7 per cento dei feriti ed il 12,6 per cento dei morti. Dal 1996 ad oggi sulle autostrade si registra però un incremento della mortalità ed un arretramento nelle condizioni di sicurezza;
stradale del Ministero delle infrastrutture, dalle sezioni della polizia stradale, dalla motorizzazione civile, dall'istituto superiore di sanità, dall'Unione europea;
ad adottare le opportune iniziative per:
premesso che:
ogni anno, in Italia, i morti a causa di incidenti sulla strada sono 7.000, 18 al giorno, circa uno all'ora; i feriti sono 300.000, 750 al giorno, 32 ogni ora; i disabili gravi sono 20.000 (sono dati dell'Istituto superiore della sanità). Il costo economico di questa strage è valutato in 42 mila miliardi all'anno (sono dati del CNEL). Negli ultimi decenni un terzo dei deceduti aveva meno di trent'anni; una famiglia su due ha un componente coinvolto in un incidente entro l'anno;
l'Unione europea ha, per questo, deciso un programma per la sicurezza stradale con l'obiettivo di ridurre del 40 per cento gli incidenti entro il 2010;
in questo quadro, il Parlamento italiano, dopo un lavoro durato due anni ed una vasta consultazione con tutte le organizzazioni, le associazioni e le istituzioni interessate, a partire dall'associazione dei familiari delle vittime della strada, ha approvato, nel marzo 2001, una legge delega per la revisione del nuovo codice della strada;
questa legge ha come obiettivo essenziale l'aumento della sicurezza nella circolazione stradale, ed interviene sulla qualità delle infrastrutture (strade ed autostrade), sui veicoli (dotazioni di sicurezza e nuove tecnologie) e sulle persone (educazione alla sicurezza e patente a punti);
questo è necessario anche perché il tasso di mortalità in Italia è di 11,6 morti per 100.000 abitanti che ci colloca al settimo posto in Europa. L'elemento più preoccupante è però costituito dal fatto che i paesi che seguono l'Italia fanno registrare una velocità di riduzione della mortalità nettamente superiore a quella italiana;
vi è, inoltre, un altro dato originale: il divario territoriale nel nostro paese circa la dimensione degli incidenti stradali; infatti, in alcune aree, il tasso dei morti e dei feriti, riferito alla popolazione, risulta sino a 14 volte più elevato che in altre zone;
il programma europeo per la sicurezza stradale vuole ridurre, entro il 2010, il numero dei morti in Europa da 45 mila a 27 mila, e quello dei feriti da 1.600.000 a 960.000;
le caratteristiche ed i fattori della incidentalità sono le infrastrutture ed il parco veicoli. Quest'ultimo, ad esempio, tra il 1960 ed 1995, è aumentato da 2,4 a 32,8 milioni di veicoli, con un incremento medio annuo del 34,8 per cento. La mobilità su strada è passata da 90 miliardi di passeggero-chilometri a 766 miliardi di passeggero-chilometri, con una crescita media annua del 20,7 per cento; gli investimenti nelle infrastrutture, invece, sono modesti: cresce solo la rete delle strade minori;
tra il 1960 ed il 1995 le percorrenze del trasporto individuale salgono da 60 miliardi di passeggeri-chilometro ad oltre 675 miliardi, con un incremento pari ad 11,3 volte ed una crescita media annua del 28 per cento. Le autovetture individuali generano oltre il 90 per cento delle percorrenze totali. Esplode in questi anni l'utilizzo del motociclo e del ciclomotore (più 117 per cento). Il contributo del trasporto collettivo al traffico complessivo passa, in questi anni, dal 53 per cento al 18 per cento;
la distribuzione degli incidenti per tipo di infrastruttura: nelle aree urbane, compresa la viabilità minore, si verifica l'80 per cento degli incidenti e si hanno il 74 per cento dei feriti ed il 47 per cento dei morti; sulle strade provinciali si verifica il 6 per cento degli incidenti e si hanno il 6 per cento dei feriti ed il 16 per cento dei morti; sulle strade statali si verifica il 9 per cento degli incidenti e si hanno l'1 per cento dei feriti ed il 24 per cento dei morti; sulle autostrade si verifica il 6 per cento degli incidenti e si hanno il
per quanto riguarda il livello di rischio per modalità di trasporto al vettore individuale, ossia alla macchina, è legato il 92,7 per cento delle morti. Il rischio di morte su un veicolo individuale è 20,7 volte più elevato di quello del vettore collettivo;
gli incidenti per lavoro - mi riferisco a coloro che muoiono mentre prestano soccorso, alla polizia, a coloro che trasportano persone o merci, ai rappresentanti o a chi si reca al lavoro - sono numerosissimi. Gli incidenti stradali sono dieci volte più pericolosi degli infortuni sul lavoro e gli infortuni in itinere vedono 1.500 morti e 74.000 feriti all'anno;
le circostanze e le cause degli incidenti sono le seguenti: la velocità, con il 23 per cento degli incidenti; la guida distratta e pericolosa con il 13 per cento degli incidenti; la guida contromano con il 9 per cento; il mancato rispetto della precedenza o dello stop con il 4,7 per cento; la distanza di sicurezza con il 4,1 per cento. Le altre cause sono l'attraversamento dei pedoni con il 4 per cento e l'assunzione di alcool e stupefacenti con l'1,4 per cento degli incidenti;
per quanto riguarda le fasce orarie, quella dalle 13 alle 18 vede il 36 per cento di incidenti, quella dalle 6 alle 12 il 29 per cento, quella dalle 19 alle 22 il 18 per cento e quella dalle 23 alle 5 del mattino il 14 per cento;
ogni giorno della settimana vi sono 28.000 incidenti. La domenica ve ne sono 23.500, ma tra sabato e domenica aumentano i morti. Le stragi del sabato sera, da mezzanotte alle sei del mattino, aumentano del 16 per cento il numero degli incidenti: sono incidenti aggiuntivi;
la tipologia degli utenti a rischio è costituita sia dalle fasce giovani, dai 18 ai 29 anni, sia dagli anziani oltre i 64 anni. Gli utenti deboli, i pedoni, i ciclisti, i conducenti di ciclomotore, gli anziani e i giovanissimi, rappresentano il 50 per cento delle vittime degli incidenti stradali;
questi sacrifici di vite umane così elevati non costituiscono un inevitabile prezzo da pagare allo sviluppo economico e sociale e possono essere radicalmente abbattuti. Ritengo che essi possano essere radicalmente abbattuti;
l'aumento dei limiti di velocità in alcune autostrade da 130 a 150 chilometri all'ora va nel senso esattamente contrario a quello di aumentare la sicurezza e ridurre gli incidenti stradali: il limite a 150 chilometri orari non esiste in nessun paese europeo e in nessun paese al mondo (libro bianco europeo sui limiti di velocità: Belgio, 120 chilometri orari; Danimarca, 110 chilometri orari; Spagna, 120 chilometri orari; Francia, 130 chilometri orari; Irlanda, 112 chilometri orari; Lussemburgo, 120 chilometri orari; Olanda, 120 chilometri orari; Austria, 130 chilometri orari; Polonia, 120 chilometri orari; Finlandia, 120 chilometri orari; Svezia 110 e Inghilterra 112 chilometri orari; la Germania non ha una legislazione, ma dà indicazioni sui 120 chilometri all'ora);
le argomentazioni tecniche utilizzate dal ministro, e cioè che i veicoli odierni sono più sicuri di quelli antichi e che all'evoluzione tecnica può seguire un innalzamento della velocità, non sono fondate, anzi ad avviso dei presentatori sono sbagliate. Infatti, le nuove caratteristiche costruttive, gli interventi sulle infrastrutture, le nuove tecnologie e le dotazioni dei veicoli hanno come obiettivo l'aumento della sicurezza se si mantengono gli attuali livelli di velocità. È tecnicamente dimostrato che l'aumento della velocità «si mangia» il livello di sicurezza conquistato con il progresso tecnologico e ci fa tornare ai livelli di pericolo precedente;
la tecnologia deve aumentare la sicurezza; la velocità la riduce;
i dati riportati sono tratti dalle relazioni annuali sullo stato della sicurezza
a) intervenire sulle infrastrutture ripristinando le risorse originariamente previste dal Piano nazionale per la sicurezza stradale e recentemente tagliate;
b) intervenire sui veicoli affinché siano dotati di strumenti e nuove tecnologie per la sicurezza;
c) superare i problemi tecnici e organizzativi connessi con l'introduzione della patente a punti;
d) rendere effettivi e diffusi i controlli sul rispetto della legge, aumentando le forze dell'ordine ad essi dedicati e prevedendo le risorse necessarie per il loro lavoro;
e) accompagnare l'azione di repressione con quella di prevenzione anche attraverso campagne pubblicitarie, spot educativi e informativi differenziati per target anagrafici e impatti emotivi tesi a rompere l'abitudine e il senso di inevitabilità delle «stragi» sulle nostre strade;
f) investire sui nodi urbani, sulle città e sulla viabilità ordinaria con forme nuove di coinvolgimento dei Comuni, delle Province e delle Regioni;
g) evitare qualsiasi messaggio che possa essere percepito come contraddittorio con l'obiettivo primario della sicurezza stradale, a partire dall'aumento del limite di velocità, in qualsiasi modo motivato;
h) coinvolgere, nella formazione sulla circolazione stradale, tutti i soggetti coinvolti nella gestione dello sportello unico dell'automobilista.
(7-00269)
«Raffaldini, Duca, Albonetti, Adduce, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei».