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PRESIDENTE. Grazie, signor ministro.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Antonio Leone, al quale ricordo che dispone di sette minuti di tempo. Ne ha facoltà.
ANTONIO LEONE. Signor Presidente, desidero innanzitutto rivolgere un ringraziamento, non di rito, al signor ministro, onorevole Frattini, e ai rappresentanti del Governo presenti in quest'aula, per la preziosa, puntuale e precisa informativa e per la disponibilità che hanno sempre dimostrato nei confronti del Parlamento.
Mi sia consentito svolgere qualche piccola riflessione di carattere generale che investe naturalmente questo semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea di cui ormai siamo al consuntivo. In relazione ai risultati raggiunti non possiamo omettere di ricordare quello che l'Unione europea, sotto la Presidenza italiana, ha portato a casa.
In tema di relazioni euroatlantiche, abbiamo preso il testimone in un momento particolarissimo e critico per tali relazioni. Sono stati promossi diversi incontri che, per la prima volta dopo molto tempo, si sono conclusi con effetti positivi.
Quanto al Medio Oriente e alla lotta al terrorismo, è stato inserito Hamas nella lista delle organizzazioni terroristiche, dopo che in dieci anni di discussione non si era ancora arrivati a una conclusione. È stato raggiunto un accordo con le posizioni degli Stati Uniti, sia per quanto attiene alla restituzione della sovranità all'Iraq sia per quanto attiene a un testo di risoluzione comune sulla questione iraniana. Ancora, per quanto riguarda il Medio Oriente abbiamo rivolto contemporaneamente a Israele e ai palestinesi segnali di analoga attenzione e disponibilità: l'Europa ha raggiunto e mantenuto una posizione più equilibrata, più equidistante e quindi più credibile.
Entro la fine dell'anno sarà convocata la conferenza dei paesi donatori per la Palestina. Ricordo che quando il Presidente Silvio Berlusconi lanciò il piano Marshall per quell'area c'era chi sorrideva, ora è una realtà e lo si sta concretizzando.
Stiamo per mettere a punto il piano europeo per l'immigrazione, nasce l'agenzia europea per il controllo delle frontiere marittime, abbiamo approvato l'istituzione dell'agenzia europea per la difesa, è stato varato il piano per le infrastrutture europee
(ricordo che l'Italia è direttamente interessata con la linea Torino-Lione, il Brennero e il corridoio adriatico).
Si può dire che sono risultati concreti di questa Presidenza italiana. Torniamo ora al tema che oggi ci interessa: mi riferisco alla Cig e alla Convenzione. Diceva bene il ministro Frattini, si è sciolta la maggior parte dei nodi, che erano più di cento: ben 92 sono stati risolti, ne sono rimasti una decina, dei quali due pregnantissimi, relativi al numero dei commissari e alla questione della doppia maggioranza.
Cosa si era riproposta la Presidenza all'inizio? Tenere fede ad un impegno, assunto fin dall'inizio del semestre: operare per migliorare e completare il lavoro della Convenzione, senza stravolgerne il contenuto. Il Governo, bisogna darne atto, ha agito con la consapevolezza ben chiara di essere di fronte a una Cig diversa rispetto al passato, in quanto essa ha proceduto sulla base dei lavori di una Convenzione rappresentativa di governi, di parlamenti, di istituzioni e in stretto contatto con la pubblica opinione, dando così un suggello di forte legittimazione sotto il profilo democratico che non andava sicuramente tradito. Si è inoltre lavorato con estrema trasparenza, perché nel momento in cui si è inteso pubblicare immediatamente i lavori e i testi su Internet, facendo circolare in tempo reale risultati e le proposte scaturite da ogni riunione, si è tenuto fede a un'impostazione, quella che vedeva la Convenzione e la Cig come due tappe di un processo unitario al termine del quale trovare la migliore sintesi possibile dei contributi forniti ad ogni livello (i livelli, torno a ripetere, parlamentare, governativo e della società civile in genere).
Il Trattato costituzionale non deve, infatti, essere qualcosa di lontano e di astratto, deve essere capito, spiegato, vissuto e condiviso dai cittadini ai quali si rivolge. Questa era l'impostazione iniziale. Come dicevo, è stata risolta una serie di problemi. A sostegno della Presidenza va ancora detto come siano rimasti ben pochi i punti, seppure qualificanti, che debbono essere risolti.
Il nuovo sistema di voto, che tiene conto anche della popolazione, è infatti un sistema volto a creare e facilitare i processi decisionali, mentre il sistema di Nizza, difeso da Spagna e Polonia, come è a tutti noto, è purtroppo maggiormente propenso a bloccare tali processi, anche con minoranze di blocco.
È pertanto meglio nessun accordo rispetto a un cattivo accordo, come sottolineato, oltre che dal Presidente del Consiglio, anche, quest'oggi, dal ministro Frattini. È ovvio che quello che l'Italia non ha potuto mettere in atto durante la Presidenza non dovrà essere accettato dopo, quando la Presidenza italiana sarà terminata.
Mi avvio alla conclusione, non omettendo di dire che siamo convinti che il Governo farà tutto il possibile, in sede di Conferenza intergovernativa, per superare gli scogli principali, in particolare quello della maggioranza in Consiglio, che secondo il progetto della Convenzione si ottiene con il consenso del 50 per cento più uno degli Stati, purché rappresenti il 60 per cento della popolazione.
Si tratta, in buona sostanza, di una soluzione equilibrata e democratica, sicuramente più logica rispetto a quella stabilita da Nizza, che attribuisce un peso particolarmente forte a paesi come la Spagna e la Polonia, e soprattutto favorisce la formazione di minoranze di blocco ed ostacola quindi i processi decisionali.
È nata una credibilità dell'Europa ma permettetemi di dire con orgoglio che è nata anche un'altra credibilità, che è la credibilità di questo Governo e di questa maggioranza, con una capacità di portare avanti una serie di temi delicatissimi a livello internazionale (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia). Torno a ripetere credibilità e forza di Governo. Si è data la prova che esiste in questa maggioranza ed in questo Governo un DNA di forza di Governo nell'interesse di questa nostra rinata Italia (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, Alleanza nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fassino. Ne ha facoltà.
PIERO FASSINO. Naturalmente noi ci rallegriamo del fatto che, come lei ci ha preannunziato, oggi si svolga un incontro tra rappresentanti palestinesi ed israeliani e ci auguriamo che possa essere un passo utile nella direzione di un cammino di pace, tanto più dopo l'approvazione da parte di un fronte ampio di forze di pace palestinesi e israeliane della piattaforma di Ginevra.
Venendo al tema che lei nella sua comunicazione ha affrontato, vorrei riassumere in poche battute, anche perché abbiamo pochi minuti, quale sia la questione, andando all'essenziale. L'essenziale a me pare sia riassumibile così: l'Europa viene da un cammino molto intenso di integrazione europea che l'ha portata via via a realizzare straordinari obiettivi, quali il mercato unico, la moneta unica, uno spazio di libera circolazione, politiche comuni europee in campi sempre più ampi. L'Europa ha di fronte una sfida straordinaria e nuova come l'allargamento, che non solo è il più grande processo di unificazione del continente che nella storia dell'Europa si conosca, ma è anche l'unico nel corso dei secoli perseguito non attraverso le armi e la guerra, ma attraverso la pace, il consenso e la pari dignità fra i popoli. Un'Europa che si trova in questo passaggio cruciale ha bisogno di scelte politiche coraggiose. Quello che a me pare sia di fronte alla Presidenza italiana, alla vigilia di un Consiglio europeo così delicato, è fare intendere che queste scelte sono scelte ineludibili e che non compiere queste scelte coraggiose significa far arretrare il processo di integrazione e molte delle acquisizioni che sono state faticosamente costruite nei decenni scorsi. Per essere più chiari e più espliciti, ho l'impressione che bisogna rendere chiaro che non basta dire che tutti ci sentiamo europei e tutti crediamo nell'Europa per credere che ci sia un unico modo di stare in Europa. In realtà, si misurano modi diversi di stare in Europa e segnatamente due.
C'è chi crede che l'Europa sia sempre più il luogo, lo spazio, la dimensione del futuro di ciascuno di noi e della vita delle nazioni europee ed è convinto di questo perché sempre di più nessuna nazione - né l'Italia, né la Germania, né la Francia, né la Spagna - può pensare al proprio futuro in termini autarchici, da sola, ma ciascuno è sollecitato a pensare al proprio futuro dentro lo spazio più grande che si chiama Europa; chi la pensa in questo modo, allora, scommette nell'Europa massima possibile e nel realizzare quante più possibili politiche europee in ogni campo. Chi, invece, considera l'Europa un male inevitabile, per cui la linea è quella di ridurre il più possibile il danno di questo male che bisogna portarsi appresso, teorizza l'Europa minima possibile. Il vero punto di discussione è questo: scegliere tra l'Europa massima possibile e l'Europa minima necessaria.
Credo che l'Italia, che è paese fondatore dell'Unione fin dei Trattati di Roma e che, dall'essere parte dell'Unione europea, non solo non ha mai tratto alcun danno o pregiudizio, ma soltanto benefici, debba dire in modo esplicito che si batte non solo perché Presidente di turno ma perché crede nell'Europa, per l'Europa massima possibile.
Quello che noi chiediamo alla Presidenza italiana nel Consiglio europeo di questo fine settimana è di tenere una linea che sia coerente con questo assunto. Dico molto esplicitamente che nelle ultime 48 ore ci sono state affermazioni del ministro e di alti rappresentanti del Governo che vanno in questa direzione, e me ne rallegro. Dico con altrettanta chiarezza che in questi mesi precedenti non ho visto sempre una coerenza di atteggiamento con questo assunto. Invece, credo che, proprio alla vigilia di un Consiglio europeo così delicato, sia tempo di fugare ogni forma di ambiguità, di reticenza o di dubbio.
Proprio perché voglio essere esplicito e non voglio che si possa pensare che queste mie parole siano viziate da pregiudizio, se l'Italia crede effettivamente nell'Europa massima possibile e non nell'Europa minima necessaria, allora ha da cessare
l'azione di freno, che costantemente è stata fatta da parte del Governo italiano in questi mesi, per esempio, sulla realizzazione dello spazio europeo di giustizia.
ANTONIO LEONE. Che c'entra? Sei fuori tema!
PIERO FASSINO. Allora, vanno definitivamente messe da parte le proposte avanzate dal ministro dell'economia per ridurre i poteri del Parlamento europeo in materia economica e per ridurre l'indipendenza della Banca centrale europea a garanzia della stabilità dell'euro. Se si crede nell'Europa massima possibile, l'Italia deve battersi perché tutti i capitoli della Costituzione nel testo trasmesso dalla Convenzione europea alla Conferenza intergovernativa siano il più possibile difesi, a partire dalla difesa di quel voto a maggioranza qualificata che è un principio fondamentale per far funzionare l'Unione e per realizzare politiche comuni, nel momento in cui, allargandosi a 25, se non si adotta il voto a maggioranza, il rischio è che il veto di questo o di quel paese determini non solo la paralisi dell'Unione ma l'implosione di qualsiasi politica di integrazione.
Quindi, quello che si chiede è coerenza di comportamenti. Io credo che possiamo sposare in toto le parole che, ancora questa mattina, il Presidente Ciampi ha affidato ad uno dei principali quotidiani di questo continente, un grande quotidiano tedesco, laddove sollecita l'Unione europea ad avere coraggio, sollecita i governanti europei, che si riuniranno venerdì a Bruxelles, a non essere prigionieri degli egoismi nazionali, a considerare che scommettere sull'Europa non è un rischio ma una grande opportunità, e non cito queste parole a caso. Infatti, confesso di essere stato sconcertato nel leggere i resoconti giornalistici dell'incontro tra il Presidente del Consiglio, che è anche Presidente di turno dell'Unione europea, e i presidenti delle confindustrie europee qualche settimana fa, laddove il Presidente del Consiglio ha detto che l'Europa è un rischio, è un vincolo, è un ostacolo, quando io penso che invece, proprio guardando all'Italia e alla sua storia, dovrebbe essere chiaro che l'Europa è un'opportunità su cui scommettere. Del resto, quanto più noi scommettiamo sull'Europa, tanto più siamo in grado di affrontare i problemi che stanno di fronte ad ogni nazione del continente, perché affrontandoli insieme sarà più possibile trovare soluzioni comuni a problemi comuni. Invece, se induciamo nei cittadini l'idea che l'Europa sia un rischio, noi facciamo un danno per il nostro paese e per l'Europa e rendiamo più difficile la soluzione dei problemi.
Quindi, quello che noi chiediamo al Presidente del Consiglio, al ministro Frattini ed al Governo italiano che ha la difficile responsabilità di gestire il Consiglio venerdì e sabato, è quello di non avere paura, di avere coraggio e soprattutto di avere determinazione nella coerenza con l'impianto europeista che sempre ha caratterizzato la collocazione dell'Italia nell'Unione europea (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani e Misto-Socialisti democratici italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Landi di Chiavenna. Ne ha facoltà.
GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, molti passi avanti sono stati fatti - ha ragione, signor ministro - per la costruzione di un'Europa unita che sappia parlare con una voce sola e sappia marciare ad una sola velocità. Tuttavia, a 48 ore dal vertice di Bruxelles, esiste ancora un'alea sulla positività dei risultati finali, quindi sull'incertezza del risultato futuro dell'Unione comunitaria. Dopo 16 mesi di negoziati tra i 105 membri della Convenzione e due mesi e mezzo di trattative nella Conferenza intergovernativa presieduta dal nostro paese, non possiamo immaginare altro percorso che non porti a sancire la nascita della Costituzione europea condivisa da tutti i 25 aderenti all'Unione.
Non è più tempo, signor ministro - lei lo ha correttamente sottolineato -, per
immaginare un'Europa dei piccoli passi e delle ambigue intese. Ci confrontiamo con scenari geopolitici ad alta tensione e drammaticità, per la risoluzione dei quali vi è bisogno di un vero soggetto politico, capace di esprimere unitariamente la voce del vecchio continente allargato e riunificato.
Viviamo un periodo di grande incertezza e di profonda instabilità e la disomogenea posizione assunta da alcuni importanti Stati europei nel recente passato, quando si trattò di assumere le dolorose decisioni volte a contrastare il crescente fenomeno del terrorismo internazionale, non aiutò certo a far maturare la convinzione che l'Unione europea parlasse una sola lingua ed esprimesse una sola posizione in politica estera. Lo stesso scenario si è ripetuto anche recentemente, quando i ministri finanziari hanno dovuto constatare diversità di posizioni in materia di rispetto del Patto di stabilità.
Paradossalmente, mentre l'Europa politica sembra affannata e divisa, la sua moneta, l'euro, diventa sempre più forte, schiacciando il dollaro, da sempre considerato moneta di riferimento. Questo apprezzamento, peraltro pilotato da politiche monetarie d'oltreoceano, non aiuterà certo l'economia dell'export europeo e comporterà tempi più lunghi per la ripresa economica e industriale del nostro continente. Se, quindi, è indiscutibilmente vero che il pianeta ha estremamente bisogno di ricostruire una nuova stabilità internazionale, politica ed economica, che sappia affrontare e contrastare le spinte destabilizzatrici per riconquistare pace e stabilità, benessere diffuso e equilibri geoambientali, è altrettanto necessario far nascere, senza esitazioni e senza compromessi al ribasso, un'Europa forte, coesa, unita, capace di sapersi imporre come interlocutore credibile e motore decisionale.
In altre parole, signor ministro, l'Europa non può permettersi un fallimento: ne andrebbe della sua credibilità e si ridurrebbe la fiducia dei cittadini europei verso l'Unione stessa. Non è in gioco la credibilità politica di questo o di quel paese e men che meno la credibilità italiana e lei, giustamente, lo ha sottolineato.
Voglio dare atto a lei e a tutto il Governo che, durante il nostro semestre, sono stati compiuti sforzi eccezionali per trovare la soluzione più idonea che consenta di superare i particolarismi. C'è, peraltro, chi non si rende ancora conto che con l'allargamento del prossimo 1o maggio 2004 non si può rimanere bloccati al Trattato di Nizza, così come non si può congelare il nodo del voto ponderato a doppia maggioranza a tempi incerti. Né sarebbe auspicabile concludere il vertice di sabato e domenica aggrappandosi ai codicilli o agli escamotage per salvare l'intesa, perché questa sarebbe una piccola intesa.
L'Italia ha lavorato e lavora per una solida, unitaria intesa, non certo per orgoglio di Presidenza, ma perché è profondamente cosciente dell'importanza della partita. Ci auguriamo che la stessa sensibilità dimostrino anche quei due paesi che ancora oggi sembrano arroccati su posizioni di indisponibilità. Sono due paesi, signor ministro e colleghi, ai quali l'Italia ha guardato e guarda con grande rispetto e amicizia per le scelte coraggiose che hanno compiuto in politica estera e di queste scelte abbiamo forte e presente il ricordo e l'apprezzamento. Ma venerdì e sabato dovranno dimostrare che quella scelta non avrebbe senso se non sarà accompagnata dalla nascita della Carta costituzionale europea, che significa tra l'altro politica unitaria della difesa e della sicurezza, politica unitaria in materia estera, politica di bilancio, politica di giustizia europea, politica unitaria per contrastare l'immigrazione clandestina, politica unitaria per rilanciare il comparto industriale europeo, politica dell'allargamento con l'innesto di 75 milioni di nuovi cittadini europei.
Signor ministro, Alleanza nazionale è riconoscente al Governo italiano e a lei in particolare per l'impegno profuso in questi mesi. Ora siamo avviati verso un redde rationem e sappiamo che l'Italia venerdì e sabato spenderà tutto il fiato che ha in corpo per pervenire alla soluzione che tutti auspichiamo e ciò significherà un
grande successo, oltre che per il nostro paese, per l'Unione intera. Se ciò non dovesse avvenire, tuttavia, di una cosa Alleanza nazionale è certa: non si potrà attribuire all'Italia e men che meno al suo Governo alcuna responsabilità politica e men che meno potranno essere avviate strumentalizzazione interne per bassi scopi di screditamento elettorale. La Casa delle libertà così si comporterebbe se fosse all'opposizione.
Concludo, signor ministro, auspicando una positiva conclusione della prossima Conferenza intergovernativa. Superare i particolarismi e votare il testo della Carta costituzionale è nell'attesa dei cittadini europei, ai quali sono stati chiesti - questo è vero - molti sacrifici per entrare in Europa. Ora in Europa i cittadini europei ci sono, e ci vogliono restare con convinzione e a testa alta.
Le chiediamo, signor ministro, un suo impegno, che oggi ha riconfermato per un'Europa vissuta non come un super Stato, ma come unione di Stati-nazione, rispettosa delle identità nazionali. In questa prospettiva, ci aspettiamo, da domenica, un'Europa capace di decidere, e che veda nell'ideale europeo quel valore aggiunto e fondante per perseguire i traguardi di pace, di stabilità e di prosperità: buon lavoro, signor ministro (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rutelli. Ne ha facoltà.
FRANCESCO RUTELLI. Signor Presidente, come parte il ministro degli affari esteri, come partono i rappresentanti del Governo italiano alla vigilia della decisiva riunione di Bruxelles? Il Parlamento che mandato assegna al nostro ministro alla vigilia di questo appuntamento, che inizia tra 48 ore, sapendo che l'Italia, come guida dell'Unione europea, ha una grande responsabilità, anche simbolica e morale, perché è in Italia, qui a Roma, che sono nati i Trattati che istituiscono la Comunità europea? Oggi che l'Unione europea si allarga a 25 paesi membri, che salda il suo debito storico con i paesi dell'Europa centrorientale e che guarda di più al Mediterraneo, il nostro ministro che mandato riceve dal Parlamento?
Vorrei distinguere in due parti la mia risposta. Indiscutibilmente, per governare l'Europa occorrono le riforme, e poiché siamo d'accordo con il giudizio dato da Romano Prodi - i lavori della Convenzione sono positivi, anche se insufficienti - e ci leghiamo alla tradizione di quegli europeisti che l'Europa l'hanno fatta davvero, da De Gasperi a Schuman e Monnet - ovvero all'impostazione comunitaria, vale a dire che l'Europa si fa attraverso le decisioni, magari a piccoli passi, ma decisi, nella direzione giusta -, sino al coraggio visionario dei federalisti di Spinelli, oggi sappiamo che occorre avanzare. Dunque, è possibile e doveroso conseguire un compromesso.
Sappiamo, tuttavia, che ci troviamo di fronte ad un bivio: o si retrocede al dominio dei governi o si avanza sul percorso comunitario. Non può esserci pertanto, signor ministro, dominio dei veti, degli egoismi o delle miopie, dettate dai legittimi interessi degli Stati, nel momento in cui l'Unione europea si estende a 25, 27 o 28 membri nel giro di pochi anni.
Pertanto, siamo d'accordo con le conclusioni del ministro degli affari esteri, e non è casuale che i francesi, i tedeschi e i paesi del Benelux, vale a dire i 6 Stati fondatori, si ritrovino oggi uniti nel dire che ci vuole una riforma che funzioni, che occorre la possibilità di governare l'Unione europea e che l'Italia non si deve prestare a ripetere il fallimento di Nizza.
È questo il punto politico, signor Presidente. La Convenzione europea, presieduta da Giscard - con l'apporto importantissimo di Amato e dei nostri rappresentanti -, è nata proprio dal fallimento di Nizza, è nata proprio dicendo: mai più Nizza, ovvero una notte nella quale si stabilisce un'intesa che gli europei non capiscono e che non permette alle istituzioni europee di funzionare. Il Trattato di Roma, che ho citato all'inizio, signor Presidente, ha vissuto 30 anni, l'Atto unico europeo 6 anni, il Trattato di Maastricht 6
anni, il Trattato di Amsterdam 4 anni, ed è prevedibile che duri 4 anni anche il Trattato di Nizza.
Ora, noi dobbiamo approvare un trattato costituzionale che sia destinato a durare decenni, forse mezzo secolo: è impensabile un compromesso al ribasso! Occorre creare le condizioni per cui questa svolta tale sia; altrimenti, sono d'accordo con quello che ha detto concludendo il ministro: meglio nessun trattato che un trattato disastroso o negativo. Quindi, attenti ai rischi di compromesso al ribasso nelle ultime ore! Su questa linea, signor Presidente, il Governo avrà il sostegno della nostra opposizione.
La seconda parte del mio intervento manifesta, tuttavia, un contenuto critico che non possiamo sottacere in questo momento. Nel momento in cui - lealmente - diciamo al Governo: «se vai su questa linea, avrai il nostro sostegno», per ciò che è avvenuto nei sei mesi passati noi siamo preoccupati. Siamo critici per una serie di eventi negativi, fino all'ultimo: l'avallo alle decisioni dell'Ecofin, che sostanzialmente, hanno fatto saltare, il patto di stabilità e di crescita. Siamo critici perché, purtroppo, è l'Italia che ci rimette insieme all'Europa: se risalgono i tassi d'interesse, con il suo grande debito pubblico, il nostro paese sarà quello che pagherà più cara di tutti la crisi del patto di stabilità!
D'altronde, mi faccia chiedere a lei, signor ministro, come diamo conto di una serie di impegni che il Governo aveva preso in una serie di precedenti tornate, di semestri guidati da altri, in relazione ad alcuni precisi interessi nazionali. Ne cito uno per tutti: l'agenzia, l'authority per la sicurezza alimentare a Parma. Noi sosteniamo qui questa scelta - tutta l'opposizione lo fa, come l'aveva fatto quando era maggioranza di Governo - e ci auguriamo che il Governo si faccia valere, come aveva promesso di fare, per l'autorità a Parma, nel nostro paese.
Ma siamo preoccupati ancora di più per il direttorio a tre che rischia di nascere. Lo abbiamo visto operare sulla questione del nucleare in Iran: Francia, Germania e Gran Bretagna, senza l'Italia, che pure presiede il semestre, si sono trovate ed hanno adottato una proposta che, poi, gli Stati Uniti hanno sposato. Lo abbiamo visto trovare una soluzione positiva, quella sulla difesa europea: sono andate avanti Francia, Germania e Gran Bretagna, senza l'Italia. Erano quattro, storicamente - e sono quattro - i grandi paesi dell'Unione!
Una scelta giusta, positiva, come quella relativa alla difesa europea, senza il crisma, nell'avvio, dell'Italia, ci preoccupa. Non vorremmo che ciò si ripetesse anche su altri temi cruciali per il futuro perché l'Italia, terminato questo semestre, rischia di essere più debole. Anche qui, pongo il mio accento critico, signor Presidente, sul fatto che, purtroppo, e non lo dico al ministro degli esteri...
PRESIDENTE. Onorevole Rutelli...
FRANCESCO RUTELLI. ...che credo abbia condotto con equilibrio il suo compito, abbiamo avuto troppe sortite improvvide da parte del Presidente del Consiglio. Le abbiamo avute sul sostegno alla guerra unilaterale degli Stati Uniti, l'altro giorno. Le abbiamo avute sui diritti umani in Cecenia. Le abbiamo avute sull'accordo di Ginevra tra moderati israeliani e palestinesi. L'Italia è l'unico grande paese democratico europeo che ha taciuto!
Concludendo, signor Presidente, io dico: «sì» ad una riforma che comporti efficacia, semplicità e trasparenza, con il sistema della doppia maggioranza; «sì» al controllo democratico, con i giusti poteri al Parlamento europeo; «sì» ad una Commissione Governo dell'Europa, capace di agire, come chiede Prodi, in qualità di Governo politico ed economico.
Se così non dovesse essere, allora è bene che l'Italia, che ha la grande responsabilità di essere paese fondatore, assuma, oggi, la responsabilità di far partire, di fronte alla crisi dell'Europa, un nuovo inizio, se necessario un'Europa a due velocità, facendo parte di quel nucleo di avanguardia europeista consapevole del proprio passato e capace di guardare al
futuro. Speriamo in un'intesa, in un compromesso elevato a Bruxelles, ma, se questo non vi dovesse essere, speriamo in un nuovo inizio. Qui, anche il Parlamento sarà a rappresentare tutta l'Italia su questa linea di coerenza e di chiarezza (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Rutelli.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Follini. Ne ha facoltà.
MARCO FOLLINI. Signor Presidente, di questi tempi soffia in Europa un forte vento nazionalista. Soffia da più parti, soffia per più di una ragione. Soffia da sinistra e da destra, soffia da est e da ovest, da paesi forti e da paesi deboli. Quasi ovunque l'egoismo degli Stati sta guadagnando posizioni rispetto al senso di insieme che l'Unione è chiamata ad interpretare. Questo vento è stato alimentato, in maniera possente, dalla disunione che si è prodotta di fronte alla scelta strategica del conflitto iracheno, la più grave e lacerante dal dopoguerra ad oggi, e viene alimentato anche - direi quasi quotidianamente - dalle difficoltà di un ciclo economico tanto cambiato e, per molti versi, tanto peggiorato rispetto agli anni in cui fu sottoscritto il patto di stabilità.
È evidente che tutte queste difficoltà, tutte queste sfide affrontate solo in parte e spesso in ordine sparso sollevano un grande punto interrogativo sulla capacità dell'Europa, prima che dei paesi europei, di marcare un protagonismo incisivo, ragionevole e non velleitario sulla scena mondiale.
Un'Europa che lasciasse, oggi, campo libero al dispiegarsi di questi egoismi si condannerebbe alla marginalità e alla irrilevanza. Un'Europa che si illudesse di domare questi interessi e questi egoismi armata solo dalla forza delle sue prediche e, qualche volta, delle sue retoriche, andrebbe incontro a delusioni fin troppo facilmente prevedibili. Per questo, è decisiva la questione delle regole, dell'architettura istituzionale che si vuole dare all'Unione, in nome del suo allargamento, ma anche della sua maggiore coesione.
È una questione che riguarda tutti, che non si può affrontare scommettendo su direttori, noccioli duri ed «euronuclei». Può darsi che, nel futuro della costruzione europea, vi siano cerchi concentrici, caratterizzati da diversi livelli di responsabilità, ma anche chi immagina un'Europa con una qualche geometria variabile non può sfuggire all'appuntamento che, oggi, tutta l'Europa, e non solo una parte, ha davanti a sé.
In un contesto così difficile, il lavoro della Convenzione, il suo prodotto finale, finisce per segnare un punto a favore di un progetto più europeista. Avevamo annotato tutti - ed io tra questi - una sorta di eccesso di prudenza presente in quel testo, la difficoltà a liberarsi della catena del diritto di veto. È tutto vero. Ma, oggi, forse è anche più vero che le resistenze che quel testo sta incontrando inducono ad essere meno severi e a considerare come la difesa di quel testo sia diventata, a questo punto, la trincea più avanzata di una vocazione europeistica e comunitaria. Insomma, il confine non è tra l'Europa com'è e il sogno di un'altra Europa. Il confine cruciale, in questo momento, è quello che divide l'Europa com'è dal rischio di un poderoso arretramento. Sta qui, lungo quel confine, il compito e la difficoltà che ha caratterizzato il semestre italiano di Presidenza dell'Unione. Cosa deve fare, in questo contesto, il Parlamento e quale mandato deve dare al Governo, giunti a ridosso di un Consiglio europeo che tutti consideriamo decisivo?
Crediamo - l'ho detto in precedenza - che il Governo debba difendere il testo della Convenzione. Difenderlo, ovviamente, vuol dire evitare che sia peggiorato, ma anche, credo, tenersi a prudente e realistica distanza dall'illusione di poterlo migliorare più di tanto.
Quel testo, oggi, è il minimo comune denominatore dell'Unione possibile. Fa parte delle difficoltà di questi tempi che il minimo indispensabile coincida con il
massimo possibile, ma questo è il punto in cui siamo oggi e con realismo dobbiamo prenderne atto.
Difendere il testo significa anche difendere quel principio della doppia maggioranza che ribadisce la natura dell'Europa come unione di Stati e di cittadini e, quel che più conta, sancisce l'uguaglianza dei cittadini europei.
Difendere quel principio significa far valere, presso la Spagna e la Polonia, che pongono in campo interessi nazionali ben comprensibili, le ragioni della risolutezza e della determinazione, non meno che quelle della diplomazia.
Diamo atto volentieri al Governo italiano e al ministro Frattini di essersi mossi fin qui con questo spirito. Di qui in avanti sicuramente il compito non sarà più facile e tanto più credo non debba mancare il sostegno e l'apprezzamento del Parlamento.
Infine, c'è un mandato che le forze politiche ed i gruppi parlamentari debbono, per così dire, affidare a se stessi. C'è nel nostro paese una diffusa unità di intenzioni e anche di giudizi sull'Europa. A questa regola ovviamente non manca qualche eccezione, ma la regola è questa. La gran parte di noi condivide l'idea fondamentale che, in un mondo più sregolato e più pericoloso, un maggior protagonismo europeo ed una maggiore unione europea costituiscono l'obiettivo principale della nostra politica estera. Su questo, anche nel dibattito di oggi, ho sentito molti accenni comuni tra la maggioranza e l'opposizione: un riconoscimento, che è venuto nelle parole dell'onorevole Fassino e dell'onorevole Rutelli, di larga condivisione di un progetto che accomuna per molti aspetti maggioranza ed opposizione. E per cercare le differenze credo che sia l'onorevole Fassino sia l'onorevole Rutelli abbiano dovuto quest'oggi fare ricorso a tutte le risorse della fantasia, poiché, in realtà, sul punto fondamentale dell'Unione europea mi ostino a credere che ci sia in questo Parlamento e nell'opinione pubblica del nostro paese un consenso vasto e diffuso, che travalica i confini tra la maggioranza e l'opposizione.
Questa unità, anche oggi, noi la dobbiamo tenere ferma. Se ci sono divisioni vere è giusto affrontarle, ma le divisioni fittizie, quelle inventate, quelle magari legate alle controverse ragioni della politica interna, quelle le dobbiamo evitare.
Nei prossimi giorni si giocherà una parte fondamentale del destino europeo. Il nostro Governo ha il consenso della sua maggioranza, il consenso di questo Parlamento, la condivisione nelle grandi forze politiche del paese che il futuro che ci aspetta è un futuro in cui l'integrazione europea dovrà fare altri passi avanti e, tanto più saranno fondamentali questi passi, quanto più abbiamo misurato in questi ultimi tempi le difficoltà di questo processo e di questo cammino (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Guido Giuseppe Rossi. Ne ha facoltà.
GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor Presidente, signor ministro degli affari esteri, colleghi, la presenza del mezzo televisivo ci impone oggi di comunicare dei messaggi chiari e soprattutto capaci di indicare degli spunti di riflessione ai cittadini che ci stanno ascoltando: spunti di riflessione su una materia che, spesso e volentieri, è difficile capire, ostica, oscura, coperta dal linguaggio della diplomazia e, talvolta, da un linguaggio che è volutamente complicato, burocratico ed ostile. È un linguaggio che nasconde la complessità delle questioni europee, perché, spesso e volentieri, i cittadini italiani, i cittadini di questo Stato, si sono ritrovati a fare i conti con decisioni prese a livello europeo che hanno sconvolto, quanto meno mutato fortemente il nostro modo di vivere dal punto di vista economico, dal punto di vista sociale - e posso pensare all'introduzione dell'euro -, ma hanno anche modificato pesantemente e profondamente il nostro sistema istituzionale e addirittura i nostri principi costituzionali.
Dunque, entrando nel campo del linguaggio, devo ammettere che alcune espressioni, che ormai vengono usate a piene mani dalla classe politica e dai mass media, ci lasciano francamente perplessi. Mi riferisco ad espressioni come: non accetteremo un compromesso al ribasso, vogliamo una soluzione di alto profilo, uno scenario catastrofico se non si trovasse un'intesa in queste settimane, in questi mesi, sulla vicenda della Costituzione europea.
Sono espressioni che ci lasciano perplessi e penso che lascino perplessi anche i nostri cittadini e l'opinione pubblica, che non riesce a rapportarsi a queste vicende, a queste materie, che rimangono - e poi svilupperemo meglio questo concetto - in circoli chiusi, in circoli politicamente chiusi, nelle Conferenze intergovernative, ma non riescono a sfondare nell'opinione pubblica e nei desiderata dei nostri concittadini.
Per converso, il messaggio che la Lega nord federazione padana vuole inviare è assolutamente chiaro e limpido e si basa su un principio altrettanto chiaro e limpido. Dall'Europa e dall'Unione europea arrivano idee, suggerimenti, proposte legislative interessanti e positive, ma talvolta arrivano anche idee, suggerimenti e proposte legislative che positive non sono e, anzi, sono dannose per il nostro sistema nazionale. Ricordiamo il caso, a nostro avviso eclatante, che abbiamo contribuito a portare all'attenzione dell'opinione politica pubblica, del mandato d'arresto europeo che sconvolge i nostri principi costituzionali e mette in pericolo (voglio utilizzare questa espressione) i diritti fondamentali di libertà di tutti i cittadini euroentusiasti e non.
Visto che i minuti sono pochi, vorrei trattare alcuni concetti. Innanzitutto, l'Italia non è isolata dal punto di vista internazionale e nel campo europeista. Lo scenario catastrofico che l'opposizione di centrosinistra, attraverso editoriali sui giornali ed una campagna di stampa, aveva disegnato nei mesi passati non si è avverato. Il nostro Governo, grazie all'azione del ministro degli esteri e dei ministri di settore che si sono fatti valere nel campo della giustizia, del lavoro, delle comunicazioni ed in altri campi e grazie al Presidente del Consiglio, ha posto al centro dell'azione politica comunitaria il nostro paese. Dunque, l'Italia non è isolata. Non vi è il caso Austria numero 2 e l'Italia è pienamente inserita nel contesto europeo.
La seconda riflessione che vogliamo svolgere, però, è che in Europa vi sono paesi, come la Spagna e la Polonia, che non hanno timore di affiancare ovviamente ad una battaglia europeista ed europea anche la tutela degli interessi nazionali. La vicenda molto tecnica ma molto politica nello stesso tempo della doppia maggioranza ne è l'esempio più lampante.
A mio avviso, come Presidenza italiana, dovremmo evitare che taluni Stati all'interno dell'Unione europea - noi abbiamo vissuto anche questa situazione di isolamento - per motivi di interesse nazionale o perché hanno una visione diversa in quel momento, vengano aggrediti ed isolati diplomaticamente e internazionalmente. Nell'Unione europea, che è la casa di tutti gli europei, a mio avviso, atteggiamenti di questo tipo non fanno onore ad una concezione autenticamente democratica.
Se un popolo, se uno Stato ha delle perplessità su un passaggio costituzionale europeo deve avere tutti i diritti di poterlo far presente nella più assoluta legittimità e non possono essere messe in atto forme di pressione diplomatica di questo tipo; altrimenti, il progetto, il contesto nel quale si proietta l'Unione europea, a nostro avviso, non è pienamente democratico (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana). Questo lo vogliamo sottolineare.
Per quanto riguarda la questione del doppio voto, si tratta di una questione molto tecnica, come dicevo prima, ma anche al riguardo non possiamo non sottolineare una certa schizofrenia europeista. A Nizza, nel 2000, si determina un determinato sistema di votazione e tre anni dopo si sconvolge questo sistema di votazione.
Purtroppo, adesso, su questa materia, si incentra tutto il dibattito, dimenticando, invece, questioni politiche, a nostro avviso, fondamentali. Non si è parlato delle radici identitarie sulle quali costruire l'Europa e l'Unione europea. L'Europa e gli europei non hanno avuto nemmeno il coraggio intellettuale e culturale di inserire nel preambolo di questa Costituzione il fatto che le nostre radici sono cristiane, indicando chi siamo, qual è il nostro passato, qual è il nostro retaggio (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana). All'interno di questo preambolo vi sono frasi che dicono che l'Europa è un continente abitato da abitanti giunti in ondate successive fin dagli albori dell'umanità. Vi è una visione politicamente corretta o forse volta a ricordare gli sbarchi che avvengono ai giorni nostri. Ma da dove sono arrivati gli europei fin dagli albori dell'antichità? Questa è la domanda che ci possiamo porre. Noi una risposta ce l'abbiamo: piuttosto che avere un preambolo di questo tipo, di così basso livello (per citare un'espressione che è ormai abusata), è meglio non avere il preambolo nella Costituzione europea (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).
Vorrei affrontare ancora un tema e concludo, signor Presidente. Mi riferisco alla questione dell'assoluta mancanza del mandato parlamentare. Il Governo italiano e tutti i Governi europei intervengono e modificano in maniera profonda le Costituzioni e le istituzioni dei singoli Stati nazionali, senza ricevere un mandato diretto da parte delle Assemblee elettive. Su questo bisogna aprire un dibattito. Noi, come Lega nord, proporremo una modifica costituzionale per stabilire che i Governi, quando vanno a trattare questioni fondamentali a livello europeo, devono avere un mandato cogente e imperativo da parte delle Assemblee elettive.
Solo così si può dare una visione democratica all'Europa che verrà. In conclusione, se non diamo questa risposta, la gente non amerà l'Europa. I sondaggi lo dicono chiaramente: il grado di fiducia è passato in pochi anni in Italia, che è un paese euroentusiasta, dal 60 al 47 per cento. Noi dobbiamo dare risposte su questi temi.
Signor ministro, nelle riunioni che terrete nei prossimi giorni, tenga conto di questa indicazione, nel confronto con i suoi colleghi, perché un'Europa senza anima, senza consenso e senza un percorso condiviso e democratico, non sarà mai una potenza, una forza nello scenario globale, ma solo e sempre una somma di debolezze (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bertinotti. Ne ha facoltà.
FAUSTO BERTINOTTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'intervento del ministro Frattini non ci ha affatto convinto; anzi, con formula più precisa, possiamo dire di essere in netto dissenso rispetto alla sua impostazione. L'Europa che viene così configurandosi è una grande sonnambula: non esiste nella vita attiva e alla luce del sole. Se depurassimo l'intervento del ministro dalla retorica, resterebbe soltanto il vuoto della politica, riempita con l'adattamento all'ordine esistente. Sopra l'ordine esistente rimarrebbe un conflitto fra i poteri per sapere chi dovrà guidare questo adattamento.
Se usciamo dal dibattito in quest'aula, anche l'onorevole Follini potrà trovare differenze salienti rispetto a questa impostazione. C'è una discussione, non solo fra gli intellettuali e nella cultura, sullo stato di disordine e di caos in cui versa il mondo. Semmai, la discussione più impegnata è per capire se esiste una ratio in questo caos oppure se sia semplicemente una tendenza alla catastrofe.
Gli interrogativi sono drammatici e sono in molti a pensare, noi tra questi, che l'Europa rischia in questo disordine la sua rotta e il suo declino.
Il ministro ha detto che sabato e domenica mattina ci sarà un appuntamento importante; io penso che quale che sia la conclusione, l'Europa non sarà animata da una grande passione su questa conclusione e che la differenza fra ciò che il ministro
considera bello e ciò che egli considera brutto sarà considerato irrilevante da tanta parte dei popoli europei.
Non faccio alcuna demagogia se vi chiedo di provare a verificarlo con i disoccupati del Mezzogiorno d'Italia, con la popolazione di Scanzano, con i lavoratori che guadagnano 900 euro al mese o con i pensionati che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese. Andate a sentire l'attesa che c'è rispetto a questa conclusione in una fabbrica, in una scuola o in un bar e vi accorgerete di quanto grande sia il distacco fra l'Europa ufficiale e quella reale.
Il ministro ha parlato di diversi modelli di Europa, ma si è riferito a diverse idee dell'equilibrio di poteri fra il Consiglio europeo, la Commissione e il Parlamento, tra quanto possono pesare i diversi governi nel prendere le decisioni. È un'idea assai flebile di modello; per modello bisogna invece pensare a quale rapporto l'Europa debba considerare tra sé ed il mondo, nel rapporto drammatico della contesa tra la pace e la guerra; a quale modello sociale vuole realizzare e a come affrontare il problema della crisi della democrazia nel nostro tempo. Invece, nulla di tutto questo: il mondo è attraversato dalla guerra e dal terrorismo in una spirale che cresce in maniera distruttiva. Può accadere un giorno che muoiano sotto i bombardamenti portati contro una presunta base terroristica sei bambini, ma di questo la politica non se ne accorge - e cresce la spirale distruttiva.
Il trattato costituzionale è altrove e non ci si accorge neppure di chi chiede una radicale modifica di questo trattato, come è accaduto a Parigi e a Saint Denis, o non ci si accorge neppure, come è stato ricordato, che a Ginevra uomini di pace e di buona volontà possono incontrarsi per definire una prospettiva di pace in Palestina e di autonomia nella costruzione degli Stati: l'Europa in tutto questo è assente.
Poi, c'è la crisi economica di un'Europa stretta tra gli Stati Uniti che crescono con il dollaro debole e la competizione che cresce in una realtà come quella cinese che ha ben imparato la lezione neoliberista. L'Italia e l'Europa rischiano di essere stritolate. Le economie forti come quella francese e quella germanica - lasciamo stare i nazionalisti che in questo caso non c'entrano nulla - rompono quello che Prodi chiamava lo stupido patto di Maastricht e tentano di uscirne in qualche modo, seppure pragmaticamente. Tuttavia, Maastricht era il paradigma di questa Europa. Viene messo in discussione perché non regge, come non hanno retto i rapporti internazionali di scambio a Cancun.
Ci sarebbe da ridefinire una politica economica. Il Governo italiano quando, in questa sede, enumera gli impegni della Conferenza intergovernativa sembra riecheggiare i temi di un keynesismo bastardo, privo di alcuna capacità di immaginazione futura. Intanto, vive una crisi della coesione sociale: la riduzione potente delle tutele dello Stato sociale; un'immigrazione che viene ridotta dentro una linea di sicurità, di impedimento all'accoglienza, di ghettizzazione; una frammentazione del mercato del lavoro. In Italia la conosciamo bene perché abbiamo la legge Bossi-Fini da una parte e la legge n. 30 dall'altra. Tuttavia, questa è l'Europa: è l'Europa di Barcellona del 15-16 marzo che pretendeva il prolungamento dell'età pensionabile, la liberalizzazione dei servizi e la flessibilità del lavoro. Questo si produce mentre nessuna Europa diversa si configura neppure come immaginabile per il prossimo appuntamento.
L'onorevole Fassino ha parlato di due idee dell'Europa. Vorrei dire che non sono d'accordo. Le due idee di Europa da lui descritte, riassunte dalle formule del massimo possibile e del minimo necessario, sono solo due variabili interne allo stesso modello: quel modello che il trattato costituzionale definisce di un'Europa sostanzialmente capace solo di costituzionalizzare il mercato e di costituzionalizzare la collocazione nel teatro della guerra e del terrorismo esistente, cioè un'Europa passiva. Vorrei dire all'onorevole Fassino che vi è una terza Europa: quella che i movimenti hanno chiamato «l'altra Europa». Se il conflitto restasse racchiuso fra le
prime due bisognerebbe sapere che tale Europa risulterebbe come una superfetazione totalmente lontana dal vissuto dei popoli. Allora, anche le tentazioni nazionalistiche, forse, andrebbero lette diversamente. Siete davvero sicuri che il voto della Svezia che dice «no» a questa Europa sia un voto nazionalista e non, invece, un voto per difendere il proprio Stato sociale?
Se si vuole parlare con efficacia dell'Europa, per chi abbia in mente la difesa degli interessi giusti, bisogna pensare ad un'altra Europa. Allora, signor ministro, il prossimo appuntamento che voi tanto enfatizzate è, in realtà, un appuntamento inutile (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pisicchio. Ne ha facoltà.
PINO PISICCHIO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, gli ultimi giorni della Presidenza italiana dell'Unione europea si consumeranno nell'inseguimento di un accettabile compromesso sulla Costituzione che auspicheremmo davvero raggiungibile, ma che potrebbe essere negato dagli eventi. Se così andrà, la didattica dei dosaggi percentuali sulle possibilità di successo della Presidenza italiana, illustrata recentemente in Germania dal premier Berlusconi, potrebbe arricchirsi di un nuovo risultato che non può essere, però, annoverato fra le positività.
Avevamo aperto questo nostro semestre con molte ambizioni che incrociavano una congiuntura delicatissima per l'avvenire dell'Unione. La crisi internazionale, nella dimensione duplice irachena e israelo-palestinese, ci riportava in Medio Oriente appena ai margini meridionali dell'Europa; così la nuova feroce ondata di terrorismo.
Al tempo stesso, l'agenda delle grandi scadenze interne vedeva all'ordine del giorno le prove generali dell'allargamento dell'Unione europea che ci sarà il prossimo anno, nonché l'approvazione della Costituzione europea e dell'insieme delle regole che presiederanno alla convivenza operosa di 25 Stati sovrani in una casa comune. Tra le regole più austere, quelle relative al Patto di stabilità, che avevano rappresentato il delicatissimo punto di equilibrio finanziario per i paesi membri e per quelli che stavano per entrare.
Ebbene, la prima regola infranta è stata quella del Patto, caduto sulla spinta di istanze politiche, che hanno avuto capacità di penetrazione in quanto provenienti da Francia e Germania, due superpotenze dell'Unione. Forse, aver consentito che si aprisse un nuovo canale di solidarietà da parte italiana con Francia e Germania non ha rappresentato un male; ha, però, legittimato una sorta di doppio registro dell'Unione europea, rigorosa con tutti i paesi membri, tranne che per alcuni più uguali di altri e dunque titolari di un diritto all'esercizio di un rigore prêt à porter.
Così facendo, però, si rischia di generare un corto circuito dell'Unione europea, che è fondata sull'equilibrio del volontario accoglimento, da parte degli Stati sovrani, delle regole e degli obblighi da essa derivanti. Non ci è parso che in questi mesi l'Europa abbia poi cercato un percorso originale per affermare un ruolo di protagonista nell'area del Mediterraneo. Va ribadito, invece, che la grande chance dell'Europa si chiama Mediterraneo e non solo per ragioni geografiche. L'afferenza con quell'area e con quella cultura è naturale per gli europei, in modo particolare per i popoli dell'Europa meridionale. Rinunciare alla ricerca di un protagonismo dell'Unione europea in quell'area, accettando di privilegiare esclusivamente il quadrante del nord est, significa rinunciare anche ad un ruolo di protagonista sulla scena mondiale, lasciando agli Stati Uniti l'incomodo di essere l'unica potenza regolatrice esclusiva dell'equilibrio globale.
Tra qualche giorno si concluderà il semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, del quale comunque non intendiamo sottacere l'impegno, soprattutto nell'ultima fase e soprattutto da parte del ministro Frattini. Tuttavia, con la chiusura del semestre di Presidenza italiana non sarà esaurita la portata della partecipazione
italiana alla costruzione della nuova Europa. In quella nuova Europa, onorevole rappresentante del Governo, noi vorremmo essere con la dignità dei protagonisti, coerente con il ruolo di fondatori che spetta al nostro paese, esprimendo, a cominciare dalla conferenza intergovernativa, la forte volontà del Parlamento di realizzare l'Europa possibile oggi, sulla scia di quell'Europa dei popoli, voluta dai padri fondatori: Alcide De Gasperi, Robert Schumann e Altiero Spinelli (Applausi dei deputati del gruppo Misto-UDEUR-Alleanza Popolare).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rizzo. Ne ha facoltà.
MARCO RIZZO. L'Italia e l'Europa si trovano di fronte a un bivio. Noi tutti, cittadini europei, ci troviamo ad un passaggio cruciale del lungo e faticoso cammino dell'unità europea. Abbiamo visto la realizzazione della moneta unica, che ha portato con sé tanti pregi e tanti difetti, ma che ha segnato un salto in avanti dell'Europa economica e monetaria. Quel salto, tuttavia, rischia di restare monco, se non prosegue il cammino per un Europa politicamente forte e unita. L'euro e l'insieme delle politiche monetarie e finanziarie sono state oggetto di uno scontro, la cui portata va ben oltre le questioni economiche.
Quando il ministro Tremonti nulla ha fatto per impedire una rottura sul patto di stabilità, è riemersa chiara alla luce del sole quella concezione dell'Europa vissuta come un fastidio, un laccio alla gamba per chi pensa solo agli affari. Abbiamo visto il vero volto del ministro dell'economia, lo stesso che, in campagna elettorale, tuonava contro l'Europa e che, prima ancora, guardava alla moneta unica come ad una iattura.
Ci siamo allontanati dalla Francia e dalla Germania quando erano contro la guerra; siamo con loro quando fanno saltare il patto di stabilità. Bella coerenza, questo Governo! Noi lo abbiamo detto con chiarezza: i parametri di Maastricht non sono un dogma, anzi occorre una loro revisione per consentire politiche espansive, a partire dalle spese sociali, ma ciò va realizzato nel rispetto delle regole.
In Europa, come nel nostro paese, deve valere il principio della legalità e del rispetto delle norme, altrimenti si impone la legge della giungla dove i paesi forti fanno il bello ed il cattivo tempo. No, cari signori! Quest'idea di Europa non ci piace; somiglia troppo a ciò che accade in Italia dove tante leggi sono realizzate ad uso e consumo degli interessi privati e non del bene comune.
Noi vogliamo un'Europa politica, un'Europa dei diritti civili e sociali uguali per tutti. Vogliamo un'Europa che sia in grado di decidere nell'interesse e per il bene dei suoi cittadini e non per quello delle lobby dei soliti potenti.
Nella vostra azione di Governo, invece, non manca occasione per svillaneggiare l'Unione europea; nella vostra maggioranza e nel vostro Governo vi è ancora un ministro capo popolo che parla di «forcolandia» e lancia strali contro ogni significativo passo in avanti verso l'unificazione.
Non meraviglia che l'accoppiata di Bossi e Tremonti abbia portato i disastri della nostra politica europea. Vogliamo un'Europa democratica; la mancanza di rispetto manifestato dal Premier verso il Parlamento di Strasburgo va nella direzione opposta, quella di un'idea di democrazia vissuta con fastidio ed irritazione.
Vorremmo un'Europa in grado di agire concretamente, realmente, per la pace del mondo, a partire dal Medio Oriente, con la creazione di uno Stato palestinese nella sicurezza di Israele. Invece, con la guerra, il nostro Governo ha rotto l'unità europea, al fine di prostrarsi ai piedi del Presidente Bush, per sedersi al banchetto dei vincitori, nell'illusione di avere qualche briciola nella ricostruzione dell'Iraq.
Ci dispiace, signori del Governo, ma dall'Iraq arrivano e continuano ad arrivare solo lutti e sangue. Purtroppo, lo avevamo detto e lo ripetiamo: occorre uscire da quel paese. Chi partecipa, direttamente
o indirettamente, all'occupazione militare dell'Iraq non può autolegittimarsi a ricostruire la democrazia.
La vera forza della pace sta nel coraggio delle scelte e non nella miseria della vostra subalternità.
Questo vale nel nostro paese, ma, ancor di più, in Europa e nel mondo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Intini. Ne ha facoltà.
UGO INTINI. Signor Presidente, bisogna riconoscere la professionalità e la buona volontà del ministro degli esteri (come risulta anche dal suo intervento). Condividiamo la sua ricerca di un accordo non al ribasso. Non si può immaginare però la politica estera divisa in compartimenti stagni: tutto si tiene.
La Presidenza europea dell'Italia - bisogna dirlo francamente - è stata danneggiata in partenza da ciò che la maggioranza di Governo è e da ciò che fa sui temi più scottanti. La maggioranza di Governo, dunque, per la prima volta, da decenni, è condizionata dalla presenza al suo interno di forze ostili o scettiche verso l'unità europea, dalla Lega allo stesso ministro Tremonti. La maggioranza di Governo ha seguito in modo passivo la politica dell'amministrazione Bush in Iraq.
Diciamo la verità: la retorica dell'amicizia per l'America e della lotta al terrorismo non può giustificare la sovraesposizione militare dell'Italia, con tutti i terribili rischi che comporta. Il Canada non è certo meno amico dell'America, ma in Iraq non vi sono soldati canadesi. La Francia non è certo meno ostile al terrorismo, ma in Iraq non vi sono soldati francesi. I candidati democratici alla Presidenza degli Stati Uniti non sono certo meno patrioti americani di noi, ma chiedono perché mai non si trovano in Iraq le armi di distruzione di massa che, sole, avevano giustificato l'attacco di Bush.
Non siamo più impegnati in un'operazione umanitaria, come credevamo, quando abbiamo inviato le nostre truppe: siamo impegnati in una guerra. È possibile continuare a combatterla a fianco degli americani, ma a tre condizioni: l'internazionalizzazione del conflitto ovvero il sostegno delle Nazione Unite, il pieno coinvolgimento dell'Unione europea come tale, una guida politica in Iraq non unilaterale, ovvero esclusivamente americana, ma multilaterale.
Il mio partito, lo SDI, non è affatto pregiudizialmente pacifista, perché i socialisti sanno che le armi vanno talvolta usate.
Siamo per un'Europa amica e strategicamente alleata degli Stati Uniti, ma non è nel nostro interesse nazionale appoggiare acriticamente l'amministrazione Bush. L'averlo fatto ha tolto al Governo italiano l'autorevolezza necessaria per essere punto di mediazione e di equilibrio nell'Unione europea.
Non potete sottintendere - spesso polemicamente - che le obiezioni alla politica irachena di Bush sono antipatriottiche, antiamericane e filoterroristiche e poi, nel contempo, dialogare efficacemente con Chirac e Schroeder, con la Francia e la Germania, ovvero con il cuore dell'Europa, che pienamente condivide queste obiezioni.
Nell'Europa continentale vi siete divisi da Francia e Germania e vi siete legati alla Spagna per compiacere alla Casa Bianca, per un legame personale e politico di Berlusconi con Aznar. Adesso, nella stretta finale, siete costretti paradossalmente a capovolgere le alleanze, a contrastare l'egoismo e il nazionalismo della Spagna, ricercando l'appoggio di Francia e Germania, non a caso padri fondatori, come l'Italia, dell'Europa. Meglio tardi che mai!
Il Presidente della Repubblica Ciampi, oggi, ha affermato: le contraddizioni del nostro continente non si supereranno se con la mano destra si invocano politiche estere comuni e con la sinistra si intraprendono azioni che ne impediscono il funzionamento.
Suona un rimprovero anche al Governo italiano!
L'Italia, Presidente di turno dell'Europa, ha infatti invocato a parole politiche
estere comuni, ma sul tema decisivo, l'Iraq, ha seguito il Presidente Bush anziché la stragrande maggioranza dell'Europa, senza neppure impegnarsi nella ricerca di una linea europea unitaria. Questo è il grave errore che vi chiediamo di correggere.
Per decenni, i Governi democristiani e socialisti hanno posto l'Italia all'avanguardia nella costruzione europea. Voi avete rischiato di porla alla retroguardia con la Spagna e la Gran Bretagna perché avete guardato più che a Bruxelles alla Casa Bianca, dove non si desidera un'unità politica vera dell'Europa.
Tornate indietro, riportate senza esitazioni l'Italia alla sua politica europeista tradizionale (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-l'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cima. Ne ha facoltà.
LAURA CIMA. Signor Presidente, dopo la seconda guerra mondiale, l'Europa è stata voluta per non avere più guerre e per procedere in un processo di pace e di integrazione che potesse far vivere e convivere i popoli con le differenze storiche e culturali che li caratterizzano. Un'Europa più rispettosa dell'ambiente, più democratica, meno burocratica, più capace di inserirsi negli equilibri mondiali per combattere un pensiero unico e un unilateralismo che oggi sembrano dominare questo mondo così difficile.
Molti colleghi hanno parlato della difficoltà di questa fase, stretta tra guerra preventive - che hanno condotto ad una situazione internazionale molto più instabile e più difficile, senza che siano stati svelati arsenali di armi di distruzione di massa - e terrorismo che si sta sempre più diffondendo.
C'è sempre più bisogno di un'Europa di pace e noi avremmo voluto che nella Convenzione fosse contenuto anche un articolo come l'articolo 11 della nostra Costituzione; dunque, un'Europa capace di codecisione e di frenare i poteri forti (mi riferisco in primo luogo agli Stati Uniti, gendarmi del mondo con scarsi risultati rispetto all'equilibrio mondiale). Vi è necessità di giustizia e di capacità di raggiungere gli obiettivi del Millennium round che appaiono sempre più lontani, sia rispetto alla miseria crescente, al divario tra le popolazioni ricche e quelle povere, sia rispetto agli obiettivi ambientali. Dunque, rischiamo veramente la distruzione della vita sul nostro pianeta!
C'è bisogno di questa Europa e crediamo che un'altra Europa, diversa da quella burocratica e ulteriore rispetto a quella dei mercati e della moneta, sia possibile. Dobbiamo riconoscere che, una volta tanto, il ministro Frattini ha svolto una relazione che condividiamo per quanto riguarda questo aspetto, anche se tardiva, anche se gli errori del Governo italiano si sono misurati a partire da quella adesione acritica agli Stati Uniti nella guerra irachena che ha seminato morte. Tra l'altro, di recente, è venuto alla luce quanto i servizi segreti avevano preannunciato in ordine alla pericolosità dell'invio delle truppe in quei territori.
Non siamo neanche così convinti, come lei, signor ministro, che l'Italia abbia fatto il possibile in questo semestre di Presidenza dell'Unione europea; secondo noi ha fatto poco. Ci auguriamo, comunque, che questa riunione, motivo per il quale il ministro Frattini oggi non è presente in aula, che dovrebbe portare al tentativo di una conferenza di paesi donatori rispetto al conflitto israelo-palestinese, porti ad un barlume di processo di pace che, a sua volta, porti la speranza, come ha fatto qualche giorno fa, ad esempio, il patto di Ginevra.
Come ha detto il ministro Frattini nel corso del suo intervento, noi siamo convinti che non bisogna cedere, ma bisogna puntare in alto; pagheremo però il prezzo di alleanze sbagliate. In questo senso, già la Spagna si sta rivelando estremamente aggressiva nei nostri confronti. Anche quella portata avanti dal ministro Tremonti è una politica errata: non si può far pagare al Portogallo quello che paesi forti, come Germania e Francia, non hanno pagato.
PRESIDENTE. Onorevole Cima, si avvii a concludere.
LAURA CIMA. Concludo, Presidente. Crediamo, comunque, che quest'Europa sia possibile, ed è per questo che noi Verdi ci battiamo a livello europeo e a livello italiano (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cossa. Ne ha facoltà.
MICHELE COSSA. Signor Presidente, signor ministro, i mezzi di comunicazione sono stati così attratti dalle grandi questioni affrontate dalla Convenzione europea in tema di radici giudaico-cristiane, voto ponderato, rappresentanza dei diversi paesi membri nella Commissione e quant'altro, che hanno parlato poco di altri aspetti del progetto di trattato i quali hanno, a loro volta, una grande rilevanza soprattutto sugli aspetti operativi della nuova Unione europea. Eppure sono stati ottenuti risultati significativi come, ad esempio, le novità introdotte in materia di politiche di coesione, cioè, quelle politiche finalizzate al superamento del divario di sviluppo esistente tra le diverse aree dell'Europa, e che sino ad oggi hanno prodotto risultati che generalmente sono al di sotto delle aspettative.
C'è una norma che merita, sotto questo aspetto, particolare attenzione e apprezzamento per come è stata modificata. Mi riferisco alla norma di cui all'articolo 56 che riguarda gli aiuti di Stato alle imprese. L'attuale formulazione riconosce, ovviamente con il limite dell'interesse comune dell'Unione europea, la legittimità degli aiuti di Stato destinati a facilitare lo sviluppo di determinate attività o regioni economiche, particolarmente quelle che soffrono di svantaggi naturali o demografici gravi e permanenti. Signor ministro, questo testo deve essere difeso, perché il divieto di aiuti di Stato alle imprese, essenziale per la salvaguardia di un corretto regime di concorrenza, non può non trovare un suo temperamento in relazione a situazioni in cui una qualche forma di sostegno pubblico è, non solo ammissibile, ma necessaria.
C'è, tuttavia, un altro aspetto sul quale desidero richiamare l'attenzione del Governo e dell'Assemblea. Si tratta del testo dell'articolo 116 del progetto di trattato che stabilisce le coordinate fondamentali della nuova politica di coesione. Tale testo è stato modificato a Napoli inserendo, tra le regioni in ritardo di sviluppo, talune regioni insulari, transfrontaliere e di montagna. È evidente che la stesura degli articoli è frutto di lunghe e laboriose negoziazioni, ma le modifiche introdotte alla norma sono gravide di conseguenze perché penalizzano gravemente l'Italia e le sue aree più deboli: quelle insulari e quelle montane. Tutte, e non talune, e non necessariamente le regioni transfrontaliere, debbono essere sostenute, tanto più che spesso le regioni transfrontaliere non sono nei vari paesi quelle più povere ma, al contrario, le più ricche. E questo va detto non per il solito sterile rivendicazionismo, ma perché l'Europa deve garantire a tutte le sue regioni parità di condizioni di partenza senza le quali nessuna reale politica di coesione sarà mai possibile. Il riconoscimento delle situazioni di handicap strutturale permanente è alla base di questa elementare considerazione.
Ecco perché chiediamo al Governo di prestare la massima attenzione a queste tematiche, perché il grande processo storico che porterà l'Europa a 25 membri deve far sentire tutti i cittadini europei partecipi e protagonisti e scongiurare il pericolo che una parte di essi si senta più marginale e trascurata di prima (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Collè. Ne ha facoltà.
IVO COLLÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, i successi raggiunti in campo sia economico sia finanziario con l'adozione della moneta unica non rendono automaticamente più agevole la condivisione del progetto di un'Europa unita.
A tal riguardo, voglio soffermarmi su due punti: da una parte, sulla necessità di sviluppare campagne di sensibilizzazione per avvicinare i cittadini alle istituzioni; dall'altra, sul ruolo istituzionale delle autonomie locali nella Convenzione europea. In riferimento a quest'ultimo punto, la riforma del titolo V della Costituzione italiana ha evidenziato l'esigenza di definire in modo chiaro le competenze dei vari soggetti istituzionali.
Tutti sono ormai convinti che le regioni possono diventare i veri motori dello sviluppo equilibrato del paese, sviluppo equilibrato inteso come sostenibile e durevole, che deve essere molto attento ai temi ambientali, di cui la montagna è parte sostanziale.
È necessario ed importante che sia valorizzato lo sforzo prodotto negli ultimi anni per costruire politiche ambientali attive, confrontando e rendendo complementari due filosofie: da una parte, l'esigenza di radicamento nelle realtà territoriali locali; dall'altra, l'esigenza di allargare le scale di riferimento da quella locale a quella nazionale e internazionale. Così come i comuni costituiscono il perno dello sviluppo regionale, le regioni possono divenire il riferimento nella costituenda Unione europea.
Che ne sarà dei tentativi di federalismo e dei progetti di devolution che stanno impegnando il dibattito politico nazionale, se le regioni sono escluse dalla realtà europea? Nella costruenda struttura costituzionale della nuova Europa devono trovare posto le regioni.
PRESIDENTE. Onorevole Collè...
IVO COLLÈ. Voglio a questo proposito ricordare che le modalità di elezione del Parlamento europeo non prevedono ancora la giusta rappresentanza di ogni regione. Mi auguro pertanto che dalla discussione che dovremo obbligatoriamente affrontare in questi mesi arrivino quelle risposte concrete che da tempo aspettiamo.
PRESIDENTE. Grazie, onorevoli colleghi.
È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo sull'andamento dei lavori della Conferenza intergovernativa per la revisione dei trattati dell'Unione europea.
Sospendo brevemente la seduta.
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