fiducia per aggirare una sentenza della Corte costituzionale.
Telestreet è nata per diffondere nelle coscienze l'idea che è possibile rompere il monopolio della comunicazione prendendosi semplicemente la responsabilità di comunicare con tutti gli strumenti, anche quello televisivo (l'esempio ci dimostra che è possibile farlo, costa poco e mette in moto energie creative e politiche).
Telestreet, in Italia, e non solo a Senigallia, è nata per portare democrazia nella comunicazione, proprio tutto ciò che in questo paese si cerca di distruggere e che questo decreto-legge sancisce in maniera più che chiara.
Perciò, le esperienze di Telestreet chiamano tutte le persone sensibili e democratiche a provare lo stesso nostro disgusto per questa repressione che impedisce alla gente di trasmettere parole ed immagini nel raggio di 150 metri, ma garantisce reti come Retequattro. Deboli con i forti, forti con i deboli. Complimenti, questo è il messaggio che ci arriva dal Governo!
Comunque, riteniamo che l'oscuramento di emittenti televisive, come quello che ho citato di Disco volante (ricordo che il tentativo è stato fatto per altre televisioni di strada, a Termini Imerese o a Piccioli, quest'ultima gestita addirittura dall'amministrazione comunale), coinvolga una serie di problematiche e di questioni che hanno direttamente a che fare con i contenuti della libertà e di manifestazione del pensiero del nostro paese, e, quindi, con la qualità della nostra democrazia. Se questo poi si pone in relazione a quanto stiamo discutendo in aula, credo che abbiamo di che preoccuparci. Disco volante, d'altronde, era una piccola televisione, realizzata in Italia, al solo scopo di promuovere una comunicazione sintonizzata sui bisogni e sui problemi quotidiani di una piccola comunità locale ed aveva addirittura l'obiettivo di favorire un'integrazione effettiva di soggetti disabili attraverso la creatività.
Però, di fronte ad esperienze come queste, nonostante la presentazione di progetti di legge e di ordini del giorno, alcuni addirittura recepiti dal Governo, nulla è stato fatto. È stato, invece, emanato questo decreto-legge che oggi stiamo discutendo. Pensiamo che non si possa liquidare la vicenda di Telestreet, limitandosi ad invocare la formale constatazione dell'assenza di una concezione. Questo non è avvenuto per Retequattro ma per Telestreet. Chiediamo che si vada in fondo a questa situazione.

PRESIDENTE. L'onorevole Titti De Simone ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/184.

TITTI DE SIMONE. Riteniamo che gli ordini del giorno che abbiamo presentato e l'ostruzionismo che, anche noi di Rifondazione, stiamo svolgendo, siano un doveroso atto di opposizione allo strappo istituzionale e alle regole democratiche che, con questo provvedimento - ma possiamo dire sistematicamente - questo Governo sta perseguendo. Non possiamo accettare questa arroganza, lo svuotamento del Parlamento, l'uso privato delle istituzioni.
Signor Presidente, il percorso dei provvedimenti adottati da questo Governo sul tema dell'informazione è segnato pesantemente da sentenze costituzionali, da richiami delle autorità, dal messaggio del Presidente della Repubblica. Dopo il rinvio alle Camere della legge Gasparri e le difficoltà evidenti che la maggioranza ha manifestato, nella sua tenuta, in aula, nel corso della discussione, la stessa maggioranza ed il Governo hanno dimostrato, in queste ore, di voler azzerare tutto, compiendo un vulnus istituzionale e costituzionale, sottoponendo al Parlamento un voto di fiducia su un decreto di urgenza, quando altre sarebbero le urgenze del nostro paese, al solo scopo di salvare la televisione di proprietà del Presidente del Consiglio, Berlusconi.


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Credo che questo decreto rappresenti una perfetta metafora del Governo, cioè un comitato di affari, un'anomalia nel panorama internazionale che, in modo autoritario, tutela gli interessi ed il potere mediatico del suo capo, cioè Berlusconi, e mira a smantellare la libertà di espressione, di informazione e di pluralismo.
Per costruire un modello autoritario di società, certo, voi volete imporre una stretta antidemocratica sul sistema dell'informazione, attraverso una cristallizzazione delle condizioni di monopolio ed un consolidamento delle condizioni di illegalità e delle posizioni dominanti dei poteri forti, mentre il paese, signor Presidente, vive una crisi sociale ed economica ed un declino culturale molto gravi. Voi, per questa via, volete schiacciare i diritti e mettere in sordina il conflitto sociale che cresce nel paese. È il problema della crisi profonda del vostro consenso, cui rispondete tagliando gli spazi, la voce dell'esistenza del conflitto, la coscienza critica, criminalizzando i movimenti, il sindacato, le domande di alternative.
Signor Presidente, nella vita di un paese, il tema dell'informazione assume un'importanza fondamentale sul terreno della costituzionalità e delle regole democratiche. Questo provvedimento è immorale perché irride la sentenza della Corte costituzionale, che obbligava Retequattro a trasferirsi sul satellite e regalava a Mediaset, l'azienda del Presidente del Consiglio, cospicui vantaggi e profitti economici. È scandaloso porre la fiducia su un provvedimento come questo e scippare il dibattito parlamentare. Avete blindato con la fiducia questo voto, perché non vi fidate neppure della vostra maggioranza e volete svuotare il Parlamento delle sue prerogative, sottraendo all'opposizione e alla maggioranza del paese un confronto ed un dibattito reale. Era anche questo il senso degli emendamenti da noi presentati, tesi a recepire i rilievi delle Autorità, quelle che voi non avete voluto ascoltare.
Si tratta di un decreto avvelenato, dunque, per le regole democratiche ed un inganno sotto il profilo istituzionale e politico. Così date uno schiaffo al pluralismo, non prevedendo alcun diritto di posizione dominante ed inventandovi l'ennesimo vergognoso escamotage, la presenza di nuovi presunti canali digitali terrestri. L'Autorità garante sarà ridotta ad un ruolo risibile perché i criteri di verifica di questa nuova situazione sono falsi ed inconsistenti e perché si trasforma il concetto di diffusione nazionale in una logica escludente che spacca il paese.
È una vera vergogna che il paese non vi perdonerà; un paese attraversato da una grave crisi sociale, dalle lotte dei lavoratori di Terni, dell'ILVA, di Fiumicino, dalla difficoltà del vivere di chi non c'è la fa, con i salari fermi al palo e un caro-prezzi alle stelle, dalla battaglia per una scuola e un'università pubblica che vuole essere sottratta al mercato. Di questo parla la straordinaria manifestazione svoltasi ieri, presso l'Università La Sapienza di Roma, dei giovani ricercatori, docenti e studenti e di ciò parlano anche le manifestazioni a sostegno del tempo pieno, cioè la voce di generazioni a cui volete scippare il futuro e che volete consegnare ad una precarietà permanente strutturale, senza speranza.
Siamo indignati ma fra voi e il paese si è aperta una crisi di fiducia e di consenso e, per questo, costruire un'alternativa è necessario per il paese per arrestare il declino verso cui ci state portando (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. L'onorevole Russo Spena ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/185.

GIOVANNI RUSSO SPENA. Ancora una volta, ritroviamo in questo ordine del giorno un tema di fondo e cioè il fatto che il provvedimento in esame aggira la sentenza n. 466 del 2002 della Corte costituzionale ed elude un punto fondamentale, cioè che il pluralismo televisivo può essere garantito solo da una disciplina legislativa idonea a contrastare la formazione di posizioni dominanti. Ricordo che l'Autorità garante ha sollecitato il legislatore ad individuare precisi indici di riferimento per accertare la diffusione digitale terrestre


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ed ha sottolineato gli ampi spazi di discrezionalità interpretativa e di incertezza che caratterizzano un provvedimento che, per questa strada, fuoriesce dal complesso delle norme e dalle regole dell'impianto costituzionale in uno Stato di diritto.
Anche per tale motivo, il ricorso al voto di fiducia è stato metafora di una sorta di sovversivismo anticostituzionale, di fatturato di un privato. La dittatura della maggioranza si coniuga con l'arbitrio proprietario, con l'immunità e l'impunità del padrone. Le parole di ieri di Berlusconi sulla Corte costituzionale sono addirittura indicibili per l'«igiene» costituzionale. È evidente che ci stanno portando a confrontarci con temi che attengono alla configurazione stessa di un sistema politico e di un ordinamento costituzionale. Qui stiamo infatti evocando nuovi strutturali nessi istituzionali che, attraverso la funzione e la propensione dell'informazione, attengono alla fisionomia ed al funzionamento stesso della democrazia nel nostro paese.
È molto significativo il fatto che la stessa Autorità ricordi che la tutela del pluralismo informativo rappresenta un obiettivo che trova, non solo nel nostro ordinamento costituzionale, ma anche nello spazio giuridico europeo, un preciso riconoscimento che, in primo luogo, deve essere garantito attraverso gli strumenti di tutela della concorrenza.
Su tale punto, i signori del Governo, che sono stati servi della teoria e della dottrina della guerra preventiva che proveniva dal comando dell'«impero», hanno imposto, di fatto, la fiducia preventiva.
Non credo, in verità, che questi ripetuti atti di sfregio alla Costituzione ed alle regole avvengano solo sotto dettatura degli interessi privati di Berlusconi. Tali interessi, certamente, ci sono, come caleidoscopio imperante di un'ipocrisia che subordina la democrazia ai business ed ai fatturati, che, pure, ci sono.
Mi viene in mente uno splendido film di Buñuel, di alcuni decenni fa, che descriveva la crisi di una borghesia in nero. Qui siamo alla crisi assoluta del liberalismo, che assume, deformando se stesso con una torsione inedita, forme strutturate di neo-emergenzialismo, di governabilità imposta attraverso l'assolutismo.
Signor Presidente, stiamo discutendo in quest'aula un decreto-legge imposto all'interno di un contesto che mi sembra di vedere come contesto di «ossessione securitaria», di neo-emergenzialismo vero e proprio che ha, come altre facce della stessa medaglia, per esempio, la legge sulla procreazione assistita, la legge Fini contro i tossicodipendenti (quando verrà in discussione) la legge che vuole abolire la giustizia minorile, la legge che vuole riaprire persino i manicomi.
Lo Stato etico, del resto, ha sempre celato l'ipocrisia dei grandi arricchimenti di regime, dietro la sua visione ed i suoi comportamenti moralistici. Si potrebbe dire, vizi privati e pubbliche virtù, ma qui siamo, forse, di fronte a vizi privati ed immani vizi pubblici, che fanno dello Stato di diritto, in effetti, la stalla dei poteri economici e finanziari berlusconiani.
Mi permetta quest'ultima osservazione, signor Presidente. Come già diceva l'onorevole Titti De Simone, poco fa, il Governo Berlusconi è spaesato, è diviso, è allo sbando. Ma, proprio per questo, è ancora più sfrontato nelle sue imposizioni ed ancora più pericoloso.
Diviene quindi, sempre più urgente sconfiggerlo, riconnettendo le lotte democratiche alle lotte sociali, difesa della democrazia organizzata e conflitto sociale. Questo è l'azzardo, questa è la sfida (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani e del gruppo Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Giordano ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/186.

FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, sono tante e diverse le esternazioni del Presidente Berlusconi di ieri sera che hanno destato sconcerto ed inquietudine alle persone dotate di razionalità.
Mi ha colpito una, più di tutte (si sa che la sensibilità muta a seconda della


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soggettività), che recita così - dichiarazione stravagante per il Presidente del Consiglio -: «chi ha più profitti deve pagare più tasse».
Verrebbe voglia di condividere tale affermazione, se, ironia della sorte, il Presidente del Consiglio decidesse di prospettare tale direttrice di marcia della sua azione di Governo (cui dubito seguirà qualche riscontro) nel giorno in cui la sua azienda guadagna 165 milioni di euro per raccolta pubblicitaria dalla rete salvata con il decreto-legge in esame.
Ciò è ancora più clamoroso se si guarda in filigrana la produzione legislativa della maggioranza di questi anni: dall'abolizione della tassa di successione, al rientro dei capitali dall'estero, alle varie sanatorie prodotte, alla legge Cirami, all'abolizione del reato di abuso d'ufficio. Tale approccio, tendente alla giustizia sociale, ha, dunque, poco retroterra per potere essere veritiero.
Voi avete posto la fiducia e vi siete trincerati dietro le ragioni tecniche. Ho notato che i miei colleghi si sono tutti opposti, dicendo che in realtà, vi sono ragioni politiche. Continuo a sostenere che, in fondo, una ragione tecnica l'avevate. Se si fosse andati al voto segreto, tecnicamente, avreste perso. È già successo, ripetutamente, ogni qual volta si è andati al voto segreto.
Scherzi a parte, la verità è che, dietro la «tecnica», voi celate una difficoltà, sempre più clamorosa. È una difficoltà nel tenere insieme un blocco sociale di riferimento, che, oramai, è palesemente in crisi.
Per tali ragioni, voi state introducendo una stretta autoritaria sul sistema informativo, che avviene su più versanti. Leggete i giornali di oggi e scoprirete che vi è una circolare del direttore generale della Rai che stabilisce, in maniera stringente, come devono essere suddivisi gli spazi: un terzo al Governo, un terzo alla maggioranza ed un terzo all'opposizione, da oggi fino alla campagna elettorale.
Ditemi voi se queste non sono le condizioni per determinare un'alterazione sulla rete pubblica (per non parlare, poi, delle reti private, in cui non abbiamo neanche la possibilità di far prevalere tali regole). State introducendo una stretta autoritaria per celare la difficoltà di tenere insieme il vostro blocco sociale di riferimento.
Voi, cioè, avete bisogno di avere spazi informativi senza alcun contraddittorio perché altrimenti il Presidente Berlusconi non può andare in televisione a dire che l'Italia oggi è più ricca, in spregio delle condizioni concrete, della vita materiale di tanti soggetti in carne ed ossa che vedono i salari perdere il loro potere d'acquisto, che si vedono aumentare il carovita e guardano con drammaticità il declino produttivo di questo paese.
Dietro la vicenda di Retequattro non usate, per favore, il ricatto occupazionale. Mediaset infatti è una azienda che grazie anche alle vostre politiche ha avuto notevoli vantaggi ed è in grado di poter occupare i suoi lavoratori.
Forse, fareste bene ad occuparvi dei tanti lavoratori che, oggi, rischiano il posto di lavoro e che non hanno nessun decreto, nessuna fiducia posta e nessun impegno del Governo così stringente.
Mi riferisco ai lavoratori di Fiumicino, a quelli di Terni, a quelli dell'ILVA di Taranto, alla sorte delle tantissime aziende con tantissimi lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro.
Non usate strumentalmente la questione del ricatto occupazionale perché tale questione non esiste. Per questa ragione, chiediamo che almeno questo ordine del giorno sia approvato.

PRESIDENTE. L'onorevole Boato ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/187.

MARCO BOATO. Signor Presidente, mi permetta, poiché sono quasi le 6, di augurarle una buona giornata così come al sottosegretario Innocenzi e ai colleghi (più numerosi dell'opposizione, meno - e qualcuno dormiente - della maggioranza) ed anche al personale della Camera che ci sta assistendo sia qui che al di fuori di quest'aula durante queste lunghe ore di dibattito.


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Fra poco, il collega Pappaterra concluderà questa lunga serie di illustrazioni dei nostri ordini del giorno.
Come lei sa, signor Presidente, il nostro lavoro sarà ancora lungo. Il cortese sottosegretario Innocenzi, fra poco, ci darà il parere del Governo sui nostri ordini del giorno. Mi auguro che, per esempio, egli possa dare un parere favorevole sull'ordine del giorno n. 9/4645/187 di cui sono primo firmatario, che impegna il Governo a rendere effettivo quanto previsto dal primo comma dell'articolo 1, che ha come rubrica «Modalità e tempi di definitiva cessazione del regime transitorio».
Credo, però, signor Presidente, che, proprio perché sono il penultimo a parlare in sede di illustrazione degli ordini del giorno, (a bassa voce, per non disturbare chi eventualmente dormisse o per non turbare chi ci ascoltasse di primo mattino abbiamo passato la notte in quest'aula), una breve riflessione su cosa sta accadendo sia giusto farla.
Lei forse ricorda, signor Presidente, che sono stato protagonista di ostruzionismi in Assemblea, in uno dei quali parlai una volta 16 ore ed una seconda volta 18 ore. Quell'ostruzionismo riguardò un tema, il fermo di polizia, che fu introdotto con un decreto-legge; eravamo nel 1981 nel primo caso, e l'anno successivo quando il Governo avrebbe dovuto rinnovare il decreto-legge, nel secondo caso. La seconda volta il ministro dell'interno mi disse che, se non avessimo dichiarato vittoria, il Governo non avrebbe rinnovato quello strumento, perché si erano resi conto che era al limite della costituzionalità ed oltretutto inefficace nella lotta al terrorismo.
Con quell'ostruzionismo non impedimmo la conversione in legge di quel decreto-legge. Anche noi, in queste lunghe ore (andremo avanti anche perché la giornata è appena iniziata, temo anche la prossima notte, la giornata di domani e forse oltre), non possiamo e non vogliamo impedire la conversione in legge del decreto-legge. Lei, come Presidente della Camera, ha il dovere costituzionale di mettere in votazione comunque il disegno di legge di conversione del decreto-legge nei tempi costituzionalmente previsti ed è giusto che lei faccia ciò.
Allora che cosa sta avvenendo? È come se tutti i gruppi dell'opposizione di centrosinistra e di sinistra volessero, di fronte all'Assemblea ma, soprattutto in questo caso, dinanzi all'opinione pubblica (userò una metafora ferroviaria) tirare il freno di emergenza o suonare un campanello di allarme. A ciò intendiamo limitarci, anche se in modo faticoso per noi, ma soprattutto per chi lavora alla Camera in queste ore.
Tirare un freno di emergenza, suonare un campanello di allarme, spiegare senza urlare ma pacatamente ai cittadini chiedendo loro di interrogarsi sul perché ci troviamo in questa situazione, laddove, in alternativa, in queste stesse ore, forse addirittura già ieri sera, il decreto-legge avrebbe potuto essere convertito in legge da una maggioranza consapevole di se stessa e della propria forza. Si parla di cento voti di scarto, in realtà sono ottantacinque, ma comunque più che sufficienti. Per quale motivo non si sono volute affrontare le poche decine di emendamenti, tutti ed esclusivamente di merito, che l'opposizione ha presentato? Può darsi che la maggioranza abbia avuto paura delle proprie decisioni.
Apporre la questione di fiducia in tale contesto, impedire di esaminare poche decine di emendamenti di merito ed impedirlo con la tagliola imposta dalla questione di fiducia, vuol dire mettere la museruola alla maggioranza ed impedire all'opposizione di presentare proposte costruttive. Noi non siamo coloro che stanno spingendo all'estremo la vicenda; stiamo semplicemente tirando il freno di emergenza e suonando il campanello di allarme rivolgendosi ai cittadini ed all'opinione pubblica. Se ciò avviene, vuol dire che la posta in gioco è molto alta.

PRESIDENTE. L'onorevole Pappaterra ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/4645/189.

DOMENICO PAPPATERRA. Signor Presidente, con il mio intervento si conclude


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la prima parte di questa straordinaria battaglia parlamentare che i gruppi di opposizione sono stati costretti ad attivare contro una grave prevaricazione del Governo verso il Parlamento, mortificato per l'ennesima volta nella sua dignità istituzionale.
I tanti colleghi che mi hanno preceduto, signor Presidente, hanno già lungamente motivato le ragioni della nostra posizione e soprattutto denunciato i comportamenti preoccupanti del Governo e della maggioranza sia sul piano politico sia nel merito del provvedimento portato all'esame della Camera. Sul piano politico, il Governo, da un lato, evidenzia tutte le proprie difficoltà - come è stato ampiamente detto - ponendo la questione di fiducia per paura di replicare il voto negativo «incassato» nei giorni scorsi sulla cosiddetta legge Gasparri e dimostrando che non si fida più dei parlamentare della sua stessa maggioranza. Dall'altro lato, vi è il Capo del Governo che, grazie alla mancata rimozione del grave conflitto di interessi che lo riguarda, impone al Parlamento la fiducia su un decreto che riguarda il salvataggio di una rete televisiva del suo gruppo, il gruppo Mediaset, creando un vulnus nel corretto svolgimento della vita delle istituzioni democratiche del nostro paese.
Sul piano del merito, e passo all'ordine del giorno da me presentato, signor Presidente, il decreto-legge presenta lacune enormi, che rischiano di scontrarsi apertamente con quanto dichiarato dalla Corte costituzionale attraverso la sentenza n. 466 del 2002 e con quanto richiesto dallo stesso Presidente della Repubblica, prima con il messaggio inviato alle Camere nel luglio del 2002 ed in seguito attraverso le motivazioni con cui ha rinviato al Parlamento il progetto di legge in materia di riassetto del sistema radiotelevisivo.
Con il mio ordine del giorno, in particolare, si chiede che vengano fornite all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni strumenti certi per determinare l'effettivo arricchimento del pluralismo politico. Per strumenti certi si intende la possibilità per l'Autorità garante di definire con chiarezza parametri oggettivi. È a tutti nota, ormai, l'anomalia insita nel Sistema integrato delle comunicazioni, attraverso il quale si è teso a difendere solo ed esclusivamente gli interessi dell'attuale Presidente del Consiglio, senza tenere conto della necessità di imporre, a qualsiasi livello, la tutela antitrust e negando di conseguenza lo sviluppo della competitività e della concorrenza. Si è persino tentato di spacciare l'avvento di nuove tecnologie nel nostro paese come un effettivo incremento della pluralità, senza prevedere però nel contempo regole e limiti propri di una vera democrazia economica.
Anche con questo decreto «salva reti» si è inteso mantenersi il più possibile sul generico e non si sono volute stabilire condizioni minime per tutelare la concorrenza ed il pluralismo, in un settore nevralgico per ogni sistema democratico. È veramente grave, signor Presidente, che l'attuale Capo del Governo controlli come imprenditore tre televisioni e poi decida come Capo del Governo chi possa andare o meno nelle televisioni pubbliche, ponendo un grave problema di esercizio della democrazia.
Per queste ragioni chiediamo, con il nostro ordine del giorno che il Governo stabilisca, signor sottosegretario, che alla data del 30 aprile 2004 gli utenti debbano ricevere programmi diversi da quelli attualmente ricevuti sui canali analogici.
Concludo, signor Presidente, dicendo che ormai bisogna avere il coraggio di affermare che i programmi che questa quota della popolazione potrebbe, in via del tutto teorica, ricevere, siano almeno diversi da quelli distribuiti in analogico. Ciò non farebbe altro che confermare la vostra ipotesi secondo la quale lo sviluppo del digitale restituirà il pluralismo nel nostro paese. Non salverebbe un provvedimento fatto ad uso personale, ma almeno restituirebbe un minimo di dignità al paese e al Parlamento.

PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi per l'illustrazione degli ordini del giorno presentati.


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Invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere.

GIANCARLO INNOCENZI, Sottosegretario di Stato per le comunicazioni. Grazie signor Presidente, ho raggruppato gli ordini del giorno per gruppi omogenei. Sull'ordine del giorno Bogi n. 9/4645/1 il parere è contrario, anche perché l'onorevole Bogi è perfettamente a conoscenza del fatto che non esiste un criterio per capire quali siano le frequenze...

PRESIDENTE. Mi scusi onorevole Innocenzi, propongo di semplificare. Poiché ho già i suoi pareri e vedo che sono quasi tutti contrari, forse potrebbe limitarsi a richiamare gli ordini del giorno di cui chiede la riformulazione o che accoglie.

GIANCARLO INNOCENZI, Sottosegretario di Stato per le comunicazioni. Sono d'accordo, signor Presidente.
Il Governo accoglie gli ordini del giorno Panattoni n. 9/4645/4, Montecchi n. 9/4645/5, Calzolaio n. 9/4645/6, Magnolfi n. 9/4645/7 e Nicola Rossi n. 9/4645/8 purché riformulati nel senso di sopprimere, nel dispositivo, le parole successive ad: «acquisto di decoder»; accoglie inoltre l'ordine del giorno Ruzzante n. 9/4645/9.
Il Governo accetta gli ordini del giorno Adduce n. 9/4645/10 e Benvenuto n. 9/4645/11, se riformulati fino a ricomprendere le parole «diffusione su tutto il territorio nazionale»; il Governo accetta l'ordine del giorno Bolognesi n. 9/4645/12, mentre accetta, se riformulati fino a ricomprendere le parole: «su tutto il territorio nazionale», gli ordini del giorno Bova n. 9/4645/13, Cennamo n. 9/4645/14, Crisci n. 9/4645/15, Labate n. 9/4645/16 e Lucidi n. 9/4645/17. Il Governo accetta, altresì, gli ordini del giorno Giulietti n. 9/4645/24, Sasso n. 9/4645/25, Capitelli n. 9/4645/26 e Mazzarello n. 9/4645/28. Per quanto riguarda l'ordine del giorno Pistone n. 9/4645/165, il Governo lo accetta se riformulato fino a ricomprendere le parole: «a prezzi accessibili». Il Governo accetta, infine, gli ordini del giorno Di Gioia n. 9/4645/173, Cento n. 9/4645/178 e Boato n. 9/4645/187.

PRESIDENTE. Sta bene. Sospendo brevemente la seduta perché una pausa tecnica è indispensabile.

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