Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 214 del 30/10/2002
Back Index Forward

Pag. 108


...
(Esame dell'articolo unico - A.C. 3102-B)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico e del complesso delle proposte emendative ad esso presentate (vedi l'allegato A - A.C. 3102-B sezione 3).
Avverto che la Presidenza, conformemente agli indirizzi assunti dalla presidenza delle Commissioni riunite nella seduta del 29 ottobre, non ritiene ammissibili, a norma degli articoli 70, comma 2, e 89 del regolamento, i seguenti emendamenti (vedi l'allegato A - A.C. 3102-B sezione 2), non riferiti alle modifiche apportate al testo del Senato, né da esse direttamente conseguenti: Kessler 1.1, volto a sopprimere il comma 2 dell'articolo 47, non toccato dalle modifiche del Senato; Fanfani 1.11, in quanto volto a modificare la disciplina della fase processuale a partire dalla quale i termini di custodia cautelare riprendono a decorrere: tale disciplina, contenuta nel secondo periodo del comma 2 dell'articolo 47 del codice di procedura penale, è già stata oggetto di deliberazione conforme dei due rami del Parlamento.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, interverrò sul complesso degli emendamenti, ma non posso esimermi dal contestualizzare gli stessi, sia pur con stretto riferimento al testo proveniente dal Senato che è oggetto del nostro esame. In effetti, da un punto di vista cronologico, siamo al quarto atto di questa estenuante telenovela che è divenuta la cosiddetta legge sul legittimo sospetto e la rimessione dei processi. Tale legge è stata imposta dalla maggioranza come priorità non solo della giustizia (e tutti sappiamo che ben altre sono le priorità della giustizia) ma anche come questione prioritaria del paese nel bel mezzo di gravissime crisi internazionali determinate dai luttuosi fatti del terrorismo e dalle necessità di adeguate risposte sul piano internazionale e nel bel mezzo di una preoccupante crisi economica del nostro paese aggravata dai problemi specifici della FIAT e, soprattutto, dai ripetuti errori del Governo nelle stime sulle previsioni economiche e dall'assenza di una serie legge finanziaria per il 2003, che costituisce un vero motivo di preoccupazione per l'equità e lo sviluppo del nostro paese. Siamo rimasti, invece, impegnati per alcuni mesi nei due rami del Parlamento con ritmi forzati sulla priorità costituita da una legge che ha due fini espliciti.
Il primo è costituito dallo scopo dichiarato dell'introduzione di una maggior quota, per così dire, di sospetti nei confronti della magistratura attraverso una nozione vaga e indistinta che giustamente era stata espunta dai padri del nostro nuovo codice di procedura penale.
Il secondo fine è quello della sospensione automatica dei processi ad iniziativa degli imputati per il solo fatto di sospettare del proprio organo giudiziario, senza che la qualifica di iudex sospectus derivi


Pag. 109

da alcun provvedimento giurisdizionale. È una sorta di mostruosa autocertificazione da parte dell'imputato che si vede attribuito il potere di autosospensione del proprio processo; è un meccanismo che - torno a rilevarlo - non è previsto da alcun altro ordinamento europeo, come è ben testimoniato dal fatto che i soli paesi che conoscono la nozione di legittimo sospetto non prevedono, però, in alcun caso la sospensione automatica del processo, se non per dichiarazione, con atto giurisdizionale, da parte della suprema Corte di cassazione (mi riferisco, in particolare, alla Francia e al Belgio).
Come è noto, la prima versione del testo Cirami-Carrara conteneva anche altre mostruosità giuridiche circa la reiterazione ad libitum delle domande, gli effetti sulla prescrizione dei reati e la custodia cautelare, nonché la rinnovazione degli atti presso il giudice ad quem, il giudice del rinvio.
Dinanzi a tante enormità, in specie quella sulla sospensione automatica - dichiaratamente incostituzionale per giurisprudenza più volte richiamata -, si sono prodotti da parte della maggioranza concitati lavori di modifica del testo. Ciò è avvenuto prima al Senato poi, con un testo dell'ultima ora, anzi dell'ultimissimo minuto, che lo stesso relatore Anedda ha onestamente definito apocrifo, alla Camera. L'ultima pasticciata versione conteneva, però, almeno un errore macroscopico che è stato oggetto di nuova modifica da parte del Senato.
Il testo è tornato ora all'esame della Camera in una versione eccepibile sotto il profilo della costituzionalità - e rinvio agli argomenti già illustrati in merito alla questione pregiudiziale di costituzionalità - ma con la piena salvaguardia dei due scopi che prima richiamavo: più sospetti contro la magistratura; sospensione automatica dei processi per iniziativa degli imputati.
Sul primo tema, dopo le molte discussioni già svolte, mi sia consentito solo rilevare che lo stesso Presidente Berlusconi, in veste di imputato, conferma, con la sua recente ricusazione del tribunale di Milano, l'esistenza di altri e solidi istituti di garanzia dell'imputato, sebbene appaia ben curiosa una ricusazione per valutazioni espresse nell'ambito dell'attività giurisdizionale, ossia nella sede propria di un atto giurisdizionale.
Circa il secondo tema, quello della sospensione automatica del processo, siamo al punto di partenza: nessuna sostanziale modifica è stata apportata al testo. Ciò è ben comprensibile essendo il fine dichiarato esplicitamente nel corso dei lavori parlamentari quello di bloccare i processi milanesi ad imputati eccellenti. Non può, infatti, essere considerato un rimedio la foglia di fico - se ci è consentita l'espressione - del meccanismo dello smistamento delle istanze da parte del presidente della suprema Corte di cassazione, ai sensi dell'articolo 610 del codice di procedura penale. È ben evidente che tale attribuzione è stata concepita ai fini dello snellimento nell'ambito specifico del giudizio di legittimità nel ricorso per Cassazione e che, dunque, onorevoli colleghi, a tale scopo l'istituto è stato creato.
Ora abbiamo, come ben testimonia anche la discussione svoltasi al Senato, uno strano ibrido: abbiamo introdotto nel testo legislativo una sorta di decisione amministrativa all'assegnazione, che, forse, non può definirsi in senso proprio nemmeno un atto, da cui discendono le conseguenze oggetto degli emendamenti da noi presentati. In particolare, da ciò discendono gli effetti della sospensione automatica del processo. La definisco automatica perché è impensabile che vi sia una valutazione di tipo giurisdizionale da parte del presidente della Corte di cassazione poiché ciò non è previsto dalla legge né dal codice e perché i rilievi a cui è costretto il presidente della Corte di cassazione in questo atto di assegnazione riguardano le mere formalità delle domande. Se pensiamo ai rinvii anche agli istituti più consolidati del codice di procedura penale dobbiamo ammettere che il presidente della Corte di cassazione debba limitarsi esattamente a questo filtro, esame, riscontro delle formalità non essendo possibile altra valutazione se non quella - ma sarebbe questione che la legge avrebbe dovuto scrivere - della valutazione


Pag. 110

nel merito dell'istanza di rimessione. Infatti, un'attività di mero smistamento delle istanze, di esame delle inammissibilità dal punto di vista formale riferito al giudizio di legittimità con la tradizione che ha il ricorso per Cassazione non è assolutamente equiparabile ad una valutazione, sia pur prima facie, del merito della domanda di rimessione.
Dunque si tratta di un'attività di tipo amministrativo dalla quale discendono delle conseguenze evidentemente assai gravi. In particolare, come detto, ne discende l'automatismo della sospensione del processo, con effetti del tutto evidenti ai fini dell'efficienza del processo ed anche sul principio costituzionale della ragionevole durata, così come ne discende la sospensione dei termini di custodia cautelare, che rappresenta l'elemento più controverso nel testo attualmente al nostro esame.
Sappiamo che gli atti e i provvedimenti che incidono sulla libertà personale sono soggetti al principio di cui all'articolo 111, comma 7, della Costituzione, in base al quale appunto i provvedimenti assunti con atto giurisdizionale, che incidono sulla libertà personale, sono soggetti ai rimedi dell'impugnazione. Nulla di tutto ciò avviene nel caso in esame, né vale il mero richiamo all'articolo 304 del codice di procedura penale che riguarda esattamente i ricorsi di legittimità in Cassazione. Dunque ci troviamo a dover richiamare l'attenzione dei colleghi e il loro senso di responsabilità su una circostanza gravissima, determinata esattamente dal fatto che in base a questa norma si ha un effetto sospensivo del processo, ma sospensivo anche dei termini di custodia cautelare, che può avere un effetto negativo proprio in termini di garanzia dell'imputato, senza che nei confronti di questo effetto vi sia alcun rimedio giurisdizionale.
Vi è, inoltre, un'irragionevolezza direi di tipo costituzionale ove pensiamo che l'analogo parallelo istituto della ricusazione prevede la possibilità di impugnazione, mentre invece nulla è previsto per quel che concerne la rimessione e di ciò non si vede alcuna ragionevole motivazione.
Inoltre - circostanza ancora più seria e direi paradossale - vi è la possibilità che questo automatismo incida direttamente anche sui coimputati. Su questo argomento insistono alcuni degli emendamenti presentati, in particolare gli emendamenti Kessler 1.2 e Fanfani 1.10, che hanno lo scopo principale di separare appunto la posizione dei coimputati e di porla al riparo dagli effetti automatici di tale sospensione dei termini di custodia cautelare che i coimputati verrebbero a subire per iniziativa di altra domanda presentata da altro coimputato. Ciascuno può vedere - non so se è la fretta o altro a generare delle mostruosità - come ancora sopravvivano nel testo in esame, nonostante siamo alla terza lettura o comunque al quarto esame dell'atto da parte del Parlamento nel suo complesso, delle enormità dal punto di vista giuridico e delle gravi aberrazioni, che speriamo possano veramente essere rimosse a seguito del dibattito complessivo in aula.
Si è a lungo tentato di presentare tale legge come l'attuazione del principio del giusto processo, ma al riguardo vorrei dire quanto tale prospettazione sia sbagliata e sia per noi persino dolorosa. Siamo legati, direi affezionati, a questo principio, che sentiamo nostro e che rivendichiamo non solo per averlo introdotto nella Costituzione ma perché ne condividiamo l'essenza profonda, direi la sua stessa radice storica.
Vorrei ricordare che, testualmente, l'espressione due process of law - o giusto processo - si trova, per la prima volta, nel corpo di una legge inglese del 1335, all'epoca di Eduardo III, in base alla quale nessun uomo, di qualsiasi stato o condizione, poteva essere espulso dalle sue terre o dai suoi possedimenti né poteva essere detenuto, diseredato o mandato a morte, senza essere stato chiamato a rispondere delle sue azioni nel corso di un regolare procedimento giudiziario. Questa è la tradizione corrente regolare o, se si preferisce, anche di un regolare procedimento


Pag. 111

legale o, addirittura, di un processo dovuto, di un processo come si deve, appunto di due process of law.
Insomma, l'espressione «giusto processo» è fiducia nel processo a garanzia contro le ingiustizie. Qui, al contrario, stiamo usando l'espressione «giusto processo» per scardinare la legittimazione, in senso generale e costituzionale, del processo, per difenderci contro il processo. Ed è ciò che ci addolora ancor di più nel riproporre il nostro impegno costruttivo, ma anche la nostra intransigente ferma opposizione, alle tante mostruosità che abbiamo dovuto leggere - e, in qualche modo, anche subire - nel ritmo dei lavori con il testo cosiddetto Cirami ora, forse, divenuto addirittura apocrifo.
In conclusione, confidiamo ancora - siamo obbligati a farlo e lo faremo fino in fondo - nel senso di responsabilità delle coscienze libere e nella cultura liberale e democratica di questo Parlamento, al quale rivolgiamo un appello forte - come lo rivolgiamo alle altre istituzioni di garanzia dei valori costituzionali del nostro ordinamento - affinché il nostro codice di procedura penale non torni ad essere inteso come quella Magna Charta dei delinquenti - di cui casticamente scriveva Von Liszt - e i cittadini italiani possano riconoscere nelle nostre leggi la preoccupazione per i valori di legalità e di sicurezza, che si perseguono solo attraverso la cura dell'efficienza dei processi (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Mancini che ha chiesto di parlare: s'intende vi abbia rinunciato.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Carboni. Ne ha facoltà.

FRANCESCO CARBONI. Colleghi, la proposta di legge presentata dal senatore Cirami torna alla Camera per la seconda lettura, la quarta complessiva del provvedimento. E ritorna non certamente per volontà di approfondimento, per volontà migliorativa espressa dalla maggioranza, poiché - lo hanno ricordato, in precedenza, altri colleghi dell'opposizione - la fretta di approvare il provvedimento ne ha sempre caratterizzato l'iter parlamentare, soprattutto nelle Commissioni, sia al Senato sia alla Camera.
Dunque, ritorna qui alla Camera per la quarta volta a causa degli errori contenuti nei testi di volta in volta approvati, voluti, proposti dalla maggioranza. Ricordo il testo approvato dalla Camera - disconosciuto da uno dei relatori e fatto proprio dall'altro - ma, evidentemente e dichiaratamente, compilato e formato altrove, non nella sede istituzionale, non nelle Commissioni, non secondo gli intendimenti del relatore.
Per questi motivi, i testi di volta in volta presentati sono stati, in qualche modo, ritenuti non rispondenti non solo alle logiche e alle tecniche giuridiche - e questo è già un dato importante -, ma agli interessi di chi ha voluto la proposta di legge, di chi ha preteso che, nel nostro ordinamento, si reintroducesse il legittimo sospetto, quell'aggettivo e quel sostantivo che, come ha ricordato l'onorevole Bonito, non contribuiranno sicuramente a migliorare la qualità della nostra giustizia. Le esperienze del passato ne sono una testimonianza.
Credo sia utile e importante ripercorrere un po' l'intero cammino di questa proposta di legge, che nasce non certamente da una preoccupazione del senatore Cirami e da un'attenzione verso quello che egli ha chiamato un vuoto legislativo, ma dall'istanza di rimessione proposta nel processo che vede imputati Berlusconi e Previti a Milano. Tale proposta nasce, quindi, dall'istanza di rimessione proposta dal difensore di Berlusconi, onorevole Pecorella, presidente della Commissione giustizia della Camera dei deputati, e dalla subordinata eccezione di incostituzionalità proposta di fronte alla Corte di cassazione.
Due giorni dopo il senatore Cirami, verificando che vi era un vuoto normativo, presenta la proposta di legge e da allora comincia la corsa contro il tempo per approvare la legge prima che si concluda l'istruttoria del processo di Milano, per


Pag. 112

impedire la requisitoria del pubblico ministero ma anche e soprattutto il pronunciamento della Corte costituzionale, che invece sarebbe stato lecito, doveroso e prudente attendere, posto che alla Corte quegli imputati si erano rivolti per avere una pronuncia sulla costituzionalità dell'articolo 45 del codice di procedura penale.
In quel processo si vede di tutto, ma non certamente da parte del collegio o da parte dei pubblici ministeri; si vede di tutto da parte degli imputati e dei difensori di quegli imputati. In limine, ad istruttoria quasi conclusa, da quegli imputati e dall'onorevole Previti, che per anni ha rifiutato qualsiasi confronto con il pubblico ministero, giungono anche richieste e disponibilità ad essere interrogati. E lì, fra una dichiarazione e l'altra - sono fatti miei del perché ho ricevuto questi soldi -, arriviamo anche, da parte di un ex ministro e di un deputato della Repubblica, alla confessione di aver evaso il fisco e di aver portato illegalmente i capitali all'estero.
In tutto questo quadro, il ministro tace. Contribuisce - è vero - da par suo all'altro processo, tentando di trasferire un giudice, ma, in questo quadro, tace. Rimane in silenzio, e forse è meglio, posto che ormai l'esperienza del ministro può essere caratterizzata, in quest'anno di legislatura, dallo sciopero degli avvocati, dallo sciopero dei magistrati, dagli scioperi dei detenuti e, oggi, dallo sciopero e dalle manifestazioni del personale di cancelleria.
Dicevo, quindi, di una proposta di legge finalizzata ad intervenire su un unico processo, quello che vede imputati a Milano l'onorevole Previti e Berlusconi. Questo lo dice lo stesso onorevole Previti nella lettera al quotidiano Corriere della Sera, quando afferma che egli non vuole essere processato a Milano e che questa proposta di legge serve perché vi sia, finalmente, la possibilità di trasferire altrove il processo. E disegna anche il giro d'Italia processuale che egli vorrebbe concludere, per andare da Milano a Brescia e, poi, forse a Perugia, ritenendo che a Perugia ci sia il giudice di riferimento di Roma. E lì ritiene che vi sia il suo giudice, quel giudice che potrebbe tranquillamente processarlo.
Ciò sta nelle dichiarazioni del Presidente del Consiglio il quale, dopo aver affermato che la proposta di legge era di esclusiva iniziativa parlamentare e non coinvolgeva il Governo né, quindi, il Presidente del Consiglio, conclusa la prima lettura agostana al Senato, sostiene che la proposta di legge Cirami è una priorità, è la priorità del Governo, è la priorità del Parlamento. E queste sue dichiarazioni confortano il presidente della Commissione giustizia della Camera dei deputati nel dire che, se la proposta di legge Cirami non venisse approvata, il Parlamento si scioglierebbe, entrando con ciò anche nel campo di attribuzioni proprie del Capo dello Stato e non del presidente della Commissione giustizia della Camera dei deputati.
Che la proposta di legge sia finalizzata ancora di più a risolvere i problemi giudiziari dell'onorevole Previti e del Presidente del Consiglio lo ha dichiarato - mai smentito - nel suo intervento in quest'aula (e non solo in quest'aula) l'onorevole Filippo Mancuso. Qui noi assistiamo al fatto che soggetti interessati professionalmente a quei processi trasferiscono questo loro interesse nell'attività parlamentare dirigendo i lavori in Commissione e partecipando al voto in aula: condotte eticamente, almeno dal punto di vista politico, istituzionale e della funzione parlamentare non dissimili da quelle dei colleghi senatori, i quali orgogliosamente hanno rivendicato l'azione di voto nei confronti di colleghi assenti dall'aula durante l'approvazione in terza lettura di questo provvedimento.
Quindi, si tratta di un iter dominato dalla ossessione di chiudere rapidamente questa vicenda a costo di paralizzare il Parlamento, che dal mese di luglio non fa altro che occuparsi della legge Cirami, anche durante la sessione dedicata alla legge finanziaria, che sicuramente è il più importante atto del Parlamento. In questo quadro, vi sono aggressioni diuturne alla magistratura milanese anche da parte del


Pag. 113

Presidente del Consiglio il quale, quantomeno per la sua funzione, dovrebbe essere un esempio di moderazione e di attenzione nei confronti di altre espressioni istituzionali dello Stato. Si è parlato di stato di guerra aperta dalla magistratura milanese contro alcuni esponenti del Governo e se ne parla oggi, con argomentazioni mai usate in anni precedenti, quando l'attuale Presidente del Consiglio è sceso in campo per riempire quel vuoto che si era creato nella politica nel 1994.
Nella prima lettura della Camera l'onorevole Pecorella ha dichiarato che vi era la totale disponibilità della maggioranza a lavorare con l'opposizione per un confronto serio, proficuo, di merito sul testo che ci era stato trasmesso dal Senato. Vennero enucleati alcuni argomenti e lavorammo - almeno l'opposizione lavorò perché intervenimmo in tanti sollevando problemi e ponendo questioni - su quel programma proposto dal presidente Bruno, ma tutti gli emendamenti che presentammo vennero disattesi, così come lo erano stati quelli presentati al Senato nel corso della prima lettura nell'altra Camera. Dopo aver respinto tutti gli emendamenti in Commissione e senza averne accolto alcuno, viene fuori il nuovo testo non disconosciuto dall'onorevole Anedda e fatto proprio dalla relatrice, onorevole Bertolini, testo sicuramente, come ho detto, non formato all'interno dell'aula sulla base delle riflessioni del relatore, ma scritto fuori di essa, per soddisfare esigenze che non sono proprie dell'iter parlamentare e della collettività che noi dovremmo invece rappresentare.
Quindi non si è voluto migliorare assolutamente quel testo senza cogliere alcuno degli argomenti proposti dall'opposizione, testo che poi è tornato al Senato. Si tratta, evidentemente, di un testo con gravi problemi di costituzionalità, superato dalla evoluzione giudiziaria e anche dalla evoluzione culturale di questo paese, per un riferimento ad un istituto che giustamente nel 1989 il legislatore delegato aveva modificato - non soppresso e non escluso -, togliendolo da quella ambiguità che aveva consentito fino ad allora di denegare giustizia quando erano coinvolte delle situazioni che non erano quelle dell'uomo comune, ma quelle dei potenti. Ricordo, fra tutti, la vicenda del Vajont, le schedature della FIAT.
Un istituto criticato persino dal guardasigilli Rocco che ne aveva raccomandato una applicazione attenta poiché, così com'è strutturato, era utile, idoneo a creare un grave discredito nei confronti della magistratura, anche laddove non vi erano condizioni precipue perché potesse essere sollevato. Quindi, correttamente, il legislatore delegato nel 1989 aveva tipizzato la vicenda nell'articolo 45 e mai nessuno da allora, a cominciare dal senatore Cirami - prima nella sua funzione giurisdizionale e successivamente nella sua funzione parlamentare -, aveva ritenuto di dover sollevare il problema di una diversa formulazione dell'articolo 45 del codice di procedura penale.
Le modifiche proposte in prima lettura dalla Camera non sono state accolte, pur nella proclamata disponibilità ad un ragionamento. Il testo è stato proposto alla relatrice Bertolini e dalla stessa fatto proprio, pare su suggerimenti e preoccupazioni espresse fuori da questa Camera ma, evidentemente, non sufficienti a modificare il testo. Quel testo è tornato al Senato e, poiché intanto vi era stata la requisitoria del pubblico ministero di Milano, bisognava fare in modo che il corso del processo - posto che la Cassazione trasmettendo gli atti alla Corte costituzionale non aveva aderito alla richiesta di sospensione - in qualche modo, attraverso l'artifizio della sospensione automatica introdotto con la nuova legge, si frenasse, si fermasse. Oppressi da questa fretta, in seconda lettura al Senato, si commette ancora una volta un errore e si modifica completamente il comma 4 dell'articolo 47 del codice di procedura penale introducendo quelle modificazioni non certamente marginali delle quali ha parlato l'onorevole relatrice.
Quindi, si è rovesciato completamente il senso dell'interpretazione poiché alla prima dizione si applicano l'articolo 159 del codice penale e, se la richiesta è stata


Pag. 114

proposta dall'imputato, l'articolo 303, comma 1, del codice di procedura penale. Si applica il solo articolo 159 del codice penale per quanto riguarda la sospensione della prescrizione, mentre sono sospesi i termini di cui all'articolo 303, comma 1, del codice di procedura penale quindi, evidentemente, i termini di durata massima della custodia cautelare per gli imputati detenuti.
Quando il testo è tornato alla Camera abbiamo sollevato immediatamente le due questioni che ci sembra minino la legittimità costituzionale del testo che ci è stato restituito e che sono state già illustrate dai colleghi prima di me: in primo luogo, l'automaticità della sospensione (ed è stato detto anche che non è utile al caso di specie, che non sarà di soccorso al processo per il quale è finalizzata); è l'automaticità della sospensione che deriva evidentemente, non da un provvedimento giurisdizionale, ma da un provvedimento amministrativo interno - quale deve essere ritenuto quello del primo presidente della Corte di cassazione che assegna il processo alla sezione; in secondo luogo, la sospensione dei termini per quanto riguarda l'ipotesi di processi con più imputati. Ci sembra quello il più grosso rilievo di incostituzionalità relativo a questa modifica introdotta dal Senato, non marginale e sicuramente sbagliata dal punto di vista della tecnica giuridica.
È stato detto dai colleghi che cosa accade, come l'interprete può regolarsi in questi casi, posto che negli atti parlamentari non troverà nessun soccorso, nessun supporto a questo equivoco, a questa oscura possibilità, a questa oscura dizione che non dà alcuna possibilità di interpretazione. Che cosa accade se vi sono più imputati? Quali sono i risvolti del processo sospeso nei confronti di un imputato detenuto che non propone la istanza di rimessione, quindi non può essere penalizzato e verso il quale non può essere disposta la sospensione dei termini massimi di custodia cautelare?
Per costoro, evidentemente a processo sospeso, matureranno i termini di prescrizione, ma non vi sarà e non vi potrà essere la sospensione dei termini massimi di custodia cautelare; ciò è stato evidenziato, nel corso dell'esame svolto in questi giorni, non solo da parte nostra, ma soprattutto da parte di autorevoli giuristi che hanno cercato di tracciare un'analisi fredda e tecnica della norma.
Abbiamo proposto una serie di emendamenti con lo scopo di eliminare questo problema. Spero che questa volta, diversamente dall'altra, i relatori e la maggioranza vi prestino attenzione, nel tentativo di migliorare un testo che oggi complica solamente la vita all'interprete e che rischia di minare alcuni dei punti fermi del nostro processo penale.
Questi emendamenti sono stati ancora una volta respinti, come accaduto a quelli presentati al Senato. A tale riguardo, voglio ricordare alla collega relatrice che non si può estrapolare un unico emendamento, ponendolo alla nostra attenzione, perché il suddetto deve essere considerato nel contesto di tutti gli altri che abbiamo presentato (anche al Senato sono stati presentati, così come alla Camera) per cercare, con quell'emendamento e con gli altri, di ottenere un testo migliore.
Confidiamo sul fatto che, in merito a ciò, ci vengano fornite finalmente delle risposte. L'onorevole Anedda, già l'altra volta, aveva detto di non riconoscersi in quel testo, mentre l'onorevole Bertolini, che lo ha sottoscritto, non ha fornito alcuna risposta alle nostre argomentazioni. Auspico - lo ripeto - che oggi ci vengano fornite le risposte e che almeno vi sia, come i colleghi hanno affermato, una riduzione del danno, con riferimento a questo testo, che non può valere solamente per l'onorevole Previti e per il Presidente del Consiglio, perché dovrebbe valere per la generalità dei cittadini, ma così non è (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!

PRESIDENTE. Considerata l'ora e tenendo conto del numero dei colleghi, particolarmente


Pag. 115

elevato, che hanno chiesto di parlare sull'articolo unico e sul complesso delle proposte emendative ad esso presentate, rinvio il seguito dell'esame del provvedimento.
Come già stabilito a seguito della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo del 24 ottobre scorso, l'esame della proposta di legge riprenderà nella mattinata di martedì 5 novembre, alle ore 12.

Back Index Forward