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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Giovanni Bianchi ed altri n. 1-00057 concernente la questione irachena (vedi l'allegato A - Mozioni sezione 2).
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicata in calce al vigente calendario (vedi il resoconto stenografico della seduta del 3 aprile 2002).
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione presentata.
È iscritta a parlare l'onorevole Bimbi, che illustrerà anche la mozione Giovanni Bianchi n. 1-00057, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.
FRANCA BIMBI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la mozione presentata in data 28 febbraio e che oggi appare ancora più attuale ha preso le mosse, per un verso, dalla preoccupazione di un'estensione unilaterale dell'operazione Enduring Freedom nell'area del golfo del Medio Oriente e, per altro verso, dalle ripetute dichiarazioni del Governo, per bocca del ministro degli affari esteri ad interim da noi valutate positivamente, che pretendono una preventiva messa a conoscenza dell'Italia delle ragioni di nuove possibili iniziative militari decise dagli Stati Uniti nell'ambito della lotta al terrorismo.
L'Italia ha espresso di recente (e ci sembra continui ad esprimere per bocca del più autorevole esponente del suo Governo) una vocazione che vuole essere attiva e non solo di principio nel trovare soluzioni diplomatiche per i conflitti che insanguinano il vicino ed il lontano oriente.
In questa prospettiva, la mozione si fa portavoce di proposte concrete, volte sia ad impedire che l'Iraq diventi un nuovo teatro incontrollabile di conflitto armato, sia a salvaguardare la vita e la salute delle popolazioni di quel paese dagli effetti delle sanzioni che, fino ad oggi, avrebbero causato più di un milione di morti, prevalentemente bambini.
Negli ultimi due mesi, la situazione nello scenario del Golfo appare notevolmente più a rischio, anche a causa dell'incendiarsi della questione israelo-palestinese, rispetto alla quale oggi emergono solo deboli prospettive di soluzione positiva, nel rispetto del diritto alla sicurezza di ambedue le popolazioni e della sovranità dei due Stati, l'uno effettivamente esistente (e la cui esistenza noi difendiamo fortemente) e l'altro, esistente di principio nelle convenzioni internazionali, che vorremmo vedere esistere nella sua definitiva sovranità.
Proprio in relazione a questi scenari di conflitti, circa dieci giorni fa Saddam Hussein ha annunciato di aver sospeso le esportazioni di petrolio per almeno 30 giorni. Si tratta - lo sappiamo bene - di una presa di posizione simbolica, dal momento che la risoluzione dell'ONU n. 661 del 1990, che impone l'embargo totale verso l'Irak, è stata solo mitigata dal 1996 dall'intesa petrolio contro cibo e, solamente entro questa intesa, si rende possibile per l'Iraq una limitatissima esportazione di greggio.
Una tale presa di posizione simbolica da parte del Governo iracheno deve tuttavia allertare la comunità internazionale - e quindi anche il nostro paese - a fronte di affermazioni di esponenti del dipartimento di Stato americano sulla necessità di procedere ad azioni militari contro paesi che si ritengono collegabili agli attentati dell'11 settembre, con particolare riferimento all'Iraq. Ad oggi, inoltre, l'aviazione americana ha violato - in quanto ha già violato, per quanto episodicamente - la no-flight zone, dove opera la difesa aerea irachena, in un'area a circa 250 chilometri da Baghdad. Noi siamo consapevoli dell'assoluta discutabilità delle posizioni politiche dell'Iraq e della sua non sostanziale assimilabilità ad una nazione e ad un regime di uno Stato democratico e della repressione anche feroce dei diritti umani degli oppositori e delle minoranze, in particolare delle popolazioni curde. Ricordiamo anzi che, ad oggi, solo in alcune zone protette dall'intervento diretto delle Nazioni Unite, è possibile, per le popolazioni curde, amministrare i loro territori, per la verità piuttosto bene, e vivere in pace; in altri territori non è così e questi riguardano sia l'Iraq che la Turchia e da questi territori si generano anche correnti migratorie di richiedenti asilo nel nostro paese. È anche a questo proposito che Kofi Annan ha sollecitato il Governo italiano ad un'attenzione nei confronti del rispetto del diritto di asilo per le popolazioni che si trovano in questa situazione.
Tuttavia, per quel che riguarda l'Iraq, ricordiamo che è un paese che ha combattuto il fondamentalismo di una parte dell'islam, che riconosce il pluralismo religioso in maniera effettiva, data anche la presenza di cristiani nel suo Governo, a cominciare dal Vicepremier.
Inoltre l'Iraq è oggi impegnato in una trattativa delicata con le Nazioni Unite per rivedere le sanzioni comminate dal 1990 ed infatti esso appare più disponibile, attraverso una trattativa di cui si è fatta tramite la Russia, a rivedere l'elenco dei prodotti acquistabili con le vendite di petrolio e per escludere quelli eventualmente utilizzabile a scopi militari.
Il Vicepremier iracheno Tarek Aziz, in gennaio, si era già detto favorevole al piano russo sulla base della risoluzione n. 687 del Consiglio di sicurezza dell'ONU, che prevede sia la ripresa delle ispezioni che la fine dell'embargo. A fronte di questa disponibilità da parte dell'Iraq hanno fatto seguito non velate minacce da parte di esponenti del Governo americano di massimo livello, intese a considerare l'Iraq quale possibile «Stato canaglia» che, per primo, potrebbe subire l'estensione delle operazioni militari antiterrorismo in maniera anche unilaterale rispetto ai propri alleati, nonostante che ad oggi non sia provato alcun collegamento tra la nazione irachena ed i tragici eventi dell'11 settembre e comunque considerando anche che le metodologie di lotta al terrorismo devono essere concertate con gli alleati, in considerazione dell'obiettivo di una pace duratura.
Consideriamo anche non secondario, per ciò che concerne le ragioni della nostra mozione, il fatto che il Governo di Baghdad abbia ufficialmente riconosciuto i confini del Kuwait e abbia accettato nel suo territorio per otto anni consecutivi, nonostante i conflitti e i problemi che ci sono stati, il lavoro degli ispettori aventi mandato ONU, mentre perdura ancora un embargo i cui effetti sono aumentati dalla crisi economica a causa degli impedimenti alla vendita di petrolio, effetti devastanti, di morte, sulla salute e sulla vita stessa delle popolazioni e che sono testimoniati da osservatori indipendenti come la Croce rossa internazionale e l'Organizzazione mondiale della sanità.
Teniamo anche conto che molti contratti sottoscritti da aziende italiane nell'ambito dell'intesa «petrolio per cibo» sono trattenuti on hold dalla commissione ONU, avendo il Consiglio di sicurezza prorogato in via automatica e provvisoria le sanzioni contro l'Iraq dopo l'11 settembre, il che poteva essere comprensibile allora, ma forse non è più sostenibile oggi. In questo scenario, dunque, le preoccupazioni per una pace già così fortemente compromessa, dall'Afghanistan all'area israelo-palestinese, ha spinto alcuni paesi
europei a compiere passi concreti, attraverso l'apertura a Baghdad di rappresentanze diplomatiche, affinché si lavori per scongiurare il rischio di un ulteriore estendersi del conflitto armato nel golfo.
Dunque, la presente mozione intende impegnare il Governo italiano ad approfondire la sua azione diplomatica, a continuare, quindi, sulle linea delle intenzioni espresse per perseguire l'obiettivo del mantenimento della pace, soprattutto di costruzione delle condizioni per una pace realmente duratura, sollecitando a ciò sia l'Europa che gli alleati americani, sostenendo a tal fine l'azione mediatrice della Russia, ma anche procedendo ad interventi formali in sede ONU, anche a tutela di interessi geopolitici ed economici del nostro paese. Per queste ragioni, con questa mozione vogliamo impegnare il Governo ad avanzare alla competente commissione ONU una formale richiesta di sblocco dei contratti firmati con l'Iraq e trattenuti on hold indebitamente, a tutela degli interessi nazionali; a procedere, come hanno già fatto altri paesi, fra i quali la Spagna, a formalizzare una rappresentanza diplomatica a Baghdad, primo passo per la reale efficacia di un lavoro diplomatico; ad accertare in sede ONU lo stato delle ispezioni interrotte e a valutare le ragioni per le quali non furono concluse (si tratta di uno dei punti più controversi e delicati tra l'Iraq e le Nazioni Unite e, quindi, la comunità internazionale); ad avanzare formale richiesta alle Nazioni Unite per un esame conclusivo dell'embargo verso l'Iraq, fissando una data per la sua cessazione; ad adottare in sede europea, già nel semestre di presidenza spagnola, un'iniziativa per definire una posizione comune sulla questione irachena.
Si tratta di impegni che ci paiono assolutamente in linea anche con le prese di posizione del ministro degli affari esteri ad interim e che vogliono offrire, da parte dell'opposizione, un concreto contributo per compiere passi effettivi in direzione di una pace duratura e, soprattutto, di una non estensione dei conflitti armati (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sereni. Ne ha facoltà.
MARINA SERENI. Signor Presidente, colleghi, credo che dobbiamo ringraziare l'onorevole Giovanni Bianchi, l'onorevole Bimbi e gli altri firmatari di questa mozione per aver voluto riproporre alla nostra attenzione la questione dell'Iraq. Si tratta di un tema del quale il nostro Parlamento, il Parlamento europeo ed altri organismi internazionali si sono più volte occupati in questi anni, in particolare dalla guerra del golfo ad oggi, a testimonianza di un'attenzione necessaria da parte della comunità internazionale verso un paese attraversato da gravi conflitti e tensioni, al centro di un'area strategica dal punto di vista geopolitico.
Nel merito delle problematiche proposte dalla mozione vorremmo qui sottolineare solo alcuni punti essenziali. Il primo riguarda il giudizio sul regime del Governo di Saddam Hussein. Non credo ci siano tra noi dubbi sul fatto che siamo di fronte ad un Governo antidemocratico, che si è reso responsabile di gravi e massicce violazioni dei diritti umani. Basta pensare alla persecuzione della popolazione curda del nord, della popolazione shia del sud e degli abitanti delle paludi nella Mesopotamia meridionale. Basta pensare agli arresti arbitrari e alle uccisioni degli oppositori politici, all'uso di armi di distruzione di massa contro i gruppi di opposizione.
Stiamo parlando di un Governo che, per questi fatti, è stato più volte, e giustamente, condannato dalle Nazioni Unite. Stiamo parlando di un Governo le cui scelte e i cui comportamenti hanno rappresentato una minaccia alla stabilità regionale e alla sicurezza. Stiamo parlando di un regime che si è autoisolato dalla comunità internazionale, provocando in questo modo tanti lutti e sofferenze alle sue popolazioni, ma stiamo anche parlando di un paese in cui, negli ultimi 11 anni, centinaia di migliaia, forse milioni, di bambini, sono morti a causa di un embargo che, lungi dall'indebolire il regime, ha prodotto una vera e propria emergenza umanitaria.
Riteniamo sia un dovere urgente della comunità internazionale tornare a riflettere criticamente sugli effetti devastanti
che le sanzioni economiche hanno procurato e stanno procurando alle popolazioni civili irachene. L'embargo si è dimostrato completamente inefficace verso il Governo e terribilmente pesante per le popolazioni.
L'obbiettivo di esercitare pressioni sul Governo iracheno tali da modificare le sue politiche e quello di erodere il consenso verso Saddam Hussein non sono stati affatto raggiunti. Anzi, per molti versi, l'embargo ha alimentato spinte nazionalistiche e rafforzato la figura di Saddam Hussein come interprete di un'orgogliosa reazione alle pressioni internazionali.
Sono invece drasticamente peggiorate le condizioni di vita, economiche, sociali e sanitarie dei bambini, donne e anziani, nonostante le iniziative della comunità internazionale volte a mitigare parzialmente gli effetti delle sanzioni.
La popolazione irachena - in particolare i più piccoli ed i più indifesi - si è trovata così ad essere due volte vittima: delle politiche autoritarie repressive del Governo e dell'embargo imposto all'Iraq. Per queste ragioni, non possiamo che condividere la proposta di chiedere al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di definire la fine dell'embargo, l'abolizione della maggior parte delle restrizioni al commercio e agli investimenti, esclusi quelli di natura militare.
Siamo tra quanti considerano auspicabile un cambiamento di Governo in Iraq. Crediamo, infatti, che soltanto in questo modo sarà possibile, per il popolo iracheno, avere democrazia, rispetto dei diritti umani, prosperità. Un Governo democratico che torni a far parte pienamente della comunità internazionale aprirebbe per l'intera regione una prospettiva di cooperazione, di sicurezza e di stabilità. Siamo, tuttavia, convinti del fatto che un tale obiettivo possa essere raggiunto soltanto attraverso mezzi pacifici e strumenti civili.
Sostenere e supportare le forze che in Iraq si battono per la democrazia; attuare misure che rafforzino la società civile irachena; ricercare un'adeguata soluzione politica alla questione curda; intraprendere azioni di sostegno verso la diaspora irachena nella regione: è questa la strada che riteniamo debba essere seguita oggi dalla comunità internazionale con tenacia e determinazione.
Ancora ieri, il tragico incidente di Milano ha riportato agli occhi e alla mente di ognuno di noi le orrende immagini dell'11 settembre. A sette mesi da quel terribile evento, non diminuisce in noi l'impegno senza tentennamenti a combattere e a contrastare il terrorismo internazionale in ogni sua manifestazione. Siamo, tuttavia, convinti che la legittima e necessaria lotta al terrorismo non possa e non debba assumere l'uso indiscriminato della forza militare quale strumento ordinario di risposta alla barbarie del terrorismo. Per questo siamo stati e siamo contrari ad un'immotivata estensione dell'operazione Enduring Freedom. Anche per queste ragioni, dunque, condividiamo l'auspicio, la richiesta presenti nella mozione, affinché si arrivi ad una maturazione di una posizione comune europea sulla situazione in Iraq.
Presidente e colleghi, le brevi considerazioni sin qui svolte credo abbiano chiarito l'interesse e la sostanziale condivisione del gruppo dei Democratici di sinistra per le proposte avanzate nella mozione, in particolare nei punti del dispositivo. Al tempo stesso, anche in considerazione della complessità degli argomenti in discussione e della loro straordinaria attualità, poiché consideriamo auspicabile un'espressione positiva del Parlamento su punti essenziali della questione, ci permettiamo di chiedere ai proponenti la disponibilità a raccogliere le sottolineature e le considerazioni che emergeranno complessivamente da questo dibattito (Applausi).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali della mozione.
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