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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca: Esame della nota di aggiornamento al Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2003-2006, trasmessa dal Governo il 30 settembre scorso.
Ricordo che per l'esame della nota è previsto un dibattito limitato, con l'intervento di un deputato per ciascun gruppo e per ciascuna componente del gruppo misto.
A seguito della riunione della Conferenza dei capigruppo del 1o ottobre scorso, è stato attribuito un tempo di 15 minuti a ciascun gruppo e di 40 minuti per il gruppo misto.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Alberto Giorgetti.
ALBERTO GIORGETTI, Relatore. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, la nota di aggiornamento che è stata presentata dal Governo al documento di programmazione economico-finanziaria relativo agli anni 2003-2006 nasce, ai sensi della previsione regolamentare dell'articolo 118, sulla base dell'esigenza di adeguare e di ridefinire, alla luce dei mutati scenari dell'economia mondiale ed internazionale, quegli indicatori macroeconomici che sono stati già esposti nel Documento di programmazione economico-finanziaria che la Camera e il Parlamento hanno esaminato nello scorso mese di luglio.
All'interno di questa nota di aggiornamento viene rivisto, nel suo complesso, il quadro programmatico relativo alle principali grandezze di finanza pubblica.
È evidente che l'esigenza di modificare i dati significativi del documento di pro
grammazione economico-finanziaria nasce sulla base di una difficoltà generale legata all'andamento dell'economia mondiale; questa sta infatti attraversando un periodo, sostanzialmente cominciato partire dal 2001, di forte incertezza che si sta trascinando ancora oggi e che si protrae sino a questi ultimi mesi, attraverso una serie di passaggi che, in modo particolare nell'ultima fase delle dinamiche di questa crisi internazionale, risultano più che mai di difficile interpretazione.
Il Governo ha mantenuto un atteggiamento estremamente prudente, rivedendo le stime di crescita rispetto a quanto delineato nel documento di programmazione economico-finanziaria. È opportuno sottolineare che nel documento di programmazione economico-finanziaria discusso nel luglio scorso sono stati evidenziati due scenari: l'uno, legato a quello che è il quadro sostanzialmente legato al dato tendenziale; l'altro è quello che, a causa delle iniziative del Governo legate al sostegno e alla ripresa dell'economia, poteva determinare gli effetti all'interno di un dato programmatico che è quello autentico di riferimento per ciò che riguarda le aspettative sulla politica di Governo nel periodo 2003-2006.
All'interno della nota di aggiornamento troviamo quindi un adeguamento dei dati legati all'aspetto programmatico. Per il 2002 la nota di aggiornamento stima che si realizzerà una crescita reale del prodotto interno lordo pari allo 0,6 per cento, con una diminuzione significativa di 0,7 punti percentuali rispetto al valore presentato nel documento di programmazione economico-finanziaria.
Vogliamo sottolineare in modo particolare come queste stime siano in sostanziale sintonia con gli indicatori forniti dagli osservatori economici internazionali di primario livello, in modo particolare con la previsione del Fondo monetario internazionale che ha stimato una riduzione del prodotto interno lordo, per ciò che riguarda l'Italia, pari allo 0,7 per cento, quando - è opportuno ricordare - lo stesso Fondo monetario internazionale prevedeva una crescita dell'1,25 per cento.
Questo sta a dimostrare come gli effetti di una congiuntura internazionale sfavorevole fossero sostanzialmente imprevisti, evidentemente non solo per il Governo italiano, il quale non può e non deve svolgere un'attività di monitoraggio costante sui dati messi a disposizione dagli istituti e dagli osservatori internazionali del settore, bensì deve svolgere una politica che rispetti le cadenze periodiche previste dalla Costituzione ed anche il confronto con il Parlamento impone di comunicare i dati e di compiere scelte di politica economica adeguata.
Il più basso livello di crescita del PIL sconta effetti derivanti tanto dalla domanda interna che dalle esportazioni. Abbiamo avuto, di fatto, una contrazione della domanda interna e una contrazione dei consumi, dovute sostanzialmente ad un calo di fiducia che ha colpito i consumatori per molteplici vicende. È opportuno ricordare le difficoltà internazionali oggi legate ai mercati di borsa, che hanno ridotto le consistenze dei risparmi e, in qualche modo, anche le aspettative dei consumatori e la fiducia nei confronti del mercato e della ripresa economica.
Si tratta di un dato che dimostra la penalizzazione legata anche ad una percezione di tensione inflazionistica, su cui il Governo ha dato comunque una pronta risposta, anche nel patto per l'Italia, per quello che riguarda il mantenimento degli impegni, su un tasso di inflazione programmata che resta all'1,4 per cento e che rappresenta un punto di riferimento fondamentale per cercare di contenere le dinamiche di crescita dei prezzi.
Vi è stato un rallentamento anche della domanda estera, che risente delle difficoltà del commercio internazionale che ha visto una riduzione della crescita negli scambi. Basti pensare che lo stesso Fondo monetario internazionale ha rivisto la propria variazione in aumento del commercio mondiale del 2,1 per cento per il 2002 e del 6,1 per il 2003, a fronte di una previsione che prevedeva per il 2002 il 2,5 per cento e per il 2003 il 6,6 per cento. Aspettative, quindi, che sembrano offrire uno scenario, per quello che riguarda la
ripresa dell'economia nell'ultima parte del 2002 e, soprattutto, per gli anni che vanno dal 2003 al 2006, in sostanziale netta ripresa.
Nella nota di aggiornamento si evidenzia un quadro più favorevole per il 2003, con una ripresa dell'economia internazionale, il cui dato viene in qualche modo modificato per quello che riguarda il prodotto interno lordo, attestandosi ad una crescita del PIL intorno al 2,3 per cento, più bassa rispetto al dato del 2,9 per cento che avevamo presentato nel luglio scorso. Si tratta, tuttavia, di un contesto in crescita, un contesto di miglioramento sostanziale che porta il dato di aspettativa della crescita del prodotto interno lordo del 2004-2006 sull'ordine del 3 per cento, elemento che viene confermato dalle aspettative e dalle stime dei principali osservatori internazionali e del quale noi abbiamo certezza e riteniamo che, grazie alle politiche svolte dal Governo, queste aspettative possano essere sostanzialmente raggiungibili ed anche migliorabili.
L'attività che si sta conducendo, da un lato, punta alla riduzione del carico fiscale a vantaggio dei redditi medio-bassi, cosa che si è attuata nella scorsa legge finanziaria e che è tema fondamentale della finanziaria che andremo a discutere nei prossimi giorni, e questo si tradurrà in un significativo aumento e sostegno dei consumi; dall'altro, evidentemente, la grande aspettativa è legata alla realizzazione del programma di opere pubbliche messe in atto dal Governo, anche attraverso l'attività della società «Infrastrutture Spa», che darà inesorabilmente nuovo impulso agli investimenti.
Per gli anni successivi al 2003, come dicevo, vi sarà una crescita sicuramente più importante, ma che comunque sarà legata alle dinamiche di una congiuntura internazionale con cui l'Italia deve fare i conti. La revisione delle stime, per quello che riguarda l'aspetto legato al quadro di finanza pubblica, porta ad un peggioramento dell'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche, valutato nel DPEF l'1,1 per cento del PIL, che raggiunge il 2,1 per cento.
È un dato che è legato quasi esclusivamente alla riduzione delle entrate di carattere fiscale, riduzioni delle entrate che sono sempre da legare all'aspetto della congiuntura internazionale sfavorevole che sta penalizzando, nel suo complesso, l'economia.
Basti un dato significativo. Se è vero che, in linee generali, l'indebitamento netto oltrepassa la soglia del 2 per cento, è altrettanto vero che l'indebitamento strutturale per il 2002 si attesterà intorno all'1,2 per cento. Si tratta di un dato significativo che, evidentemente, sottolinea come le politiche del Governo per il contenimento della spesa pubblica, vale a dire gli interventi adottati nel senso di un forte rigore e di una forte stabilità, anche per quanto riguarda gli impegni assunti in sede internazionale, vengono sostanzialmente mantenuti, e procurano effetti positivi. Quindi, esiste ed è consolidata una politica del Governo di forte contenimento della spesa pubblica, che è stata, evidentemente, in qualche modo indebolita dalla fase congiunturale internazionale negativa.
Il più basso livello delle entrate rispetto alle previsioni formulate nel DPEF si trascina anche per gli anni successivi, comportando una revisione dell'obiettivo dell'indebitamento netto per il 2003, che nel documento di programmazione economico-finanziaria era fissato allo 0,8 per cento del PIL e che la nota di aggiornamento ridetermina all'1,5 per cento.
Si può ritenere, pertanto, che la nota di aggiornamento ridefinisca, di fatto, temporalmente il percorso di risanamento della finanza pubblica per tenere conto delle difficoltà derivanti dalla sfavorevole congiuntura internazionale, ma mantiene fede agli impegni ed anche ai vincoli posti dal patto di stabilità. Non dobbiamo dimenticare che, nei giorni scorsi, la Commissione europea ha preso atto, di fatto, della situazione congiunturale internazionale negativa ed ha prolungato il periodo per raggiungere il cosiddetto close to balance, dunque, l'avvicinamento al definitivo percorso per arrivare ad un dato sostanzialmente attestato intorno allo zero. Ciò costituisce un'aspettativa che
punta, evidentemente, al 2006, con un percorso che deve essere ulteriormente monitorato dal Governo, e noi stessi sollecitiamo direttamente un monitoraggio costante dell'andamento del debito pubblico.
Quest'anno vi è stato un dato che rappresenta un'inversione di tendenza rispetto agli anni scorsi, nei quali vi era stato un percorso di progressiva riduzione del debito pubblico. Il debito pubblico quest'anno dà un segnale negativo, legato appunto ad un suo aumento, poiché molto probabilmente si attesterà intorno al 109 per cento del PIL rispetto ad un percorso in cui era stata ipotizzato un valore più basso. Ebbene, questo dato riprenderà a ridursi già nel corso del 2003, attestandosi intorno al 105 per cento del PIL ed attestandosi nel 2004 al 100,4 per cento, per scendere progressivamente sotto al 100 per cento.
Si tratta di una diminuzione in prospettiva di grande rilevanza, pari a 9 punti percentuali, che potrà essere realizzata sia grazie al controllo dei flussi di finanza pubblica sia grazie alla realizzazione di condizioni di mercato più favorevoli prevista dall'ampio programma di governo, che riguarda soprattutto il settore delle privatizzazioni. È evidente che il percorso di risanamento del debito e dei conti pubblici si tradurrà, concretamente, anche in una diminuzione della spesa per interessi che rappresenta, comunque, un aspetto complessivo di intervento che migliorerà, in modo consistente, le dinamiche legate alla spesa.
In conclusione, colleghi, la nota di aggiornamento al documento di programmazione economico-finanziaria conferma l'intenzione della maggioranza e del Governo di proseguire l'opera di risanamento della finanza pubblica, ma anche l'intenzione di realizzare, comunque, un percorso di profonda riforma che consenta di liberare risorse da destinare allo sviluppo. I nostri dati sono oggi in perfetta sintonia con la Commissione europea, e sono dati che erano in sintonia anche per quanto riguarda la presentazione dei due scenari effettuata dal Governo nel novembre del 2001, in cui si immaginavano, sostanzialmente, uno scenario a congiuntura favorevole, di crescita, ed un altro, invece, a congiuntura sfavorevole. Quindi, noi siamo comunque, ancora oggi, all'interno dei limiti posti dalla Commissione europea e dal patto di stabilità.
Vogliamo mantenere questi impegni, nonostante il percorso delineato abbia scontato una crisi congiunturale internazionale che ha avuto un impatto sulla nostra economia e, conseguentemente, anche sul processo di risanamento dei conti pubblici.
Per rispondere all'aspettativa di proseguire sulla strada, già intrapresa, del rigore e dello sviluppo, puntiamo ad appoggiare le iniziative del Governo che hanno sostenuto in modo consistente, in questo momento - e continueranno a farlo nei prossimi anni, attraverso la manovra finanziaria e le riforme strutturali -, la domanda, gli investimenti e la ripresa delle opere pubbliche. Naturalmente, in un contesto che deve prevedere la compartecipazione degli enti locali e delle regioni, l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione costituisce un aspetto fondamentale.
Questi obiettivi, volti ad accrescere la credibilità dell'Italia a livello internazionale, caratterizzano l'attività della maggioranza e l'impegno del Governo. Per tutti questi motivi, il nostro giudizio sulla nota di aggiornamento al DPEF presentata dal Governo è positivo (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale, di Forza Italia e della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il viceministro dell'economia e delle finanze, onorevole Baldassarri.
MARIO BALDASSARRI, Viceministro dell'economia e delle finanze. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pagliarini. Ne ha facoltà.
GIANCARLO PAGLIARINI. Signor Presidente, il giudizio tecnico della Lega nord Padania su questa nota di aggiornamento al DPEF è positivo.
Già a luglio, avevamo evidenziato che c'erano difficoltà e che il quadro programmatico indicato dal Governo, condivisibile e rispettoso degli impegni presi con l'Unione europea, era realizzabile solo qualora fosse stato confermato l'andamento del quadro macroeconomico internazionale (che determina, dall'esterno, l'andamento della nostra economia). Invece, è intervenuto un forte rallentamento dell'economia mondiale, generato, a mio personale giudizio, in primo luogo, dai casi Enron, Worldcom e dagli altri gravissimi scandali finanziari verificatisi negli Stati Uniti, dove non sono state violate banali regole contabili, ma sono venuti al pettine i nodi di un grave squilibrio politico e sociale che i detentori del potere hanno finora combattuto con tanta retorica ma con pochissima sostanza. Perciò, a tale proposito, temo, purtroppo, che il peggio debba ancora manifestarsi. Questa catena di scandali avrà effetti negativi sui fondi pensione e, di conseguenza, sui consumi degli Stati Uniti, con ripercussioni in tutto il mondo.
Il rallentamento dell'economia è figlio anche della crisi in Argentina, del crollo delle bolle speculative di tante componenti della cosiddetta new economy, della crisi dell'auto e, da ultimo, dei fortissimi venti di guerra. Questo forte rallentamento ha obbligato i principali organismi internazionali e, ovviamente, anche il nostro Governo, a rivedere al ribasso le previsioni di sviluppo degli investimenti e dei consumi. L'aumento del PIL previsto per il 2002 e per i due anni successivi è, rispettivamente, dello 0,6, del 2,3 e del 2,9 per cento. Si tratta di obiettivi che dobbiamo assolutamente centrare! Per quanto riguarda i due parametri principali di Maastricht, abbiamo questi dati: per il deficit, -2,1 quest'anno, destinato a scendere a -1,05 e, poi, a -0,6 per cento e, per i debiti accumulati, 109,4 quest'anno e, poi, 105 e 100,4 per cento, rispettivamente, nei due anni successivi.
L'atteggiamento del Governo, come potete constatare e come ha detto il relatore Alberto Giorgetti, è prudenziale. Questo è giusto. Dalle analisi e dai confronti internazionali della Banca d'Italia risulta che le previsioni per i prossimi anni dei nostri consumi privati, delle nostre esportazioni e della nostra produzione industriale non sono particolarmente brillanti. In effetti, per tutti gli anni novanta, la crescita della nostra economia è stata costantemente più lenta di quella degli altri paesi europei; e le tendenze degli anni più recenti non segnalano, per il momento e in assenza di interventi di politica economica, un recupero di dinamismo e di competitività.
La verità è che abbiamo due palle al piede che si rivelano ogni giorno più pesanti: il debito pubblico finanziario e il debito pubblico pensionistico. In presenza di mercati sempre più aperti e di concorrenti sempre più agguerriti, il loro peso non è più solo penalizzante: per le nostre imprese, queste palle al piede stanno diventando insopportabili perché si traducono in tasse e in costo del lavoro più alti di quelli dei concorrenti.
Non riesco proprio a capire come sia stato possibile negli anni del potere cattocomunista accumulare tutti questi debiti ai danni delle generazioni future. Il livello massimo dei debiti accumulati rispetto al PIL consentito dall'Unione europea ammonta al 60 per cento. Ebbene, dopo i miracoli di Prodi e dopo il grande risanamento della scorsa legislatura, alla fine di quest'anno i debiti accumulati saranno di poco inferiori al 110 per cento, il più alto dell'Unione europea e quasi il doppio del massimo consentito, alla faccia del risanamento. Questo dato rappresenta soldi che i politici cattocomunisti hanno speso negli anni dell'egoismo travestito da solidarietà, trasferendo interamente il costo dei loro maneggi sulle spalle dei soggetti più deboli, sulle spalle delle generazioni future.
Devo anche ricordare che a questo impressionante debito, secondo buonsenso e secondo elementari regole di ragioneria, bisogna aggiungere il valore attuale del debito per le pensioni già maturate, che ha la stessa identica natura del debito pubblico. Si tratta, a tutti gli effetti, di un debito della Repubblica italiana. Tuttavia, esso non è esposto in nessuna parte nei
bilanci del nostro paese e pertanto non dicono la verità sui debiti che abbiamo accumulato e che stiamo trasferendo in eredità ai nostri figli e non mi sembra giusto nascondersi dietro alla scusa che non dicono la verità nemmeno i bilanci degli altri Stati membri dell'Unione europea.
Questo debito vale per l'Italia poco meno di cinque milioni di miliardi di vecchie lire, più del doppio di tutti i BOT e di tutti gli altri titoli del debito pubblico in circolazione. Anche questo debito è stato generato negli anni settanta e ottanta dalla prassi e dalla cultura cattocomunista. Incredibili quegli anni: pensioni per tutti dopo pochi anni di lavoro, a cominciare da alcuni insegnanti, dai parlamentari e così via, sino a numerosi strani malati con tutte le disgrazie e tutti i malanni del mondo, che incassavano la pensione di invalidità perché ufficialmente gli mancavano le due gambe e poi si scopriva che erano titolari in squadre di pallone che partecipavano a campionati duri, impegnativi e ben remunerati.
Dunque, la nostra situazione potrebbe essere come minimo significativamente migliore e sono necessari interventi di politica economica per stimolare i consumi, aumentare l'occupazione, rendere più flessibile il mercato del lavoro e attirare gli investimenti. Ne abbiamo già discusso a luglio e non voglio ripetermi, salvo per una cosa, che per noi della Lega nord Padania è di gran lunga la più importante: la riforma necessaria per trasferire poteri, responsabilità e risorse finanziarie dallo Stato agli altri soggetti che compongono con pari dignità la Repubblica italiana, i comuni, le province, le regioni e, in prospettiva, le città metropolitane. Tanti altri miei colleghi ed io riteniamo che questa riforma sia il motore di ogni cambiamento e soprattutto che sia l'unico modo per migliorare, attraverso un percorso di significativo sviluppo, i conti dello Stato ed eliminare in questo modo le pesantissime palle al piede rappresentate dal debito pubblico finanziario e dal debito pubblico pensionistico. A nostro giudizio, è necessario e urgente attuare l'articolo 119 della Costituzione in modo che comuni, province e regioni abbiano l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa prevista dalla Costituzione. Ritengo sia assolutamente inutile e forse addirittura mistificante parlare di federalismo e di devoluzione di poteri e di responsabilità senza prevedere nella riforma fiscale, in modo molto esplicito, le caratteristiche del definitivo trasferimento di poteri e di responsabilità anche fiscali, vale a dire senza prevedere in modo esplicito l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.
Lo scenario finale dovrà prevedere la fiscalità dello Stato nettamente separata da quella delle regioni e degli enti locali. La pressione fiscale naturalmente deve essere calcolata sulla somma delle due fiscalità, quella dello Stato da una parte e quella delle regioni e degli altri enti locali dall'altra; questo scenario potrà essere realizzato anche in molti anni ma a mio giudizio la sua cornice dovrebbe essere identificata subito e con chiarezza. In caso contrario, senza prevedere per le regioni e per gli enti locali una reale autonomia finanziaria di entrata e di spesa le parole «federalismo» e «devoluzione», corrono il rischio di restare solo parole vuote o, peggio, specchietto per le allodole. Tutti gli addetti ai lavori avranno solo perso del tempo.
Intanto, ogni giorno, per rendere più efficiente, responsabile e competitivo il sistema paese è necessario promuovere spazi per nuove competenze e responsabilità delle autonomie locali che, naturalmente, per non essere controproducenti devono essere trasferite assieme alle necessarie risorse finanziarie. Insomma, per intenderci, se attribuiamo un nuovo compito a una regione, a una provincia o ad un comune ma non mandiamo loro i quattrini possono accadere soltanto due situazioni: o non lo svolgono e allora i cittadini diranno che con il federalismo non si ricevono i servizi, oppure per svolgerlo devono aumentare le tasse locali e allora i cittadini diranno che con il federalismo aumentano le tasse. Pertanto, dobbiamo attribuire nuovi compiti ma devono sempre essere accompagnati dal trasferimento
delle necessarie risorse finanziarie, altrimenti avremo grossi problemi. Tutto questo, naturalmente, avverrà finché non sarà finalmente data piena attuazione all'articolo 119 della Costituzione sull'autonomia e sulla responsabilità fiscale delle regioni e degli enti locali, dopo di che sarà tutto molto più facile (e mi ha fatto molto piacere sentire il relatore Alberto Giorgetti fare riferimento a questo problema).
Lo stesso ragionamento, colleghi, vale per la riforma del mercato del lavoro e per tante altre situazioni. La devoluzione di poteri per sanità, istruzione e polizia locale di cui discuteremo presto in quest'aula dovrà essere un punto di partenza, non certamente il punto di arrivo. Questo - voglio dirlo con la massima chiarezza - secondo noi è l'unico modo, lo ripeto, l'unico modo per far recuperare competitività al sistema paese, per aumentare, in modo veramente significativo, il nostro prodotto interno lordo e per toglierci, finalmente, le pesantissime palle al piede del debito pubblico cattocomunista che ci hanno lasciato in eredità questi signori...
FRANCESCO GIORDANO. Lascia stare i comunisti!
ALFONSO GIANNI. Parla di quello che sai!
GIANCARLO PAGLIARINI. ...per attirare investimenti, per sconfiggere la disoccupazione e, grazie a diffuse opportunità di lavoro, per sconfiggere anche la mafia, la camorra e le altre numerosissime divisioni della grande industria e della delinquenza organizzata che stava per diventare la più grande industria del nostro paese e per migliorare, in modo veramente significativo, la qualità della vita dei nostri concittadini.
In conclusione riteniamo che per rispettare, entro l'anno 2006, gli obiettivi indicati nella nota di aggiornamento al DPEF del pareggio di bilancio anche in termini nominali e della riduzione dei debiti accumulati, portandoli vicino al 90 per cento del PIL è necessario che, in primo luogo, venga accelerato il processo di devoluzione di poteri e di responsabilità alle regioni ed agli enti locali impostando, al più presto possibile, l'iter legislativo per l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, in modo che comuni, province e regioni dispongano di compartecipazioni significative al gettito dei tributi erariali riferiti al loro territorio e abbiano l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa prevista dalla Costituzione; in secondo luogo, che sia impostato l'iter legislativo relativo alla riforma della Corte costituzionale con l'ingresso di membri eletti dalle regioni; in terzo luogo che sia impostato l'iter legislativo relativo alla formazione della Camera delle regioni nel rispetto del principio di sussidiarietà previsto dall'articolo 118 della Costituzione per cui poteri, responsabilità e risorse finanziarie comincino sempre a livello comunale. In ogni caso, questo è ovvio ma vale sempre la pena di ricordarlo, dovrà essere accuratamente evitata ogni ipotesi di centralismo regionale.
Abbiamo l'impressione che su questi punti ci sia accordo, dunque voteremo a favore della risoluzione di maggioranza anche da noi sottoscritta (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania, di Forza Italia e di Alleanza nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Michele Ventura. Ne ha facoltà.
MICHELE VENTURA. Signor Presidente, ascolto sempre con interesse il collega Pagliarini che, in tutte le occasioni e circostanze, ci parla del regime cattocomunista, tanto da essere divenuto, ormai, una sorta, come dire, di «pallino»; non ho ancora avuto modo di ascoltare l'onorevole Pagliarini svolgere un intervento senza far riferimento a questo fantomatico regime. Il periodo a cui Pagliarini pensa, quando parla del debito pubblico, trova molti protagonisti - lui dovrebbe guardarsi un po' intorno - in altri schieramenti; non so a chi pensi effettivamente ma questo tipo di riflessione dovrebbe farla.
Vi è poi un altro elemento singolare nell'intervento pronunciato dall'onorevole Pagliarini; mi riferisco a quando egli dice che ciò che più lo convince nella manovra economica del Governo - e quindi anche nella nota di aggiornamento (ma forse questo è solo un auspicio) - è la volontà di decentrare e di responsabilizzare, perché solo così sarà possibile favorire lo sviluppo. Ho l'impressione che i colleghi della Lega non abbiano pienamente realizzato di quale Governo facciano parte. Siamo infatti di fronte ad un esecutivo che sta attuando politiche rigidamente centraliste. Onorevole Pagliarini, non so a quale decentramento lei faccia riferimento, ma noi, in realtà, ci troviamo di fronte ad un taglio che è inconfondibile dal punto di vista dell'ispirazione centralista (ciò che verrà è poi tutto da vedere, e saremo in grado di giudicare tra qualche tempo).
Vorrei tornare ad alcuni aspetti della nota di aggiornamento del documento di programmazione economico-finanziaria che oggi ci troviamo a discutere in Assemblea. Vorrei ricordare ai colleghi della maggioranza, cosa che abbiamo già fatto in Commissione, che delle condizioni del quadro macroeconomico ne avevamo già discusso non molto tempo fa, in occasione della presentazione del documento di programmazione economico-finanziaria nel mese di luglio. A quella data - di ciò i colleghi della maggioranza devono darci atto - avevamo esattamente detto che cosa sarebbe accaduto nei termini della dinamica economica e, quindi, dell'incremento del prodotto interno lordo. Allora avevamo infatti detto, con grande chiarezza, che avremmo avuto un incremento pari allo 0,6 per cento, mentre voi insistevate nel parlare di un incremento pari all'1,3 per cento.
Ebbene, in due mesi non è che siano cambiate le condizioni generali: in tale lasso di tempo non si sono certo manifestate nuove forme di rallentamento dell'economia mondiale. Tutti i dati, tutti gli elementi di difficoltà esistevano già a luglio, e di ciò si ha conferma nella nota di aggiornamento dove è detto che l'anno in corso si chiuderà con un rapporto indebitamento-PIL pari al 2,1 per cento, con uno scostamento di un punto percentuale rispetto alla stima contenuta nel documento di programmazione economico-finanziaria. Questi elementi, questi dati, che erano già stati abbondantemente analizzati a luglio durante la discussione sul documento di programmazione economico-finanziaria, trovano nella nota di aggiornamento tutta una serie di giustificazioni, delle quali abbiamo già avuto modo di discutere ieri in Commissione bilancio. In questa nota viene detto che i dati negativi sono dovuti al rallentamento della crescita, al deterioramento della domanda interna e delle esportazioni.
Per ciò che riguarda la domanda interna, si afferma che si è appiattita la dinamica della spesa delle famiglie, a causa del calo della fiducia, delle tensioni inflazionistiche e della riduzione delle quotazioni azionarie. Si aggiunge che, parimenti, si registra una flessione degli investimenti ed un forte ridimensionamento della crescita delle esportazioni in connessione con il rallentamento del commercio mondiale.
Colleghi della maggioranza, stiamo denunciando questi dati, questi elementi di difficoltà del ciclo economico ormai da un consistente numero di mesi, perché non è una sorpresa che questo rallentamento dell'economia mondiale fosse in corso già prima dell'inizio del 2002. I dati che oggi vengono portati come una novità - all'inizio della nota di aggiornamento si legge: «l'ultima frenata si è manifestata a partire dall'estate ed è forse la più difficile da decifrare, slegata da eventi esogeni, in controtendenza rispetto all'orientamento delle politiche macroeconomiche...» - in realtà non lo sono affatto; anzi, è evidente, nei dati della crescita americana, giapponese e del nostro continente, che non vi è certo solo la frenata dell'estate scorsa.
Ormai è da un lungo periodo che, ad esempio, i dati del commercio mondiale evidenziano elementi di difficoltà. Ciò che è stupefacente e ciò che continuiamo a considerare incomprensibile è che vi sia stato un intestardimento da parte del Governo nel prendere atto di questa situazione
e nel dire con grande chiarezza in quali nuove difficoltà era entrato il ciclo economico. Avete, infatti, pensato di risolvere tali questioni con tutti gli strumenti che avete cercato di attivare durante i primi mesi di attività del Governo e che si sono dimostrati del tutto insufficienti.
È clamoroso ciò che è accaduto con riferimento agli investimenti con la legge Tremonti-bis. Si registra, infatti, un calo degli investimenti: questa è la verità. Si è determinato, quindi, un ritardo in tutto il settore che riguarda l'innovazione del processo in campo produttivo, per non parlare del fatto che è stata del tutto assente una politica a sostegno dell'innovazione del prodotto. Avete pensato, poi, con un'altra serie di misure (quali quelle dei condoni annunciati o altro) di riattivare il ciclo economico.
Se si analizza la nota di aggiornamento, continuate a ritenere che questa ripresa, nella parte finale del 2002 e per il 2003, è sorretta dagli interventi del Governo sui nuovi provvedimenti annunciati nella legge finanziaria quali gli sgravi fiscali e l'impulso che dovrebbe venire per le opere pubbliche dall'avvio della nuova società Infrastrutture Spa. È questo che rende ancora incerto e non convincente il quadro complessivo di politica economica. Riteniamo, infatti, che, come le misure di qualche mese fa non sono state in grado di riattivare la domanda interna e non hanno sostenuto adeguatamente la domanda relativa alle esportazioni, anche le misure annunciate non saranno in grado di restituire dinamicità al mercato interno.
Nello stesso tempo - vorrei ora affrontare un secondo gruppo di questioni - si dice che, per quanto riguarda gli obiettivi di finanza pubblica, il rapporto indebitamento-PIL previsto per l'anno in corso al 2,1 per cento ha registrato uno scostamento causato, per la quasi totalità, dall'andamento delle entrate fiscali, in particolare di quelle tributarie, che hanno risentito del rallentamento dell'economia. Tuttavia, non viene in mente che forse anche gli annunci di condoni, al di là del rallentamento (che ovviamente vi è), possono avere inciso determinando una situazione di difficoltà per ciò che riguarda le entrate?
Colleghi, se si legge la proiezione sviluppata dal Sole 24Ore, in un articolo pubblicato ieri, a proposito di ciò si mette in evidenza che la nota non precisa neppure il nuovo valore della pressione fiscale alla luce della legge finanziaria per il 2003.
Da tale articolo emerge un dato, e pregherei il viceministro di dare una risposta a tale proposito, relativo al bilancio programmatico dello Stato. Mi riferisco alle entrate tributarie: nel 2003 risultano ammontare a 341,7 miliardi (il 26,2 per cento del PIL) contro i 323,8 miliardi (25,8 per cento del PIL) del bilancio assestato del 2002. Credo che anche su questo vi sia bisogno di chiarezza.
Vorrei concludere, colleghi, facendo riferimento a quello che sempre Il Sole 24 Ore ieri definiva un grande mistero, un giallo sul debito 2003. Veniva annunciato, con un titolo a tutta pagina, che sono scomparsi 16 miliardi. Sembra quasi che quando si parla di conti pubblici si leggano le pagine di un giallo. Vorrei far notare che abbiamo la necessità di un quadro di certezze relativamente alla situazione reale del debito pubblico, perché non è più con giochi di prestigio o con trucchi che possiamo tenere sotto controllo una situazione di grande difficoltà relativamente allo stato dei conti pubblici. Anche questo, viceministro, la inviterei a chiarire, dato che sicuramente ha letto l'articolo a cui mi riferisco. Sarebbe assai interessante cercare di avere una sua versione del motivo per cui, quando si parla dei conti pubblici italiani, si debbano leggere articoli in cui si parla soprattutto di gialli e misteri senza che si riesca a trovare un'effettiva spiegazione della situazione reale.
MICHELE VENTURA. Infine, e mi rivolgo ai colleghi della maggioranza, non vorrei che il miglioramento nel fabbisogno
di cui si parla fosse dovuto ad una scelta che si dimostrerà assai pesante per quanto riguarda il mondo produttivo del nostro paese perché, probabilmente, è dovuta soprattutto al blocco dei crediti di imposta DIT-spese per infrastrutture. Infatti, mentre dite che siete per una politica di sviluppo non potete contraddire ciò con azioni di stretta, soprattutto su quelle leggi che avevano consentito al nostro sistema imprenditoriale una ripresa di dinamicità. Vi invitiamo, quindi, ad una coerenza di comportamenti.
Svolgerò un un'ultima considerazione: la congiuntura internazionale non è responsabilità di questo Governo. Nessuno di noi, colleghi della maggioranza, ha pensato questo. Anzi, ad un certo punto avevamo ritenuto che sarebbe stato assai più semplice parlare esplicitamente e con chiarezza di tali difficoltà. Quindi, non imputiamo al Governo la responsabilità della congiuntura internazionale. È responsabilità di questo Governo - è questo il rilievo che facciamo - maneggiare la finanza pubblica e le manovre che essa comporta basandosi su previsioni totalmente infondate. Lo avete fatto in passato, il nostro invito è che per il futuro si cambi decisamente strada (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alfonso Gianni. Ne ha facoltà.
ALFONSO GIANNI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, la nota di aggiornamento al documento di programmazione economico-finanziaria che ci è stata presentata risponde ad un'esigenza obiettivamente diventata inderogabile persino per questo Governo. Mi riferisco alla presa d'atto, che però è tutt'altro che completa e conseguente nelle proposte, di un peggioramento della situazione economica e del fatto che tutte - ripeto tutte - le cifre fornite dal Governo su cui erano state fondate le sue previsioni, su cui erano stati costruiti i documenti ufficiali e quello che voi chiamate il patto per l'Italia firmato dalla minoranza delle organizzazioni sindacali effettivamente rappresentative in questo paese si sono rivelate completamente sbagliate.
Non molto tempo fa, ho avuto modo di ricordare ciò al ministro Tremonti, in occasione della discussione sulle mozioni presentate dall'Ulivo; al riguardo però non ho trovato alcuna sensibilità da parte del massimo rappresentante del Governo, anzi del superministro per l'economia.
Questo documento mette in evidenza due aspetti (visto che non sono come Pagliarini che accusa sempre a sproposito altri). In primo luogo ci dice che l'economia va male. Ebbene, signori, l'economia va male! Non c'è una rilevazione, un organo di stampa, un centro studi che non riporti questo dato. Naturalmente, poi le terapie per risolvere il problema sono diverse, ma ormai la valutazione dovrebbe essere - ma non lo è per questo Governo, perché basta leggere le pagine successive della nota di aggiornamento - un dato acclarato.
L'economia va male perché c'è una recessione a livello mondiale, dalla quale - come vedremo - alcuni sciagurati intendono uscire attraverso la guerra, immemori di passate esperienze e di alcune leggi economiche, che la teoria dovrebbe almeno aiutare loro a comprendere.
L'economia americana, signor rappresentante del Governo, va male! E non glielo dico io, ma il dirigente della Morgan Stanley, attraverso la quale una buona parte dei capitalisti del mondo decidono, per così dire, la qualità e la quantità, nonché l'allocazione, dei loro investimenti. Egli (non si tratta quindi di uno spiritoso signore) ci riferisce, sull'inserto finanziario di un autorevole quotidiano che l'economia è stagnante, i consumi sono fermi e i mercati sono troppo vulnerabili; basterà che si verifichi un'ondata di licenziamenti, una crisi petrolifera o lo scoppio della bolla speculativa sugli immobili (eventi tutti e tre quasi certi), perché tutto il sistema ne risenta; basterà che Bush insista nel suo insensato proposito di scatenare il conflitto contro l'Iraq (dal momento
che non è vero che i prezzi del greggio hanno già scontato le paure di guerra).
Siamo di fronte ad una situazione in cui nessuna economia a livello europeo, e tanto meno l'insieme del quadro economico europeo, è in grado di sostituire la locomotiva americana; anzi più di due terzi delle economie del nostro continente non sono in grado di rispettare quello che è ormai diventato una pura crisalide, un simulacro privo di significato reale: il patto di stabilità (e il Giappone piange da più di dieci anni e non si intravede una via di uscita). È evidente che questo quadro di carattere macroeconomico non è ascrivibile - come già dicevo una settimana fa e lo ribadisco ora - alle responsabilità di questo Governo: in primo luogo perché si tratta di un quadro di carattere internazionale; in secondo luogo perché individua una crisi profonda all'interno del processo di globalizzazione. Ma la responsabilità di questo Governo è aver fatto finta di non accorgersene; aver costruito un castello di carta su un terreno non solo sabbioso, ma anche minato; essersi comportati come la vispa Teresa, cioè in modo giulivo, rispetto ad un andamento della situazione economica mondiale e interna che avrebbe richiesto ben altre politiche economiche.
Siamo, quindi, al punto in cui tutte le previsioni sono saltate. Siamo al punto che quell'ipotesi, di stampo apertamente neocorporativo, che sta alla base del patto per l'Italia firmato con la minoranza delle organizzazioni sindacali, non potrà essere rispettata; infatti, quelle stime che nel patto sono controfirmate anche dalla CISL e dalla UIL sono del tutto vanificate.
Come previsione della crescita siamo scesi dall'iniziale 3,1 per cento all'attuale 0,6 per cento; siamo di fronte ad un incremento dell'inflazione e le risposte, fornitemi dal ministro Giovanardi durante lo svolgimento del question time di una settimana fa, sono - mi si permetta il termine - del tutto risibili.
Possiamo anche stimare l'andamento dell'inflazione al 2,4 per cento anziché - come afferma l'Unione europea - al 2,6 per cento; possiamo far finta di non sapere che entrambe le stime si basano su una rilevazione reale dei bisogni della gente sottostimata, in quanto svolta in base a criteri vecchi che non rispecchiano l'effettivo andamento delle domande; possiamo anche pensare che tale tasso di inflazione potrà, eventualmente, contrarsi nel corso del 2003, anche se occorrerebbe dimostrare in base a quale previsione, non solo divinatoria, questa speranza sia fondata.
Ciò che è certo è che non è accettabile una programmazione del rinnovo dei contratti nel comparto pubblico o del rinnovo dei contratti dei metalmeccanici ad un'inflazione programmata dell'1,4 per cento che è praticamente la metà, se non meno della metà, dell'inflazione reale. Siamo di fronte ad un peggioramento della situazione della finanza pubblica e del rapporto debito-prodotto interno lordo. Dunque, ci troviamo in un quadro che si incastona in una situazione di generale recessione rispetto alla quale non si vedono vie d'uscita.
Nella nota, il Governo ribadisce che, probabilmente, alla fine del 2002, si può prevedere una ripresa dell'economia mondiale, che procederà come prosperità durante il 2003.
Signor rappresentante del Governo, lei ricorderà che una simile previsione è già stata fatta, alla fine del 2001, con riferimento alla primavera del 2002 e che, invece, secondo tutti gli economisti americani l'andamento della crisi nel principale paese capitalistico del mondo - dopo che era attesa per un andamento a V (cioè caduta e rapida ripresa) e dopo che si è sperato fosse semplicemente un andamento a U (caduta, stagnazione e poi ripresa) - è stato caratterizzato da una situazione di doppia recessione (una situazione a W, come la lettera che precede in nome del Presidente americano). Dunque recessione, timidissima risalita e nuovo approfondimento e incancrenimento della crisi.
L'idea di uscire da tale situazione con la guerra non rientra nell'ordine delle cose possibili. A parte tutte le considerazioni - che prima ricordavo - rese dal dirigente
della Morgan Stanley sull'influenza che avrebbe uno scontro bellico sui prezzi del petrolio nonché relativamente alla sua incidenza nel quadro mondiale, un altro autorevole economista, Paul Samuelson, premio Nobel per l'economia - che quando fa comodo sento spesso citare, mentre quando risulta scomodo sento facilmente dimenticare -, in un'intervista rilasciata ad un noto quotidiano - ricordo che non sto citando giornali di partito, ma i maggiori organi di stampa reperibili per tutti - evidenziava come l'ipotesi di una guerra, in conseguenza dell'incremento del consumo interno, avrebbe potuto avere un qualche effetto di risollevazione sull'economia del paese che la propugna e la organizza.
Probabilmente è per questo motivo che il Governo italiano, con il cinismo che lo contraddistingue, ritiene di potersi sedere al tavolo dei vincitori.
Ma questo può essere un effetto solo se la guerra è breve e solo se concorrono altre contingenze economiche internazionali che oggi non ci sono. Il primo dato non è francamente credibile; quanto al secondo, è già dimostrato che non esiste.
Quindi, credo che dovremmo, in realtà, voltare completamente pagina dal punto di vista delle politiche economiche, cosa che la nota di aggiornamento, ovviamente, non fa; anzi, la nota di aggiornamento fa di peggio, signor rappresentante del Governo, e ribadisce qualcosa che, in effetti, era già o era a noi - modestamente - chiara dalla lettura del documento di programmazione economico-finanziaria: l'idea di sostituire una politica industriale con una politica delle infrastrutture. È una scelta chiara e limpida ma risponde esattamente a questo. Se si lascia andare in malora la FIAT, tanto per essere molto chiari, o, addirittura, si premia uno dei responsabili del disastro con una super liquidazione, che grida vendetta rispetto a chi effettivamente lavora e guadagna meno dell'andamento dei prezzi, e nello stesso tempo si pensa di costruire il faraonico ponte sullo stretto di Messina o altre amenità di questo genere, si ha nella sostanza un'idea precisa della struttura economica di questo paese. Se consideriamo anche le ipotesi di privatizzazione, siamo di fronte al tentativo di rendere questo paese più appetibile per gli investitori esteri, per i quali si creano infrastrutture che permettano loro di valorizzare e di rendere ancora più «profittabili» gli investimenti; si crea una struttura di privatizzazione per permettere uno sfondamento all'interno del settore pubblico da parte della grande finanza privata.
Caro Pagliarini, non c'è dubbio che nella struttura economica italiana, specialmente in alcuni settori, abbia pesato una specifica logica di governo che fa dire: lavorate pure poco, tanto vi pago poco. In fondo, questo è stato uno dei pilastri del Governo democristiano, non di quello cattocomunista. E sarebbe divertente verificare quanti siano i democristiani che siedono nei banchi della maggioranza: se ipotizzo il 99 per cento, faccio - casomai - una stima per difetto e non per eccesso.
In ogni caso, a parte questo leggero spunto polemico, non è svendendo e distruggendo qualunque forma di leva del potere pubblico all'interno della struttura economica che si risolve il problema; né, d'altronde, si risolve il problema - lo abbiamo già visto anche in altri paesi - semplicemente innalzando la bandiera verde del cosiddetto federalismo o dell'autonomia delle varie zone. Si tratta di una logica che già conosciamo, perfettamente interna al processo di globalizzazione, e che prevede uno svuotamento delle funzioni dello Stato nazione, non soltanto nel caso di processi macro che vengono dall'alto. Le sedi e i centri decisionali, del tutto ademocratici, vengono sottratti alla potestà dei singoli Governi; infatti, le leggi di bilancio e tutte le altre strumentazioni programmatorie sono ridotte praticamente allo zero, come si vede anche dai documenti che abbiamo di fronte. Ciò si esprime anche attraverso una logica di collegamento delle aree forti nel business, per cui la Lombardia si collegherà con la Baviera, le zone forti dell'Europa si collegheranno tra di loro e quelle deboli verranno mandate ancor più in malora. In sintesi, si tratta del tipo di politica che
questo Governo sta conducendo nei confronti del Mezzogiorno del nostro paese.
Allora, cosa bisogna e si può fare? Io penso che ci sia un tema che può, deve e dovrebbe essere discusso con la massima urgenza; lo abbiamo posto anche nella precedente discussione e lo riproponiamo in conclusione di questo mio breve intervento: la revisione integrale del patto di stabilità.
È chiaro che la maggioranza dei paesi europei non è in grado di rispettarlo ed è altrettanto chiaro che non è possibile attuare semplicemente una misura in base alla quale la convergenza allo zero «la elasticizziamo», come è stato detto in quel di Spagna a Siviglia. È necessaria una revisione dal punto di vista quantitativo (mi riferisco al problema del 3 per cento) e, dal punto di vista qualitativo, di quali sono le voci che fanno avanzare una prospettiva economica di tipo diverso. Il tema è ormai sul tappeto e non mi stupisco se questo tema divide la destra come divide anche una sinistra alternativa da una sinistra moderata. Non mi preoccupa questo elemento, proprio perché non è una questione di ideologia, ma una questione di analisi concreta della situazione concreta. Si tratta di prendere atto che l'economia va male e andrà peggio di fronte ad una guerra e, ancora peggio, se continuiamo, per una specie di coazione a ripetere, con le vecchie politiche. Invece, c'è bisogno di creare un soggetto economico forte, socialmente fondato, rispettoso delle esigenze della gente.
Se questo può diventare l'Europa lo può diventare solo se viene rotto quel patto interno di stabilità che la incardina in una logica iperliberista. Queste sono le ragioni della nostra contrarietà al documento presentato dal Governo (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Casero. Ne ha facoltà.
LUIGI CASERO. Signor Presidente, è necessario in un dibattito come questo, dominato da una certa moderatezza negli interventi, cercare di inserire il ragionamento in un quadro macroeconomico complessivo di riferimento. Il ciclo economico italiano un anno fa stava uscendo da una fase di crisi negativa per iniziare una fase di sviluppo. Sono accaduti, non solo a livello italiano, ma anche a livello mondiale, una serie di avvenimenti che hanno completamente sconvolto l'economia mondiale e hanno cambiato la possibilità di uscire da questa fase di recessione.
Il primo avvenimento è quello dell'11 settembre: ho sentito in molti dibattiti di questi giorni che questo accadimento non avrebbe avuto valenza economica. Chi conosce l'economia e capisce di economia sa benissimo che la fiducia del consumatore e del risparmiatore nel futuro e le aspettative di certezza sul futuro, sono uno degli elementi fondamentali di uno sviluppo economico. Sicuramente l'11 settembre ha generato nella quasi totalità dei consumatori mondiali una situazione di incertezza sul futuro, il che ha creato una serie di problemi sullo sviluppo economico. Il secondo fatto fondamentale e dirompente è la crisi finanziaria americana. Anche in questo caso elementi di certezza, specialmente legati al risparmiatore americano, su una certa eticità e su un certo andamento complessivo del sistema finanziario americano e mondiale, sono venuti a mancare e hanno creato un'ulteriore incertezza su quello che avrebbe potuto essere il futuro dell'economia mondiale, con tutta una serie di ripercussioni sull'economia europea ed italiana. Questo ha generato una pesantissima crisi borsistica che, a differenza delle crisi degli anni passati, ha inciso pesantemente sulle tasche dei consumatori. Sicuramente il risparmiatore italiano, in questi anni e in questi giorni, ha una propensione all'investimento diversa da quella di dieci anni fa. Una crisi borsistica nell'Italia di dieci anni fa avrebbe inciso diversamente sulla propensione al risparmio del risparmiatore italiano, che solitamente investiva in depositi bancari o in titoli di Stato. In dieci anni il sistema si è evoluto, ha investito in fondi comuni d'investimento e in azioni e la crisi borsistica
che ha dimezzato il risparmio dell'investitore medio italiano ha inciso pesantemente sia direttamente sulle tasche dello stesso risparmiatore sia, anche in questo caso, sulle aspettative di sviluppo futuro.
L'ultimo determinante elemento a livello mondiale è rappresentato dall'evoluzione della situazione politico-militare internazionale. Sicuramente in Europa o in Italia venti di guerra generano incertezza sullo sviluppo futuro e sulle aspettative del consumatore e del risparmiatore.
Questi tre elementi hanno completamente cambiato la curva, a livello mondiale non hanno permesso una ripresa, un rimbalzo della crisi economica e creano all'interno degli Stati Uniti, dell'Europa e dell'Italia una pesante crisi di recessione e nei consumi. Si tratta di elementi da considerare nel momento in cui si cerca di attuare altri tipi di programmi e di capire perché alcuni di essi non hanno potuto avere una valenza che invece si pensava dovessero avere.
L'Italia è stata interessata da altri due fattori che hanno pesantemente inciso, favorendolo, su questo momento recessivo. Il primo è rappresentato dalla crisi argentina che ha reso trasparenti molti elementi negativi; l'Argentina è un paese al quale l'Italia è molto legata e sul quale i risparmiatori italiani avevano riposto molta fiducia. Il secondo fattore è invece rappresentato dalla crisi del settore auto; la principale azienda italiana sta subendo una pesante crisi e ciò ha una forte incidenza, sia sul PIL sia sui consumi. Infatti, la crisi della FIAT sicuramente crea aspettative negative nell'italiano medio.
Tutti questi elementi hanno portato e portano il paese ad una crisi recessiva, ad una crisi da consumi legata alla sfiducia del consumatore sulle aspettative future. Ciò non riguarda solo l'Italia, quindi in questo caso contestiamo interpretazioni di tipo speculativo fatte da membri dell'opposizione, della sinistra. Essi cercano di accusare il Governo della crisi che in questo momento sta colpendo il paese. La Francia, la Germania - paesi che nel passato venivano presi ad esempio da parte di coloro che accusano l'Italia di subire questa crisi - stanno affrontando una crisi peggiore della nostra. Qualsiasi ragionamento deve essere portato avanti in modo pacato tenendo d'occhio l'andamento economico mondiale.
A tutto ciò si è unito un fatto determinante che ha inciso sui conti del paese; si è verificata una pesante diminuzione delle entrate fiscali riguardante l'autotassazione di inizio d'anno. Anche in questo caso bisogna contestare un elemento. Risulta strumentale e negativo affermare che le aspettative di un possibile condono hanno ridotto la propensione del consumatore, del risparmiatore e dell'imprenditore italiano a pagare le tasse in quest'anno. Voi sapete che il concordato riguarda gli anni passati fino al 2001, quindi risulta improprio sostenere che le entrate si sono ridotte perché esisteva questa aspettativa rispetto al condono.
Un possibile condono può creare una eventuale aspettativa rispetto a condoni futuri, quindi una minore propensione del contribuente riguardo possibili e futuri condoni. Sicuramente, tutto ciò non ha inciso sulle entrate fiscali di quest'anno che si sono ridotte essenzialmente perché l'economia non è andata bene e per una serie di motivi legati alle minusvalenze da partecipazione su cui il Governo sta cercando di intervenire ed è intervenuto con un decreto fiscale che verrà discusso nelle prossime settimane. Vi sono poi alcuni dati fiscali che, nell'ambito di una crisi borsistica, hanno creato elementi negativi per le entrate complessive dello Stato. Si tratta di cose tutte da dichiarare nel momento in cui si pensa di voler fare un discorso ragionato e civile nei confronti dei cittadini di questo paese.
A fronte di una situazione di questo genere - che non tocca solo il nostro paese, ma l'intera Europa - è stata possibile un'azione di revisione riguardante alcuni elementi relativi al patto di stabilità. Questo non per sola volontà del nostro paese, ma per la volontà di importanti e determinanti paesi facenti parte della comunità europea.
È necessario quindi che il Governo prosegua nell'azione di programmazione e di sviluppo su cui si era impegnato all'inizio della legislatura. È un'azione che deve contenere alcuni interventi strutturali che possano permettere di debellare la debolezza del nostro paese nei confronti dei competitori europei e mondiali. Tali elementi avrebbero dovuto portare alla fine dei cinque anni a ridurre il gap che divide il nostro dagli altri paesi.
Questi elementi erano legati ad una riforma complessiva del sistema fiscale. Riteniamo che in questo paese si paghino troppe tasse e che sia necessario ridurre la pressione fiscale per favorire la crescita economica del paese stesso. Si tratta, pertanto, di un'azione strutturale in parte già prevista dal disegno di legge finanziaria. Sono previste altre azioni strutturali legate al sistema infrastrutturale e volte alla eliminazione di elementi di debolezza del paese che sono contemplate, in parte, dal suddetto disegno di legge finanziaria, mentre altre saranno oggetto di discussione di questo Parlamento.
La debolezza infrastrutturale di questo paese è l'altro elemento che caratterizza l'Italia rispetto agli altri paesi europei. Il disegno di legge finanziaria prevede alcune misure, attuate nei mesi precedenti in seguito all'avvio delle società Infrastrutture Spa e Patrimoni Spa, da cui emerge il tentativo di uscire da questa debolezza infrastrutturale ed il Governo proseguirà su questa linea; mi riferisco agli interventi legati alle liberalizzazioni, alla revisione di alcune debolezze legate al sistema pensionistico e del mercato del lavoro, alla necessità di attribuire maggiore potere alle autonomie locali. Queste misure richiedono un certo dibattito, prescindendo da interventi congiunturali, di cui, tuttavia, in questo momento il paese necessita per uscire dalla crisi, tesi a favorire nuovamente lo sviluppo. Nel disegno di legge finanziaria sono, pertanto, contemplate alcune azioni congiunturali che devono permettere di far uscire il nostro paese da questa curva negativa dello sviluppo.
Per quanto riguarda le tasse, è prevista un'azione di riduzione delle imposte a vantaggio dei redditi medio bassi, prevedendo, nello stesso tempo, introiti attraverso le entrate straordinarie.
Poiché svolgiamo un dibattito sugli elementi di politica economica e diamo per certo che i saldi devono rimanere stabiliti e che quindi deve esistere una politica di rigore monetario, un aumento delle entrate può essere attuato o attraverso un aumento delle entrate ordinarie o attraverso un aumento di quelle straordinarie. Nel momento in cui la sinistra sta contestando a questo Governo di intraprendere una serie di azioni legate solamente ad operazioni straordinarie, mi chiedo come si pensi di far quadrare i numeri complessivi dello Stato, senza tagliare ulteriormente la spesa e senza aumentare le entrate ordinarie (se non si agisce su quelle straordinarie). Un aumento delle entrate ordinarie significa un aumento delle tasse: è una scelta di politica economica ben definita e sfidiamo la sinistra a fornire una risposta in tal senso.
Stiamo, inoltre, cercando di far capire al paese che la scelta di tagliare alcuni trasferimenti agli enti locali non riguarda i servizi, ma i possibili sprechi che sono presenti sia all'interno dei meccanismi della pubblica amministrazione dello Stato sia all'interno dei meccanismi degli enti locali. Tutto il paese, tutti i cittadini italiani sanno che vi sono sprechi nella pubblica amministrazione. Nessuno li può contestare! Pensare di ridurre del 2 per cento (è una misura minima) questi sprechi, a fronte dell'obiettivo del risanamento dei conti complessivi, è chiaramente un'azione che non solo questo Governo, ma l'intero paese, deve attuare, senza ridurre gli interventi legati alla sanità, all'assistenza e ai servizi sociali che, assolutamente, non possono e non devono essere toccati. Dire che questa finanziaria ridurrà i servizi sociali significa utilizzare in modo strumentale la previsione di un'azione di guerra agli sprechi.
Con riferimento a tali interventi, sfidiamo la sinistra a presentare un programma di politica economica diverso dal nostro, atteso che il suddetto viene contestato. Invece di contestare e criticare
questa situazione dovrebbe dire, a fronte del suddetto contesto macroeconomico, cosa di meglio pensa di fare rispetto a ciò che, in tale situazione, sta compiendo questo Governo.
Capisco l'intervento dell'onorevole Alfonso Gianni che presenta una ricetta completamente diversa: la contestiamo, ma la presenta. Vorrei ascoltare dagli interventi degli altri membri dell'opposizione la ricetta della sinistra, dando per scontato che dobbiamo realizzare riforme strutturali. Riteniamo che dovremo ridurre le tasse, mantenere i saldi ed il livello dei servizi in questo paese.
È con questi elementi che diamo un parere positivo su questa nota di aggiornamento, mentre ci apprestiamo a discutere la legge finanziaria (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e Alleanza nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morgando. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO MORGANDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il documento al nostro esame introduce di fatto la sessione di bilancio ed avvia, quindi, un confronto, al quale l'ultimo intervento del collega Casero ci ha richiamato ed a cui non intendo sottrarmi sia in questo intervento sia nella prosecuzione del dibattito sulla legge finanziaria.
Cercherò di esporre rapidamente talune argomentazioni in ordine ad alcune questioni. Cercando di raccogliere le idee per preparare questo intervento, ho preso visione del documento di programmazione economico-finanziaria relativo al periodo 2002-2006 presentato da questo Governo e da questa maggioranza nel mese di giugno dell'anno 2001. Come tutti ricordano, si trattava di un documento corposo ed ambizioso che era stato presentato come un programma di legislatura che delineava la politica economica del centrodestra per l'intero periodo del mandato conferito dagli elettori, quindi fino al 2006. Inoltre, ricorderete sicuramente i contenuti di quel documento: esso indicava una prospettiva di crescita del paese costantemente superiore al 3 per cento in tutto il periodo; prevedeva che sin dal 2001 la crescita sarebbe stata del 2,4 per cento; prevedeva, in coerenza, un andamento assai positivo dei dati di finanza pubblica. Ricordo, ad esempio, le previsioni relative all'indebitamento netto che era indicato allo 0,5 per cento nel 2002 ed in pareggio nel 2003. Non erano tuttavia tanto importanti le cifre: erano importanti il clima, l'impatto emotivo della strategia che veniva indicata. Cambiare politica, invertire la tendenza, passare dal declino allo sviluppo. Questo era lo slogan contenuto nel Documento di programmazione economico-finanziaria per il periodo 2002-2006.
Già nel corso del dibattito relativo al documento abbiamo richiamato il Governo e la maggioranza ad un esercizio di realismo, perché allora già si prospettavano gravi difficoltà nell'economia internazionale ed erano evidenti i segnali di rallentamento a livello mondiale. Siamo stati accusati di guardare al passato e di prolungare sostanzialmente un'idea di strategia di politica economica del centrosinistra che aveva causato il declino del paese.
Ad un anno e mezzo circa di distanza da quel dibattito e dalle indicazioni emerse, dopo la discussione più realistica del documento di programmazione economico-finanziaria del giugno scorso, possiamo trarre qualche conclusione. La nota di aggiornamento al nostro esame prende atto della situazione e prevede anche che il prodotto interno lordo cresca nel 2002 dello 0,6 per cento, che l'indebitamento netto si attesti all'2,1 nel 2002, cali all'1,5 nel 2003, per arrivare al pareggio non più nel 2003, bensì nel 2006.
Il relatore, intervenendo stamani, ha detto: non era previsto. È sbagliato: la situazione economica mondiale, sin dall'inizio del 2001, ci consentiva di prevedere questi andamenti. È infatti vero ciò che ci ha ricordato ieri in Commissione il viceministro Baldassarri. Il Governo non è un centro studi e quindi non gli si richiede un continuo esercizio di previsione; tuttavia, il Governo deve saper individuare e leggere le previsioni che vengono formulate dagli operatori che studiano la congiuntura,
siano essi pubblici o privati, e deve saper tradurre queste indicazioni e previsioni in scelte di politica economica.
Oggi prendiamo atto - e ne prende atto anche il Governo - che la situazione è cambiata e, quindi, dobbiamo dire che avevamo ragione, come ha ricordato il collega Ventura: l'unico vero senso politico di questo dibattito è constatare che l'opposizione aveva ragione nelle preoccupazioni che aveva espresso. Non siamo per niente contenti, perché questo è un problema per l'Italia e assistere al declino della nostra economia, come veniva ricordato, è una cosa che ci preoccupa, ma dobbiamo constatare che avevamo ragione.
Avevamo ragione e, per la verità, abbiamo ancora ragione ad esprimere preoccupazioni anche per l'oggi. Io non vorrei essere monotono (perché c'è un gioco francamente un po' strano, per cui, da una parte, c'è l'ottimismo e, dall'altra, il catastrofismo ed io non voglio affatto essere catastrofista), tuttavia, constato che i dati non ci convincono ancora: l'aumento previsto dello 0,6 per cento del PIL nel 2002 è considerato ottimistico da molti commentatori e le previsioni contenute nella nota di aggiornamento sono prese con molta cautela e con molte pinze nel dibattito che si sta svolgendo su tutti i giornali (poi li possiamo citare).
Personalmente, nella previsione che colloca al 2,3 per cento la ripresa della crescita del paese nel 2003, due aspetti non convincono. In primo luogo, non convince il ritornello della ripresa dell'economia mondiale atteso nell'ultima parte del 2002. Non so dove vediate la ripresa dell'economia nell'ultima parte del 2002, perché siamo all'inizio dell'ultimo trimestre di quest'anno e le cose non stanno così; in realtà, continueremo in una situazione di economia riflessiva per tutti gli ultimi mesi del 2002 e non vedo, quindi, come questa situazione possa trainare una ripresa nel 2003; anzi, molto probabilmente, come c'è un effetto «volano positivo» ci sarà un effetto «volano negativo» e, quindi, i dati di difficoltà della fine del 2002 si riverbereranno sul 2003 e sarà molto difficile che si raggiungano questi risultati.
Un'altra cosa che non mi convince sono le indicazioni che vengono date dalla nota di aggiornamento per quello che riguarda gli elementi che sono alla base di questa ripresa: la dinamica della domanda interna, spinta dagli sgravi fiscali, che viene sostanzialmente indicata come elemento portante del recupero della domanda e, quindi, degli investimenti nel 2003. Io sono contento degli sgravi fiscali ai redditi bassi (durante la discussione sulla legge finanziaria articoleremo e approfondiremo gli effetti, la distribuzione di questi sgravi e così via), ma essi non faranno miracoli e autorevoli economisti prevedono che non cambieranno in modo significativo il comportamento della spesa. Quindi, la nota di aggiornamento, che pure prende atto di un cambiamento radicale, di un'inversione della situazione, a nostro avviso si colloca su una posizione ancora non totalmente convincente.
All'interno della nota vi è poi una serie di aspetti che ci preoccupano - li ho richiamati ieri in Commissione e li citerò soltanto, perché non credo di avere tempo per svilupparli - per quel che riguarda l'andamento della finanza pubblica. La nota di aggiornamento registra un aumento del fabbisogno. Il documento di programmazione economico-finanziaria nel 2003 prevedeva 30 miliardi di euro, nella nota di aggiornamento vengono previsti 36 miliardi di euro: sta ripartendo la forbice tra indebitamento e fabbisogno. Voi avete basato tutta la famosa polemica sul buco, quando l'avete lanciata, nel 2001, su questa forbice, sostenendo che l'aumento del fabbisogno era inevitabilmente destinato a trasformarsi in aumento dell'indebitamento.
Attenzione, perché siamo di nuovo in una situazione di questo tipo e, sotto questo aspetto, i dati della nota di aggiornamento non sono per niente tranquillizzanti.
L'altro elemento - il collega Michele Ventura ha giustamente ricordato l'articolo apparso ieri su Il Sole 24 Ore - è
quello del «giallo» del debito. Infatti, ne parlava Il Sole 24 Ore ieri, e non voglio approfondire gli aspetti tecnici, ma invito a leggere sui documenti predisposti dal servizio bilancio l'analisi di questo problema. Non entro nei dettagli ma, sostanzialmente, non è chiaro il «giallo» del debito, perché non è chiaro come è possibile che si realizzi la riduzione del debito pubblico indicata nella nota di aggiornamento. Tutti gli elementi ci portano ad affermare che mancano all'appello almeno 20-22 miliardi di euro. Fateci capire, allora, dove sono andati a finire queste risorse, perché altrimenti dobbiamo dedurre che la riduzione del debito - che rappresenta uno degli indicatori delle difficoltà della nostra finanza pubblica - è individuata in modo artefatto, per sottolineare artificialmente aspetti positivi!
Allora, signor Presidente e signor rappresentante del Governo, qual è la sensazione che abbiamo di fronte a questa nota di aggiornamento? È la sensazione di un po' di improvvisazione, di un «vivere alla giornata», di un Governo che, dal punto di vista della politica economica, sta sbagliando tutto. Un imprenditore torinese piuttosto noto ha detto che questo è un Governo che cambia le carte in tavola. Dal punto di vista degli imprenditori, mi sembra vi sia qualche ragione per sostenere tale tesi: infatti, è stato tolto e poi di nuovo promesso il credito di imposta; è stato varato un decreto fiscale che ha invertito una tendenza al rafforzamento della capitalizzazione delle imprese; nella finanziaria che ci apprestiamo a discutere i contributi a fondo perduto vengono trasformati in credito agevolato, mettendo in discussione numerose prospettive di investimento, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia. È un Governo, dunque, che cambia le carte in tavola rispetto alle strategie che aveva indicato.
Ma è anche - mi riferisco ad uno degli elementi del dibattito svoltosi queste settimane - un Governo che, per quanto riguarda la politica economica (oltre che per altre politiche), riesce a trovare la sua sintesi soltanto nel potere del Presidente del Consiglio. Vi ricordate? Abbiamo assistito tutti al «balletto» del fondo unico dello sviluppo! Intorno a questo tema, si è consumato uno scontro durissimo all'interno della maggioranza, che si è risolto soltanto affidando il coordinamento delle politiche di investimento al Presidente del Consiglio. Il Presidente del Consiglio fa già il ministro degli esteri, adesso farà anche il ministro dell'economia, poi ha detto che per un paio d'ore la settimana fa il ministro delle infrastrutture: allora, sono proprio curioso di vedere come questa faccenda andrà a finire!
Si tratta di un Governo che, oltre a cambiare le carte in tavola ed a trovare la sua sintesi per quanto riguarda la politica economica soltanto nel Presidente del Consiglio, non mantiene gli impegni. Che ne è del contratto con gli italiani? Ma che ne sarà, tra un po', del patto per l'Italia? Un importante quotidiano economico, di certo non vicino all'opposizione, affermava ieri che il patto per l'Italia è tradito per quanto riguarda gli impegni per il Mezzogiorno. Ciò è vero, perché vi sono minori risorse per l'incentivazione degli investimenti, perché non vi sono le risorse aggiuntive che sono state promesse sul fondo per le aree depresse, confinate nell'ultimo anno di operatività del documento di programmazione economico-finanziaria e perché non si risolve il problema dell'impatto, garantendo la cumulabilità tra incentivi agli investimenti e credito di imposta che era alla base dei ragionamenti contenuti nel patto per l'Italia con riferimento alla «spallata» per lo sviluppo del Mezzogiorno.
Quindi, il patto per l'Italia è tradito per quanto concerne il Mezzogiorno, il Governo non mantiene gli impegni e racconta un po' di bugie. Circola la battuta che le finanziarie sono sempre definite: «la finanziaria che dà e non toglie»; «la finanziaria dello sviluppo» e via dicendo. Adesso, questa è stata la finanziaria che da un lato opera la più grande riduzione del carico fiscale - cosa che, ricordando i dati, abbiamo dimostrato essere palesemente non vera -, e dall'altro non mette le mani nelle tasche dei cittadini.
Orbene, ci sono molti modi per mettere le mani nelle tasche dei cittadini: quello trasparente del «contratto» fiscale, del pagamento delle tasse, e quello surrettizio, che consiste nello scaricare sull'aumento della spesa sociale e sulle spese degli enti locali le operazioni di cosmesi della finanza dello Stato centrale. Quest'ultimo, appunto, è il modo scelto dal disegno di legge finanziaria che esamineremo nei prossimi giorni, come testimoniano le proteste ed i problemi che sta sollevando tutto il sistema delle autonomie locali, di fronte alla necessità - se si vorrà mantenere l'impostazione del provvedimento presentato - di «tagliare» in modo significativo i servizi per far quadrare i bilanci. Constatiamo, insomma, una situazione di grave crisi della politica economica di questo paese.
Certo, ha ragione il collega Casero quando afferma che è importante capire anche quali sono le proposte alternative.
Ma avremo modo di riprendere questi temi di discussione in occasione dell'esame del disegno di legge finanziaria. Ad ogni modo, il paese si sta accorgendo dell'inganno.
Nel concludere il mio intervento, vi invito a leggere i commenti apparsi nei quotidiani di ieri e dell'altro ieri: Massimo Gaggi sul Corriere della sera, Mario Deaglio su La Stampa, Guido Gentili su Il Sole 24 Ore, Tommaso Di Tanno su Il Messaggero, Gianfranco Viesti su La Gazzetta del Mezzogiorno e Tito Boeri su La Stampa, tutti autorevoli commentatori, danno un giudizio radicalmente negativo sulla politica economica del Governo. Siamo in buona compagnia, allora, nel confermare il nostro giudizio negativo esprimendo un voto contrario sulla risoluzione presentata dalla maggioranza.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Peretti. Ne ha facoltà.
ETTORE PERETTI. Signor Presidente, signor viceministro dell'economia, onorevoli colleghi, siamo chiamati ad approvare la risoluzione della maggioranza, relativa ad una nota di aggiornamento al documento di programmazione economico-finanziaria che, rivedendo al ribasso la crescita del prodotto interno lordo, prevede un dato, quasi consolidato, dello 0,6 per cento per quanto riguarda il 2002 ed un target per il 2003 al 2,3 per cento. Ovviamente, la revisione delle previsioni di crescita trascina, inevitabilmente, quella relativa all'indebitamento netto della pubblica amministrazione, previsto, per il 2002, a -2,1 e, per il 2003, a -1,5 per cento.
Naturalmente, sulla nota di aggiornamento e sulla risoluzione si è subito scatenata la polemica politica. Si è parlato di previsioni irrealistiche, di responsabilità e di ritardo per non aver corretto in tempo le previsioni e, di conseguenza, i conti. Certo, è innegabile che lo 0,6 per cento per il 2002 non è quello che speravano la maggioranza ed il Governo. È innegabile, tuttavia, che abbiamo proceduto, pur con ritardo, alla correzione dei conti. Debbo anche dire, però, che ci saranno altre correzioni in futuro e che il periodo di incertezza della politica economica non finirà, credo, in questa stagione.
D'altro canto, mi chiedo anche dove siano il dolo e l'irresponsabilità per queste correzioni fatte in ritardo, solo a fine anno. A tale riguardo, vorrei sottoporre ai colleghi due brevi considerazioni. La prima concerne la crescita del prodotto interno lordo. A parte il fatto - come sanno bene gli economisti - che le previsioni di crescita economica, soprattutto in tempi difficili come questi, sono fatte proprio per essere smentite, e chi è senza peccato, anche all'interno di quest'Assemblea, credo che possa scagliare la prima pietra, certo, la caduta del PIL è pesante, però dobbiamo riconoscere che nessuno avrebbe prefigurato una caduta delle entrate (soprattutto riferita al mese di luglio) di queste dimensioni. Certo, sarebbe anche interessante capire come mai alcune entrate calino mentre l'IVA, che è un indicatore della crescita e del respiro che può avere l'economia, sia invece in crescita. Però, credo che il problema sia diverso, cioè io mi chiedo - e tutti noi dobbiamo chiederci - se sia giusto rassegnarsi ad un target di politica economica vicino a quota
zero; infatti, è questo il punto vero: vogliamo rassegnarci ad avere una crescita dello 0,6 per cento o minore? Forse questo può rallegrare l'opposizione, noi invece non vogliamo rassegnarci, perché rassegnarsi ad un'idea che la crescita economica sia vicina allo zero significa mettere a repentaglio tutte le conquiste sociali che ci sono state fino a questo momento, significa mettere a repentaglio il livello di welfare, significa cambiare sostanzialmente i connotati della nostra società, significa mettere a rischio la coesione sociale.
La seconda considerazione è la seguente: siamo stati accusati d'irresponsabilità perché ci dicono che stiamo correggendo i conti in ritardo rispetto alle esigenze di bilancio. Anche in questo caso credo che questa sia una considerazione che fa piacere a chi predica la politica del tanto peggio tanto meglio, però dobbiamo anche essere realisti e oggettivi nel considerare la dinamica e la composizione della nostra spesa pubblica. Noi abbiamo un bilancio della pubblica amministrazione, non solo dello Stato ma anche delle pubbliche amministrazioni periferiche, molto rigido. Sappiamo quanto sia elevata la quota di stipendi, pensioni, interessi, e quindi sappiamo anche come correggere i conti in un bilancio rigido, come quello che caratterizza il nostro ordinamento finanziario, non solo sia politicamente difficile (non è semplice neanche dal punto di vista della compatibilità tra il centro e la periferia) - e anche questo può far piacere all'opposizione - ma anche socialmente ed economicamente molto azzardato. Quindi, credo che sia irresponsabile pensare che la correzione dei conti possa avvenire in qualsiasi situazione. Infatti, correggere i conti, lo sappiamo bene, significa correre il rischio di strozzare la crescita economica, significa, molto probabilmente, mettere a repentaglio la coesione sociale.
L'opposizione ha preannunciato una contromanovra, una controfinanziaria; noi l'aspettiamo con grande curiosità. Speriamo che sia una vera proposta di politica economica e finanziaria, e quando parliamo di una vera proposta di politica economica e finanziaria intendiamo parlare di una proposta che sia finanziariamente sostenibile, altrimenti non ha alcuna credibilità e non si presta a nessun tipo di confronto. Vorrei chiudere con un'ultima considerazione.
Vorrei fare riferimento ad un precedente illustre che riguarda la nota di aggiornamento del DPEF. Mi riferisco al primo DPEF presentato dal Governo Prodi nel 1996: il DPEF di giugno non prevedeva la partecipazione dell'Italia alla moneta unica poi, durante l'estate, deve essere successo qualcosa e, ad ottobre, il Presidente del Consiglio propose una correzione prevedendo la partecipazione dell'Italia alla moneta unica fin dal suo nascere e, dunque, tutta una serie di operazioni finanziarie ed economiche conseguenti. Vorrei sottolineare che, in quel caso, in quella nota di aggiornamento del DPEF c'era una correzione a centottanta gradi della politica economica mentre, nella nota di aggiornamento del DPEF di cui ci apprestiamo ad approvare la risoluzione, le linee di politica economica del nostro Governo, che fanno riferimento al nostro programma elettorale, sono completamente confermate. Tali linee di politica economica prevedono una riduzione del carico fiscale, un'attenta valutazione del quadro di equità sociale degli interventi proposti e, pur nell'ambito di una situazione economica difficile, prevedono spazi di libertà per la politica economica orientata allo sviluppo.
È per queste ragioni e con questi sentimenti che ci apprestiamo a votare favorevolmente la risoluzione, che abbiamo contribuito a costruire, e ad affrontare il dibattito sulla legge finanziaria [Applausi dei deputati del gruppo UDC (CCD-CDU)].
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Canelli. Ne ha facoltà.
VINCENZO CANELLI. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, stiamo discutendo della nota di aggiornamento al DPEF relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2003-2006. Durante il dibattito in Commissione, più
volte, l'opposizione ha accusato il Governo di eccessivo ottimismo. La nota di aggiornamento, invece, a mio avviso è la prova del realismo del Governo. Forti incertezze del quadro economico internazionale hanno spinto, sia il Fondo monetario, sia l'OCSE, sia la Commissione europea a ridimensionare, significativamente, le proprie stime. Il Governo, con questa nota di aggiornamento prende atto del particolare quadro macroeconomico. La crescita prevista nel documento di programmazione economico-finanziaria per l'anno 2002 è stata ridotta allo 0,6 per cento e questo non deve scandalizzare: il clima generale a livello internazionale è pessimo e le aspettative dei consumatori sono ai minimi storici. Fischer era solito dire che quando le aspettative sono negative il cavallo non beve, vale a dire: possiamo abbassare i tassi, possiamo fare tutte quelle manovre che la politica economica ci insegna ma, se le aspettative non sono buone, gli investitori non investono. La situazione è ulteriormente aggravata dalla crisi dei mercati azionari e internazionali. Vorrei ricordare che, in un solo giorno, le borse europee hanno bruciato circa 220 miliardi di euro, una cifra enorme che non può non influire sulle aspettative e sugli investimenti. Il quadro internazionale è pessimo, le aspettative sono negative e quindi non c'è da stupirsi se il Governo, in modo corretto, ha rivisto, al ribasso, la percentuale di crescita.
Per quanto riguarda il deficit, l'incremento del 2,1 viene visto negativamente dall'opposizione mentre io ritengo che, in periodi di difficoltà, l'aumento del deficit pubblico, man mano che l'economia frena, è una buona notizia perché evita il peggio. Per quanto riguarda il debito pubblico, il suo aumento e la difficoltà a farlo rientrare non devono scandalizzare, con riferimento al quadro economico internazionale. Ciò che, invece, mi preoccupa è l'insensibilità e la mancanza di disponibilità anche da parte dell'opposizione a discutere una seria riforma dell'organizzazione sociale ed economica della nostra Italia, discussione tipica delle grandi democrazie.
Quello che spaventa è che, se non continuiamo sul terreno delle riforme, non riusciremo a modificare il nostro bilancio, bilancio che è cristallizzato, che ha una percentuale della spesa corrente rispetto alle entrate pari all'84 per cento, che ha un totale delle spese, compresi gli interessi, che è vicino al 100 per cento delle entrate stesse. Quindi, rivolgo un invito al Governo a continuare nella politica delle riforme perché, come diceva Monti, sarebbe grave non riuscire a ridurre significativamente il debito, sarebbe grave non riuscire a varare le riforme, perché lasceremmo alle future generazioni un debito rilevante senza avere un adeguato capitale pubblico in contropartita.
Vi ringrazio, ed è per questa ragione che i deputati del gruppo di Alleanza nazionale esprimono il loro parere favorevole alla nota di aggiornamento al documento di programmazione economico-finanziaria presentato dal Governo (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
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