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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della relazione del presidente della Giunta delle elezioni sulla questione concernente i seggi non attribuiti.
Ricordo che, secondo quanto stabilito dalla Conferenza dei presidenti di gruppo nella riunione del 27 giugno scorso, dopo l'intervento del presidente della Giunta, potranno prendere la parola i rappresentanti dei gruppi per 15 minuti (un tempo aggiuntivo è previsto per il gruppo misto).
Onorevoli colleghi, avverto che alla decisione di procedere a questo dibattito la Conferenza dei presidenti di gruppo è pervenuta, su proposta del Presidente della Camera, in relazione alla assoluta novità che la questione ha assunto ed alla constatata impossibilità per la Giunta delle elezioni di individuare un criterio di soluzione.
Come ho già rilevato in occasione delle riunioni della Conferenza dei presidenti di gruppo del 27 giugno e del 9 luglio scorsi, è necessario che, nella seduta di oggi, la Camera assuma responsabilmente una posizione definitiva in ordine alla questione del completamento del plenum, al fine di evitare il protrarsi di una situazione di incertezza che - tengo a sottolineare ancora una volta con forza - comunque non altera la legittimità dell'organo parlamentare.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
Ha facoltà di intervenire il presidente della Giunta delle elezioni, onorevole Soro.
ANTONELLO SORO, Presidente della Giunta delle elezioni. Signor Presidente, sulla base dell'indicazione da lei appena richiamata, ho predisposto una relazione scritta, che vuole essere una ricognizione puntuale della questione e del dibattito che si è sviluppato in seno alla Giunta delle elezioni.
Richiamerò i punti essenziali di quella relazione, premettendo che le mie opinioni non esprimono - come è noto - una posizione maggioritaria nella Giunta delle elezioni e che siamo di fronte ad una situazione complessa sul piano giuridico e su quello politico. Infatti, non abbiamo
precedenti cui rifarci e le nostre decisioni costituiranno esse stesse precedenti; inoltre, sappiamo che queste nostre decisioni, per una precisa previsione della Costituzione, sono sottratte a qualunque sindacato esterno. Questa prerogativa costituisce, al contempo, un motivo di forte autonomia, ma anche di grande responsabilità per tutti noi.
La questione dei seggi non attribuiti si è posta all'inizio di questa legislatura perché, per effetto di elezioni plurime di alcuni deputati nella lista di Forza Italia, non è stato possibile individuare i subentranti, non disponendo la lista di candidati né nella lista proporzionale né nella graduatoria di candidati non eletti nell'uninominale e ad essi collegati.
Nel complesso, sono risultati vacanti 11 seggi. Si è venuta così a determinare una composizione della Camera inferiore al plenum di 630 deputati stabilito dalla Costituzione. Ai predetti 11 seggi se ne è aggiunto un altro a seguito del decesso dell'onorevole Colletti, anch'egli eletto nel proporzionale per la lista di Forza Italia.
Allo stato, quindi, i seggi complessivamente non attribuiti sono dodici.
Richiamo brevemente la norma: il sistema elettorale relativo alla Camera dei deputati, introdotto nel 1993, come è noto, è un sistema misto, con un'impostazione fortemente maggioritaria. La ratio della parte proporzionale del sistema è, sostanzialmente, quella di attenuare l'impatto della parte maggioritaria; al tempo stesso, le due parti del sistema sono interdipendenti, in quanto i candidati nei collegi uninominali sono obbligati a collegarsi ad una lista; il meccanismo dello scorporo comporta un costo alle liste per l'appoggio dato ai candidati cui si collegano formalmente, costituito dai voti che ad esse vengono sottratte ai fini dei calcoli proporzionali, in caso di vittoria dei candidati stessi nei collegi uninominali.
L'obiettivo di questo congegno è, appunto, l'attenuazione del carattere maggioritario della legge: lo schieramento che vince le elezioni perde seggi nella quota proporzionale in favore dello schieramento che perde le elezioni. I candidati, anche se non vincitori nei collegi uninominali, entrano automaticamente a far parte di una graduatoria, cui si fa ricorso in caso di esaurimento delle liste circoscrizionali dei candidati per l'assegnazione dei seggi proporzionali. La connessione tra uninominale e proporzionale nel sistema delineato dalla legge del 1993 è possibile, quindi, soltanto in ragione del collegamento del candidato uninominale ad una lista proporzionale; in mancanza del collegamento, il candidato evita alla lista l'applicazione dello scorporo, quindi, ne aumenta la cifra elettorale, con la conseguenza che, eliminando la connessione tra uninominale e proporzionale, il candidato stesso si preclude la possibilità di essere inserito nella graduatoria dei candidati collegati a quella lista.
Il caso dell'insufficienza di candidature di una lista in tutte le circoscrizioni non è specificamente disciplinato dalla legge elettorale della Camera, bensì dal regolamento di attuazione di tale legge, adottato con decreto del Presidente della Repubblica n. 14 del 1994, il quale, all'articolo 11, prevede che, in tale circostanza, i seggi ancora da attribuire siano assegnati alle liste ammesse al riparto proporzionale dei seggi, ossia a quelle che hanno ottenuto almeno il 4 per cento dei voti. Tale articolo è stato applicato dall'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di Cassazione allorché si è trovato nella necessità di completare il ciclo delle proclamazioni in vista della prima seduta della Camera dei deputati.
Alle elezioni del 13 maggio 2001 solo cinque liste sono state ammesse al riparto proporzionale dei seggi, avendo superato lo scoglio di sbarramento del 4 per cento; quasi 8 milioni e mezzo di voti validi non sono stati utilizzati per il riparto dei seggi, non avendo le altre liste superato questa soglia. Dei voti validi delle cinque liste (Forza Italia, Democratici di sinistra, Margherita, Alleanza nazionale e Rifondazione comunista), meno dell'8 per cento è stato scorporato e sottratto alle liste suddette; nel 1996 i voti scorporati superavano il 38 per cento. Questo dato evidenzia come nel
2001 sia stato largamente usato e - possiamo dire - abusato il sistema delle liste civetta.
Possiamo ragionevolmente concludere che il fenomeno dei seggi vacanti si è verificato per tre ragioni: per un indubbio notevole successo elettorale di Forza Italia; per la generalizzata elusione dello scorporo da parte delle liste di Forza Italia; per una - diciamo - incauta predisposizione delle stesse liste.
Abbiamo affrontato la questione nella Giunta delle elezioni fin dalla sua prima seduta in questa legislatura. Si sono da subito confrontate due tesi opposte.
Da parte della maggioranza della Giunta si è sostenuto che l'articolo 11 del regolamento sarebbe incostituzionale, per contrasto con i principi della sovranità popolare, nonché illegittimo, in quanto una norma concernente la trasformazione di voti in seggi non può avere rango legislativo. Tale tesi, partendo dalla constatazione che l'applicazione dell'articolo 11 comporterebbe l'elezione di rappresentanti di partiti diversi da Forza Italia, con i voti a questa attribuiti dagli elettori, ha sostenuto, innanzitutto, che dal punto di vista formale la richiamata disposizione violerebbe il principio della riserva di legge di cui all'articolo 48 della Costituzione, principio che impone di fissare per legge tutti i criteri per la distribuzione dei seggi.
Dal punto di vista sostanziale, la disposizione violerebbe il principio costituzionale del pieno rispetto della volontà dell'elettore (articoli 1, 3 e 48 della Costituzione) e si rivelerebbe in contrasto con gli articoli 3 e 48 della Costituzione stessa sotto il profilo della violazione del principio che il voto deve essere libero ed eguale.
A questa tesi si è opposta e si oppone un'altra - nella quale, personalmente, mi riconosco - che sostiene non si possa disattendere quanto previsto dal regolamento vigente al momento delle elezioni del 2001. Nel caso dell'attribuzione dei 155 seggi relativi alla parte proporzionale, la legge elettorale stabilisce regole molto precise, tali da correggere, anche profondamente, il rapporto di traduzione meccanica dei voti in seggi. L'articolo 11 non viola il principio della sovranità popolare e della democraticità del voto. Signor Presidente, nella nostra democrazia i modi e le circostanze con cui, in generale, i principi operano sono definiti nelle regole e queste fissano i limiti che la volontà politica delle maggioranze non possono superare, se non creando nuove regole: io credo questo sia il fondamento della legalità. D'altro canto, nessun sistema elettorale, neppure quello totalmente proporzionale, trasforma in modo meccanico i voti in seggi.
Nel nostro sistema ci sono due principali fattori di correzione. In primo luogo, la soglia del 4 per cento dei voti validi. Basterà ricordare che 8 milioni e mezzo di elettori non hanno rappresentanza perché le rispettive liste non hanno superato la soglia del 4 per cento. In secondo luogo, lo scorporo dei voti necessari a far vincere nei collegi uninominali i candidati collegati. Per una immediata valutazione dei costi dello scorporo, di come lo scorporo possa correggere la trasformazione meccanica dei voti in seggi, si possono mettere a confronto i risultati delle liste di Forza Italia nelle precedenti tornate elettorali. Nel 1994 Forza Italia conseguì oltre 8 milioni di voti, vinse le elezioni e pagò un tributo allo scorporo di 3.700.000 voti, non utilizzati, appunto, per l'attribuzione dei seggi: ebbe 30 seggi. Nel 1996 Forza Italia conseguì 400 mila voti in meno, perse le elezioni, ma pagò un tributo minore allo scorporo (solo 2.600.000 voti non utilizzati) e ottenne 37 seggi, ossia 7 in più rispetto al 1994. Nel 2001 Forza Italia ottenne quasi 11 milioni di voti, sostanzialmente non pagò tributo allo scorporo (appena 300 mila voti), vinse le elezioni e ottenne 62 seggi.
Anche le altre liste nel 2001 aggirano lo scorporo, ma in misura assai più contenuta. Infatti, il costo-scorporo per i Democratici di sinistra e la Margherita è di circa un milione e mezzo di voti e, pur avendo perso le elezioni, non hanno la prevedibile compensazione nel proporzionale
e ottengono insieme 57 seggi, pur avendo, insieme, più voti di Forza Italia (600 mila voti in più).
Infine, a mio parere, esiste un fattore banalmente decisivo. Per ottenere seggi, le liste devono proporre candidati in numero congruo: in assenza, interviene la norma contestata del regolamento elettorale. Più volte ho avuto modo di ricordare che il principio contenuto nell'articolo 11 è già rinvenibile, nel nostro ordinamento, in altre leggi elettorali vigenti: in particolare, nella legge elettorale del Senato, in quella per i consigli provinciali e per i consigli comunali. Inoltre, proprio la formulazione letterale dell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 14 è identica a quella contenuta nella legge elettorale per la Camera deputati nel lontano 1919.
Quanto al profilo della pretesa illegittimità dell'articolo 11, in quanto interviene con disposizioni di carattere regolamentare su materia riservata alla legge, si deve riconoscere che il rilievo non è privo di fondamento, ancorché esista, secondo molte autorevoli fonti, un incontestabile nesso di delega tra la legge elettorale del 1993 ed il regolamento di attuazione del gennaio 1994. Tuttavia, qualora si accogliesse questa tesi, ne conseguirebbe l'assenza di una norma su cui poggiare l'attribuzione dei seggi vacanti, né si può altronde pensare che la Giunta delle elezioni e la stessa Assemblea possano creare a posteriori norme dirette a disciplinare elezioni già svolte.
Dunque, una asserita lacuna dell'ordinamento andrebbe colmata ricercando una norma che, in via analogica, fosse idonea a risolvere il problema dell'assegnazione dei seggi. In tal caso, bisognerebbe richiamare lo stesso principio di chiusura recato dall'articolo 11 citato; principio che, come si è detto, è già presente nell'ordinamento elettorale: non è solo presente, ma è l'unico presente.
Quindi, quelle richiamate sono due opposte tesi che appaiono inconciliabili in merito alla soluzione della questione che abbiamo esaminato. Sono apparse inconciliabili per un anno, sono apparse inconciliabili ancora in questi giorni - nei quali la Giunta delle elezioni ha lavorato informalmente - e questa mattina, nell'ultima riunione, svolta alla vigilia di questo dibattito. Io personalmente ho invocato, proprio per la considerazione della inconciliabilità delle tesi, il rispetto e l'applicazione delle norme vigenti, conformemente a quanto già fatto dall'Ufficio elettorale centrale nazionale. In questo quadro, pur avendo proposto un'interpretazione estensiva del regolamento della Camera dei deputati - per effetto del quale sarebbe possibile un'opzione differente da quella scontata per i candidati eletti nel maggioritario e in più circoscrizioni per il proporzionale diverse da quelle nelle quali insiste il collegio del maggioritario -, pur avendo ipotizzato che, in questo caso - nell'eventualità di opzione per il proporzionale -, sarebbe possibile procedere alle suppletive nei quattro collegi eventualmente lasciati liberi e avendo registrato che anche questa tesi non era accoglibile, ho proposto alla Giunta delle elezioni di votare un elenco di nomi coerenti con l'applicazione integrale dell'articolo 11 richiamato.
Nella seduta del 28 novembre 2001, a conclusione del dibattito in Giunta delle elezioni, ho proposto al voto questo elenco e la Giunta delle elezioni lo ha respinto.
Nell'intervento svolto il 28 novembre 2001, il deputato Gazzara ha illustrato, a nome della maggioranza, un'ipotesi di soluzione della questione dei seggi non attribuiti. Prendendo le mosse dal principio del rispetto della volontà dell'elettore, che impedisce l'applicazione dell'articolo 11, è stato richiamato il concetto di coalizione, già presente alle elezioni politiche del 1994 e del 1996 e, ancora più, in quelle del 2001, si è sostenuto che tale concetto, fondato sull'unicità del contrassegno dei candidati nei collegi uninominali e sull'identità di indicazione del Presidente del Consiglio dei ministri, fa ormai parte della coscienza politica degli elettori e ha avuto un ruolo significativo sia nell'impostazione sia nello svolgimento sia nell'esito della campagna elettorale. In conformità al voto
espresso dagli elettori e, quindi, in applicazione dei richiamati principi costituzionali, a parere dell'onorevole Gazzara e di quanti in Giunta delle elezioni da lui rappresentati, è stata prospettata l'attribuzione di seggi a candidati raggruppati sotto il simbolo «Casa delle libertà». In sostanza, i seggi verrebbero attribuiti ai candidati nei collegi uninominali presentatisi con il simbolo «Casa delle libertà» e non proclamati eletti, inseriti in apposite graduatorie.
A queste tesi si oppongono le considerazioni che richiamo molto in sintesi. Non esiste nella legge elettorale la nozione di «coalizione», fondata sulla unicità del contrassegno dei candidati uninominali e sulla pretesa interpretazione della volontà degli elettori.
Quanto alla presunta identità tra elettori di Forza Italia nella quota proporzionale e «Casa delle libertà» nel maggioritario, osservo che la distanza fra le due coalizioni nel proporzionale è pari a circa 5 milioni di voti e nel maggioritario a soli 600 mila. È facilmente intuibile che alcuni milioni di elettori hanno votato in modo differente alle elezioni politiche del 2001 nella lista per il maggioritario e nella scheda per il proporzionale. Da un lato, non si può evitare il costo dello scorporo utilizzando la tecnica, pur formalmente legittima, della «lista civetta» e, dall'altro, invocare per l'assegnazione dei seggi un criterio di collegamento non previsto dalla legge, posto che appare contro la legge l'ipotesi di proclamare candidati formalmente collegati con liste che non hanno raggiunto la soglia di sbarramento del 4 per cento dei voti validi. Le dichiarazioni di collegamento dovevano essere effettuate prima delle elezioni e sono state rese note attraverso i manifesti affissi nelle sezioni elettorali, sicché ogni elettore ha potuto prenderne conoscenza prima di esprimere il proprio voto. Contrasterebbe con un corretto principio di responsabilità sostenere a posteriori che la dichiarazione di collegamento debba essere intesa in modo diverso rispetto a quella formalmente effettuata.
Al di là di questa specifica circostanza, si introdurrebbe un pericoloso precedente che non è difficile valutare. Se, al fine dell'attribuzione dei seggi di quota proporzionale, si desse rilievo alla presenza dei simboli nei collegi uninominali, si configurerebbe automaticamente il collegamento evitato con la lista civetta e andrebbe, di conseguenza, calcolato lo scorporo dei voti di tutti gli eletti nei collegi uninominali sul totale dei voti validi di Forza Italia e di Alleanza nazionale. Do, comunque, atto, signor Presidente, alla maggioranza di non aver mai insistito affinché l'ipotesi di soluzione prospettata fosse sottoposta al voto della Giunta.
Sono state prospettate ancora altre ipotesi di soluzione. In particolare, l'onorevole Massimo Ostillio ha prospettato una combinazione delle due ipotesi principali: parziale applicazione dell'articolo 11 e parziale utilizzo del criterio dei migliori perdenti della Casa delle libertà, esponendosi, però, ai rilievi sollevati con riferimento a ciascuna delle predette ipotesi.
È stata, infine, prospettata l'ipotesi di non procedere all'assegnazione dei seggi. Nel presupposto della legittimità di una composizione della Camera inferiore al plenum, la decisione di non assegnare i seggi potrebbe discendere dalla considerazione delle divergenti interpretazioni della legge elettorale della Camera e del relativo regolamento di attuazione e dalla impossibilità di individuare una norma che, avendo efficacia retroattiva, potrebbe prestarsi ad obiezioni di ordine costituzionale.
Al riguardo, si può osservare che l'ipotesi del necessario completamento della composizione della Camera presuppone che questa costituisca un collegio perfetto. La qualifica di collegio perfetto, nella giurisprudenza e nella dottrina, è, tuttavia, riferibile agli organi collegiali di natura amministrativa, chiamati, per lo più, a compiere valutazioni di carattere tecnico, sulla base della convergenza di competenze di diversa origine dei propri membri. È, infatti, proprio di questi collegi non
poter dare luogo validamente alla propria costituzione e alle deliberazioni se non con il plenum dei loro componenti.
Tale necessità non sembrerebbe, invece, palesemente riferibile ad un organo politico a carattere rappresentativo. La stessa legge elettorale contempla espressamente ipotesi nelle quali la Camera opera in mancanza del suo plenum. Infatti, qualora, per qualsiasi causa, anche sopravvenuta, resti vacante il seggio attribuito al collegio uninominale, si procede all'elezione suppletiva, purché intercorra almeno un anno fra la data di vacanza e la scadenza normale della legislatura. In questa ipotesi prevista dalla legge, la composizione della Camera può, nell'ultimo anno della legislatura, essere inferiore al suo plenum (si tratta di un'eventualità che si è concretamente verificata nell'ultima legislatura).
Segnalo che, nel corso della IV legislatura, si sono verificati al Senato due casi di seggi vacanti per i quali non si è potuto procedere alla sostituzione, in base alla legislazione vigente, per mancanza di candidati. Del resto, ipotizzare che la Camera possa operare soltanto con un plenum di 630 componenti, come richiamato anche questa sera dal Presidente della Camera, significherebbe ammettere che qualunque causa, anche accidentale od occasionale, possa impedirne il legittimo funzionamento. Né, in senso contrario, potrebbe valere il richiamo alla giurisprudenza costituzionale in materia di referendum abrogativo sulle leggi elettorali, dalla quale può desumersi soltanto il principio della necessità che la normativa elettorale sia idonea ad assicurare la rinnovazione dell'organo, non avendo la Corte costituzionale affermato esplicitamente che da questo si possa far discendere il principio dell'effettivo conseguimento del plenum.
A conclusione dell'intervento, signor Presidente, penso sia indispensabile, sulla base di questa esperienza, definire un complesso di nuove norme capaci di evitare in futuro una simile situazione.
Prima di tutto, occorre approvare una legge che renda impraticabile la formazione di liste civetta. Questo obiettivo potrebbe essere conseguito o sopprimendo lo scorporo, e, quindi, accentuando il carattere maggioritario dell'attuale legge, o introducendo lo scorporo di coalizione e, quindi, conservando sostanzialmente l'attuale equilibrio di sistema.
Sono state presentate proposte di legge che vanno in entrambe le direzioni e credo sia auspicabile un pronto esame delle stesse da parte di questo ramo del Parlamento.
Per quanto riguarda, più specificamente, la definizione di una disposizione di legge a carattere transitorio, volta a far fronte alle eventuali ulteriori vacanze di seggi relative alle liste con insufficienza di candidature in corso di legislatura, ho formulato un'ipotesi che ho comunicato informalmente alla Giunta delle elezioni e che comunque, riassumendo, prevede: la possibilità per i deputati in carica di dichiarare al Presidente della Camera a quale coalizione appartengano e, di conseguenza, far discendere l'individuazione della coalizione politica e l'attribuzione degli eventuali seggi vacanti a liste per le quali non possa applicarsi l'ordinario regolamento e per le quali quindi si preveda l'assegnazione dei seggi alle coalizioni nel maggioritario.
Auspico che la ricognizione contenuta nella relazione scritta, nonché gli elementi richiamati da questo mio intervento, possano consentire un'opportuna valutazione in vista della determinazione che l'Assemblea riterrà di assumere. Ciò che occorre respingere rispetto alla questione dei seggi non attribuiti, come ho avuto modo più volte di affermare nel corso del dibattito in Giunta, è un atteggiamento di omissione e di rinuncia che, producendo un effetto di vacanza, non ne assuma la responsabilità.
Personalmente sono convinto che il Parlamento abbia il dovere di una decisione per rispetto del cittadino arbitro della nostra funzione e per rispetto di tanti candidati che, pochi a ragione e molti a torto, ritengono di avere diritto alla proclamazione.
È evidente che una mancata decisione produce come effetto la mancata attribuzione dei seggi. Se questo deve accadere, è
preferibile un'assunzione esplicita di responsabilità piuttosto che un silenzio irresponsabile.
Spero di aver reso chiaramente i termini della questione e confido che i colleghi, ma anche i cittadini che ci seguono attraverso Radio radicale (mi si consenta di richiamare una delle poche fonti di informazione che ha seguito puntualmente tale vicenda, nella sostanziale rimozione del problema da parte di tutti gli organi di informazione, con poche eccezioni), possano trarre, dal complesso di questo dibattito, l'idea che la nostra non sia stata una storia di banale negligenza.
Vi è stato, come è facilmente intuibile, un conflitto politico e di procedura che mette in discussione regole fondamentali della nostra democrazia rappresentativa. Un conflitto che ha sfiorato e sfiora il governo degli istituti di garanzia nell'attuale contesto politico e istituzionale.
Sono convinto che, sul terreno delle garanzie, occorre evitare posizioni di parte, sia che esse provengano dalla maggioranza sia che esse provengano dall'opposizione; un confine sottile separa il diritto-dovere delle maggioranze parlamentari di esprimere le proprie posizioni dal rischio di abuso che da parte di queste maggioranze può farsi in un sistema che è bipolare e maggioritario.
Dobbiamo, credo, perfezionare e rafforzare gli elementi di garanzia, affinché questo confine non venga superato.
Confido, signor Presidente, che insieme alla rapida approvazione delle proposte di legge di cui ho parlato e a quella modifica della norma costituzionale che rende insindacabili in queste materie le decisioni della Giunta delle elezioni e della Camera, possa verificarsi in questo ramo del Parlamento, e nel Parlamento in generale, un supplemento di riflessione e di equilibrio nelle decisioni politiche conclusive (Applausi).
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Soro, non soltanto per il contributo che evidentemente è all'esame dell'Assemblea e che sarà valutato dai colleghi come questi meglio riterranno opportuno, ma per la sensibilità e l'attenzione, che mai sono venute meno, con le quali ha sollevato, anche nel rapporto con il Presidente della Camera, il problema, adempiendo in modo scrupoloso al suo ruolo di presidente della Giunta delle elezioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Ostillio. Ne ha facoltà.
MASSIMO OSTILLIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Camera dei deputati è chiamata a discutere e a decidere su questo argomento, già molto dibattuto, in un clima che, nel suo complesso, non è certamente positivo per la politica.
In ordine alla questione dei seggi vacanti, siamo stati tirati per le orecchie da Pannella, altrimenti avremmo probabilmente dimenticato questo problema, pur importante, in una soffitta, magari polverosa. Siamo stati messi in un angolo da Pannella, incalzati e inchiodati alle nostre responsabilità.
Dico questo anche perché la fiducia dei cittadini non è un bene inesauribile per la politica, come dimostra la crescente disaffezione elettorale. Quando poi un dibattito di questo genere, di questa importanza, si cala in un contesto - basta leggere i titoli dei giornali - che è fatto di tanti altri aspetti ed argomenti (la riforma dell'immunità parlamentare, l'aumento del finanziamento pubblico ai partiti, la mancata elezione dei componenti del CSM, il ritardo nella scelta dei giudici costituzionali), credo, signor Presidente, colleghi, che il «rischio valanga» aumenti.
Infatti, come fa il cittadino a credere che riusciremo a risolvere i problemi del paese, se non siamo capaci di risolvere una questione che attiene persino al funzionamento del Parlamento? Di fronte ai tentativi fatti, il messaggio percepito dalla gente è che la soluzione non si trovi a causa degli interessi di parte, dei partiti, di tutto il sistema politico nel suo complesso: partiti che cercano di ottenere maggiori vantaggi, che si accaparrano o vogliono accaparrarsi le spoglie del potere che, nel caso di specie, è rappresentato dai seggi vacanti della Camera, come era ieri l'immunità
parlamentare o sarà domani il finanziamento pubblico ai partiti. In questo caso, per salvarsi l'anima, non basta dichiarare che non si sapeva della legge in itinere alla Camera.
Anche in questo caso, insomma, siamo esposti al giudizio dell'opinione pubblica - come sempre - ed io non sono preoccupato per questo, perché è un «rischio» connesso al nostro mestiere. Ma in questo caso l'attenzione è ancora più forte, perché riguarda le regole fondamentali sulle quali si basa il funzionamento dei poteri. Senza enfasi, oggi però dobbiamo avere la consapevolezza che non è in discussione solo la copertura di seggi vacanti, ma la validità dello stesso principio di legalità, con particolare riguardo a norme costituzionali. Infatti, stabilire un principio di flessibilità della norma che attiene alla completezza della Camera dei deputati - come pure si è sentito in questi giorni, anche sui giornali - significa aprire un varco pericoloso che un domani potrebbe riguardare anche altri organismi costituzionali.
Per queste ragioni, siamo stati indotti a cercare, senza spirito di parte, una composizione del problema che fosse largamente prevalente in quest'aula e che salvaguardasse in qualche modo le regole fondamentali della vita democratica del nostro paese. Credo che abbiamo questo dovere perché proprio noi che dettiamo le regole per i cittadini dobbiamo dare l'esempio, rispettando le norme che disciplinano la nostra attività. Insomma, dobbiamo ancora sforzarci di cercare quel minimo comune denominatore fatto di buonsenso e di rispetto della legalità, attento alla volontà popolare, ma senza toni barricaderi o lotte all'ultimo sangue, perché credo che questa sia la democrazia, che questo sia lo sforzo che dobbiamo compiere, che questo sia il confronto parlamentare.
Con questo spirito, con questa speranza, dopo aver registrato le posizioni emerse e la fase di stallo nella quale era la Giunta delle elezioni, ci siamo interrogati, come UDEUR, se vi fosse un punto comune tra due posizioni forse solo apparentemente distanti. Senza nessun volo di fantasia - ci tengo a precisarlo - e nel pieno rispetto delle norme e delle regole, abbiamo ritenuto che entrambe le soluzioni, pure estreme, offerte dai due schieramenti, fossero in qualche modo coniugabili, in quanto affrontano due aspetti diversi del problema complessivo dei seggi vacanti. È proprio la legge, peraltro - credo che un aspetto lo abbia anche ricordato il presidente Soro - che distingue le vacanze originarie da quelle sopravvenute e forse potrebbe non essere idoneo affrontarle con unico metro di giudizio, ma sarebbe meglio esaminarle separatamente, utilizzando le norme richiamate nelle ipotesi che sinora sono state avanzate.
Signor Presidente, colleghi, io non sono affezionato ad una soluzione specifica, per la quale pure abbiamo lavorato - il lodo UDEUR, come hanno riportato i giornali -, ma con lo spirito che vi ho appena descritto credo debba essere comune preoccupazione ripristinare i principi di legalità, salvaguardare il prestigio del Parlamento, sapendo che, se non risolto, questo problema può creare ben altre disaffezioni del corpo elettorale verso le istituzioni e forse ulteriori disfunzioni, se non rotture, costituzionali.
Che la questione dei seggi vacanti nasca da una furbata, da un errore - diciamo così - è evidente e semmai ci serve ad evidenziare tutti i limiti di una legge elettorale che forse va rivista in molti suoi aspetti. Lo dico rappresentando un partito piccolo ma portatore di valori ed ideali anche qui in Parlamento, valori ed ideali che il meccanismo delle liste civetta, invece, tende a disperdere, conscio che la rappresentatività in Parlamento è sale per la democrazia.
Sarebbe un precedente grave, pericoloso - voglio ribadirlo -, la decisione di congelare i seggi vacanti che legittimerebbe ben altre disapplicazioni della Costituzione ogni qual volta, prevalendo lo spirito di parte sulla responsabilità istituzionale, la politica non fosse capace di trovare una soluzione nell'interesse generale largamente condiviso.
Oggi, di fronte ad un eventuale mancato accordo sul plenum della Camera, non potremmo rimanere inerti o indifferenti. Certamente, non rimarrebbe indifferente il paese. Dobbiamo, insomma, avere la speranza che appartiene alla politica di poter arrivare ad una soluzione condivisa, di lavorare per risolvere subito il problema e, in questo senso, aumentare ulteriormente gli sforzi, eliminando piccole furbizie e qualche pigrizia.
In questa sede, non ho il tempo di illustrare nel dettaglio la proposta, né voglio abusare della pazienza dei colleghi e di chi ci ascolta. Credo che tornare in Giunta per arrivare, già stasera, ad una soluzione che sia ampiamente condivisa sia possibile e necessario.
Non vorrei, signor Presidente che il plenum dei 630 componenti la Camera, che pure ha un valore sancito dalla Costituzione, venga disatteso, mentre da qualche parte, in qualche piega della Camera o del Senato, altre norme sono votate con spirito di solidarietà nazionale e diventino legge dello Stato alla faccia di alcuni aspetti chiaramente e politicamente legittimi (Applausi dei deputati del gruppo Misto-UDEUR-Popolari per l'Europa, di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e del deputato Biondi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Craxi. Ne ha facoltà.
BOBO CRAXI. Signor Presidente, brevemente vorrei esprimere il mio compiacimento per il delicato lavoro svolto dalla Giunta delle elezioni, obbligata a sbrogliare una matassa molto complicata, delicata ed un'anomia che credo sia il frutto di una legge sbagliata.
Marco Pannella, digiunando, ci richiama ai principi di legalità ed il suo antico sodale Massimo Teodori gli ricorda che si potrà rispondere a questa mancanza di legalità con una illegalità e che, quindi, è lungi dal poter essere risolta in nuce la questione che la Giunta dovrà affrontare e lungi da me l'addentrarmi nel merito della questione, perché capisco che, da qualsiasi parte la si voglia tirare, la coperta è sempre molto corta. Questo, tuttavia, non può esimerci, signor Presidente, dall'esprimere dei rilievi e delle riflessioni di carattere politico sul carattere di questa legge maggioritaria che ha trascinato con sé, sin dall'inizio, delle vistose incongruenze che hanno finito appunto per produrre delle illegalità e l'incongruenza della lista civetta, una vera e propria truffa sia ai danni degli elettori sia ai danni degli stessi partiti coalizzati nei due poli. Per non parlare della vistosa difficoltà della composizione sin dall'inizio delle candidature in un polo e nell'altro, che ha sostituito, ad una democrazia di tipo diretto, una democrazia octroyée, ossia imposta dall'alto. Evidentemente chi parla è anch'esso il frutto di questa anomalia ma proprio perché siamo in Parlamento e perché è di fronte a noi questa vistosa anomalia prodotta da questa legge maggioritaria, non possiamo non cogliere l'occasione che ci è offerta, tanto dalla battaglia sulla legalità di Marco Pannella quanto da questo difficile ingorgo e bisticcio parlamentare elettorale, da non compiere delle riflessioni un po' più profonde, più inerenti al tema che ci è sottoposto a causa di queste anomalie: mi riferisco al tema della legge elettorale in un paese democratico come l'Italia nel 2002, che vistosamente non può rimanere una legge piena di errori, di vizi di forma che è inutile tentare di correggere mettendo una toppa al posto di un grande buco.
Questa è la riflessione che voglio fare oggi pomeriggio.
La Giunta potrà scegliere di distribuire i seggi, come appare giusto da un punto di vista politico, cercando di mantenere un equilibrio e, soprattutto, cercando di dare un'impronta democratica a ciò che viene fatto vistosamente al di fuori e al di là della legge; tuttavia, non può non rimanere, in questo dibattito parlamentare, ed anche fuori da quest'aula, la sensazione che si stia compiendo, anzi si sia già compiuto, nei confronti della democrazia di questo paese, un errore macroscopico, correggibile soltanto cambiando la legge elettorale, in un senso, vale a dire accentuandone il carattere maggioritario, o in
un altro - e quest'ultimo è quello che io auspico, perché lo prediligo - cioè riutilizzando, correggendolo, l'antico sistema a carattere proporzionale.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.
PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, oggi, nel momento in cui, qui a Montecitorio, affrontiamo questa discussione in aula, non possiamo non valorizzare e, in qualche modo, riconoscere l'importanza che, nelle ultime settimane, ha avuto l'iniziativa di Pannella, il quale, attraverso lo sciopero della fame, e poi della sete, ha posto con forza, all'opinione pubblica ed al Parlamento, la necessità di arrivare ad una soluzione rispettosa della legge e di consentire finalmente alla Camera di operare nel plenum previsto dalla Costituzione.
Noi Verdi questo riconoscimento lo vogliamo tributare perché, forse, nel corso di questi mesi, si è prodotta la sensazione, sbagliata, all'interno del Parlamento, che una questione così rilevante, anche se, apparentemente, di scarso interesse per l'opinione pubblica, potesse e dovesse essere risolta nel corso di un dibattito «chiuso», in Giunta delle elezioni od in Assemblea.
Credo vada anche dato atto al presidente della Giunta delle elezioni, onorevole Soro, di avere correttamente investito del problema, in questi 12 mesi di lavoro, la Giunta medesima e di avere conseguentemente cercato, con ragionevolezza, di proporre e di sostenere soluzioni condivise, con un aggancio forte, richiamato nella relazione introduttiva e da noi condiviso, alla normativa vigente in materia di assegnazione dei seggi.
Una prima questione da sollevare con chiarezza riguarda il fatto che questa situazione di mancato completamento del plenum dell'Assemblea di Montecitorio deriva da un uso distorto - truffaldino, oserei dire - della normativa elettorale, da un abuso, quindi, dei collegamenti di candidati del centrodestra, di Forza Italia in particolare, con le liste cosiddette civetta.
Che almeno questa vicenda ci induca, come Parlamento, a fare subito quella riforma della legge elettorale che, credo, tutti condividono! Bisogna rendere impossibile, per il futuro, il ricorso alle liste civetta, truffaldine sul piano del consenso elettorale; comunque, occorre assumere un impegno, come forze politiche presenti in Parlamento, al di là della modifica alla legge elettorale, a non fare più ricorso - questo, sì, accordo bipartisan dei due schieramenti - all'uso delle liste civetta.
Seconda riflessione: è del tutto evidente che all'abuso delle liste civetta non può far seguito un altro abuso nell'assegnazione dei seggi, che ancora non sono stati assegnati in violazione delle norme, in particolare del richiamato articolo 11, oggetto già di una discussione approfondita nella Giunta delle elezioni. È necessario, laddove l'articolo 11 non è sufficiente alla definizione di una proposta compiuta, ricorrere ai principi generali espressi dalle altre normative elettorali e costituzionali del nostro paese.
Credo non ci sia altra possibilità per la Giunta delle elezioni, titolare formale di questa decisione, per l'Assemblea, che dovrà dare le indicazioni alla Giunta delle elezioni con un dibattito politico trasparente su questa vicenda, che richiamarci tutti all'applicazione di questa norma e, nell'ambito dell'applicazione di questo articolo 11, individuare la soluzione per l'assegnazione dei seggi vacanti.
Credo che, di fronte alle altre proposte che sono state avanzate, ma mai formalizzate, l'opposizione, il centrosinistra, l'Ulivo, si sia assunto una responsabilità, io credo giustamente, perché non siamo tutti uguali nelle assunzioni di responsabilità politiche, sia rispetto al modo in cui ci comportiamo in Assemblea sia nel confronto con l'opinione pubblica. Ci siamo assunti la responsabilità di formulare una proposta come tecnicamente andava formulata, addirittura sottoponendo ad un primo voto nella Giunta delle elezioni una proposta con i nomi e i cognomi di coloro a cui venivano assegnati seggi, secondo quello che è il compito specifico istituzionale previsto dal regolamento per quanto
riguarda la competenza e le funzioni della Giunta delle elezioni. Il centrodestra, in realtà - ascolteremo poi il dibattito di oggi -, nella Giunta delle elezioni, ha presentato proposte inaccettabili in base alle quali, se fossero confermate - io credo di no, credo che non ci sia tanta arroganza -, in barba all'applicazione delle norme vigenti, si prende i seggi vacanti, facendone una cosa propria, attuando un vero e proprio golpe di carattere istituzionale ed elettorale e disapplicando la normativa vigente. Il centrodestra non ha mai formalizzato questa proposta, fatta ventilare e ricordata tra le ipotesi anche dal presidente Soro nel suo intervento, come non ha mai formalizzato altre proposte. Quindi, credo che bisogna cominciare a dire che questo ritardo è dovuto anche al fatto che il centrodestra probabilmente è diviso al suo interno, perché, ovviamente, con quella proposta cambierebbero alcuni equilibri interni. Il centrodestra non si è mai fatto carico, come invece abbiamo fatto noi dell'opposizione, di definire responsabilmente un'ipotesi di assegnazione dei seggi.
Il terzo elemento di riflessione è di carattere più generale. Visto che siamo in un dibattito che non è interno alla Giunta delle elezioni, ma coinvolge tutta l'Assemblea di Montecitorio e, quindi, ha una rilevanza politica, oltre che ovviamente tecnica e di garanzia nell'applicazione delle leggi, è bene dire che non vedo la vicenda dei seggi slegata ad un clima che io credo vada denunciato e su cui bisogna soffermare la nostra attenzione.
C'è la vicenda dei seggi vacanti; c'è l'ipotesi di riforma dell'articolo 68 della Costituzione, relativo alle immunità parlamentari, che vorrebbe riportarci indietro di 10 o 15 anni garantendo una sorta di impunità parlamentare ad inquisiti presenti in questo Parlamento; e infine, c'è il modo in cui si è affrontata la discussione, seria, per la democrazia nel nostro paese, del finanziamento e dei rimborsi elettorali su cui noi Verdi siamo contrari non nel principio ma nel modo in cui in Commissione Affari costituzionali - bene ha fatto il nostro presidente Boato ad astenersi - si è affrontato, quasi ci fosse da vergognarsi, mentre si tratta di un problema serio relativo al finanziamento trasparente dei partiti. Sono tre gli elementi che danno la sensazione di essere di fronte ad una restaurazione partitocratica della peggior specie.
Noi Verdi vogliamo lanciare questo allarme perché vediamo un collegamento, di metodo e di sostanza, nel modo in cui si affrontano questioni decisive per la legalità, per la democrazia e per la partecipazione. La nostra è una posizione estremamente chiara e limpida: vi è una norma richiamata, l'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 14 del 1994. Dunque, si proceda all'assegnazione secondo questa norma e si soccorra questa norma, laddove non è sufficiente, con i principi generali delle norme elettorali e della Costituzione. Inoltre, diciamo «no» a qualsiasi ipotesi di modifica, con un accordo, delle leggi vigenti poiché è già stato espresso un voto; «no» a qualsiasi ipotesi - ma questo solleverebbe, ovviamente, un'emergenza democratica da parte del centrodestra - di risolvere la questione, a colpi di maggioranza (una questione che poteva e doveva essere risolta, già da molto tempo, applicando le norme vigenti) attribuendo ad alcune forze politiche seggi e rappresentanti in questa Camera, che non appartengono loro. Su questo punto il nostro contributo è chiaro, limpido e trasparente e su questo verificheremo, anche alla luce del dibattito, le conclusioni.
Condividiamo l'auspicio del Presidente della Camera Casini che questa vicenda trovi, nelle prossime ore, una soluzione che, a nostro avviso, non può che essere nel rispetto delle norme vigenti (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Ulivo e di deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Intini. Ne ha facoltà.
UGO INTINI. Signor Presidente, bastano poche parole per chi non tenti la quadratura del cerchio.
Le forze politiche hanno gravi colpe: la prima è aver fatto una legge elettorale
pessima perché consente un imbroglio o un pasticcio, quello delle liste civetta; pessima, soprattutto perché impone, con il maggioritario, qualcosa che non è stato fatto. Il maggioritario impone, infatti, un sistema di garanzie e di riequilibrio costituzionale che è mancato. Abbiamo cambiato il motore, è aumentata la cilindrata della macchina istituzionale, lasciando tutto il resto, e soprattutto i freni, immutati e sempre più logori. Ciò è stato assolutamente irresponsabile e dovremmo, finalmente, porci il problema di costruire le garanzie necessarie per il maggioritario per evitare la dittatura della maggioranza e per garantire tutti, oggi e domani. Siamo ancora in tempo per farlo. Certo, il Parlamento che ha fatto questo errore aveva una scusante: è stato prevaricato e forzato a fare in fretta e furia una legge elettorale per poi sciogliersi sotto la spinta di quella che, nel 1993 e in quegli anni, veniva definita una rivoluzione. Abbiamo poi una seconda colpa, meno grave, ma anche meno scusabile perché nessuno ci ha forzati: quella di avere, tutti, utilizzato l'imbroglio o il pasticcio delle liste civetta. Forza Italia lo ha utilizzato ma ha sbagliato i conti e adesso dovrebbe accettare, a mio parere, semplicemente l'applicazione della legge, né più né meno, perdendo i seggi. Abbiamo le colpe descritte, cerchiamo di evitarne altre, cerchiamo di evitare la colpa più grave che sarebbe quella di stabilire un precedente ed un principio catastrofico: il principio che il Parlamento possa attribuire i suoi stessi seggi in modo arbitrario o illegale.
Questa è l'unica cosa che il mio gruppo non accetterà mai e che denuncerà con forza all'opinione pubblica ove avvenisse. Ma, spero e credo che nessuno voglia assumersi la responsabilità di compiere una prevaricazione così grave, anche perché il problema dei seggi vacanti non è rilevante per gli equilibri interni del Parlamento e, francamente, non è tra le prime preoccupazioni dell'opinione pubblica.
Vorrei quindi chiedere alla maggioranza di evitare atti di forza per una ragione politica ed una istituzionale: perché un atto di forza aprirebbe quattro anni di conflitto aspro e metterebbe in crisi la legittimazione reciproca tra maggioranza ed opposizione (esattamente il contrario di ciò di cui abbiamo bisogno e di ciò che continuamente ci consiglia il Presidente della Repubblica) e perché un atto di forza porrebbe una «mina» in questo Parlamento. Avremmo infatti dodici cittadini estranei tra di noi, non accettati dall'opposizione, e tutte le decisioni sarebbero a rischio di legittimità, contestabili e contestate. Spero non si giunga a ciò (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Socialisti democratici italiani, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita-DL-l'Ulivo e Misto-Verdi-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rizzo. Ne ha facoltà.
MARCO RIZZO. Signor Presidente, cercherò di parlare con estrema chiarezza, perché si tratta di una questione importante, la questione delle regole che informano la nostra democrazia, e cercherò di farlo spiegando la legge elettorale.
Questa legge consentiva la riduzione degli effetti dello scorporo, affinché la coalizione perdente non fosse ulteriormente punita dal sistema maggioritario. Dico ciò perché spesso si è affermato, rispetto alla riduzione degli effetti dello scorporo, che l'intenzione della legge fosse di garantire i partiti più piccoli. Faccio parte di un piccolo partito, i comunisti italiani, e posso affermare che non si tratta di ciò. Lo scorporo, nello spirito della legge, serve ad evitare che la coalizione perdente abbia un ulteriore danno, essendo il sistema basato, al 75 per cento, su collegi maggioritari.
Cosa è accaduto nelle elezioni del 13 maggio 2001? La Casa delle libertà, ed in primo luogo Forza Italia - dico ciò senza polemica, ma con l'intenzione di considerare la realtà dei fatti -, per ingordigia, da una parte, ed inefficacia, incompetenza, dall'altra, non ha saputo preparare le liste con riguardo alla riduzione degli effetti dello scorporo: ha voluto non vincere, ma stravincere, sbagliando e ritrovandosi in una condizione di estrema difficoltà.
L'ingordigia, l'inefficacia e l'incompetenza dei rappresentanti di Forza Italia ha comunque prodotto un beneficio di coalizione pari almeno a due milioni di voti. La linea pubblicamente sostenuta dagli esponenti di Forza Italia, suggestiva e facile da spiegare, afferma che non sono concessi loro i deputati eletti con i voti ottenuti. Ma Forza Italia ha già sottratto tali voti con quella incompetenza ed ingordigia, che ha permesso un risparmio di due milioni di voti sullo scorporo di tale lista politica. La linea che chiede l'elezione dei migliori perdenti di Forza Italia o eventualmente della Casa delle libertà è totalmente illegittima ed incostituzionale; è quanto di peggio possa accadere per la democrazia. Potrebbero tranquillamente - lo affermo senza ironia - scegliere persone estranee che stanno passeggiando per la strada, perché non esistono nelle passate elezioni i migliori perdenti di Forza Italia.
Infatti, non vi è nessun candidato che ha perso le elezioni che fosse collegato in qualche modo a Forza Italia o alla Casa delle libertà. Se la maggioranza tentasse di appropriarsi di questi seggi, porrebbe in essere un atto fortemente illegittimo. Si potrebbero scegliere 12 grassi, 12 magri o 12 con gli occhiali: sarebbe la stessa cosa.
Lo dico chiaramente e come Comunisti italiani lo abbiamo già affermato in sede di Giunta delle elezioni: indubbiamente, in questa nostra legislatura vi è la necessità di approvare una nuova legge che stabilisca, considerato che siamo in presenza di un sistema elettorale maggioritario, che la Giunta delle elezioni non può essere composta dalla maggioranza di chi ha vinto.
Occorre trovare una strada diversa: non vi è più il sistema proporzionale, ma la Giunta delle elezioni viene considerata così com'è, come se vi fosse il vecchio sistema proporzionale. Non è possibile che chi giudica e chi garantisce possa essere lo stesso soggetto che ha vinto le elezioni. Infatti, paradossalmente - ma fino a un certo - voi, nella Giunta delle elezioni, avreste potuto porre in essere un atto illegittimo e far decadere o non proclamare tutti i deputati dell'opposizione. Avete, infatti, i numeri per farlo sia in sede di Giunta delle elezioni sia in Assemblea. Credo, quindi, che il Parlamento a livello legislativo debba porsi questo problema. Si tratta di un problema di terzietà: deve essere un ente terzo a determinare la garanzia rispetto alle elezioni e, a tal proposito, avanziamo, quindi, anche una proposta.
Tuttavia, in primo luogo, chiediamo il rispetto della legge, l'applicazione dell'articolo 11 del decreto del Presidente del Repubblica n. 14 del 1994 e il non riconoscimento di qualunque altro atto. Vorrei rivolgere un monito a voi che, questa volta, rappresentate la maggioranza: facciamo davvero attenzione e non creiamo un precedente allarmante per la nostra democrazia. Lo dico serenamente e pacatamente, ma con grande fermezza; lo dico facendo riferimento al Parlamento, al Presidente della Camera e al Presidente della Repubblica.
In caso di una forzatura della Casa delle libertà nell'assegnazione illegittima di questi 12 seggi, cambierebbe la natura di questo Parlamento, cambierebbe la natura della stessa democrazia nel nostro paese e cambierà anche l'atteggiamento, in primo luogo, verso questi 12 sconosciuti, che verrebbero a sedere illegittimamente nel nostro Parlamento. Speriamo, quindi, di essere ancora in tempo - lo dico davvero per il bene della democrazia - per impedire ciò che non si può far altro che definire un atto di regime, questa volta vero e proprio (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giordano. Ne ha facoltà.
FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, come lei forse ricorderà, abbiamo sollevato per primi la questione di cui oggi si constatano le negative conseguenze. Anche noi, come adesso stanno facendo Pannella e i radicali, facemmo ricorso ad uno strumento di lotta per noi inusuale, lo sciopero della fame, per alcuni giorni, chiedendo in quella occasione un pronunciamento
del Capo dello Stato. Quel pronunciamento, sia pure flebilmente, vi fu, ma entrambe le coalizioni decisero di ignorarlo.
Signor Presidente, fummo facili profeti nel sollevare una questione di rappresentanza e di legalità. Vi fu un dibattito e settori dell'opinione pubblica e democratica vennero a conoscenza della truffa (non la potrei definire in altra maniera) che si stava perpetrando in danno della reale rappresentanza. Tuttavia, fecero «spallucce» anche coloro che oggi, giustamente, pongono in maniera radicale un problema di legalità.
Signor Presidente, il sistema maggioritario, di per sé, altera e sfigura la rappresentanza e non dà conto della pluralità di opinioni e delle nuove identità politiche e culturali del paese. Quel sistema, al contrario di quanto affermavano i suoi sostenitori, ha alimentato la frammentazione, ha ridotto la visibilità di modelli alternativi della società italiana ed ha alimentato una crisi di credibilità della politica.
A nostro avviso, dunque, la legge elettorale proporzionale rimane la forma più efficace per garantire la rappresentanza e ci adopereremo, anche in questa legislatura, affinché si possa raggiungere tale obiettivo.
Se all'attuale legge maggioritaria si opera un'alterazione truffaldina come quella delle liste civetta la forma di rappresentanza fissata dalle norme elettorali in vigore viene aggirata e falsata a tutto vantaggio delle coalizioni che ne fanno uso. Bisognerebbe impedire, comunque, per legge questo aggiramento qualora non si modifichi la legge elettorale in senso proporzionale, non con l'abolizione dello scorporo, come da qualche parte si è sentito, ma prospettando uno scorporo di coalizione per non vanificare gli effetti compensativi previsti appositamente dalla legge in direzione di quelle forze che nella parte maggioritaria risultano penalizzate.
L'attuale legge elettorale, signor Presidente, prevede un 25 per cento di proporzionale e prevede un riequilibrio tra chi si avvantaggia con il maggioritario e chi viene penalizzato nel maggioritario medesimo attraverso un premio nel proporzionale. Con la truffa delle liste civetta - questo è il punto - è successo l'esatto contrario: è stato perpetrato un danno e sono stati sfigurati la lettera e lo spirito della legge elettorale.
Ho sentito in questi giorni argomenti, magari nella vulgata propagandistica, da parte degli esponenti della destra secondo cui i voti dati alla Casa delle libertà non possono in alcuna maniera servire per eleggere deputati di altre coalizioni o di altre forze politiche. Ma come fate a dire ciò quando l'alterazione della forma della rappresentanza è già avvenuta? Sapete che Forza Italia, oggi, si giova di venticinque deputati in più in virtù delle liste civetta, cioè in virtù dell'aggiramento della legge elettorale? Sapete che Rifondazione comunista oggi ha otto deputati in meno in virtù del fatto che avete negato il principio di quella legge elettorale? Questa è la verità! Volete forse dire che i voti di cui vi avvantaggiate, gli otto milioni e mezzo di cui parla il presidente Soro, sono tutti della Casa delle libertà? Sono vostri anche i voti dei Verdi, dei Socialisti, dei Comunisti italiani, della lista Di Pietro? Sono vostri anche quei voti di cui oggi vi giovate?
Penso che, in realtà, stiate giocando con il fuoco: dopo che vi siete attribuiti un superpremio di maggioranza, volete, addirittura, negare la forma di redistribuzione che gli effetti nefasti di quel superpremio di maggioranza vi ha attribuito. Penso che bisognerebbe ragionare un po' più seriamente e constatare che l'irregolarità ed il tradimento - sì, Presidente Biondi, il tradimento - della rappresentanza è già avvenuto. Volete continuare a perpetrarlo?
Oggi la Camera non ha ancora eletto il suo plenum. Vorrei ricordare anche al Presidente della Camera che l'articolo 56 della Costituzione, da questo punto di vista, è inequivoco. L'articolo 56 della Costituzione italiana dice che il plenum della Camera è di 630 deputati. Penso che dovremmo essere contrari a qualsiasi ipotesi di congelamento, perché sarebbe
un'ipotesi incostituzionale. La legge va rispettata e va rispettato l'articolo 11 del regolamento di attuazione della legge stessa. Tale sistema è in vigore dal 1919. La Cassazione ha già applicato quell'articolo 11 proclamando due deputati. Non capisco come si possa ragionare, oggi, in maniera difforme.
Se voi su questo punto proponente un voto di maggioranza, si produrrebbe veramente un vulnus, sulle forme di rappresentanza, non più sanabile; con questo voto di maggioranza voi in realtà stabilite un'altra legge elettorale. Il paradosso - casomai doveste decidere di operare questa forzatura, di eleggere cioè tutti quelli della Casa delle libertà - sarebbe addirittura clamoroso e vi sarebbe una doppia illegalità, nel senso che sarebbero eletti non solo quelli che non avrebbero titolo con l'articolo 11 del decreto di attuazione, bensì persino coloro che hanno aderito ad una lista che non ha raggiunto il 4 per cento e che pertanto non avrebbe la titolarità, sulla base dell'attuale legge elettorale, ad essere rappresentata in Parlamento (addirittura di una lista che ha raggiunto lo 0,1 o lo 0,2 per cento).
Crediamo che queste modalità siano inaccettabili e per questo vi chiediamo di pensare attentamente a ciò che state per fare. Da questo punto di vista condivido anch'io quanto è stato già detto sul fatto che con un sistema maggioritario forse è opportuno che sia la Corte costituzionale a stabilire la determinazione e l'attribuzione dei seggi, per evitare che una maggioranza possa garantirsi un'elezione in maniera del tutto surrettizia. Ma oggi vanno riparati i guasti e occorre evitare che, oltre al danno, si possa produrre anche una beffa.
Noi siamo d'accordo nel trovare una qualsiasi forma di attribuzione di quei seggi che abbia un qualche fondamento giuridico. Qui sono state avanzate altre ipotesi; l'importante è che tali ipotesi possano essere supportate da un punto di vista giuridico. Ciò che non si può fare è determinare un vulnus con l'attribuzione dei seggi a chi quei seggi non ha il diritto di rappresentare. L'alterazione della rappresentanza con un atto autoritario, a colpi di maggioranza, recherebbe con sé una ferita, ripeto, non più sanabile e aprirebbe una contesa - lo voglio dire agli esponenti della Casa della libertà - di legittimità democratica per chi la produce, tale da rendere infondata e dubbia qualsiasi scelta che in questa Camera si produrrebbe da quell'atto in poi, perché è del tutto evidente che a partire da esso qualsiasi scelta della Camera per noi sarebbe illegittima (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Martinelli. Ne ha facoltà.
PIERGIORGIO MARTINELLI. Signor Presidente, siamo convocati oggi in aula, per discutere l'assegnazione dei seggi vacanti, piegati ad un ricatto. L'accelerazione dei tempi di per sé costituisce un fatto positivo, tuttavia mi disturba sommamente constatare che le più alte cariche dello Stato (il Presidente Ciampi e il Presidente Casini) si siano assoggettate al ricatto di un cittadino. Non si è trattato di semplice protesta, bensì - ripeto - di un vero ricatto, al quale le istituzioni mai dovrebbero piegarsi. Altra istituzione avrebbe dovuto intervenire a rimuoverlo: il sindaco, emettendo un'ordinanza di trattamento sanitario obbligatorio, al fine di salvaguardare la salute del cittadino e lasciare ad un organo politico, come la Giunta delle elezioni, la serenità necessaria per risolvere il problema.
Nel merito dei seggi da assegnare, confermo parere negativo sia all'applicazione dell'articolo 11 del regolamento di attuazione sia ad una distribuzione mediata, prevista nella soluzione proposta dall'onorevole Ostillio, che assegnerebbe il 50 per cento dei seggi anche all'opposizione.
La Giunta delle elezioni della Camera dei deputati, sin dall'ottobre dello scorso anno, si trova impegnata nel difficile compito di sbrogliare la matassa relativa ai seggi non assegnati alle liste di Forza Italia, aderente alla coalizione della Casa
delle libertà, in quanto risultati eccedenti rispetto ai candidati inseriti in tali liste. Il caso non è espressamente previsto dalla legge elettorale per la Camera dei deputati, che peraltro costituisce - è bene precisarlo - l'unica fonte normativa (prevista dall'articolo 72 della Costituzione) in materia elettorale, in virtù della cosiddetta riserva di legge; esso non può essere affidato a regolamenti governativi che non hanno rango di legge. Proprio un regolamento di tal fatta, il decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1994, n. 14, era stato invocato dai rappresentanti dell'Ulivo, con la conseguenza aberrante che secondo le sue disposizioni chiaramente incostituzionali i seggi in discussione, pur sicuramente riconducibili agli elettori della Casa delle libertà, avrebbero dovuto essere ripartiti fra tutte le liste in contesa, anche quelle dell'Ulivo.
Fortunatamente, questa tesi, contrastata anche dalle dottrine più autorevoli - fra cui ricordo il presidente emerito della Corte costituzionale, Renato Granata -, è stata respinta, nella seduta del 28 novembre scorso, dalla Giunta delle elezioni, la quale dovrà ora ricercare altre ipotesi di soluzione del grave problema.
Il problema è effettivamente grave, in quanto la Camera, sin dal 30 maggio 2001 - data del suo insediamento -, si trova ad operare e deliberare non con il plenum di 630 componenti previsto dall'articolo 56 della Costituzione, ma con 617 deputati, essendosi resi vacanti altri due seggi per la morte dell'onorevole Lucio Colletti e per la sopravvenuta incompatibilità del neoeletto presidente della regione Molise.
Questa anomalia è stata considerata da qualche giurista di una tale gravità da poter mettere in forse la legittimità delle deliberazioni assunte dalla Camera senza il raggiungimento del suo plenum.
Occorre, allora, cercare una soluzione che sia, al tempo stesso ed in via principale, rispettosa della volontà di 1.300.000 elettori che hanno espresso il loro voto per la Casa delle libertà e coerente con la normativa che regola i subentri e le surrogazioni nelle liste del proporzionale.
Il criterio previsto da tale normativa prevede il subentro nelle liste di ciascuna componente politica dei migliori perdenti, cioè l'inserimento nei posti vacanti dei candidati non eletti nei collegi maggioritari, in ragione della rispettiva cifra elettorale.
La cifra elettorale altro non è se non la percentuale conseguita da ciascun candidato non eletto ed è ricavata dalla formula: voti individuali del candidato moltiplicati per 100 e divisi per il numero dei votanti del collegio.
L'unitarietà della coalizione guidata da Silvio Berlusconi in tutti i collegi sotto il simbolo di Casa delle libertà - Berlusconi Presidente - fa sì che i voti esuberanti di Forza Italia possano e debbano essere riversati su tutte le altre componenti della coalizione, vale a dire Alleanza nazionale, UDC (CCD-CDU) e Lega nord Padania, secondo le più alte cifre elettorali ottenute dai candidati presentatisi sotto il contrassegno della Casa delle libertà qualunque sia il partito di provenienza. È evidente che il medesimo discorso sarebbe valso anche per la coalizione opposta guidata da Francesco Rutelli se si fosse trovata nella medesima situazione.
Le vie per giungere alla soluzione sono due: applicare le cifre elettorali individuali su base circoscrizionale o applicarle su base nazionale. Questa seconda via appare la più coerente con il sistema, posto che per ogni candidato, ovunque egli si sia presentato, la cifra elettorale individuale - cioè, il suo rapporto di gradimento con gli elettori - è calcolata in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, attraverso la formula sopra ricordata. Essa non può avere una valenza diversa per ognuna delle 24 circoscrizioni nelle quali il territorio nazionale è suddiviso. Infatti, se si calcolassero le cifre elettorali dei migliori perdenti su base circoscrizionale, potrebbe accadere, ad esempio, che un candidato della circoscrizione Liguria sia proclamato eletto pur avendo una cifra elettorale inferiore a quella del suo collega della circoscrizione Calabria. Il che significa vanificazione della graduatoria e delle cifre
elettorali individuali che pure costituiscono il metro indiscutibile del rapporto di fiducia fra elettore e candidato. Tale risultato sarebbe non solo in contrasto con il principio di proporzionalità, che è alla base del sistema disegnato dalla legge elettorale (a parità di voti, parità di seggi), ma sarebbe addirittura lesivo del principio costituzionale dell'uguaglianza del voto, fissato dall'articolo 48 della Costituzione.
Infatti, nell'esempio ora citato, i voti degli elettori calabresi peserebbero meno di quelli degli elettori liguri in quanto, pur realizzando una cifra elettorale superiore - cioè, pur costituendo una maggiore percentuale sulla totalità dei votanti -, non sarebbero in grado di dar vita ad un seggio.
Queste sperequazioni territoriali, che non sono di lieve momento, possono essere eliminate soltanto formando una graduatoria unica nazionale fra le cifre elettorali di tutti i candidati non eletti della Casa delle libertà e attingendovi secondo l'ordine decrescente della graduatoria stessa. Tale soluzione renderebbe, poi, oltremodo facile e quasi automatico il rimpiazzo delle eventuali vacanze che dovessero verificarsi nel corso della legislatura, per cause volontarie o naturali, senza dover ricorrere alla macchinosa procedura di cui all'articolo 83 della legge elettorale che prevede per le liste normali, e non per le coalizioni come nel caso attuale, una sorta di versamento all'ammasso in sede centrale e una successiva redistribuzione a rotazione fra tutte le circoscrizioni. Dal punto di vista politico e costituzionale, dunque, la soluzione della graduatoria unica nazionale appare l'unica praticabile.
Sul piano politico, il sistema maggioritario previsto dalla legge è stato integrato, in via di fatto e per entrambe le coalizioni, dalle indicazioni di un candidato unico come Premier. Si ricorderà che qualche giurista tendenzioso aveva nutrito dubbi su questa rilevante novità elettorale, dubbi poi dissolti dalla considerazione che entrambe le coalizioni vi avevano fatto ricorso. Ora, l'unicità dell'indicazione del candidato Premier mal si concilierebbe con la parcellizzazione fra le circoscrizioni di un gruppo di candidati che, per l'eccezionalità dell'accaduto, devono essere considerati patrimonio unitario della Casa delle libertà e prescelti, appunto, su base nazionale con criteri rigidamente matematici, secondo l'ordine decrescente della graduatoria.
Sul piano costituzionale, poi, la graduatoria unica nazionale apparirebbe anche perfettamente in linea con l'articolo 67 della Costituzione, secondo cui: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione (..:)». Non esiste, se non in via di mero fatto, il deputato di Milano o il deputato di Catania: entrambi rappresentano l'Italia e non possono essere giuridicamente astretti e formalmente assegnati ad una specifica circoscrizione elettorale. La definizione del collegio elettorale come centro di legame del deputato con la sua terra non trova riscontro nel nostro sistema costituzionale. Se così fosse, come e dove si collocherebbero, ad esempio, i senatori eletti con il ripescaggio regionale, come prevede l'articolo 17 della legge elettorale del Senato? Come e dove si collocherebbero gli stessi deputati proclamati in base alla procedura citata dall'articolo 83 della legge elettorale della Camera, in base alla quale i voti di Milano possono condurre a proclamare un deputato a Catania o viceversa?
In definitiva, la graduatoria unica nazionale, oltre ad essere di estrema semplicità di calcolo, appare in perfetta sintonia con le predette norme costituzionali e non presenta controindicazioni di alcun genere. Potrebbe, anzi, essere introdotta, al di là del caso contingente, come norma valida anche per l'avvenire, quando si ponesse mano ad una riforma e ad una semplificazione delle leggi elettorali. Concludendo, o i seggi vengono assegnati alla Casa delle libertà - Berlusconi Presidente o, diversamente, devono rimanere congelati (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Alia. Ne ha facoltà.
GIAMPIERO D'ALIA. Signor Presidente, innanzitutto diamo atto al presidente Soro di aver svolto una relazione sobria e sintetica ma ricognitiva di tutte le posizioni espresse e del lavoro estremamente complesso, difficile e tormentato svolto in Giunta delle elezioni.
Mi permetterò, in via di estrema sintesi, di evidenziare alcuni aspetti che secondo noi sono centrali nella definizione del problema. Credo che, se tutti noi, al di là degli schieramenti di appartenenza, utilizzassimo la medesima sobrietà rispetto ad un tema così delicato, forse arriveremmo alla soluzione migliore.
La prima questione riguarda la natura della legge elettorale. Secondo noi, secondo chi ha espresso questa posizione in Giunta, la legge n. 277 del 1993 non configura due sistemi elettorali concorrenti, maggioritario uninominale e proporzionale, la cui unica connessione è data dalla dichiarazione di collegamento, ma un sistema elettorale maggioritario uninominale temperato ai fini della rappresentanza parlamentare da una quota di riserva proporzionale, il che non è distinzione da poco. Ciò è rintracciabile nell'articolo 1 e negli articoli 18 e 19 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 e in tutte le altre disposizioni che regolano il sistema di elezione della Camera dei deputati. Da tali disposizioni emerge con chiarezza il regime di esclusiva del sistema maggioritario uninominale e la funzione residuale della quota proporzionale, intesa come elemento non determinante della legge elettorale, ma come strumento di mero riequilibrio della rappresentanza parlamentare.
L'interpretazione logica e sistematica di tali disposizioni consente di affermare che il legislatore del 1993 ha inteso introdurre un sistema elettorale maggioritario articolato su collegi uninominali, che costringe le forze politiche a coalizzarsi preventivamente e a sottoporre all'esame dell'elettore un unico candidato, espressione dell'intera coalizione e del medesimo programma di Governo. La legge ha temperato tale sistema prevedendo una quota di seggi da assegnare su base proporzionale al fine di garantire il cosiddetto diritto di tribuna ai partiti che scelgono di testimoniare la propria presenza nello scenario politico nazionale. Tale diritto di tribuna è limitato alle formazioni politiche che hanno superato la soglia del 4 per cento dei voti validi.
Su questo aspetto si pone il problema dello scorporo, un altro tema sul quale ci siamo arrovellati in Giunta e su cui sono emerse opinioni del tutto diverse. Anche qui, senza polemica nei confronti di nessuno, gradirei che su questo aspetto si evitasse di affrontare la questione formulando giudizi politici su chi ha scorporato di più e chi ha scorporato di meno. Infatti, onorevole Rizzo, non voglio fare polemica con lei, ma sarebbe curioso comprendere, almeno per quanto risulta dalla tabella allegata alla relazione del presidente Soro, dei 22 deputati collegati alla lista del partito dei comunisti italiani quanti siano iscritti alla componente dei Comunisti italiani del gruppo Misto: pertanto, eliminerei questo problema dallo scenario del nostro confronto.
Lo dico perché, certamente, la legge n. 277, come ho detto in precedenza, introduce un sistema uninominale maggioritario di coalizione e lo fa in una logica che impone di guardare a questo bipolarismo in maniera diversa da come, a volte, non appaia nelle manifestazioni di ciascuno di noi all'esterno. Certamente, il maggioritario di coalizione è enunciato e tracciato dagli articoli 14 e seguenti della legge n. 277 del 1993, posto che i soggetti legittimati a presentare candidature sono i partiti e i gruppi politici organizzati. Tali denominazioni sono riprese da tutte le disposizioni successive che regolano le varie fasi del procedimento elettorale ed è evidente che il concetto di gruppo politico organizzato è molto più ampio del concetto di partito politico: il gruppo politico organizzato può essere sì un'associazione di cittadini che si riunisce per partecipare solo alla competizione elettorale, ma il senso prevalente di tale denominazione, in linea con lo spirito della legge elettorale, è riferibile all'aggregazione di più partiti politici che si coalizzano per esprimere
candidati unici nei collegi uninominali. Ciò è avvenuto in tutte le competizioni elettorali per il rinnovo della Camera dei deputati che si sono tenute dal 1994 ad oggi.
Tale considerazione non è sostenuta solo dalla interpretazione letterale e logico-sistematica delle suddette disposizioni, ma anche dalle consuetudini elettorali, parlamentari e costituzionali che hanno caratterizzato i comportamenti della quasi totalità dei partiti politici nazionali e degli organi costituzionali, dall'entrata in vigore del nuovo sistema elettorale in poi. Quindi, è evidente - anche qui sarebbe opportuno sgomberare il campo da contrapposizioni inutili - che il concetto di coalizione non solo è presente nella legge elettorale ma ne è il fulcro, o meglio ancora, l'elemento prevalente e caratterizzante della medesima legge.
Sul meccanismo dello scorporo non vi è una lacuna da parte della legge; forse, a mio modo di vedere, questo meccanismo è, in qualche modo, anche troppo disciplinato dalla normativa che - questa è la mia interpretazione - contempla almeno quattro meccanismi di scorporo: lo scorporo che grava su di una sola lista presente nella quota proporzionale, lo scorporo che grava su più liste presenti nella quota proporzionale, lo scorporo che grava su una o più liste presenti nella quota proporzionale con la sola funzione di riferire alle stesse il meccanismo depurativo dei voti nell'uninominale, l'assenza totale di scorporo nel caso di mancata presentazione di candidature nei collegi uninominali collegati a liste presenti nella quota proporzionale, così come è avvenuto - ad esempio - per il partito di Rifondazione comunista.
Tutti questi meccanismi, proprio perché consentiti dalla legge, assumono pari rilievo sia sotto il profilo formale sia sotto il profilo sostanziale. Sono varie ipotesi contemplate dal legislatore, di cui i singoli partiti e le coalizioni possono avvalersi per cimentarsi nella competizione elettorale. Tutte queste forme sono state utilizzate nell'ultima competizione elettorale dalle varie formazioni politiche, senza che l'interprete possa attribuire una valenza maggiore o minore a questa o a quella forma di scorporo secondo chi l'abbia utilizzata, né - secondo me - è giuridicamente possibile sostenere che l'utilizzo di una determinata forma di scorporo deve comportare l'applicazione impropria di norme del procedimento elettorale, e cioè che l'utilizzo delle liste civetta dovrebbe comportare l'applicazione di un ulteriore penalità: lo scorporo successivo per tutti i candidati eletti nell'uninominale collegati con le liste civetta per quelle formazioni politiche che le hanno utilizzate. Anche sulla base dei dati allegati alla relazione del presidente della Giunta delle elezioni, onorevole Soro, evidentemente, non so quali meccanismi compensativi - non sono bravo in aritmetica - si attiverebbero se facessimo la somma dei voti non scorporati dalla coalizione di centrodestra e dei voti non scorporati dalla coalizione di centrosinistra, sotto ogni forma.
Detto questo, credo che, su queste questioni, dobbiamo eliminare ogni forma di confronto polemico perché, altrimenti, non usciremo mai da questa storia. Parimenti, dovremmo eliminare ogni forma di equivoco e di scontro polemico sull'annosa questione relativa all'articolo 11 del decreto del Presidente tra Repubblica n. 14 della 1994. Intanto e preliminarmente, credo - per concludere l'aspetto relativo allo scorporo - che le norme che prevedono che questa forma di temperamento del sistema maggioritario ed uninominale siano fortemente indiziate di incostituzionalità, posto che penalizzano il candidato o lo schieramento di appartenenza che prende più voti nei collegi uninominali. Il meccanismo dello scorporo, infatti, consente alle coalizioni perdenti di prendere più seggi in Parlamento grazie ai maggiori voti presi dallo schieramento vincente nei collegi uninominali: se questo è un meccanismo logico e costituzionale, non so come si possa accedere a questa tesi. Credo che su questo - lo ha indicato anche il Presidente della Giunta delle
elezioni Soro nella sua relazione - un intervento del Parlamento sarebbe oltremodo sacrosanto.
Quanto alla questione relativa all'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 14 del 1994, credo che dovremmo evitare ogni forma di polemica. Poiché al riguardo vi sono opinioni convergenti - credo - al di là delle forze politiche, penso che questo famigerato articolo 11 non possa essere considerato norma di chiusura del sistema elettorale. Non solo perché - e questa sarebbe già una considerazione esclusiva - in contrasto con gli articoli 48 e 72 della Costituzione, ma, innanzitutto, perché se fosse norma di chiusura del sistema elettorale, al pari di tutte le altre norme di identico contenuto, questa sarebbe stata consacrata in una legge e non in un atto normativo secondario emanato dall'esecutivo. La tesi che accredita l'applicabilità dell'articolo 11 al caso in esame, questa sì vulnera il sistema costituzionale - così come è delineato dalle disposizioni sopra richiamate -, altera l'equilibrio tra i diversi poteri dello Stato consentendo al Governo di poter regolamentare con atti propri il procedimento elettorale e, in special modo, il meccanismo della rappresentanza parlamentare. Una tale interpretazione della norma regolamentare costituisce - questa sì - un grave vulnus del sistema costituzionale e delle prerogative del Parlamento e, già solo per questa ragione, risulta inaccettabile.
La circostanza che il principio enunciato dall'articolo 11 del decreto sia contenuto in altre leggi dovrebbe confermare che solo quando lo stesso è contenuto in una fonte primaria potrà trovare ingresso nel sistema elettorale e non anche quando è contemplato da fonti diverse che non hanno il potere di regolarlo. La ragione per la quale tale principio non è stato codificato dal Parlamento risiede certamente nel fatto che lo stesso è utilizzabile solo nell'ambito di sistemi elettorali articolati prevalentemente su base proporzionale. Infatti, la possibilità di attribuire seggi a soggetti diversi da quelli che hanno ottenuto il consenso è compatibile, nei limiti comunque della eccezionalità, con i sistemi elettorali fondati su liste proporzionali e non con quelli maggioritari e uninominali come il nostro.
Certamente, l'articolo 11 può avere, ad esempio, un ambito di applicazione diverso. L'unica lettura compatibile con la normativa può essere quella, che riferisce la norma al caso diverso da quello di cui ci stiamo occupando, dell'insufficienza originaria di candidati nelle liste presentate nella quota proporzionale. In altri termini, tale disposizione può avere una sua applicazione solo nel caso in cui le liste presentate nella quota proporzionale contengano un numero di candidati inferiore al limite massimo previsto dal legislatore e non anche nel caso in cui le liste siano complete. A tale riguardo, proprio la sentenza della Corte costituzionale, che è stata da più parti invocata, conferma questa tesi. Le enunciazioni della Corte forniscono, infatti, elementi utili per chiarire quale principio sia conforme alla Costituzione ed anche quale possa essere la portata dell'articolo 11, vale a dire che, salvo diversa ed espressa previsione di legge, la portata del principio enunciato dalla norma regolamentare è assolutamente circoscritta a casi specifici ed eccezionali.
Per il caso in esame, potrebbe, viceversa, essere richiamato l'articolo 4, secondo comma, punto 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 che, come è noto, prevede che il numero dei candidati di ciascuna lista non possa essere superiore ad un terzo dei seggi attribuiti in ragione proporzionale alla circoscrizione con arrotondamento all'unità superiore.
Nel caso in esame, l'insufficienza dei candidati rispetto ai seggi da assegnare è addirittura prevista dalla legge, sicché sarebbe comunque esclusa l'ipotesi residuale di cui all'articolo 11 del decreto citato.
Pertanto, norma di chiusura della legge elettorale non può certamente essere l'articolo 11; non è rintracciabile in una fonte normativa espressa, ma potrebbe essere rintracciata nel complesso delle norme che definiscono il circuito di assegnazione dei
seggi che parte dai collegi uninominali, si trasferisce nella quota proporzionale, per concludersi nuovamente nei collegi uninominali. Ricostruita la parte del confronto su tale materia in sede di Giunta, nonché le questioni che hanno costretto la Giunta a lunghi e, a volte, estenuanti approfondimenti, l'unica cosa che emerge con chiarezza è l'inesistenza di una norma giuridica contenuta nella fonte primaria che possa essere applicata al caso in esame. In ragione di tale evenienza, la Giunta si è orientata verso la definizione di un metodo di confronto che non ancorasse la soluzione finale a logiche di schieramento e ciò sulla scorta di due considerazioni fondamentali: la prima, è l'esigenza che la ricostituzione del plenum, avendo primario rilievo costituzionale, dovesse essere oggetto di un ampio consenso politico ed istituzionale; la seconda, è la necessità, a fronte di un problema costituzionale, qual è la rappresentanza parlamentare, di rivendicare l'autonomia e l'indipendenza delle scelte operate da chi è diretta espressione della sovranità popolare.
A tale riguardo, è evidente che, ad esempio, anche la tesi della modifica dell'articolo 66 della Costituzione è un tema estremamente interessante, ma che sarebbe sbagliato approfondire, agganciandolo alla questione dei seggi vacanti, proprio perché non renderebbe un buon servizio nemmeno alla Costituzione. Abbiamo, però, dovuto prendere atto, con nostro profondo rammarico, che non sono emerse soluzioni ampiamente condivise e che, pertanto, non è praticabile decidere, operando una profonda frattura sul piano politico ed istituzionale.
Quando, infatti, si entra nel campo della ricostruzione ermeneutica di principi e norme da applicare al caso concreto, si scende sul terreno delle scelte discrezionali, ancorché fondate. Queste ultime sono legittime, ma se ed in quanto trovano un orientamento comune, una sostanziale condivisione da parte di tutto il Parlamento.
Se così non è, ciò che appare è l'arbitrio. A tale riguardo, avviandomi alla conclusione, credo di poter far mie alcune parti della relazione del presidente Soro riguardanti la questione del plenum. Il presidente Soro ha riportato alcune argomentazioni che si rifanno a precedenti della Camera e del Senato, nonché agli orientamenti prevalenti presenti in dottrina.
Mi permetto di indicarne qualche altro in questo senso: il plenum, come si è detto, ha un valore tendenziale, o meglio la ricostituzione del plenum. Certo esso impone alle forze politiche lo sforzo di costituirlo, ma non può assurgere a principio fondamentale che rende indefettibile la completezza dell'organo.
La Costituzione non prevede infatti che la Camera possa funzionare soltanto se, fin dal momento del suo insediamento, siano in carica tutti i 630 parlamentari. Solo in alcuni casi la Costituzione prevede che la Camera dei deputati, come il Senato, possa deliberare con maggioranze qualificate dei suoi componenti: maggioranza assoluta e maggioranza dei due terzi.
Pertanto, la questione del plenum si pone soltanto nel caso in cui si dovesse scendere, Dio non voglia, sotto la consistenza numerica prevista da queste maggioranze qualificate.
L'incompletezza quindi è un fenomeno fisiologico, non eliminabile dal sistema; prova ne siano le elezioni suppletive e tutto ciò che anche il presidente Soro ha ricordato.
Detto questo, credo che certamente siamo di fronte a due ipotesi: l'una consiste nel chiedere all'Assemblea e alla Giunta delle elezioni di definire una soluzione, qualunque essa sia, che potrebbe creare un profondo conflitto fra le forze politiche e parlamentari, con il rischio di tenuta di questa istituzione; l'altra, pienamente in sintonia con lo spirito della Costituzione, sarebbe quella di mantenere e riaffermare il principio della fisiologia dell'incompletezza del plenum e avere il coraggio di farlo oggi, senza aspettare oltre, considerato che più tempo trascorre più si rischia di non fare bella figura nei confronti dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Franceschini. Ne ha facoltà.
DARIO FRANCESCHINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, troppi esponenti politici in questi mesi hanno tentato di confondere le acque, usando, con una strumentalizzazione studiata e direi scientifica, i concetti di sovranità popolare. L'espressione più volte ripetuta è quella del rispetto della volontà degli elettori e tutto questo per coprire una verità molto semplice. La verità è che, da una parte, c'è chi vuole soltanto applicare la legge; dall'altra, c'è chi pensa di violarla perché la giudica non conveniente.
Non intendo in questa sede ripercorrere il susseguirsi dei fatti: la relazione del presidente Soro lo ha già fatto con chiarezza. Vorrei soltanto aggiungere che questa vicenda si sarebbe dovuta concludere all'atto dell'insediamento, più di un anno fa, nel primo giorno di questa legislatura.
La Giunta provvisoria delle elezioni avrebbe dovuto prendere atto di quanto indicato dagli uffici e dall'Ufficio centrale presso la Cassazione, decidendo una cosa molto semplice: poiché una lista - Forza Italia - non ha più candidati da eleggere, si procede ad assegnare i candidati alle altre liste, in base al disposto della legge elettorale e dell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 14 del 1994.
Questo è tutto, signor Presidente! Applicare la legge! Invece il senso dello Stato che anima questa maggioranza ha bloccato, con un voto espresso in Giunta, la proclamazione di 12 candidati che da un anno hanno diritto di sedere in questi banchi in base alle norme vigenti.
Un anno in cui abbiamo assistito a un deprimente spettacolo di ipocrisia, di banalità e, purtroppo, anche di falsi. Proverò ad elencarne alcuni: il primo, quello più spettacolare e ad effetto, più semplice per distogliere l'opinione pubblica dalla verità, è quello di dire che non si rispetta la sovranità popolare e che ci si vuole appropriare di seggi che spettano a Forza Italia. Quest'ipocrisia è stata ripetuta mille volte, ad uso televisivo.
Perché non avete l'onestà di ammettere che, attraverso l'uso massiccio, totale delle liste civetta, non avete scorporato alcuni milioni di voti e avete preso circa 26 deputati togliendoli ad altre liste, con un trucco? Perché non avete l'onestà di ammettere che avete rifiutato di votare una legge di un articolo - che abbiamo proposto noi, alla fine della scorsa legislatura, in seguito alla sollecitazione rivolta a tutti dal Capo dello Stato - che introduceva lo scorporo di coalizione ed impediva di utilizzare le liste civetta?
Perché non avete l'onestà di ammettere che il problema dei 12 seggi nasce proprio da questo e solo da questo? Forza Italia non ha più candidati da eleggere perché tutti, dico tutti, erano collegati alle liste civetta, anche dove non era assolutamente necessario, perché sapevate che in quei collegi non sarebbero stati eletti. Allora rivolgetevi a quel personaggio che, credendosi sempre più furbo di tutti, ha costruito le vostre liste e ha creato questo problema.
Poi c'è il richiamo alla sovranità popolare da rispettare. Altra ipocrisia. Sapete bene che la nostra Costituzione recita che la sovranità appartiene al popolo, ma che il popolo la esercita nelle forme e nei modi stabiliti dalla legge e le nostre norme elettorali, come in tutti paesi del mondo, regolano questa sovranità. C'è l'articolo 11 - una norma che, come è stato ricordato, tecnicamente viene chiamata «di chiusura» - che prevede l'assegnazione di seggi ad altre liste per l'esaurimento dei candidati eleggibili; ma c'è anche la soglia di sbarramento del 4 per cento. Allora, dovremmo dire che i seggi attribuiti alle liste che hanno superato la soglia sono rubati alle liste che hanno preso milioni di voti, ma che non hanno raggiunto il 4 per cento? Secondo voi, è violata anche in questo caso la sovranità popolare?
Poi c'è il secondo falso: l'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica è incostituzionale. È fin troppo facile fare presente che ad oggi, nel nostro ordinamento, spetta alla Corte costituzionale e non alla maggioranza parlamentare stabilire se una norma vigente è incostituzionale - a meno che voi non abbiate in
mente qualche riforma - e la Corte, con la sentenza n. 44 del 1961, ha già detto, proprio su questa materia, pronunciandosi su una norma identica a questa, anche dal punto di vista letterale - quella del testo unico di comuni e province - che quella norma è costituzionale.
È forse indelicato, signor Presidente, ma credo sia politicamente dovuto, per onestà, ricordarvi che quella norma, l'articolo 11, contro la quale avete rovesciato le peggiori accuse ed infamie, è scritta e firmata da un Presidente del Consiglio di nome Carlo Azeglio Ciampi.
Ma al di là di questo, perché omettete di ricordare che la stessa norma, le stesse parole, lo stesso principio di assegnazione alle altre liste è previsto da sempre nelle nostre leggi elettorali, in quella del Senato, in quella di comuni e province e nel regolamento della Camera dal 1919? Certo, l'onorevole D'Alia sottolineava che si trattava di sistemi proporzionali, ma noi stiamo parlando esattamente dell'attribuzione dei seggi nella quota proporzionale! Sono incostituzionali anche tutte queste altre norme? Volete eliminarle? Per quale ragione per ottant'anni non ne avete mai parlato? Perché soltanto adesso le scoprite? Perché fingete di dimenticare che, se non ci fosse l'articolo 11 o se decideste di disapplicarlo, come avete teorizzato, secondo i principi generali del nostro ordinamento, dovremmo applicare per analogia quelle norme che producono lo stesso identico risultato?
In realtà avete fatto colpevolmente perdere un anno a questa Camera, costringendola ad operare senza plenum. State cercando colpevolmente di approfittare di un sistema di garanzie diventato imperfetto con una legge maggioritaria, un sistema di garanzie che aveva affidato al Parlamento la sovranità totale sulla convalida degli eletti perché era applicato in un sistema proporzionale. Ma non solo per questo; anche perché nessuno dei nostri padri costituenti - di centro, di destra, di sinistra -, quando disegnò l'architettura della democrazia italiana, avrebbe potuto anche solo lontanamente immaginare che, un giorno, qualche esponente di una futura maggioranza avrebbe cercato di violare con la forza dei numeri il sistema di garanzie, la base della convivenza democratica!
Voi, in questa vicenda, lo avete pensato, lo state pensando e, a quanto pare, lo avete già fatto qualche giorno fa, impedendo con il vostro voto, contro le prove, contro l'evidenza, contro il buonsenso, di aprire una busta con 386 schede e, in dieci minuti, capire chi aveva diritto a sedere in quest'aula.
Avete votato in Giunta contro la convalida degli eletti e poi avete messo in moto la fantasia più sfrenata (alcuni interventi in quest'aula hanno dato prova di tale esercizio) per immaginare, dopo avere disapplicato una norma, come attribuire quei 12 seggi, proponendo le soluzioni più incredibili e cercando di coinvolgerci in trattative impossibili, strumentalizzando la giusta spinta a decidere che è nata dall'iniziativa di Pannella; trattative impossibili, perché non esiste democrazia al mondo in cui qualcuno possa seriamente pensare di regolare l'esito di elezioni che si sono già svolte!
Anche se fossimo tutti d'accordo, anche se, improvvisamente, ci trovassimo unanimemente concordi sulla soluzione, non è possibile non applicare una norma ma inventarne un'altra! Se poi si pensasse di poterlo fare con una decisione a maggioranza, il nostro sistema democratico, il nostro Stato di diritto ne uscirebbero feriti a morte!
PRESIDENTE. Onorevole Franceschini...
DARIO FRANCESCHINI. È contro la legge decidere oggi a cosa erano collegati i candidati che, per loro volontà, si sono collegati alle liste civetta e stabilire oggi che intendevano collegarsi a Forza Italia, con l'immediato risultato di ottenere un beneficio e di non aver scorporato i voti secondo la legge vigente.
Lo ha espressamente ricordato anche la Corte di cassazione in funzione di ufficio centrale che non esistono, non sono possibili, altre strade quando, signor Presidente,
trasmettendo gli atti a quest'Assemblea e alla Giunta per la proclamazione degli aventi diritto, ha affermato testualmente: la sollecitata ricerca di un criterio di collegamento diverso dall'unico contemplato dalla legge si porrebbe, non già al di là, ma contro la stessa legge. Questo ci ha detto l'Ufficio centrale presso la Cassazione. La legge si rispetta, piaccia o non piaccia, convenga o non convenga! Si rispetta! La maggioranza non può calpestarla, può cambiarla per il futuro.
Possiamo anche lavorare con voi per cambiarla, ma non potete, non possiamo, cambiarla per il passato. Non si può manipolare il risultato di elezioni che si sono già svolte! Non si possono portare 12 persone in aula senza mettere in discussione, in questa sede, il fatto di non averne diritto, senza mettere in discussione la legittimità delle future scelte, delle decisioni che quest'Assemblea dovrà prendere. Questo lo sa bene anche lei, signor Presidente. Lei sa che da questo problema non si può uscire votando a maggioranza. Lei sa che ogni parola autorevole pronunciata in questo momento da chi ha ruoli di garanzia è straordinariamente importante e probabilmente decisiva.
Lei sa che i provvedimenti che devono essere sottoposti all'esame di quest'Assemblea, se hanno un contenuto in contrasto con la legge, devono essere dichiarati inammissibili. Lei sa che non si può entrare in quest'aula se non si è stati votati dal popolo. Non chiediamo di avere deputati che non ci spettano; chiediamo una cosa più semplice, più scontata, più dovuta per un Parlamento di un sistema democratico, vale a dire di rispettare la legge. A lei, signor Presidente, chiediamo di aiutarci a farla rispettare (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nespoli. Ne ha facoltà.
VINCENZO NESPOLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, debbo dare atto al presidente Soro di aver cercato di rappresentare al meglio le cose che ci siamo detti in Giunta delle elezioni, durante quest'anno.
Com'è ovvio, intervenendo al di là dalla relazione scritta, il presidente Soro ha svolto una serie di considerazioni, riferendosi maggiormente ai dati elettorali del 1994, del 1996 e del 13 maggio dello scorso anno. Allora, dato che il collega Franceschini ci accusa di essere ipocriti, banali, falsi (e chi più ne ha più ne metta), vorrei fare un passo indietro nella memoria. A differenza del 2001, nel 1996 il centrosinistra ha vinto le elezioni dal punto di vista numerico e ha governato l'Italia con l'ipocrisia che contesta l'onorevole Franceschini; prima con la cosiddetta desistenza con il gruppo di Rifondazione comunista, poi utilizzando, per la prima volta, le liste civetta.
La differenza è sostanziale: se, nel 1996, il centrosinistra non avesse utilizzato questi escamotage, non avrebbe vinto e non avrebbe avuto la maggioranza alla Camera dei deputati; nel 2001, se non avessimo fatto ricorso, tutti, alle liste civetta, il centrodestra avrebbe vinto ed avrebbe governato l'Italia.
Questo discrimine è fondante ed importante (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale) perché è tra chi, nel 1996, ha utilizzato un meccanismo sottacqueo e, grazie a quest'imbroglio - sì: imbroglio! -, ha governato l'Italia per cinque anni senza avere il consenso della maggioranza degli italiani, peraltro senza scandalizzarsi e senza gridare all'ipocrisia, onorevole Franceschini, quando si facevano i ribaltoni e si accettavano i voti che esprimevano consenso per un'altra maggioranza.
Il collega Cento addirittura si è scandalizzato per il fatto che noi staremmo rivendicando deputati che non ci appartengono, come se il 13 maggio dell'anno scorso più di un milione e trecentomila elettori che hanno votato per Forza Italia e, quindi, per il centrodestra, non vedendo eletti i parlamentari votati, abbiano deciso, successivamente, di far eleggere i parlamentari della coalizione opposta!
Allora, l'ipocrisia, onorevole Franceschini, sta nel fatto che, mentre ricorda le
leggi e le sentenze e fa precisi riferimenti ai meccanismi elettorali, dimentica che non siamo nel 1919 o nel 1961, ma nel 2002 e che, oggi, vigono leggi elettorali ampiamente maggioritarie, di coalizione. Che ci indichi l'onorevole Franceschini dove sono quelle analogie per cui, come a livello comunale, provinciale e regionale, se una lista non ha più candidati, i seggi si assegnano alle liste della coalizione avversaria. Non è così, onorevole Franceschini! A livello comunale, provinciale e regionale, dove vige una legge elettorale maggioritaria e di coalizione più compiuta, i seggi vengono assegnati, in base al premio di maggioranza, alle coalizioni e, all'interno di queste, vengono divisi per i voti che ogni singola lista ha totalizzato.
Secondo l'esponente di Rifondazione comunista, avremmo goduto troppo degli effetti prodotti dalle liste civetta e pretenderemmo di rappresentare anche i milioni di voti delle liste che non hanno superato il 4 per cento. Certo! Vogliamo rappresentare gli oltre tre milioni di voti della Lega e del Centro cristiano democratico e dei Cristiani democratici uniti che, pur non avendo superato il 4 per cento, costituiscono una forza elettorale importante del centrodestra e rientrano in quell'ampia percentuale di voti non utilizzati per il computo dei seggi nel proporzionale!
Allora, per quanto concerne l'indignazione e le falsità cui faceva riferimento l'onorevole Franceschini (anche riguardo agli ultimi lavori ed al voto in Assemblea) sulla procedura della Giunta delle elezioni, dovrebbero schiarirsi un po' le idee tutti coloro che, nel centrosinistra, di falsità e di indegnità si sono resi promotori fino in fondo in quest'aula quando, contravvenendo al dispositivo della Giunta delle elezioni, nelle legislature passate, di fronte alla conclamata situazione di eletti nei collegi che la verifica dei voti dichiarava decaduti, ne hanno difeso la posizione a colpi di maggioranza (si trattava dei casi Reale e Vendola, lo sapete bene!). Perciò, ora non venite a richiamare (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia) atteggiamenti e comportamenti perché, se dobbiamo parlare di arroganza, voi avete una storia consolidata alle spalle!
In questa sede, noi stiamo rivendicando - e bene hanno fatto i colleghi Martinelli e D'Alia a sottolinearlo - che nessuno può dare dignità legislativa e rango di legge ad un regolamento che, soprattutto, è in contrasto con la ratio della legge. Amici miei, chi rivendica l'applicabilità dell'articolo 11 del regolamento, più volte richiamato, dimentica, lo ha già posto in risalto il collega D'Alia, che siamo in una situazione paradossale: se il popolo italiano avesse voluto votare in massa per Rifondazione comunista, presentatasi solo nel proporzionale (per sua fortuna) - faccio questo esempio di proposito -, e avesse dato a questo partito tanti voti da eleggere più candidati di quelli presentati (purtroppo, nel proporzionale, ogni partito può presentare al massimo 63 candidati), esso non avrebbe avuto diritto agli altri candidati.
Allora, se noi procedessimo con questa impostazione confermeremmo che esiste una ratio in forza della quale se un partito ottiene troppi consensi non deve avere i suoi candidati eletti. Esiste ovviamente un vuoto in questa normativa, quel vuoto, richiamato dagli interventi degli onorevoli Martinelli e D'Alia, rappresentato dalla non applicabilità dell'articolo 11, che riguarda comunque il collegamento tra parte maggioritaria del sistema elettorale e parte proporzionale. È indubbio che, essendoci un collegamento, non dichiarato, politico, ma anche giuridicamente valido tra coloro i quali si sono candidati sotto il simbolo della Casa delle libertà, Berlusconi Presidente, e le liste che facevano parte della coalizione, è chiaro che in questo caso l'analogia è applicabile e noi potremmo, secondo il meccanismo che ha illustrato in parte il collega Martinelli, individuare un meccanismo per andare alla proclamazione degli eletti.
In altre parole, noi riteniamo che l'applicazione analogica dell'articolo 84 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 comporti che nelle circoscrizioni elettorali, nelle quali alla lista di Forza Italia spettano più posti di quanti
sono i suoi candidati, debbano essere proclamati eletti, sino a concorrenza del numero dei seggi da coprire, i candidati dei collegi uninominali appartenenti alla Casa delle libertà, Berlusconi Presidente, non eletti nei collegi nella graduatoria indicata dalla norma applicata. Diciamo questo perché noi, molto più di altri, riteniamo che si debba rispettare la volontà degli elettori e non siamo ipocriti, onorevole Franceschini. Riterremmo invece un atto di arroganza che in qualche sede qualcuno voglia decidere in modo tale che coloro i quali hanno votato e espresso un voto liberamente per scegliere il Governo di una nazione, scegliendo il centrodestra, siano costretti poi a vedersi conteggiato questo loro voto per l'elezione di parlamentari della fazione opposta. Sarebbe un atto di arroganza, un modo improprio di rispettare la volontà popolare.
È certo che da questo dibattito nasce la necessità di adeguamento delle disposizioni elettorali, ma il problema non riguarda l'articolo 11 del regolamento - scorporo o non scorporo -, perché, se parliamo di adeguamento alla legge elettorale, evidentemente dobbiamo parlare di modelli che tendano alla unificazione del sistema elettorale; un sistema elettorale maggioritario, come quello che esiste e vige in Italia a livello di comuni, province e regioni, per il quale è stabilito un premio di maggioranza predeterminato nel rapporto 60-40 per cento, indica in modo chiaro sanzioni o decadenze qualora venga a mancare la maggioranza scelta dall'elettorato. Allora, significa che la questione del procedimento elettorale non può riguardare unicamente un incidente che si è verificato. Infatti, qualcuno ha sostenuto in questo dibattito che Forza Italia ha avuto, in modo inaspettato, più consensi di quanto presumeva e, quindi deve essere punita. Per questo i seggi spettanti al centrodestra dovrebbero andare alla coalizione di centrosinistra.
Noi riteniamo, invece, di esprimere una posizione chiara: riteniamo che il quorum della Camera debba essere ripristinato al più presto rispettando il voto espresso il 13 maggio del 2001, applicando, per analogia, l'articolo 84 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 ai candidati non eletti meglio piazzati nei collegi sotto il simbolo della Casa delle libertà con Berlusconi presidente. Facciamo questa proposta con estrema chiarezza perché riteniamo che questa querelle debba terminare e chiudere una fase. Poi, certo, si potrà ragionare anche su meccanismi elettorali, ma ora è necessario scegliere, con urgenza, una strada.
Ribadiamo la nostra volontà ed anche, mi si consenta, onorevole Franceschini, molto chiaramente, la nostra intransigenza affinché il voto e l'espressione libera dei cittadini italiani non vengano mortificati assegnando seggi a chi non ha avuto il consenso del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Montecchi. Ne ha facoltà.
ELENA MONTECCHI. Signor Presidente, stiamo discutendo con i riflettori puntati su di noi; c'è attenzione da parte dei media e dell'opinione pubblica, non solo per la rilevanza della questione posta, cioè l'attribuzione di seggi parlamentari, ma, soprattutto, per la testimonianza di Marco Pannella che ha raggiunto momenti intensa drammaticità. Colpisce l'irrompere del corpo, della sofferenza fisica, nelle vicende politico-istituzionali. Anche se non si tratta di una novità in assoluto, non sfugge, tuttavia, il carattere morale di questa pressione, di una testimonianza che rischia, se ad essa non si danno risposte politiche e istituzionali adeguate, di far apparire, da un lato, nell'indicazione dell'esigenza di risolvere un problema, una grande coerenza morale e, dall'altra, la politica politicante, una politica cinica che utilizza tempi lunghi per decidere.
Io mi auguro che nessuno qui voglia sottovalutare questi atti simbolici per far sì che la politica, questa istituzione, dia una risposta di legalità. Se si risponde con atti partigiani o muscolari al problema posto non si compie un buon servizio per l'istituzione e per la politica. Per noi l'individuazione di una possibile soluzione
per affermare diritti (quelli elettorali), che non sono oggetto di scambio, necessita di trasparenza, di legalità, di fondamenti giuridici e anche di lealtà tra le forze politico-parlamentari. Si tratta di atteggiamenti, dunque, ben lontani dalla logica dell'arbitrio e dalla logica di una maggioranza pervicace che, non molto tempo fa (15 giorni fa), ha consumato un voto in quest'aula ai danni, non tanto di un candidato dell'Ulivo, quanto ai danni della verità, cioè della possibilità di verificare delle schede elettorali. Dalla gravità di quel voto noi assumemmo una decisione come Ulivo, altrettanto grave: non partecipare ai lavori della Giunta per le elezioni. È stata una decisione grave, ma proporzionata all'atto compiuto e noi considereremmo un'altra prova di forza su materie così delicate come un atto che riceverebbe, da parte nostra, una risposta politica adeguata ad una prevaricazione che considereremmo gravissima.
Vorrei che ci ascoltassimo, colleghi, a proposito di questi possibili rischi.
Noi dobbiamo rispondere ad un quesito semplice e complesso allo stesso tempo che riguarda il diritto di tutti cittadini italiani di essere rappresentati. Noi rispondiamo che tutti gli italiani hanno diritto ad essere rappresentati, anche se riprenderò una delle argomentazioni che il collega Nespoli ha proposto. Riteniamo che si debba giungere all'attribuzione dei seggi, anche se sappiamo che esistono autorevoli costituzionalisti - e tra di essi vi fu, a suo tempo, anche il compianto professor Caianiello - che hanno sostenuto le osservazioni, ascoltate con attenzione, a proposito del plenum, proposte in aula dal collega D'Alia, pochi minuti fa.
Le polemiche di questi giorni, e naturalmente i riflettori puntati sulle possibili decisioni, hanno probabilmente messo in ombra le ragioni per cui ci troviamo dinanzi ad una situazione senza precedenti, dovuta all'abuso da parte di Forza Italia delle liste «civetta». Di questo abuso si è ampiamente scritto ed un'autorevole opinionista politico ha definito l'inventore di questo abuso come un prestigiatore, al quale il trucco è sfuggito di mano. Non lo afferma la sinistra, ma un autorevole commentatore del Corriere della Sera.
Gli effetti sono noti a tutti e sono stati ampiamente ripresi in Assemblea. Vorrei ricordare ai colleghi che hanno parlato del nesso tra la libera volontà degli elettori e la composizione dell'Assemblea, che Forza Italia ha guadagnato molti seggi anche a scapito di altri gruppi politici. Vorrei anche ricordare, a tutti coloro che pongono la questione del rapporto tra elettori ed eletti, che è la legge a definire l'attribuzione dei seggi. Tant'è che esiste l'Ufficio centrale elettorale, che ha assegnato due seggi, ed un sistema elettorale - oggi non in discussione - che prevede lo sbarramento del 4 per cento. Come concorrono a formare il plenum, i voti di quei cittadini che hanno espresso una preferenza sul sistema proporzionale ad una lista che non ha raggiunto tale soglia?
Credo sia necessario riflettere con obiettività sulle dinamiche concrete, definite sulla base dei riferimenti normativi. Ascoltando la discussione di oggi, e valutando il difficile anno di esperienza, prima della Giunta provvisoria (che nella seduta del 30 maggio dovette rinviare l'esame della questione) e poi della Giunta delle elezioni definitiva (a cui fu appunto demandato l'onere di dirimere il problema) ed il dibattito connesso, emerge la possibilità e la necessità di arrivare ad una riforma dell'articolo 66 della Costituzione, soprattutto in relazione all'adozione di un sistema elettorale maggioritario.
Il collega Intini ha efficacemente richiamato tale necessità. Occorre evitare il ripetersi di fenomeni di interpretazioni partigiane, particolarmente laceranti in un quadro di democrazia maggioritaria. Per questo, anche alla luce di esperienze di altri paesi europei, abbiamo scelto di presentare un testo di riforma, scelto durante i lavori della cosiddetta Bicamerale, che si ispira all'esperienza del Bundestag tedesco, il quale in prima istanza affida il potere al Parlamento stesso, ma consente la possibilità di appello alla Corte.
Non riteniamo che la nostra proposta sia l'unica perseguibile, tuttavia riteniamo
urgente la riforma dell'articolo 66 della Costituzione, affinché si garantiscano equità e non si lascino spazi a pregiudiziali posizioni di maggioranza.
Vorrei riprendere la rilevante questione concernente la sovranità popolare. Noi abbiamo un riferimento che ha forza di legge e che è rappresentato dall'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 14 del 1994. Si tratta di un atto delegato che può essere abrogato ed emendato solo per legge e, dunque, esso costituisce la base di riferimento. Qualora l'applicazione dell'articolo 11 non fosse sufficiente per l'attribuzione dei seggi, si potrebbe intervenire con altri criteri ed anche con un provvedimento legislativo. Pertanto, insistiamo sulla necessità di completare il plenum, sulla base dei riferimenti normativi a nostra disposizione.
Pensiamo che gli orientamenti che assumeremo e la capacità di definire un terreno comune di legalità su una materia di tale natura siano atti importanti e che, con riferimento a questo atto ed a questa discussione, nel tempo che ci separa dal 13 maggio, siano in gioco rapporti di fiducia tra le istituzioni e i cittadini.
Colleghe e colleghi, la nostra responsabilità e il nostro equilibrio politico possono esercitarsi esclusivamente nell'ambito della legalità: è questo il terreno che proponiamo ed è questo che ci chiedono i cittadini, che giudicano e giudicheranno i nostri atti e le nostre decisioni.
Colleghe e colleghi, mi auguro che ciascuno di noi rifletta sul fatto che gli atti di forza, dei quali ho già parlato sul piano politico, sono un pericolo sul piano istituzionale e rappresentano la costituzione di un precedente, che può avere effetti fortemente negativi sulla vita di questa Camera (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fontana. Ne ha facoltà.
GREGORIO FONTANA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi l'Assemblea non è convocata soltanto per discutere dell'assegnazione di 12 seggi fin qui rimasti vacanti, che pure è un argomento importantissimo; non è convocata nemmeno soltanto per trattare del plenum dell'Assemblea, che pure è argomento di rilevanza costituzionale. Quella che stiamo affrontando è una questione molto più ampia e molto più importante, forse la questione primaria in un sistema di democrazia parlamentare: mi riferisco al tema della rappresentanza.
Certo, ne stiamo discutendo in relazione a un problema specifico: l'impossibilità, fino ad oggi, di proclamare 12 dei 630 deputati che costituiscono questa Camera. È una difficoltà - su ciò non vi devono essere equivoci - che deriva dalle lacune e dalle anomalie della legge elettorale.
La legge elettorale - come è noto - in ogni sistema di democrazia rappresentativa è lo strumento che consente di tradurre i voti in seggi. Per farlo esistono numerosi metodi e numerose tecniche, alcune migliori di altre, ma tutte parimenti legittime in un sistema democratico. Sono tutte legittime, a patto che rappresentino e non stravolgano la volontà popolare.
È appena il caso di ricordare che la sovranità popolare in democrazia è il principio fondante della legittimità delle istituzioni. «La sovranità appartiene al popolo» è l'affermazione cardine della nostra Costituzione. Fare riferimento alla sovranità popolare e, quindi, all'intenzione dell'elettore è il presupposto di ogni legge elettorale. Nessun meccanismo di attribuzione dei seggi può essere tale da rovesciare la volontà degli elettori e nessuna visione della democrazia può neppure concepire che il voto vada ad indebolire, invece che a rafforzare, il partito o la coalizione prescelta.
Qualcuno, fuori e dentro quest'aula, ha messo in atto iniziative clamorose e, per certi versi, utili per forzare la mano al Parlamento, così da arrivare ad una soluzione in tempi brevi. Tra le motivazioni di tanta fretta, vi è il fatto, verissimo, che da un anno oltre 2 milioni di elettori non hanno i loro parlamentari a rappresentarli.
È verissimo, come dicevo, ma non va dimenticata una cosa: a non essere rappresentati in questo Parlamento sono 2 milioni di elettori di Forza Italia e, quindi, della Casa delle libertà.
Il modo per fare giustizia, allora, è uno solo: dare a questi cittadini i loro rappresentanti, ovviamente fra i candidati del loro partito o della loro coalizione. Questo, finora, non è stato possibile per una serie di lacune della legge elettorale sulle quali torneremo, ma è talmente logico e talmente elementare che in una democrazia matura nessuno potrebbe metterlo in dubbio. Invece, in molti, per molto tempo, hanno sostenuto esattamente il contrario.
È stato invocato un articolo di un regolamento per sostenere che i voti dati ad un partito possano fare eleggere deputati dello schieramento opposto. È stato sostenuto che questo significa rispettare le leggi, le regole, la democrazia. Il fatto di garantire il rispetto della volontà degli elettori è stato fatto passare come una prevaricazione; il fatto di capovolgerla come un atto di garanzia democratica. Non accetteremo mai il rovesciamento di questa realtà.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, di tale questione si è discusso anche troppo a lungo. È bene, però, ricordarne i termini essenziali e, forse, chiarirli ancora una volta. C'è chi vorrebbe che la risolvessimo utilizzando l'articolo 11 del regolamento applicativo della legge elettorale e, quindi, assegnando i seggi ottenuti con i voti di Forza Italia a tutti i partiti tranne Forza Italia, a tutti i partiti, ma prevalentemente a quelli di opposizione. Dobbiamo essere chiarissimi: questo non contrasta solo con la logica, contrasta con il principio di legalità. Intanto, esiste un concetto di riserva di legge che non è una sottigliezza da giuristi: significa che la materia elettorale può essere regolata soltanto da leggi votate dal Parlamento e non da regolamenti. Un regolamento che introducesse una nuova norma in materia elettorale sarebbe, quindi, del tutto illegittimo.
Ma c'è di più e di peggio. Crediamo davvero che un comma di un regolamento possa prevalere sulla Costituzione, che la sovranità possa cessare di appartenere al popolo in forza di un articolo di un regolamento (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Lega nord Padania)? Naturalmente, nessun costituzionalista la pensa davvero così. Potrei citare, ad esempio, i pareri di illustri presidenti emeriti della Corte costituzionale, da Baldassarre, al compianto Caianiello, a Granata. Pur con sfumature diverse e diverse ipotesi di soluzione del problema tutti convergono sull'impossibilità di questa soluzione.
Allora, se l'articolo 11 non è applicabile, non vi è una norma di chiusura che consenta di garantire il plenum. Si può soltanto, quindi, procedere per via induttiva cercando una soluzione coerente con i principi costituzionali e l'impianto della legge, oppure rinunciare al plenum per il resto della legislatura venendo meno al dovere di fare tutto il possibile per garantire il rispetto di un valore costituzionalmente tutelato. Qualunque sia la soluzione adottata l'incompletezza della legge elettorale è innegabile.
Non possiamo ammettere equivoci: è da questo e non dalle cosiddette liste civetta che sarebbe potuto derivare un vulnus al nostro sistema democratico. Anche su questo sono state alimentate polemiche infondate e pretestuose. Le cosiddette liste civetta, che il centrosinistra ha adottato fin dal 1994 e noi soltanto in occasione delle ultime elezioni politiche, non sono un trucco o un imbroglio del quale essere imbarazzati. Sono un modo inevitabile per difendere il voto dei cittadini dagli effetti perversi dello scorporo. Credo che pochi al di fuori di quest'aula si rendano conto di cosa significa lo scorporo.
FRANCESCO GIORDANO. È previsto dalla legge, cretino!
GREGORIO FONTANA. Significa che...
ALFONSO GIANNI. Sei pure ignorante!
FRANCESCO GIORDANO. Vergogna!
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ciascuno ha sostenuto la sua posizione e nessuno ha interrotto gli altri. Per cui vi chiedo...
Onorevole Fontana, continui per cortesia. Già lo spettacolo non è dei migliori, evitiamo...
ALFONSO GIANNI. Presidente, però ci siamo stufati!
GREGORIO FONTANA. Significa che in molti casi un cittadino che vota una coalizione, senza saperlo, indebolisce e non rafforza il partito che sceglie nel proporzionale. Evitare questa autentica truffa ai danni degli elettori non è un mezzuccio, è una scelta che rivendichiamo con orgoglio (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia). Con le liste civetta, in attesa di cambiare la legge elettorale, abbiamo difeso la sovranità dei cittadini. Non abbiamo tolto nulla a nessuno, tanto meno ai piccoli partiti.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Delinquente!
GREGORIO FONTANA. Essi non hanno ottenuto seggi perché i cittadini non li hanno votati e perché non hanno saputo coalizzarsi, non certo per effetto delle liste civetta.
Certo, la questione andrà risolta modificando una legge elettorale ambigua. Nel 1993, inseguendo frettolosamente la voglia di cambiamento, si è realizzato un autentico pasticcio, che non ha avuto il coraggio di affermare né la logica del maggioritario né quella del proporzionale. Da qui lacune, imperfezioni, mostruosità come lo scorporo e da qui la necessità di cambiare. Proprio per evitare equivoci avevamo chiamato le cosiddette liste civetta con il nome di «liste per l'abolizione dello scorporo». Sono convinto che in questa legislatura si dovrà arrivare come minimo alla eliminazione, dalla legge elettorale, di questo tipo di anomalia. Forse si sarebbe dovuto farlo prima, tuttavia non lasceremo passare questa occasione senza rimediare a distorsioni, che determinano effetti tanto gravi.
Onorevoli colleghi, il dibattito di oggi rappresenta il punto di arrivo di un lungo confronto, nonché di un'approfondita discussione svolta dalla Giunta delle elezioni nel corso di quest'anno. Dobbiamo dare atto al presidente Soro di aver gestito questa fase, così delicata, con equilibrio e serenità. Il Presidente Casini, per parte sua, ha assunto l'iniziativa, senz'altro opportuna, di imprimere un'accelerazione e di sollecitare una definizione della materia. D'altronde, le difficoltà sin qui incontrate dimostrano quanto sia difficile, da un punto di vista giuridico ma anche in termini politici, dare una risposta ad una situazione che non ha precedenti nella storia della nostra vita parlamentare.
Si tratta di una questione di diritto che non può essere risolta in termini di mediazione politica. Se le regole in corso d'opera diventassero oggetto di trattativa verrebbe meno tutta la nostra concezione dello Stato di diritto. Eppure, proprio perché deve trattarsi di una definizione giuridica e non politica, dovrebbe esserci una soluzione condivisa. Abbiamo lavorato con pazienza e con scrupolo per un anno intero alla ricerca di una soluzione che potesse raccogliere il più ampio consenso. Non abbiamo mai voluto far prevalere la logica delle scelte di maggioranza in materia di diritti e di garanzie: sul piano numerico sarebbe stato possibile dal primo giorno ed il vulnus sarebbe stato sanato; sul piano del costume politico sarebbe stato un errore. Crediamo in un rapporto fra maggioranza e opposizione sereno, fondato sulla contrapposizione, anche dura, sui programmi e sulle cose da fare, ma comunque basato su regole e valori democratici condivisi. Siamo nettamente contrari ad ogni logica consociativa, bensì crediamo nella lealtà reciproca, nelle comuni ragioni delle garanzie nello Stato di diritto. Dire questo non significa però che si possa escludere, in assoluto, in un organo di garanzia la possibilità di procedere a maggioranza. Se ogni organo collegiale dovesse procedere all'unanimità, sarebbe estremamente facile, per chi lo volesse, paralizzare lo stesso funzionamento delle istituzioni. E oggi saremmo
proprio noi, se non si addivenisse ad una soluzione, ad ostacolare il funzionamento dell'istituto parlamentare, continuando a privare dei loro rappresentanti i due milioni di cittadini, elettori della Casa delle libertà, e mantenendo una situazione di incertezza che condiziona negativamente i lavori della Camera.
Certo, il plenum non è un valore assoluto; vi sono casi nei quali, anche per periodi non brevissimi, la Camera opera senza plenum: per esempio, nell'ultimo anno della legislatura, nel caso un seggio si rendesse vacante non sono previste le elezioni suppletive. Ma si tratta di situazioni previste, normate dalla legge, che durano un tempo definito e che nessuno mette in discussione. Garanzia del plenum e garanzia della volontà dei cittadini rappresentano principi che non possono e non debbono essere contrapposti; la coerenza dell'impianto costituzionale non può essere messa in discussione. La scelta che la Giunta delle elezioni deve compiere è una scelta difficile, ma anche l'unica scelta coerente con la legge elettorale, con le ragioni del diritto, della Costituzione e anche del buonsenso. Ci siamo sforzati, nel silenzio o nell'ambiguità della legge, di tenere conto delle esigenze prospettate da più parti: esigenze talora confliggenti anche sul piano dei diritti.
La soluzione che oggi occorre adottare, certamente, scontenterà alcuni, magari anche per buone ragioni, ma la colpa non è certo nostra. Nessuno, tantomeno la Giunta delle elezioni, può prevedere norme con valore retroattivo.
Siamo costretti a procedere per via analogica e interpretativa; certo, non è così che vorremmo procedere, soprattutto in materia di diritto e di garanzie. La certezza del diritto costituisce il presupposto fondamentale di una democrazia occidentale alla quale siamo orgogliosi di appartenere. È un principio difficile da applicare in questo caso, ma una cosa è certa: qualsiasi soluzione che violasse o, peggio, capovolgesse la volontà degli elettori sarebbe totalmente illegittima.
Da qui l'impraticabilità di proposte di mediazione che, in queste settimane, sono state avanzate. Diamo atto, senz'altro, della buona fede e della buona volontà di chi ha tentato di costruire una soluzione condivisa, ma - è bene ripeterlo - nessuna mediazione politica può superare e annullare le regole del diritto.
Quindi, non rimane che procedere secondo l'unico criterio possibile: chi ha votato per la Casa delle libertà ha il diritto irrinunciabile e indisponibile ad essere rappresentato da parlamentari della Casa delle libertà.
FRANCESCO GIORDANO. Ma sono i voti di Di Pietro e di Cossutta!
GREGORIO FONTANA. È il solo criterio che tenga conto del collegamento interno al processo elettorale fra la lista di Forza Italia e lo schieramento presentatosi alle elezioni con il simbolo Casa delle libertà, Berlusconi Presidente.
In questo ambito, per analogia con la legge elettorale, vanno individuati i migliori candidati non eletti nei collegi.
FRANCESCO GIORDANO. Rispetta la legge!
ALFONSO GIANNI. È proprio vergogna!
GREGORIO FONTANA. Questa è la proposta che il collega Gazzara aveva formalizzato da mesi in seno alla Giunta delle elezioni, che Forza Italia condivide e che, soltanto su richiesta dei massimi leader dell'opposizione, finora, avevamo accettato di non porre in essere per cercare una soluzione condivisa. Ciò non è stato possibile, malgrado l'impegno di tutti; dunque, siamo rassegnati alle polemiche e alle contestazioni, ma la stessa cosa sarebbe accaduta qualunque soluzione avessimo proposto e, peggio ancora, se non avessimo individuato alcuna soluzione.
Forse, non solo legge elettorale, ma anche questo metodo di verifica e di proclamazione degli eletti meritano un supplemento di riflessione. A ciò siamo pienamente disponibili per il futuro ma,
oggi, dobbiamo fare i conti con queste regole. E sulla base di queste regole abbiamo ritenuto che rispettare la volontà degli elettori significhi rispettare il principio costituzionale e fondante della nostra democrazia.
È questa la prima volta che, in aula, si tiene un dibattito di questo tipo. Ritengo sia un dibattito utile se servirà anche ad avviare una riflessione di metodo utile per il futuro.
I cittadini si aspettano che noi, in quanto legislatori, si sia in grado di garantire prima di tutto il rispetto della loro volontà di elettori. È questo l'impegno comune che deve scaturire da questa vicenda ed è l'impegno che ha orientato il nostro lavoro nella Giunta delle elezioni fino a giungere, con serenità e senso di responsabilità, al risultato che oggi l'Assemblea è chiamata a valutare.
Su questa linea, crediamo di fare un buon servizio alle istituzioni, ai cittadini e alla democrazia (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
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