Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 415 del 29/1/2004
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Discussione del progetto di legge: Mazzuca; Giulietti; Giulietti; Foti; Caparini; Butti ed altri; Pistone ed altri; Cento; Bolognesi ed altri; Caparini ed altri; Collè ed altri; Santori; Lusetti ed altri; d'iniziativa del Governo; Carra ed altri; Maccanico; Soda e Grignaffini; Pezzella ed altri; Rizzo ed altri; Grignaffini ed altri; Burani Procaccini; Fassino ed altri: Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI-Radiotelevisione italiana Spa, nonché delega al Governo per l'emanazione del testo unico della radiotelevisione (Rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica) (310-434-436-1343-1372-2486-2913-2919-2965-3035-3043-3098-3106-3184-3274-3286-3303-3447-3454-3567-3588-3689-D) (ore 9,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del progetto di legge, rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica, d'iniziativa dei deputati Mazzuca; Giulietti; Giulietti; Foti; Caparini; Butti ed altri; Pistone ed altri; Cento; Bolognesi ed altri; Caparini ed altri; Collè ed altri; Santori; Lusetti ed altri; d'iniziativa del Governo; d'iniziativa dei deputati Carra ed altri; Maccanico; Soda e Grignaffini; Pezzella ed altri; Rizzo ed altri; Grignaffini ed altri; Burani Procaccini; Fassino ed altri: Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI-Radiotelevisione italiana Spa, nonché delega al Governo per l'emanazione del testo unico della radiotelevisione.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 310 ed abb.-D)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto inoltre che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto altresì che le Commissioni VII (Cultura) e IX (Trasporti) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
La relatrice per la maggioranza per la VII Commissione, onorevole Bianchi Clerici, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIOVANNA BIANCHI CLERICI, Relatore per la maggioranza (VII Commissione). Signor Presidente, colleghi, l'Assemblea è oggi chiamata ad affrontare la discussione della legge di riassetto del sistema radiotelevisivo, già approvata dal Parlamento nel corso del 2003, ma rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica, con messaggio ai sensi dell'articolo 74 della Costituzione, lo scorso 15 dicembre.
Com'è noto, l'attenzione del Capo dello Stato si è focalizzata attorno a tre questioni: in primo luogo, la cessazione del


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regime transitorio delle concessioni analogiche ed, in particolare, i tempi e gli strumenti di intervento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; in secondo luogo, il tema della distribuzione delle risorse, riferita alla composizione del sistema integrato delle comunicazioni allo scopo di evitare la formazione di posizioni dominanti; da ultimo, la necessità di espungere dal testo ogni norma che faccia riferimento al decreto legislativo n. 198 del 2002, dichiarato incostituzionale dalla Corte, con sentenza n. 202 del 2003.
Si tratta, in sostanza, di questioni contenute in alcuni degli articoli del progetto di legge: nell'articolo 2, comma 1, lettera g); nell'articolo 15, commi da 1 a 6, per quanto riguarda la definizione del sistema integrato, le sue dimensioni e la relativa disciplina antitrust; nell'articolo 25, che detta norme riguardanti la conversione dal sistema analogico a quello del digitale terrestre.
I richiami al decreto legislativo n. 198 del 2002 sono, invece, contenuti negli articoli 5, 23, 24 e nel medesimo articolo 25.
Come i colleghi ricordano, la scorsa settimana l'Assemblea ha deliberato, su proposta delle competenti Commissioni, di intervenire solo sugli articoli oggetto delle considerazioni del messaggio presidenziale. Le Commissioni hanno successivamente proceduto alla votazione degli emendamenti correttivi presentati dai relatori e di quelli presentati dai gruppi parlamentari. Le modifiche apportate, pertanto, riguardano: la definizione e la dimensione del sistema integrato delle comunicazioni che ora comprende la stampa, quotidiana e periodica, l'editoria annuaristica ed elettronica anche per il tramite di Internet, la radio, la televisione, il cinema, la pubblicità esterna, le iniziative di comunicazione di prodotti e servizi, le sponsorizzazioni. Sono, quindi, state espunte voci consistenti come l'editoria libraria, le imprese fonografiche e le voci pubblicitarie che avrebbero potuto essere sospettabili di duplicazione nei calcoli sui ricavi.
La disciplina antitrust, prevista all'articolo 15, è stata modificata nel senso di meglio precisare le voci sulla base delle quali si deve calcolare il tetto, non superabile, del 20 per cento dei ricavi complessivi del sistema, fermo restando sempre il divieto di costituzione di posizioni dominanti nei singoli mercati. È stata, altresì, potenziata la norma asimmetrica a favore dell'editoria cartacea, fissando al 2010, invece che al 2008, il termine prima del quale è fatto divieto ai soggetti che esercitano l'attività televisiva attraverso più di una rete nazionale di acquisire o di partecipare alle imprese editrici di giornali quotidiani.
Per quanto riguarda la questione dell'accelerazione e agevolazione della conversione alla trasmissione in tecnica digitale (articolo 25), le Commissioni hanno stabilito che l'accertamento della complessiva offerta dei programmi in digitale terrestre, a cura dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, debba essere effettuata entro il 30 aprile 2004, con ciò allineandosi a quanto previsto dal decreto-legge n. 352 del 2003, ma con la riserva di ulteriori modifiche da apportare durante l'esame in Assemblea alla luce delle modifiche che il Senato ha apportato al decreto-legge varato ieri in prima lettura.
Sono stati anche approvati ulteriori emendamenti riguardanti, rispettivamente, le previsioni di sanzioni, una deroga in favore dell'emittenza radiotelevisiva locale e una disposizione relativa al pluralismo territoriale nell'ideazione e realizzazione dei programmi della società concessionaria del servizio pubblico. Da ultimo, sono stati votati gli emendamenti relativi al decreto legislativo n. 198 del 2002 nonché alcune modifiche alle scadenze temporali previste dalla legge e superate dalla mancata entrata in vigore della legge stessa.
Desidero altresì svolgere alcune brevi considerazioni. La prima riguarda la prontezza e la completezza di raccolta delle informazioni con le quali questo ramo del Parlamento ha risposto ai rilievi sollevati dal Capo dello Stato. In data 7 e 8 gennaio le Commissioni riunite hanno svolto una nutrita serie di audizioni allo scopo di


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raccogliere le opinioni dei soggetti istituzionali e degli operatori del settore e, soprattutto, di conoscere lo stato dell'arte, in particolare per quanto riguarda l'omogeneità dei settori che compongono il SIC e l'attivazione e la copertura delle reti televisive digitali terrestri alla data del 31 dicembre 2003. Si tratta, infatti, di questioni cardine della legge di riassetto del sistema che si fonda sul presupposto dell'espansione e del potenziamento del pluralismo grazie all'introduzione e allo sviluppo della nuova tecnologia.
Desidero anche ricordare che il messaggio del Presidente della Repubblica riconosce che la legge votata dal Parlamento si fa carico - cito testualmente - del problema dell'ampliamento del pluralismo. I rilievi riguardano semmai i poteri di verifica dell'Autorità e le dimensioni del sistema integrato delle comunicazioni e delle risorse che lo sostengono.
Entrambe le osservazioni sono state accolte. Il sistema integrato è «dimagrito», è più omogeneo nelle sue componenti e ne è stata circoscritta la portata. Le voci economiche che determinano il calcolo dei ricavi complessivi sono state meglio identificate. Sono state introdotte indicazioni più stringenti sui tempi e sui poteri sanzionatori dell'organismo di controllo e di garanzia.
In conclusione, quale relatore per la maggioranza per la VII Commissione, ritengo di avere il dovere di ribadire la bontà dei criteri che complessivamente ispirano il testo unificato in esame, contenuti, in particolare, negli articoli che recano i principî generali a garanzia degli utenti e a salvaguardia del pluralismo e della concorrenza, nonché a tutela dei diritti dei minori. Ricordo a questo proposito che il messaggio del Presidente della Repubblica del luglio 2002 richiamava proprio la necessità che il Parlamento intervenisse su tale specifica materia. Ritengo che il Parlamento si sia correttamente fatto carico anche di questo tema, che è, evidentemente, di assoluta rilevanza per la collettività.

PRESIDENTE. Il relatore per la maggioranza per la IX Commissione, onorevole Romani, ha facoltà di svolgere la relazione.

PAOLO ROMANI, Relatore per la maggioranza (IX Commissione). Signor Presidente, l'onorevole Bianchi Clerici ha già diffusamente illustrato le modifiche che sono state apportate al testo unificato nel corso del passaggio parlamentare successivo al rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica. Mi limiterò ad approfondire ulteriormente il lavoro che è stato svolto sul sistema integrato delle comunicazioni.
Gli interventi modificativi del SIC, originati dai rilievi formulati dal Capo dello Stato, muovono da una duplice esigenza: in primo luogo, quella di specificare, approfondire e rendere dunque maggiormente applicabile lo stesso SIC; in secondo luogo, quella di rendere più omogenei i fattori che lo determinano, restringendo di fatto la sua area applicativa. In tale direzione, è stata anzitutto chiarita esplicitamente la relazione fra l'articolo 2, contenente la definizione del SIC, e l'articolo 15, che invece determina i ricavi sulla base dei quali calcolare il 20 per cento del limite che nessun soggetto può oltrepassare.
Infatti, la nuova definizione contenuta nell'articolo 2, anziché elencare le imprese che fanno parte del SIC, che venivano richiamate dal successivo articolo 15 relativamente alla fornitura di beni, prodotti e servizi, facendo quindi sorgere dubbi interpretativi e applicativi, delinea esplicitamente i settori che compongono lo stesso, riproponendo l'elenco già individuato nelle precedenti leggi di sistema (la cosiddetta legge Mammì, la n. 223 del 1990, e la cosiddetta legge Maccanico, la n. 249 del 1997) e al tempo stesso innovandolo sulla base delle inevitabili evoluzioni del settore.
Rispetto alle cosiddette leggi Mammì e Maccanico, nelle quali erano già contenute le voci relative alla stampa, alla radio, alla televisione, all'audiovisivo, alle sponsorizzazioni e all'editoria elettronica, sono stati infatti aggiunti Internet nonché la pubblicità


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esterna (ovvero le affissioni, la pubblicità dinamica sui mezzi e via dicendo) e le iniziative di pubblicità e di promozione dirette al cliente. Si tratta di fattori che ormai da anni sono considerati, da tutti gli istituti e gli operatori, costitutivi della cosiddetta area «grande» della pubblicità, e quindi sono elementi portanti di un sistema di investimenti in comunicazione effettivamente unico e integrato.
Andando ad esaminare le differenze tra l'articolo 2 del testo rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica e l'articolo 2 del testo approvato dalle Commissioni riunite, notiamo, ad esempio, che la definizione di radio e televisione è nel testo attuale limitata alla sola radio e televisione, mentre nella precedente versione si parlava di imprese radiotelevisive e di quelle di produzione e di distribuzione, qualunque ne fosse la forma tecnica, di contenuti per programmi televisivi o radiofonici. Nell'attuale formulazione, volendo restringere l'ambito del settore, si parla di «radio e televisione».
Inoltre, nella versione precedente erano considerate le imprese fonografiche, che sono state totalmente abolite in quella attuale. Infine, si parlava di «imprese di pubblicità, quali che siano il mezzo e le modalità di diffusione»; invece, oggi parliamo di pubblicità esterna - come dicevo prima -, di iniziative di comunicazione di prodotti e servizi e di sponsorizzazioni.
Mentre in precedenza l'articolo 2 proponeva una definizione formulata sulla base delle imprese e di tutti i loro ricavi, ponendo problemi di natura interpretativa e applicativa anche rispetto a possibili duplicazioni, la nuova formulazione, elencando esplicitamente i settori di attività, rende immediatamente evidente la rappresentazione e l'individuazione del SIC. In secondo luogo, è stato introdotto un chiarimento interpretativo tra il comma 2 e il comma 3 dell'articolo 15, laddove poteva manifestarsi un dubbio tra la differente formulazione usata per il limite del 20 per cento dei ricavi riferito all'insieme delle risorse del sistema. L'utilizzazione della terminologia omogenea «ricavi» intende proprio facilitare l'applicazione e l'individuazione dei predetti limiti.
Infine, sono stati realizzati alcuni interventi con riferimento all'articolo 15, con l'esplicita finalità di chiarire e definire maggiormente le voci economiche che concorrono al monte ricavi, eliminando - come già detto - richiami incrociati con l'articolo 2, di difficile applicazione, nonché ogni possibile duplicazione dei medesimi ricavi. Gli interventi operati sono stati, infatti, i seguenti. Si è specificata e meglio determinata la voce relativa agli investimenti di enti e di imprese in attività finalizzate alla promozione dei propri prodotti e servizi, esplicitandola e limitandola alle spese delle aziende in iniziative per una maggiore diffusione del prodotto al punto vendita (quali, ad esempio, i concorsi a premio, le offerte speciali, le promozioni dirette) e in attività di pubblicità diretta (quali il direct response e il direct marketing, come ad esempio le promozioni postali), iniziative direttamente ricollegabili ai budget di spesa delle aziende di comunicazione e assolutamente omogenee alle forme di pubblicità sui mezzi di comunicazione di massa. Si è eliminata la voce relativa all'editoria libraria, chiarendo in modo esplicito quella riferita all'editoria ed integrando le attività storiche e tradizionali (ad esempio, la vendita e gli abbonamenti di quotidiani e di periodici, nonché i servizi forniti dalle agenzie di stampa, gli annuari come le Pagine gialle e l'editoria elettronica) insieme a quelle emergenti (ovvero i libri e i dischi allegati ai giornali, che rappresentano la novità più recente del settore). Si è inoltre eliminata completamente la voce relativa al settore fonografico, salvo che - ovviamente - per gli allegati ai giornali. Si sono infine eliminati tutti i riferimenti ai costi produttivi realizzativi e di distribuzione, precedentemente ricollegabili alla definizione contenuta all'articolo 2, e segnatamente le voci riconducibili alle spese sostenute per la realizzazione, produzione e distribuzione di programmi televisivi,


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opere cinematografiche e spot pubblicitari, proprio al fine di evitare qualsiasi duplicazione di calcolo.
L'insieme di questi interventi ha così consentito una ridefinizione dei ricavi, insieme ad una più efficace applicazione del SIC, con un restringimento ipotizzabile tra il 20 e il 30 per cento del totale dei ricavi complessivi, a seconda delle diverse stime effettuate.
In definitiva, quindi, si è riconfermata la validità dell'impostazione del SIC quale strumento avanzato e moderno per la valutazione di un sistema della comunicazione sempre più integrato; se ne è meglio definita la composizione, attraverso un'elencazione più puntuale delle diverse componenti, introducendo una maggiore omogeneità tra le diverse voci e, quindi, anche rendendone più agevole l'applicazione; se ne è circoscritta la portata, rispondendo appieno alle preoccupazioni manifestate dal Capo dello Stato sulla possibile formazione di posizioni dominanti.

PRESIDENTE. Il relatore di minoranza per la VII Commissione, onorevole Carra, ha facoltà di svolgere la relazione.

ENZO CARRA, Relatore di minoranza (VII Commissione). Signor Presidente, dico subito che noi deputati della Margherita non ci sottraiamo alla discussione. Non abbiamo presentato una relazione scritta non per pigrizia - come penserà qualcuno - ma per la volontà di testimoniare in quest'aula i motivi della nostra opposizione totale al provvedimento in esame. Del resto, non mi sono ancora persuaso del perché una legge che viene rinviata alle Camere dal Capo dello Stato e, quindi, non promulgata debba essere rivista e parzialmente corretta soltanto in alcuni dei punti indicati nel messaggio presidenziale. Non mi sono ancora convinto che il compito del legislatore sia quello del correttore di bozze.
Ho preso atto della constatazione del Presidente della Camera, il quale ha rimesso alla responsabilità delle Commissioni la scelta dei temi, a partire dal «bouquet» presidenziale, ammettendo tuttavia, in coerenza con la Costituzione, che il progetto di legge debba essere votato articolo per articolo e con votazione finale. Mi auguro in ogni caso che, al pari di quanto accaduto in prima lettura, il Presidente della Camera accolga su alcuni punti rilevanti eventuali richieste di voto segreto.
Non mi ha convinto la decisione con cui la maggioranza ha tenuto fuori dalla attuale versione del provvedimento l'importante capitolo delle telepromozioni, ovvero il comma 7 del fatidico articolo 15. Pur nella ristrettezza di un SIC tanto largo da consentire ulteriori passi avanti di uno dei due duopolisti, le telepromozioni non compaiono. Non ho capito perché il gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, spesso silente e pur presente nella stesura di emendamenti di evidente buon senso, non abbia poi protestato per la reiezione dell'emendamento che avrebbe vietato ai grandi network l'acquisto di reti radiofoniche nazionali. Capisco che la maggioranza abbia poi soddisfatto una comprensibile richiesta del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, estendendo al 2010 il divieto, previsto fino al 2008, per i proprietari di emittenti televisive di acquisire partecipazioni in campo editoriale. Tuttavia, anche così, questo rifacimento, più che del rigore a cui lo obbligava il messaggio presidenziale, ha del miracoloso. Può darsi che questa sia una prova che il partito di maggioranza della Casa delle libertà sia ormai stabilmente assistito dal Paraclito, come se a noi dello Spirito Santo non toccasse nulla o quasi! Invece, a ben vedere, questa legge sembra piuttosto opera di un personaggio minore della Sicilia di Sciascia.
Per fare un esempio, al cruciale articolo 25 si afferma che ai fini dello sviluppo del pluralismo «sono rese attive» - e non «saranno rese attive» come nel testo nella versione precedente - entro il 31 dicembre 2003 reti televisive digitali terrestri, con un'offerta di programmi in chiaro, accessibili mediante decoder o ricevitori digitali. Dunque, questa non è una


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legge di sistema, ma una specie di testamento che fa i conti con il passato e lo regola: passa dal tempo futuro della prima versione al tempo presente dell'attuale, e così crede di risolvere tutto.
Anche il Comitato per la legislazione chiede di chiarire nel citato articolo 25 «il significato precettivo di un termine finale già scaduto».
Oltre a quello del 31 dicembre scorso, l'attuale versione lascia sopravvivere un altro comma, che prevede che la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo entro il 1o gennaio 2004 raggiunga il 50 per cento della popolazione. Siamo in fervida attesa di notizie. Unica differenza, non piccola, sta nel fatto che il decreto-legge in materia (che, come in una specie di doppio binario, di corsa per vedere chi arriva primo, è stato prontamente presentato per aggirare la sentenza della Corte costituzionale che avrebbe mandato sul satellite Rete4 e creato una situazione diversa e probabilmente più favorevole per l'azienda di Stato RAI), prevede una copertura digitale terrestre del 50 per cento della popolazione, anziché dell'80 per cento del territorio come era previsto nella legge Maccanico, mentre nel testo di legge in esame tale copertura è invece del 70 per cento, sempre della popolazione, entro il 1o gennaio 2005. Certo, ci si lascia andare sui verbi: si passa dal più scrupoloso «coprire», riferendosi alla popolazione che dovrà essere «digital-terrestrizzata», al più tranquillizzante «raggiungere». Si sa che «raggiungere» è alquanto chimerico! Stessa osservazione vale per i decoder, puntualmente definiti e altrettanto vagamente considerati a portata di mano se il loro prezzo sarà accessibile. Già molte volte abbiamo ripetuto: accessibile a chi?
Questo testo di legge è uno straordinario remake. Arriva a farci immaginare quel che si sarebbe dovuto fare e non si è fatto. Un esempio ancora. Si parla di contenuti, ma non di chi dovrebbe produrli, come se una legge sul latte - e ne avremmo bisogno - si applicasse ai lattai e non a chi produce il latte.
Una legge che va ben al di là dei soli punti indicati dal Capo dello Stato, che si sarebbe dovuta proporre di rimediare ai guasti in essa precedentemente contenuti. D'altro canto, il Capo dello Stato aveva chiaramente scritto nel suo messaggio che «nell'ambito dei principi fissati dalla richiamata giurisprudenza della Corte costituzionale si è mosso il messaggio da me inviato alle Camere il 23 luglio 2002».
Già prima di questo messaggio, ve ne era stato un altro; poi era intervenuta una sentenza della Corte costituzionale che ribadiva un principio; dopo l'approvazione di tale provvedimento, vi sarà un'altra sentenza, perché con questa legge postuma non si danno risposte sul pluralismo dell'informazione, gravemente leso dalla situazione attuale, che è una componente essenziale della nostra Costituzione e che, anche qui con molta chiarezza, il Capo dello Stato ha richiamato nel suo messaggio.
L'atteggiamento di questa maggioranza rispetto alla grave decisione di rinvio alle Camere, ai gravi rilievi delle autorità indipendenti - quella per la concorrenza e quella per le comunicazioni - non ci sorprende. Deve sorprendere, semmai, la maggioranza - ed essere apprezzata - la buona volontà con cui l'opposizione parlamentare ha tentato fino all'ultimo di impedire ulteriori guasti.
Questa legge non sarà costituzionale, non sarà giusta, non sarà quella che chiedeva il Presidente della Repubblica. Sarà forse considerata frutto di una volontà superiore. Ci permettiamo allora di proporre, per il futuro, quella proibizione che fu posta su una chiesa parigina devastata da controversie gianseniste: si vieta anche a Dio di far miracoli in questa sede (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Verdi-l'Ulivo)!

PRESIDENTE. Il relatore di minoranza per la IX Commissione, onorevole Bogi, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIORGIO BOGI, Relatore di minoranza (IX Commissione). Signor Presidente, come


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ha giustamente notato il collega Carra, i limiti posti all'emendabilità del disegno di legge non precludono le considerazioni generali, visto che poi dovremo votare il provvedimento articolo per articolo.
Colleghi, la mia opinione è che siamo di fronte soprattutto ad una legge modesta, oltre che viziata, che non coglie l'occasione democratica offerta nella comunicazione dall'aumento potenziale rilevante delle capacità di trasmissione e non riesce peraltro ad inquadrare il fenomeno socialmente considerato.
È dubbia anche la tenuta del quadro normativo proposto. Le opinioni espresse dalle Autorità indipendenti - viste peraltro dalla maggioranza parlamentare con tale insofferenza da non prendere mai in considerazione le osservazioni che hanno fatto -, non essendo state soddisfatte, dobbiamo pensare che permarranno. Peraltro è notorio che l'Autorità antitrust ha in corso un'indagine sul mercato pubblicitario, per appurare se vi siano condizioni di dominanza.
È ipotizzabile un ricorso alla Corte costituzionale: soggetti che hanno avuto la concessione non hanno avuto assegnate le frequenze utili per trasmettere. La questione della definizione di mercato rilevante, al di là di quanto ha affermato il relatore di maggioranza per la IX Commissione, onorevole Romani, è tutt'altro che risolta dalla nuova definizione del SIC. Lo stesso meccanismo di assegnazione delle radiofrequenze potrà portare a conflitto quanto disposto nelle direttive dell'Unione europea. Quindi, una legge fragile.
È notorio che opinioni diffuse di interessi legittimi - editori o promotori di programmi - hanno criticato la formulazione complessiva come inaccogliente di esigenze fondamentali corrispondenti ad interessi generali. La CEI, la Conferenza episcopale italiana, ha chiesto una nuova formulazione. Il collega Carra può immaginare quanto io sia vicino alla sua ultima affermazione e cioè che è bene che Dio non faccia miracoli neppure in questa sede; ma non si può certo negare l'autorevolezza della Conferenza episcopale, in ispecie da parte della maggioranza, con gli atteggiamenti codini che ha avuto non raramente.
Essa chiede una nuova formulazione funzionale e vuole restituire un'autentica funzione culturale al sistema televisivo. Non si tratta di osservazioni marginali, in quanto esse rientrano nell'ambito del problema della grave crisi della mediazione culturale nelle società moderne, di cui il presente provvedimento appare disinteressarsi totalmente.
Il testo presentato lascia immutati i problemi sottostanti alla definizione degli aspetti sociali e culturali del sistema televisivo. È noto a tutti, infatti, che le modalità di assegnazione ed uso delle radiofrequenze in Italia sono di grande «originalità», nel senso che lo Stato italiano ha perso da molto il potere di pianificazione delle frequenze, ed ha sostanzialmente fotografato la situazione esistente. È cambiato qualcosa? No, non è cambiato nulla, nel senso che chi è nel sistema, anche per generale assentimento - come recita il provvedimento -, sarà favorito, e potrà disporre automaticamente di frequenze in tecnica digitale.
Si dice che la pianificazione verrà effettuata dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ma è notorio che non è mai stata fatta una pianificazione delle frequenze per oggettive impossibilità non rimosse. Queste sono state occupate di fatto e registrate come tali da parte dello Stato italiano: ebbene, questo fenomeno è rimasto immutato.
Per quanto concerne le condizioni del mercato pubblicitario, il fatto che vi siano fenomeni di concentrazione è evidente: non è cambiato nulla! Devo dire che mi ha colpito una sorta di «rigida avarizia» della maggioranza nell'affrontare il problema. Il Capo dello Stato ha messo in evidenza l'esistenza di una grave difficoltà della stampa in ordine al flusso finanziario da pubblicità, che tradizionalmente rappresenta elemento di sostegno fondamentale per essa.
Il comma 7 dell'articolo 15 non viene inserito tra quelli emendabili, come se fosse un fatto marginale, il suo contenuto


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(le telepromozioni) e si spiega che il sistema integrato della comunicazione è stato modificato. Onorevole Romani, l'obiezione principale mossa al sistema integrato delle comunicazioni era sì la sua vastità, ma anche la sua disomogeneità, la quale non consente, in base alle direttive dell'Unione europea, di definirlo come mercato rilevante per la verifica di posizioni dominanti.
Nel testo si afferma che il mercato è costituito dall'editoria e da altre voci, e poi si inserisce la parola «cinema»: che diavolo vorrà dire? Sono i biglietti? Si tratta della produzione?

PAOLO ROMANI, Relatore per la maggioranza (IX Commissione). È l'articolo 15, Giorgio, te l'ho spiegato prima, ma non mi hai ascoltato!

GIORGIO BOGI, Relatore di minoranza (IX Commissione). No, io ti ho ascoltato! Si tratta di limiti miei, non ho capito, ma il fatto è che ne spiegasti la congruità anche nella precedente formulazione e sembra che non abbia capito neppure il Presidente della Repubblica!
Il dato fondamentale è che l'omogeneità necessaria, cioè la fungibilità dei prodotti dei vari settori, affinché venga definito un mercato di riferimento non c'era e non c'è neanche adesso. Viene messa in evidenza un'eventuale decurtazione del 20-30 per cento - certamente importante, non c'è dubbio -, ma il problema del reale connotato specifico del sistema integrato della comunicazione, vale a dire l'eterogeneità nella sua composizione, non è stato risolto.
Ciò significa qualcosa nell'ambito del funzionamento del mercato pubblicitario, anche perché uno dei grandi limiti - oltre a quello delle radiofrequenze - saranno i flussi finanziari nel sistema. Quando si afferma che nel sistema televisivo entreranno nuovi soggetti, vorrei che fossimo chiari, signor ministro: nuovi soggetti possono essere gli editori, ma sono messi in grave difficoltà dalle caratteristiche del mercato pubblicitario che penalizzano i flussi finanziari di entrata delle loro imprese. Con una situazione così bloccata del mercato pubblicitario, è difficile che possano entrare nel sistema televisivo.
Le imprese telefoniche potrebbero entrare anch'esse nel sistema...

PRESIDENTE. Onorevole Bogi...

GIORGIO BOGI, Relatore di minoranza (IX Commissione). ...ma la Telecom è bloccata ad una acquisizione di risorse pari al 10 per cento, del sistema integrato delle comunicazioni, mentre tutti agli altri soggetti possono raggiungere il limite del 20 per cento.
In sostanza, avete dimostrato una grandissima attenzione per il contingente, per l'esistente, ma non avete la minima proiezione verso il futuro. Fotografate la realtà: non cercate di governarla, la confermate così com'è! E, a dir la verità, nella realtà contingente, gli interessi particolari sono ben evidenti.
Credo che la modestia del provvedimento ed i suoi vizi dipendano, per un verso, da una debolezza culturale della sua impostazione e, per un altro verso, dai vincoli fortissimi che gli interessi particolari vi hanno posto.
Ne cito uno, signor Presidente, se posso avere ancora pochissimo tempo, poiché si tratta di aspetto di una volgarità clamorosa. Con buona pace della maggioranza, vi faccio osservare che avete approvato un emendamento proposto dalla Lega con cui si stabilisce che la quantità di produzione dei centri di produzione sia rapportata territorialmente al numero degli abbonati. È di una volgarità clamorosa! Questo è il vincolo più grottesco che avete accettato. Poi, ve ne sono di più gravi: quelli degli interessi dominanti.
Desidero infine porvi due domande: chi potrà entrare nel sistema televisivo italiano dove il dominio politico ed il conflitto di interessi sono così evidenti? Chi entrerà senza trattare politicamente, non temendo di rompersi le ossa (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)?

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Bogi.


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Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

MAURIZIO GASPARRI, Ministro delle comunicazioni. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Sta bene, signor ministro.
È iscritto a parlare l'onorevole Colasio. Ne ha facoltà.

ANDREA COLASIO. Signor Presidente, mi dispiace doverlo dire con grande franchezza ai colleghi della maggioranza, in particolare ai relatori, ma trovo abbastanza anomala questa procedura.
È vero: sono stati auditi molteplici soggetti; molto diligentemente, i relatori li hanno elencati. Tuttavia, elencare i soggetti, ma non recepire le indicazioni analitiche e metodologiche che le autorità garanti hanno fornito in relazione agli elementi di criticità del provvedimento al nostro esame non mi sembra un criterio valido.
Voglio essere molto franco. Credo che ci si confronti con una sorta di grande occasione perduta. Anzitutto, è sbagliato, presidente Romani, non avere voluto affrontare nella sua sistematicità questo testo. Il messaggio di rinvio del Presidente della Repubblica elencava e sottolineava, evidentemente, alcuni aspetti anomali. Accanto ed oltre il messaggio del Presidente della Repubblica, vi è però la consapevolezza - direi culturale, prima ancora che politica - che, nelle sue procedure di democrazia competitiva, il nostro paese risente, da un lato, dell'esistenza di un vizio genetico e, dall'altro, della presenza di quelle che Luca Cordero di Montezemolo ha denominato anomalie sistemiche.
È evidente che, se lo si compara con gli altri paesi europei, il nostro presenta situazioni disfunzionali nella sfera della comunicazione politica. Affrontare il nodo di una legge di riassetto globale del sistema radiotelevisivo significa confrontarsi con un tema delicatissimo, con quelli che definirei i nervi del potere: se la Costituzione definisce la struttura delle regole del gioco, è evidente che la comunicazione politica definisce le modalità concrete attraverso le quali si forma l'opinione pubblica. Né è meno vero che, nella storia costituzionale e giuridica europea, la formazione dei Parlamenti, la formazione di un'opinione pubblica, costituisce uno dei prerequisiti del pluralismo, quel pluralismo che, di fatto, questa proposta non affronta, non consolida e non arricchisce, così come esortava a fare, invece, il Presidente della Repubblica nel suo messaggio.
Un nodo che ritengo importante è quello relativo al SIC. Presidente Romani, ci spiace, ma prendiamo atto della persistente indeterminatezza del SIC sotto il profilo della sua quantificazione. In Commissione, ne abbiamo reiteratamente chiesto la quantificazione, perché è abbastanza anomalo che l'unico criterio di quantificazione sia quello fornito da un sia pure prestigioso organo di stampa: Il Sole 24 Ore. Non è così che si governa! Lei dice: oggi abbiamo decurtato l'editoria (grosso modo, 6 mila miliardi di vecchie lire) e, inoltre, abbiamo decurtato dal SIC le imprese fonografiche (grosso modo, 6 mila miliardi).
Conseguentemente, la decurtazione oscilla tra il 20 e il 30 per cento. Possiamo prenderne atto; tuttavia, non è stato affrontato il problema nodale: l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha rilevato che il SIC, così come è configurato, rappresenta un unicum a livello internazionale, ma quel che è peggio - afferma l'Autorità -, e ciò va stigmatizzato e sottolineato, è che il SIC, a dispetto di ciò che ribadisce nella sua relazione il presidente Romani, non è assolutamente uno strumento funzionale agli obiettivi che si prefigge. Infatti, se la soglia del 20 per cento è assunta come soglia limite antitrust, è evidente che il SIC è oggetto inutile rispetto all'obiettivo che si prefigge. L'Autorità garante sottolineava un aspetto anomalo, ossia che a livello internazionale non esiste qualcosa di analogo. Il nodo è un altro: nel SIC, al di là dell'eterogeneità degli oggetti e dell'indeterminatezza dei


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confini, vi è la mancanza di un criterio operativo, quello di definizione corretta di mercato rilevante.
Si deve partire dal presupposto che l'individuazione - e quindi la sanzione - di posizioni dominanti in un mercato specifico sia un prerequisito per la regola della concorrenza. L'Autorità garante della concorrenza rileva un aspetto molto importante, vale a dire la necessità di una tutela rafforzata. Garantire le condizioni di pluralismo, significa porre limiti che vanno oltre le norme tradizionali e consolidate della regola della concorrenza. Dov'è questa tutela rafforzata? Come abbiamo creato condizioni di maggior competitività nel mercato? Vogliamo essere molto chiari: le condizioni di gioco, l'incremento del tasso di pluralismo nel nostro paese sono legate alla moltiplicazione delle voci e degli attori.
Ebbene, questa moltiplicazione delle voci e degli attori non è data da questa legge di sistema che, di fatto, sanziona, legittima, cristallizza ciò che la Corte costituzionale, con un termine molto efficace, ha definito occupazione di fatto delle frequenze. Le frequenze costituiscono un bene pubblico. Nel nostro paese, si è assistito ad una sorta di epopea, in cui si è determinata progressivamente un'occupazione di fatto. Tale legge sanziona e legittima quest'occupazione di fatto, ma non ridefinisce criteri trasparenti, non discriminatori, di riallocazione delle frequenze.
È evidente che il SIC è uno strumento inutile rispetto agli obiettivi di una precisa normativa antitrust; è uno strumento assolutamente incongruo rispetto ai canoni tradizionali consolidati a livello internazionale e comunitario - contrasta, tra l'altro, con diverse direttive comunitarie -, ma, quel che è peggio, non è uno strumento utile rispetto alla definizione e alla sanzione di una posizione dominante di un mercato rilevante.
È evidente che il SIC ha subìto una leggera decurtazione, ma non è stato ancora affrontato il nodo della sua funzionalità.
Non avete voluto affrontare, altresì, un problema strategico. Il comma 7 dell'articolo 15 poneva un problema fondamentale. Anche in questo caso, il nostro paese registra una sorta di anomalia. Non mi riferisco solo al tasso di concentrazione duopolistico per cui audience, share e pubblicità nel sistema televisivo sono incomparabili rispetto agli altri paesi. Il vero problema è che nel nostro paese, con questa legge di sistema, introduciamo elementi distorsivi rispetto alla possibilità, per la carta stampata, di procedere correttamente, con la raccolta pubblicitaria. I dati li conosciamo: mentre negli altri paesi europei la media è rispettivamente del 55 e del 30 per cento, nel nostro paese il dato è rovesciato ed è del 37 e del 55 per cento. Nel nostro paese - lo ricordo al presidente Romani -, le sei principali testate quotidiane raccolgono poco meno del 50 per cento della tiratura. È evidente che lì ci si confronta, proprio in presenza di un sistema poliarticolato, di una pluralità di soggetti, con una reale configurazione competitiva nel sistema della comunicazione.
Il problema era come creare meccanismi regolativi, a fronte di una situazione anomala rilevata correttamente, da ultimo, dalla sentenza n. 466 della Corte costituzionale che, di fatto, individuava l'anomalia del sistema italiano.
Ebbene, ho ascoltato con una certa preoccupazione il rilievo della relatrice Bianchi Clerici. Avete inserito all'interno del nuovo testo alcuni passaggi di cui ci troveremo a discutere in quest'aula quando esamineremo il decreto, ma ciò che è avvenuto al Senato - e la relatrice ha già anticipato e prefigurato una scelta - ha peggiorato la situazione.
È evidente che quando si parla, anche autorevolmente, di incremento effettivo di pluralismo, si parla di effettiva ricettività. Ora, voi state dicendo che la moltiplicazione dei canali, in conseguenza dell'innovazione tecnologica e quindi dell'evoluzione dall'analogico al digitale, rappresenta di per sé un fattore di incremento del tasso del pluralismo del nostro paese. Francamente, è evidente che se non esistono


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condizioni di effettiva ricettività, se i programmi irradiati non vengono effettivamente visti, se non esiste quel criterio - che voi avete dimenticato nella stessa definizione del SIC - di sostituibilità (perché il vero criterio è quello della sostituibilità), a fronte della mancanza del criterio oggettivo della sostituibilità nell'accesso ad una diversificazione dei canali, spiegatemi voi con quale modalità avete incrementato il tasso di pluralismo del nostro paese.
Il ministro Gasparri cita spesso e volentieri, e a ragione, la dimensione prospettica e innovativa in chiave tecnologica dell'evoluzione dall'analogico al digitale, ma non dice però quello che manca: che in un regime transitorio di fatto non ci si confronta con una opinione pubblica che usufruisce di questa molteplicità di canali. Ma allora che idea avete di pluralismo? Di certo, una strana idea. A un certo punto voi ci verrete a raccontare, quando discuteremo del decreto-legge, e l'avete già surrettiziamente inserito nella legge, che sarà sufficiente un grado di copertura generica del 50 per cento della popolazione.
Vi abbiamo fatto diverse richieste, sottosegretario, e vi abbiamo detto che occorreva l'effettiva ricettività, di cui hanno anche parlato con grande chiarezza le due Autorità garanti, o voi ritenete sufficiente il criterio della copertura del segnale? È l'effettiva ricettività o cosa altro? È lì, rispetto alla loro ricettività, che andremo a misurare effettivamente il grado di competitività tra i canali che trasmettono.
È evidente che c'è un solo dato, un solo riscontro positivo (ve ne voglio dare atto, però è ben poca cosa): il fatto di aver differito il terminus ad quem per il divieto di incroci proprietari (il 2010). Però è una soglia minimale - noi l'avevamo detto con grande chiarezza -, è un piccolo elemento indiziario della consapevolezza che voi stessi avete che lo switch off non è dietro l'angolo. Nella consapevolezza che la convergenza è differita - e quindi stiamo parlando di un pluralismo differito e virtuale - avete introdotto una norma che non solo segue le indicazioni dei colleghi dell'UDC, ma prende atto che nel 2006 non si configurerà un mutamento radicale di scenario. Questo non è poco.
Avremmo preferito che quel terminus ad quem fosse correlato ad una situazione che prefigurasse un effettivo mutamento di scenario tecnologico. Solo a fronte di un effettivo mutamento di scenario, di un effettivo incremento del pluralismo, dato dalla moltiplicazione dei canali, si sarebbero potute prevedere diverse modalità di incrocio. Ora, delle due l'una: o confermate il termine del 2006 o siamo consapevoli che avremo una fase transitoria molto più lunga di quella che voi prefigurate.
Ciò che è drammatico è che in questa fase transitoria avremo una situazione di parallelismo tra un effettivo mercato di tipo analogico, dove si muovono i soggetti reali, dove esistono i telespettatori reali, dove c'è un mercato reale della pubblicità, e un ipotetico sistema virtuale, dove c'è un ipotetico pluralismo digitale, dove non avremo risorse pubblicitarie, dove non avremo di fatto ricettività dei programmi che dovrebbero essere irradiati, atteso che a fronte di quei famosi 100 mila decoder che dovrebbero essere stati prodotti da una ditta, ma che di fatto non sono presenti nelle case, vi sono 30 - 38 milioni di apparecchi televisivi.
Voi sostenete che il pluralismo è garantito dall'ipotetica presenza di, forse, 100 mila decoder (dico forse perché in realtà, signor sottosegretario, lei sa che stiamo parlando di cifre molto più basse). Per sanzionare l'esistenza di una democrazia competitiva (perché di questo stiamo parlando), vi accontentate di correlarla alla generica esistenza nel mercato di decoder a prezzi accessibili (poi, magari, verremo a spiegarvi che vi è anche il problema dell'interattività e che vi sono altri aspetti tecnici correlati alle modalità tecnologiche del decoder).
La nostra impressione è che avete eluso i grandi nodi irrisolti che, di fatto, il messaggio del Presidente della Repubblica evocava. È evidente che non abbiamo modificato sostanzialmente nulla. Si è proceduto con una revisione che definirei


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quasi stilistica, ma non sono stati affrontati i grossi nodi che denotavano e tuttora denotano questo vizio genetico che, purtroppo, contraddistingue e, in un certo qual modo, riduce drasticamente la qualità della nostra democrazia competitiva.
Signor sottosegretario, mi sta a cuore sottolineare anche un altro aspetto di cui abbiamo discusso in Commissione, ma rispetto al quale non abbiamo ottenuto risposte. Abbiamo sottolineato come, a dispetto del vostro essere liberali e del vostro evocare le regole della democrazia competitiva e della concorrenza, abbiate introdotto una norma asimmetrica che paradossalmente, guarda caso, penalizza l'unico reale possibile competitore rispetto al duopolio. Avete introdotto una norma che penalizza Telecom, limitando il SIC, per quanto la concerne, al 10 per cento, indipendentemente da qualunque presupposto giuridico e normativo.
Lei era presente all'audizione ed ha recepito, come noi, la dichiarazione del rappresentante di Telecom, che sostanzialmente ha ribadito come fossero venute meno le condizioni che avrebbero potuto giustificare la vostra decisione. Anche questa è una modalità regolativa che, francamente, risponde ad esigenze molto particolari, ma che assolutamente non ha una visione sistemica e di insieme di ciò che dovrebbe costituire lo sviluppo del pluralismo nel nostro paese.
Mi avvio velocemente alla conclusione con una considerazione. Signor sottosegretario, quando i padri costituenti scrissero la nostra Costituzione, è evidente che nel nostro paese la televisione non c'era ed è anche evidente che il sistema dei media, per ciò che attiene alle modalità costitutive dell'opinione pubblica e al dibattito tra le forze politiche, non era uno scenario prefigurabile.
Allora, non è meno vero che oggi, affrontando il problema delle regole della comunicazione politica, stiamo di fatto operando su un terreno che vorrei definire di confine e che, di fatto, attiene alla Costituzione materiale, perché affronta questioni strategiche per la qualità della democrazia rispetto alle altre grandi democrazie europee.
Allora, signor sottosegretario, il nostro paese presenta vizi e anomalie. È un incidente di percorso tecnico il fatto che vi sia una sovrapposizione fra il nostro Premier e le modalità anomale di funzionamento e strutturazione del nostro sistema dei media. Occorre prescindere da ciò: il problema non è questo; lo è per voi, ma non per noi. A nostro avviso, questo è un problema aggiuntivo: il vero problema è che comunque, così come configurato, il sistema dei media del nostro paese è assolutamente non congruente con le regole, le procedure, i valori e una cultura coerentemente liberaldemocratica.
Allora, mi dispiace prenderne atto, ma la verità - e concludo, signor Presidente - è che purtroppo, a dispetto di una grande tradizione culturale che dovrebbe contraddistinguere molti di coloro che sono oggi autorevoli interpreti e soggetti politici all'interno della Casa delle libertà, coloro che oggi rivendicano nell'ambito di questo schieramento di essere figli di quella grande tradizione liberale lo fanno tuttavia con modalità che non esito a definire banalmente simboliche e rituali, ma assolutamente irrilevanti rispetto alla reale messa in opera delle politiche. È una funzione testimoniale che, di fatto, non permette però al nostro paese di crescere come una democrazia compiuta e omogenea ai grandi paesi europei (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rognoni. Ne ha facoltà.

CARLO ROGNONI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, in queste ultime settimane mi sono andato convincendo che quei pochi della maggioranza che capiscono davvero di televisione, si stanno rendendo conto di essersi infilati in un cul de sac. Questa è una legge che non centra l'obiettivo. La missione Gasparri, il modulo nato per un atterraggio


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morbido delle reti Mediaset, in particolare di Retequattro, nel lungo viaggio verso il futuro rischia di schiantarsi, a mio avviso, non tanto su un satellite, ma proprio sulla terra. Ciò perché non centra l'obiettivo che si è dato e cercherò di dimostrarlo.
Intanto, per capire bene ciò che la legge prevede, proviamo, molto brevemente, a ricordarci in che contesto si è calata la legge Gasparri, ovvero quale è la situazione prevista dalle leggi vigenti. Esse prevedono, innanzitutto, che nessun imprenditore possa avere più del 20 per cento delle reti nazionali; in secondo luogo, che una rete nazionale, per essere considerata tale, debba coprire l'80 per cento del territorio, ed, infine, che nessuna impresa possa raccogliere risorse pubblicitarie superiori al 30 per cento del mercato complessivo della pubblicità e del canone per il servizio pubblico. Questi sono punti fermi, stabiliti nel 1997 (parlo, quindi, di sette o otto anni fa), che facevano seguito ad una sentenza della Corte costituzionale del 1994 che poneva in evidenza che il sistema, così come previsto in Italia, non funzionava perché non era pluralista, e quindi era necessario provvedere. Si adottarono così le misure che ho appena indicato. Si dà il caso che, proprio in base alle leggi vigenti, le concessioni nazionali sono 11 dal 1999 (il 20 per cento di 11 fa 2), che le risorse pubblicitarie raccolte da Publitalia, ed anche da Sipra, sono superiori al 30 per cento consentito dalle norme antitrust, e che, nel novembre del 2002, quasi quindici mesi fa, la Corte costituzionale è nuovamente intervenuta, dicendo al Parlamento che la proroga, fino ad allora concessa, rispetto alla legge del 1997, che permetteva a Mediaset di avere una rete in autorizzazione, doveva aver fine. Queste sono le parole della Corte costituzionale: il mantenimento delle reti, considerate ancora eccedenti dal legislatore del 1997, esigono, ai fini della compatibilità con i principi costituzionali, che sia previsto un termine finale assolutamente certo, definitivo e non eludibile.
Insomma, è da sette anni che Mediaset sa quale sia la situazione ed è da più di un anno e mezzo che sa che avrebbe dovuto provvedere. In realtà, ha provveduto con la legge Gasparri. Questa, infatti, cosa indica? Innanzitutto, se è vero che nessuno può avere il 20 per cento delle reti e che il 20 per cento di 11 fa 2, è vero naturalmente che, se si portano da 11 a 20 le reti, ecco che il 20 per cento di 20 fa 4; in questo modo, non solo si salvano tre reti Mediaset ma è possibile, persino, averne un'altra. Questo miracolo viene previsto dalla legge - è proprio questo il punto - e il 1o gennaio 2004 la RAI, per realizzare il miracolo, deve investire in due blocchi di canali televisivi con tecnologia a digitale terrestre. Si decide che Mediaset metta in campo un blocco di cinque canali, senza contare che anche la Telecom, con La7 e con MTV, potrà farlo (vedremo, poi, anche il capitolo ex Telepiù).
Ora, va bene che questo Governo ci ha abituato ai miracoli (e non voglio parlare di ringiovanimenti o di miracoli legislativi), ma per fare una decina di canali nazionali, sia pure digitali, operativi dal 1o gennaio del 2004, bisogna inventarsi qualcosa e la legge Gasparri si è inventata che, da domani, perché una rete possa essere considerata nazionale - così è scritto: leggere per credere - è sufficiente che non sia locale. Se poi si legge che una rete è locale quando arriva a coprire al massimo il 50 per cento della popolazione, si evince che per una rete nazionale «alla Gasparri» è sufficiente coprire il 50,1 per cento di non si sa quale popolazione, se del nord, del sud o del centro d'Italia (questi sembrerebbero fatti secondari). Questi canali digitali potranno essere sommati ai canali analogici che, invece, hanno una copertura molto, ma molto più ampia. È come sommare mele e pere, ma il buon senso a questo Governo, evidentemente, interessa poco.
Però, come si mantengono tutti questi nuovi canali? Naturalmente, con la pubblicità! Poiché Publitalia e Sipra sono già fuori quota, la legge Gasparri fa un'altra invenzione: l'antitrust delle risorse non si calcola più sul mercato rilevante della pubblicità, al quale andava comunque aggiunto il canone della RAI, ma sul famigerato


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SIC. Ricordo che Il Sole 24 Ore calcolò intorno ai 60-62 mila miliardi di vecchie lire tale nuovo paniere.
La legge Gasparri dice tante altre cose, ma è reticente su altre. Ad esempio, in questa nuova versione non ha voluto affrontare uno dei problemi chiave che avremo davanti nei prossimi mesi: quello del monopolio Sky del satellite. Si tratta di regolare l'accesso al satellite di imprenditori nuovi, vista la presenza di un monopolista che, per il momento, controlla tutto il mercato del satellite. Eppure, questo non interessa!
Fra le cose che invece il provvedimento dice, vi è la famosa questione delle telepromozioni. È il «sassolino» che ha fatto andare su tutte le furie Luca Cordero di Montezemolo, la Federazione degli editori, gli imprenditori.
Un'altra «perla» della «Gasparri 1» è che cercava di dare risposta ad una domanda decisiva: quando e chi potrà certificare che dal 1o gennaio 2004 vi è davvero il pluralismo grazie ai tanti nuovi canali digitali? Ecco il capolavoro: tocca all'Autorità garante, dopo 12 mesi, prendersi un altro mese e scrivere alcune lettere. Questo è quanto ha costretto il Presidente della Repubblica ad intervenire. Ciampi ha detto che dodici mesi più uno sono troppi, assomigliano ad una proroga, non ad un tempo congruo per verificare se dal 1o gennaio vi è o meno il pluralismo. Inoltre, non è pensabile che l'Autorità garante non possa fare altro che scrivere una lettera: deve poter sanzionare la situazione che si presentasse fuori legge.
Il Presidente della Repubblica ha detto, ancora, che il SIC è troppo ampio e che non andavano ignorati gli avvertimenti della Corte costituzionale sulla pubblicità. Si tratta di una risorsa troppo importante per la carta stampata e la televisione non può assorbire più di tanto, altrimenti il rischio - lo afferma una sentenza della stessa Corte - è di inaridire una tradizionale fonte di finanziamento della libera stampa, recando grave pregiudizio ad una libertà che la Costituzione fa oggetto di energica tutela.
Molti hanno capito le parole del Presidente Ciampi: peccato che gli esponenti della maggioranza hanno finto di capire quanto faceva loro comodo! Hanno blindato il confronto su alcune parti della legge, inventandosi che il Presidente aveva parlato solo di quelle e non, ad esempio, del problema più ampio del pluralismo.
L'Autorità garante, con il decreto «salva Retequattro», non avrà più dodici mesi più uno, ma quattro mesi più uno. Però, parte del contenuto di quel decreto è stata già recepita nella nuova formulazione del provvedimento in esame attraverso un emendamento che verrà ulteriormente «migliorato» - lo dico tra virgolette - rispetto a quanto approvato dal Senato. Basta leggere i giornali di oggi per capire che all'invito rivolto dall'Autorità al Governo di essere specifico sul «che fare» non è stata data risposta. Anche in questo caso vi è un grande interrogativo: l'Autorità garante ha chiesto di scrivere nella legge cosa avrebbe dovuto fare una volta verificato che non vi è il pluralismo. Non è stato scritto nulla e si fa riferimento ad un articolo della legge Maccanico, che conclude affermando che fino alla scadenza delle concessioni non sarà adottato nessun provvedimento. Ciò vuol dire che, se questa legge dovesse essere approvata, da oggi fino al luglio 2005 Retequattro è salva. È questo che serve a Retequattro? Non lo so, vedremo.
Con riguardo al SIC, la forte riduzione che vi è stata da 60 mila a 50 mila miliardi è un passo avanti, ma tale soluzione risponde allo spirito ed alla lettera del messaggio del Presidente Ciampi? Rileggendo le osservazioni avanzate dalle autorità, ci si rende conto che si tratta solo di una risposta furba, data tanto per poter dire che si è fatto qualcosa. Infatti, non tiene conto né delle critiche, né delle osservazioni avanzate dall'Antitrust. La maggioranza, signor sottosegretario, continua a far finta di non capire la differenza esistente tra concorrenza e pluralismo. Ai fini della concorrenza può anche esservi, in un dato mercato, una posizione dominante, l'importante è che non vi sia abuso


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di posizione dominante. Ai fini del pluralismo, è l'esistenza stessa di una posizione dominante a costituire un abuso.
Aver eliminato il tetto del 30 per cento del mercato rilevante della pubblicità vuol dire avere reso molto più aleatorio il criterio di calcolo rispetto alla posizione dominante, tant'è vero che anche con il nuovo SIC Publitalia, che oggi ha già una posizione dominante, potrà addirittura crescere di un terzo.
Trovo, inoltre, che abbiate sfiorato il ridicolo nel decidere che non si doveva neppure parlare delle telepromozioni. Pur avendo una maggioranza di 100 voti, avevate paura di parlarne? Al riguardo, vorrei citare quello che ha detto il relatore Romani, una persona che apprezzo e che è sicuramente competente in questa materia. Egli ha voluto sottolineare come il messaggio del Capo dello Stato non faccia mai riferimento al tema dei tetti di affollamento pubblicitario, ma sempre a quello della raccolta. Vi chiedo se siete davvero convinti di poter sostenere che le telepromozioni, avendo a che fare con gli affollamenti, non abbiano a che vedere con la parte del messaggio del Presidente della Repubblica che riguarda il tema delle risorse pubblicitarie. Come se gli affollamenti non fossero proprio la traduzione concreta, tecnica, della distribuzione delle risorse pubblicitarie (perché altrimenti di cosa parliamo?)!
La fretta di chiudere la vicenda, di avere la «Gasparri 2» - la vendetta! - vi ha impedito, e vi sta tuttora impedendo, di effettuare interventi, alcuni a mio avviso anche indolori, che avrebbero comunque migliorato importanti aspetti del provvedimento in esame. Si poteva, ad esempio, reintervenire sul famoso emendamento di Rifondazione comunista che vietava ai minori di 14 anni di partecipare in viso agli spot. Abbiamo tutti convenuto che è stata una provocazione il fatto che parte della maggioranza abbia votato, insieme all'opposizione, questo emendamento. Ciò aveva l'effetto - l'ho anche scritto - di una specie di «pernacchio» fatto alla legge in generale, sapendo di non toccare nervi scoperti, ma di dare comunque un segnale. Ebbene, si poteva rivedere quell'aspetto. Di cosa vi siete spaventati? Secondo me, il ragionamento che sta dietro è semplice: se cominciamo a correggere parti della legge che non hanno nulla a che vedere con il messaggio del Presidente della Repubblica, ci tocca intervenire su tutte le parti. Benissimo, ma avete una maggioranza di 100 voti e avete paura di affrontare anche gli aspetti di buonsenso?
Peraltro, questa è la stessa logica che vi ha spinto a tenere fuori da una rilettura parlamentare, ad esempio, tutta la vicenda della RAI. Così facendo, abbiamo tutti perso l'occasione di fare davvero l'interesse del servizio pubblico. È ovvio che la RAI, in quanto tale, non rientrava nel messaggio che il Presidente della Repubblica ha inviato alle Camere; tuttavia, era questa l'occasione per non perseverare almeno in alcuni errori clamorosi. Vi è la dimenticanza, lo strafalcione della legge, per il quale i criteri di nomina sono tali che, se due membri del consiglio di amministrazione ottengono lo stesso numero di voti, non si sa chi dei due scegliere. Si poteva scegliere un criterio in base al quale, tra due membri con lo stesso numero di voti, vincesse il più anziano, oppure un criterio qualunque.
Il presidente della Commissione di vigilanza sui servizi radiotelevisivi ha scritto che l'ipotesi è tutt'altro che cervellotica e che sono alte le probabilità che, dividendo il numero dei componenti della Commissione (40) per il numero dei consiglieri da nominare (7), possa determinarsi una condizione di parità fra due o più persone da nominare. Potrebbe darsi persino il caso che risultino 8 nomi, ciascuno con 5 voti. Non avete neanche voluto fare un chiarimento, che sarebbe stato di semplice efficienza.
Avete poi bellamente ignorato un'altra lettera del presidente della Commissione di vigilanza. L'idea di un presidente di garanzia, eletto dai due terzi della Commissione di vigilanza, serve a ben poco, signori della maggioranza, se il direttore generale continua ad avere tutti i poteri che ha oggi. È sorprendente che abbiate eliminato tutti i riferimenti alla legge del


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1993, che istituiva il consiglio di amministrazione della RAI, tranne quel piccolo comma che stabilisce quali sono i poteri del direttore generale, mandando all'aria, tra l'altro, l'idea secondo cui la nuova RAI dovrà avere un amministratore delegato (laddove il potere dell'amministratore delegato deriva dalle deleghe che gli conferisce il consiglio di amministrazione). Resta, dunque, il vecchio sistema.
Vi è poi un altro passaggio, sempre della lettera della citata Commissione di vigilanza (visto che non lo avete mai citato, ve lo leggo io) : sono rari i casi nei quali una nuova normativa è anticipata in modo tanto preciso dall'esperienza, cosicché se ne possono conoscere gli effetti prima ancora che entri in vigore. Si deve prendere atto che l'esperimento degli ultimi anni, promosso con le migliori intenzioni, non ha funzionato; si è accelerata la tendenza ad un accentramento dei poteri, sempre maggiore, sempre più rigido, nelle mani del direttore generale; contemporaneamente, ha messo radici un'endemica conflittualità fra direttore generale e presidente; il consiglio di amministrazione, a sua volta, ha perduto quasi interamente il suo ruolo. Ebbene, questo è quello che volete.
In conclusione, il presidente della Commissione di vigilanza affermava che se non si interviene nella divisione dei poteri fra consiglio e direttore, se vi deve essere un ruolo di garanzia, allora questo va ricercato nella figura del direttore generale: è lui che andrebbe scelto con i due terzi dei voti e non il presidente.
Anche questa lettera, ispirata alla più seria preoccupazione per lo stato della concessionaria del servizio pubblico, in particolare per quanto riguarda i suoi organi di amministrazione e di gestione, vi è entrata in un orecchio e vi è uscita dall'altro. L'unica cosa che avete accettato di cambiare è contenuta nella proposta emendativa della Lega - non so come definirla - che, come ha ricordato molto bene l'onorevole Bogi, riporta alcune affermazioni totalmente insensate; vale a dire che, d'ora in avanti, la RAI, di fatto, dovrà produrre in modo equilibrato, anche in proporzione al numero degli abbonati del territorio. Il giorno stesso dell'approvazione di quella proposta, l'ex sottosegretario Marano, che oggi dirige Rai 2, dichiarava che il 75 per cento delle produzioni RAI è previsto a Milano: ciò non sta più in piedi, perché, se la produzione della RAI deve avvenire in proporzione al numero degli abbonati del territorio, a Milano non si paga il 75 per cento degli abbonamenti. Avete previsto alcune misure che mi auguro, almeno in aula, vogliate rivedere, perché non stanno veramente in piedi.
Per quanto riguarda il digitale terrestre, vi è un documento della Commissione dell'Unione europea del settembre 2003: so che il sottosegretario lo ha letto, ma voi non lo avete letto o avete finto di non leggerlo? Nel medesimo si afferma quanto segue: nel breve termine, la transizione implica costi e difficoltà significativi, associati alla necessità di operare una modernizzazione tecnica a tutti livelli della catena di valore e di rivedere i meccanismi e le impostazioni relativi allo spettro, concepire servizi interessanti per promuovere la domanda, senza la quale il processo nel suo insieme, il passaggio al digitale terrestre, potrebbe essere insostenibile, dal punto di vista finanziario e politico, e superare lo scetticismo, persino la resistenza, da parte di alcune industrie e di alcuni cittadini e via seguitando. Attualmente nella migrazione alla trasmissione digitale ha influito la situazione nel settore dell'informazione delle comunicazioni, caratterizzato da una disponibilità di capitali limitata. Ciò elimina parte dello stimolo ad accelerare la migrazione ed a liberare frequenze. Per di più, il potenziale di mercato per la televisione interattiva ed i servizi convergenti sta tardando a concretizzarsi e la volontà dei consumatori di pagare per questo processo rimane incerta. Nel frattempo, il progresso è più lento del previsto; vi sono dubbi sul programma di certi paesi in merito allo switch off.
Sono affermazioni della Commissione europea che, a settembre dell'anno scorso, pochi mesi fa, ha pubblicato uno studio


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sul passaggio dallo switch over allo switch off (chi sa a quale Stato si riferisce quando paventa perplessità sul programma di certi paesi). La trasmissione radiotelevisiva sarà interamente digitale un giorno, ma è difficile dire come e quando. In alcuni paesi dell'Unione lo switch over potrebbe essere un processo lungo, dai risultati incerti. Ad esempio, la misura in cui si potranno recuperare frequenze e riallocarle per una maggiore efficienza dipenderà dalle circostanze politiche e dal mercato.
Si tratta, dunque, di un documento, che vi invito a leggere, redatto dall'Unione europea, dopo aver interpellato soggetti non politici, esperti della materia in tutta Europa e confrontato i mercati in tutta Europa sull'evoluzione del digitale.
Vorrei concludere, rifacendomi alle considerazioni che ho svolto all'inizio. Alcuni componenti di questa maggioranza, portando avanti il provvedimento in esame, secondo me, sanno perfettamente di essersi infilati in un cul de sac; non hanno affatto garantito la tranquillità e la salvezza a lungo termine di Retequattro; non hanno affatto risparmiato l'azienda di riferimento da interventi sanzionatori rispetto alla violazione delle regole della concorrenza e del pluralismo nel mercato rilevante della pubblicità e nel mercato rilevante delle frequenze radiotelevisive che, per di più, è normato da direttive europee.
Davvero si può credere che fra cinque mesi vi sarà più pluralismo in Italia, grazie al digitale terrestre? Forse prima, quando avevate previsto il periodo di 13 mesi, ma adesso che il tempo si riduce a cinque mesi ed, in più, dite che saranno previste anche le sanzioni, ci si può credere? Davvero si può pensare che l'antitrust non intervenga, come ha già fatto sulla questione delle frequenze nel caso della RAI e sulla questione dei mercati rilevanti della pubblicità?
Per le regole europee, vale il criterio della verifica della posizione dominante nel mercato rilevante e questo è vero sia che vi sia il SIC sia che non vi sia. Questo ci hanno fatto capire le Autorità!
Se anche l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni allungasse i tempi (dalla legge Maccanico si evince che potrebbe prevedersi un anno e, comunque, fino alla fine della concessione, quindi luglio 2005, può anche restare tutto sospeso), cosa può farvi pensare che non saranno presentati altri ricorsi al TAR e che la Corte costituzionale non verrà di nuovo investita del problema della mancanza di pluralismo nel sistema italiano?
Inoltre, signor sottosegretario, occorre svolgere un breve accenno alla vicenda di Telepiù. In questo caso, avete realizzato un'operazione che non sta in piedi: avete venduto, o avete lasciato vendere, una concessione nazionale ed un'autorizzazione. Infatti, per quanto riguarda Telepiù, una delle reti era soltanto autorizzata.
In ordine al digitale si apre una questione politica relativa alle frequenze di due reti ex Telepiù acquistate da Tarak Ben Amar. Tale acquisto, pur essendo legittimo sotto il profilo antitrust, non lo è sul piano regolatorio. Nel regolamento per il rilascio delle concessioni e nella disciplina di gara era chiaramente previsto che la tipologia di concessione per accesso condizionato fosse diversa da quella delle emittenti in chiaro e non potesse essere trasformata. Ciò per il semplice motivo che i requisiti richiesti per una concessione o per un'altra erano differenti e si voleva evitare un possibile aggiramento degli obblighi previsto per le emittenti in chiaro mediante l'ottenimento di una concessione per emittente pay e per la sua successiva trasformazione.
Il ministero non può consentire alle due emittenti di trasmettere in chiaro: o trasmettono in pay oppure devono riconsegnare le frequenze, perché la trasmissione avviene in violazione della legge. In entrambi i casi ci sarebbero risorse per il digitale. Cosa aspettate? Capisco che, probabilmente, nella vostra logica ciò non avverrà mai, ma mi sembra doveroso affermarlo affinché rimanga agli atti.
Del resto, chiunque, tra coloro che hanno ricevuto la concessione - in particolare, Europa7, che neanche trasmette -, potrebbe ricorrere al TAR, anche chiedendo


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la sospensione delle trasmissioni delle due emittenti fuori legge con un eventuale provvedimento del ministero.
Cosa governa le vostre scelte? Non posso pensare che sia una logica brutale del «prendi i soldi e scappa», tuttavia il dubbio sorge. Infatti, forse riuscite a dare respiro ancora per un anno o un anno e mezzo all'azienda di casa Arcore, ma se Mediaset non entra nell'ordine di idee che i prossimi mesi dovranno servire per cambiare strategia, puntando ad una crescita differenziata, ad innovare e a muoversi su altri mercati, magari persino vendendo una rete a qualche amico compiacente, avrà perso l'ultimo treno. La politica da sola non può più continuare a salvarla!
Mi domando allora: perché, sin dall'inizio, la maggioranza, trattandosi di una materia - come l'informazione - che ha valenza costituzionale, non si è confrontata con l'opposizione? Esiste un'opposizione pensante e ragionevole che ha fornito ripetute prove della sua intenzione di non far del male alle aziende ma, al contrario, di volerle stimolare alla crescita e allo sviluppo nell'interesse generale.
Non pensate che, se insieme avessimo affrontato il nodo nella crescita di Mediaset, del futuro delle nuove tecnologie, della nuova qualità della nostra democrazia, avremmo trovato una strada più lineare e più efficace? Una strada se non in discesa, di certo, non in salita come quella che avete scelto.
Intanto, dovevate convenire sulla necessità di porre fine alla logica del monopolio, aprendo davvero il mercato della televisione del futuro a nuovi soggetti imprenditoriali e diventando voi stessi i protagonisti di una piccola rivoluzione nell'uso delle frequenze, così da liberare quelle occupate in eccesso, che oggi impediscono di attribuire frequenze a chi ne ha diritto.
Pensate ai colossi di dieci o quindici anni fa: c'era Vivendi, Maxwell, Kirch, Bertelsmann, Murdock, Berlusconi. Vivendi è saltato, Maxwell è morto, Kirch ha chiuso, Bertelsmann è ridimensionato, solo Murdock gode di buona salute grazie ad un'espansione internazionale vera e forte. E Berlusconi? Fallite e ridimensionate alcune operazioni all'estero, ha puntato tutto, forse troppo, sullo sviluppo in un solo paese. Una strategia che si potrebbe definire «aziendalstalinista».
Ora, per la qualità della democrazia di un paese, che si vuole europeo e moderno, il prezzo che si deve pagare è, a mio parere, troppo alto. Questa situazione monopolistica, aggravata dal conflitto di interesse di un imprenditore che pretende anche di guidare il paese, non può più reggere. Di questo voi dovete rendervi conto! Voi potrete trarre un respiro per un anno, un anno e mezzo, ma certo non sarà un gran servizio quello che voi fate all'azienda, se quest'ultima non capisce che la politica non potrà mai più difenderla (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Panattoni. Ne ha facoltà.

GIORGIO PANATTONI. Signor Presidente, desidero iniziare questo mio intervento dicendo subito, con grande chiarezza, che il nostro giudizio su questo provvedimento è, senza sfumature e senza incertezze, estremamente negativo; e questo giudizio si estende a tutto il provvedimento e non soltanto a parti dello stesso.
Non è mia intenzione ripercorrere i motivi di questa nostra contrarietà anche perché l'hanno già fatto bene, evidenziando dettagli e motivazioni assolutamente decisive, i colleghi intervenuti. Ritengo anche che i motivi del nostro profondo dissenso siano noti e condivisi da tutto il paese. È curioso, fra l'altro, che ci sia solo una parte di questa maggioranza ad essere convinta di aver ragione; una posizione, a mio parere, francamente scomoda, anche dal punto di vista della storia. Desidero concentrare, in modo abbastanza sintetico, il mio intervento su cosa è successo dal momento del rinvio alle Camere di questa legge da parte del Presidente della Repubblica.
Cosa ha detto il Presidente della Repubblica nel rinviare questa legge alle


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Camere? Ha sostanzialmente detto che questa legge è sbagliata ed inadeguata. Perché? In primo luogo, perché non modifica le attuali posizioni dominanti, anzi le rafforza fallendo, così, l'obiettivo fondamentale di aprire il mercato, invece che consolidarlo, e di chiuderlo. In secondo luogo, conseguenza diretta del punto precedente, questa legge non aumenta il pluralismo; un problema assolutamente fondamentale in una democrazia che fa della comunicazione uno degli strumenti fondamentali per la propria sopravvivenza e per la propria articolazione. In terzo luogo, questa legge non fornisce strumenti di controllo e d'intervento adeguati all'autorità preposta per verificare l'effettivo arricchimento nei processi di trasmissione, cioè delle modalità con cui si raggiungono, con la nuova tecnica, gli utenti. In quarto luogo, questa legge punisce o mette in crisi o non agevola la carta stampata e, quindi, va contro uno dei dettati costituzionali.
Il Presidente della Repubblica, in sostanza, ha detto che questa non è una legge di sistema accettabile e, che quindi, occorre rifarla, tenendo presente il messaggio di rinvio alle Camere, che contiene dei principi molto chiari e molto evidenti, al fine di predisporre una legge di sistema che serva al paese e non solo agli interessi costituiti. Come ha risposto la maggioranza a questo stimolo del Presidente della Repubblica? Secondo la maggioranza, il Presidente della Repubblica ha approvato la struttura e l'impianto della legge, limitandosi a fare soltanto qualche osservazione marginale che sarà possibile recepire effettuando qualche ritocco attraverso degli interventi specifici, rimarcando - sempre a parere della maggioranza - che il Presidente della Repubblica ha detto che questa legge va bene. A me pare che, in questo caso, la contraddizione sia spaventosa, ed è talmente evidente da non richiedere alcun commento. In pratica, il Presidente della Repubblica ha detto che la legge non va bene e la maggioranza ha risposto affermando che il Presidente ha detto che sono bravi. Il Presidente ha detto che questa legge non risponde ai bisogni del paese, e la maggioranza ha risposto sostenendo che il Presidente ha detto che è sufficiente toccare due o tre punti marginali del provvedimento per essere sulla linea da lui indicata.
Perché noi ci siamo opposti a questo modo di approcciare il problema?
Ci siamo opposti perché ritenevamo che il Parlamento dovesse dare una risposta alta ai rilievi del Presidente della Repubblica e non introdurre qualche aggiustamento di comodo; che dovesse esercitare il proprio ruolo di rappresentanza e di costruzione di un sistema utile al paese e non solo a qualcuno; che dovesse esercitare il suo ruolo istituzionale e che non dovesse essere costretto, dall'arroganza di questa maggioranza, ad approvare qualche spostamento di virgola o qualche cambiamento di sostantivo!
Abbiamo proposto di sentire il paese e di svolgere audizioni, chiedendo l'opinione dei soggetti interessati a questo settore. Si tratta di una legge per il paese, non di una legge contro il paese, ed era opportuno ascoltare i soggetti competenti. Li abbiamo ascoltati, ed è emerso che questa legge è sbagliata e non risponde alle esigenze dei cittadini. Ciò non è stato detto dai partiti, non è stato detto solo dai sindacati, ma è stato detto dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dalla Federazione degli editori, da numerosi altri soggetti. Essi hanno sottolineato che tale legge non risolve i problemi che si prefigge di affrontare. Dunque, il paese ha nuovamente e per l'ennesima volta bocciato questa legge, dicendo che non va bene, che è sbagliata, che è inadeguata e che non risponde alle richieste e alle indicazioni del Presidente la Repubblica.
Ritenevamo che a questo punto la maggioranza avrebbe avuto uno scatto di orgoglio, ascoltando il paese che ci chiedeva in modo formale, pesante, direi addirittura aggressivo, di intervenire su alcuni aspetti fondamentali e sull'impianto della legge, al fine di rispondere a una domanda di democrazia e di pluralismo. Si tratta di una domanda fondamentale, che dovrebbe interessare la maggioranza di oggi (nonché, mi auguro, minoranza di domani): i


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diritti in questione sono infatti diritti dei cittadini, sono diritti di tutti, non sono un potere da esercitare quando si è al Governo o da rivendicare quando si è all'opposizione; essi costituiscono uno dei fattori fondanti di una democrazia moderna.
Ma la risposta della maggioranza è stata diversa. Essa ha detto: non mi interessa, si tratta di rilievi di parte, ho ragione io, interverrò su quei punti specifici che anche il Presidente della Repubblica ha citato e che riguardano i problemi più palesi (tanto costa poco). Dunque, pur dando ragione al Capo dello Stato, la maggioranza deve cambiare per non cambiare nulla, ovvero - se vogliamo usare un altro slogan - deve modificare per conservare, deve sorridere e accettare per mantenere. Gli interessi hanno vinto un'altra volta. La grande preoccupazione di questa maggioranza è quella di non cambiare nulla perché non si può, perché non si deve, perché il livello di dipendenza da decisioni esterne a questo Parlamento è talmente elevato che il grado di libertà è inesistente.
Coerentemente, il relatore per la maggioranza per la IX Commissione - mi rincresce che in questo momento non sia presente - ha proposto alcune modifiche.
Egli ha presentato due - lo ripeto: due! - emendamenti di merito. Di fronte all'affermazione che questa legge era sbagliata, il relatore ha presentato due emendamenti di merito. Lo ripeto: due. Non so se è chiaro. Si tratta degli emendamenti 2.1 e 15.2, che vanno letti correttamente insieme, come ci è stato autorevolmente suggerito anche dal Governo. Il primo riguarda il SIC. Ci hanno detto che era troppo grande. È vero, forse è eccessivo sostenere che si debba crescere del doppio. Si può crescere soltanto del 50 per cento, tanto non costa nulla! Si mantiene la struttura del SIC - che tutti hanno detto essere l'unica al mondo incomprensibile ed ingestibile -, tanto si riesce comunque a garantire che questa soluzione sia vantaggiosa per chi oggi è monopolista. Non costa molto correggere il SIC un po'! E questo emendamento lo ha corretto un po'.
Cosa ha fatto il secondo emendamento di merito? Ha ripreso testualmente il testo del decreto-legge, creando un ingorgo devastante: viene cioè inserita in questa proposta di legge parte di un testo che, nel frattempo, è all'esame del Senato, modificandolo. In sostanza, il testo del decreto-legge e il testo della proposta di legge si rincorreranno disperatamente, nel territorio di cercare un minimo di coerenza. E tuttavia, poiché serviva dare una risposta al Capo dello Stato, il relatore ha inserito parte del testo del decreto-legge nella proposta di legge in esame.
Questi sono i due emendamenti di merito. Oltre a questi, ci sono gli emendamenti relativi alle pronunce della Corte costituzionale, che ha dichiarato non accettabile la questione dei trasmettitori e degli impianti. Poi, ci sono gli emendamenti che modificano le date, visto che l'approvazione della legge era prevista entro il 31 dicembre 2003, ma, per bene che vada, non sarà approvata prima di aprile o maggio 2004.
È curioso che abbiamo dovuto farvelo notare noi! Abbiamo dovuto sottoporre il problema persino al Presidente della Camera, facendo notare che nel testo originale del provvedimento si fa riferimento al 31 dicembre 2003 e che, forse, sarebbe stato opportuno scrivere: «a tre mesi dall'entrata in vigore della legge». Anche questa sembrava una modifica rivoluzionaria. Forse, si interviene troppo. Non bisognava cambiare. Bisognava conservare. Non erano queste le indicazioni provenienti dall'esterno del Parlamento!
Poi, ci sono stati due emendamenti presentati dai partiti della maggioranza. Il primo dei due proroga dal 2008 al 2010 il divieto di incrocio tra TV ed editoria. È modesto. L'altro - stupefacente - prevede che l'invenzione, le produzioni e la distribuzione dei programmi televisivi sia correlata al numero di abbonamenti. Grande rivoluzione leghista in Italia! Pluralismo territoriale, si è detto. Si ricostruisce l'intero impianto della televisione pubblica in Italia perché, oggi, i centri di produzione non obbediscono a questa regola. Ma, tant'è. Siccome siamo in epoca di verifiche


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di Governo, bisogna dare qualcosa a qualcuno: un pochino a tutti. Questa soluzione, in fondo, era inapplicabile: tuttavia, costava poco e, quindi, si poteva proporre. Questa è stata la risposta.
Quali sono state le reazioni dei partiti? Abbiamo recepito che perfino qualche partito della maggioranza non era d'accordo su questo approccio, in modo molto soft, senza pungere troppo, perché - si sa - dentro una maggioranza si richiedono molta cortesia e molto tolleranza. Abbiamo persino chiesto, scherzosamente, ad un partito della maggioranza se volesse nominare il relatore di minoranza, perché ci sembrava che avesse argomenti forti e che, almeno in apparenza, volesse portarli avanti. La tentazione è stata forte ma, naturalmente, hanno vinto di nuovo la cautela e la sottomissione. Non insisto. Non vado oltre, perché mi pare che l'arroganza della maggioranza e la volontà di difendere gli interessi del Presidente del Consiglio siano talmente chiare ed evidenti a tutti che insistere su questo punto significherebbe sottolineare una grande banalità. Lo sa tutto il paese. Lo abbiamo detto in tutti i modi possibili. Qui assistiamo ad una rappresentazione curiosa: fingendo, si dichiara che si sta facendo una grande cosa. In realtà, si obbedisce e basta.
Ovviamente, noi non siamo d'accordo. Pensiamo che il Parlamento sia stato privato di una delle sue funzioni fondamentali. Mi permetto di dire - lo abbiamo già detto tanto tempo fa: avevamo ragione e il paese se ne sta accorgendo - che il regime sta avanzando, che questo Parlamento è un impiccio perché gli interessi devono avere mano libera. Questo Parlamento non può permettersi di porre problemi di carattere generale, non può permettersi di lavorare per gli interessi del paese. È assoggettato a qualche interesse particolare, e questa è la storia che stiamo vivendo.
Come concludere questo intervento? Vorrei fare qualche osservazione, che non è amara, ma giusta, che non è pessimistica, ma corretta: è lo specchio di una situazione molto complessa e delicata.
In primo luogo, abbiamo perso l'occasione di fare una legge di sistema utile al paese. Questa non è la legge di sistema, non risponde ai requisiti che dobbiamo realizzare. È una cosa diversa, in questo modo la capiranno tutti, così sarà forse applicata, perché credo che di buchi, di contraddizioni, di elementi di incostituzionalità ne abbia talmente tanti che avrà una vita molto travagliata. Servirà per gestire un breve periodo transitorio, ma non credo che darà risposte adeguate sul medio periodo. Ha ragione Carlo Rognoni quando afferma che, probabilmente, questa legge obbedisce a una logica di breve periodo, tipica del capitalismo moderno: i soldi subito, secondo una logica più finanziaria che industriale; poi ci aggiusteremo, faremo qualcosa. Adesso poi siamo addirittura al Governo, qualche legge di tutela saremo pur capaci di metterla in piedi!
In secondo luogo, con questa legge abbiamo condizionato i prossimi dieci anni di vita del paese in un settore che è strategico: ciò è riconosciuto, lo dice tutto il mondo. In altre parole, abbiamo inventato la via italiana alla società della comunicazione. Unici al mondo: non esiste un'altra situazione come la nostra. Devo dire che non esiste una storia come la nostra, ma le due cose sono strettamente collegate.
In terzo luogo, abbiamo fatto un grande sgarbo al Presidente della Repubblica: abbiamo fatto finta di fargli credere che aveva formulato delle osservazioni giuste, e poi abbiamo risposto il contrario. Ci siamo guardati bene dal tradurre in pratica con questa legge le indicazioni del Presidente della Repubblica. Ritengo che questo sia uno sgarbo istituzionale enorme. Qualcuno ne risponderà, credo, perché ha fatto una cosa brutta, ma importante.
La quarta osservazione sarà pure banale, ma è bene che risulti agli atti: abbiamo fatto per l'ennesima volta un favore al padrone Presidente del Consiglio. Non è la prima volta; è l'ennesimo favore che gli facciamo, probabilmente non sarà neanche l'ultimo, ma qui lo facciamo in modo venale, cioè gli diamo dei soldi. In


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altre parole, gli concediamo di fare tanti soldi. Faceva un'annotazione giusta il relatore per la maggioranza e presidente della nostra Commissione, dicendo che in fondo si tratta di una delle poche aziende in Italia che fa utili. La risposta è che è vero...

PRESIDENTE. Il tempo a sua disposizione è scaduto, onorevole Panattoni.

GIORGIO PANATTONI. Ho finito, signor Presidente. Ho citato il presidente della IX Commissione, quindi devo almeno concludere la citazione!
Dice il presidente della IX Commissione che quella del Presidente del Consiglio è una delle poche aziende che realizza utili nel paese. È vero, ma come li fa? Al posti di chi? Li fa in Italia, ma con che cosa? Con quali regali del Parlamento? È un tema interessante; magari, possiamo organizzare un convegno su di esso!
Concludo, dicendo in modo molto chiaro che noi non ci stiamo. Vogliamo essere diversi; non vogliamo partecipare a questo gioco.
Chiederemo al paese di reagire in tutti i modi possibili. Sappiamo, capiamo che la società della comunicazione è un'altra cosa rispetto a strutture di comodo e agli interessi costituiti. Questa è una partita che probabilmente perderemo. Ci auguriamo, però, che il paese vinca il campionato, cioè la partita finale, perché spero, per l'interesse del paese, che queste situazioni abbiano vita davvero breve (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Merlo. Ne ha facoltà.

GIORGIO MERLO. Signor Presidente, avverto una certa stanchezza nel riproporre per l'ennesima volta - la quinta, mi pare - temi e argomenti che sono già stati ampiamente dibattuti, attorno ai quali c'è già stato un ampio confronto e ai quali, alla fine della fiera - dobbiamo essere molto chiari -, non è stata data una risposta - questa è la nostra opinione - concreta e convincente da parte del Governo.
Poche le novità significative, se non inesistenti, dopo il rinvio del Presidente della Repubblica di questo provvedimento alle Camere, come è già stato detto stamattina. Molte le preoccupazioni sul futuro di un settore che continua ad essere esposto al vizio perdurante, molte volte denunciato, della colonizzazione e dell'egemonia. Soprattutto, crescono le preoccupazioni in merito ad alcuni aspetti decisivi della vita civile e della vita associata, come il capitolo del pluralismo, che rischia di essere ferito in modo irreversibile, la cultura del monopolio, che si è rafforzata e non è diminuita. Soprattutto, prosperano i segni, frutto probabilmente anche di questo problema non risolto, di una forte attenuazione della libertà di informazione e soprattutto di scarsa propensione al mercato. Sono tutti elementi che portano ad una certa delusione nel parlare di riassetto del sistema radiotelevisivo, soprattutto perché non sono stati risolti alcuni problemi che ormai da anni vengono denunciati periodicamente alla pubblica opinione.
Come dicevo, è imbarazzante porre interrogativi e sollecitare risposte - peraltro non pervenute - in merito ad un tema decisivo per il futuro della nostra democrazia, quale quello della riforma del sistema radiotelevisivo e, soprattutto, della riforma della RAI. Si tratta di un provvedimento che continua a violare - anche alla luce delle ultime correzioni apportate - principi, valori e regole fondanti del nostro ordinamento giuridico.
Il provvedimento, del resto, è della maggioranza e del Governo. Lo avevamo già detto durante il precedente dibattito in questa sede: è stato pensato, scritto, presentato e già votato più volte, non contro - almeno immagino - la volontà del Presidente del Consiglio. Credo che questo sia opportuno ricordarlo a tutti, perché forse potremmo anche scoprire, come avvenne per la legge sulle immunità, che il Presidente del Consiglio era contrario.


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Ma l'aspetto che secondo noi continua ad essere più grave, in tutto questo dibattito, è la continua e perdurante sottovalutazione del duplice messaggio del Presidente della Repubblica, il primo di 15 mesi fa, il secondo di qualche settimana fa. Credo che con la legge Gasparri si garantisca un elemento che è stato più volte denunciato come quello che inquina profondamente il nostro sistema ed è anche all'origine dell'anomalia del sistema italiano. Questa legge garantisce, cioè, al proprietario di Mediaset che le sue televisioni e soprattutto il suo impero editoriale non saranno toccati né dai limiti antitrust - qualcuno di noi ha parlato anche di una legislazione pro trust -, né soprattutto dalle sentenze della Corte costituzionale.
La stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni del nostro paese ha lanciato un allarme su questo tema in tempi non sospetti, che è rimasto largamente inascoltato. L'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha denunciato le distorsioni gravi operate da questa legge, anche nelle più recenti audizioni, ma anche sotto questo profilo è stata ignorata.
Si dice che in Parlamento vi sia una maggioranza che può fare quello che vuole. Verificheremo, anche nei prossimi giorni, se per esempio l'UDC sia di questa opinione.
Anche sotto questo profilo, vorrei ribadire che non è vera la tesi secondo cui è possibile fare ciò che si vuole, perché anche per una maggioranza parlamentare, come quella che attualmente governa il nostro paese, vale il principio che in qualsiasi democrazia esistono limiti invalicabili. È bene ricordare, poi, che la maggioranza di quest'Assemblea nel paese non è maggioranza, bensì minoranza.
Per tornare all'oggetto della nostra discussione, credo sia importante ricordare un altro aspetto. Il provvedimento in esame avrebbe dovuto riordinare il sistema radiotelevisivo, come ha affermato il sottosegretario Innocenzi in un precedente intervento in questa sede, rendendolo più moderno, più aperto e non più incentrato esclusivamente sui due poli, RAI e Mediaset. Siamo dell'opinione che tale provvedimento fallisca il raggiungimento di questo obiettivo; anzi, peggio ancora, lo ignori. Per la verità, esso persegue altri obiettivi, questi sì raggiunti. Si tratta di obiettivi strategici, destinati a pesare e ad incidere, negli anni futuri, sul modo di fare televisione, di produrre cultura e di fare opinione.
Per quanto riguarda la televisione, in particolare, il testo produce tre effetti distorcenti, che vorrei brevemente richiamare. Tali effetti sono stati già ampiamente affrontati nel corso delle ultime settimane, tuttavia ritengo si tratti di tre aspetti discriminanti che bloccano, nei fatti, una vera riforma del settore.
Il primo effetto è che si colpisce la RAI e la sua credibilità. Credo che, in questi ultimi tempi, ciò sia stato ampiamente confermato: c'è la diretta concorrenza di Mediaset, il ruolo centrale del servizio pubblico, evocato dal Presidente della Repubblica, è stato colpito ed è ignorato dalla cosiddetta legge Gasparri. Penso sia questo il primo obiettivo che voi raggiungete con il provvedimento in esame.
Il secondo obiettivo è che la cosiddetta legge Gasparri sbarra la strada a tutti i potenziali concorrenti di Mediaset che dovessero affacciarsi nel mercato radiotelevisivo, ostacolandoli. Vorrei osservare, al riguardo, come fosse stato affermato che uno degli elementi fondamentali di tale provvedimento era l'esaltazione del libero mercato e della libertà di informazione.
Il terzo rilevante obiettivo della cosiddetta legge Gasparri è la rimozione degli ostacoli posti dalla Corte costituzionale e dalla stessa legge Maccanico: si ignora, infatti, la sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2002, la quale prevedeva, come è noto, che Retequattro dovesse passare sul satellite. In altri termini, sarà varato - se sarà varato - un provvedimento che garantisce, per il futuro, l'attuale posizione dominante di Mediaset nel mercato della raccolta pubblicitaria e che aggira e bypassa la sentenza della Corte costituzionale. Soprattutto, esso ignora la domanda per la raccolta pubblicitaria avanzata dalle piccole emittenti e sferra


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un colpo decisivo alla raccolta nel settore della carta stampata (giornali e quotidiani).
Si tratta di un atteggiamento che conferma la valanga di sospetti che circonda il testo al nostro esame. Sospetti che provengono non solo dalle forze politiche, come è stato già ricordato, ma anche dalle autorità di garanzia, dalla cultura e dalla società. Si tratta di un provvedimento-burla, che mette definitivamente in discussione la salvaguardia del pluralismo e lo stesso rafforzamento della democrazia.
La cosiddetta legge Gasparri sancisce esattamente l'opposto: stabilisce, cioè, che ciascuno conservi ciò che possiede; per di più, le posizioni dominanti vengono legalizzate e possono ulteriormente espandersi. Sotto questo profilo, sono state fornite indicazioni inequivocabili nel corso delle diverse audizioni svolte in sede di Commissioni riunite.
Vorrei soffermarmi, tuttavia, su uno di questi tre aspetti, che restano quelli maggiormente critici del provvedimento, vale a dire sulla mancata riforma della RAI. Infatti, non solo non si è proceduto verso una vera privatizzazione, ma è opportuno rilevare soprattutto, per l'ennesima volta, la mostruosità del sistema di elezione del suo vertice, perché tale sistema unisce la parte peggiore del sistema proporzionale e del sistema maggioritario.
Ci troviamo di fronte, cioè, ad un vertice RAI che avrà non solo i difetti del sistema proporzionale (per capirci, quello esistente prima del 1993, con tanti consiglieri che fanno riferimento a tanti partiti), ma anche quelli del maggioritario, ossia un vertice asservito al Governo che cambia ogni volta che interviene un mutamento di maggioranza, secondo un sistema ispirato al cosiddetto spoil system. Queste sono le due malattie da combattere, che ritroviamo nel sistema RAI. E si tratta di un aspetto non risolto dal provvedimento in esame.
Vorrei altresì sottolineare che non si capisce fino in fondo quale sia l'interesse di Mediaset sotto tale profilo. Infatti, alla lunga, anche Mediaset finirà per essere danneggiata da questa velata prepotenza. Da quando Berlusconi ha vinto le elezioni, Mediaset, per la prima volta nella sua storia, ha superato la RAI in ascolti. Inoltre, da quando Berlusconi ha vinto le elezioni, Mediaset, per la prima volta nella storia, ha superato, nella raccolta pubblicitaria, l'intero comparto della carta stampata. Credo che anche questa sia una pesante anomalia rispetto a tutto il mondo democratico occidentale: un solo gruppo televisivo raccoglie più pubblicità di tutta la carta stampata messa insieme (quotidiani, periodici e settimanali)! Non accade da nessuna parte!

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI (ore 11,30)

GIORGIO MERLO. Per correggere tale anomalia, sarebbe stato opportuno, forse, recepire qualcuna delle indicazioni emerse nel dibattito parlamentare nel corso delle cinque letture del provvedimento.
Di fronte a questi elementi, l'opinione pubblica europea si pone alcune domande, alle quali è difficile dare una risposta convincente.

PRESIDENTE. Onorevole Merlo...

GIORGIO MERLO. Abbiamo perso una grande occasione. Un testo come quello che è stato portato all'esame di quest'Assemblea non risolve i problemi, ma crea le condizioni per un rapporto distorto tra cittadini ed informazione e, soprattutto, tra la difesa e la garanzia della democrazia ed il superamento di ogni situazione di monopolio.
Temo che, perdendo quest'occasione, si produrranno effetti devastanti sulla nostra democrazia, sul mantenimento del nostro sistema democratico.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bulgarelli, al quale ricordo che dispone di otto minuti. Ne ha facoltà.

MAURO BULGARELLI. Signor Presidente, come purtroppo era prevedibile, il provvedimento che è ritornato all'esame


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della Camera è, di fatto, impermeabile alle critiche ed alle sollecitazioni di radicale revisione che, nelle settimane passate, sono pervenute da molte autorevoli fonti. Mi riferisco non solo alla bocciatura da parte del Capo dello Stato, che mi permetto di definire un atto dovuto sotto il profilo istituzionale, ma anche alle inequivocabili e perentorie censure provenienti dal presidente dell'antitrust, dall'Authority per le comunicazioni, dall'Unione europea, nonché dalla più autorevole stampa internazionale.
Questa pluralità di voci ha sanzionato come illiberale ed incostituzionale il progetto di legge di riforma del sistema radiotelevisivo e, nel fare ciò, ha riverberato un diffuso, comune sentire che avvertiva il varo della cosiddetta legge Gasparri come un gravissimo pericolo per la democrazia, un vulnus difficilmente sanabile. Il cuore di queste critiche allarmate era sostanzialmente unico: lo spirito antidemocratico di tale provvedimento non può essere emendato con un semplice lifting, bensì può essere debellato soltanto demolendone l'impianto strategico, che assegna odiosi privilegi all'interesse privato del Presidente del Consiglio. Del resto, non potrebbe essere altrimenti, se pensiamo che la legge Gasparri nasce con il preciso intento di preservare la «monarchia» Mediaset, fortificandola mediante la cannibalizzazione di ciò che resta del servizio pubblico, la RAI, fino a creare un vero e proprio mostro giuridico e mediatico: «RAISET»!
Ora, com'è stato da più parti sottolineato, gli articoli che le Commissioni riunite hanno deciso giungessero alla nostra attenzione (decisione ratificata dal voto dell'Assemblea) costituiscono un'evidente limitazione, oserei dire una violazione, delle motivazioni indicate dal Presidente della Repubblica a fondamento del rinvio alle Camere della legge Gasparri.
Questa illegittima perimetrazione, questa blindatura della discussione, oltre che ferire la sovranità del Parlamento, che avrebbe avuto il diritto di ripensare, collegialmente, la filosofia del provvedimento, ribadisce implicitamente l'impostazione ad personam che lo caratterizza. Se la Gasparri è una legge di sistema - e in effetti lo è, considerato che essa ambisce a ridisegnare il panorama dell'emittenza radiotelevisiva in Italia -, perché se ne possono discutere soltanto gli aspetti secondari e non anche quelli essenziali, la cui illiceità pure ha determinato la bocciatura da parte del Quirinale? Ciò, a maggior ragione, dopo che il Presidente della Repubblica ha sostenuto, richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 1985, che in materia di raccolta pubblicitaria occorre evitare il pericolo che la radiotelevisione, inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento della libera stampa, rechi grave pregiudizio ad una libertà che la Costituzione fa oggetto di energica tutela? Non si discute del comma 7 dell'articolo 15, quello relativo alla materia della pubblicità e delle telepromozioni.
Occorre rilevare che le preoccupazioni del Quirinale sono sostanziate da dati inoppugnabili. I tetti previsti dalla legge Gasparri per la raccolta pubblicitaria assegnano una posizione di favore all'emittenza televisiva economicamente più potente e sabotano la concorrenza nella raccolta delle risorse pubblicitarie, con Telecom, ad esempio, bloccata al 10 per cento, a tutto vantaggio di Mediaset e a tutto discapito della carta stampata.
Vi è un'ulteriore preoccupazione, fermo restando che sono d'accordo con i colleghi che mi hanno preceduto: mi interessa vedere il contesto nel quale verrà applicata la legge Gasparri. Questo, per ricordarvi in che stato versa la democrazia dell'informazione in Italia. Se ne è accorta l'organizzazione internazionale «Reporter senza frontiere», la quale assegna al nostro paese, in materia di libertà di informazione, uno degli ultimi posti della classifica mondiale, precisamente dopo lo Stato africano del Benin, e l'ultimo posto in Europa. A chi ritenesse ingenerosa tale collocazione, mi limito a ricordare che, nel nostro paese, soltanto negli ultimi mesi, è stata soppressa una trasmissione di satira, quella della Guzzanti, perché lesiva dell'immagine del Presidente del Consiglio; che ad un giornalista, Michele Santoro,


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nonostante un giudice del lavoro abbia stabilito che andasse reintegrato nelle sue funzioni, continua ad essere impedito di apparire in video; che l'emittente del magnate Murdoch è giunta a mandare in onda senza audio l'ultimo spettacolo di Dario Fo e Franca Rame, dietro sollecitazione del senatore Dell'Utri; che le celebrazioni per il decennale del partito del premier, come molte altre trasmissioni in onda sulla RAI, sono state appaltate ad un service privato, abituale fornitore di Mediaset, nonostante la RAI abbia tutti i mezzi per operare in proprio. Tutto ciò, solo per restare agli avvenimenti recenti, perché altrimenti dovremmo ritornare sul confino virtuale di Biagi, Luttazzi e Grillo, sulle minacce di chiusura indirizzate al programma «L'elmo di Scipio», sulle performance inquisitorie di Socci, e su molto altro ancora.
Negli ultimi giorni, tuttavia, a mio avviso sono accadute alcune cose straordinarie. I lavoratori di «RAI news 24», l'unica esperienza televisiva davvero significativa in campo digitale che qualcuno, di stanza a viale Mazzini, vorrebbe «italianamente» ribattezzare «RAI notizie», hanno incrociato le braccia dopo che era stato minacciato il licenziamento di alcuni loro colleghi precari; e lo hanno fatto nella maniera più intelligente, autogestendo un palinsesto di ventiquattr'ore e riempendolo di dibattiti e testimonianze sul mondo del lavoro, sulle nuove figure atipiche e intermittenti, sulle anomalie del sistema informativo italiano.
Non solo. È notizia di questi giorni che decine di giornalisti della redazione di RAI Uno, schierandosi con una vicedirettrice dimissionaria, si sono pubblicamente dissociati dalla posizione del direttore Clemente Mimum, ritenendo intollerabile, sotto il profilo professionale, la gestione a senso unico dell'informazione; persino in casa Mediaset l'aria è ormai irrespirabile, se i giornalisti del programma di Canale 5 «Terra» hanno deciso di entrare in agitazione per l'improvvisa cancellazione della loro trasmissione in favore di uno speciale celebrativo del decennale berlusconiano.
Quelli che ho ricordato sono, a mio avviso, importantissimi atti di disobbedienza civile, qualcosa di inedito che travalica la pura vertenza sindacale, che non segnala un semplice atteggiamento di resistenza, ma allude ad una presa in carico responsabile e costruttiva del ruolo di operatori dell'informazione e soprattutto, nel caso di «RAI news 24», prefigura un modo nuovo, cooperante e creativo di conciliare la difesa dell'occupazione con quella della democrazia.
In altri termini, questi atti di disobbedienza segnalano la gravità della situazione, ma indicano soprattutto la necessità di fare un salto di qualità nell'opposizione a questo Governo; sono un messaggio che tutti quanti faremmo malissimo a non considerare, o peggio a tentare di ricondurre nell'alveo delle relazioni aziendali e delle compatibilità dettate dagli equilibrismi fra gli schieramenti politici.
La posta in gioco, infatti, a mio avviso, è più alta e va molto oltre la battaglia, pur sacrosanta, per impedire che questa legge sciagurata entri in vigore; detto in altri termini, sarebbe un pericoloso fraintendimento ritenere esaurita, qualora la legge Gasparri, come auspico, fosse neutralizzata, la battaglia per un'informazione democratica in Italia.
Questa legge non nasce per caso, ma è il risultato di un processo ventennale di monopolizzazione dei canali di accesso alla comunicazione; è figlia del più gigantesco conflitto di interessi dell'occidente e insidia direttamente il servizio pubblico fino ad annientarlo potenzialmente, proprio perché esso pubblico non lo è da molto tempo, schiacciato da un'aberrante logica di lottizzazione, che ha spinto i vari Governi a considerare la televisione sempre megafono della maggioranza, strumento di controllo e di manipolazione delle coscienze.
Quando noi, nel corso del lungo dibattito che ha accompagnato l'iter della legge, abbiamo posto il problema della valorizzazione di esperienze che hanno messo in radicale discussione il modo stesso di fare televisione - parlo, ad esempio, delle televisioni di strada (le telestreet) - alludevamo


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alla necessità di una rivoluzione copernicana dello stesso concetto di pubblico. È chiaro che, sui grandi temi della lotta al monopolio mediatico, della salvaguardia delle nuove espressioni e della comunicazione dal basso, sarà necessario nei prossimi mesi, al di là delle sorti di questo progetto di legge, condurre tra la gente una grande battaglia di civiltà; una sfida alta, perché mira a far giocare la televisione contro la televisione - chi ha mai detto che quella attuale è l'unica televisione possibile - , ma anche una formidabile opportunità di democrazia, poiché in gioco, oltre alla libertà dell'informazione del nostro paese, sono direttamente i diritti basilari dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Grignaffini. Ne ha facoltà.

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Signor Presidente, svolgerò alcune brevi considerazioni, un po' perché molti colleghi mi hanno già preceduto nella esplicitazione dei punti salienti di questo progetto di legge, un po' perché anch'io avverto la stanchezza di ripetere, da circa due anni in Commissione e in Assemblea, le stesse motivazioni e argomentazioni.
Tra l'altro, non ci consola il fatto che le nostre argomentazioni - la cui articolazione deriva anche da molte valutazioni fatte dalle autorità indipendenti, che abbiamo ascoltato nel corso delle lunghe audizioni - siano le stesse argomentazioni con cui il Presidente della Repubblica ha rinviato questa legge alle Camere, a testimonianza che l'opposizione ha svolto con coscienza istituzionale il proprio lavoro, inascoltata dalla maggioranza.
Vorrei cominciare con una prima considerazione di carattere politico. Noi ci saremmo aspettati da questa maggioranza almeno una prova di coraggio, un'operazione radicale di lifting di questa legge. Infatti, per fare un lifting ci vuole del coraggio, come ci ha ricordato il Presidente del Consiglio! Si tratta di un atto di trasformazione, si sottopone il proprio corpo ad una vera mutazione, non dico di sostanza, ma molto radicale. Bene, questa maggioranza, di fronte alle prese di posizione delle autorità indipendenti, al messaggio del Presidente della Camera, non ha avuto il coraggio di fare altrettanto e si è limitata furbescamente ad applicare un po' di cerone alle rughe più vistose. Ma, come sapete, il cerone molto rapidamente va a male e molto rapidamente rivela i propri trucchi. Ce lo ha ricordato il collega Rognoni; forse i correttivi apportati dalla maggioranza a questa legge non arriveranno all'estate, perché ci saranno di nuovo le sentenze della Corte costituzionale, perché ci saranno i ricorsi al TAR, perché ci sono le direttive europee, perché ci saranno le indagini dell'Autorità antitrust.
Che cosa fa in sostanza questa spruzzata di cerone effettuata dalla maggioranza? Si limita ad intervenire sui punti più vistosamente segnalati nel messaggio dal Presidente della Repubblica - la definizione del SIC, la definizione della fase transitoria dell'avvio del digitale terrestre e della possibilità di monitorarla - e li ridefinisce in modo del tutto superficiale.
Infatti, ridurre la quantità di prodotti e di servizi contenuti all'interno del SIC, come di fatto propone l'emendamento del relatore per la maggioranza per la IX Commissione Romani, non significa essere capaci di affrontare la questione di sostanza che è stata posta dall'Autorità antitrust con riferimento alla definizione del SIC come entità giuridica ed economica del tutto evanescente.
In altri termini, ciò che non funziona nel SIC non è la quantità dei prodotti che vi sono elencati (certo, anche questo), ma il fatto che questi ultimi non rispondono al principio del mercato rilevante ed al principio della sostituibilità dei prodotti stessi (quindi, nell'applicare regole antitrust occorre riferirsi al prodotto e al consumo e non al sistema industriale). In altri termini, se un operatore economico decidesse di produrre una bicicletta, un panino, un aereo, una nave, una televisione e così via, valuteremmo il mercato in base alla quantità di prodotti che sono nel paniere di


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un'azienda che diversifica la propria offerta? No. Ogni regola e meccanismo antitrust può essere applicato a partire dal principio della sostituibilità del prodotto e dell'incidenza al consumo. Dunque, questa trasformazione di facciata non modifica la questione fondamentale del SIC.
Tuttavia, neppure le modificazioni introdotte al percorso di avvio del digitale ed alle modalità con cui lo stesso può essere monitorato e certificato dall'autorità competente rispondono alla domanda primaria. Lascio da parte il fatto che si tratta di una norma che troviamo in due provvedimenti distinti: da una parte, nel cosiddetto decreto salva Retequattro e, dall'altra in questo testo unificato. Anche in tal caso, mi interessa sottolineare il principio. Infatti, con riferimento alle modalità con cui si conferiscono all'Autorità i poteri di verificare la fase di avvio e di reale diffusione del digitale terrestre, ancora una volta ci si limita a formulare definizioni del tutto virtuali, che non vanno ad accertare l'effettività della ricezione dei programmi trasmessi in tecnica digitale terrestre, ma si limitano a verificare la potenzialità trasmissiva (puramente virtuale) e la presenza sul mercato (anch'essa puramente virtuale) di un congruo numero di decoder. Vale a dire che la virtualità tecnica (trasmissione più strumenti di ricezione) viene a sostituirsi all'effettiva capacità ricettiva. Per dire che il digitale è diffuso nel nostro paese dobbiamo sapere quanti utenti finali ricevono programmi continuativi giornalieri trasmessi in tecnica digitale; di tutto ciò la legge non tiene conto. Quindi, in questo caso, si tratta di due rimodellamenti puramente di facciata, che non toccano la sostanza dei problemi.
Vi era un'unica via maestra per affrontare la sostanza reale dei problemi che è stata evidenziata dalla sentenza della Corte costituzionale, dall'Autorità antitrust e dal messaggio del Presidente della Repubblica: mi riferisco alla questione del pluralismo, sia dal punto di vista dei suoi profili espressivi (articolo 21 della Costituzione) sia dal punto di vista dei suoi profili di mercato (articolo 41 della Costituzione). L'unica via maestra sarebbe stata quella di occuparsi veramente del processo di riassegnazione delle frequenze. Sono infatti le frequenze la base di quel sistema di pluralismo di cui stiamo discutendo. È il tema dell'occupazione illegittima delle frequenze, sanzionata poi da leggi ad hoc ed ex post - come ci ricorda la sentenza della Consulta -, che doveva muovere l'effettiva volontà e capacità di aprire il sistema dell'informazione.
Dunque, si trattava - come ci ricorda la Comunità europea e come tutti paesi europei hanno fatto nella fase di avvio delle trasmissioni in tecnica digitale - di analizzare e monitorare il sistema delle frequenze, di riallocare le frequenze stesse in base a criteri antitrust, e di offrire, attraverso gare trasparenti e certe, la possibilità a nuovi soggetti di accedere ai nuovi mercati, acquisendo tali frequenze. Invece, è proprio quello che non si fa con questa legge di sistema.
Voglio chiudere il mio intervento, ricordando un paradosso; nel corso delle lunghe discussioni svolte, ad un certo momento, noi dell'opposizione abbiamo detto alla maggioranza: se avete il problema di salvare Retequattro, perché andate a scomodare una legge di sistema che blocca e rende più disagevole l'avvio del digitale nel nostro paese? Limitatevi ad un decreto e risolvete le vostre questioni interne. Adesso il decreto ce l'abbiamo in quanto siete stati costretti a farlo.
Il problema è che questi due provvedimenti stanno insieme perché si occupano l'uno del presente immediato e l'altro del futuro; infatti, con il decreto «salva Retequattro» ci si occupa della contingenza, di cosa succederà nei prossimi mesi e di come scavalcare la sentenza della Consulta che fissava al 31 dicembre 2003, la data per il trasferimento sul satellite di Retequattro. Si trattava, però, non solo di tutelare Retequattro dalla necessità di liberare risorse, cioè frequenze, e di trasmettere sul satellite, ma anche di garantire la posizione di monopolio dell'attuale operatore privato, cioè Mediaset, nell'avvento del digitale.
Quindi, ci troviamo di fronte ad un decreto che salva l'esistente, aggirando la


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sentenza della Consulta, e ad un progetto di legge che si rende necessario perché il digitale potrebbe essere davvero una possibilità di libertà e di espressione di nuovi soggetti entranti; ma con le modalità con cui è costruito, si protegge, di fatto, il monopolio dell'operatore privato dall'arrivo di nuovi soggetti nel settore del digitale. Ciò non viene detto solo dall'opposizione: lo ha affermato anche il Garante, nel corso delle audizioni presso le Commissioni trasporti e cultura. Si tratta quindi di un provvedimento preventivo che garantisce che il monopolista illegittimo di oggi sarà anche, per legge, il monopolista illegittimo di domani.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gentiloni. Ne ha facoltà.

PAOLO GENTILONI SILVERI. Il dibattito che stiamo avviando - come sappiamo bene - non è semplicemente una nuova lettura del provvedimento da parte della Camera dei deputati, in quanto l'origine dello stesso è molto concreta e seria. Occorre prendere le mosse dal messaggio di rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica, al quale dobbiamo certamente attenerci. Tutte le forze politiche e parlamentari, peraltro, hanno detto che si riferivano ai contenuti di quel messaggio con rispetto istituzionale, anche se - lo ricorderete, onorevoli colleghi - ci fu subito una differenza di interpretazione nell'ambito delle forze parlamentari tra coloro che sostenevano che tale messaggio affrontava questioni particolari e specifiche non fondanti della legge e chi - come noi dell'opposizione, a ragione - ha sempre sostenuto che esso affrontava invece le colonne portanti della legge stessa, o almeno tre delle quattro colonne (la legge ha un quarto pilastro che riguarda la RAI, che a noi non piace, ma sul quale il Presidente della Repubblica non ha riscontrato rilievi di costituzionalità).
Quindi, dal nostro punto di vista, il dibattito dovrebbe avere come riferimento il messaggio del Presidente, che ha messo in discussione tre dei quattro pilastri fondamentali della legge Gasparri. Cosa succede di questi tre pilastri? Come verranno modificati tenendo conto dei rilievi del Presidente della Repubblica? Si tratta di rilievi - lo voglio sottolineare per il dibattito svoltosi in Commissione, anche se sarebbe scontato dirlo - non di merito. Ci mancherebbe che il Presidente della Repubblica avesse una sua opinione sulle frequenze o sul digitale terrestre. Il Presidente della Repubblica muove rilievi di costituzionalità ed indica al Parlamento questioni che, se non vengono affrontate e risolte, lasciano aperti problemi di costituzionalità.
Se non affrontiamo e non diamo risposta ad alcuni dei rilievi del Capo dello Stato non contrapponiamo una nostra opinione ad altra opinione sul merito di una legge, ma lasciamo aperto un fortissimo rilievo di non costituzionalità. Ciò nel nostro ordinamento, come i colleghi sanno bene, produce un seguito, dato che le leggi possono essere portate al vaglio della Corte costituzionale.
I tre rilievi del Presidente della Repubblica sulle tre colonne portanti sono mossi da ragioni di costituzionalità del contenuto della legge. Il primo di tali rilievi, quello relativo alla sentenza n. 466 della Corte costituzionale riguardante il problema delle reti eccedenti, quindi di Retequattro, è stato affrontato attraverso il decreto-legge del 24 dicembre scorso. Nel provvedimento licenziato dalla Commissione il relatore ha proposto semplicemente di recepire il testo di tale decreto-legge senza le modifiche introdotte dal Senato. Vedremo come si svolgerà il dibattito in Assemblea qui alla Camera dei deputati.
Non vi è dubbio che i correttivi introdotti al Senato mettono di nuovo in luce un'intenzione, da parte di chi li ha proposti e della maggioranza che li ha approvati, che è in contrasto esplicito con la suddetta sentenza della Corte costituzionale e, quindi, con il messaggio del Presidente della Repubblica. La sentenza della Corte, infatti, ha detto che, se non vi è un effettivo aumento del pluralismo, le reti eccedentarie devono andare sul satellite entro il 31 dicembre.


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Intervenendo sul decreto-legge, oppure sull'articolo 15 del provvedimento in esame, per peggiorare ulteriormente tali testi, si cerca di eliminare il riferimento all'effettivo rispetto del pluralismo per farne una questione puramente tecnica di potenziale copertura da parte di tralicci del territorio nazionale. In tale direzione, quella degli emendamenti introdotti dal Senato, si va esattamente contro il giudicato della Corte costituzionale e contro il messaggio del Presidente della Repubblica. Poi, si può decidere di farlo: si tratta di una storia talmente lunga ed evidente che la maggioranza può assumersene la responsabilità.
Il primo dei punti del messaggio del Presidente della Repubblica richiama fermamente la suddetta sentenza della Corte. La maggioranza può decidere di modificare il decreto-legge in una direzione opposta a quella della sentenza e dei rilievi del Presidente della Repubblica: ha i numeri per farlo; ma almeno nelle sue parti più consapevoli - mi rivolgo al sottosegretario Innocenzi -, deve sapere che nel decidere di andare in tale direzione si assume una responsabilità anche nei confronti di aziende, di persone, di lavoratori dipendenti, la responsabilità di imboccare una strada che porterà, con ogni probabilità, ad un nuovo vaglio di costituzionalità ed a gravi elementi di crisi industriale.
Il secondo dei tre rilievi di costituzionalità, sottolineati dal Presidente della Repubblica nel suo messaggio, riguarda il sistema integrato delle comunicazioni (SIC). Il Presidente della Repubblica non ha fatto, al riguardo, un discorso di cifre e di entità, perché non spetta ovviamente a lui farlo. Peraltro, non avrebbe neanche potuto, perché non abbiamo delle cifre a cui riferirci: il Governo si è sempre rifiutato di fornirci le cifre dell'ammontare di questo sistema, sulle quali ragionare ed eventualmente dividersi. Il Presidente della Repubblica ha fatto un discorso di costituzionalità, dicendo di fare attenzione al fatto che la natura di questo mercato potrebbe determinare il rischio della creazione di posizioni dominanti.
Rispetto a questo secondo rilievo, cioè il rischio della creazione di posizioni dominanti, cosa prevede la legge? Le attuali soglie per le posizioni dominanti, che risultano dalla legislazione vigente (la legge n. 249 del 1997), vengono abolite dall'articolo 28 della legge Gasparri, che abroga appunto la soglia del 30 per cento, rispetto alla quale è in corso un'istruttoria dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sulle posizioni dominanti. Pertanto, anche in questo caso, a fronte di un richiamo da parte del Presidente della Repubblica sul rischio del determinarsi di posizioni dominanti, il Parlamento cancella, invece, l'unica soglia esistente (a legislazione vigente), cioè quel 30 per cento sul mercato pubblicitario che contrasta il rischio della creazione di posizioni dominanti.
Il Parlamento, inoltre, fa quella che il relatore onorevole Romani ci ha presentato come un'operazione di riduzione economica di alcuni pezzetti del sistema. Ma, colleghi, quest'operazione non solo non risponde al problema, cioè al rischio della creazione di posizione dominanti, ma è per noi assolutamente non valutabile, se non disponiamo di un ammontare o di una cifra precisa. Chiedo se sia possibile che il Parlamento della Repubblica faccia riferimento, da 12 mesi, ad una tabella inventata da un quotidiano, per quanto autorevole (Il Sole 24 Ore). Stiamo discutendo, presumendo che proposte, tagli, correzioni, avvengano non su un dato fornito da un'autorità, o dal Governo, ma su una stima di un quotidiano!
Quindi, anche per quanto concerne il secondo rilievo, purtroppo non stiamo andando - o meglio, la maggioranza non sta andando - nella direzione sollecitata dal Presidente della Repubblica. L'aspetto più grave di tutti, però, riguarda il terzo rilievo del Presidente della Repubblica, perché mentre sui primi due rilievi il mio ragionamento può essere ovviamente discutibile, nel senso che si può sostenere che stiamo invece andando nella direzione giusta, per quanto riguarda il terzo rilievo - il rischio che l'eccesso di raccolta pubblicitaria in televisione inaridisca le fonti di


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finanziamento della libera stampa -, la maggioranza ha deciso addirittura di non discuterne. Questo è uno schiaffo al Presidente della Repubblica, il quale ha posto un determinato problema. Come dice giustamente il dossier del Servizio studi della Camera dei deputati, il problema posto dal Presidente della Repubblica si traduce nel comma 7 dell'articolo 15 (quello delle famose telepromozioni), cioè nell'aumento di pubblicità per le televisioni (contrariamente a quanto richiesto dal Capo dello Stato), disposto appunto da tale norma.
Il presidente Romani ci ha distribuito una nota, che riecheggia argomenti che ho già ascoltato in altre sedi, da parte di altri soggetti. In tale nota, il presidente Romani sostiene che la situazione delle telepromozioni, sulle quali interveniamo con il comma 7 dell'articolo 15, non è altro che la situazione di fatto, quello che già accade. Certo, dico io, che è quello che già accade.
Non a caso, le autorità preposte al controllo in questa materia hanno aperto alcune decine di procedimenti contro Mediaset ed altre emittenti televisive, per la violazione della norma vigente. Pertanto, la situazione di fatto è illegale. Tante sono le situazioni illegali di fatto nel nostro paese: dal contrabbando, agli eccessi di velocità in autostrada. Pertanto, con questa norma, si intende rendere legale l'occupazione di un altro pezzo del mercato pubblicitario da parte delle emittenti televisive, operazione che vale ottocento miliardi di lire l'anno. È una cifra enorme!
A chi vengono destinati questi ottocento miliardi in più, perché legalizzati? Solo a Mediaset. Il veleno nella coda di questa norma (il comma 7, dell'articolo 15 del provvedimento in esame) è che il processo di legalizzazione non riguarda anche la RAI, dal momento che la situazione illegale di fatto riguarda Mediaset e RAI allo stesso modo.
La legalizzazione di questa situazione illegale di fatto comporta altre violazioni della normativa europea. Le direttive europee, ad esempio, proibiscono la confusione, il mix tra programmi televisivi e messaggi pubblicitari. Vi sembra che le telepromozioni guidate dal conduttore del programma televisivo che sta andando in onda non creino questa confusione? È sufficiente la norma secondo la quale occorre cambiare la sceneggiatura degli studi? Il conduttore ed il programma sono gli stessi, ma cambia il colore dei divani in cui la telepromozione si svolge! È, quindi, una norma illegale, che viola un'altra direttiva europea, concepita in questo provvedimento «chirurgicamente» per Mediaset.
Il fatto di poter conteggiare le telepromozioni fuori dall'affollamento orario viene autorizzato per Mediaset, non per la RAI. Questo è il senso dell'operazione. Il Presidente della Repubblica, come giustamente viene rilevato dal servizio studi della Camera, quando parlava di eccesso di pubblicità televisiva, si riferiva all'unica parte del provvedimento che affronta il problema in questione, vale a dire al comma 7 dell'articolo 15.
Tutte queste strozzature, forzature ed operazioni si possono fare, perché in Parlamento si ha la maggioranza, ma, forse, avendo la maggioranza, ci si poteva prendere la libertà di discutere anche di pubblicità televisiva e di telepromozioni, senza paura di essere contraddetti magari dalla nostra stessa maggioranza!
Queste operazioni, dal punto di vista del conflitto di interessi, sono gravissime, perché il comma 7 dell'articolo 15 del provvedimento in esame legalizza una situazione che produce un guadagno di 700 - 800 miliardi di vecchie lire all'anno per le aziende di proprietà del Presidente del Consiglio. Sembra una barzelletta, ma è così! Ritengo che il gigantesco problema del conflitto di interessi si volgerà contro le aziende del Presidente del Consiglio.
Sono convinto che, se imboccherete questa strada - è un argomento che i colleghi, il relatore, il sottosegretario possono capire maggiormente - il futuro del gruppo Mediaset sarà pessimo e lo dico anche con riferimento ai mercati captive, ai mercati assicurati, all'idea di «rastrellare» tutto il possibile. In questo modo, l'azienda rischia di non diversificare, di


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non andare all'estero, di trovarsi in grande difficoltà e, persino, di perdere Retequattro.
Pensateci: se ciò accadrà, non venite a dire al centrosinistra che è stata colpa sua se i lavoratori saranno licenziati, perché la colpa sarà attribuibile alla miopia della vostra maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lusetti. Ne ha facoltà.

RENZO LUSETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro (noto che è appena entrato in aula)...

MAURIZIO GASPARRI, Ministro delle comunicazioni. C'è una riunione del Consiglio dei ministri ancora in corso!

RENZO LUSETTI. ...avrà ascoltato l'intervento del collega Gentiloni mentre era in transatlantico! Non stiamo affrontando nuovamente una discussione sulla legge di riordino del sistema radiotelevisivo italiano; sapete che siamo un po' allergici ai lifting, soprattutto quando servono a modificare la forma, ad abbellire qualche bruttezza, senza poi modificare strutturalmente l'impianto nella sostanza! E, in questo caso, nonostante le argomentazioni svolte dal Governo e nonostante gli schemi prodotti dall'onorevole Romani per convincerci, si tratta di un vero e proprio lifting. Dunque, per quanto concerne l'intervento chirurgico che avremmo voluto fosse realizzato su un problema così importante, come quello del riassetto del sistema radiotelevisivo italiano, non ci siamo, perché non si è fatto nulla. Infatti, ci aspettavamo qualche intervento in più, ci aspettavamo una maggiore disponibilità da parte della maggioranza ad affrontare i nodi cruciali di questo provvedimento; ci aspettavamo una maggior predisposizione a tutelare la concorrenza, a valorizzare il mercato, a garantire il pluralismo ma, sostanzialmente, abbiamo trovato ben poco di tutto ciò.
Onorevoli colleghi, ritengo - mi rivolgo anche al collega Romani - che le audizioni - quella dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, della FIEG - svolte in Commissione alla ripresa dei lavori parlamentari dopo la pausa natalizia, dovessero servire a far tesoro, mentre delle stesse non sembra sia stato recepito molto. Le audizioni avrebbero potuto contribuire a modificare sostanzialmente questa legge ma, purtroppo, la maggioranza non ha tenuto conto delle indicazioni da esse pervenute.
Il dibattito è noto e i colleghi che mi hanno preceduto hanno fatto anche esplicito riferimento a quanto contenuto nel messaggio del Capo dello Stato e alle sentenze della Consulta in esso richiamate. Dunque, non intendo soffermarmi dettagliatamente su tali aspetti; tuttavia resta l'amarezza di non essere riusciti a modificare strutturalmente in meglio questo provvedimento. Avremmo preferito ridiscutere interamente tale legge; infatti, in Commissione, abbiamo proposto al presidente e alla maggioranza di riesaminare tutto il testo, evitando qualsiasi forma di ostruzionismo e, quindi, fornendo la massima disponibilità ad emendare alcuni aspetti di merito per garantire sia la concorrenza sia il pluralismo. Tuttavia, ciò non ci è stato consentito.
In Commissione, si è parlato di un numero di articoli che potesse soddisfare le esigenze poste dall'opposizione che, tra l'altro, erano state sollevate anche da diversi soggetti auditi e dallo stesso Capo dello Stato nel suo messaggio.
La maggioranza, però, ha voluto limitare enormemente il numero degli articoli da discutere facendo appello al regolamento della Camera; ciò era pienamente legittimo, ma è stato, a mio parere, sicuramente inopportuno dal punto di vista politico.
Presidente Romani, mi era parso di capire che c'era, almeno inizialmente, una certa disponibilità a ridiscutere anche il comma 7 dell'articolo 15, relativo al tema delle telepromozioni. Questo è quanto ci è stato riferito; a questo proposito circolavano


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anche dei documenti. Poi però inspiegabilmente, vi è stata da parte della maggioranza una chiusura totale anche riguardo alle sole telepromozioni. Ciò, a mio avviso, influirà negativamente sul cosiddetto SIC.
Dalla nota esplicativa propostaci questa mattina, in tema di SIC, dal presidente Romani emergono quelle che a me paiono rivendicazioni da lifting; difatti, se eliminiamo le voci dell'editoria libraria, del settore fonografico e quelle relative ai costi produttivi, realizzativi e di distribuzione, a me pare che non si compia un grossissimo sforzo. C'è un tentativo leggerissimo di asciugare il SIC, però non si interviene nella sostanza. Al riguardo, sia la FIEG sia l'Autorità garante della concorrenza e del mercato hanno detto molto chiaramente che il sistema integrato delle comunicazioni comprende più mercati tra loro eterogenei e non contigui rispetto ad un'elementare analisi economica. Conseguentemente, mettere i problemi concernenti produzione, distribuzione, diffusione e problemi radio-TV insieme a quelli dell'editoria quotidiana, periodica, libraria, elettronica, informatica, della produzione, distribuzione, proiezione di film, dell'industria fonografica, fino a comprendere anche quelli relativi ai diversi mercati della raccolta pubblicitaria, quale che sia il mezzo o la modalità di diffusione, significa, in termini pratici, che c'è un po' di tutto e il contrario di tutto. È inutile, pertanto, porre un limite del 20 per cento quando la torta è diventata gigantesca e non si pongono alcune condizioni fondamentali per aprire il mercato: il duopolio c'era, c'è e, con questa legge, rimarrà.
Noi non siamo contrari al duopolio, però da un Governo e da una maggioranza che hanno svolto una campagna elettorale evocando costantemente il tema della libertà e delle liberalizzazioni, ci saremmo aspettati una maggiore apertura del mercato. Con questo provvedimento una maggiore apertura del mercato non ci sarà, anche perché non ci sono risorse sufficienti per garantire, anche soltanto in termini di transizione, l'apertura del mercato. Pertanto, siamo molto preoccupati che questo provvedimento, una volta approvato, non possa esplicare gli effetti sperati contenuti nel messaggio che il Presidente della Repubblica ha inviato alle Camere.
Noi avevamo sollevato alcune questioni che, però, sono state rigettate dal Governo durante la discussione di questo provvedimento; per fortuna, il Capo dello Stato le ha giustamente riprese. Mi riferisco, in particolare, alla sentenza n. 466 del 2002 della Corte costituzionale. Il ministro Gasparri ricorderà sicuramente la seduta di quest'Assemblea in cui, durante la discussione di questo provvedimento, alcuni colleghi fecero riferimento alla citata sentenza della Corte costituzionale. Lei, signor ministro, in maniera molto civile e garbata, disse di non essere interessato sostenendo che, comunque, quella sentenza non avrebbe inciso sul provvedimento. In realtà, quella sentenza incideva - eccome - su di esso.
Invito il Governo a una maggiore attenzione alle pronunce degli organi di controllo dello Stato e delle istituzioni autonome, in particolare della Corte costituzionale, poiché occorre rispettare sul piano politico, istituzionale e costituzionale, tutte le osservazioni formulate rispetto ai provvedimenti legislativi che esaminiamo in questa Assemblea, che non devono fotografare l'esistente, bensì governare i processi in atto nel nostro paese.
Il SIC viene dunque modificato in maniera irrisoria, e di questo siamo insoddisfatti.

PAOLO ROMANI, Relatore per la maggioranza (IX Commissione). Diciottomila miliardi!

RENZO LUSETTI. Come diceva il collega Gentiloni, è difficile quantificare. Lei ha fatto una tabella, ma in realtà l'unica quantificazione è quella del Sole 24 Ore, e non so quanto sia attendibile. Non intendo dire che il Sole 24 Ore non sia attendibile - al contrario, lo è - ma bisogna avere gli strumenti necessari per poter fare tale quantificazione. Contesto dunque la cifra, di cui verificheremo l'effettiva entità quando la legge produrrà i suoi effetti.


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Siamo preoccupati, perché non c'è stata alcuna disponibilità ad entrare nel merito delle telepromozioni: e si è trattato di un colpo che francamente non ci aspettavamo. Infatti, ci aspettavamo molta più disponibilità da parte del Governo e della maggioranza su questo tema, soprattutto alla luce di un'apertura iniziale (il sottosegretario Innocenzi era presente in Commissione). Inspiegabilmente, dopo qualche giorno, il comma 7 dell'articolo 15 è scomparso dall'elenco delle disposizioni da esaminare, e non è più comparso in alcun documento né in alcun intervento dei presidenti e dei relatori.
Esprimiamo dunque la nostra preoccupazione, anche rispetto al rapporto con la carta stampata e al raffronto con gli altri paesi, ben sapendo che la sproporzione che sussiste tra il mercato pubblicitario televisivo e il mercato pubblicitario della carta stampata è di gran lunga divaricata rispetto al medesimo rapporto negli altri paesi dell'Unione europea. Non si spiega dunque perché l'Italia faccia diversamente, discostandosi dalla media europea.
Suscita inoltre notevole preoccupazione la complessità della transizione, anche in virtù delle audizioni di RAI e Mediaset svoltesi in Commissione. Lo scenario attuale presenta una struttura disordinata, che il Governo non ha certamente contribuito a chiarire. Vi sono poche frequenze disponibili per la transizione e anche per la sperimentazione.
Signor ministro, non le vorrei ricordare la solita storia di RAI way che lei conosce e che vi crea...

MAURIZIO GASPARRI, Ministro delle comunicazioni. Soddisfazione!

RENZO LUSETTI. ...qualche problema. Se lei avesse fatto la scelta che le avevamo democraticamente indicato dall'opposizione...

MAURIZIO GASPARRI, Ministro delle comunicazioni. Meno male che non l'abbiamo fatta!

RENZO LUSETTI. ... con ogni probabilità avremmo qualche possibilità in più di fare sperimentazione!

MAURIZIO GASPARRI, Ministro delle comunicazioni. È esattamente il contrario!

RENZO LUSETTI. Ho chiesto ai vertici della RAI se stavano facendo sperimentazione: mi pare di aver capito - il direttore generale Cattaneo mi correggerà quando vorrà - che l'unica sperimentazione che si sta facendo nella RAI è nell'ufficio del direttore generale, perché fino ad ora nella RAI c'è un solo decoder (almeno così era sino a pochi giorni fa, non so se nel frattempo siano stati comprati).
La convivenza tra i due sistemi, analogico e digitale, durante il periodo di transizione non è ancora ben disciplinata e definita.
C'è anche, signor ministro, una scarsa diffusione dei decoder. So che la legge finanziaria per il 2004 ha promesso risorse - dico «ha promesso» perché ormai siamo abituati da questo Governo alle promesse e mai alle realizzazioni - per i decoder, ma non vedo concretezza (salvo la presentazione di interrogazioni alle quali viene a rispondere il sottosegretario Innocenzi dopo diversi mesi, quando oramai la questione è definita).
Chiediamo che sia garantita continuità operativa a tutti coloro che vogliono sperimentare, ma non vediamo nulla. Per fare sperimentazione sono necessarie risorse, che non devono essere date solamente alla RAI o a Mediaset, ma anche a tutti gli operatori che vogliono entrare nel mercato e che devono poter fare sperimentazione, affinché sia garantita la concorrenza.
Al riguardo, non c'è disponibilità da parte del Governo. Questa maggioranza si assumerà una notevole responsabilità, approvando il testo senza ulteriori modifiche, perché si tratta di una mera operazione di lifting alla quale siamo assolutamente contrari (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, a me pare molto disdicevole, oltre che deprimente, che si intervenga di nuovo su


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questo provvedimento, che ha una storia lunga e difficile ma estremamente emblematica. Se mi chiedessero di spiegare brevemente cosa ciò rappresenti nella storia di questa maggioranza, direi che è una sorta di metafora. È una metafora della natura sociale del Governo che, più volte, in quest'aula, quando ne ho avuto occasione, ho definito un comitato d'affari per farsi gli affari propri. È una metafora delle finalità di questo Governo che sono, con tutta evidenza, finalità di accaparramento delle risorse del paese. È una metafora delle pratiche politico-istituzionali che sono quelle di uno sfondamento di tutti gli istituti di garanzia e di tutte le garanzie costituzionali e democratiche di questo Stato.
Credo, quindi, che ci sia poco da lamentarsi, anche da parte dei colleghi dell'opposizione, circa la reiterazione delle nefandezze del testo Gasparri-uno nel Gasparri-due. Si tratta di un provvedimento che ben sintetizza la storia di questa maggioranza, bene la rappresenta, bene la spiega. Pur avendolo già fatto altri colleghi e altre colleghe prima di me, vorrei affrontare anch'io l'argomento, perché per noi si tratta di un dato di grandissima importanza. Vorrei sottolineare che la discussione di oggi avviene dopo un episodio che è quanto mai emblematico e significativo, non tanto dal punto di vista del nostro assetto costituzionale, quanto dal punto di vista della storia tra i poteri dello Stato e tra gli organi di garanzia, per come si è venuta sviluppando nella permanenza di questa maggioranza al Governo. L'episodio è il rinvio alle Camere della proposta di legge in questione a norma dell'articolo 74, primo comma, della Costituzione, per una nuova deliberazione, come da messaggio del Presidente della Repubblica del 15 dicembre dello scorso anno. È un atto istituzionale di una certa importanza, di cui sembra che voi non abbiate voluto minimamente tenere conto. Eppure, si tratta di rilievi di spessore costituzionale notevole, rispetto a cui il Parlamento è tenuto a rispondere, pena - stando alla Costituzione - la permanenza di un vulnus costituzionale che avrà seguiti e strascichi, come è inevitabile che sia e come mi auguro che avvenga.
Il provvedimento «Gasparri-uno e Gasparri-due» si è proposto di disciplinare l'intero settore radiotelevisivo. Si tratta, quindi, di una legge di sistema, che dovrebbe porsi come obiettivo quello di corrispondere all'interesse generale dei cittadini italiani. Tale finalità è in netto contrasto con la natura sociale di questa maggioranza di Governo, che sta lì per farsi gli affari propri. Evidentemente, dunque, il bene comune e l'interesse dei cittadini e delle cittadine italiane sono quanto mai lontani dall'orizzonte fattivo e culturale del Governo.
Il percorso della legge è segnato da sentenze della Corte costituzionale e da richiami. Sto pensando alle indicazioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Oggi, siamo qui per l'ultimo - soltanto in senso temporale - degli appelli ad una revisione del provvedimento. Come ho detto prima, si tratta del messaggio che il Presidente della Repubblica ha inviato al Parlamento nella sua funzione di garante della Costituzione, vale a dire della legge fondamentale dello Stato. «Garante della Costituzione» è un'espressione grossa, inusuale, forse estranea alla cultura del ministro Gasparri.
Il Presidente ha invitato il Parlamento a rivedere il testo che oggi stiamo esaminando, in quanto, di fatto, contravviene al principio fondamentale del rispetto del diritto al pluralismo dell'informazione e della difesa di spazi televisivi liberi, affinché non siano del tutto sottoposti ad esigenze di mercato, e con la garanzia di un sistema pubblico che possa assicurare realmente una informazione equa e non di parte. Le sentenze della Corte costituzionale, le indicazioni dell'Autorità garante, il messaggio del Presidente della Repubblica hanno tutti in comune il richiamo ad un maggior rispetto, assolutamente disatteso nel testo della legge, del pluralismo dell'informazione, nonché all'obbligo del legislatore di contrastare la formazione di posizioni dominanti, come indicano gli articoli 21 e 41 della Carta costituzionale.


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I tre rilievi di costituzionalità sottolineati dal Presidente della Repubblica toccano al cuore questo aspetto, così come d'altra parte lo toccano le sentenze della Corte costituzionale n. 466 del 2002 e la n. 420 del 1994. Tuttavia, il Governo e la maggioranza in questo Parlamento continuano, evidentemente, a confondere pluralismo e concorrenza, pensando che più concorrenza sia garanzia di pluralismo. Dunque, la Gasparri-due presenta soltanto un pastrocchiato lifting, neanche un lifting fatto bene: un pastrocchio di lifting!
Il disegno di legge licenziato ieri dalle Commissioni trasporti e cultura della Camera ripropone, infatti, con qualche menzognero aggiustamento, il SIC, che è il cuore e il motore della legge Gasparri, senza neppure quelle minime precisazioni e quegli adeguamenti che anche esponenti della sua maggioranza, signor ministro, vorrebbero. Ovviamente, il problema del SIC è solo uno dei tanti problemi che il testo complessivo pone. Tuttavia, è particolarmente significativo perché è uno degli elementi che svela bene il giochetto delle tre carte con cui voi avete cercato di aggiustare le cose, in questo caso «smagrendo» la portata del SIC - ma in un contesto e con modalità per cui non è assolutamente chiaro valutare poi la portata e il significato di questo dimagrimento - e lo avete fatto certamente non per rispondere alle osservazioni di incostituzionalità che vi sono state fatte, ma probabilmente molto più per tacitare critiche e «mal di pancia» al vostro interno, guidati dalla solita logica, fondamentale e fondativa, a mio modo di vedere, del vostro stare al Governo: ossia quella di ottenere tutto il possibile, nel più breve tempo possibile e senza pagare alcuno scotto.
Noi crediamo che sia stata anche molto grave - su questo sono d'accordo con i colleghi che mi hanno preceduta - la scelta di limitare la discussione del progetto di legge solo alle parti esplicitamente nominate nel messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere. Però, anche qui voglio rilevare che non si tratta di una disattenzione o di un errore di percorso o di chissà che cosa. Si tratta di una logica conseguenza tutta interna alla portata di questo provvedimento di legge, vale a dire alla portata generale che ha l'obiettivo di modificare alla radice il sistema delle comunicazioni e dell'informazione e quindi di stabilire una dominanza, un predominio di parte su uno dei gangli fondamentali della democrazia del nostro paese, che è appunto il sistema radiotelevisivo e di comunicazioni.
La scelta di limitare la discussione solo a quelle parti esplicitamente indicate dal Capo dello Stato e di non rimettere in discussione integralmente il testo, come sarebbe stato necessario, è non solo limitativa, come è stato osservato, ma esplicativa di ciò che siete. Voglio solo sottolineare che tutte le parti del provvedimento sono strettamente interconnesse tra loro e che, a mio giudizio, non si può entrare nel merito di alcuni aspetti senza discutere complessivamente dell'impianto della legge. Non voler cogliere l'indicazione generale, limitando la discussione solo ad alcuni aspetti della disciplina, rileva ancora una volta quella che è la pratica di questo Governo e di questa maggioranza - o quantomeno di una parte consistente di essa - e cioè un atteggiamento di spregio nei confronti delle istituzioni e delle garanzie istituzionali previste dal nostro sistema democratico, spregio per quei vincoli, per quei lacci e lacciuoli che sono il cuore di uno Stato di diritto e di una democrazia costituzionale, spregio che rappresenta uno dei tratti connotativi della vostra cultura di governo a cui già abbiamo assistito in più occasioni, ma alla quale noi di Rifondazione comunista non abbiamo alcuna intenzione di abituarci; continueremo a denunciare questo atteggiamento in tutte le sedi, in quelle istituzionali e in qualsiasi altra sede in cui saremo chiamati a confrontarci nel paese.
Il tema dell'informazione assume oggi, nella vita di un paese democratico moderno, sotto il profilo costituzionale dell'agibilità delle regole democratiche e della possibilità di comunicazione e di interazione con il mondo e con la società, una rilevanza fondamentale, un ruolo centrale.


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Dirlo mi sembra fin troppo banale, ma, di fronte al disegno di legge del ministro Gasparri, occorre dire anche cose banali e scontate. Abbiamo più volte sottolineato, nel corso dei nostri interventi in Parlamento e con la stessa battaglia emendativa che abbiamo portato avanti, che questo provvedimento vuole spingere decisamente il settore delle telecomunicazioni verso orizzonti in cui la libertà d'informazione viene letteralmente annientata.
Si tratta, dunque, di un provvedimento antiliberale e anticostituzionale, che rischia tra l'altro di distruggere la RAI, sostenendo il monopolio di posizioni forti, senza combattere, anzi fomentando e incrementando il gigantesco conflitto di interessi del Presidente del Consiglio e prevedendo persino dei meccanismi che possano aggirare proprio quella posizione dominante e quel conflitto. Ritorno, quindi, a ciò che dicevo all'inizio circa la natura, l'orizzonte e le pratiche politico-istituzionali di cui questo provvedimento è metafora generale.
Questa è una legge che confonde la tutela del pluralismo con la tutela della concorrenza, prevedendo un minuscolo, irrilevante ed inefficace divieto all'abuso della posizione dominante mentre occorrerebbe un ben articolato e strutturato divieto all'acquisizione e al mantenimento di posizioni dominanti, proprio perché si tratta di situazioni che, già di per sé, minano lo svolgimento di una corretta e imparziale informazione.
Il campo dell'emittenza richiede, in ragione della particolare diffusività e pervasività del messaggio radiovisivo, che il pluralismo sia oggetto di una specifica e forte garanzia. Ciò deve rappresentare il problema intorno al quale discutere, per costruire un provvedimento di legge volto ad istituire un nuovo sistema di garanzie, in grado di assicurare effettivamente, la democrazia, oggi strettamente collegata all'esercizio della libertà - pratica, e non solo letteraria - di informazione. Vorrei ribadire, quindi, che ci troviamo di fronte ad un provvedimento che va letteralmente contro tutte le nostre preoccupazioni e tutti i nostri obiettivi.
Pertanto, in ragione di tale giudizio estremamente negativo, il nostro gruppo non soltanto reitererà il proprio voto contrario, ma farà di tutto, se tale provvedimento verrà approvato così come licenziato dalle Commissioni riunite, per renderlo di difficile applicazione nella realtà del paese, a partire dall'indomani del voto del Parlamento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giulietti. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE GIULIETTI. Signor Presidente, desidero ringraziare comunque il Governo ed i relatori per il lavoro svolto, per l'attenzione prestata e per il tentativo - peraltro non riuscito - di dare almeno una giustificazione, attraverso nuove schede, al presente provvedimento; apprezziamo sempre quando viene praticato un tentativo di ascolto e di attenzione.
Temo per tutti noi, tuttavia, che l'appuntamento con la riforma del sistema delle comunicazioni, l'apertura del mercato e la liberalizzazione di un settore chiuso e paludoso dovranno essere ulteriormente rinviati a tempi migliori, come hanno sostenuto nei loro interventi, con molta chiarezza, i colleghi Bogi, Panattoni, Lusetti, Deiana e Colasio.
Il partito del conflitto di interessi, vale a dire la parte più oltranzista della maggioranza, purtroppo ha vinto, ha scelto la via della conservazione e si è chiuso a riccio, come un servizio mediatico, a presidio di una parte del patrimonio del Presidente del Consiglio. La cosa comica è che tale patrimonio non è insidiato da alcuno, come dimostrano i bilanci. Si tratta, quindi, di una difesa non richiesta, di una difesa preventiva. La questione è ancora più grave perché la discussione odierna è il frutto di un dissenso, maturato su questo provvedimento, che non ha precedenti nei dibattiti parlamentari in materia.
La cosiddetta legge Gasparri ha accumulato il dissenso teorico e di merito - è bene ribadirlo oggi per il domani in cui gli incidenti accadranno - delle Autorità di garanzia, dei costituzionalisti e dell'Unione


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europea. Vorrei ricordarle al riguardo, Presidente Fiori, che è in corso un'istruttoria sulla libertà dei mezzi di comunicazione in Europa, sulla base di un voto del Parlamento europeo, che ha visto il favore anche di parlamentari del centrodestra, in cui si presta particolare riguardo alla situazione italiana.
Si è registrato anche il dissenso delle imprese, degli autori, dei produttori, del cinema, dei sindacati, dei movimenti e di associazioni. Tra questi soggetti vi sono parlamentari, come Mario Segni, e il mondo della Chiesa, che non hanno affatto rapporti, né sono riconducibili alla sinistra.
Si può ridere, ma bisogna sapere che poi si potrà anche piangere, in tempi brevi; ciò che ci preoccupa è che il pianto possa essere del sistema industriale italiano. Si è giunti al punto in cui per la prima volta, dopo decenni, sono convocati per domani a Roma, all'Auditorium, gli stati generali della comunicazione e del settore audiovisivo italiano.
Si tratta di un dissenso che ha percorso la stessa maggioranza, tanto è vero che, anche in queste ore, parlamentari della maggioranza hanno presentato proposte emendative specifiche sul Sistema integrato delle comunicazioni e sulle telepromozioni. La X Commissione, presieduta dall'onorevole Tabacci, ha espresso parere favorevole sul provvedimento, ma ha osservato altresì che occorre rivedere profondamente il SIC, perché non si riesce a comprendere di cosa si tratti.
Non sarà possibile richiamare sempre tutti all'ordine, con la minaccia della fiducia mascherata. Non avete convinto questi parlamentari della maggioranza, perché non sussistevano le motivazioni non politiche o ideologiche, ma di merito. Vi abbiamo invitato, nel corso della precedente discussione, alla moderazione, alla scelta dell'interesse nazionale, alla difesa della grande impresa italiana - che non è una sola, in questo settore - e a tener conto, se non delle nostre proposte emendative - signor Presidente, desidero rinnovare anche oggi tale invito -, almeno di quelle delle istituzioni.
Che si boccino quelle del centrosinistra posso comprenderlo, ma che non vi sia una considerazione raffinata ed attenta per l'intervento del Presidente Ciampi e per le ultime audizioni delle Autorità di garanzia è un atteggiamento irresponsabile e rischioso. È prevalsa una logica prepotente e dannosa persino per le aziende del Presidente del Consiglio, esposte come un trofeo nello scontro politico!
Questa logica, questa furia, rischia di travolgere tutto e tutti: il Quirinale, la Corte costituzionale, le Autorità, le opposizioni, vasti interessi materiali e sociali lesi, anche di imprenditori da sempre vicini al centrodestra. Questa furia ha finito per travolgere e per determinare un incidente istituzionale senza precedenti, che non può essere rimosso in questa discussione. L'ha detto molto bene l'onorevole Bogi e lo ha ripetuto il collega Gentiloni. Cos'è accaduto dopo la mancata firma del Presidente Ciampi? È prevalsa la moderazione? No. Il Presidente del Consiglio ci ha informati che non aveva letto le osservazioni dei tecnici del Quirinale! Il presidente di Mediaset, che evidentemente svolge un ruolo di alta garanzia politica, ci ha deliziato con le sue riflessioni su piazzale Loreto, sull'esproprio imminente, ha definito le sentenze della Corte costituzionale preistoriche ed ha denunciato decine e decine di giornalisti permessisi di avanzare qualche critica all'impero ed all'imperatore! Altri esponenti della maggioranza si sono abbandonati a battute di dubbio gusto contro il Presidente Ciampi (esiste un'ampia letteratura, che non citerò; la utilizzeremo durante il dibattito).
Questa sarebbe la moderazione? Questo sarebbe avere accolto spirito e lettera delle osservazioni del Presidente, come alcuni autorevoli esponenti della maggioranza dissero? Del resto, la stessa modalità di discussione ha risentito di questo clima. Il 30 dicembre, scrivendo sul Corriere della Sera, il professor Cassese diceva a tutti noi che era possibile e doverosa un'interpretazione estensiva del messaggio


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del Presidente Ciampi ed una discussione serena di tutto il testo, che avrebbe aperto una pagina nuova.
Si è scelta un'altra via: si è scelto di non rispondere all'appello del Presidente Ciampi nel dettaglio, né sul pluralismo né sulla libertà di accesso né sullo statuto delle opposizioni. Non lo avete voluto o, forse, non lo avete potuto fare! Non andò così nella scorsa legislatura, quando, su questo delicatissimo tema, si cercò fino alla fine un accordo che coinvolgesse anche le opposizioni di allora.
Si è scelta un'altra strada: la strada di ridurre la discussione a tutti i costi, di escludere la RAI da tale discussione - l'ha detto l'onorevole Merlo -, di eliminare vergognosamente ogni riferimento alle telepromozioni, di chiudere il mercato, di rifiutare persino le osservazioni di editori, di produttori, di autori, di emittenti nazionali come Europa 7 e come Retecapri, di altre grandi emittenti come Telenorba (e potrei citarne altre), di radio nazionali e locali. C'è paura, paura di aprire la discussione!
Vi siete finanche rifiutati di ascoltare i sindacati sul tema degli ammortizzatori sociali. Ma come? Ci avete raccontato che stavano per chiudere Retequattro e RAI3, ma quando i sindacati, unitariamente, chiedono la clausola sociale a tutela del lavoro, non si parla più di questo tema! Evidentemente, si trattava di un bluff, di uno spot, di un elemento di propaganda dietro cui non vi era alcuna convinzione, alcuna base reale.
Le modifiche proposte in relazione al SIC, le schede consegnate, non tengono conto delle osservazioni delle Autorità di garanzia. Certo, si fa un piccolo passo avanti, ma non si tiene conto delle sollecitazioni delle Autorità di garanzia a ricondurre il testo relativo al SIC a prodotti omogenei. Basta mettere a confronto le dichiarazioni rese nelle audizioni ed il testo proposto: non si tratta ancora di prodotti omogenei! Non a caso, su questo punto sono state presentate proposte emendative da parte di colleghi della maggioranza. Mi auguro che, stavolta, non le ritirino.
A tale proposito, tengo a dire che noi voteremo - sia chiaro - ogni proposta emendativa che riduca il danno! A voto palese ovvero segreto, noi voteremo a favore di ogni proposta emendativa che possa dare ossigeno e respiro all'impresa ed al lavoro italiani! Inoltre, se qualcuna di tali proposte verrà ritirata, la ripresenteremo, in modo tale che ciascuno possa esprimersi liberamente, com'è accaduto, nell'interesse generale del sistema industriale italiano.
Avete addirittura detto che non si può parlare delle telepromozioni perché non si tratterebbe di pubblicità; tuttavia, è stato mantenuto il comma 6, che impedisce alla RAI di competere su questo terreno con il suo avversario. Avete commesso un doppio errore! Almeno, qualcuno avverta il direttore generale Cattaneo, che mi sembra distratto e non molto attento agli interessi materiali della sua impresa.
Non sono stati dati nuovi poteri alle Autorità di garanzia, come esse stesse avevano chiesto e come si chiedeva in una parte delle osservazioni del Presidente Ciampi, né è stata definita una norma di tutela per gli autori e per i produttori indipendenti rispetto alla nuova piattaforma digitale, come richiesto dalle Autorità. In tal modo, non si è risposto integralmente né al messaggio del Quirinale né alle audizioni delle Autorità di garanzia. Si è data risposta non alle osservazioni di Ciampi, ma più modestamente - come forse era nelle cose - a quelle di un altro presidente, il presidente di Mediaset, il quale, tuttavia, non fa ancora parte delle autorità istituzionali italiane. Non si è risposto alla sentenza della Corte costituzionale sul digitale, sui nuovi entranti, sui diritti negati ad altre imprese (ad Europa 7, ad esempio).
I nostri, dunque, sono dissensi di un'opposizione per la prima volta talmente unita da trovare consensi anche nell'altro schieramento; si tratta di dissensi non ideologici, ma di merito, derivanti dal mercato.
Fermatevi. Provate a ridurre il danno a voi stessi. Non producete danno alle imprese italiane. Date ascolto, se potete, alle


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critiche delle istituzioni e della vostra stessa maggioranza. Non delegate questa legge a un'interpretazione giudiziaria, alla Corte costituzionale, all'Europa, ai tribunali. Non fate prendere una via giudiziaria alla televisione. Non pregiudicate il futuro delle imprese, del lavoro e del diritto dei consumatori ad una scelta plurima e di qualità.
Se questo testo è sbagliato, irrispettoso, dannoso, figlio di un estremismo della proprietà, il contesto nel quale sta maturando, Presidente Fiori, è ancora peggiore (mi rivolgo anche alle Presidenze delle Camere, che hanno espresso la volontà di dare alla RAI una presidenza di garanzia).
Il Presidente del Consiglio ha annunciato, nei giorni scorsi, una campagna elettorale a reti semiunificate e ha tentato persino di piegare i suoi alleati con la minaccia di cancellare le modifiche alla legge sulla par condicio, peraltro la più blanda in Europa, che ha già superato il giudizio della Corte costituzionale. Alla RAI si sta tentando di travolgere l'esperienza della presidenza di garanzia, in modo irresponsabile verso i Presidenti delle Camere, e di procedere a maggioranza, azzerando ogni diversità.
La lista dei giornalisti cancellati è ormai enorme. Non riguarda più i cosiddetti comunisti, ma si procede oltre: Biagi, Freccero, Massimo Fini, ora persino De Bortoli e Anselmi! Neanche Paolo Mieli andava bene! È un furia che colpisce i moderati, in primo luogo, persino nel centrodestra. È pericolosa, credetemi. Chi avrà in mano l'interruttore unico potrebbe travolgere i suoi alleati e annullare la loro autonomia politica. È una grande questione, che non può essere azzerata da qualche punto percentuale in pubblicità!
Le rivolte in atto in grandi testate, come il Tg1, la protesta al Tg5, non riguardano la sinistra, ma investono un disagio professionale ben più ampio; è lo stesso esistente, oggi, alla radio, a Rai 3, al Tg3, tra i tanti precari espulsi a Rai news, tra i tanti lavoratori del cinema. Presidente Fiori, le ricordo che ieri il candidato presidente alla Biennale del ministro Urbani è stato bocciato con i voti della maggioranza! Si sta mettendo a repentaglio l'industria culturale italiana del cinema! Questo è il frutto di una logica chiusa.
La vicenda della Biennale si collega al tema di cui stiamo discutendo. È il tentativo di imporre se stessi persino contro la maggioranza e contro gli interessi industriali e nazionali. Ma a cosa serve minacciare nuove televisioni, come Planet TV, o addirittura rincorrere gli autori nei teatri o minacciarli in modo scriteriato? A cosa serve? A chi serve?
Questo clima servirà, un domani, alla destra e all'opposizione? Penso proprio di no. Invito tutti a riflettere, perché so che vi sono persone che stanno riflettendo ampiamente sull'errore dell'approvazione di un simile provvedimento. Come potete pensare che questo possa essere il metodo? Noi chiederemo, nelle prossime ore, alle Autorità di garanzia un eccezionale rispetto delle regole in questo paese, alla vigilia delle elezioni europee.
Non vorrei che l'Italia dovesse essere monitorata dalle grandi organizzazioni internazionali. Penso all'ultimo rapporto del sindacato europeo dei giornalisti e di grandi organizzazioni europee che sostengono che, a reti semiunificate, c'è un caso unico, oltre alla Russia: è il caso italiano. Vorrei che venisse affrontato in Italia. Non mi piace quando si fa appello ad altri. Vorrei che noi trovassimo la forza di garantire agli schieramenti e dentro gli schieramenti parità di accesso.
Presidente Fiori, lei ricorderà cosa accadde in una campagna elettorale in cui proprio Alleanza nazionale, ma anche la Lega, di fronte ad elementi di dissenso, poterono essere azzerate. È pericoloso per chiunque.
Ecco perché invito ciascuno ad un'ulteriore riflessione. Noi presenteremo un esposto, anche come associazione «Articolo 21», al presidente Cheli su una questione delicatissima. Il Consiglio di Stato e l'Europa sulle telepromozioni e i minispot si sono espressi più volte: anche sui minispot, l'Autorità di garanzia non ha giustificazioni. Bisogna che, nelle more della discussione, si proceda all'applicazione


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delle decisioni, perché si capisca che, in questo paese, gli imprenditori sono tutti uguali, che non se ne può scegliere uno. Non si può tutelare un imprenditore e danneggiare una vastissima platea di aziende italiane che chiedono il rispetto di ciò è stato deciso, non dalle opposizioni, ma dalle autorità in Europa e in Italia.
Quindi, esiste un rispetto della legalità, che va attuato anche nei prossimi giorni. Di questo ci faremo garanti, sono convinto anche insieme a colleghi del centrodestra, che non potranno accettare una situazione di questa natura, che provoca fastidio e sofferenza in una grandissima platea di produttori e di autori, non certo della sinistra soltanto (se poi ce li volete regalare tutti, ben vengano!). A me non piace ridurre il problema a questo tipo di schermaglia, perché si tratta della grande questione del prossimo ventennio, che non può costituire solo oggetto di uno scontro di oggi o di queste ore.
Ecco perché - ho terminato, Presidente - penso che sia necessario evitare di continuare a tirare la corda in modo pericoloso su una questione che non è solo industriale, ma riguarda direttamente principê di libertà, di uguaglianza dei cittadini, del libero esercizio del voto. Su questa materia è del tutto evidente che sarebbe preferibile ripartire con un grande dialogo tra le parti, ispirandosi alla prima parte del messaggio del Presidente Ciampi, nei punti in cui si afferma che queste materie fanno parte dello statuto dell'opposizione e vanno decise - lei lo ricorderà - a vasta maggioranza (come accadde nella scorsa legislatura per la prima parte della riforma del sistema radiotelevisivo). Credo che vada ripresa quella strada, e ciascuno di noi deve operare perché ciò possa accadere; ma è del tutto evidente che, se ci fosse una violazione del principio di uguaglianza, su questa materia non potrebbero esserci né omissioni né distrazioni, né debolezze né cedimenti, perché non si tratta di una materia che rientra nella disponibilità di ciascuno di noi (e non sarebbe neanche nell'interesse di chi oggi governa). Se l'opposizione si distraesse, un domani potreste richiamarci e dirci: potevate essere più solidi nel delineare i rischi ai quali tutti andavamo incontro. L'interruttore unico è un rischio, non solo per l'industria, ma per chiunque voglia competere liberamente.
Mi auguro che, prima di procedere su una strada sbagliata e pericolosa, si voglia riflettere lungamente sul messaggio del Presidente e della Repubblica e sulla sentenza della Corte costituzionale. Mi auguro che i moderati che esistono nel centrodestra leggano quella sentenza con molta attenzione e che questa volta non rinuncino ad una battaglia politica che non appartiene solo alla sinistra. Si, tratta, infatti di una materia che dovrebbe unire anche moderati e conservatori. Così accade in tutti i paesi d'Europa: spero che così accadrà anche in Italia e in quest'aula (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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