TESTO AGGIORNATO AL 15 APRILE 2002
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PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rizzo. Ne ha facoltà.
MARCO RIZZO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, su questo tema, se interpellassimo gli italiani appellandoci al loro senso comune, credo risponderebbero che si tratta di una situazione di scarsa importanza, di scarso rilievo. Provate, proviamoci! Molti sono gli italiani non interessati a questa vicenda (essi sostengono che ormai sono trascorsi cinquant'anni). Ritengo che la maggioranza di questo Parlamento si voglia appropriare di tale senso comune, al fine di attuare un processo di revisione della storia italiana. Un processo di revisione che ha, nella assoluzione delle colpe e delle enormi responsabilità della casa Savoia nei confronti dell'avvento del fascismo, delle leggi razziali e della guerra in cui l'Italia è stata trascinata, una responsabilità oggettiva molto importante.
Questo revisionismo attraversa tutta l'Europa e, dunque, anche il nostro paese, ed è uno dei motivi principali per cui i Comunisti italiani e le altre forze della sinistra si oppongono al rientro in Italia degli eredi di casa Savoia. Ma non è solo questo che ci accomuna al rifiuto. Vi è un aspetto costituzionale, poiché la norma, cosiddetta transitoria e finale, è più da ritenersi - e lo hanno dimostrato anche insigni costituzionalisti - finale che non transitoria. Inoltre, vi è un punto di principio molto importante: stiamo applicando una norma, con riferimento a delle persone fisiche che accettano di entrare in Italia riconoscendo la Costituzione ma che non dismettono il ruolo di sovrani, ossia di persone diverse dagli altri. Credo che questo punto di principio sia assolutamente inaccettabile. Tutti i cittadini, tutte le persone sono uguali. Non vi è qualcuno con il sangue blu e qualcun che è sovrano per diritto divino. Questo è un punto di principio in base al quale i Comunisti italiani sono contrari al rientro di queste persone.
Infine, vi è un punto di valutazione su chi siano queste persone. Li abbiamo visti. Non li vedete, cari colleghi, nel disprezzo per la democrazia, per il Parlamento? Si vede benissimo che hanno il solo interesse di rientrare e per questo mero interesse cercano di obnubilare, di cancellare, il loro disprezzo - io dico - per la democrazia italiana, per il Parlamento e per l'Italia intera.
Credo, quindi, che dovremmo lanciare un piccolo segnale. Mi rivolgo, se non a tutto il Parlamento, perlomeno gli uomini e alle donne del centrosinistra. Perché dobbiamo votare favorevolmente? Perché non dobbiamo lanciare un piccolo segnale che probabilmente non coglie l'attenzione di tutto il paese (perché giustamente l'attenzione del paese, nella stragrande maggioranza dei cittadini, è legata ai temi concreti del lavoro, della sanità, della scuola)? Perché nella politica non possiamo lanciare un segnale, uomini e donne del centrosinistra, votando contro quest'atto di revisionismo storico che incrina la storia del nostro paese? Perché non vogliamo fare ciò? Possiamo ancora. Riflettete, compagni ed amici, su questo voto. Noi, Comunisti italiani, saremo fortemente contrari (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole D'Alia. Ne ha facoltà.
GIAMPIERO D'ALIA. Signor Presidente, il gruppo parlamentare dell'UDC (CCD-CDU) annuncia il voto favorevole alla proposta di modifica della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione (determinante la sospensione o la cessazione dei commi primo e secondo della stessa).
Si tratta, infatti, di disposizioni anacronistiche e non più in linea con più di cinquant'anni di storia democratica e repubblicana del nostro paese. Non si tratta, per noi, di un voto che comporta una revisione del giudizio storico, politico o culturale: il nostro giudizio sul ruolo della monarchia nella storia del paese è noto sia con riguardo al Risorgimento e all'unità d'Italia sia con riguardo alle responsabilità di casa Savoia nella perdita delle libertà fondamentali e durante la seconda guerra mondiale.
Noi riteniamo che il voto diretto a far cessare gli effetti dei primi due commi della XIII disposizione transitoria e finale chiuda definitivamente una pagina della storia d'Italia, affidi definitivamente al dibattito storico e culturale il giudizio sul ruolo della monarchia nel nostro paese e rafforzi la democrazia repubblicana e parlamentare. Riteniamo indispensabile che la questione del rientro dei Savoia in Italia venga sottratta al confronto politico, proprio perché crediamo che una democrazia matura come la nostra debba avere occasioni di confronto diverse, su questioni ancorate ai problemi presenti e futuri del paese e non resti avvitata e divisa, invece, da giudizi diversi sul passato.
Il voto favorevole del gruppo parlamentare dell'UDC (CCD-CDU) non obbedisce, pertanto, ad un atto di generosità o di clemenza né all'esigenza di alcuni di legittimare pagine poco felici della storia italiana: è un gesto che, diversamente, muove dall'esigenza di prendere atto che un periodo della storia del nostro paese si è concluso (e che tale conclusione venga certificata). Senza enfasi, senza grandi clamori, sottraiamo al dibattito politico un tema non più attuale, servito soltanto ad alimentare la divisione tra le forze politiche, in onore di un periodo storico che - grazie a Dio ed alle forze politiche democratiche e repubblicane del nostro paese - si è definitivamente concluso (Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC (CCD-CDU) e di deputati del gruppo di Forza Italia)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente, noi voteremo contro.
Ci è stato chiesto, nel corso di questo dibattito, di perdonare e di essere libertari. Ma questo atteggiamento ci fa pensare alla scena in cui, nel film Il grande dittatore (splendidi il film e l'interpretazione!), Chaplin gioca soavemente con il mappamondo, prendendolo delicatamente a calci. A me pare che la stessa cosa si stia facendo, qui, con la Costituzione, il cui impianto, che è religione civile e cemento della comunità, viene preso soavemente, spensieratamente, delicatamente a calci, proprio come faceva Chaplin.
Io credo che si stia sottovalutando il voto che ci accingiamo ad esprimere. Noi non siamo cinici, non siamo contrari per ragioni che confliggono con quelle umane o umanitarie (mi riferisco all'invito, rivoltoci nel corso del dibattito di stamani, di votare a favore in ragione del fatto che siamo libertari). Noi siamo per l'abbattimento reale delle frontiere! L'ha già detto il nostro capogruppo: per noi, i Savoia potrebbero entrare nel paese, da cittadine e cittadini comuni, allo stesso modo di tutte le donne e gli uomini che sfidano la morte, ogni giorno, nelle «carrette del mare», perché nulla hanno che appaia loro più desiderabile della deriva.
Perciò, la contraddizione non è nostra, ma, semmai, di Berlusconi, di Bossi, di Fini e della tremenda legge xenofoba che essi vogliono far approvare da questo Parlamento! Secondo costoro, Emanuele Filiberto e Vittorio Emanuele possono entrare, mentre gli Alì, i Mustafà, i Pedro e i Francisco, invece, non possono.
Ma la nostra sensazione è che qui non stiamo discutendo solo di buonismo, come ha detto un collega, né di perdonismo; non significa nulla che per la democrazia i Savoia non siano più pericolosi (tento di discutere i singoli argomenti posti nel dibattito questa mattina). Noi crediamo, invece, che si stia ponendo in essere una colossale e pervasiva operazione di pedagogia di massa di tipo revisionistico. Non sto alludendo alla nostalgia del passato, ma ad un'operazione revisionista contemporanea. Quando, infatti, colleghe e colleghi, la democrazia si irrigidisce gerarchicamente verso l'alto, quando le pulsioni plebiscitarie frantumano la paziente e laboriosa narrazione delle regole dello Stato di diritto, travolgendo equilibri, pesi e contrappesi, quando si veleggia verso la torsione della tirannia della maggioranza, verso approdi presidenzialisti, anche il rientro dei leggiadri signori Savoia viene bene, porta acqua al mulino delle controriforme costituzionali, tese a ristrutturare solo lo scettro del principe, non ad organizzare il conflitto e la dialettica democratica.
Il revisionismo storico è, in questo caso, ancora un veleno mortale che colpisce le strutture sociali, che indebolisce il patto civile, il patto costituzionale, quella vera e propria religione civile su cui è nato il contratto repubblicano. Travolta la Resistenza, messi sullo stesso piano partigiani e ragazzi di Salò, ora vi apprestate a votare il rientro dei Savoia e cadrà, anche formalmente, a poco a poco, giorno dopo giorno, la discriminante antifascista. La maggioranza di centrodestra, con una incomprensibile e gaia responsabilità di tanta parte del centrosinistra - certo non di tutti parlamentari, e li ringraziamo di essere con noi in questa battaglia - mutilerà la nostra nazione, il nostro popolo della sua memoria storica.
Qui non stiamo parlando, come diceva un collega del centrosinistra prima, dell'istituto giuridico della democrazia ateniese, dell'ostracismo, e nemmeno dell'esilio; essi avevano altri presupposti ed altre strutture. Qui stiamo parlando di un'operazione di revisione della nostra Costituzione repubblicana tesa a riscrivere la storia, la temperie storica del nostro paese, l'ethos su cui si è costruita la ribellione, l'indignazione, si è ricostruita la civiltà del nostro paese dopo il secondo conflitto mondiale. Infatti, la statualità unitaria italiana è, tutto sommato, molto recente; parliamo della metà dell'800 (non stiamo in Francia). Lo spirito repubblicano, ancora tutt'oggi in formazione, è oggi anche estenuato dal federalismo liberista e dalla spinta secessionista leghista. Il rientro dei Savoia rischia di metterlo ancor più in crisi, rischia di fiaccarlo ancor di più. Rischiamo di diventare un popolo giovane - come dicono gli storici statunitensi -, un popolo giovane mutilato della sua memoria, alienato nella scissione, nella sconnessione tra stratificazione della sua storia sociale e l'impianto costituzionale.
Diceva un collega poco fa: ma insomma, è da temere l'autoritarismo di Berlusconi, uomo solo al comando, non certo la famiglia Savoia. Ecco il punto, detto volgarmente e facilmente, che ci distingue: noi crediamo che il rientro dei signori Savoia sia funzionale alla tendenza al regime Berlusconiano, ne crea il clima, ne fertilizza il terreno, crea il contesto intellettivo e psicologico di massa. Abbiamo la testa rivolta ad un futuro, quindi, non al passato, perché attraverso i signori Savoia si dipana una vera e propria eterogenesi dei fini. Berlusconi sa quello che fa; il centrosinistra, che vota il rientro, evidentemente non lo sa, prende un ennesimo abbaglio.
Vorrei passare ad un secondo argomento, e chiudo. Già il nostro capogruppo Franco Giordano prima ha illustrato quanto e che cosa debba restare nella coscienza del paese della dinastia dei Savoia. L'8 settembre del 1943 rappresenta una cesura storica nella coscienza collettiva del paese, la bancarotta del potere reale; non è un'astrazione istituzionale, è invece una fellonia segnata nelle carni di 600 mila soldati dell'esercito italiano, di cui 40 mila non sono tornati più dai campi di concentramento tedeschi. Quella dei Savoia è una complessità storica fatta
anche di ignominie. Un collega ha detto: ma il periodo risorgimentale dei Savoia è buono. Evidentemente, quel collega dimentica la campagna militare fatta tra il 1861 e il 1864 contro le rivolte sociali. Furono fucilate decine di migliaia di contadini meridionali. La stampa inglese scrisse che la crudeltà delle repressioni dei Savoia superava quella del periodo del Terrore in Francia. Vittorio Emanuele di Savoia la definì una guerra «santa e breve» (questo Bush del passato!).
Vogliamo in seguito ricordare le guerre coloniali e le repressioni sistematiche contro il movimento operaio? La memoria va a quegli atroci cannoni di Bava Beccaris che falcidiarono i lavoratori di Milano. La memoria va alle centinaia di migliaia di meridionali mandati a marcire, come carne da macello, nelle aspre e inospitali trincee alpine. È inutile, poi, ricordare - perché più noto - come e quanto si mescolarono tricolore sabaudo e gagliardetti fascisti.
Anche ora, parlando dell'attualità, proprio in questi giorni una campagna poco credibile e sgangherata, ma non per questo meno ostinata e forsennata, solo perché ci opponiamo alle politiche del Governo Sharon, accusa di antisemitismo noi, che ci sentiamo figli dell'ebreo Karl Marx e che sentiamo Auschwitz come discrimine storico di etica e di civiltà. Mentre, nel frattempo, rientra in Italia chi non si è mai pentito ufficialmente e ufficiosamente delle infami leggi razziali; d'altro canto, si mescolerà in Italia con forze politiche che hanno ancora, nonostante recentissime e superficiali abiure - perché non basta sciacquare qualche panno nell'acqua di Fiuggi -, giustificazioni e mille reticenze nei confronti delle leggi razziali. Ecco: siamo al paradosso! Ma, come sappiamo, molto spesso il paradosso è l'estrema verità.
Per questi motivi voteremo contro tale provvedimento.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Guido Giuseppe Rossi. Ne ha facoltà.
GUIDO GIUSEPPE ROSSI. L'abrogazione di fatto della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione - si tratta infatti di un'abrogazione di fatto e non di tipo formale, visto che rimangono, a nostro avviso giustamente, a futura memoria storica il primo e il secondo comma di tale disposizione - ripropone il dibattito e la lettura di ciò che è stato il processo di unificazione dello Stato nazionale, delle sue vicende, delle sue luci e delle sue ombre. Per questi motivi il dibattito sul rientro dei Savoia assume connotazioni tipicamente politiche, perché rappresenta un momento di analisi storica delle vicende di questo paese e delle scelte fatte delle classi dirigenti. Questo aspetto non può essere sottaciuto; non si tratta, infatti, solamente di consentire a dei cittadini europei di potere entrare nel nostro paese, abrogando una disposizione che poteva avere un senso oltre cinquant'anni fa, ma che oggi, alla luce della mutata situazione storica e della creazione di uno spazio comune europeo, appare anacronistico mantenere. Si tratta, bensì, di un'occasione per leggere e rileggere la nostra storia.
Allora, se questa è un'occasione per riflettere, nel contesto di un'azione politica e governativa che ovviamente ha la precedenza nei desideri dei cittadini (che vogliono una risposta sui temi del lavoro, del fisco e dell'immigrazione), non possiamo lasciar perdere tale occasione.
Vediamo, dunque, come storicamente all'interno di casa Savoia, dopo un dibattito iniziato nei primi decenni dell'800 all'interno di una parte della nobiltà piemontese che voleva una soluzione di tipo interno (con un Piemonte che poteva diventare una sorta di piccolo Belgio nel contesto continentale), vinse e si impose una scelta di espansionismo italiano. Dunque, la casa Savoia scelse in quegli anni un'operazione di espansionismo territoriale, che almeno nella sua fase progettuale non contemplava l'unificazione di tutta la penisola, bensì si limitava ad una soluzione di tipo Padano, comprendente cioè solamente l'Italia del Nord.
Una lettura meno retorica e più realisticamente storica del periodo risorgimentale mette in luce come la classe dirigente piemontese, Cavour in testa, non conoscesse la realtà centromeridionale dell'Italia, la sua complessità socio-economica, la sua diversità culturale, la sua non omogeneità politica ed amministrativa rispetto all'esperienza del regno di Sardegna o del Lombardo-Veneto, più vicina a modelli continentali francesi o mitteleuropei. I Savoia, perciò, furono i catalizzatori della volontà di una parte della borghesia emergente italiana che, sulla scia di ciò che avveniva nel resto d'Europa, ambiva ad unificare, per motivi sostanzialmente economici, l'Italia. Essi ne furono i catalizzatori ed i realizzatori, con metodi probabilmente sbagliati, basati sull'azione militare, sulla conquista, su un'organizzazione di stampo centralistico, prefettizio, napoleonico: un modello che poteva avere effetti positivi in situazione di rigore ed efficienza amministrativa, molto meno se innestato su tradizioni e culture che, basandosi sulla molteplicità delle espressioni culturali locali, facevano si che esso si traducesse solamente in oppressione burocratica.
Il prezzo pagato dalle popolazioni del regno sardo, in primis i piemontesi, fu spaventoso: ferme militari decennali, guerre su guerre, intere generazioni falcidiate, uno Stato relativamente florido che sbanca le sue casse e si ritrova a fare i conti con una pressione fiscale insostenibile e con una emigrazione che assunse caratteri biblici. La repressione militare dei moti di Torino, quando nel 1864 si spostò la capitale del regno a Firenze, ed i primi 120 morti, fu l'esempio devastante e significativo di come il nascente Stato italiano si poneva rispetto alle manifestazioni popolari. Lo stesso sanguinoso schema si ripeté, come è stato ricordato dai colleghi, con la repressione attuata dal generale Bava Beccaris nei confronti dei moti popolari socialisti di fine 800 a Milano e, inoltre, con l'azione di contrasto al brigantaggio meridionale: migliaia di morti, una concezione autoritaria che il revisionismo meridionalista ha descritto, e riscritto, come lotta di resistenza ad unità imposta e poco vissuta.
In questo clima, che preferì uno sbocco centralista ed autoritario piuttosto che una visione federalista e partecipativa, si forma la nostra debole identità nazionale italiana, identità italiana minata - per alcuni decenni dopo l'unità - dalla dura opposizione cattolica, che in certi frangenti si saldò con le nascenti istanze dei movimenti popolari e socialisti rispetto alla vittoria del progetto liberale e laico. Forse, in questa debolezza, a cui il fascismo cercò di rimediare con robuste dosi di retorica nazionalista, si possono ricercare le basi delle incredibili manifestazioni di antitalianità da parte di chi (vedi centrosinistra) si ritrova al salone del libro di Parigi, piuttosto che in altre sedi europee, a devastare l'immagine del paese perché una coalizione politica di segno opposto ha vinto le elezioni.
L'atteggiamento tenuto dalla monarchia nel periodo del fascismo è già stato oggetto di analisi nei precedenti interventi. Da quella situazione politica discese la necessità e la volontà di introdurre nella Costituzione la disposizione sull'esilio, ad un tempo giudizio sull'azione politica della monarchia e, contemporaneamente, azione di tutela rispetto ad una Repubblica ancora fragile, uscita devastata ed umiliata dal conflitto mondiale, alle prese con il pericolo di una galassia comunista che, se non nell'apparato partitico, in alcune frange coltivava ancora il mito della continuazione della guerra partigiana come mezzo per realizzare la rivoluzione socialista.
In conclusione, il gruppo Lega nord Padania si asterrà su questo provvedimento, in linea con quanto già accaduto in Senato. Si tratta di un'astensione che, come già ricordato, non oppone alcuna resistenza al rientro dei discendenti di casa Savoia, intesa come vicenda individuale e personale; si tratta, però, di un'astensione correlata al giudizio storico che il nostro movimento, sempre in prima fila nel rivendicare posizioni e linee di pensiero capaci di scardinare e di mettere
in discussione il conformismo tipico della classe politico-intellettuale italiana, dà sul processo di unificazione nazionale.
Il nostro movimento - che affonda le proprie radici e che rinviene le proprie motivazioni ideologiche e ideali nella continuazione delle idee di federalismo, di libertà, di autonomia, di attenzione alle identità regionali le quali già registrarono nel periodo risorgimentale alcune voci, anche se isolate - con questo voto di astensione vuole significare la propria coerenza, la propria volontà di essere, sempre e comunque, espressione degli interessi e delle libertà dei popoli padani (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Collè. Ne ha facoltà.
IVO COLLÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la norma che ci accingiamo a votare, concernente l'abrogazione dei primi due commi della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione, che impediscono ai discendenti maschi di casa Savoia il libero accesso nel territorio italiano, rappresenta una conquista di civiltà e di buonsenso. Come presentatore di un disegno di legge avente il medesimo oggetto, ritengo che non potrebbe essere diversamente, oggi che l'Italia ricopre un ruolo importante nella Convenzione europea.
Precisato che non si tratta di un giudizio sulla responsabilità storiche dei regnanti di casa Savoia, vorrei svolgere alcune considerazioni in merito a questa scelta. Abbiamo corso il rischio di vedere risolto il problema in sede di contenzioso europeo, mancando l'occasione di esercitare un diritto nella sovranità esclusiva del Parlamento.
Questo provvedimento, al quale in questa legislatura si è data una giusta accelerazione, rappresenta una sostanziale posizione di buon senso, anche alla luce delle dichiarazioni e prese di posizione con le quali i discendenti di casa Savoia riconoscono la Repubblica italiana.
Infine, come parlamentare della Valle d'Aosta, non posso non rammentare e rappresentare oggi il rapporto che ci lega a casa Savoia, un rapporto che dura da secoli, durante i quali i Savoia hanno sempre manifestato grande attenzione per la causa valdostana e hanno più volte riconosciuto con atti concreti la specificità della nostra regione e del nostro popolo.
Il voto di oggi è una decisione attesa e una scelta di libertà che deve essere testimonianza della maturità e del solido radicamento delle istituzioni nel nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Minoranze linguistiche).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, ho già ricordato nel mio intervento sul complesso degli emendamenti che il testo che ci accingiamo a votare e a favore del quale voterò riproduce sostanzialmente la proposta che nella scorsa legislatura il Governo, allora rappresentato dal sottosegretario professor Ernesto Bettinelli esponente dei Verdi all'interno dell'esecutivo, aveva prospettato a quest'Assemblea. Tale proposta prevedeva non l'abrogazione del primo e secondo comma della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione riguardante i Savoia ma, anzi, la conferma nella Costituzione di questa disposizione e la cessazione della sua efficacia a partire da una data che andava determinata già nella scorsa legislatura.
All'inizio di questa legislatura, con una proposta di legge costituzionale, ho riproposto il testo a favore del quale in quest'aula nella scorsa legislatura votammo a grandissima maggioranza. Si tratta di un testo che proponeva di inserire nella XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione un comma aggiuntivo che ne prevedesse la cessazione dell'efficacia. A tal proposito, avevo anche proposto - come ho già ricordato - la data del 2 giugno 2002. Infatti, il 2 giugno ricorre la
festa della Repubblica e l'anniversario del referendum istituzionale con cui la maggioranza dei cittadini, donne e uomini, per la prima volta, nel 1946, decretarono la fine della monarchia nel nostro paese e l'introduzione del regime repubblicano che, dal primo gennaio del 1948, ossia dall'entrata in vigore della Costituzione, è consacrato nell'ultimo articolo della Costituzione, l'articolo 139, che recita che la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.
Ho già detto - e lo ripeto in questa circostanza conclusiva - che, se fossero state presentate in quest'aula le proposte di legge che prevedevano, tutte eccetto una, l'abrogazione dei due primi commi della XIII disposizione, avrei votato contro tale abrogazione. Infatti, è giusto che quei due commi rimangano in Costituzione a perenne memento delle responsabilità storiche della monarchia dei Savoia nelle vicende che hanno riguardato l'avvento al potere del fascismo, la costruzione dello Stato totalitario e la soppressione di tutte le libertà democratiche nel nostro paese, le infami leggi razziali contro gli ebrei del 1938, l'entrata nella seconda guerra mondiale nel 1940 dell'Italia a fianco dei nazisti, la fuga dei Savoia dopo l'8 settembre e la dissoluzione dello Stato. Tali responsabilità dei Savoia rimangono perennemente scolpite nella storia del nostro paese, nella coscienza dei nostri cittadini e non possono venir cancellate in alcun modo.
Noi, oggi, compiamo un atto di maturità democratica, di responsabilità costituzionale, di responsabilità repubblicana nel momento in cui, a 54 anni dall'entrata in vigore della Costituzione, ed a 56 anni dal referendum istituzionale, decidiamo che il primo ed il secondo comma della XIII disposizione finale della Costituzione esauriscano i loro effetti dal giorno dell'entrata in vigore della presente legge costituzionale.
MARCO BOATO. È bene che questa decisione la assuma il Parlamento repubblicano e che non ci venga, eventualmente, imposta dall'esterno dalla Corte di giustizia europea, come altrimenti sarebbe possibile. È bene che compiamo questo atto di responsabilità democratica. Ciò non soltanto non attenua - ripeto - il giudizio pesantemente negativo sulle responsabilità storiche dei Savoia in tutta la vicenda riguardante l'avvento al potere del fascismo conclusasi con la dissoluzione dello Stato dopo l'8 settembre, ma, semmai, sottolinea la forza della nostra democrazia, la forza della nostra Repubblica, la consapevolezza che i cittadini italiani nulla hanno da temere, oggi, da questa decisione che responsabilmente assumiamo (Applausi del deputato Saponara).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Montecchi. Ne ha facoltà.
ELENA MONTECCHI. Signor Presidente, questo voto è il frutto di una discussione approfondita, che ha avuto accenti anche particolarmente diversi, svoltasi sia nella passata legislatura, sia in questa. Tale discussione ha risentito in modo rilevante dell'uso della storia come clava nella battaglia politica attuale.
Hanno pesato, per noi, alcuni elementi. Mi riferisco, in particolare, ai maldestri tentativi di proporre una lettura della storia del primo cinquantennio del novecento tesa ad occultare e a edulcorare responsabilità storiche della monarchia per quanto riguarda il suo rapporto con il fascismo. Hanno pesato anche le diverse valutazioni sulle deliberazioni dei nostri padri costituenti che decisero, durante una fase drammatica per la vita politica e civile degli italiani, quale fu il periodo intercorso tra il 1946 e il 1948, di salvaguardare la neonata e fragile Repubblica italiana non solo attraverso la salvaguardia dell'impossibilità di rivedere la forma repubblicana, ma anche con la sanzione dell'esilio attraverso la XIII disposizione transitoria. È anche grazie alla decisione avvenuta in quella fase che possiamo dire, oggi, che anche i più beceri tentativi di revisionismo della storia d'Italia non mettono
in questione mai la forma repubblicana.
Si tratta di tentativi che - lo voglio dire a molti colleghi che sono intervenuti in sede di dichiarazione di voto - devono combattere non solo la politica ma anche la cultura e la società italiana. In questa sede siamo chiamati ad esprimere un giudizio politico perché un Parlamento non è mai un tribunale della storia, anche se il dibattito politico non può prescindere da fermi giudizi sui passaggi storico-politici di una Repubblica.
In questi cinquant'anni ha vinto la Repubblica, essa è parte della coscienza e della cultura di intere generazioni e tutto ciò lo dobbiamo ai nostri padri costituenti che assunsero il coraggio politico e morale di rappresentare un'Italia divisa, lacerata ed insieme affamata di futuro: quel futuro è stato un futuro repubblicano, con le sue luci e le sue ombre.
Era un'Italia che aveva memoria di ciò che la dinastia Savoia aveva rappresentato con i suoi silenzi a partire dal 1922. Quelle classi dirigenti costituenti assunsero una decisione difficile ma lo fecero anche in relazione al fatto che la Repubblica era uscita vincente da un referendum contestato e di questo, politicamente, dobbiamo ringraziarli.
Il severo giudizio, comune ed unanime, di tutto il gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo sulla responsabilità della casa Savoia e le valutazioni altrettanto unanimi e positive sulla decisione dei costituenti di varare la XIII disposizione non ci impediscono di considerare oggi, in virtù della forza della Repubblica italiana, la necessità di porre termine al limite temporale dell'esilio, inteso come misura di sicurezza politica: dunque, consideriamo l'utilità del superamento degli effetti della XIII disposizione.
Esprimeremo il nostro voto favorevole a larghissima maggioranza, anche se nel mio gruppo, così come negli altri - e tra questi, come è accaduto al Senato, anche componenti della maggioranza di Governo -, vi saranno colleghi che esprimeranno un voto contrario al provvedimento al nostro esame. A mio parere, il voto favorevole al provvedimento in esame rafforza lo spirito repubblicano e i valori costituzionali. Tuttavia, siamo consapevoli che nel nostro paese permangono tra le forze politiche grandi ambiguità sulle valutazioni circa la storia passata e rispetto all'identità nazionale e, in questa sede, lo abbiamo sentito anche ora da parte del rappresentante della Lega nord Padania.
L'Europa e il diritto europeo non possano essere richiamati solo per ricordare, giustamente, che gli eredi Savoia sono cittadini con tutto il loro corredo di libera circolazione stabilito dalle Convenzioni internazionali. Non si può usare l'argomento Europa soltanto in questa occasione perché nel Governo italiano ci sono ministri che, quotidianamente, dipingono l'Europa come nemica degli italiani e dei cittadini europei. Ci sono ministri che hanno messo in discussione la dimensione simbolica di una nazione, cioè la bandiera nazionale, che è l'espressione della storia pluralistica di questo paese; così come è accaduto recentemente, senza che alcuno avesse un moto di indignazione, che il ministro Tremaglia - dimenticando, forse, il coraggioso sacrificio degli italiani a Cefalonia - esprimesse, in forma ufficiale o a nome del Governo, il proprio rammarico per la sconfitta dell'esercito nazista.
Ambiguità e nostalgie che non possono essere archiviate nell'armamentario dei banali luoghi comuni perché in tanta parte d'Europa stiamo assistendo al ritorno di spinte, di paure irrazionali e di nuove tensioni che, seppure in forma inedita, evocano sentimenti e reazioni del passato.
Le classi dirigenti responsabili non ragionano in termini nostalgici e senza considerare la portata di talune spinte presenti anche nel nostro paese.
Abbiamo considerato quanto mai opportune le dichiarazioni di lealtà di Vittorio Emanuele di Savoia alle istituzioni della Repubblica ed auspico che queste dichiarazioni siano anticipatrici di una futura e sobria cittadinanza repubblicana.
È giunto il tempo di porre un termine agli effetti di quella disposizione, per ragioni di civiltà giuridica e politiche. Noi conosciamo la forza e le robuste radici
della Repubblica; noi della sinistra, che abbiamo contribuito al consolidamento della Repubblica, sappiamo combattere i tentativi di revisionismo e abbiamo ben chiaro che i Parlamenti devono esprimere giudizi politici, assumendo decisioni politiche.
Il nostro «sì» è inserito in questo quadro; dunque, esprimiamo una decisione politica con severità rispetto ai giudizi passati, ma anche con grande serenità (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di Sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. La Presidenza saluta gli studenti dell'Istituto Massimiliano Massimo di Roma e gli studenti dell'Istituto tecnico agrario statale Bentegodi di Buttapietra in provincia di Verona (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.
PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, intervengo brevemente per esprimere il mio voto contrario alla modifica costituzionale della XIII norma transitoria.
Ripeto, se si trattasse di un voto asettico, rispetto al contesto politico, storico e culturale in cui tale modifica si inserisce, non avrei problemi - e con me anche molti altri colleghi che esprimeranno un voto contrario - ad affermare che i Savoia possono tornare nel nostro paese. Infatti, si tratta di un atto di umanità, di civiltà giuridica, che non pone assolutamente in pericolo le basi solide della nostra democrazia repubblicana.
Tuttavia, nessuno può dimenticare il contesto in cui tale riforma costituzionale si inserisce: da una parte, un'operazione di revisionismo storico, culturale, politico, che tenta di riaccreditare, attraverso la riabilitazione dei Savoia, non tanto e non solo il ruolo della monarchia, ma addirittura - cosa politicamente e storicamente più pericolosa - il rapporto che vi fu tra l'Italia fascista di allora, il nazismo e le responsabilità storiche che quell'insieme nefasto nazifascista provocò nelle sorti dell'Europa e del mondo; dall'altra, il gesto - che non rappresenta certo un errore di comunicazione - fatto dagli eredi della famiglia Savoia nella scorsa legislatura, quando il Parlamento, con grande serenità, stava affrontando la discussione sulla modifica delle norme transitorie. In quell'occasione la famiglia Savoia affermò che le leggi razziali non erano poi cosa così grave e così significativa nell'ambito di un giudizio storico sul ruolo della monarchia e dei Savoia.
Ebbene, proprio in questi giorni, anche alla luce della crisi mediorientale, vi è un forte richiamo rispetto ai rischi ed alla possibilità strumentale che un giudizio negativo sulle politiche del Governo Sharon possa riaprire la strada a forme di antisemitismo.
Invito i colleghi parlamentari a riflettere sul senso politico che, anche in questo momento, ha il voto di oggi nei confronti di chi - qualche mese fa, non qualche decennio fa - affermò che le leggi razziali non avevano la grande rilevanza che invece, purtroppo, hanno avuto nel determinare forme di antisemitismo e di persecuzione della popolazione ebraica nel nostro paese e non solo.
Allora, è evidente che quello di oggi - come è stato giustamente ricordato anche da chi mi ha preceduto - è un voto politico. Dunque, cosa c'entra l'atto umanitario, cosa c'entra il buonismo, quando si dice: vengano in Italia, perché fondamentalmente è un loro diritto? Noi attuiamo, con un voto politico, una modifica rilevante della nostra Costituzione, consentendo di dare forza a chi nel nostro paese ed in Europa, a cominciare dagli studi sul revisionismo del professor De Felice, sta lentamente ricostruendo la storia non più attraverso la verità di chi ebbe responsabilità storiche gravissime ma, addirittura, mettendo sullo stesso piano, in nome di un malinteso senso della conciliazione, aggressori con aggrediti: coloro che ebbero la responsabilità di portare il nazifascismo nel nostro paese ed in Europa con coloro che, invece, combatterono per la libertà attraverso la resistenza.
Quindi, io credo che oggi, prima di esprimersi a favore della modifica costituzionale, ogni parlamentare debba riflettere,
individualmente. Non capisco cosa spinga anche la mia parte politica, il centrosinistra, che certamente oggi non è nelle condizioni di determinare il dibattito politico e storico: come è stato ricordato, c'è una maggioranza i cui ministri sostengono, addirittura, che è stato un male perdere alcune battaglie. Cosa ci spinge a questa corsa nel dire «sì» ad un'operazione che, tra l'altro, non coinvolge un problema umano? I Savoia stanno bene e sono in buone condizioni economiche: non credo sopportino più sofferenze di tanti altri che si trovano - loro sì - nell'impossibilità di entrare nell'Europa libera e democratica o di ritornare nel nostro paese. Bisognerebbe aprire un dibattito sulla riconciliazione nazionale e sulle ragioni per cui si consente ancora che duecento italiani restino in Francia, pur avendo scontato le loro pene - anche in relazione ai cosiddetti anni di piombo -, impedendo loro di rientrare nel nostro paese.
L'umanitarismo, il diritto di cittadinanza, il diritto civile, invocati su una vicenda come quella del Savoia, poi spariscono quando si parla di ben altre situazioni, con ben altre condizioni di negazione di diritti e di disagio. Credo che la modifica della XIII norma transitoria non sia un problema prioritario per il nostro paese oggi: è grave che il Parlamento abbia dedicato grande spazio al tema, non soltanto in questa ma anche nella scorsa legislatura.
Tuttavia, dal momento che siamo chiamati a pronunciarci su questo tema, io credo non possa che esprimersi un voto contrario, per il senso politico e storico che questo provvedimento assume e per il significato che avrà nelle strumentalizzazioni e nel dibattito futuro sulla storia del nostro paese. Queste sono le ragioni che mi portano ad esprimere con convinzione un voto contrario alla modifica della XIII norma transitoria della nostra Costituzione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Saponara. Ne ha facoltà.
MICHELE SAPONARA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo di Forza Italia esprimerà un voto favorevole sulla proposta di legge di modifica della XIII disposizione transitoria della Costituzione e, quindi, sul rientro dei discendenti di casa Savoia in Italia, come ha fatto in Senato e come, d'altronde, ha votato e voterà la maggioranza delle altre forze politiche.
È chiaro che, con ciò, noi non intendiamo dimenticare le colpe della dinastia sabauda - evidenziate da molti colleghi -, quali il coinvolgimento nella guerra e l'avallo delle leggi razziali. Noi diciamo che quella disposizione eccezionale e di carattere transitorio è da considerarsi superata, sia dal punto di vista politico sia dal punto di vista del raccordo della nostra legislazione con quella internazionale.
Dal punto di vista politico sono venute meno le ragioni che consigliarono quella norma. Voglio ricordare che la Repubblica prevalse di stretta misura sulla monarchia, il referendum fu contestato e si ebbe il timore di un periodo di instabilità politica: quindi, fu ritenuto opportuno evitare la presenza di persone che potessero turbare l'equilibrio della collettività. Ora il clima è mutato, la Repubblica è salda nella coscienza degli italiani e i discendenti della casa Savoia hanno dichiarato fedeltà alla Repubblica.
Inoltre, c'è l'adeguamento della nostra legislazione al contesto internazionale, c'è l'esempio della Francia e dell'Austria, c'è la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, il Trattato di Schengen, il Trattato di Amsterdam, e ci sono i pareri del Consiglio di Stato del 1987 e del 2001 che consigliano la modifica di quella disposizione.
Quindi, questa riforma è da ritenersi, oltre che opportuna, addirittura doverosa.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rusconi. Ne ha facoltà.
ANTONIO RUSCONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in coerenza con
le dichiarazioni odierne del collega Fioroni e con le altre del collega Lusetti nel dibattito sulle linee generali, il gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo voterà convintamente e serenamente a favore del provvedimento per il rientro degli eredi della famiglia Savoia, con un largo consenso, che è frutto del raggiungimento nel nostro paese di una democrazia matura, consapevole però del ruolo svolto nel nostro paese dalla Resistenza, dai partiti dei cittadini che vi concorsero, i quali, attraverso la Costituzione, inserirono l'Italia fra le grandi democrazie europee. Per questo, in una democrazia matura che non ha timori, né nostalgie, i meriti risorgimentali e gli errori politici della famiglia Savoia sul fascismo, sull'alleanza con il nazismo, le sue ideologie aberranti e la conseguente entrata in guerra, vengono consegnati alla storia. In questo senso, ci appaiono sconcertanti le parole pronunciate in quest'aula stamane dall'onorevole Buontempo, parole non di conciliazione, ma di sfida, di evidente revisionismo storico, che confonde la Resistenza con la guerra civile, che pretende - come chiedeva l'anno scorso il presidente della Regione Lazio - di riscrivere i libri di storia nelle scuole. Senza questi chiarimenti, che non possono essere annullati da un revisionismo storico manipolatore di moda, sarebbe stato difficile avere ascolto alla Conferenza di Parigi per il Trattato di pace. Nel discorso noto per l'espressione «Tutto è contro di me, tranne la vostra personale cortesia», De Gasperi fu in grado di ricordare, con dignità di statista, che il crollo del regime fascista a seguito degli avvenimenti militari non sarebbe stato così profondo se non fosse stato preceduto dalla lunga cospirazione dei patrioti che, in Patria e fuori, agirono a prezzi di immensi sacrifici, senza l'intervento degli scioperi politici delle industrie del nord, senza l'abile azione clandestina degli uomini dell'opposizione parlamentare antifascista che spinsero al 25 luglio.
L'Italia ha liberato sé stessa dal regime fascista, come ha potuto dire De Gasperi a Parigi, grazie alla Resistenza, che ci ha consentito di diventare paese cobelligerante e non vinto e sta facendo buoni progressi verso il ristabilimento di un Governo e di nuove istituzioni democratiche. Come potrebbe la storia italiana moderna sottovalutare la pagina scritta il 25 aprile 1945 e gli avvenimenti che l'hanno preceduta? Perché si dovrebbe rinunciare al dovere di ricordare tutto ciò con spirito di verità e senza enfasi retorica ai giovani che non hanno vissuto questa tragedia?
La manipolazione del diffuso revisionismo storico va confutata senza neutralisismi e colpevoli in sede scientifica. Ma anche sul terreno politico non si può prestare il fianco a chi, in nome di una pacificazione avvenuta da tempo, vorrebbe mettere sullo stesso piano fascismo ed antifascismo, dimenticando che dal moto popolare della resistenza sono nate la Repubblica, la Costituzione, la democrazia e che vi è anche, lo faremo il 25 aprile, il dovere di ricordare.
Per questo che ci auguriamo che il voto di oggi - lo sottolineava in precedenza l'onorevole Intini - sia una celebrazione senza retorica della maturità della nostra democrazia ed un atto di conciliazione storica e politica, ma non dimentichi e non confonda, nella condanna di ogni totalitarismo, da che parte, durante la seconda guerra mondiale, stavano allora i valori della tolleranza, della fratellanza, della democrazia, della libertà.
In conclusione, questa può essere una giornata e una decisione positiva per il paese se presuppone il rispetto dei giudizi storici ormai consolidati nella storiografia europea e non solo.
In un bel saggio del secolo scorso «Che cos'è una nazione?», Ernest Renan ci ricorda che una nazione è l'insieme dei sacrifici fatti e di quelli che si è ancora disposti a compiere insieme.
Con il nostro voto favorevole, convinto e sereno e con il conseguente saluto per il rientro della famiglia Savoia penso che, anzitutto, si chieda loro, non solo di accettare questa importante ed autorevole democrazia, ma di condividerla, di essere oggi pienamente ed orgogliosamente italiani (Applausi di deputati del gruppo della
Margherita, DL-l'Ulivo e di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Craxi. Ne ha facoltà.
BOBO CRAXI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, si tratta di un atto che attiene al senso di responsabilità e di maturità della nostra nazione. Ciascuno di noi sa bene che il protrarsi delle disposizioni del divieto nei confronti degli eredi Savoia apparirebbe come un atto anacronistico e discriminatorio, rimuovere il quale non ha nulla a che vedere con l'idea di revisione sulle responsabilità dei diversi Savoia che si sono succeduti al trono, responsabilità che sono chiare ed evidenti. È una scelta di civiltà che anche gli uomini di sinistra che hanno contrastato la monarchia non possono che assumere con grande serenità e come un fatto di grande libertà.
Fu il presidente, il socialista, l'antifascista Pertini ad avviare - lui per primo - negli anni ottanta, non una revisione storica, ma il disgelo con gli eredi di casa Savoia, e fece bene.
I signori Savoia sappiano fare buon uso di questo voto parlamentare, rispettando le nostre leggi repubblicane ed il Parlamento. Sappiano inchinarsi con umiltà di fronte alla Repubblica voluta da tutti gli italiani. Sarebbe un gesto apprezzato da tutti i democratici e da tutti i repubblicani, l'avvio di una più serena rilettura di tutta la storia patria.
La Repubblica è salda e, con il voto di oggi, dimostrerà di esserlo ancora di più. Lo dico ai colleghi che hanno dimostrato perplessità ed opposizione di fronte a questo provvedimento; usando le parole di un riformista quale Filippo Turati voglio dire loro che il passato non torna e che soltanto il futuro ha ragione.
Per questi motivi preannuncio il voto favorevole del gruppo del Nuovo PSI (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Nuovo PSI).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Trantino. Ne ha facoltà.
ENZO TRANTINO. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, vorrei in primo luogo esprimere la mia gratitudine al collega Buontempo per l'appassionata e corretta ricostruzione degli eventi storici, appassionata e corretta al punto da suscitare reazioni dialettiche scomposte da chi teme la verità dei fatti.
Cercherò di discostarmi - se vi riuscirò - dall'ovvio, per affermare che non si tratta di un argomento minore come qualcuno ha sostenuto. È un provvedimento di verifica nazionale su un tema particolare perché diventa la cartina di tornasole dell'odio residuo di questo paese, dei reliquati del rancore, duri come granito.
La patria evocata da Ciampi, predicata dai padri, si è persa oggi nei discorsi di molti ed è diventata ancora fazione violenta. Chi riduce la nazione a fazione ha motivo di sapere che solo nella divisione può avere speranze ed alimento per le proprie teorie e per le proprie predicazioni.
Non accettiamo atti umanitari o caritatevoli; nessuna superbia, nessuna umiliazione!
Non affronterò temi costituzionali, pur avendone titolo. Dal 1976, infatti, ho avanzato la prima proposta per l'abrogazione della XIII disposizione: una proposta di giustizia illuminata dalla disciplina dei diritti civili universali, con una potente destinazione etica (come è costante della famiglia di Alleanza nazionale), vale a dire la pacificazione.
Si badi che quell'antica proposta (erano tempi duri e difficili dove il piombo pioveva insanguinando la terra) recava, come seconda firma, quella di Giorgio Almirante che sicuramente monarchico non era: era un repubblicano, di più, un repubblichino! Appose la seconda firma (la firmò tutto il gruppo) su un tema, quello della pacificazione nazionale, che ci vedeva tutti uniti.
Si disse allora (noi eravamo ghettizzati, discriminati, isolati, perseguitati, ammazzati) che era tempo che cessassero gli odi e i furori per cercare un convincimento sulle ragioni comuni del vivere quotidiano.
Quella proposta di legge ha questa grande funzione morale e la mantiene tuttora.
Successivamente abbiamo considerato che non si tratta di un tema politico, ma di un'offesa collettiva: è, cioè, il tema dell'esilio.
L'onorevole Duca si è abbandonato ad un involontario infortunio quando ha affermato che l'esilio è istituto delle dittature e ha evitato di ricordare che se ciò è vero, è chiaro, allora, che l'esilio, mantenuto dai Governo di centrosinistra, è la dimostrazione che dittature erano, non sul piano del reggimento della democrazia, ma su quello della prevalenza dei numeri sulle ragioni fondanti persino del diritto.
Pertanto, tutti coloro i quali predicano i diritti di tutte le minoranze, persino di quelle impresentabili, ignorano quelli di due sole persone e difendono l'esilio perché viga tuttora il principio di esclusione per nascita, della pena senza colpa, o perché fanciulli o non ancora nati, della parzialità odiosamente nominalistica: tutti, tranne loro! E dire che questo è un paese che ha ricevuto criminali clandestini e non, latitanti, ricercati, alcuni amici delle forze che non vogliono il rientro in esame. Questo è il paese che ha abolito le barriere con il trattato di Schengen, ma per loro, per quei due, alzate ancora sono le muraglie!
È il lessico dell'odio del «tutti tranne loro», contro i Trattati (si ricordino quelli che vogliono la riaffermazione del diritto), la Carta dei diritti umani, la disciplina codicistica, ogni ragionevole argomento per poter ancora insistere sull'esilio, sicché lo stesso Parlamento, che ha votato poco tempo fa per i diritti degli italiani all'estero, ha il dovere ritardato di ammettere i due esuli come gli altri normali cittadini.
Non ho apologie da svolgere. Chiedevo giustizia per un grande italiano morente, Umberto II, in una indimenticata seduta, nella indifferenza di un'Aula, piombata nella notte, quando qualcuno sosteneva, immancabilmente dai banchi della sinistra, che doveva essere ancora riproposto il tema se si fosse dovuto diminuire l'altezza di Umberto II di 20 cm, decapitandolo.
In questi stessi banchi, l'ombra sinistra e minacciosa, che portava dietro di sé il proprio cadavere, queste cose diceva, e, di notte, si votò ancora una volta la perpetuazione dell'esilio contro un uomo morente, testimonianza di eventi esaltanti o tragici.
Gli eredi appartengono al giudizio degli italiani; i fatti e le condotte alla storia, che vede estranei i viventi. Non ho omaggi da rivolgere, tranne uno, forte, vissuto, morale, alla moltitudine della fede pura, i monarchici, a chi ha sempre creduto, servendo le istituzioni sopravvenute, fedeli all'insegnamento dell'ultimo re, «l'Italia innanzitutto». Quindi, onore agli umili, alla gente semplice dei pellegrinaggi, a chi ha servito la Patria servendo la memoria, a chi ha abbracciato bandiere lacere ma gloriose, a chi, sciolto dal giuramento di fedeltà, ha continuato a rispettarlo, a chi ha interpretato la storia come albero non separabile dalle radici. Loro sono i più autentici destinatari, i monarchici prima degli eredi.
Gli italiani dei sentimenti e dei giuramenti, delle chiese e delle piazze guidati, da un italiano autentico, Alfredo Covelli. Nei loro confronti innanzitutto è atto di giustizia il provvedimento di cui si chiede l'approvazione. Le falangi dell'odio sono invitate finalmente a deporre le armi (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale - Congratulazioni)!
MAURA COSSUTTA. Dovete fare un altro congresso!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Intini. Ne ha facoltà.
UGO INTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Parlamento non deve giudicare la storia d'Italia. Dobbiamo soltanto rispettare un diritto di libertà dei cittadini italiani. E non per buonismo, perché non si è buoni quando si rispetta un diritto; si rispetta un diritto che piaccia o che non piaccia.
Si è udita troppa retorica in questo dibattito e troppo autoritarismo. Troppo autoritarismo in una parte della sinistra: molte le opinioni condivise dall'estrema sinistra, - molti giudizi duri sono assolutamente condivisibili -, ma i giudizi storici non spettano alla politica. È una politica autoritaria quella che pretende di scrivere la storia! E quella che ricorda i Lenin e i Gramsci che Rifondazione comunista ha giustamente cancellato dal suo patrimonio politico. Lo deve fare tuttavia fino in fondo!
Voglio qui dire che è grave che la Lega nord Padania si astenga con le motivazioni che sono state esposte prima, sostenendo, come ha fatto il capogruppo, che le richieste sono di chi rappresenta il popolo padano. No! Tutti i parlamentari in questa sede rappresentano il popolo italiano, tutto il popolo italiano! Il fatto che un partito che sostiene il Governo si pronunci in modo diverso è assai grave! Ciò indica una nuova e curiosa ambiguità: un tempo avevamo i comunisti, partito di lotta e di governo; adesso abbiamo un partito separatista e di governo, che contesta la monarchia non perché è tale, ma perché ha contribuito all'unità d'Italia.
C'è sicuramente disagio nel sentire tali espressioni da parte della Lega nord Padania e c'è anche disagio nell'ascoltare molti argomenti sostenuti da parte della destra. Il disagio è istituzionale quando si ascolta ciò che afferma la Lega nord Padania e politico quando si sente ciò che dice la destra. Sicuramente c'è revisionismo storico! Certo che abbiamo una destra anomala, in Europa! È ovvio: la destra europea ha come miti i De Gaulle e i Churchill, ovvero l'antifascismo e non è né l'erede né l'alleata di una storia fascista come avviene in Italia. Queste sono le conseguenze della criminalizzazione della prima Repubblica nata dalla resistenza! Sicuramente c'è un disagio e tuttavia questo disagio va accettato, sperando che realmente la destra italiana abbandoni il suo passato e guardi al futuro.
Vorrei concludere ricordando che il disagio è più generale.
Non dobbiamo, onorevoli colleghi, dare l'impressione di rappresentare un sistema politico troppo vecchio, incattivito, verboso e legato al passato (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Socialisti democratici italiani e di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Gambale. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE GAMBALE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sarò assai breve. Dopo aver ascoltato l'onorevole Trantino, mi sono ulteriormente convinto della necessità di esprimere il mio voto contrario in ordine alla modifica della Costituzione che consentirebbe il rientro dei Savoia.
Vedi, Trantino, non si tratta di alimentare odi o rancori, ma di rispettare la nostra storia, la nostra Repubblica e la nostra Costituzione, come è nata, ed il sacrificio di quegli italiani che hanno consentito a noi oggi di essere qui, in una Repubblica libera e democratica.
Siamo tutti convinti che in questo paese sia necessario un momento di riconciliazione, che ci consentirebbe di riscoprire la nostra identità di italiani al di là delle nostre differenze, un momento di riconciliazione anche sulle nostre radici e sulla nostra storia; ma questo non si fa attraverso i revisionismi, non si fa nella maniera in cui questo voto sta caratterizzandosi politicamente.
Ecco perché con convinzione, condividendo pienamente le motivazioni che l'onorevole Fioroni ha espresso durante il dibattito, anche sul complesso degli emendamenti, voterò contro questa proposta di legge (Applausi dei deputati Maura Cossutta e Bulgarelli).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Pennacchi. Ne ha facoltà.
LAURA MARIA PENNACCHI. Signor Presidente, voterò contro la sospensione degli effetti della XIII disposizione della Costituzione, quindi voterò diversamente
dal mio gruppo. Tuttavia, non mi sento in dissenso dal mio gruppo e dalla coalizione di centrosinistra di cui faccio parte, perché condivido il giudizio storico molto severo - avete ascoltato poco fa la collega Elena Montecchi, Carlo Leoni e tutti gli altri colleghi intervenuti - sulla dinastia, sul comportamento della dinastia dei Savoia, soprattutto a partire dal 1922. Segnare questo discrimine è importante da molti punti di vista, anche per non accettare quella deriva di cui invece ci si renderebbe corresponsabili se il giudizio sui Savoia fosse formulato nei termini in cui è stato formulato dall'esponente della Lega, che pure ho ascoltato con grande attenzione, ma di cui non condivido assolutamente nulla. Anzi, direi che il presupposto da cui muovo è proprio il contrario: i Savoia, con il comportamento che hanno tenuto dal 1922 in poi, hanno indebolito l'unità nazionale e non rafforzato il senso di unità nazionale e il senso civico di cui questo paese ha un enorme bisogno. I Savoia sono stati corresponsabili di crimini contro l'umanità; chiamiamo le cose con il loro nome, perché di questo si tratta.
Condivido anche la valutazione - che era del resto dei padri costituenti - che l'esilio sia per sua natura un istituto transitorio, che debba avere un termine. Ma a che cosa dobbiamo commisurare questo termine? Certamente dobbiamo commisurarlo ad una valutazione sulla maturazione e sulla maturità dell'ordine repubblicano, della coscienza repubblicana che i padri costituenti consideravano ancora troppo fragile e per questa ragione inserirono la XIII disposizione. Oggi, questa maturazione, questa maturità sono molto più forti ed io condivido questa valutazione. Quindi, se si trattasse solo di questo, potremmo senz'altro votare a favore della sospensione degli effetti della XIII disposizione della Costituzione; ma non si tratta solo di questo.
I Parlamenti non devono esprimere giudizi storici, non fanno loro la storia, ma esprimono valutazioni politiche, si muovono in un contesto politico che è strutturato dentro una storia e questo contesto implica anche valutazioni sui comportamenti degli individui, perché la storia è fatta da individui. E qui c'è il secondo elemento a cui si commisura il termine: la maturazione e la maturità degli individui, i quali esprimono sempre se stessi come persone, ma esprimono anche i ruoli sociali e storici che sono stati loro attribuiti e che possono respingere, ma che non hanno respinto: non mi risulta che i Savoia abbia rinunciato ai titoli dinastici e a tutto ciò che questi titoli comportano.
Sotto il profilo della maturazione e della maturità degli individui Savoia nutro enormi riserve, proprio perché condivido l'idea che la politica abbia una dimensione etica. Sono contraria all'idea di Benedetto Croce che la politica potesse prescindere dall'etica; e nel paese - che è stato anche di Machiavelli - ricordare questo tipo di elementi è molto importante.
I membri di casa Savoia né hanno accettato, formalmente e pienamente, la legittimità democratica delle istituzioni repubblicane né hanno formulato un giudizio di distanza e di condanna sulle loro corresponsabilità storiche gravissime nella promulgazione delle leggi razziali, nell'assecondamento dell'entrata dell'Italia nella guerra nazifascista, nell'abbandono del popolo italiano e dell'esercito italiano, dopo l'8 settembre, alla crudele rappresaglia nazista, al disorientamento, allo smarrimento anche morale, alla fame, alla miseria.
Ho imparato da piccola, da genitori poverissimi, di umile origine, ma nobili nel comportamento morale e nello stile di vita, la forza di una cosa estremamente semplice ed elementare ma prodigiosa: il buon esempio. Perché credete che i cittadini inglesi amino tanto la loro monarchia? Perché la monarchia inglese, non solo non abbandonò il paese, ma rimase a Londra, sotto le bombe nazifasciste (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani e di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)! I monarchi ed anche i bambini della casa monarchica accettarono il razionamento che fu imposto dalla guerra a tutti cittadini inglesi; il razionamento del pane fu sottoposto alla monarchia inglese!
BENITO PAOLONE. Ancora, dopo cinquant'anni!
RAMON MANTOVANI. Cosa vuoi?
PRESIDENTE. Per cortesia, onorevole Menia, onorevole Mantovani, vi richiamo all'ordine!
ALFONSO GIANNI. Richiami il monarchico, Presidente!
PRESIDENTE. Onorevole Paolone... Per cortesia, non c'è bisogno, oggi! Stiamo procedendo con i lavori, non cerchiamo sempre di complicarci la vita!
LAURA MARIA PENNACCHI. Il buon esempio conduce verso il meglio, il cattivo esempio conduce verso il peggio.
Mi sento profondamente libertaria perché vedo tutte le dimensioni della libertà che è qualcosa che va coniugata al plurale. Libertà significa anche esercizio di responsabilità e capacità di esercizio di autonomia e di integrità anche morale della persona. Per questo voterò contro (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani, di Rifondazione comunista, di deputati del gruppo di dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e applausi dei deputati Gambale e Bulgarelli)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, avendo già parlato sul complesso delle proposte emendative e pur dovendo rilevare la mia insoddisfazione per il mancato accoglimento degli emendamenti presentati, chiedo alla Presidenza di autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della mia dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. La Presidenza lo autorizza.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Fioroni. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE FIORONI. Signor Presidente, essendo intervenuto sul complesso degli emendamenti, mi limito a svolgere due rapidissime considerazioni, al fine di motivare il voto contrario.
Dopo aver ascoltato con attenzione tanti colleghi del centrosinistra ma anche alcuni del centrodestra (mi riferisco soprattutto all'intervento dell'onorevole Trantino, che mi ha colpito, in alcuni passaggi, per le motivazioni che ha addotto), ritengo giusto che questo paese viva una stagione di pacificazione nazionale e sappia ritrovare, oltre la pace, anche il perdono.
Credo, tuttavia, che questo concetto non possa essere scisso da quello di concreta giustizia. È vero, come qualcuno ha dichiarato, che le colpe dei padri non possono ricadere sui figli - sarà anche un'interpretazione medievale - ma teniamo conto del risarcimento dei danni causati da casa Savoia a questo paese. Ed è una singolare coincidenza del destino che approviamo questo provvedimento il giorno successivo alla celebrazione della giornata della memoria.
Questo Parlamento - mi rivolgo a lei signor Presidente, affinché se ne faccia carico - nel 1998 ha istituito una Commissione che doveva valutare i danni subiti dagli ebrei italiani a seguito delle leggi razziali. Ad oggi, aprile 2002, quella Commissione, presieduta dall'onorevole Tina Anselmi, ha consegnato un analitico esame della situazione: oltre 8 mila decreti di confisca che, badate bene - lo ricordo nel corse dell'intervento in premessa -, non hanno riguardato solo i tesori, i soldi o i libretti bancari, ma anche gli effetti personali, dagli spazzolini da denti ai giocattoli dei bambini e alle pantofole rotte delle nonne, a dimostrazione di una accanimento carnefice nei riguardi di persone che andavano umiliate e spogliate della propria identità.
Non credo si possa pensare di archiviare una pagina di storia e di far germogliare, nei nostri animi, la pace ed il perdono senza che la giustizia abbia fatto il suo corso ed abbia attribuito un risarcimento alle vittime di quei danni che,
sebbene siano trascorsi cinquant'anni, sono ancora cocenti sulle carni di coloro che li hanno subiti. Non credo che, rispetto a quei danni, possa mostrare indifferenza un Parlamento che ha istituito una Commissione affinché le cose che sono accadute non fossero dimenticate. Ebbene, prima di cercare una pace ed un perdono, dovevamo avere il coraggio di dare giustizia!
Purtroppo, ciò non è avvenuto: consentiamo soltanto l'oblio, un misto tra la banalizzazione e la sacralizzazione di alcuni eventi, ma non abbiamo la capacità di ridare quella dignità che è stata sottratta a tutti coloro che, per colpa di casa Savoia, hanno sofferto tanti danni, tante distruzioni e tanti lutti! Per questo, signor Presidente, ritengo di non poter votare a favore di questa proposta di legge.
Mi auguro che, al di là del voto che esprimeranno oggi, molti altri colleghi chiedano che i lavori della Commissione alla quale ho fatto cenno possano essere conclusi con risultati tangibili e che, in tal modo, possano essere finalmente risarciti i danni patiti da coloro che, a causa del comportamento di casa Savoia e delle leggi razziali che Vittorio Emanuele firmò, si sono visti danneggiati nei loro affetti più cari, nei loro averi e soprattutto nella loro dignità. Credo che questa riflessione si imponga anche a coloro che, oggi, voteranno a favore oggi di questa proposta di legge (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Sasso. Ne ha facoltà.
ALBA SASSO. Signor Presidente, stamani, in quest'aula, si è fatto molto ricorso al senso comune - sono passati tanti anni; perché accanirsi: in fondo, cosa importa più? -, ma non sempre questo equivale al buon senso. Credo, inoltre, che la pietas umana nei confronti dei singoli non possa mettere in discussione il peso ed il valore di un giudizio della storia - non un giudizio storico - che è stato condiviso e costituzionalmente pattuito.
Vero è che non spetta al Parlamento esprimere giudizi storici (ma i giudizi storici sono stati, qui, ampiamente utilizzati e finanche strattonati); credo, però, che spetti a tutti noi, e che appartenga alla nostra responsabilità etica e politica, il compito di difendere il patrimonio della memoria, quanto i padri costituenti vollero evidenziare con quella disposizione transitoria della Costituzione. Senza memoria non c'è futuro.
Mi preoccupa, allora, non la salvezza della Repubblica, ma tutto quello che la scelta che ci accingiamo ad esprimere potrà mettere in moto sul piano del revisionismo storico (di cui già si sono sentiti echi significativi in quest'aula) non solo rispetto alle gravissime responsabilità politiche della monarchia sabauda, qui ampiamente ricordati, ma anche rispetto all'intero regime fascista.
Mi preoccupa, d'altra parte, l'enfasi retorica e politica che accompagnerà il rientro (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Duca. Ne ha facoltà.
EUGENIO DUCA. Signor Presidente, ho preparato un breve intervento. Mi corre l'obbligo, tuttavia, di parlare al collega Trantino, che ha garbatamente polemizzato con me, attribuendomi però concetti che io non ho espresso. Forse il collega Trantino non ha ascoltato. Lo invito a rileggere l'intervento, che probabilmente ha equivocato. Gli ricordo, tuttavia, che ho richiamato l'esilio di un italiano eminente, il signor Sandro Pertini, che, tra l'altro, in esilio spendeva i propri miseri beni, anche facendo lavori umili, per far giungere in Italia la voce di libertà, mentre in Italia i tribunali speciali, che agivano per conto del regime fascista e di sua maestà, facevano incarcerare e uccidere donne, uomini, ebrei, cristiani, valdesi, non credenti, senza garanzia alcuna, o impedivano, ad esempio, la libertà di lavorare, di insegnare, di studiare. Forse da questo equivoco
il collega Trantino è giunto persino ad un'equazione che io rifiuto fermamente, cioè che il periodo repubblicano sia uguale al periodo della dittatura fascista. Io non so perché. Conosco l'onorevole Trantino come uomo di studi e quindi lui potrà sicuramente facilmente apprendere come proprio dalla lotta di liberazione contro il fascismo sia derivata la conquista della libertà, conquistata per tutti, anche per i traditori, anche per coloro che si sono alleati con i nazisti contro l'Italia. Non vedo dove trovi il collega Trantino le parole d'odio. Io vedo spesso cerimonie del 25 aprile che hanno, invece, parole di concordia, anche nei confronti di coloro che allora furono dalla parte sbagliata. Quindi, ho richiamato l'esempio del compianto Pertini proprio per ricordare che quando venne nominato Presidente della Repubblica fu proprio lui - altro che odio e acrimonia! - ad aprire la pagina riguardante la famiglia Savoia, ricevendo però - non parlo della persona Sandro Pertini, ma del Presidente della Repubblica italiana (quindi dell'intero popolo italiano) - risposte irrisorie da parte dei signori Savoia.
Ciò premesso, ho preso la parola, signor Presidente, per esprimere il voto contrario al testo al nostro esame. Richiamo, per questo, le argomentazioni che ho svolto durante il dibattito e condivido, nella grande maggioranza, quelle illustrate dal collega Fioroni e da altri.
L'Assemblea ha legittimamente respinto tutti gli emendamenti, persino quelli ispirati a gesti simbolici, come la sottoscrizione di un atto ufficiale di rispetto per questa Repubblica la quale ha consentito a tante donne e uomini, a tanti cittadini, di poter migliorare la propria condizione, di poter vivere in libertà, di poter progredire, malgrado quello che è stato fatto dalla dinastia Savoia. Quella dinastia Savoia alleata con il fascismo, che lo ha favorito, che ha danneggiato fortemente il nostro paese, che ha portato al martirio di migliaia di cittadini civili, i quali hanno persino dovuto impugnare le armi, di migliaia di militari, che hanno rifiutato di disonorare la patria, come hanno fatto coloro che in armi si sono alleati con l'invasore nazista e contro il popolo italiano, contro i beni architettonici artistici italiani, contro le città, i paesi, le donne, gli uomini, i bambini, persino i feti, come è avvenuto purtroppo in città martiri come Marzabotto.
Vede, signor Presidente, nella relazione della collega Mazzoni si sostiene che il signor Vittorio Emanuele di Savoia ha effettuato la formale dichiarazione di fedeltà alla Costituzione repubblicana, per sé e per il figlio. Di solito le dichiarazioni si fanno tra persone che siano capaci tutte di intendere, di volere e di avere responsabilità. Ma, a parte questo, è sufficiente per il Parlamento una dichiarazione alla stampa o una dichiarazione verbale, per sé e per altri, per considerare avvenuto quel gesto simbolico di rottura con le gravi responsabilità di quella dinastia, almeno nel periodo dal 1920 al 1946?
È sufficiente per rimuovere le gravi responsabilità e corresponsabilità della dinastia nell'avvento del fascismo, nell'entrata in guerra dell'Italia, nell'emanazione delle leggi razziali contro gli ebrei (e non solo)? Per non parlare poi della fuga dall'Italia, una fuga ben protetta e curata, preparata per tempo, tanto che venne corredata da una consistente provvista di mezzi e beni economici, di trasferimenti di immense ricchezze trafugate dall'Italia ed al popolo italiano (opere d'arte, archivi, beni facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato). Come non vedere, ad esempio, le ampie sdemanializzazioni avvenute precedentemente alla fuga, al fine di sottrarre all'Italia parte del suo patrimonio per propri usi personali futuri? Neanche le proposte emendative tese a far restituire all'Italia i beni che sono stati trafugati (altro che la donazione del museo egizio, caro collega!) sono stati accolte, anche se hanno ottenuto oltre 160 voti favorevoli. Non vedo che cosa ci sarebbe di ingiusto nel chiedere ai signori Savoia di restituire allo Stato italiano i reperti archeologici ed i beni immobili aventi interesse artistico, appartenenti allo Stato italiano, e da loro trafugati. Il Parlamento, o
almeno la sua maggioranza, ha invece deciso di accontentarsi di una dichiarazione stampa del signor Savoia.
Concludo chiedendo ai colleghi di valutare se ci sia una uguaglianza di comportamento e di trattamento: tuttora risultano giacenti, nel nostro paese, oltre 700 mila pratiche di cittadini italiani che chiedono il riconoscimento di danni gravissimi subiti durante la guerra conclusasi 57 anni fa. Si tratta di 700 mila pratiche di cittadini per i quali non vale una dichiarazione, non dico verbale, ma scritta o notarile, e tanto meno certificati che attestano la perdita di propri familiari (genitori, figli, mogli, mariti) o la perdita di braccia, gambe od occhi. No, per questi non basta una dichiarazione, neanche scritta ed ufficiale! Per questi lo Stato è rigoroso, e li sottopone a visite, a nuove visite, all'esame della Corte dei conti e ad altri esami ancora. Per qualcuno, invece, basta una dichiarazione verbale. Credo che vi sia, quindi, un evidente squilibrio, un gravissimo squilibrio che oggi il Parlamento, con l'approvazione di questa proposta di legge, certifica, uno squilibrio che invece personalmente non accetto. Anche per questo esprimerò un voto contrario al provvedimento, e spero che altrettanto facciamo tanti altri colleghi. (Applausi di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Rocchi. Ne ha facoltà.
CARLA ROCCHI. Signor Presidente, l'unica ragione per cui potrei convincermi ad esprimere un voto favorevole su questo provvedimento potrebbe risiedere nella speranza di non sentire parlare mai più di tutta questa storia, non sentire mai più un clamore, una risonanza spropositata rispetto al profilo veramente minimalista, o meglio direi minimo, dei protagonisti di questa vicenda. Spero che ciò accadrà, anche perché il Parlamento approverà il presente provvedimento. Lo farà, però, senza il mio voto, per tutte le regioni ricordate dai colleghi e per una ragione che è cronaca e storia allo stesso tempo, una ragione di ieri. Ieri abbiamo assistito ad una situazione che è diametralmente opposta a quella che i Savoia hanno gestito all'epoca del loro regno e per tutto il tempo che è intercorso tra la loro fuga dall'Italia fino ad oggi. La dinastia Savoia ha scelto di andare via dall'Italia, ha scelto di andare via in tempo di guerra abbandonando un paese, ha scelto di stare fuori dal nostro paese, dalle sue tradizioni, dalle sue ragioni politiche di riscatto, facendo scelte personali e politiche intollerabili. Essendo questo sotto gli occhi di tutti, vale di più un paragone; ieri la Gran Bretagna ha seppellito una grande donna, una centenaria straordinaria di cui Hitler diceva: è la donna più pericolosa d'Europa. Ebbene, questa donna rimane nel cuore del suo paese, nel cuore del mondo, per aver detto e fatto in tempo di guerra l'esatto contrario dei Savoia.
Quando è stato detto ai reali di Inghilterra di salvarsi ed andare all'estero, la regina, quella grande donna, ha risposto: la regina sta dove sta il re e il re sta dove è il suo popolo. I Savoia rimangano dove hanno scelto di stare (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e di deputati della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Savo. Ne ha facoltà.
BENITO SAVO. Signor Presidente, oggi è un giorno importante e per questo motivo prendo la parola. Signor Presidente, sono favorevole al rientro dei Savoia in Italia, essendo garantista e rispettoso dei diritti dell'uomo, come lo fu il Presidente Pertini, garantista e costruttore dello Stato repubblicano.
I componenti della famiglia Savoia, rientrando in Italia, dovranno essere cittadini normali, tra normali cittadini italiani. La Repubblica italiana sarà vigile, affinché anche chi ci guidò nei secoli, con
alterne vicende, osservi i doveri e, normalmente, reclami i propri diritti.
Lo Stato repubblicano dovrà essere rispettato anche dai discendenti dei Carignano, nell'attesa di un approfondimento della nostra lingua e della nostra cultura così variegata, non sempre compresa dai loro antenati. Solo allora essi potranno parlare di Patria con lo stesso orgoglio dei cittadini italiani che si onorano di essere tali. Ricordo che tanti sono morti anche per i Savoia e meriteranno il loro rispetto, nonostante le autocertificazioni (Applausi di deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Mantovani. Ne ha facoltà.
RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, vorrei dire all'onorevole Trantino che rispetto la sua rivendicazione; non la condivido, la combatto, l'ho combattuta e la combatterò politicamente, ma la rispetto.
In Italia è sempre stato possibile essere monarchici ed esserlo idealmente e politicamente. Tuttavia, non condivido la demagogia che è stata fatta durante il dibattito intorno a queste figure.
Questi signori, che goderanno, per colpa del vostro voto, del diritto di ritornare in Italia, non appartengono alla storia, bensì alla cronaca e vorrei dire - come è noto a tutti - più alla cronaca nera e rosa che non a quella politica. Essi avrebbero potuto da tempo far rientro nel nostro paese se solo avessero rinunciato, ufficialmente e formalmente, alla loro eredità. Infatti, la norma transitoria della Costituzione prevede l'esilio per l'istituzione e per coloro i quali rivendicano l'eredità delle prerogative istituzionali della casata Savoia in Italia. Essi non lo hanno fatto e - come ha ricordato l'onorevole Duca - si sono limitati a dichiarazioni, peraltro contraddittorie, balbettate alla stampa. Non possono, quindi, meritare questo diritto, non in quanto persone, ma esattamente in quanto rivendicatori di un titolo e di prerogative istituzionali.
In ogni caso, sebbene rispetti la posizione dell'onorevole Trantino e di tutti i monarchici italiani, continuerò a combatterla e lo farò anche salutando il rientro in Italia di questi signori (che, per colpa vostra, faranno rientrare non solo le loro persone ma anche la rivendicazione storica e politica della loro ignobile casata) nella memoria e nel ricordo di un grande italiano. È così che vi saluto: viva Gaetano Bresci (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto a titolo personale l'onorevole Biondi. Ne ha facoltà.
ALFREDO BIONDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono stato e sono repubblicano. Proprio per questo voterò questa legge.
La Repubblica non si difende con gli ostracismi né con l'esilio né con il ricordo di un passato che non è naturalmente condivisibile ma che non appartiene alle persone oggi interessate a questa vicenda. Sono uomini che non avrebbero, tra tutti gli altri uomini d'Europa, il diritto di tornare in Italia per colpa dei loro nonni e padri. Credo questa sia la ragione vera per cui un Parlamento, nell'opinione legittima di ciascuno, anche nella revisione storica che ciascuno può fare, debba fare una legge che modifichi una situazione che aveva un senso nell'epoca in cui fu presa, ma che, oggi, non corrisponde né alla coscienza giuridica né alla coscienza politica né all'altezza delle istituzioni repubblicane che noi dobbiamo garantire dimostrando che la Repubblica è superiore ai sentimenti ed ai risentimenti ed è capace di superare le rughe della storia per dare un'interpretazione che corrisponda ad un'esigenza di diritto.
È stato detto da qualcuno - mi pare dall'onorevole Craxi e dall'onorevole Intini, ed io lo condivido - che le leggi possono determinarsi in modo tale che ciascuno di noi abbia un momento di critica ed anche una motivazione di tale momento di critica. Tuttavia, le leggi servono perché abbiano un carattere generale, perché non riguardino questo o quello, perché non siano norme con la fotografia, non siano
pubbliche berline con le quali si stabilisce, per ora e per dopo, che i figli dei figli ed i nipoti dei nonni non hanno diritto di tornare in Italia, mentre in Italia arriva chi vuole per il Trattato di Schengen che abbiamo applicato e del quale siamo orgogliosi perché riguarda una grande comunità di cui ci sentiamo parte (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale e di deputati del gruppo di Forza Italia).
Ecco perché da repubblicano - e tale sono stato sempre - credo che dobbiamo portare rispetto anche a quei monarchici che hanno combattuto nell'esercito di liberazione, che hanno combattuto in Piemonte con Mauri, con Franchi, con Sogno, con coloro che hanno sfidato i rischi di allora nel nome del re. Io, repubblicano, ricordo queste persone con gratitudine perché, accanto alle bandiere rosse, vi erano anche le bandiere azzurre in Val d'Aosta del colonnello Page e di coloro che non ebbero paura di difendere il loro giuramento.
Ecco perché da repubblicano sono perché la Repubblica rimedi ad un errore del passato (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e dell'UDC (CCD-CDU)).
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
ERMINIA MAZZONI, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ERMINIA MAZZONI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, vorrei ringraziare fondamentalmente i colleghi intervenuti e che hanno animato questo dibattito perché ci hanno fatto rivivere pagine importanti della nostra storia, belle o brutte che siano: hanno, comunque, contribuito a rivedere quello che fa parte della storia dell'Italia che, oggi, noi tutti quanti viviamo.
Il dibattito è stato giustamente articolato perché il tema lo richiedeva e la diversità, il diverso impeto, i diversi sentimenti che hanno animato i vari interventi sono comprensibili. Credo si possano giustificare e comprendere anche alcune ridondanze che ho ascoltato in alcuni interventi. Si tratta di ridondanze che, però, ritengo siano legate a sentimenti che, allo stesso modo dei fatti, vanno affidate alle nostra storia. Continuare a discutere di questo argomento - e ricordo che se ne discute in quest'aula dalla X legislatura, dunque siamo alla quarta legislatura nella quale si affronta questo tema - credo sia una forma di abdicazione. Credo che tale termine sia appropriato: sembra quasi una forma di rinuncia ad un potere-dovere che noi, come rappresentanti delle istituzioni, abbiamo. Sembra quasi dichiarare la sconfitta di questa istituzione, di questa forza che noi rappresentiamo proprio all'interno dello Stato repubblicano.
Non vorrei che rinunciassimo all'esercizio di questo potere, affidandolo - se non alla cronaca mondana, che gran parte ha fatto su questo tema - addirittura ad altri organi, come la Corte europea e il Consiglio d'Europa che già sull'argomento sono intervenuti ed hanno fatto numerose pressioni: non cediamo ad altri un potere e un dovere che ci appartengono.
Il Consiglio di Stato ha stabilito che questa norma vada considerata come una norma finale dal contenuto precettivo e sanzionatorio molto forte e che, quindi, possa essere modificata solo con il ricorso all'articolo 138 della Costituzione.
Allora, chiedo a tutti quanti voi di esprimere un voto favorevole, di consentire che questa modifica avvenga all'interno di quest'aula e non al di fuori di essa. Solo in via di rapidissima sintesi, vorrei dire che oramai il contenuto di questa norma, già ridotto per quanto concerne l'elemento soggettivo perché eliminata la parte femminile, è ridotto solo alla parte maschile e, quindi, solo a due soggetti che, oggi, dovrebbero rientrare in Italia; per quanto riguarda il contenuto precettivo e sanzionatorio, oramai non si tratta di un appello al buonismo, a principi
e a sensi di umanità ma solo ad un sano realismo e ad un principio di sana democrazia.
Esprimere un voto in quest'aula per tale modifica, vuol dire applicare quella democrazia alla quale, da qualunque parte politica, questa Assemblea e tutti quanti noi ci ispiriamo.
Di conseguenza, vi invito a non gonfiare il caso Savoia ma a permettere il rientro in Italia di alcuni amici che sono eredi della casa Savoia.
ALFONSO GIANNI. Sono amici vostri!
ERMINIA MAZZONI, Relatore. In realtà, intendevo dire cittadini.
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