Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 416 del 2/2/2004
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Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Garnero Santanchè ed altri; Spini ed altri; Butti; Cosentino e Perrotta; Perrotta ed altri: Istituzione del Sistema museale della moda e del costume italiani (2291-3292-3823-4203-4235) (ore 17,12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge: Garnero Santanchè ed altri; Spini ed altri; Butti; Cosentino e Perrotta; Perrotta ed altri: Istituzione del Sistema museale della moda e del costume italiani.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è riprodotto in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).


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(Discussione sulle linee generali - A.C. 2291 ed abb.)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazione nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Il relatore, onorevole Butti, ha facoltà di svolgere la relazione.

ALESSIO BUTTI, Relatore. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, il provvedimento che giunge oggi all'esame dell'Assemblea si propone di rafforzare il sistema della moda e del costume italiani, istituendo una rete di musei e strutture espositive destinate alla tutela e alla valorizzazione del nostro ingente patrimonio in questo settore.
L'inserimento della moda in un sistema museale non deve sembrare né fuori luogo né provocatorio. Da molto tempo, ormai, tale espressione di creatività viene unanimemente riconosciuta quale facente parte delle cosiddette «arti plastiche», accanto alla pittura e alla scultura. Infatti, non sono stati e non sono tuttora pochi i collegamenti tra pittori assai noti e il cosiddetto fashion word, ovvero il mondo della moda. L'arte si conserva in un museo, e il rapporto fra arte e moda è oggi ancora più stretto e più vivace. Le sfilate sembrano essere diventate una forma d'arte a sé stante, il cui compito è quello di trovare idee sempre nuove.
La moda rappresenta, così come ogni altra espressione artistica, una peculiare interpretazione della realtà nonché una lettura dinamica, e piena di significato, della vita e delle vicende degli individui e dei gruppi sociali. Essa nasce dalla personale interpretazione e rivisitazione degli stilisti, figure creative che vivono il loro tempo e la loro storia assorbendo gli stimoli culturali e sociali provenienti da ogni gruppo e da ogni comunità. Lo stile, il taglio, il colore, il tessuto di un capo di abbigliamento concorrono dunque a comporre un mosaico di eventi e di passaggi che confluiscono in una vera e propria storia di vita e nel racconto visuale di un periodo storico e di una società, che ha scelto di indossare determinati abiti. Si tratta dunque di opere d'arte frutto di creatività e di esperienze geniali. In tal modo, vengono visti gli abiti ospitati nei vari musei del mondo.
Sulla cultura e sulla politica di gestione dei numerosi spazi espositivi museali sono necessari studi ed analisi approfondite, che abbiamo cercato umilmente di condurre in questi mesi di lavoro. Il connubio tra moda e arte è così stretto, che si è portati a valutare questo particolare rapporto da un punto di vista quasi identitario, e il museo sembra proprio sancire tale gemellaggio. All'interno del museo, l'abito, il tessuto, la fibra nobile, l'accessorio, si fanno pubblicamente e ufficialmente opera d'arte, e lo stilista, ovvero chi trasforma, lavora e tratta la materia prima, diventa a tutti gli effetti un artista che è già passato alla storia.
Nel mondo esistono numerosi e prestigiosi musei della moda, nonché musei che hanno importanti sezioni delicate a questa arte. Si tratta di istituzioni che conservano collezioni molto rilevanti e che ne enfatizzano proprio l'aspetto artistico. L'Italia, con le sue tradizioni e la sua storia, non poteva ricoprire il ruolo della «cenerentola».
A questo fine, abbiamo ritenuto di istituire una fondazione cui attribuire funzioni di indirizzo, raccordo e coordinamento del nuovo «sistema museale della moda e del costume italiani», realizzando una forma di collegamento stabile tra le strutture che entreranno a farne parte.
Allo stesso tempo, si interviene per rafforzare le strutture già esistenti e per realizzarne di nuove, in modo da garantire il più ampio coinvolgimento delle numerose realtà esistenti nel paese. In tal senso, gli interventi più significativi sono probabilmente l'istituzione del nuovo Museo della moda italiana di Milano e la «trasformazione» - lo dico tra virgolette - della Galleria del costume di Palazzo Pitti di Firenze e del Museo della seta di Como.


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Faranno inoltre necessariamente parte della «rete» anche il Museo del tessuto di Prato e la Fondazione Micol Fontana di Roma e si prevede la possibilità che entrino a farne parte anche gli altri numerosi musei già operanti in questo campo. Anche al fine di realizzare uno sviluppo del sistema museale territorialmente equilibrato, si affida alla fondazione il compito di realizzare, a Lecce, una struttura dedicata al costume dell'area mediterranea.
La Commissione ha elaborato un testo unificato delle numerose proposte di legge presentate al fine di istituire nuovi musei operanti nel campo della moda e del costume. Prendendo atto delle diverse opzioni territoriali da esse indicate, è apparso opportuno creare una struttura di coordinamento di livello nazionale, nel cui ambito inserire eventualmente interventi mirati, piuttosto che scegliere in modo arbitrario di premiare l'una o l'altra delle realtà considerate nelle singole proposte di legge.
Su questa scelta, come su quella di creare una apposita fondazione di diritto privato cui affidare la gestione del sistema museale, si è registrata in Commissione un'ampia convergenza tra i diversi gruppi, di opposizione e di maggioranza. Più difficile è stato, invece, trovare un punto di accordo unanime in relazione alle diverse strutture da includere necessariamente nella rete, sulla sede della fondazione e sulla ripartizione del finanziamento statale autorizzato dal provvedimento.
Su questo terreno, dopo un serrato confronto, sono state raccolte alcune delle principali richieste avanzate da diversi gruppi di opposizione: in primo luogo, quella di stabilire direttamente con legge la sede della fondazione a Firenze, e poi l'inclusione del Museo del tessuto di Prato e della Fondazione Micol Fontana di Roma, la «trasformazione» della Galleria del costume di Palazzo Pitti in Galleria nazionale della moda e del costume e l'attribuzione ad essa dei compiti di direzione scientifica del sistema museale. Non è stato invece possibile giungere a un accordo definitivo sulla ripartizione delle assai scarse risorse disponibili, e ciò ha tra l'altro impedito di procedere al trasferimento in sede legislativa del provvedimento.
La Commissione di merito ha inoltre introdotto nel testo la maggior parte delle modifiche richieste dalle Commissioni che si sono espresse in sede consultiva, con riferimento all'opportunità di precisare che l'ambito di attività del sistema museale si estende anche ai prodotti calzaturieri e agli accessori e di garantire la partecipazione del Ministero delle attività produttive alla fondazione.
Passando ad illustrare con maggiore dettaglio il contenuto del provvedimento, l'articolo 1 dispone l'istituzione del Sistema museale della moda e del costume italiani, che costituisce una rete di strutture espositive nei settori della moda e del costume, nonché dei prodotti tessili, delle calzature e degli accessori. Fanno parte del Sistema museale in via necessaria, come già ho accennato, la Galleria del costume di Palazzo Pitti di Firenze, che assume la denominazione di Galleria nazionale della moda e del costume, il Museo del tessuto di Prato, il nuovo Museo della moda italiana di Milano, il Museo nazionale della seta di Como e la Fondazione Micol Fontana di Roma. Il Sistema è tuttavia aperto all'adesione di altre strutture pubbliche e private, secondo modalità e a condizioni che saranno stabilite dallo statuto della fondazione.
L'articolo 1 precisa, altresì, che la Galleria di Palazzo Pitti e il Museo di Prato mantengono la propria attuale natura giuridica e le proprie risorse.
L'articolo 2 individua le finalità del Sistema museale, stabilendo che esso provveda a raccogliere, restaurare ed esporre materiale ed opere che si riferiscono alla storia della moda e del costume, a valorizzare la cultura del tessile, a promuovere l'interscambio con i musei stranieri operanti nel medesimo settore. Il Sistema museale deve inoltre promuovere iniziative e attività per favorire la conoscenza, anche all'estero, del patrimonio conservato, patrocinare eventi culturali volti a valorizzare le creazioni di giovani stilisti e istituire premi e borse di studio per la


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realizzazione di ricerche e studi in materia. Si stabilisce, inoltre, che debba essere promosso l'ampliamento della rete museale su tutto il territorio nazionale, garantendo la realizzazione di almeno una struttura in ciascuna regione, così da valorizzare gli apporti regionali e locali alla tradizione italiana nei campi in oggetto. A tal fine, si dispone che la fondazione assicuri il più ampio coinvolgimento delle strutture già esistenti, alcune delle quali vengono espressamente richiamate. Si prevede anche, come già accennato, la realizzazione a Lecce di un nuovo museo del costume dell'area mediterranea.
L'articolo 3 affida la gestione del Sistema museale ad una apposita fondazione, con sede a Firenze, istituita dal Ministero per i beni e le attività culturali, ai sensi del regolamento n. 491 del 2001.
Si prevede che alla fondazione partecipino il Ministero delle attività produttive, le regioni e gli enti locali in cui hanno sede le diverse strutture che fanno parte della rete, nonché l'Associazione del Museo della seta di Como e del Museo didattico della seta, e che vi possano aderire altri soggetti pubblici e privati.
Allo statuto della fondazione è demandata la definizione delle funzioni di indirizzo, raccordo e coordinamento delle attività delle diverse strutture espositive, assicurando loro comunque forme di autonomia, anche differenziata, nonché stabilendo le modalità con cui i nuovi soggetti possono entrare a far parte del Sistema museale, eventualmente anche senza partecipare alla fondazione, ed i criteri per la ripartizione delle risorse economiche disponibili.
Tali risorse saranno costituite principalmente dagli apporti e dai contributi che verranno riconosciuti alla fondazione da parte dei diversi soggetti pubblici e privati che parteciperanno all'iniziativa. Per quanto riguarda il contributo dello Stato, l'articolo 4 autorizza attualmente una spesa complessiva di circa 6 milioni 500 mila euro in un triennio, in parte destinata ad interventi di carattere strutturale e per il resto quale contributo alle spese di funzionamento nei primi due anni di funzionamento. Per gli anni successivi, provvederà la legge finanziaria.
Più specificamente, le risorse in conto capitale sono finalizzate alla realizzazione della sede del Museo della moda italiana di Milano per una quota non inferiore a 2 milioni di euro, considerato che esso è la principale struttura di nuova istituzione prevista dalla legge. La restante quota di tali risorse è ripartita tra la Galleria di Palazzo Pitti e il Museo della seta di Como, per consentire i necessari interventi di adeguamento strutturale.
Anche per quanto riguarda le risorse di parte corrente si prevede, limitatamente ai primi due anni, una riserva in favore delle strutture di Milano e di Como, oltre che del futuro museo del costume dell'area mediterranea di Lecce, fermo restando che una quota del contributo è assegnata al sistema museale nel suo complesso e sarà quindi ripartita tra tutte le altre strutture. In ogni caso - è bene ribadirlo - il contributo statale non rappresenta che una quota delle risorse che affluiranno alla nuova fondazione, cui sono chiamati a partecipare, come accennato, i diversi enti locali interessati ed altri soggetti pubblici e privati.
Occorre peraltro rilevare che le misure di carattere finanziario dovranno necessariamente essere rimodulate almeno dal punto di vista tecnico - e su questo ci stiamo attrezzando - considerato che il testo in esame è stato approvato in Commissione nel corso del passato esercizio finanziario.
Concludendo, mi auguro che nel passaggio in Assemblea possano essere superate le difficoltà che hanno impedito l'approvazione unanime del provvedimento in Commissione, in modo da assicurarne la tempestiva trasmissione al Senato e la più rapida trasformazione in legge.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

NICOLA BONO, Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento


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che viene oggi esaminato dall'Assemblea è il frutto di un attento lavoro, svolto nella competente Commissione, di unificazione e rielaborazione di più iniziative parlamentari volte a rafforzare il sistema della moda e del costume italiani che costituisce un prezioso patrimonio del nostro paese.
Il provvedimento, come ampiamente illustrato dal relatore, istituisce una rete di musei e strutture espositive destinate alla tutela e alla valorizzazione di detto patrimonio. Una fondazione appositamente costituita svolgerà funzioni di indirizzo, raccordo e coordinamento del nuovo sistema museale della moda e del costume italiani, realizzando una forma di collegamento stabile tra le molteplici strutture che entreranno a farne parte. Il provvedimento è finalizzato anche a rafforzare le strutture già esistenti e a realizzarne di nuove, così da assicurare il massimo coinvolgimento delle numerose realtà esistenti nel paese.
Il provvedimento oggi all'esame è pienamente condiviso dal Governo che, a questo punto, invita l'Assemblea a licenziare il testo unificato delle proposte di legge nel più breve tempo possibile, dando atto al relatore, onorevole Butti, dell'impegno profuso in questi mesi, anche di fronte a numerose difficoltà di ordine dialettico che in molti casi è riuscito a superare e a codificare nel testo che oggi è all'esame del Parlamento.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Licastro Scardino. Ne ha facoltà.

SIMONETTA LICASTRO SCARDINO. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, l'istituzione di una fondazione che questa proposta di legge si prefigge, avente per finalità la creazione di una rete di musei e strutture espositive destinate alla tutela e alla valorizzazione del nostro ingente patrimonio, è un investimento significativo, sia dal punto di vista socio-culturale sia per la promozione di un settore fondamentale per la produzione del nostro paese.
Il comparto moda, infatti, rappresenta un inestimabile patrimonio da promuovere e da tutelare. Esso costituisce un grande business per il numero di addetti che assorbe, direttamente o indirettamente, per l'enorme quantità di risorse finanziarie che movimenta e per il volume di esportazioni.
La moda, tuttavia, è anche cultura. Le creazioni dei grandi stilisti, ma anche quelle degli stilisti meno conosciuti, non prescindono mai dal richiamo alla terra d'origine, o da riferimenti ad un particolare periodo della nostra storia, alle lingue o alle vocazioni.
La moda è arte e, come tutte le forme d'arte, è comunicazione, poiché provvede sia a raccogliere, restaurare ed esporre materiale ed opere che si riferiscono alla storia della moda stessa e del costume, sia a valorizzare la cultura del tessile, delle tradizioni regionali e del patrimonio storico, culturale ed artistico della nazione, favorendone la conoscenza anche all'estero.
È soprattutto per tali finalità che abbiamo voluto fortemente entrare nella rete delle strutture museali. Anche Lecce, infatti, nella sua posizione privilegiata di terra che guarda alle culture orientali, avrà il suo museo della moda, dedicato al costume mediterraneo, promuovendo così nuovi fruitori dello spazio museale consapevoli e alla ricerca di informazioni antropologiche, oltreché visive, in un momento in cui si parla, sempre di più, di turismo responsabile.
La localizzazione al sud di luoghi così significativi darà ai musei uno spazio di crescita culturale e ci avvicinerà ad un modello europeo. I musei avranno il compito di raccontare l'intera storia tessile, non solo la più recente, ed il ruolo determinante di rappresentare una vera e propria scelta strategica, che premi le caratteristiche culturali e le potenzialità della moda.
Sarà loro cura raccogliere, conservare e catalogare tutti i reperti ed il patrimonio documentale, librario e fotografico, di interesse conoscitivo della storia della moda e del costume. Essi ne promuoveranno la conoscenza sia in Italia, sia nel mondo, sostenendo e sviluppando l'attività di formazione


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e di ricerca nei settori archeologico, storico e tecnologico, nonché le attività educative ed artistico-culturali, in linea con le finalità connesse alla loro istituzione, ed in particolare l'acquisto, lo scambio ed il prestito con altri musei del mondo e con i collezionisti ed i cultori della materia.
I musei considerati saranno luoghi attivi, pieni di eventi, mostre e incontri, punti di riferimento nazionali ed internazionali, luoghi per l'informazione, la formazione, concorsi di specializzazione (di concerto con le regioni) e luoghi di culto intorno ai quali far ruotare l'immagine della moda e del costume.
Si tratta di una strategia di organizzazione e programmazione, capace di unire interesse imprenditoriale e attenzione alla conservazione delle risorse e al loro valore sociale, indispensabile per assicurare anche un miglior rendimento dell'attività turistica. Ciò comporterà una serie di vantaggi, che il Mezzogiorno non può lasciarsi sfuggire per la vocazione culturale dell'area, per le sue radici storiche e per le realtà presenti per collocazione geografica, affinché tutto ciò funzioni in armonia e garantisca opportunità, riqualificazione e ricadute economico-culturali. Vorrei ricordare, in particolare, che il bacino del Mediterraneo rappresenta forse un caso assolutamente unico al mondo. Culla di civiltà fondamentale per almeno tre continenti, esso è un centro di incontro tra le diverse culture (cristiana, ebraica e islamica), che si arricchiscono, si rinnovano e propongono nuove chiavi di lettura per i beni del passato.
La sede pugliese, pertanto, diventa luogo naturale per accogliere la storia del costume mediterraneo. Si tratta, infatti, di un luogo simbolico di integrazione, confronto, diffusione, crescita e circolazione di opere e di idee coerenti con una politica di sviluppo e di riqualificazione del sistema, in grado di garantire opportunità di formazione ad alta specializzazione. Ciò produrrà ricadute economiche positive sul sistema turistico e sull'economia locale.
La diversificazione dell'offerta museale, i singoli ambienti naturali ed il patrimonio culturale rappresentano gli elementi fondanti su cui sviluppare una politica di tutela e di promozione turistico-patrimoniale nel suo complesso. Essi consentono di indicare un futuro che si ponga l'obiettivo di una società in grado di trovare nella memoria valori etici, sociali ed economici da coltivare per i nuovi percorsi che l'attendono.
L'istituzione del museo del costume dell'area mediterranea trova ulteriori ragioni nel riformato titolo V della Costituzione, che affida alle regioni e agli enti locali ruoli e prerogative per la valorizzazione del territorio. Prevedendo all'articolo 9, nell'ambito dei principi fondamentali, che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, la Costituzione fornisce una precisa indicazione riguardo allo strumento attuativo della tutela, della salvaguardia e della valorizzazione di un bene importante, quale il costume.
Appare utile, quindi, il richiamo sul decisivo ruolo che va affidato anche alle regioni, non solo per la regolamentazione dell'attività dei musei, ma anche per la diffusione delle conoscenze e per le nuove iniziative, grazie ad una naturale vocazione al confronto ed al dialogo con le storie e le tradizioni anche dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
Tutto ciò rende meritevole di approvazione il provvedimento al nostro esame.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Spini. Ne ha facoltà.

VALDO SPINI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, non v'è dubbio che la moda, il made in Italy, rappresenta un settore molto importante per l'economia e per la società italiane. Non è necessario spendere molte parole per dire che buona parte delle nostre esportazioni, e l'occupazione ad esse correlata, è legata proprio a tale settore.
Tuttavia, ricordato questo aspetto economico e sociale, ci occupiamo, oggi, di un settore specifico: l'organizzazione culturale, espositiva, della moda. Di per sé,


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questa non è un fatto commerciale, produttivo, ma crea quelle economie esterne, di ambiente, che indubbiamente concorrono a valorizzare lo stesso made in Italy. Del resto, non è casuale che la prima struttura in questo campo, la Galleria del costume di Palazzo Pitti di Firenze nasca in simbiosi con la Galleria di arte moderna di Palazzo Pitti. Se ci si reca all'estero, - a me è capitato di recente di recarmi al Louvre per ammirare l'esposizione su Jacqueline Kennedy - ci si accorge che, anche lì, la sezione di moda è collegata ad una grande struttura museale di grandissimo rilievo.
Potrei continuare con gli esempi, ma non voglio tediare il nostro uditorio. Nessuno più di noi condivide l'idea di una valorizzazione generale, nel nostro paese, della struttura museale nel campo della moda. Anzi, con il collega Carli ed altri deputati, abbiamo presentato la proposta di legge n. 3292, che ci sembrava particolarmente idonea allo scopo. Perché, allora, pur partendo da una condivisione dei fini, ci siamo trovati in dissenso, in Commissione, rispetto a questo testo unificato?
Prima di esporre le nostre ragioni, vorrei fosse chiaro che la protesta sta montando anche fuori del Parlamento. Già venerdì scorso, in occasione di una manifestazione culturale svoltasi a Firenze, il sovrintendente del polo museale, l'ex ministro della Repubblica Antonio Paolucci, ed i suoi collaboratori, hanno affermato che, se questa è la normativa, la Galleria Pitti di Firenze desidererebbe rimanerne fuori. In queste ore, poi, è stata diffusa una lettera nella quale il presidente della Camera nazionale della moda italiana, Mario Boselli (se non erro, di Milano), il presidente del Centro di Firenze per la moda, Alfredo Canessa, ed il presidente del Sistema moda Italia, Vittorio Giulini, chiedono al Governo, in termini molto educati, di rivedere la sua posizione di adesione acritica.
Nella citata lettera, le persone che ho appena nominato affermano di augurarsi che questo fondamentale intervento in un settore cruciale per la nostra moda, quello della promozione culturale della formazione collegata alla ricerca, venga assunto come compito specifico direttamente dal Governo e dal ministero competente. Rivolgendosi, in particolare, al ministro Urbani, al quale riconoscono una spiccatissima sensibilità istituzionale e culturale - tutti gliela riconosciamo -, gli chiedono di rendersi promotore di un disegno di legge che determini una sintesi dei punti di forza esistenti e delle opportunità possibili ed un fecondo incontro tra la cultura ed il patrimonio museale, da un lato, e la promozione economica, dall'altro.
Ho parlato di queste prese di posizione (ma potrei parlare anche di altre) per smentire, sebbene non ve ne sia bisogno, che si tratta, in qualche modo, di una contrapposizione politica: siamo di fronte al fatto che i tre massimi enti operanti nel campo della moda chiedono molto educatamente al Governo di cercare di approntare un disegno di legge più razionale e consistente. Peraltro, lo stesso relatore, onorevole Butti, pur difendendo il suo testo, l'ha fatto con toni che hanno manifestato anche un'apertura verso modificazioni ulteriori.
Qual è il problema? Sulla carta, si presenta una proposta di legge che parla di una fondazione a carattere nazionale e che assegna a questa un obiettivo molto ambizioso: la fondazione dovrebbe costituire l'elemento di coordinamento e di gestione del sistema. Sempre sulla carta, si aggiungono a tale fondazione altri dodici enti, individuati dall'articolo 1 come componenti del sistema: la Galleria del costume di Palazzo Pitti; il Museo del tessuto di Prato; il Museo della moda italiana, di nuova istituzione, con sede a Milano; il Museo nazionale della seta, con sede a Como, la Fondazione Micol Fontana di Roma. Peraltro, si mettono insieme istituzioni esistenti e non, pubbliche e private (benissimo, ma, in genere, occorrerebbe seguire un certo percorso).
Poi, però, l'articolo 2 del provvedimento nomina alcune strutture esistenti: il Museo del tessile e della tradizione industriale di Busto Arsizio, il Museo dell'artigianato tessile, della seta, del costume e della moda calabrese di Reggio Calabria, il


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Museo della seta e degli antichi telai di San Leucio di Caserta, il Museo del tessile e del costume di Spoleto, il Museo della moda e del costume di Palazzo Mocenigo di Venezia e il Museo di Palazzo Fortuny di Venezia. L'articolo 2 dispone che la fondazione provvede altresì alla realizzazione, nella città di Lecce, di un'apposita struttura museale dedicata al costume dell'area mediterranea (dovremmo capire cosa significhi ciò, perché, in qualche modo, siamo tutti mediterranei, a meno che non si pensi a particolari costumi o ambiti).
Perché, dunque, strutture esistenti di grande valore (il Museo Quintavalle di Parma, la Collezione del Castello Sforzesco di Milano, la Fondazione Emilio Pucci di Firenze, la Collezione Ludovisi Boncompagni di Roma, la struttura museale presente nel comune di Genova) vengono escluse da questo elenco dettagliato? Nel corso dell'esame delle singole proposte emendative, proporremo che sia il Governo stesso ad individuare le strutture, sulla base di una griglia oggettiva di strutture già esistenti o nuove (perché chiudere la strada a quelle nuove?), quindi attraverso una scala di priorità stabilita dal Governo. Infatti, non si capisce per quale motivo (per fare una vecchia battuta) le strutture sopra citate debbano essere figlie della lupa: per esempio, la Collezione Ludovisi Boncompagni di Roma è figlia della lupa visto che la sua sede è nella città di Roma!
Rispetto ad una situazione così ambiziosa e considerata la dotazione di carattere economico, certamente «costretta» a causa delle esigenze di bilancio, ci si accorge che tutte le strutture sono nominate, ma, in realtà solo tre vengono di fatto beneficiate.
Il finanziamento (che in ogni caso è da rivedere: mi sembra che anche il relatore, in tal senso, si sia dimostrato disponibile), nel testo attuale, vincola i due terzi dei fondi per l'istituzione del Sistema per il Museo della moda di Milano. So che, attualmente, in questa città sono presenti due strutture: il Museo Poldi Pezzoli e il Museo del Castello sforzesco; una struttura è nominata, l'altra non lo è (non so per quale motivo, ma forse in replica qualcuno lo spiegherà).
Ciò che non siamo mai riusciti a sapere, né dalla proponente originaria del provvedimento, l'onorevole Santanchè - che forse parteciperà successivamente al dibattito - né dall'onorevole Butti, relatore valorosissimo, né dal sottosegretario Bono (che, data la stima che nutro nei suoi confronti, speravo fosse più facondo ed «interventista»), è quale sia il nucleo da cui si parte, a fronte di questo stanziamento, che è il più cospicuo di tutti. Si intende cioè utilizzare tali fondi per qualcosa che già esiste o per un progetto concreto che si vuole sostenere? Dopo mesi di dibattito, non sappiamo ancora da dove intende partire. Di che cosa si tratterà? Di una serie di eventi? Non sarebbe questo lo spirito del Museo. Il Museo è un fatto culturale e scientifico; per gli eventi commerciali esistono altre leggi. Interpelleremo su questo l'onorevole Urso e altri esponenti della maggioranza.
Credo che il Parlamento abbia il diritto di sapere in quale direzione vadano i soldi dei cittadini. Chi può avere preclusioni verso Milano, città la cui importanza non ha certamente bisogno di essere illustrata? Vorremmo sapere se la struttura di cui si parla abbia un germe, un nucleo iniziale. Lo vorremmo sapere anche con riferimento a Lecce. Infatti, un conto è dichiarare che si creerà un Museo, altro conto è stabilire da dove si parte (sempre, comunque, con grande rispetto, perché se a Lecce sorgerà una struttura, ne saremo contenti).
Credo che, come costume nell'ambito dell'attività legislativa, a fronte di strutture che operano da vent'anni (richiamo l'esempio del Museo Pitti, che possiede 8000 pezzi, donazioni di Tirelli e di Renata Tebaldi), quando si annuncia un progetto nuovo, si dovrebbe chiarire se vi è l'intenzione di porre in atto una serie di iniziative, di partire da un determinato punto. Francamente, se questo provvedimento fosse semplicemente il mezzo per finanziare una serie di eventi il cui fine è per metà commerciale, non sarebbe questa


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la sede giusta. Vi sono altre leggi per la promozione commerciale ed industriale. Qui ci troviamo in un ambito culturale, abbiamo a che fare con manifestazioni, musei e strutture espositive di elevato carattere scientifico e culturale.
Chiedo di sapere, con riferimento a queste strutture di nuova istituzione, in particolare a quella più rilevante in termini di finanziamento (che è a Milano), da dove si intende partire. Si vuole partire dal Museo Poldi Pezzoli o dal Castello sforzesco? Potrebbe essere un'idea. Ma temo che le idee non ci siano, altrimenti non ci sarebbe nemmeno la lettera di Mario Boselli, che, appunto, è milanese.

ALESSIO BUTTI, Relatore. Comasco!

VALDO SPINI. Sì, è comasco, ma ho detto che è milanese perché opera a Milano.
Invece, se si valuta il funzionamento del sistema, si osserva che a Milano sarebbero destinati 200 mila euro più un milione e mezzo (1 milione e 700 mila euro), a Como 120 mila euro più 600 mila (720 mila euro), a Lecce sarebbero destinati 116 mila euro più 350 mila (466 mila euro), mentre cifre addirittura inferiori (100 mila per il 2004 e 534 mila per il 2005) dovrebbero essere utilizzati per nuove strutture in Italia, compresa la fondazione che dovrebbe essere costituita e che dovrebbe avere una valenza nazionale. I miei studi in economia e commercio - ahimè! - sono lontani (per un po' ho fatto anche il docente, ma poi mi sono «traviato» qui in Parlamento e mi sono dovuto collocare in aspettativa), però di cifre un po' me ne intendo e ritentgo che, a fronte di un disegno così ambizioso e per di più selettivo, non si può decidere di privilegiare tre istituzioni, di cui due da istituire ex novo (Milano e Lecce), senza poi spiegare bene qual è il percorso che si intende seguire.
Allora, con spirito costruttivo, noi abbiamo predisposto vari emendamenti alcuni dei quali delegano, nonostante siamo all'opposizione, alcune di queste scelte al Governo, perché forse è difficile compiere certe scelte in un'Assemblea in cui ogni parlamentare, legittimamente, cerca di portare avanti gli interessi della propria città.
Onorevoli colleghi, io sono un grande regionalista, ma l'idea di prevedere che comunque andrà istituito un Museo della moda in ogni regione non mi sembra molto felice, perché bisognerebbe prevedere delle priorità nel momento in cui si scelgono i luoghi nei quali istituire musei. Non so se veramente ogni capoluogo di regione italiano sia pronto per la costruzione di un Museo della moda, mentre può darsi che esistano città non capoluogo che lo siano. Sotto questo profilo, sembra una legge eccessivamente ingessata.
Mi domando se ci si possa incontrare su alcuni punti, nonostante siano indicati dall'opposizione. Mi riferisco, per esempio, alla lista delle istituzioni chiamate a concorrere alla scelta, attraverso un vaglio sul territorio delle sovrintendenze, dei vostri funzionari, attraverso una valutazione del numero delle strutture presenti, della loro qualità, dei visitatori, del collegamento che tali strutture hanno. L'onorevole Butti ha giustamente parlato di connubio di moda e di arte. Infatti, alcuni di questi musei - l'ho dimostrato - sono felicemente collegati a grandi strutture artistiche. I vostri funzionari ci possono dire anche se le strutture che stanno per nascere hanno un'economia esterna di collegamento con strutture artistiche o se, invece, ne sono prive. Occorre quindi una riflessione più seria. Forse sarebbe stato anche positivo svolgere sul tema delle audizioni in Commissione. Credo che non sia impossibile riuscire ad approvare un testo che sia coerente e difendibile dappertutto, in qualsiasi città, e che non sia semplicemente un'aggiunta rispetto a questo o a quel progetto di legge. In questo caso credo che si debba usare la dizione «nazionale»; io non vengo qui a difendere una città, perché è stato il Ministero dei beni culturali, nel 1983, che ha deciso di istituire la Galleria del costume a Firenze (non è mica colpa mia!). Se vi diverte, il ministro dell'epoca era l'onorevole Vernola, che, nonostante fosse, se non erro,


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pugliese (quindi, non credo potesse essere sospettato di campanilismo filo-fiorentino), vedendo Pitti e vedendo le donazioni possibili, ci mise accanto, giustamente, la Galleria del costume. È con questo spirito nazionale che dobbiamo confrontarci.
Abbiamo depositato alle ore 14, come da regolamento, i nostri emendamenti; tuttavia ritengo necessario che il provvedimento ritorni all'esame della competente Commissione. Potrebbe il Governo essere un po' più loquace? Mi consenta, onorevole Bono: il Governo potrebbe assumersi qualche responsabilità di valutazione di tipo scientifico e culturale, attraverso la sua burocrazia (nel senso alto del termine)? La burocrazia del Ministero dei beni culturali è di tutto rispetto e conosce queste materie. Si può presentare all'Assemblea un disegno di legge che effettivamente risponda a criteri di organicità, di razionalità, in modo da essere largamente, se non unanimemente, condiviso?
Se questo non avverrà, ci confronteremo sugli emendamenti, nel corso dell'esame da parte dell'Assemblea. Noi ci batteremo fortemente affinché i nostri emendamenti siano approvati, perché li riteniamo del tutto razionali e obiettivi. Per esempio, abbiamo previsto che i fondi per il funzionamento si ricevano in base agli apporti che ciascuno dà; questo vuol dire che ogni società interessata, regionale e locale, si darà da fare per essere premiata dallo Stato. Se invece si tratta di usare i soldi dello Stato per inventare dal nulla un sistema concorrenziale rispetto a strutture esistenti che già operano in modo valido, non si profila un modo corretto di spendere i soldi dello Stato, per qualsiasi cittadino, per qualsiasi posto posto.
Proprio perché avverto una particolare sensibilità rispetto a questo argomento, rivolgo un invito a svolgere un ulteriore approfondimento del provvedimento in Commissione, al fine di definire un testo sul quale possa registrarsi un'ampia convergenza (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bimbi. Ne ha facoltà.

FRANCA BIMBI. Signor Presidente, va riconosciuto, in particolare al relatore onorevole Butti, di aver lavorato moltissimo alla trama di questo testo unificato; però, come ha già fatto notare l'onorevole Spini, forse manca qualcosa nell'ordito. Siccome stiamo parlando di musei e, in qualche modo, di immagini e anche della perfezione sul terreno della moda, del costume e del tessile, è giusto svolgere una riflessione complessiva.
Tornando alla trama, mi sembra che sia stato scelto un percorso condivisibile in due o tre punti di fondo, mentre lo è in misura minore per alcuni aspetti, quali le scelte operative o qualche elemento di casualità.
La scelta di fondo è stata quella di costruire un museo a rete. Ci sembra una scelta importante perché, in questo settore come in altri, l'Italia è disseminata di tante grandi e piccole capitali e difficilmente - se dovessimo effettuare una ricognizione storico-culturale degli apporti del costume, della moda, del tessuto e di tutto ciò che vi sta intorno - potremmo soffermarci solo su alcuni dei centri indicati o solo sulle grandi capitali. Ciò proprio perché questa è la storia italiana.
Alcune città sono state disegnate dalla storia del tessile e della moda; altre sul tessile e sulla moda hanno costruito nel tempo la loro fortuna economica. Se pensiamo a Firenze, il fatto di essere una capitale culturale dell'umanesimo e del Rinascimento (probabilmente la più rilevante) è legato non poco alla capacità di produrre drappi, di creare moda, di segnare il costume, di costruire su questi settori, sui manufatti, anche un aspetto della fortuna economica e della storia complessiva della città.
Quindi, l'idea della struttura a rete della fondazione è uno dei primi importanti risultati del lavoro in Commissione, volto non tanto e non solo a superare i campanilismi, ma anche a considerare il museo come un sistema vivente. Tutto ciò anche al fine di metterci nella prospettiva


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di superare, anche in questo settore, l'idea dell'utilizzo del museo esclusivamente da parte di studiosi e di superspecialisti nonché l'idea del museo come qualcosa che guarda al passato.
Credo che la seconda scelta importante sia stata quella di identificare, come punto di partenza, cinque strutture (o aree): tre relative a grandi capitali del passato e del presente in questo settore (mi riferisco a Firenze, Milano e Roma) e due che hanno un significato simbolico dal punto di vista storico (Prato e Como); quindi, la preziosità della seta, l'intelligenza e l'inventiva di quello che oggi è un distretto, ma che risente di qualche difficoltà, come lo stesso distretto di Como e, come in generale, tutti i distretti industriali tessili del nostro paese. Alle spalle tuttavia non vi è solo una storia di artigianalità, ma anche un presente ed un futuro di managerialità.
Vi è poi il fatto di essere collegati ad una formazione professionale di altissimo livello in tali settori. Questi due segnali ci sembrano molto importanti. Allo stesso modo, possiamo dirci soddisfatti, anche se non del tutto, del ridisegno moderno, nell'articolo 2, delle finalità di un Sistema museale legato anche alla ricerca e, quindi, allo sviluppo del settore in questione.
Credo sia significativo il fatto di avere disegnato una rete, indicando in tal modo degli «apripista», anche se sottolineo le perplessità dell'onorevole Spini in ordine al fatto di aver considerato un «apripista» Milano, un territorio assai denso di storia della moda, ma che è piuttosto una storia recente e non lungamente sperimentata, come quella, ad esempio, del museo Poldi Pezzoli, che è un'altra validissima istituzione presente nel territorio.
Si tratta quindi di una scelta che appare in parte artefatta ed in parte poco giustificabile, che avrebbe probabilmente meritato un approfondimento, soprattutto nell'ambito delle audizioni, che è invece mancato.
Constato positivamente che sono stati indicati alcuni primi possibili aderenti alla rete, nel senso degli aderenti che sino ad ora hanno espresso la propria volontà in tal senso, come il Museo della moda e del costume di Palazzo Mocenigo di Venezia, un'istituzione storica di tutto rispetto ed il Museo di Palazzo Fortuny, che è stato in passato, ma anche di recente, sede di piccole, ma preziosissime esposizioni e che fa parte di questa rete di piccole, grandi capitali, nei loro settori di specializzazione.
È vero: l'idea di pensare ad un museo della moda in ogni capoluogo di regione è un aspetto non positivo della proposta al nostro esame, perché si deve partire da ciò che esiste ed è sedimentato, non da quello che potrebbe essere improvvisato, sol perché si è offerto un tipo di situazione. Il museo «a rete» ha infatti proprio la caratteristica di voler essere vivente e quindi di sollecitare anche semplicemente il turista distratto a recarsi non dove ci potrebbe essere qualcosa, ma dove qualcosa ha le sue radici e si è sedimentato, anche attraverso l'utilizzo didattico del museo stesso. Ciò non può essere, se utilizziamo un criterio assolutamente e prioritariamente burocratico.
Siamo alquanto insoddisfatti per quanto riguarda la destinazione dei fondi.
Ci pare, cioè - al di là delle considerazioni già svolte -, che ciò contraddica l'idea di rete. La fondazione dovrebbe avere gli strumenti economici per far sì non solo che la rete si avvii, ma viva e si consolidi. Invece, ha solo briciole rispetto alla sede di Milano; e non voglio entrare nel merito rispetto alla sede di Lecce. Si tratta di una scelta che contraddice - forse è questo il punto più debole del provvedimento - la costruzione di rete a cui abbiamo lavorato negli ultimi mesi.
Con gli emendamenti da noi presentati cercheremo di definire meglio il ruolo delle cinque istituzioni fondatrici e di esprimere le nostre perplessità in merito al fatto che al riconoscimento simbolico della fondazione non corrisponde un riconoscimento economico sostanziale. Un sistema di museo a rete non può nascere se la fondazione che ha, come compito primario, quello di promuoverlo non è dotata delle risorse per renderlo un sistema produttivo e selettivo. L'onorevole


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Spini suggeriva una selezione in base alle capacità di attrarre fondi. Personalmente, ritengo che tale selezione dovrebbe essere effettuata anche in base alla capacità di progettazione di tutto il lavoro di rete.
Bisogna, quindi, dare a Firenze ed alla sede della fondazione strumenti effettivi perché tale rete non sia semplicemente un passaggio di carte o di riconoscimenti simbolici, ma svolga effettivamente la funzione di nuova istituzione museale nel nostro paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Carli. Ne ha facoltà.

CARLO CARLI. Signor Presidente, signor sottosegretario Bono, onorevoli colleghi, siamo di fronte ad un tema di rilevante interesse per il nostro paese: l'istituzione di un Sistema museale della moda, che mira a sottolineare il valore di quest'ultima come peculiare elemento di distinzione per l'Italia, considerata l'eccellenza della produzione, la qualità dei prodotti di abbigliamento, la storia e l'arte del nostro paese.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO MUSSI (ore 17,57)

CARLO CARLI. Vorrei sottolineare che rispetto all'importanza della materia la proposta di legge a prima firma della collega Garnero Santanchè, non appare adeguata. Il testo oggi in discussione è stato profondamente modificato dalla Commissione rispetto a quello originario, che non coglieva la complessità del sistema made in Italy e dell'aspetto culturale e storico del fenomeno, ma si limitava a cogliere solo quello economico e commerciale.
Nelle pochissime righe che accompagnavano la proposta di legge dell'onorevole Santanchè ci si limitava ad osservare come la moda sia un'eccellenza della nostra nazione e si individuava la capitale della moda nella città di Milano, che veniva deputata a sede del Museo della moda italiana. Si perdeva, cioè, l'aspetto irrinunciabile che caratterizza l'istituzione di un museo nazionale: quello di testimonianza di una cultura, di un modo di essere, dell'identità del nostro paese. I prodotti del settore della moda non sono, infatti, importanti solo per il ruolo e per l'immagine positiva che danno dell'Italia, ma soprattutto sono espressione della nostra cultura e di una tradizione che non ho difficoltà a definire secolare.
Individuare in Milano, centro certamente importante, la capitale della moda era semplicistico rispetto ad un sistema della moda diffuso su tutto il territorio nazionale. Basti pensare a Firenze, nelle cui vicinanze gravitano alcuni dei marchi più famosi (cito, ad esempio, Gucci e Prada), che è anche sede di una delle più importanti rassegne, quella denominata Pitti moda, che si svolge annualmente presso la Fortezza Dabbasso.
La proposta di legge dell'onorevole Santanchè non coglieva appieno il significato che oggi si dà al concetto di valorizzazione, che parte innanzitutto dalla promozione di quanto è già esistente e dunque, nel campo della moda, da luoghi fondamentali per la storia della moda, come la Galleria del costume di Palazzo Pitti, il Museo del tessuto di Prato, la Fondazione Micol Fontana di Roma, il Museo della seta di Como e tante altre realtà diffuse sul territorio nazionale: ciò che ha fatto parlare di un made in Italy, che nel mondo ha diffuso il nome del nostro paese, associando a questo marchio di provenienza la parole eccellenza, fantasia e qualità. Si tratta di un successo che risale agli ultimi decenni, ma che ha radici lontane, non solo nelle prime sfilate di moda che si tennero nel nostro paese nell'immediato dopoguerra dello scorso secolo, ma nel gusto e nella qualità dei prodotti dei secoli ancora precedenti, quando i nostri prodotti di sartoria erano famosi in Europa e nel mondo, anch'essi associati alla qualità e all'eccellenza, come lo sono i prodotti di oggi, in quanto parte della nostra identità e di una produzione di eccellenza, frutto


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della creatività dei nostri stilisti e della maestria dei nostri artigiani, nonché della vitalità delle nostre imprese.
Dunque, l'istituzione di un sistema museale della moda dovrebbe riconoscere questa storia recente e passata ed un presente vivo e dinamico, perché il made in Italy è oggi un modo di vivere la moda, ma è soprattutto una delle industrie più importanti del nostro paese, che esalta la qualità della piccola e media industria, che lavora al servizio dei grandi e piccoli marchi, noti ovunque e che ovunque fanno tendenza: cito, per esempio, Armani, Valentino, Gucci, Prada, Ferragamo, Versace, Missoni, Furla, Dolce e Gabbana, Fendi, eccetera. Questi non sono che la punta di un iceberg di un sistema complesso di produzioni, che non riguardano solo indumenti e scarpe, ma che hanno esteso il proprio marchio alla produzione oggettistica, come borselli, borse, portafogli, ed anche all'oggettistica da casa o da arredamento, che ha esaltato il talento di tanti operatori del design, i quali hanno trovato in Italia terreno fertile per crescere.
Poiché la moda attiene strettamente alla cultura del nostro paese, al gusto degli operatori del settore e alla qualità della lavorazione artigianale dei pezzi che vengono prodotti, si pone il problema di come conservare, valorizzare e fruire di questo patrimonio culturale, che si riferisce alla storia della moda e del costume, al fine soprattutto di trasmettere ai giovani la cultura della moda e di favorire l'avvicinamento dei giovani stilisti ad un settore che vede il nostro paese primeggiare nel mondo. D'altronde, il sistema moda comprende l'insieme dei settori che producono beni per vestire le persone, laddove, oltre al tessile (quindi all'abbigliamento), sono coinvolte altre tipologie di imprese legate alla produzione di accessori, come quelle conciarie (pelletterie e calzature), quelle produttrici di occhiali, gioielli, cosmetici.
Si tratta di un sistema che rappresenta oltre il 6 per cento dell'intero PIL e ben il 18 per cento delle esportazioni. Nel 2002, il settore ha registrato una flessione dell'export, in particolar modo per quanto riguarda la filiera tessile, dell'abbigliamento. Tuttavia, il settore, con un incremento delle esportazioni pari a circa il 22 per cento nel biennio 2000-2001, si conferma come il più export oriented dell'intero panorama manifatturiero italiano. Oggi, come tutta la produzione del paese, la moda, nel suo insieme, sta conoscendo un periodo di difficoltà, ma il made in Italy continua a riscuotere successo e consensi.
Anche se Milano è da alcuni anni una vetrina importante per il made in Italy, è opinione diffusa che la moda italiana sia nata a Firenze. Il 12 febbraio 1951 fu organizzata dal marchese Giovanni Battista Giorgini la prima sfilata di moda italiana. Non fu un successo da poco, se si pensa che negli anni prima della guerra non esisteva, di fatto, un'industria della moda italiana, tanto che il Duce, in un discorso tenuto a Milano nel 1930, aveva chiesto di produrre moda autarchica. I sarti italiani non ne avevano però alcuna intenzione e preferivano andare a Parigi a comperare i cartamodelli, limitandosi ad imitare quel che facevano i sarti francesi. Alla fine degli anni quaranta non esisteva una vera industria dell'abbigliamento italiano, perché la quasi totalità degli abiti (il 90 per cento nel 1946 e l'83 per cento nel 1955) erano prodotti su misura nelle sartorie artigiane.
La sfilata del 12 febbraio 1951 inaugurò una tendenza e si svolse nella casa Giorgini in Villa Torrigiani a Firenze. Aveva coinvolto le sorelle Fontana, Jole Veneziani, Simonetta, Germana Marucelli, Emilio Pucci, Carosa, Schubert, Fabiani e altri. Giorgini non era uno sprovveduto, perché si era accorto delle potenzialità delle nostre sartorie.
Le sorelle Fontana avevano realizzato nel 1949 il vestito da sposa per Linda Christian, per il suo matrimonio con Tyrone Power, mentre le creazioni di Emilio Pucci erano state presentate in un lungo servizio su Harper's Bazaar. Giorgini aveva lavorato per lungo tempo negli Stati Uniti e, grazie alle sue conoscenze, riuscì a convincere molti compratori americani


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e, persino, qualche giornalista della stampa internazionale: fu un successo che ha segnato l'inizio del made in Italy.
I compratori americani si resero conto della fantasia, della creatività, della raffinatezza dei materiali e della semplicità di taglio dei nostri creatori. Inoltre, dettaglio non trascurabile, i nostri prezzi erano convenienti: abiti, accessori, pellami costavano la metà rispetto alla Francia. Successivamente, vista l'affluenza di pubblico, i défilé si svolsero nella sala bianca di Palazzo Pitti, una sede prestigiosa che ospitò la moda fino al 1982.
Fu un evento memorabile, riconosciuto dalla stampa internazionale che, appositamente e con insistenza, Giorgini stesso aveva cercato di coinvolgere (erano presenti anche compratori americani). È necessario, infatti, ricordare che, negli anni cinquanta, l'Italia si stava appena riprendendo dalla guerra. Giorgini fu il primo a capire l'importanza delle potenzialità della moda italiana e così ne diventò promotore e talent scout (fu lui a permettere che la moda italiana venisse conosciuta in tutto il mondo).
Il luogo deputato alla moda è, da sempre, la Sala bianca di Palazzo Pitti; in questa sede, dal 1952 fino al 1982, due volte l'anno si sono svolte importanti sfilate e, grazie all'enorme successo delle prime sfilate nel 1954, nacque il centro di Firenze per la moda italiana. Da questi primi successi, la rete degli spazi per la moda si moltiplicò e si aggiunse anche Palazzo Strozzi.
Un'altra idea originale di Giorgini, che si è poi mantenuta nel tempo, fu quella di inserire le sfilate in luoghi di particolare suggestione, in modo da suggerire l'idea di continuità tra il patrimonio artistico e la moda, figlia dello stesso genio e della stessa tradizione storica e culturale. Dal 1951 in poi la moda si affermò sempre di più, arricchendosi di nuove proposte per la pelletteria, la pellicceria, la moda infantile, fino ad arrivare al 1972, anno in cui vi fu la prima collezione di Pitti Uomo. Proprio nella Sala bianca molti dei grandissimi nomi della nostra moda ebbero la possibilità di affermarsi, tra cui Missoni, Armani, Valentino, Krizia e tantissimi altri.
A Firenze si trova la Galleria del costume di Palazzo Pitti, nata nel 1983. Le modalità con cui sono state allestite le mostre hanno rappresentato un modello per il metodo di ricerca instaurato, che aggrega attorno all'abito ed ai suoi elementi complementari una ricca documentazione che ne ricostruisce la provenienza, la storia individuale, il significato sociale riferito all'ambiente e all'epoca, ne rintraccia gli autori (sia ideatori, sia esecutori), la loro fonte di ispirazione ed i loro collegamenti commerciali. Tale Galleria, nata come estensione del museo degli agenti, in seguito fu accorpata alla Galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti. Oggi, con i suoi oltre 7 mila pezzi, che testimoniano la storia del costume della moda del XVIII secolo, tra i quali alcune rarità (come gli abiti del XVI secolo che appartennero a Cosimo I dei Medici, a Eleonora di Toledo ed a Don Garçia), la Galleria ha raggiunto un valore inestimabile ed è visitata ogni anno da oltre 50 mila persone provenienti da tutto il mondo.
Firenze, tuttavia, non vive solo del suo illustre passato, perché Pitti Moda continua a rappresentare per ogni stagione un luogo di riferimento e di esposizione importante per la moda italiana, come lo è la stagione di sfilate a Roma. Quindi, parlare della moda senza neppure citare questa realtà, come fa la proposta dell'onorevole Santanchè, dimostra un approccio semplicistico e tutt'altro che finalizzato ad un'operazione di carattere culturale. È soprattutto un modo superato di concepire la tutela e la valorizzazione della cultura, che, oggi, punta molto su una rete di realtà esistenti sul territorio al fine di dare una risposta complessiva ad un sistema museale e tematico, come quello della moda che, senza l'introduzione di novità, non sarebbe stato in grado di dare un'immagine di insieme del fenomeno in Italia.


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Il gruppo dei Democratici di sinistra (vorrei sottolineare il grande ed intelligente impegno del collega Valdo Spini che ha contribuito, anche con la sua proposta di legge, ad alimentare il dibattito ed a focalizzare l'attenzione su questo tema) sta conducendo questa battaglia che non è campanilistica, ma culturale; infatti, il ruolo di Milano, per quanto riguarda le sfilate, non si spiegherebbe senza considerare la tradizione nazionale alle spalle di quel fenomeno.
Esistono centri, sparsi in tutta Italia, che raccolgono testimonianze sul costume e sulla moda, centri pubblici e privati. Altre realtà museali sono diffuse in tutto il paese, come ad esempio il Museo del tessuto di Prato, scaturito da una realtà cittadina che dal Medioevo mantiene viva e coltiva la sua vocazione tessile, finora l'unico in Italia dedicato interamente all'arte e alla tecnologia tessile. Tale Museo, infatti, conserva un patrimonio tessile di estremo interesse per qualità e varietà delle collezioni; nato nel 1975, a seguito di un'importante donazione (oltre 600 pezzi) del collezionista Loriano Bertini, le sue collezioni si sono ampliate grazie ad apporti pubblici e privati, fino a raggiungere un insieme di oltre 6 mila campioni di tessuti provenienti da tutto il mondo e databili dal V secolo d.C. ad oggi.
Il nuovo Museo di Prato occupa gli ambienti restaurati dell'ex cimatoria Campolmi, gioiello di archeologia industriale del XIX secolo, situato all'interno della cerchia muraria medioevale della città. Il percorso museale comprende le collezioni di tessuti antichi presenti nelle loro varie tecniche di esecuzione, allo stato frammentario o confezionati per uso laico, religioso e per arredamento. Oltre ai reperti tessili, il Museo di Prato conserva macchinari e strumenti di preparazione alla tessitura.
Altra realtà museale è il Museo della seta di Como, aperto nel 1990 e voluto quale giusta testimonianza della storia della seta a Como, segnale tangibile di una continuità tra passato e presente in un'industria che mantiene il primato nel mondo intero.
Pensiamo ancora al ruolo fondamentale di Roma, luogo di sfilate, ma dove è ubicata anche la Fondazione Micol Fontana, un'associazione non profit istituita nel 1994. Tale Fondazione si occupa di promuovere ciò che riguarda la moda e la formazione di nuovi talenti in questo campo; in essa si trova un archivio storico, costituito da alcuni abiti creati dalle sorelle Fontana nel periodo compreso tra il 1950 e il 1990. Si tratta di circa 100 capi selezionati tra i più significativi della storia dell'atelier che, soprattutto a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, hanno vestito alcune donne che si collocano tra le icone del fascino e dell'eleganza, nonché di altri abiti storici e bozzetti creati dalle sorelle Fontana.
Occorre sottolineare che non bisogna istituire un salone espositivo commerciale - come si prefigurava nella proposta di legge originaria - che, comunque, avrebbe richiesto un altro percorso politico parlamentare, ma un sistema museale della moda e del costume che non abbia il compito di vendere, ma di tutelare, raccogliere, valorizzare e promuovere la conoscenza, in Italia e all'estero, del patrimonio conservato, aiutando in tal modo anche l'intero sistema della moda.
Il lavoro dell'opposizione e, in particolare, del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo - che si è particolarmente battuto in Commissione - ha contribuito a corregge l'impostazione di fondo della proposta di legge iniziale, che disconosceva un patrimonio esistente di grande interesse culturale.

PRESIDENTE. Onorevole Carli, la invito concludere.

CARLO CARLI. Mi avvio a concludere, Presidente.
Tuttavia, si poteva fare di più e di meglio; infatti, alcune realtà importanti restano ancora escluse dall'articolato della proposta in esame, come ad esempio Genova.


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Comunque, si è superata l'idea del museo come luogo unico, chiuso ed esclusivo concentrato a Milano, ma vi poteva essere una maggiore attenzione verso tutti i luoghi della moda esistenti Italia. Invece, a causa di una mal consigliata fretta, si è agito anche nelle modifiche con improvvisazione e senza quella attenta valutazione dei fatti e di tutti gli elementi che potevano contribuire ad una conoscenza e ad un pieno coinvolgimento di tutti i soggetti pubblici e privati già attivi nel settore.
Le lacune e gli errori non si fermano qui. Il ruolo delle regioni e degli enti locali è ancora debole, la destinazione delle risorse finanziarie è sbagliata; in particolare, si sono privilegiate alcune sedi, in particolare Milano, ignorando il grande patrimonio di altre realtà che si inseriscono nel sistema museale.
Inoltre, le risorse sono scarse, in quanto non tengono conto delle notevoli modifiche introdotte. Dunque, appaiono fondamentali e necessari nuovi ed equi criteri di ripartizione. In particolare, le risorse e i contributi dovrebbero essere ripartiti in ragione del patrimonio che ogni struttura del sistema museale apporta. La sede di Milano catalizza molti dei finanziamenti previsti, a scapito di altre sedi che compongono il sistema e a farne le spese sarà inevitabilmente la possibilità di creare un sistema museale davvero rispondente alla realtà italiana.
Come Democratici di sinistra-l'Ulivo, abbiamo presentato alcune proposte emendative al testo unificato approvato dalla Commissione, al fine di correggere diverse parti del testo che riteniamo fondamentali. Dunque, il nostro voto dipenderà anche dall'attenzione e dall'eventuale accoglimento dei nostri emendamenti da parte della maggioranza e del Governo (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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