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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge costituzionale, già approvata, in un testo unificato, in prima deliberazione, dal Senato, d'iniziativa dei senatori Bucciero ed altri: Legge costituzionale per la cessazione degli effetti dei commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione; e delle abbinate proposte di legge d'iniziativa dei deputati Boato; Germanà; Prestigiacomo; d'iniziativa del consiglio regionale del Piemonte; d'iniziativa dei deputati Selva; Buontempo; Trantino; Antonio Pepe ed altri; Collè; Amoruso.
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione generale della proposta di legge costituzionale è pubblicata in calce al vigente calendario dei lavori (vedi il resoconto stenografico della seduta del 3 aprile 2002).
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Ha facoltà di parlare la relatrice, onorevole Mazzoni.
ERMINIA MAZZONI, Relatore. Signor Presidente, sottosegretario di Stato, onorevoli colleghi, la proposta di legge costituzionale all'esame dell'Assemblea ha mantenuto lo stesso testo approvato dal Senato della Repubblica nella seduta del 5 febbraio 2002. È un testo che viene abbinato ad altre proposte di legge costituzionale che hanno, in gran parte, identico contenuto, ma che, parzialmente, da questo testo base differiscono.
Il testo che è all'esame dell'Assemblea prevede la modifica dei primi due commi della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione, apponendo ad essi un termine di efficacia, che è dato dall'entrata in vigore della legge in corso di approvazione. I testi di legge abbinati al testo base che abbiamo all'esame differiscono da esso in quanto prevedono l'abrogazione totale della XIII disposizione ovvero parziale, solo relativamente ai primi due commi.
Si è arrivati alla conclusione, dopo un lunghissimo dibattito sviluppatosi non solo in questa legislatura ma anche nelle precedenti, di assumere come testo base quello che prevede la modifica, con l'apposizione del termine di cui dicevo, dei primi due commi, eliminando, quindi, quei testi di proposta modificativa che prevedevano l'abrogazione integrale della norma ovvero anche la sola abrogazione parziale dei primi due commi. Questo perché la XIII disposizione - come tutti sappiamo - prevede: al primo comma, il divieto per i membri e i discendenti di Casa Savoia di elettorato attivo e passivo, nonché di ricoprire uffici pubblici; al secondo comma, il divieto per gli ex re di Casa Savoia, per le loro consorti e i loro discendenti maschi di ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale; al terzo comma, l'avocazione allo Stato dei beni degli ex re di Casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi, nonché la previsione di nullità di tutti gli atti di disposizione, trasferimento e costituzione di diritti reali avvenuti dopo il 2 giugno 1946 e relativi a detti beni. Si è
parlato, quindi, di una modifica e non dell'abrogazione perché, come si comprende bene dal contenuto della norma di questa XIII disposizione, la sua abrogazione avrebbe comportato inevitabilmente una revisione della nostra storia. Avrebbe inevitabilmente comportato un'incidenza maggiore sui passaggi che hanno caratterizzato la storia del nostro paese e che hanno portato a costruire quella Repubblica italiana nella quale oggi tutti quanti viviamo.
Si è quindi arrivati alla proposta della modifica con l'apposizione di un termine.
La storia resta, la condanna rimane immutata; si stabilisce solo, secondo un principio di democrazia, di garanzia e - consentitemi di dire - anche di umanità che una sanzione politica di oltre cinquant'anni non può essere mantenuta in un paese civile qual è l'Italia dei nostri giorni, qual è l'Italia del terzo millennio. È una sanzione che solo un atteggiamento miope potrebbe portare avanti, continuare a mantenere nel nostro ordinamento. Questa sanzione, oltretutto, comporta che l'Italia entri in contraddizione nei propri comportamenti anche a livello europeo: l'Italia del trattato di Schengen, l'Italia della Comunità europea, l'Italia della stessa Carta costituzionale nella quale garantiamo a tutti i cittadini i diritti fondamentali, i diritti di elettorato attivo e passivo, il diritto di cittadinanza, il diritto a vivere nel proprio paese. Con questa disposizione, che da gran parte della dottrina viene definita di autorottura costituzionale, si è andati contro la stessa impalcatura costituzionale.
Oggi credo sia giunto il momento di chiudere questa parentesi senza toccare la storia. È giusto che i posteri conservino il ricordo di quello che è stato e soprattutto che conservino, intatta, quella reazione che i fatti produssero nei costituenti del 1946 e del 1947 e che ritroviamo nella Costituzione che entrò in vigore nei primi mesi del 1948. Questa modifica oggi è resa urgente dal fatto che l'Italia vuole vivere responsabilmente nel terzo millennio, in un'epoca moderna nella quale la sanzione dell'esilio non è più ammessa, non è più riconosciuta da nessuno Stato civile se non in casi estremi e rarissimi ed è, oltretutto, come già dicevo prima, una sanzione abbinata alla privazione dei diritti fondamentali dei cittadini in contraddizione con tutte le normative nazionali, internazionali ed europee.
Dobbiamo adeguarci, dobbiamo andare avanti e, su questo punto, mi permetto anche di rispondere a quanti (pochi devo dire) dall'opposizione hanno trovato non giustamente motivato lo sforzo di accelerazione che si sta facendo su questo provvedimento. Lo sforzo di accelerazione è dovuto al fatto che il dibattito su questo argomento è già stato sviscerato completamente negli anni passati ed anche nel corso della presente legislatura. Si continuano a ripetere le stesse cose, il caso Savoia viene ingigantito dalle stesse parole.
Riportiamo il caso alla sua reale dimensione: stiamo tentando di far rientrare in Italia, di far riacquistare i diritti che a loro competono a degli uomini, dei cittadini, che circolano liberamente in Europa in quanto cittadini europei e per questo motivo hanno il diritto di circolare anche in Italia. Vogliamo ingigantire lo spessore di questi uomini, la portata dell'ingresso in Italia di questi uomini attraverso il protrarsi di un inutile dibattito? Io credo che non giovi a nessuno, soprattutto non giova al nostro paese.
Mi permetto di ricordare una frase, per quanti (anche se non lo ammettono direttamente ed espressamente) ancora temono qualche attacco alla nostra Repubblica e qualche ritorno di impeto monarchico. Lo stesso Umberto quando lasciò il suolo italiano, si dice, pronunciò una frase molto significativa «Le monarchie sono come i sogni: o si ricordano subito o non si ricordano mai più» ed è questo che deve rimanere impresso nella nostra memoria. Noi abbiamo timore di questi ritorni, abbiamo timore per la nostra Repubblica ma mi permetto, da cittadino italiano, oltre che da rappresentante istituzionale, di dire ai tanti componenti questa Assemblea che ancora hanno perplessità, che ancora non si uniscono alla larghissima maggioranza che sostiene questa modifica costituzionale,
che, se abbiamo timori sulla tenuta della nostra Repubblica, forse è ad altri problemi che dobbiamo guardare, è su altri fronti che dobbiamo impegnarci. Forse noi abbiamo il dovere, oggi, di impegnarci sulle cose serie, di impegnarci anche su un atto di dignità umana e di riconoscimento della dignità umana per questi uomini che potranno circolare, come gli altri cittadini, all'interno del territorio italiano.
La sanzione prevista dalla XIII disposizione è stata irrogata; la pena è stata scontata; oggi abbiamo alcuni discendenti della famiglia Savoia che hanno fatto giuramento di fedeltà alla Costituzione, che hanno fatto atto di sottomissione alla forma repubblicana sancita dalla nostra Carta costituzionale e che chiedono di rientrare.
Essi portano con sé, come tanti di noi, una parte di quella storia, e chiedono di rientrare in Italia, paese del quale rappresentano, comunque, nel bene o nel male, lo ripeto, una parte significativa di storia (Italia della quale tutti noi dovremmo menar vanto all'estero, cosa che, invece, non facciamo).
Non ritengo che il dibattito si debba esaurire in poche battute, in quanto si tratta di un tema importante e significativo e, quindi, penso sia corretto che ciascuno sviluppi il proprio punto di vista e la propria posizione; tuttavia, credo che ciascuno di noi debba avvertire l'urgenza dell'approvazione del presente testo. Per quanto attiene la maggioranza ed il Governo, non penso che ci sia una contraddizione o uno spirito particolarmente fazioso nei confronti di tale provvedimento: vi è solo l'applicazione di quel modus - adottato fin dall'inizio su tutti i provvedimenti - per il quale non rinviamo a domani ciò che possiamo fare oggi, e la modifica della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione rappresenta una di quelle norme che può, e deve, essere approvata. Siamo ad inizio legislatura, la procedura è quella complessa, prevista dall'articolo 138 della Costituzione, per cui tale modifica richiederà tempi lunghi. Invito pertanto l'Assemblea a non bendarsi gli occhi ed a non continuare con atteggiamenti inutilmente dilatori, al fine di approvare tale norma e compiere, tutti insieme, un atto di umanità nei confronti di una parte della nostra storia.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, onorevoli deputati, un ramo del Parlamento ha già affrontato in prima lettura l'annosa questione del rientro in patria dei discendenti maschi di casa Savoia. Il Senato, a larghissima maggioranza, ha approvato la proposta per la cessazione degli effetti dei commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione, basandosi sul convincimento etico-politico che vede i valori della democrazia liberale inerenti alla rappresentanza elettiva e non dinastica ben radicati nel nostro ordinamento repubblicano, al punto che nessuna preoccupazione in merito può turbare la coscienza dei cittadini (pur senza discriminare quella legittima minoranza che vede nella monarchia un proprio sistema di riferimento istituzionale).
Il Governo concorda con la relatrice sul fatto che il suddetto divieto di ingresso e soggiorno nel territorio nazionale nei confronti degli attuali due eredi dell'ex re di casa Savoia è superato dai tempi e contrasta con gli accordi internazionali sottoscritti dai vari governi della Repubblica. Pertanto, l'esecutivo prende atto di come la cessazione degli effetti del primo e secondo comma della XIII norma, proposta legislativa di iniziativa parlamentare, vada nella direzione giusta, consentendoci anche di evitare una sentenza sfavorevole dell'Alta corte di giustizia di Strasburgo presso la quale è intentato un giudizio che coinvolge il nostro Stato in ordine alla violazione delle regole che sanciscono i diritti umani. Abbiamo collezionato centinaia di infrazioni alle direttive internazionali, almeno quelle facenti capo ai trattati che abbiamo sottoscritto con l'Unione europea, e non vorremmo essere condannati
per un divieto che appare minimale se esclusivamente riferito a due cittadini italiani muniti di passaporto belga ai quali è impedito l'ingresso in Italia.
Sappiamo bene, invece, come fossero diversi i sentimenti circa il divieto costituzionalizzato nel 1947 alla fine della seconda guerra mondiale: fu una questione sostanziale, oggi vanificata dal tempo, che, pur costituendo un vulnus allo Stato di diritto ed alla normativa internazionale, tuttavia derivava da responsabilità politiche di fondamentale importanza per la memoria storica del nostro paese. È trascorso mezzo secolo: la scelta repubblicana è consolidata per volontà popolare ed è pronta per un atto di riconciliazione. La XIII norma transitoria non viene espunta dalla Costituzione e rimane a testimoniare tale memoria, ma è necessario un atto legislativo costituzionale per rimuovere le sanzioni; ebbene, proprio l'integrazione che la Camera si accinge ad approvare - ci auguriamo con la maggioranza necessaria per evitare un inopportuno referendum - ripristina per i due discendenti di casa Savoia, dopo cinquant'anni, i diritti civili e politici che attengono ad ogni libero cittadino dell'Unione europea, esaltando così anche i principi fondamentali scolpiti nella prima parte della Costituzione, quelli che individuano i diritti inviolabili universali che fanno capo ad ogni persona umana.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Saponara. Ne ha facoltà.
MICHELE SAPONARA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, Forza Italia voterà a favore della proposta di legge relativa alla modifica della XIII disposizione transitoria della Costituzione e lo farà in modo convinto e comprensibilmente entusiastico. A questo proposito, voglio ricordare che, se oggi scriviamo questa pagina che fa onore alla nostra Repubblica e alla nostra coscienza repubblicana, lo si deve anche e soprattutto alla determinazione del Polo delle libertà, ora Casa delle libertà. Infatti, nonostante questo provvedimento fosse sentito o, comunque, non osteggiato dalla coscienza civile del nostro paese, il suo varo è stato faticoso e segnato da diffidenze ed incertezze.
Prima che il Governo presentasse nella XIII legislatura il disegno di legge approvato solo da un ramo del Parlamento - e che in questa legislatura è stato ripreso dal Governo Berlusconi ed approvato dal Senato - in Parlamento erano ben dieci le proposte d'iniziativa parlamentare volte a modificare la XIII disposizione transitoria della Costituzione e otto di queste erano state presentate dal centrodestra. È, quindi, legittima la nostra soddisfazione se quelle proposte hanno finalmente trovato un consenso pressoché unanime, così come risulta dall'esito delle votazioni al Senato, dai voti espressi nella I Commissione e come spero risulterà dagli interventi odierni.
Il cammino è stato faticoso ma l'esito si prevedeva certo, favorevole e addirittura scontato. All'indomani del referendum che, non si dimentichi, vide la Repubblica prevalere di stretta misura sulla monarchia e che fu apertamente contestato, in considerazione della commozione con cui fu accolto il messaggio indirizzato agli italiani dal re deposto nel momento in cui si accingeva a lasciare il suolo nazionale (io, evidentemente, sono tra i pochi in quest'aula a ricordarlo, attesa l'età), vi fu chi ebbe timore di una guerra civile e del fatto che, comunque, si creasse una situazione di instabilità politico-istituzionale. Da qui l'esilio, inserito in un testo normativo estremamente severo e rigoroso e che trova la sua giustificazione soprattutto in una ragione di opportunità politica: evitare la turbativa che un certo soggetto o una certa categoria di soggetti potessero determinare nell'unità e nell'armonia di una collettività.
La XIII disposizione in questione, oltre che l'esilio per l'ex re, le loro consorti e i discendenti maschi, prevede anche che i membri discendenti di Casa Savoia non siano elettori e non possano ricoprire uffici pubblici né cariche elettive. Nel terzo comma avoca allo Stato tutti i beni degli ex re di Casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi,
comminando la nullità degli atti di disposizione compiuti dopo il 2 giugno 1946.
In verità, detta normativa è stata ritenuta eccezionale fin dai primi dibattiti sviluppati sulla stessa. Essa, infatti, appariva in contrasto con alcuni articoli della Costituzione quali l'articolo 2 che garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, l'articolo 3 che sancisce il principio di eguaglianza, l'articolo 16 che riconosce il diritto di soggiornare e circolare nel territorio nazionale, l'articolo 17 che riconosce il diritto di riunione, l'articolo 18 che garantisce il diritto di associazione, l'articolo 21 che tutela il diritto di manifestazione del pensiero, l'articolo 42 che tutela il diritto di proprietà (comunque, al riguardo, il discorso è stato superato, perché il comma 3 della disposizione in questione non ci riguarda), gli articoli 48 e 51 che disciplinano l'elettorato attivo e passivo.
Secondo molti interpreti questa autorottura costituzionale - così è stata definita quasi unanimemente - conferma il carattere eccezionale di quella disposizione e rafforza i valori costituzionali fondamentali tra i quali primeggia la forma repubblicana che, secondo l'articolo 139, non può essere oggetto di revisione costituzionale. È chiaro che l'iniziativa prima del centrodestra, poi del Governo precedente, poi di quello attuale, cui hanno aderito successivamente altre forze politiche, magari con minor entusiasmo, non vuole rappresentare un tentativo di revisionismo storico circa i meriti e le colpe della dinastia sabauda (tra i primi si ricorda il contributo all'unità d'Italia, tra i secondi il coinvolgimento nell'ultima grande guerra), ma solo prendere atto del sentimento di molti italiani e del mutamento di situazioni politiche del contesto internazionale.
Riconosco e rispetto le ragioni di perplessità che hanno avuto molti parlamentari nei confronti di questo provvedimento. Si tratta di sensibilità diverse, di storie familiari particolarmente toccate da certi avvenimenti, ancorché lontani nel tempo, e soprattutto della preoccupazione, più emotiva che razionale, di indebolire il sigillo del rifiuto dell'istituto monarchico che è pilastro fondamentale della nostra Costituzione quasi che la modifica della XIII disposizione possa indebolire il contenuto dell'articolo 139.
Occorre, soprattutto, prendere atto del mutamento delle situazioni politiche che avevano determinato quelle norme e della necessità di adeguarle alle nuove norme dettate dal contesto internazionale di cui facciamo parte. Occorre a tal proposito ricordare l'articolo 3 del protocollo addizionale n. 4 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali secondo cui nessuno può essere espulso mediante provvedimento individuale o collettivo dal territorio dello Stato di cui è cittadino e nessuno può essere privato del diritto di entrare nel territorio dello Stato di cui è cittadino.
Detta normativa è stata invocata da Vittorio Emanuele di Savoia il 13 dicembre 1999 allorché si è rivolto alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo sostenendo che l'Italia, con la sua espulsione e con quella dei suoi discendenti maschi, abbia violato il suddetto articolo. L'esponente dei Savoia lamentava anche di essere oggetto di discriminazione del godimento dei diritti e libertà fondamentali (articolo 14 della Convenzione) e si è riferito a tanti altri articoli che non sto qui ad enumerare. Dunque, tale normativa è vigente anche in Italia ed è in contrasto con la XIII disposizione, così come è in contrasto la normativa comunitaria di cui al Trattato di Schengen che sancisce la libera circolazione delle persone di tutti gli Stati membri sul territorio dell'Unione europea. Non si può omettere di ricordare il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1o maggio 1999, che affronta il problema dei diritti umani che rappresentano un insieme di diritti universali interdipendenti e propri ad ogni persona. L'esame della situazione dei diritti umani dell'Unione europea va affrontato confrontando ed adeguando i diritti interni con il diritto comunitario e con quanto sarà disciplinato e previsto della Carta europea dei diritti fondamentali.
Della possibilità e dell'opportunità di rivedere la XIII disposizione, ammettendone
l'intrinseca transitorietà, si era occupato il Consiglio di Stato sia in un parere del 10 dicembre 1987, allorché si espresse in modo favorevole al rientro della regina Maria Josè che allora aveva ottant'anni, sia nel parere reso al Presidente del Consiglio in data 1o marzo 2001.
Nell'occasione il Presidente del Consiglio dei ministri, dovendo rispondere alle interrogazioni di vari parlamentari, aveva chiesto il parere al Consiglio di Stato.
In tale parere è vero che si esclude l'incompatibilità sopravvenuta del divieto di cui alla XIII disposizione con i principi derivanti dall'articolo 10 della Costituzione, secondo cui l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, tuttavia si osserva che - anche a conclusione del processo di integrazione tra i principi costituzionali degli Stati membri, il diritto comunitario e le norme della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo - si potrà ipotizzare che i principi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e dei protocolli possano costituire nuova specificazione dei diritti inviolabili del diritto interno ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione: quindi, si tratta non solo di ragioni di raccordo del nostro diritto costituzionale, peraltro eccezionale e transitorio, con la legislazione internazionale - a questo proposito voglio ricordare che l'Austria e la Francia avevano già provveduto ad abrogare, nell'immediatezza della cessazione delle situazioni che avevano determinato quella legislazione, norme analoghe - ma, ripeto, noi abbiamo anche ragioni e considerazioni di carattere politico che possono essere non determinanti - perché lo è la considerazione del raccordo con la legislazione internazionale - ma rappresentare veramente un supporto importante a questa modifica.
Si è detto delle ragioni e del contesto politico che consigliarono quelle norme: ora il contesto politico è cambiato e quelle ragioni sono venute meno.
Le istituzioni repubblicane sono solide e mantenere quella norma significherebbe mancanza di fiducia e di rispetto verso la normativa internazionale. La prova che l'istituzione repubblicana sia fuori discussione è dimostrata dal fatto che il sentimento degli italiani, decisamente repubblicano, sia favorevole - e, comunque, non contrario - alla disposizione e al rientro dei Savoia, dai quali non hanno, come nessuno di noi, nulla da temere e non solo perché hanno dichiarato pubblicamente fedeltà alla Repubblica.
Chi espresse un voto per la monarchia - furono tanti ma ora, evidentemente, sono rimasti in pochi, atteso il passare degli anni - apprezzerà il provvedimento al nostro esame e lo considererà come un momento di rispetto, sia pure platonico e lontano, di quel voto (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Montecchi. Ne ha facoltà.
ELENA MONTECCHI. Signor Presidente, la relatrice nella sua illustrazione ha ricordato che al Senato si è svolto un dibattito - che, peraltro, in questa Camera si svolse già nella precedente legislatura - ampio ed approfondito che ha messo in evidenza, anche fra la maggioranza che ha espresso un voto favorevole, diversi fili di ragionamento che portano allo stesso; i voti contrari sarebbero dovuti - come ricordava poc'anzi il collega Saponara - a ragioni, che pure sussistono, esclusivamente di storie familiari. Non credo, basta leggere gli interventi.
Gli interventi che hanno espresso un dissenso sono quelli che si fondano su un giudizio storico-politico e che sono stati svolti da uomini che provengono dalla componente repubblicana e liberale - ampiamente presente soprattutto nel centrodestra - e che traggono le loro ragioni di convincimento dalla storia di questo paese.
A nome del mio gruppo, posso affermare che la maggioranza dei miei colleghi voterà favorevolmente, tuttavia - come è accaduto per colleghi di diversi gruppi - vi saranno deputati che si asterranno o che esprimeranno un voto contrario partendo, appunto, più che da una dimensione di
riflessione emotiva sulla propria storia familiare, da quel giudizio storico e politico che attiene alla dimensione della responsabilità dinastica. Naturalmente, tale responsabilità, nel momento in cui si consolida una storia repubblicana, non ha più alcuna ragione di esistere dal punto di vista umano. Tuttavia, diffido profondamente dal rischio che, su tale vicenda, vi sia un dibattito da cronaca rosa.
Dunque, non mi appartiene la valutazione banale in base alla quale le colpe dei padri non possono ricadere sui figli. Infatti - ripeto - la dimensione dinastica è una cosa e quella del comune cittadino è un'altra; ma io non sono dentro una dimensione dinastica.
Dobbiamo valutare e votare - lo ha evidenziato molto efficacemente la relatrice - una disposizione che fu oggetto di una rigorosa discussione tra i nostri padri costituenti anche per la sua eccezionalità. Oggi, per quanto ci riguarda, intendiamo fornire un contributo distinguendoci, tuttavia, da coloro che intendono questo voto come un tassello del revisionismo sulla storia d'Italia e degli italiani. Anche in questo caso sono d'accordo con quanto affermato dalla relatrice, ma mi soffermerò su tale aspetto.
Infatti, stiamo discutendo della Costituzione e ritengo che anche le ragioni che, oggi, ci inducono a mutare non solo questa parte della Costituzione ma anche altri aspetti, debbano tenere in doverosa considerazione la dimensione politica, storica e morale che portò i nostri padri costituenti ad assumere delle decisioni anche se in un'Italia lacerata.
Va da sé che non è in questione la forza dell'Italia democratica e repubblicana, così come essa si è costruita dal secondo dopoguerra ad oggi, con i suoi drammi, con i suoi successi, anche perché intere generazioni sono cresciute in questa Repubblica e lo spirito repubblicano è forte e sedimentato, come è stato sobriamente riconosciuto con una dichiarazione di lealtà e fedeltà alla Repubblica da parte dei componenti della famiglia Savoia.
Ma, proprio per onorare questo spirito repubblicano - quello di oggi -, non possono essere sottaciuti i fatti che indussero i padri costituenti ad approvare quella norma eccezionale. I nostri padri costituenti rappresentavano un'Italia che aveva vissuto e subìto anche le scelte e i silenzi di Vittorio Emanuele III. Egli fu tollerante nei confronti degli atti di violenza del 1922 e accettò la soppressione della libertà di stampa, il divieto della costituzione dei partiti, la limitazione della libertà di espressione del pensiero.
Nessuna iniziativa istituzionale fu da lui assunta per ripristinare la legalità, tant'è che autorevoli esponenti del pensiero liberale come Ruffini e Croce, nei loro giudizi d'insieme sulla vicenda dei Savoia in Italia, hanno espresso una sanzione critica e senza rimedio.
Poi, ricordiamo l'esperienza vissuta e subita dai nostri connazionali ebrei con le leggi razziali del 1938, sottoscritte da Vittorio Emanuele III. Gli studi di Zevi, di Sarfatti, di De Felice e di Tranfaglia ci forniscono elementi per un giudizio molto fermo; e qui ci soccorrono, però, anche le memorie scritte di Buffarini Guidi che sono quelle che più mi hanno colpita. Buffarini Guidi si recò dal re preoccupato delle eventuali scelte della monarchia, ma poi riferì a Mussolini - cito testualmente - che il re, con molta serenità ed elogiando la sensibilità e la generosità del capo del Governo, aveva accettato che venissero promulgate le leggi razziali. Leggi che produssero discriminazioni e umiliazioni, che allontanarono bambini e giovani dalle scuole e dalle università, che allontanarono adulti dalle professioni pubbliche e dalle professioni liberali, che portarono in miseria centinaia e centinaia di famiglie, in questo paese: cittadini italiani. Leggi che precedettero di pochi anni la deportazione, ad opera dei nazifascisti, e lo sterminio di migliaia di ebrei italiani.
Ricordiamo, ancora, le pesanti responsabilità del re nel luglio 1943, sino al post 8 settembre e all'intera fase della dissoluzione dell'autorità, dell'abbandono dell'esercito, della fuga dalle responsabilità morali e della fuga materiale.
Si tratta di un insieme di incapacità morali e politiche di un re che non fu
vicino ai suoi soldati, ai suoi ufficiali e al popolo italiano, in un'Italia divisa e lacerata. Ecco cosa ereditavano i padri costituenti che pure ben conoscevano il ruolo complesso ma positivo assolto dai Savoia nel corso dell'Ottocento, quando essi seppero tessere politicamente e militarmente le condizioni per l'unità d'Italia, seppur talora in aperto conflitto con le componenti liberali e repubblicane più progressiste del Risorgimento italiano.
Collega Saponara, io non mi entusiasmo molto in questo dibattito, perché preferisco alla passione la riflessione: al Senato, qualche collega della sua coalizione, forse preso da un eccesso di passione, ha proposto anche di riabilitare i briganti, in virtù di un anti Savoia. Io maneggerei con più accuratezza i processi storici e la storia di questo paese.
I costituenti non accedettero ad una vendetta o ad un atto di acredine ma formularono una disposizione, espressione di una stagione politica nella quale la Repubblica italiana trovava il proprio fondamento di legittimazione. Fu il relatore Dossetti, nel dichiarare il suo voto favorevole all'emendamento proposto dall'onorevole Togliatti sulla proibizione della residenza nel territorio italiano per i membri di casa Savoia - come si trova nell'attuale formulazione della Costituzione -, a rispondere alle argomentazioni contrarie dell'onorevole Lucifero. Quest'ultimo sosteneva, tra l'altro, di ritenere inutile l'emendamento perché ricordava - e cito testualmente - che è consuetudine che reali che hanno perduto il trono risiedano fuori dalle nazioni sulle quali hanno regnato ed evidenziava il carattere di odiosità della norma proposta ritenendola, tuttavia, comprensibile. Dossetti dichiarò che nella presente situazione storico-politico italiana questo è un provvedimento di difesa dell'ordine repubblicano. E fu una dichiarazione eminentemente politica. Qui sta l'eccezionalità.
Quell'atto noi lo consideriamo ancora oggi in tutto il suo spessore e, se volete, anche in tutta la sua drammaticità e in tutto il suo valore: il nostro giudizio non comporta alcuna revisione né tantomeno la delegittimazione di quel fondamento storico e politico rappresentato dalla stagione costituente. Lo storico Claudio Pavone, con grande efficacia e con sobrietà, ci ha trasmesso la memoria delle drammatiche vicende che precedettero la fine della guerra e la costruzione dell'Italia repubblicana: l'occupazione, la resistenza, la lotta di liberazione, l'Italia spezzata, i drammi e i lutti degli italiani. Ci ha consegnato una lettura non retorica, non di parte di quegli anni; ci ha consegnato, lui insieme ad altri, l'idea di una storia che serve per capire, per spiegare, per comprendere, una storia che noi qui oggi non usiamo con logiche propagandistiche, ma rivendichiamo come parte di noi.
Oggi quei protagonisti, i principali responsabili della dittatura fascista e della vicenda bellica, per dirla con Benedetto Croce, sono stati affidati ai tempi e ai loro tribunali. Oggi possiamo valutare positivamente, per le ragioni dell'oggi ma anche per questa rivendicazione puntigliosa della storia di questa nazione, quel carattere eccezionale e la necessità del superamento di quel carattere eccezionale, perché non esiste nella storia e nella tradizione della cultura, tanto meno di quella giuridica europea, un'interpretazione o una gestione dell'esclusione dal territorio, dell'esilio, come misura di sicurezza politica che non abbia un limite o un termine temporale. A ciò si aggiunge il fatto, qui ampiamente ricordato, che la nostra adesione alle convenzioni internazionali in materia di diritti umani e di libera circolazione dei cittadini, nonché l'appellarsi al tribunale di Strasburgo, ci deve far considerare il contesto, non soltanto nazionale, nel quale siamo e la considerazione che oggi non ci sono cittadini diversi l'uno dall'altro.
Quindi, ragioni di civiltà giuridica e ragioni di cultura ci consentono di votare serenamente a favore di questo provvedimento. Tuttavia, ci preme ribadire infine che la memoria di una nazione non può essere archiviata, perché un paese che non ha memoria storica fatica ad avere fiducia nel proprio futuro. A ciò aggiungo che, non in un'idea faziosa, pesa il fatto che rappresentanti del Governo come l'onorevole Tremaglia dichiarino i loro sogni
reconditi, e lo facciano in forma ufficiale, circa l'esito della battaglia di El Alamein, dimenticando che cosa è stato e cosa rappresentava l'esercito nazista in Europa e nei territori africani e dimenticando anche le vittime italiane di Cefalonia. Pesa che non vi sia un giudizio largamente condiviso da tutte le classi dirigenti sul valore, nell'Europa unita, di una nazione altrettanto unita, ma federale, con una bandiera, che non retoricamente è il simbolo della storia plurale di milioni di uomini e di donne. Ma non pare che sia così per il ministro delle riforme istituzionali.
La cultura e la storia di una nazione non sono commerciabili: non sono né merce da cronaca rosa, né da negoziare con maldestre ritrattazioni o casomai con qualche dichiarazione a Le Iene. Ecco perché pur dicendo «sì» a queste norme, noi abbiamo teso ad argomentare, il più possibile approfonditamente o se volete puntigliosamente, le ragioni di questo «sì», che non mettono, appunto, in questione il giudizio sulla storia della nostra nazione (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cristaldi. Ne ha facoltà.
NICOLÒ CRISTALDI. Signor Presidente, signor ministro, è vero: se oggi possiamo serenamente discutere del rientro dei Savoia in Italia è perché è salda la democrazia ed è salda la formula repubblicana del paese. Nella cultura degli italiani, e principalmente nella politica, ciò che è stato costruito in questi ultimi cinquant'anni impone il buon senso ed una presa d'atto della caduta delle ragioni che a suo tempo portarono alla introduzione di una norma che non poteva che essere transitoria: appunto, la XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione, nei commi primo e secondo. Un provvedimento di tale natura che restasse in piedi ancora sarebbe una sorta di affermazione di debolezza della democrazia e della sua formula repubblicana.
Già altri paesi di sicura tradizione democratica hanno eliminato, dalle loro disposizioni e dalle loro Carte costituzionali, ogni riferimento all'esilio per personaggi che hanno costituito altri livelli istituzionali. Il riferimento è, innanzitutto, alla Francia e all'Austria, ma anche alla Romania e alla stessa Albania.
Proprio nel momento in cui si dibatte e si opera per la modernizzazione dell'Italia, anche attraverso le modificazioni della Carta costituzionale, rappresenterebbe un'assurdità il mantenimento di una disposizione che appare anacronistica ed assurda.
Nemmeno lontanamente l'abolizione della disposizione in questione può lasciare immaginare - anche in un lontano futuro - che sia ipotizzabile il ritorno della monarchia nel nostro paese. In un paese tollerante qual è il nostro, ove si concede ospitalità a chiunque, è inimmaginabile il mantenimento di una situazione motivata dal momento storico in cui maturò, ma che oggi non persiste più. Le stesse dichiarazioni degli eredi maschi di casa Savoia non lasciano dubbi circa la volontà degli stessi di rientrare nella propria patria, nel pieno rispetto degli assetti istituzionali e costituzionali dell'Italia. Non può passare inosservato in quest'aula che, proprio colui che sarebbe il re d'Italia in altre condizioni, riferendosi - in più passaggi - al Presidente della Repubblica, lo abbia definito «Il nostro Presidente della Repubblica».
Già nel 1947, quando si approvò la disposizione in questione, vi fu chi sollevò dubbi e perplessità circa quello che si stava compiendo. Ma quelle perplessità furono, se non superate, almeno attutite dal fatto che la disposizione era soltanto transitoria, e la transitorietà non può durare per oltre cinquant'anni senza rinnegare il carattere stesso della disposizione.
Con l'abolizione dei commi primo e secondo della XIII disposizione, l'Italia riafferma il principio di eguaglianza tra tutti i cittadini italiani. È un principio che consolida il ruolo dell'Italia nel rispetto di tutte le opinioni e di tutte le convinzioni.
È giusto che ogni cittadino sia eguale agli altri, abbia gli stessi doveri e goda degli stessi diritti. È giusto che ogni discendente di casa Savoia diventi elettore nel nostro paese e viva il futuro della nostra nazione. È giusto, a nostro parere, che venga soppressa la norma e ripristinato il principio della tolleranza e del rispetto per ciascun uomo nel nostro paese.
Con il rispetto che si deve a ciascun parlamentare mi sia consentito, a conclusione, affermare l'attualità di gran parte dell'intervento dell'onorevole Codacci Pisanelli nella seduta dell'Assemblea costituente del 5 dicembre 1947. L'onorevole Codacci Pisanelli affrontava anche la questione del terzo comma della XIII disposizione, che noi pensiamo non debba essere affrontato in questa sede, ma le sue argomentazioni restano in piedi perché, soprattutto, sono puntate sul prima e sul secondo comma della stessa XIII disposizione. L'onorevole Codacci Pisanelli diceva: a tale scopo, per andare incontro alle convinzioni basate sul ragionamento e sul sentimento di una gran parte del popolo italiano ritengo che sia il secondo sia il terzo comma della disposizione transitoria debbano essere esclusi dal nostro testo costituzionale; ritengo che i compilatori siano andati contro le stesse loro intenzioni perché l'esclusione dall'elettorato, non soltanto per i viventi, ma anche per i loro discendenti e per i figli dei figli e per quelli che nasceranno da loro, mi sembra un'enormità non voluta dagli stessi compilatori dell'articolo; mi rendo conto delle preoccupazioni che li hanno ispirati e conosco i precedenti offerti da altre Costituzioni, ritengo, però, che le norme in parola non siano rispondenti, quanto a senso della misura, alle convinzioni profonde di un popolo equilibrato come quello italiano.
D'altra parte, l'altro divieto, quello del soggiorno, si estende a tutti gli appartenenti ad una determinata casa. Divieto evidentemente eccessivo, in quanto riguarda uomini e donne in maniera indistinta ed esclude, non solo i viventi, ma anche coloro che saranno in avvenire.
Come ho già detto in questa sede, lascio fuori le considerazioni relative al terzo comma della XIII disposizione, in quanto la sua soppressione potrebbe essere oggetto di contenzioso se non giuridico, almeno nel dibattito politico.
Ci fermiamo a riaffermare l'opportunità della soppressione del primo e del secondo comma della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lusetti. Ne ha facoltà.
RENZO LUSETTI. Signor Presidente, colleghi, signori rappresentanti del Governo, il tema in esame è discusso ormai da tempo nel nostro paese, non solo nelle aule parlamentari, ma anche sul piano politico nell'ambito del dibattito tra i partiti.
Ricorre ormai periodicamente il tema del rientro dei membri e dei discendenti di casa Savoia nel nostro paese e pare che siamo giunti alla conclusione. Tuttavia, come sempre accade quando si giunge alla conclusione di un percorso pluriennale come questo, occorre che da una parte e dall'altra vi sia molto equilibrio per poter arrivare ad un risultato, soprattutto perché gli articoli 138 e 139 della Costituzione (che non sono stati mai messi in discussione nella nostra cosiddetta era repubblicana) consentono la revisione della Costituzione con un determinato quorum, sottolineando una sorta di saldatura tra la forma repubblicana, la scelta della corpo elettorale e la rappresentanza parlamentare dell'allora Assemblea costituente.
Sono tra coloro che affermano che il nostro paese ha bisogno di chiudere qualche pagina di storia (forse questa non è l'unica), nonché di gesti di conciliazione, poiché si parte da un momento storico molto importante, quello del 1946, in cui si sono vissuti momenti difficili. Ho letto nuovamente alcune pagine di storia: quando l'onorevole De Gasperi, Presidente del Consiglio, comunicò i risultati del referendum
al re Umberto, per alcuni giorni sono stati vissuti momenti anche drammatici. Si deve, pertanto, alla serietà del Presidente De Gasperi e alla compattezza del suo Governo una sorta di tenuta dell'assetto democratico, allora molto fragile.
Ritengo, quindi, che gesti di conciliazione si possano ottenere anche con atti parlamentari. Pertanto, rispetto l'intransigenza nei confronti della revisione della XIII disposizione transitoria della nostra carta costituzionale, ma ritengo sia altrettanto importante non dimenticare la storia; l'orizzonte che vogliamo costruire, non solo per noi, ma anche per i nostri figli, non ci può fare dimenticare ciò che è accaduto nel secolo scorso.
Questa disposizione si colloca all'interno delle norme transitorie e finali (lo dico al collega Cristaldi intervenuto precedentemente) ed, allora, ciò rivestiva un certo significato nel dibattito dell'Assemblea costituente. Oggi, evidentemente, sono mutate le condizioni storico-politiche per la verifica della sussistenza o meno della XIII disposizione transitoria.
Come il Presidente Mancino ha affermato nel suo intervento conclusivo al Senato relativo all'argomento in discussione, la transitorietà fu una chiara presa di posizione del costituente rivolta soprattutto a rimettere alla valutazione dei successi Parlamenti il divieto non definitivo nei confronti della casa Savoia e dei suoi discendenti maschi.
Non ero membro di questa Camera nella precedente legislatura, ma so che vi è stato un dibattito anche abbastanza articolato e molto approfondito. Oggi ci ritroviamo a discutere di un testo così come ci è stato trasmesso dal Senato.
Spesso questo argomento è stato trattato con un po' di disattenzione e, a volte, con assenza di responsabilità rispetto ad un evento che, fortunatamente, si conclude con l'approvazione di un testo che prevede non l'abrogazione, ma la cessazione degli effetti di questa disposizione transitoria.
Questo ha un valore non indifferente rispetto al tema che stiamo affrontando. Qualcuno ha parlato di revisionismo: non credo si tratti di ciò, non essendo, tra l'altro, un amante del revisionismo nella storia. Tuttavia, è anche importante ricordare e sottolineare che casa Savoia ha avuto le sue responsabilità. Lo dico proprio avendo premesso di essere favorevole al ritorno dei Savoia nel nostro paese.
Vanno sottolineate le responsabilità, nel dibattito che stiamo affrontando, anche perché la storia compirà le sue valutazioni anche su questo tema. Vittorio Emanuele III aveva coinvolto la monarchia e la sua dinastia nella fatale vicenda fascista e ne ha portato il peso davanti alla nazione e alla storia, avallando una sorta di colpo di Stato nel 1922; Vittorio Emanuele III ebbe responsabilità per il silenzio dinanzi alle violenze squadriste e per il non possumus con cui rifiutò di intervenire dopo il delitto Matteotti; ebbe responsabilità nell'accettazione delle leggi speciali che instaurarono la dittatura ed anche una corresponsabilità nella adozione delle infami leggi razziali: si tratta purtroppo di un tema di attualità per un'altra vicenda drammatica che sta avvenendo in Medio oriente. Vittorio Emanuele ha avuto responsabilità per una serie di altri silenzi con i quali ha consegnato l'Italia intera nelle mani di Hitler e della Germania nazista, entrando in guerra. Non ultima la famosa fuga di Pescara: ho un ricordo personale della vicenda, perché mio padre, allora giovane soldato in guerra in Jugoslavia, ricorda come allora non si sapessero più quali fossero gli ordini e come tanti soldati egli ritornò a casa a piedi, non sapendo cosa stesse accadendo.
Comprendo tutto, ma la coerenza, sia essa della monarchia o della Repubblica, è un fatto fondamentale, perché chi si assume le proprie responsabilità, anche di fronte al pericolo che investe la propria vita, si può dire uomo di Stato; viceversa, chi non lo fa, può essere tranquillamente tacciato, se non di codardia, comunque di irresponsabilità dinanzi al paese.
Non si devono quindi sottacere tali responsabilità, che anzi ricordate, anche se mi sembra ormai giunto il momento storico per poter compiere un passo in avanti rispetto ad un tema che ha coinvolto
l'intero paese e che per molti anni lo ha diviso; oggi invece vi è una maggioranza ampia nel paese che chiede che venga comunque rimosso questo veto da parte del Parlamento, attraverso la legge di modifica costituzionale.
Credo che chi allora ha accettato la scelta popolare della vittoria della Repubblica ha fatto onore anche a coloro che a quella scelta si erano contrapposti e che comunque ancora oggi hanno una posizione diversa rispetto alla nostra. Non si può non fare riferimento in questo contesto anche al ruolo che ha rivestito l'ultima regina: siamo tutti stati un po' «toccati» dallo sceneggiato televisivo che qualche mese fa è stato trasmesso nelle nostre case. Rispetto a questo, devo dire che il ruolo di Maria Josè è stato forse quello ha fatto parlare di più in questi anni di storia anche nel nostro paese.
Questa donna, morta da poco, ha avuto un ruolo importante nella casa reale, forse senza mai essere molto accettata perché aveva idee diverse: infatti, era sostanzialmente contro il fascismo ed era anche - da donna sinceramente appassionata alla politica - contro l'avventura della guerra. Il breve regno e poi l'esilio non le hanno sicuramente reso giustizia rispetto alle idee sincere che nutriva nei confronti di scelte nefaste per il paese compiute dalla casa reale.
Credo che per tutte queste ragioni si debba fare un passo in avanti, senza mai dimenticare la storia, perché chi non ha memoria storica non può avere un futuro e un orizzonte in questo nostro paese. Però, noi, da repubblicani, possiamo concludere dicendo che la transitorietà, per essere tale, deve avere sostanzialmente un termine finale.
Pur non avendo, ovviamente, l'esperienza del senatore Andreotti, che ha vissuto in prima persona quelle esperienze e che, durante il dibattito al Senato, ha citato De Gasperi, vorrei dire che quegli anni sono stati abbastanza drammatici rispetto ad un tema così importante e vorrei anch'io leggere un passo, che ho ritrovato, di un discorso pronunciato dall'onorevole De Gasperi in occasione dell'apertura della campagna elettorale per il referendum. Io ho grande rispetto per questi nostri padri della patria, a cui credo dobbiamo molto, anche per la libertà e la democrazia nel nostro paese. Diceva De Gasperi: Repubblica o monarchia? La domanda è posta male, troppo semplicisticamente. La domanda vera è questa: volete instaurare la Repubblica, cioè vi sentite capaci di assumere su di voi, popolo italiano, tutta la responsabilità, tutto il maggior sacrificio, tutta la maggior partecipazione che esige un regime il quale fa dipendere tutto, anche il Capo dello Stato, dalla vostra personale decisione espressa con la scheda elettorale? Se rispondete sì - diceva De Gasperi - vuol dire che prendete impegno solenne, definitivo per voi e per i vostri figli, di essere più preoccupati della cosa pubblica di quello che non siete stati finora, di avere consapevolezza che essa è cosa vostra e solo vostra, di dedicarvi ore quotidiane di interessamento e di lavoro, ma soprattutto vorrà dire che avete coscienza di potere, con la vostra opera, difendere nella Repubblica la libertà, libertà - diceva De Gasperi - che è il bene supremo, la libertà di coscienza dei cittadini in tutti i campi di fronte allo Stato, ai partiti, alla collettività sociale, la libertà di essere ciascuno padrone in casa propria, e avete la coscienza che questa forma dello Stato non minaccia, ma rafforza l'unità del paese.
Queste parole di De Gasperi, onorevoli colleghi, sono ancora molto attuali, ancorché pronunciate tantissimi anni fa e ci chiedono un supplemento di impegno, appunto perché la scelta della Repubblica è assolutamente irreversibile per quanto riguarda la storia del nostro paese. Però, proprio perché sono passati tanti anni, proprio perché noi crediamo in questa Repubblica e nell'unità di questa Repubblica - lo dico anche a quei colleghi che fanno parte della maggioranza di Governo, che a volte si dimenticano che questa Repubblica è unita ed il riferimento, nello specifico, è ad un particolare gruppo di parlamentari - è necessario ribadire che questa XIII disposizione è una norma transitoria e che, come tale, va superata.
Noi la superiamo, sapendo che non potremo mai dimenticare la nostra storia e che potremo farne tesoro non solo per credere fermamente nella forma repubblicana di Governo, ma per credere nei principi di libertà e di democrazia, per cui tante persone sono morte - anche autorevoli membri di questo Parlamento, come Aldo Moro - che non sono principi nati per caso, ma principi e valori in cui hanno creduto i nostri costituenti e che noi abbiamo il dovere morale di perseguire con passione, impegno e con senso vero della politica, che ci consente di andare avanti anche se i Savoia ritornano (perché hanno diritto di ritornare) sapendo che indietro, nella storia, non si torna.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, a titolo personale, l'onorevole Buontempo, con una piccola eccezione alla norma regolamentare che vuole che la richiesta giunga non meno di un'ora prima dell'inizio della discussione. Sono costretto a segnalarlo.
TEODORO BUONTEMPO. La ringrazio, signor Presidente. Sarò brevissimo.
PRESIDENTE. Comunque, essendo il primo firmatario di una delle proposte ed avendo trascorso giornate piuttosto impegnative...
MICHELE SAPONARA. E quindi è stanco!
PRESIDENTE. ...sono sicuro che di questa eccezione non abuserà.
TEODORO BUONTEMPO. La ringrazio, signor Presidente, la seduta è iniziata esattamente alle 15,30. Sarò molto breve, m'interessa affermare solo due concetti.
Il referendum popolare sulla forma istituzionale dello Stato si svolse il 2 e 3 giugno del 1946. Gli italiani non devono dimenticare che quel referendum fu possibile perché Umberto II di Savoia firmò l'indizione del referendum. Un re - lo ripeto - firmò per un referendum democratico. Il risultato fu il seguente: 12.717.923 voti per la Repubblica e 10.719.284 voti per la Monarchia. L'Italia era divisa a metà. La Casa Savoia aveva un fortissimo consenso al sud d'Italia e molte istituzioni erano legate ad essa, alla Monarchia. Quel re, dunque, sostenuto da mezza Italia che condivide la Monarchia, che gode di un forte consenso nelle istituzioni e che firma egli stesso il decreto per l'indizione del referendum (che non dà una maggioranza schiacciante alla Repubblica), lascia l'Italia e il 13 giugno del 1946, dall'aeroporto romano di Ciampino, ricevuti gli onori militari, parte per il Portogallo.
I repubblicani, coloro che erano legati alla nuova Costituzione, avrebbero dovuto onorare questa Casa regnante proprio perché si sono trovati di fronte ad un re democratico, che ha accettato il responso elettorale ed evitato altri lutti ed altre lacerazioni al nostro paese.
Ho voluto richiamare quest'evento, perché spesso questo Parlamento e le istituzioni italiane hanno ricevuto, con tutti gli onori, re che sono tornati a regnare senza un referendum democratico! Ad un certo punto della storia, tali re sono stati richiamati e, dopo anni, hanno regnato nuovamente su paesi, oggi democratici ed anche membri della Comunità europea. Era una violenza inaudita, dunque, che un Parlamento - che onora re tornati a regnare senza un voto popolare - tenesse fuori dei confini dell'Italia gli eredi di una casata che, per evitare ulteriori lutti al nostro paese, ha firmato il decreto e abbandonato l'Italia, che dall'estero, con grande sofferenza, cercano di rientrare in Italia, non come casa regnante, ma come cittadini italiani. Il nostro paese deve riconoscere che tale casata rappresenta le radici dell'unità del nostro paese.
Non possiamo dimenticare, quando si studia il Risorgimento, il ruolo che ha avuto casa Savoia. Mi auguro, dunque, che il Parlamento, nell'approvare la cancellazione di questa norma transitoria, lanci un
segnale, affinché possano rientrare in Italia gli eredi di casa Savoia deceduti e sepolti all'estero.
In tutto il mondo democratico è stato consentito di onorare ufficialmente gli ex re già sepolti all'estero ed anche noi dobbiamo permettere che gli eredi di casa Savoia possano essere sepolti ed onorati su quel suolo italiano che è tale anche grazie al loro contributo: girando l'Italia, troviamo ovunque scuole, edifici, musei - qui a Roma, a piazza Venezia, c'è l'Altare della Patria - che ci ricordano i Savoia.
Perciò abbiamo il dovere di far rientrare gli eredi vivi e le salme dei defunti di casa Savoia. In questo modo, la democrazia italiana sarà più forte: dopo più di 50 anni, la Repubblica avrà dimostrato di essersi fortificata ma, nel contempo, di non aver perso il senso delle proprie radici. L'Italia può essere pacificata soltanto ricostruendone tutta la storia, senza lasciare zone d'ombra (Applausi)!
PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
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