Allegato B
Seduta n. 234 del 4/12/2002


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GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:

TRANTINO, COLA, FRAGALÀ e GAMBA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 2 luglio 2002, il Governo albanese ha richiesto allo Stato italiano, ai sensi dell'articolo 12 della Convenzione di estradizione, l'estradizione del cittadino albanese Florian Plaku, figlio di Ramazan e Xhevahire, nato nel 1978, poiché fu emessa in Albania nei confronti del Flacu una sentenza divenuta irrevocabile di condanna;
il tribunale di primo grado di Durazzo con la sentenza n. 127 del 30 aprile 1999, dichiarò Florian Plaku, alias Flori Plaku, colpevole del reato di tentato furto con l'uso di un'arma, in concorso con altro imputato, reato previsto dall'articolo 140, 22, 25, del codice penale della Repubblica d'Albania. Il 15 luglio 1999, la sentenza n. 147 della Corte di Appello di Durazzo confermò quanto disposto dal giudice di primo grado e con la sentenza n. 467 del 22 dicembre 1999, la Corte, suprema di Tirana ha disposto la rinuncia del ricorso per mancanza di legittimità del difensore di ufficio all'esercizio della professione. Così, il 27 ottobre 2000 la Corte suprema di Tirana dispose con la sentenza n. 364, «di lasciare in vigore la sentenza n. 147 del 15 luglio 1999, della Corte di appello di Durazzo;
il Governo albanese nella propria richiesta ha precisato che «il processo giudiziario è stato contumaciale e la decisione ha preso la forma definitiva in data 15 luglio 1999 a tal proposito giova ricordare che l'estradizione del cittadino albanese è stata richiesta sulla base della Convenzione, europea del 13 dicembre 1957, firmata a Parigi, in vigore in Italia dal 4 novembre 1963, ed alla quale ha


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aderito la Repubblica di Albania. Tale convenzione disciplina i rapporti di collaborazione internazionale fra gli Stati aderenti, nel campo della giustizia punitiva (consistente nella consegna da parte di uno Stato ad un altro Stato di una persona fisica che si trova nel territorio del primo ma è imputato o è stato condannato dinnanzi alla giustizia penale del secondo per un delitto). Essa costituisce la species avente carattere di coercizione personale e mira a facilitare, in relazione a particolari esigenze processuali, il concreto esercizio dell'attività giurisdizionale dello Stato richiedente. In particolare, tende a mettere a disposizione di quest'ultimo la disponibilità fisica della persona colpita da provvedimento coercitivo, essendo quindi destinata ad incidere sulla libertà personale, innestandosi sul procedimento di esecuzione);
nel caso di specie, al fine di esaminare la legittimità della richiesta di estradizione avanzata dal Governo albanese, occorre tenere presente quanto stabilito dalla citata Convenzione, dalle riserve da parte di ogni Stato firmatario ed, infine, delle norme previste dal codice di procedura penale (articoli n. 697 e seguenti del codice di procedura penale). Secondo quanto previsto dagli accordi convenzionali - articoli 12 Convenzione Parigi 1957 - e dalle norme interne - articolo 700 codice di procedura penale - alla domanda di estradizione deve essere allegata una copia autentica della sentenza di condanna divenuta esecutiva e del mandato di cattura. Alla domanda dovranno inoltre essere allegati: una sintetica relazione sui fatti, con l'indicazione del tempo, luogo e loro qualificazione giuridica; i testi delle disposizioni di legge applicabili, ivi compresi quelli riguardanti la prescrizione dell'azione penale e della pena; i dati segnaletici ed ogni altra informazione idonea ad identificare l'estradando. La domanda, i testi di legge e gli allegati dovranno essere poi accompagnati dalla relativa traduzione nella lingua italiana;
innanzitutto occorre ricordare che nella richiesta di applicazione provvisoria della misura cautelare, formulata ex articolo n. 715, comma II, lett. b), codice di procedura penale il Governo albanese ha descritto il fatto inquadrandolo come tentato omicidio e rapina a mano armata, così come risulta dalla comunicazione del 4 giugno 2002, della questura di Milano inviata alla casa circondariale San Vittore e dall'ordinanza della Corte di Appello di Milano del 5 giugno 2002, con la quale è stato convalidato l'arresto del Plaku, disponendone la custodia in carcere. Tuttavia, nella domanda di estradizione presentata a norma dell'articolo 700, comma II, lett. a), codice di procedura penale e nell'allegata sentenza di condanna del 30 aprile 1999, il fatto è stato rubricato come tentato furto con l'uso di un'arma in concorso con altro soggetto, reato previsto dagli articoli 140 (furto con arma), 22 (nozione di complicità), 25 (la nozione del tentativo) del codice penale della Repubblica albanese. Del tutto singolare appare, dunque, la divergenza tra il titolo di reato previsto nella richiesta di applicazione di misura cautelare provvisoria e quello contenuto nella sentenza di condanna che lo Stato straniero intende eseguire tramite l'ausilio dello Stato italiano. Pertanto la descrizione del fatto-reato, condizione necessaria di applicazione provvisoria della misura, non risponde a quelle certezze necessarie ai fini di un tale provvedimento;
peraltro, l'articolo 705 codice di procedura penale comma 2, lettera b), codice di procedura penale stabilisce che la sentenza di cui si chiede l'esecuzione non deve esser contraria a principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano e la giurisprudenza di legittimità ha interpretato tale norma dando risalto ai principi non solo di natura sostanziale ma anche processuali, primo fra questi il diritto di difesa, consacrato dall'articolo 24 della Costituzione in ogni stato e grado del processo. Nel caso in esame, invece, appare cartolarmente evidente che il diritto di difesa non è stato garantito al condannato in tutti i gradi di giudizio. Infatti, in calce alla sentenza del 30 aprile 1999, la Corte Suprema di Tirana in data 22 dicembre 1999, ha dichiarato «la rinuncia


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del ricorso per deficienza della legittimazione del difensore incarico ex officio nell'esercizio della professione». Pertanto, al Flatu mancò la difesa in un grado del processo,contrariamente a quanto previsto dall'ordinamento italiano, con l'ulteriore oltraggio tecnico che il difensore scelto dall'«ufficio» non era legittimato alla difesa (una simulazione cioè, una sceneggiata ancor meglio!...);
secondo l'articolo 13, comma 2, della Costituzione recepito dall'articolo 705, comma 2, lett. b) cpp, il fatto per il quale si chiede l'estradizione deve essere previsto come reato sia dalla legge italiana che da quella straniera;
la legge penale albanese, tuttavia, non riconosce il tentativo, non prevede la diminuzione di pena per il delitto tentato. Nel nostro codice invece il tentativo è previsto come ipotesi autonoma di reato e non come una circostanza attenuante. Concordemente giurisprudenza di legittimità e dottrina chiariscono tale assunto: si osserva che non riconoscere il tentativo come figura automa di reato, è tipica dei regimi totalitari...;
giova rilevare che la condanna a 10 anni di reclusione per il tentato furto di una mucca, risulta disumana e discriminatoria rispetto al nostro ordinamento. Infatti, secondo la legge italiana per lo stesso fatto il reo potrebbe essere condannato ad una pena certamente non superiore a tre anni di reclusione. Tale circostanza è ostativa alla concessione dell'estradizione secondo l'articolo n. 688, comma 1, cpp il quale stabilisce che non può essere concessa l'estradizione per un reato politico né quando vi è ragione di ritenere che l'imputato o il condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, religione di sesso di nazionalità, di lingua di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali, o a pene o trattamenti eccessivi crudeli disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona. Pertanto, il Plaku, qualora non venga concessa l'estradizione, non rimarrebbe impunito poiché potrebbe essere giudicato secondo la legge italiana e cioè secondo una legge di uno stato di diritto orientata a punire il fatto commesso e non la volontà dell'agente. Infatti, l'articolo 10, comma 2 codice penale stabilisce che se il delitto è commesso a danno delle comunità europee, di uno stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito secondo la legge italiana a richiesta del Ministro della giustizia, sempre che si trovi nel territorio dello stato, qualora si tratti di delitto per il quale è stabilita la pena dell'ergastolo ovvero della reclusione nel minimo a tre anni. Quindi, se il fatto reato per il quale si procede fosse stato commesso in Italia (tralasciando il tentato omicidio) sarebbe rubricato come rapina impropria, aggravata dall'uso delle armi e quindi punita con la reclusione da 4 anni e mesi 6 a 20 anni. Ma atteso il tentativo, con la diminuente da un terzo a due terzi sarebbe inferiore a tre anni di reclusione nel minimo, quindi causa preclusiva di estradizione;
tutto quanto rappresentato, consentirebbe il rispetto dei diritti fondamentali del Plaku mediante l'applicazione delle garanzie costituzionali riconosciute dal nostro ordinamento, quali l'applicazione di pena congrua e proporzionata al reato contestato, la riabilitazione e risocializzazione del detenuto mediante i benefici previsti dall'ordinamento penitenziario, così evitando, soprattutto, una inutile violenza nei confronti del condannato, consistente nello sradicarlo dalla nuova vita ricostruita in Italia, cosciente di essere trasferito in uno Stato che per la pena irrogata in ordine al delitto contestato, non presenta le stesse garanzie previste dallo Stato italiano -:
se il Ministro in indirizzo sia intenzionato a concedere l'estradizione perché ad avviso degli interroganti illegale, e ad attivarsi urgentemente per il rispetto di tutte le garanzie che fanno l'Italia Stato di diritto.
(5-01476)