Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 108 del 4/3/2002
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TESTO AGGIORNATO AL 5 MARZO 2002


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La seduta, sospesa alle 21,15, è ripresa alle 21,20.

Discussione congiunta del testo unificato delle proposte di legge: Bossi; Schmidt ed altri: Istituzione della provincia di Monza e della Brianza (articolo 107, comma 3, del regolamento) (154-1196); della proposta di legge Sinisi e Nicola Rossi: Istituzione della provincia di Barletta-Andria-Trani (articolo 107, comma 3, del regolamento) (518); e del testo unificato delle proposte di legge: Tanoni; Zama: Istituzione della provincia di Fermo (articolo 107, comma 3, del regolamento) (900-1126).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta del testo unificato


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delle proposte di legge d'iniziativa dei deputati Bossi; Schmidt ed altri: Istituzione della provincia di Monza e della Brianza; della proposta di legge d'iniziativa dei deputati Sinisi e Nicola Rossi: Istituzione della provincia di Barletta-Andria-Trani; e del testo unificato delle proposte di legge d'iniziativa dei deputati Tanoni; Zama: Istituzione della provincia di Fermo.
La I Commissione affari costituzionali ha deliberato di riferire all'Assemblea su tali proposte nello stesso testo già approvato in sede referente nel corso della precedente legislatura e di adottare la relazione allora presentata, ai sensi dell'articolo 107, comma 3, del regolamento.
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione congiunta sulle linee generali delle proposte di legge è pubblicata nel calendario (vedi resoconto stenografico della seduta del 1o marzo 2002).

(Discussione congiunta sulle linee generali - A.C. 154-1196, 518, 900-1126)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione congiunta sulle linee generali.
Informo che il presidente del gruppo parlamentare della Margherita, DL-l'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento, senza limitazione nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Schmidt.

GIULIO SCHMIDT, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le proposte di legge che ci accingiamo a discutere riguardano l'istituzione di tre nuove province, le prime tre del terzo millennio: la provincia di Monza e della Brianza, la provincia di Fermo e la provincia di Barletta-Andria-Trani; la prima in Lombardia, la seconda nelle Marche e la terza in Puglia: nel nord, nel centro e nel sud.
Le proposte di legge sono state approvate nel corso del 2001 per ben due volte in sede referente dalla I Commissione, sia nella XIII che nella XIV legislatura, percorrendo in ambedue i casi, anche se con modalità differenti, l'intero processo riguardante le Commissioni parlamentari.
Il 7 marzo 2001, la I Commissione (Affari costituzionali) approvò in sede referente, all'unanimità, questi stessi testi che vengono oggi affidati all'esame dell'Assemblea. I provvedimenti furono poi presentati alla Presidenza della Camera l'8 marzo 2001 per il successivo esame in aula. Lo scioglimento anticipato delle Camere non consentì, tuttavia, il percorso in aula per l'approvazione definitiva.
Il 16 ottobre 2001, per la seconda volta, le proposte di legge approdarono nuovamente in I Commissione, nello stesso testo licenziato il 7 marzo. Come ha ricordato il Presidente, si è ritenuto opportuno ricorrere alla procedura abbreviata prevista dal comma 3 dell'articolo 107 del regolamento della Camera, poiché la fattispecie in considerazione soddisfaceva pienamente i presupposti indicati dall'articolo stesso.
L'esame delle proposte di legge è stato completato in I Commissione (Affari costituzionali) il 16 ottobre 2001, con il mandato al relatore a riferire favorevolmente all'Assemblea.
Per tutti e tre provvedimenti è stata accertata la sussistenza dei requisiti necessari per l'istituzione, sia per quanto riguarda i requisiti richiesti dal testo unico delle autonomie locali sia per quanto riguarda il dettato costituzionale. Anche il ministero dell'interno, nel 1992, con nota del 21 ottobre e, successivamente, durante l'istruttoria, ha confermato la congruità delle proposte con il dettato normativo che esige, per le nuove province, un territorio omogeneo sotto gli aspetti storici, sociali, economici e culturali e potenzialità chiare di sviluppo e di crescita dell'area territoriale provinciale.
Per quanto riguarda la radiografia dettagliata delle caratteristiche sociali, storiche ed economiche e le tipologie territoriali, rimando, ovviamente, alle relazioni pubblicate.
Alcune considerazioni veloci sulle tre province. Per la provincia di Monza e della Brianza la maggioranza dei comuni interessati si è pronunciata favorevolmente ed


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il consiglio regionale della Lombardia ha espresso parere favorevole con delibera del 1o aprile 1998. L'iniziativa per l'istituzione della provincia di Fermo è stata assunta da 40 comuni su 40. Ricordo che l'istituzione della nuova provincia di Fermo è all'attenzione del Governo e del Parlamento fin dall'inizio degli anni novanta, quando furono create otto nuove province ai sensi dell'articolo 63, comma 2, della legge n. 142 del 1990. Da allora diverse volte sono stati prorogati i termini per l'istituzione di nuove province; è stata affrontata la questione in varie leggi finanziarie e più volte il Parlamento ha impegnato il Governo con ordini del giorno per completare l'iter istitutivo, senza che tuttavia si giungesse ad una risposta definitiva.
L'iter per l'istituzione della provincia di Barletta-Andria-Trani fu formalmente avviato nei primi anni novanta in vista di un suo conseguimento, sempre ai sensi dell'articolo 63, comma 2, della legge n. 142 del 1990, che prevedeva la delega al Governo per l'istituzione di nuove province. Anche in questo caso in cui la delega è venuta a scadenza e nonostante sia stata ripetutamente prorogata non si è pervenuti all'istituzione della nuova cosiddetta sesta provincia pugliese. Nel frattempo, però, la configurazione territoriale originaria dell'istituenda provincia si è andata ampliando per effetto dell'adesione di altri importanti comuni quali Andria, Trani e Bisceglie. All'adesione della maggioranza delle popolazioni e dei comuni interessati si è aggiunto poi il parere favorevole espresso dal consiglio regionale della Puglia fin dal 12 dicembre 1990 e da un nuovo parere confermativo del consiglio regionale espresso nella seduta del 27 febbraio 2001. Sottolineo che nel testo licenziato dalla Commissione si è prevista l'istituzione di una provincia policentrica denominata, non a caso, Barletta-Andria-Trani. La sua delimitazione territoriale ricomprende 12 comuni, di cui 9 attualmente situati nella provincia di Bari e 3 nella provincia di Foggia.
Le funzioni di capoluogo in questo progetto di legge sono assegnate non ad una sola città, ma al cuore dell'area-sistema, ovvero alle città di Andria, Barletta e Trani, che da sole rappresentano una popolazione di oltre 240 mila abitanti.
Concludo richiamando l'attenzione dei colleghi dell'Assemblea sui tre articoli della Costituzione che sono, a mio avviso, i mattoni fondamentali per un processo federalista dello Stato. Innanzitutto, l'articolo 114, novellato dalla modifica del titolo V della Costituzione, che conferma la presenza nell'ordinamento della Repubblica delle province come secondo livello dopo comuni e prima di città metropolitane, regioni e Stato. È prevista pari dignità tra i 5 soggetti, ma elencazione comunque in chiave sussidiaria nelle loro funzioni e nelle loro potestà. Ma richiamo soprattutto il senso primario dell'articolo 5, che afferma che la Repubblica promuove le autonomie locali e adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia. Questo articolo 5 è sotteso, come fondamento, all'articolo 133 che afferma che l'istituzione di nuove province nell'ambito di una regione è stabilita con legge della Repubblica su iniziativa dei comuni, sentita la stessa regione.
Ebbene, questo articolo, chiarissimo, non toccato dalle recenti modifiche apportate al titolo V della Costituzione, impedisce che questa materia venga disciplinata da un organo diverso dal Parlamento nazionale, introducendo una riserva di legge statale ma, allo stesso tempo (proprio nello spirito fondante dell'articolo 5), escludendo che questo atto legislativo possa essere adottato senza l'iniziativa dell'ente territoriale, quindi prevedendo una deliberazione dell'ente territoriale stesso.
Questo è l'iter seguito dalle tre proposte di legge che coinvolgono gli interessi e le aspirazioni di ben 1.500.000 di cittadini italiani (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ANTONIO D'ALÌ, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.


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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Rossi. Ne ha facoltà.

NICOLA ROSSI. Signor Presidente, con la discussione di questa sera si avvia, almeno per quanto riguarda questo ramo del Parlamento, la fase finale di un iter già cominciato nella scorsa legislatura.
Sottolineo questo punto particolarmente rilevante perché è indice di come si sia giunti alla discussione ed alla approvazione (almeno in Commissione) di queste proposte di legge relative all'istituzione di tre nuove province, indipendentemente dalle maggioranze elettorali e dagli schieramenti cui appartenevano ed appartengono i proponenti. Si tratta dunque di un iter che sancisce il grado di maturazione di queste proposte di legge (anche rispetto ad altre) e delle diverse istanze locali che stanno dietro a queste proposte. Si è trattato di un iter condiviso a livello locale che è potuto giungere allo stadio in cui si trova oggi perché, evidentemente, vi è dietro qualcosa di profondo e di sostanziale.
Altri parleranno della istituzione della nuova provincia di Monza e della Brianza e di quella di Fermo; io vorrei sottoporre all'attenzione degli onorevoli colleghi l'istituzione della nuova provincia di Barletta-Andria-Trani
Oltre 450 mila abitanti residenti in 12 comuni collocati a cavallo fra le province attuali di Bari e Foggia; un prodotto lordo per abitante pari al 70 per cento circa della media dell'Unione europea; un mercato del lavoro difficile, come in tutto il resto del Mezzogiorno, ma con segnali diversi e certamente più positivi rispetto al resto della regione in cui l'area di questa provincia è collocata, nonché un mercato del lavoro tendenzialmente più dinamico ed un capitale umano rilevante se paragonato al resto delle condizioni meridionali; una struttura produttiva caratterizzata da un comparto agroalimentare dalle potenzialità straordinarie e dalla presenza di importanti insediamenti nel settore tessile e calzaturiero (proprio quei settori che oggi sperimentano sulla propria pelle quanto dura possa essere una competizione globale se il sistema produttivo è costretto, come a volte accade, ad affrontarla disarmato); uno straordinario patrimonio storico, artistico e culturale in cui, ancora oggi, è visibile l'impronta di Federico II di Svevia. Questa è la nuova provincia di Barletta-Andria-Trani. Dico «è» e non, come forse dovrei dire, «sarà» o «dovrebbe essere», perché in effetti, una nuova provincia è già da tempo presente e lo è nella capacità di autodeterminazione che quel territorio ha mostrato negli ultimi anni. Il territorio della costituenda provincia di Barletta-Andria-Trani ha la caratteristica di aver utilizzato, in questi ultimi anni, praticamente tutti gli strumenti di sviluppo locale che nel corso della passata legislatura sono stati varati: il patto territoriale nord barese ofantino, il programma di riqualificazione urbana, il parco letterario ed il reddito minimo di inserimento.
Cito questi quattro capisaldi della politica di sviluppo locale perché essi, in quattro settori completamente diversi, quali le attività produttive, le iniziative infrastrutturali, il settore turistico-culturale e quello più direttamente sociale, rappresentano esempi abbastanza concreti di come quel territorio abbia saputo organizzarsi da solo, darsi degli obiettivi, disegnare il proprio destino e quello dei propri abitanti. Questa capacità progettuale è il segno più evidente di come questa proposta di istituzione di una nuova provincia sia per molti versi matura; essa, inoltre, costituisce anche la differenza rispetto a ciò che la stessa proposta rappresentava qualche anno fa: infatti, circa dieci anni fa, la sesta provincia pugliese era, per molti pugliesi, sinonimo di disordini, di blocchi ferroviari, di proteste. Oggi - ciò costituisce veramente un segno importante - nulla di tutto questo accade, perché vi è la convinzione di chi ha la consapevolezza non solo della propria forza, ma anche della legittimità delle proprie richieste e sa, quindi, che sarà molto difficile dare ad esse una risposta negativa.
Quello che discutiamo oggi rappresenta il risultato di un lungo e paziente lavoro,


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e questa proposta di legge ne è certamente l'espressione; si tratta di un risultato riconosciuto anche dal consiglio regionale, come ha detto il relatore Schmidt; anzi, vorrei cogliere questa occasione per apprezzarne pubblicamente l'equilibrio e l'attenzione con cui ha gestito fino ad ora l'intera, delicata materia.
Altri certamente meglio di me, a partire dall'onorevole Sinisi, argomenteranno il perché - anche sotto il profilo giuridico o della comparazione rispetto ad altri casi - di una provincia policentrica. Io, in questa sede, vorrei sottolineare un fatto: l'idea di una provincia policentrica non nasce nella testa dei firmatari della proposta di legge, ma nasce in realtà a livello locale, nella testa degli amministratori e dei cittadini di quei territori. Non più tardi di qualche settimana fa ho ricevuto, come tutti i parlamentari di quel territorio, una lettera firmata dai tre sindaci dei comuni di Barletta, Andria e Trani di cui vorrei citarvi brevissimamente alcuni brani. I sindaci scrivono: la nuova provincia è nata con un percorso lungo, paziente, difficile, che ha coinvolto molte città e tanta parte della società civile, superando gli steccati del passato e dimostrando quanto la coesione e l'integrazione possano diventare una possente molla per lo sviluppo della nostra terra. Oggi, continuano a scrivere i sindaci, le chiediamo di fare suo questo percorso e gli obiettivi di questo territorio e dei suoi cittadini; le chiediamo di impegnarsi, indipendentemente dallo schieramento politico di appartenenza, affinché sia assicurata una pronta approvazione del provvedimento all'esame del Parlamento; le chiediamo di evitare che ancora una volta, come tante volte in passato, le spinte campanilistiche abbiano la meglio, vanificando lo sforzo dell'intero territorio. La nuova provincia si caratterizza per la sua identità comune e per la realtà policentrica del suo territorio. Ciò non cancella il ruolo che le diverse città, e segnatamente Barletta, hanno avuto nella storia del suo processo costitutivo; al contrario, ciò sottolinea il fatto che quel processo ha condotto ad un risultato socialmente ed economicamente ben più rilevante ed importante di quello che alcuni avevano inizialmente ed erroneamente interpretato come una semplice rivendicazione localistica. A questo risultato nessuna delle città interessate, scrivono i sindaci, e nessuno di noi cittadini di quel territorio, aggiungo io, intende rinunciare (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marone. Ne ha facoltà.

RICCARDO MARONE. Signor Presidente, veniamo da una settimana di duro confronto parlamentare, come è giusto che sia quando si affrontano temi delicati che riguardano i principi, e credo che anche oggi, nel corso della discussione sulle linee generali dei precedenti provvedimenti, il dibattito svolto abbia messo in luce come ci siano aspetti che ci vedono profondamente divisi su alcune proposte di legge. Accolgo quindi con soddisfazione il fatto che l'istituzione delle tre nuove province veda il sostanziale consenso di tutte le forze politiche, il che, come ben illustrato dal relatore Schmidt, era emerso anche durante i lavori della XIII legislatura.
Queste tre proposte di legge si differenziano da tante altre (che pure vi sono) perché hanno alle spalle un lungo lavoro parlamentare: l'iter in Commissione Affari costituzionali si è concluso nella XIII legislatura e, quindi, la discussione è maturata al punto che oggi possiamo esprimere un parere favorevole al riguardo. Credo, però, che questa possa essere l'occasione per una riflessione un po' più generale (giustamente, il relatore Schmidt lo accennava nella sua relazione e ne parlavamo anche prima, in questa lunga attesa) che deve nascere, ovviamente, dalle modifiche del titolo V della Costituzione. È pur vero che l'articolo 133 è una delle poche norme del titolo V della Costituzione che non ha subito modifiche e, quindi, il procedimento in esso previsto rimane ancora invariato. Tuttavia, è indiscutibile che il profondo mutamento che si è avuto nel nostro ordinamento a seguito dell'approvazione del titolo V ci deve indurre ad una pausa di riflessione sul ruolo delle province e, in particolare, sul loro ruolo futuro.


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È un lungo dibattito che ha sempre attraversato la vita di questo paese, in particolare dall'inizio degli anni settanta, quando l'istituzione delle regioni sembrò rendere sostanzialmente inutili le province e molti si espressero in questo senso. Questa opinione è stata più volte ripresa anche nei dibattiti svolti in Commissione bicamerale nei quali si è molto discusso sul ruolo delle province e credo che, con l'approvazione del titolo V, questa discussione possa essere considerata accantonata. Ritengo, invece, che non debba essere considerata accantonata la riflessione su quale sia la funzione complessiva delle provincie nella costruzione del futuro ordinamento, così come maturerà a seguito dell'approvazione delle modifiche del titolo V compiuta nella XIII legislatura e a seguito del referendum confermativo.
Ovviamente, siamo anche in presenza di una realtà abbastanza diversificata riguardante le funzioni sul territorio nazionale, dovuta alla diversificazione del potere di delegazione esercitato nelle varie regioni dalle province e dalle regioni. Oramai, sul territorio nazionale vi è una realtà diversa: vi sono regioni che hanno usato con più coraggio il potere di delegare funzioni alle provincie ed altre che sono ancora molto restie ad avviare questo processo. Ovviamente sono tra quelli che ritengono che tale processo debba essere assolutamente incentivato, perché penso che sempre di più le regioni debbano privarsi di funzioni operative e diventare sempre più organi di programmazione della politica sul territorio, a favore di un trasferimento di funzioni a province e comuni. Tuttavia, siamo certamente in presenza di una profonda modificazione del nostro ordinamento e ciò a conferma del fatto che il federalismo attuato nella XIII legislatura non è affatto un finto federalismo, come qualcuno voleva far credere, ma, anzi - come anche i ministri di questo Governo hanno affermato - è un federalismo col quale occorre confrontarsi, perché introduce nel nostro ordinamento profonde modifiche. Occorre, quindi, ragionarvi e seguire con attenzione tutta questa fase.
Pertanto, credo che il tema delle province meriti una pausa di riflessione dopo l'approvazione delle proposte di legge che istituiscono queste tre province sulle quali vi è il consenso di tutti. Ciò proprio per consentire di assorbire nel nostro ordinamento le riforme costituzionali che abbiamo recentemente approvato, per registrarne gli effetti (come è giusto che sia quando si attuano riforme così profonde) e anche per evitare la tentazione - che può esservi - di portare avanti proposte di legge che siano motivate più da una facile conquista del consenso che, invece, da ragioni storico-politiche e ordinamentali di costituzione di nuove province.
Svolgo questo ragionamento che certamente non si applica alle tre proposte di legge che stiamo discutendo che, invece, vedono il nostro pieno consenso. Tuttavia, mi sembra utile a porre alcune riflessioni che ci consentano di affrontare il seguito della discussione su questi temi con serio approfondimento.
L'articolo 133 della Costituzione è una delle poche norme del titolo V a non essere stata modificata prevedendo, come giustamente sottolineato nella relazione, l'importanza dell'iniziativa dei comuni. Mi riferisco all'impossibilità di avviare questi procedimenti se non vi è un forte consenso del territorio e, addirittura, se non vi è iniziativa da parte del territorio, sentite le regioni interessate.
Il testo unico delle leggi sugli enti locali chiarisce quali siano i presupposti perché si possano istituire nuove province. Si prevede che ciascuna provincia debba corrispondere ad un'area territoriale omogenea per sviluppo sociale, culturale ed economico e debba avere una dimensione idonea a consentire una programmazione dello sviluppo che favorisca il riequilibrio complessivo del territorio. Il territorio di ogni comune deve far parte di una sola provincia e la popolazione della provincia risultante dalle modificazioni territoriali non deve, di norma, essere inferiore ai 200.000 abitanti.
Svolte queste considerazioni non mi soffermerò sull'analisi delle singole province perché lo ha fatto prima di me il


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collega Nicola Rossi e lo faranno dopo gli altri colleghi dei DS. Ci troviamo di fronte a tre proposte di legge per istituire province che storicamente hanno una loro omogeneità: questa mi sembra la caratteristica comune di queste tre proposte di legge. Le proposte sono relative all'istituzione della provincia di Monza e della Brianza, che è certamente la più consistente come numero di abitanti e di comuni (parliamo di circa 700.000 abitanti e ben 53 comuni), di quella di Barletta-Andria-Trani (si parla di 12 comuni e 450.000 abitanti) e della più piccola provincia - ma ovviamente va rapportata alla dimensione della regione, che è piccola come numero di abitanti - di Fermo (40 comuni e 163 mila abitanti).

PRESIDENTE. Onorevole Marone...

RICCARDO MARONE. Concludo, signor Presidente.
Tutte queste tre province mi sembra siano caratterizzate da una storia comune dei territori e da un'identità di popolazione che giustifica certamente l'approvazione di queste leggi e il voto favorevole dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Migliori. Ne ha facoltà.

RICCARDO MIGLIORI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il mio compito di questa sera è quello di ribadire l'ormai tradizionale sostegno del gruppo di Alleanza nazionale alle proposte di istituzione di queste tre nuove province che, a differenza di altre proposte, non rappresentano il tentativo di acquisizione furbesca di consenso locale, ma sono la testimonianza di una storia fatta di battaglie ormai quarantennali o addirittura, come nel caso di Fermo, di realtà che affondano le loro radici nella storia unitaria del nostro paese.
Vorrei partire, però, svolgendo brevi considerazioni. Innanzitutto - cosa che in genere si fa alla fine - vorrei ringraziare il relatore Schmidt per il lavoro svolto. Infatti, senza l'equilibrio che ne ha contraddistinto l'azione probabilmente questa sera non saremmo qui. Dunque, mi piace ringraziare il relatore all'inizio di questo mio intervento e del nostro iter in aula dei lavori su queste tre proposte, perché ha avuto un ruolo essenziale e determinante. Allo stesso modo è stato essenziale e determinante, all'inizio di questa legislatura, il fatto che tutti abbiano ritenuto opportuno attivare il meccanismo regolamentare che ci ha portato a ribadire una decisione largamente unitaria presa, in Commissione, sul finire della passata legislatura.
Questa sera rappresento, insieme al collega Sinisi, un po' la memoria storica della Commissione affari costituzionali sul confronto che abbiamo avuto nella XIII legislatura. Vorrei dire che ci siamo trovati d'accordo nell'enucleare con forza queste tre proposte di legge, non solo e non tanto perché, in uno spirito autenticamente bipartisan, rappresentavano parti territorialmente e geograficamente diverse della nostra Italia e tanti aspetti culturalmente e politicamente difformi, ma anche e soprattutto perché esse avevano perfezionato un iter procedurale che vedeva, da un lato un larghissimo consenso degli enti territoriali - lo ha ricordato giustamente il relatore - e dall'altro un consenso altrettanto forte da parte dei rispettivi consigli regionali. Tutto ciò anche è la dimostrazione di un ruolo nuovo e moderno dell'ente intermedio, che più che avere come interlocutore essenziale Roma, comprende di avere, da un lato Bruxelles e dall'altro il capoluogo regionale, come riferimenti essenziali del proprio modo di esistere e di comprendere il proprio ruolo.
Onorevoli colleghi, nelle proposte di legge al nostro esame non è più in gioco il rapporto tra Roma e la provincia, quanto quello tra un'entità largamente omogenea dal punto di vista sociale ed economico, con forti connotazioni storiche, e l'ente regione - di cui, a livello di indirizzo, si fa riferimento come nuovo ente di grande capacità di programmazione - e, dall'altro lato, Bruxelles per quel che riguarda gli investimenti europei


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e le azioni rivolte verso una realtà economicamente omogenea alle quali si fa riferimento. Non è un caso che, per quanto riguarda la sesta provincia pugliese, anche nella relazione si faccia riferimento ad uno specifico patto territoriale europeo per l'occupazione che vede impegnati i comuni di questa zona.
Come diceva bene il collega Marone, nel nostro paese vi è una raffigurazione nuova della provincia dentro una nuova ottica federalista: le regioni debbono essere organismo di indirizzo, le province di programmazione e i comuni di gestione. Tutto ciò dice la nuova Costituzione ma anche il vecchio articolo 117 della stessa, che molte regioni non hanno considerato, chiudendosi in un organo a carattere puramente gestionale e dimenticando il ruolo di indirizzo e di successiva delega alle province per quel che riguarda la programmazione di vaste aree con forti connotazioni di carattere omogeneo sotto il profilo sociale ed economico.
In questa proposta vi è una modernità, quella di una visione istituzionale che, in un'epoca di globalizzazione, vede le province impegnate sempre più per quel che riguarda la vicinanza e la capacità di vicinanza delle istituzioni alle grandi trasformazioni economiche che la fase della competitività globale impone.
Anche per questo sono convinto che nel nostro giudizio sia determinante il ruolo che gli enti locali e le regioni di competenza hanno espresso in una naturale funzione quasi ordinamentale rispetto a queste tre proposte di legge. Voglio anche dire che tutto ciò avviene, seppure in un contesto di forte contrapposizione politica, in un effettivo spirito bipartisan: nessuno a Monza, a Barletta, a Andria, a Fermo considera questa battaglia politica una lotta contro qualcuno e nessuno intende porre il cappello sopra a questo progetto: tutto ciò è stato la forza di queste tre proposte di legge.
Due settimane fa, insieme al collega Zama, in consiglio comunale a Fermo, in un'iniziativa promossa dal sindaco Di Ruscio, ho notato come maggioranza ed opposizione, forze sociali e locali, economiche e culturali, fossero unite nella rivendicazione forte di una forma democratica di autogoverno, non di semplicistico campanilismo contro qualcosa o qualcuno.
Quindi, vorrei sottolineare - come, sono sicuro, faranno anche gli altri colleghi - che l'istituzione di queste tre nuove province non è un'iniziativa che possa porre in dubbio o rendere più debole la città e la futura provincia di Bari e Foggia, la città e la futura provincia di Ascoli, la città e la futura provincia di Milano. Anzi, si realizza un centuplicatore istituzionale, in quanto vi è la più forte capacità attrattiva complessiva di servizi e di efficienza della pubblica amministrazione nei confronti dei cittadini.
Non è che la provincia di Prato abbia ridotto a macerie istituzionali la provincia di Firenze o la nuova provincia di Rimini abbia creato problemi istituzionali, sociali ed economici per la provincia di Forlì. Lo dico con convinzione rispetto a colleghi e ad istituzioni che, solo superficialmente, da un'analisi affrettata di queste proposte, possono vedere in esse un elemento di attacco rispetto alla credibilità di queste istituzioni locali che, anzi, uscirebbero ulteriormente rafforzate e non indebolite, a livello di effettivi servizi reali alla popolazione, dall'istituzione di queste tre province. Dunque, vi è una forte rivendicazione democratica per l'efficienza e l'autogoverno e non una sorta di campanilismo settario e settoriale giocato contro qualcosa e contro qualcuno.
Quindi, colleghi, ritengo vi siano tutte le condizioni politiche, in questo spirito autenticamente unitario, perché la Camera dei deputati possa celermente approvare queste tre proposte; penso vi siano grandi ragioni storiche, sociali, economiche e culturali di territori omogenei ad avere l'aspirazione a questa nuova moderna interpretazione della provincia e dell'ente intermedio; penso che anche troppo tempo sia trascorso rispetto a quella delega che, all'inizio degli anni '90, fu assegnata dal Parlamento al Governo per l'istituzione delle province e che mai fu utilizzata e penso che anche il dibattito, che svolgemmo in quest'aula, sulla nuova legge


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n. 142 - vale dire la legge n. 265, che vide il mio gruppo, allora all'opposizione, presentare emendamenti su una serie di province che solamente per un voto non vennero accolti dall'Assemblea - abbia dimostrato che, probabilmente, troppo tempo si è perso al riguardo.
Permettetemi, dunque, di ritenere che l'antica capitale longobarda - l'antica Barletta, capitale identitaria del nostro paese, ricordando il ruolo che svolse nella famosa disfida per la stessa nascita di una cultura e di una responsabilità nazionale - e Fermo, una delle grandi capitali del made in Italy, una delle grandi capitali dell'economia del nostro paese, abbiano tutti i requisiti per poter essere, di fatto, istituzionalmente ciò che già nei fatti esse sono, vale a dire grandi elementi di quel mosaico straordinario che è, anche in periferia rispetto ai grandi centri urbani, il nostro paese.
Vorrei, infine, ringraziare per il lavoro svolto - per quanto riguarda la mia parte politica - il senatore Alfredo Mantica, di Monza, il senatore di Fermo, il senatore Magnalbò, la consigliera regionale e l'avvocato Franco Armagnoli in particolare, di Fermo e - mi perdonerà il collega Sinisi - il collega Andrea Gissi che, nella XII e nella XIII legislatura, è stato la bandiera storica della buona battaglia per Barletta provincia.
Oggi la proposta è per l'istituzione della provincia di Barletta-Andria-Trani, dunque, per una provincia policentrica che ha trovato, in questa proposta, un suo elemento istituzionale di equilibrio. Tuttavia, ritengo che senza il lavoro importante ed appassionato, svolto dal collega Gissi nel corso delle passate legislature, questo approdo probabilmente sarebbe stato ritardato.
Mi piace ricordarlo perché, anche per quel che riguarda questa proposta di legge, va dato a Cesare quel che è di Cesare. Senza alcun tentativo - ripeto - di strapazzare proposte e primogeniture, era giusto ricordare chi, anche tra i colleghi in aula e in Commissione, ha speso tempo ed energia rispetto a battaglie istituzionali rilevanti. Vi ringrazio (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tanoni. Ne ha facoltà.

ITALO TANONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la proposta di legge da me presentata, relativa all'istituzione della provincia di Fermo, risponde alle improrogabili esigenze di una realtà composta da 40 comuni e che sente il problema della provincia, ormai, come una questione vitale, coinvolgendo tutto il territorio. La popolazione del fermano rivendica, infatti, la restituzione della dignità di provincia sottrattale oltre un secolo fa all'atto della costituzione dell'unità d'Italia. Dopo tale ingiustificata punizione, il fermano si trova oggi di fronte all'occasione di ottenere un riconoscimento dei propri diritti mediante l'attribuzione della funzione di provincia.
Al riguardo giova porre all'attenzione di quest'Assemblea che l'iniziativa per l'istituzione della provincia di cui all'articolo 133 della Costituzione è stata assunta da 40 comuni, come previsto dall'allora vigente legge n. 142 del 1990. Inoltre, come già rilevato nella nota del Ministero dell'interno del 21 ottobre 1992, il territorio, rispondendo integralmente ai requisiti previsti dalla legge in materia, risulta omogeneo ed integrato, in quanto al suo interno si svolge la maggior parte dei rapporti sociali ed economici e culturali delle popolazioni residenti. Risulta, altresì, dell'ampiezza di 689 chilometri quadrati con popolazione pari al 45 per cento della popolazione della provincia di Ascoli Piceno; si caratterizza, inoltre, per un'economia basata sull'industria, sull'agricoltura, sull'artigianato, sulla pesca e sul turismo.
Ciò rilevato, mi corre l'obbligo di evidenziare che il problema dell'istituzione della provincia di Fermo è all'attenzione del Governo e del Parlamento fin dall'istituzione delle otto province ai sensi della legge n. 142 del 1990, in seguito abrogata e confluita nel testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. Da allora, diverse volte sono stati prorogati i termini per l'istituzione di nuove province ed è stata affrontata la questione in sede di


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legge finanziaria; in più occasioni, il Parlamento ha impegnato il Governo con ordini del giorno a completare l'iter istitutivo, senza che, tuttavia, giungesse una risposta certa e definitiva, nonostante l'area in questione fosse in possesso dei requisiti previsti ex lege.
La proposta di legge da me presentata si fonda sul presupposto che la realtà territoriale del fermano, così strettamente compatta ed economicamente attiva, rappresenta un polo propulsore all'interno dell'economia dell'intera regione. Il fermano, infatti, è il più importante distretto calzaturiero italiano, composto da numerose piccole e medie aziende, singolarmente efficienti, disseminate sul territorio e che esigono una programmazione del sistema di relazioni rapportato ad un'area omogenea ed integrata.
L'esigenza di costituire la provincia di Fermo trova la sua risposta anche nella circostanza che l'attuale territorio della provincia di Ascoli Piceno, da cui attualmente la realtà fermana è circoscritta, non si è armonizzato ed ha mantenuto evidenti le connotazioni originarie, facenti capo alle due province di Ascoli e Fermo, tanto che l'istituzione della nuova provincia sarebbe una conseguenza naturale dell'attuale stato delle cose. Del resto, l'istituzione dell'ente completerebbe la gamma dei servizi giudiziari, finanziari, sanitari, scolastici e culturali di cui già il territorio dispone nel fermano.
A conclusione dell'analisi, per quanto sommaria, della situazione territoriale, storica, economica e sociale dell'area fermana, si deduce che ci si trova di fronte ad una realtà assolutamente omogenea ed integrata, come previsto dalla legge: la dimensione, la struttura e l'organizzazione dell'area sono idonee ad esprimere la volontà di autogoverno provinciale; il territorio è fortemente unitario, pur nella pluralità delle risorse e delle componenti sia naturali sia produttive; la storia comune ha definito e consolidato ruoli, rapporti, mentalità ed attitudini che hanno portato alla formazione di una forte coscienza unitaria.
La richiesta del fermano di inserirsi in forma autonoma nella programmazione dello sviluppo complessivo del territorio regionale va riconosciuta pertanto non solo come legittima, ma anche, per tutti i motivi anzidetti, come opportuna, date le potenzialità che l'area esprime. A fronte del possesso dei requisiti stanno le ragioni e la validità del progetto provinciale. Le vie seguite nell'evoluzione degli assetti sono state fino ad oggi prevalentemente spontanee e si deve solo alla solidità del sistema, storicamente definitosi come fermano, se è stato possibile limitare i danni inevitabilmente derivanti da modalità incontrollate di sviluppo. Si riconosce ora all'ente provincia un ruolo determinante nella gestione del territorio e delle sue risorse, nell'organizzazione dei servizi, nella programmazione, realizzazione e coordinamento di opere ed iniziative di interesse territoriale, sia nel settore economico, produttivo, commerciale e turistico, che in quello sociale, culturale e sportivo.
Pertanto, la richiesta di istituzione della provincia di Fermo scaturisce dall'urgenza di provvedere ad una inversione di rotta nel processo di sviluppo, nella consapevolezza dei rischi che il territorio corre senza una adeguata e partecipata programmazione degli interventi. Non possiamo, onorevoli colleghi, sottovalutare che tra gli operatori economici è diffusa e crescente la preoccupazione per la dispersione di risorse e di energie, dovuta alla mancanza o inefficienza dei servizi e al timore che ciò porti al collasso dell'intero sistema economico locale soffocato da esorbitanti costi di produzione.
Dunque, appare indispensabile, al fine di conseguire una migliore integrazione dell'area, ora caratterizzata dal settore produttivo della calzatura, favorire lo sviluppo delle attività terziarie (commercio, turismo, servizi) e promuovere iniziative a favore di zone e settori svantaggiati. Né sono da trascurare, infine, le esigenze della popolazione che chiede di poter disporre di infrastrutture e servizi che siano adeguati, se non a livello della ricchezza prodotta, almeno agli standard


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medi di vivibilità delle altre aree regionali. D'altra parte, onorevoli colleghi, avrebbe poco senso continuare a dichiararsi fedeli sostenitori di una politica federalista, attenta alle esigenze capillari del territorio, senza riconoscere le istanze di un'area che attende, con paziente fiducia da oltre 100 anni, la restituzione della dignità di provincia.
Per questi motivi, onorevoli colleghi, vi chiedo di sostenere con il vostro voto l'istituzione della nuova provincia di Fermo (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fontanini. Ne ha facoltà.

PIETRO FONTANINI. Signor Presidente, colleghi, siamo di fronte all'istituzione di tre nuove province, ma è d'obbligo fare una breve riflessione sull'istituto della provincia. Sono passati più di 50 anni dall'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, ma i principi di autonomia e di decentramento amministrativo, solennemente affermati dall'articolo 5, sono rimasti lettera morta, vittime di una prassi di governo che ha rivelato tante resistenze di stampo centralista. Anche l'istituto della provincia, pur riaffermato dalla Carta costituzionale agli articoli 114 e 133, è rimasto un involucro senza contenuto, un ente territoriale dalle competenze incerte e marginali, spesso subordinato alla sua origine storica e alla sua principale funzione di organo di decentramento del potere statale sottoposto all'autorità del prefetto.
Oggi, che si tenta di rilanciare la funzione della provincia anche accrescendone e meglio definendone il ruolo e le competenze, è venuto il momento di riformare le circoscrizioni territoriali di ciascuna provincia per meglio adattarle alle esigenze di una società che si è profondamente trasformata. La Lega nord Padania si fece fautrice di un'iniziativa per l'istituzione della provincia della Brianza, in particolare, con la proposta, ancora nella XIII legislatura, dell'onorevole Formenti, ed era per ciò già in quella legislatura attestata su posizioni favorevoli all'istituzione di nuove province, corrispondenti a realtà storiche e territoriali aventi proprie peculiarità.
Più volte si dichiarò disponibile a calendarizzare e proseguire l'iter delle altre proposte di legge istitutive di nuove province. Ora, per iniziativa del nostro leader, il ministro per le riforme, l'onorevole Umberto Bossi, firmatario di una di queste proposte, diciamo «sì» alla provincia di Monza, alla provincia di Fermo, alla provincia di Barletta, Andria e Trani.
In particolare, le ragioni che spingono all'istituzione di nuove province, sono essenzialmente riconducibili al carattere di omogeneità culturale e sociale della popolazione ivi insediata, alle dimensioni della provincia ed alla presenza, per la maggior parte, di uffici amministrativi idonei a garantire efficienza ai cittadini.
In quest'ottica appare ormai improcrastinabile l'istituzione, in particolare, della nuova provincia di Monza e della Brianza, con capoluogo Monza, comprendente - come è già stato ricordato - parte dei comuni dell'attuale provincia di Milano.
La creazione di questa nuova provincia, risponde a tutti i requisiti previsti dall'articolo 21 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
Inoltre, la bassa Brianza, come convenzionalmente si definisce il territorio della nuova provincia, possiede una sua unitarietà ed omogeneità storica, sociale, culturale ed economica che la distingue dal resto della grande provincia di Milano.
L'importanza economica della bassa Brianza e la solidità della sua struttura produttiva, che ha sempre superato brillantemente, grazie alla sua ampia diversificazione, le ricorrenti crisi economiche nazionali, non si possono comprendere senza aver prima considerato la storia industriale di quest'area.
Le prime attività manifatturiere risalgono al basso medioevo, quando a Monza si iniziò a lavorare la lana. In seguito, vi furono i secoli più importanti relativi alla lavorazione della seta e del cotone. Nel 1892 la produzione dei cappellifici monzesi era stimata in 30 mila pezzi al giorno, in buona parte destinati all'esportazione.


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Dopo la seconda guerra mondiale, l'espansione dell'economia brianzola è continuata con ritmo frenetico, attirando una forte ondata immigratoria (proveniente per oltre il 50 per cento dal meridione), che ha ulteriormente innalzato la densità abitativa della zona.
Le profonde ristrutturazioni aziendali, il miglioramento delle strutture tecnico-commerciali e progettuali hanno consentito un elevato incremento di settori produttivi già consistenti quali il tessile, l'abbigliamento, il mobile, il settore meccanico, la produzione di fibre artificiali e sintetiche, nonché la costruzione, installazione e riparazione delle macchine per ufficio.
In questa area ci sono alcune realtà - come nel Vimercatese - che possono fare grande concorrenza alle aree più progredite a livello mondiale, anche per quanto riguarda alte professionalità ed alte produzioni tecnologiche.
A Monza sono inoltre ubicati importanti uffici amministrativi statali, uffici giudiziari e strutture sanitarie. Vi sono gli uffici della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, della società italiana autori ed editori, le agenzie di tutti i principali istituti di credito, le sezioni dell'INPS e dell'INAIL , cui fanno capo numerosi centri del circondario.
Numerose associazioni quali quelle dei commercianti, degli artigiani e degli industriali hanno a Monza una loro sede.
Per quanto riguarda il settore scolastico, Monza è davvero il capoluogo brianteo dell'istruzione, con scuole superiori di ogni tipo (classico, scientifico, artistico, commerciale, industriale) sia pubbliche sia private.
A Monza troviamo altresì la biblioteca italiana dei ciechi, a servizio dell'intero territorio nazionale.
I monumenti che abbelliscono Monza, dal duomo, all'Arengario, alla Villa reale, sono la testimonianza della sua storia ultramillenaria, durante la quale la città fu capitale del regno dei longobardi e, in seguito, sede imperiale con Berengario e con gli Ottoni. Dopo avere a lungo rivaleggiato per importanza con la stessa Milano, fu da questa inglobata nei propri territori al tempo dei Visconti.
Nei secoli successivi conobbe però altri momenti di splendore, quando diversi sovrani la prescelsero come propria sede estiva da Eugenio Beauharnais fino a Umberto I di Savoia.
Un'ultima considerazione relativamente a questa importante provincia: la provincia conseguirebbe benefici effettivi non solo per l'area interessata, che si troverebbe svincolata dall'eccessiva dipendenza, ormai anacronistica, dal capoluogo della regione, ma anche per la stessa città capoluogo di regione, Milano, ormai prossima al caos viabilistico, poiché verrebbe, in qualche misura ridotta, la mobilità veicolare proveniente dalla Bassa Brianza e che, per giocoforza, deve dirigersi verso Milano.
Appare, dunque, evidente, da questa breve analisi, che l'area geografica della Bassa Brianza e del suo capoluogo hanno avuto, ed hanno tuttora, uno sviluppo diversificato rispetto al capoluogo lombardo. Pertanto, cari colleghi, siamo fortemente motivati a far sì che si istituiscano queste tre province; le esigenze storiche, ma, soprattutto, le drammatiche esigenze attuali richiedono un riconoscimento da parte del nostro Parlamento affinché si addivenga rapidamente alla loro istituzione (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lion. Ne ha facoltà.

MARCO LION. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo a nome del gruppo dei Verdi per sostenere le proposte di legge finalizzate all'istituzione della provincia di Fermo. La ragione deriva anche dal lavoro e dalla continuità del lavoro, già svolto nelle precedenti legislature, dal senatore Pieroni in merito all'istituzione della provincia medesima.
Come parlamentare eletto nella regione Marche, ritengo necessario che si addivenga finalmente alla sua istituzione. D'altronde, fin dal momento della forzata unificazione nel 1860, a più riprese si è


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riproposta l'esigenza nel tempo, diversamente manifestata, di restituire autonomia al territorio del Fermano.
La rivendicazione di questa nuova provincia, unitamente condivisa dai comuni aderenti, non nasce solo da una rivendicazione di ruolo storico, ma dal pressante ed inderogabile bisogno di avere un governo del territorio aderente alle esigenze del sistema socioeconomico.
Non a caso, infatti, l'area del Fermano è caratterizzata oggi da una artigianato fortemente specializzato. In essa, infatti, si produce circa il 70 per cento dell'intera produzione nazionale del settore calzaturiero e circa l'85 per cento dell'intera produzione nazionale del settore del cappello perciò costituisce un forte distretto produttivo del sistema marchigiano e nazionale.
Riteniamo che, con l'istituzione della provincia di Fermo, si porranno finalmente le basi per uno sviluppo più armonico ed equilibrato di quell'area della nostra regione che potrà indurre effetti positivi e ricadute di crescita diffusa per l'intero territorio della regione Marche, ma riteniamo anche per il nostro paese. Per questo motivo, il gruppo dei Verdi appoggerà l'istituzione della provincia di Fermo (Applausi).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Lion, anche per la sintesi. È iscritto a parlare l'onorevole Sinisi. Ne ha facoltà.

GIANNICOLA SINISI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, parlare dell'istituzione di nuove province significa, al di là di una cultura oramai consumata che considera le province enti non particolarmente significativi nell'organizzazione amministrativa degli enti locali, dover vincere all'inizio l'imbarazzo e superare le diffidenze di chi ascolta e di chi ritiene che, molto spesso, parlare di queste questioni significa parlare dei figli in casa propria e quindi di questioni di campanilismo che si cerca di nobilitare attraverso improbabili ragionamenti politici.
Cercherò, invece, di proporre ragionamenti di elevato profilo costituzionale e amministrativo per allontanare questa diffidenze e fugare ogni dubbio, in ordine all'importanza dell'argomento di cui ci stiamo occupando.
In primo luogo, vorrei ringraziare da subito l'onorevole relatore Schmidt perché egli ha raccolto il testimone, nella XIV legislatura, di un lungo lavoro preparatorio svolto nel corso della precedente legislatura e che ha portato all'approvazione, nella I Commissione (Affari costituzionali), dei provvedimenti che riguardano le tre istituende province. Anche lì, a maggioranze rovesciate, non vi era una situazione dissimile da questa, proprio a testimoniare che di campanilismo non si tratta, bensì di un interesse sincero che riguarda tutti nel dare una migliore definizione agli enti locali, con riferimento ad un mutato quadro costituzionale che ci ha condotto lungamente a discutere di federalismo e di decentramento amministrativo.
Signor Presidente, la riforma del titolo V della Costituzione non può essere un lavoro da lasciarsi sulla carta. Attribuire alle regioni potestà puramente legislative e di indirizzo, come è stato detto, non può non significare dare alle province una nuova funzione di programmazione, così come non può non significare affidare ai comuni l'esclusiva responsabilità della gestione del territorio e delle vicende concernenti i cittadini. Questo lo dico non perché il gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo, a nome di cui parlo in questo momento, si è schierato soltanto nella scorsa legislatura a favore di questo nuovo assetto della nostra nazione, ma perché la cultura della sussidiarietà, del principio che vuole che si amministri nel luogo e nella istanza più vicini ai cittadini, ha ispirato il pensiero politico del popolarismo dell'intero secolo passato. Ancora oggi noi dobbiamo impegnarci affinché i cittadini vedano e vivano le istituzioni come un luogo che li vede prossimi e amici, non lontani e, molto spesso, avversari.
Aggiungo inoltre che il ruolo dei comuni nella storia del nostro paese ha portato ad una storia ricca di diversità e di conflittualità, ma oggi credo di poter dire che si apre una nuova stagione di


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collaborazione. Noi siamo a favore, come gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo, della istituzione di queste province e, per quanto riguarda l'istituzione della provincia della cui proposta di legge io stesso sono firmatario, ovvero quella di Barletta-Andria-Trani, devo dire che oggi ci troviamo al punto di arrivo di un lungo percorso che trova la sua sintesi nel documento che è stato sottoscritto da tutti i dodici sindaci dei comuni interessati il 3 settembre 1999; documento che è stato presentato al Presidente del Consiglio dell'epoca da sindaci che erano di diverse parti politiche e che purtuttavia hanno pensato di dover lavorare insieme, esprimendo una volontà di stare insieme in una provincia policentrica.
Per quanto riguarda Monza e la Brianza e la provincia di Barletta-Andria-Trani, vorrei ricordare che tra le modifiche del titolo V della Costituzione vi è anche l'istituzione, per Costituzione, delle città metropolitane. Queste comunità dovranno costituirsi in un nuovo ente provinciale e credo che sia interesse di tutti noi che vi sia un percorso positivo e non negativo e di risulta che veda costituirsi in nuova provincia soltanto i comuni che hanno rifiutato di appartenere all'area metropolitana della città metropolitana. Questi comuni hanno deciso di disegnare un percorso positivo e propongono di strutturarsi in questo senso. Una provincia di risulta sarebbe davvero una pessima partenza per comunità così importanti, come quelle di cui ho parlato.
Si tratta, come è stato detto, di sistemi socioeconomici; per quanto riguarda Barletta Andria e Trani, un sistema socioeconomico che è già funzionante ed unito nel Patto europeo per l'occupazione, che è stato valutato come il miglior patto europeo quanto a performance amministrative.
So, infine, che vi è un dubbio in ordine alla policentricità di questa provincia come elemento di novità che certamente sconterà obiezioni assai facili. Vorrei soltanto dire in proposito che il Consiglio di Stato si è espresso e con un parere del 1991 affermò testualmente che non era possibile costituire un capoluogo condiviso in sede di legge delegata quando i principi e criteri direttivi contenuti nella legge delega non lo prevedessero. In questo caso, come è noto a tutti, siamo in sede di applicazione dell'articolo 133 della Costituzione e questa proposta di legge è una fonte di rango primario che lo consente. Aggiungo che la straordinaria novità è che lo statuto e lo stesso consiglio provinciale avranno, nella loro piena autonomia, la capacità di fissare la sede degli organi, le modalità di convocazione e la stessa sede degli uffici. Credo che vada rispettata la volontà e la capacità di queste comunità di stare insieme.
E a testimonianza di questa volontà e capacità di stare insieme, signor Presidente, onorevoli colleghi, sono qui nelle tribune, ad ascoltare quello che noi stiamo dicendo, il sindaco di Andria Caldarone, il sindaco di Trani Avantario, gli assessori Bufo e Dicorato in rappresentanza del sindaco di Barletta, Salerno, che vi vogliono dire e vogliono dire a tutti noi che queste tre comunità, che hanno vissuto una fase di competizione distruttiva, oggi vogliono vivere una fase di competizione collaborativa e costruttiva, per lanciare una sfida verso l'Europa e verso il mondo intero. Stiamo parlando di una comunità che insieme rappresenterà la ventisettesima provincia italiana, per popolazione il secondo capoluogo pugliese: certamente non stiamo parlando di un'iniziativa localistica o priva di significato.
È il punto di arrivo di un lungo percorso. Il collega Migliori ha ricordato l'impegno significativo del collega Gissi, di Alleanza nazionale che, in fine di legislatura, aderì a questa proposta di una collaborazione condivisa. Ma io voglio ricordare una persona che non c'è più, che ha fatto grandi battaglie per questa provincia e che credo abbia dedicato molti anni della sua vita per poter vedere realizzata questa realtà ma che, come vi dicevo, non c'è più: il senatore Borraccino ha guidato a lungo un comitato per la costituzione della provincia di Barletta e, nell'ultima fase della sua vita, ha condiviso questa collaborazione tra queste tre grandi città.


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Signor Presidente, onorevoli colleghi, sulle monete da cinque centesimi, da due e da un centesimo, vi sono tre importantissimi monumenti che rappresentano la nostra nazione: il Colosseo di Roma, la Mole antonelliana di Torino e Castel del Monte, che sta proprio ad Andria, all'interno di questa nuova comunità che io spero si possa costituire. Penso che questa monetina circolerà in tutta Europa e credo sia non soltanto un segno importante, ma anche un riconoscimento in qualche misura doveroso a che anche la monetina da un centesimo possa rappresentare il nostro paese, dentro una realtà che è una provincia e non soltanto una città (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capitelli. Ne ha facoltà.

PIERA CAPITELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, interverrò sull'istituzione della provincia di Monza e Brianza, esprimendo sinteticamente la posizione politica dei Democratici di sinistra lombardi e milanesi.
I parlamentari lombardi e milanesi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo hanno in più occasioni manifestato un orientamento favorevole all'istituzione della provincia di Monza e Brianza, ma solo a precise condizioni e impegni che verranno assunti dal Governo nazionale e dalla stessa maggioranza di Governo, ribadiranno questo orientamento. Riassumerò brevemente queste condizioni.
L'istituzione della provincia di Monza e Brianza è strettamente condizionata dall'impegno a definire con precisione un adeguato livello di governo dell'area metropolitana milanese. È necessario che il Governo nazionale si impegni a sostenere, anche con opportuni atti di carattere economico e finanziario - come, peraltro, ha già fatto per Roma capitale - la nascita della città metropolitana milanese, non coincidente con il comune di Milano, comprendente invece tutti i comuni dell'attuale provincia consenzienti alla sua istituzione, secondo le procedure previste dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali n. 267 dell'agosto 2000.
Sulla base delle indicazioni della Conferenza unificata dei sindaci delle città interessate, la regione - e, se inadempiente, il Governo - dovrà procedere alla delimitazione dell'area metropolitana milanese. I comuni interessati, tramite referendum popolare, potranno approvare o respingere l'adesione alla città metropolitana, la quale dovrà acquisire le funzioni della provincia e i poteri stabiliti dal nuovo statuto, nella salvaguardia dell'identità delle collettività originarie. Solo a fronte di questi impegni, ha senso la ridefinizione dei ruoli di governo dell'area milanese e la costituzione di una nuova provincia, alla quale ultima ciascun consiglio comunale interessato dovrà essere posto nelle condizioni di poter deliberare la propria eventuale adesione.
Solo a fronte di questi impegni, ha senso la ridefinizione dei ruoli di governo dell'area milanese e la costituzione di una nuova provincia, alla quale ultima ciascun consiglio comunale interessato dovrà essere posto nelle condizioni di poter deliberare la propria eventuale adesione. L'istituzione di nuove province e la realizzazione delle città metropolitane non possono essere pensate come ulteriore appesantimento burocratico per i cittadini interessati. L'istituzione di nuove province e la realizzazione delle città metropolitane hanno senso solo se servono a rendere più efficiente ed efficace il ruolo delle istituzioni locali e a creare le condizioni per un'adeguata qualità e funzionalità dei servizi pubblici locali - trasporti, acqua, gas, assistenza e sanità - e a rendere più razionale e partecipato il governo del territorio, nel rispetto dell'ambiente e delle tradizioni culturali di ogni comunità locale.
Solo se sarà visibile ed esplicito l'impegno della maggioranza e del Governo in questa direzione, i parlamentari lombardi dei Democratici di sinistra daranno il proprio voto favorevole all'istituzione della nuova provincia di Monza e Brianza (Applausi).


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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zama. Ne ha facoltà.

FRANCESCO ZAMA. Signor Presidente, la completa ed esauriente relazione dell'onorevole Schmidt ha illustrato i provvedimenti al nostro esame, relativi all'istituzione di queste nuove province autonome. Nel sottoscriverla in toto e nel ringraziare il relatore per il garbo, la completezza con cui ha trattato l'argomento - e per aver portato avanti questa avventura -, mi sia consentito di aggiungere qualche breve considerazione sulla proposta di legge relativa all'istituzione della provincia di Fermo, di cui sono firmatario.
Sono molteplici le ragioni che sovrintendono alle giuste aspirazioni dei fermani e all'istituzione della nuova provincia. Innanzitutto, vi è a monte un atto democratico: quaranta consigli comunali, infatti, hanno coralmente deliberato a favore e la regione Marche ha dato, nei termini, la prescritta approvazione.
Nella decorsa legislatura, la proposta di legge istitutiva della provincia di Fermo aveva completato - insieme a quelle di Monza, Barletta, Andria, Trani - tutto l'iter progettuale, con i pareri delle altre Commissioni competenti.
La Commissione affari costituzionali, nei primi mesi della XIV legislatura - secondo quanto previsto dall'articolo 107, comma 3, del regolamento della Camera -, ha dato il via libera per la discussione in aula.
Il territorio fermano aspettava questo momento da centoquaranta anni, ossia da quando fu soppressa la provincia di Fermo a favore di Ascoli Piceno. In tutto questo tempo di forzata convivenza con Ascoli, tuttavia, i due territori hanno mantenuto le loro specificità, senza riuscire a fare sistema. La Cassa del Mezzogiorno, per esempio, è stata attivata solo in una parte a sud della provincia, l'ascolano, e questo forse è l'unico caso in cui in Italia non sia stato applicato all'intero territorio nazionale. Quello che allora si configurava come una vera ingiustizia, ha fatto sì che le potenzialità proprie del fermano esprimessero, con tutta la loro forza, quella realtà imprenditoriale fatta di medie, piccole e piccolissime attività che ha caratterizzato ancora più la diversità.
La regione Marche attualmente ha quattro province, ma molti uffici, associazioni di categoria, organizzazioni sindacali sono, da tempo, organizzati su cinque ambiti territoriali. In provincia di Ascoli Piceno due sono i tribunali, quello di Fermo e quello di Ascoli; due gli istituti autonomi per le case popolari, due i consorzi di sviluppo industriale, due le casse di risparmio, due le associazioni industriali ed anche quella fermana è riconosciuta da Confindustria.
Separati da Ascoli sono gli uffici delle entrate, gli uffici dei registri immobiliari, l'ufficio INPS, l'ASL. Fermo è sede, tra l'altro, della più grande diocesi delle Marche.
Sono presenti tutte le scuole superiori: quattro licei, un istituto d'arte, un istituto commerciale, un istituto tecnico per geometri nonché l'istituto industriale più antico d'Italia (il Montani, che è conosciuto in tutto il mondo). Per non parlare dei tesori dell'arte e della cultura! La biblioteca è la settima in Italia per i fondi antichi; l'istituto zooprofilattico per l'Italia centrale ha sede a Fermo, come il tribunale ecclesiastico delle Marche. Inoltre, sono attivati corsi di laurea in ingegneria elettronica e gestionale nonché il corso di laurea in beni culturali, archivistici, archeologici e librari.
Ignorare questa realtà vuol dire non conoscere e non essere in sintonia con le esigenze del territorio che si dice di voler rappresentare. La richiesta di istituire la nuova provincia non nasce dall'esigenza del nome o di una targa automobilistica o di avere uffici propri e vicini, anche se, con riguardo a quest'ultima esigenza, la dislocazione del capoluogo al confine sud della provincia, in considerazione dell'orografia delle Marche, dà luogo a non pochi disagi, connessi ad una viabilità concepita a pettine rispetto alla statale adriatica.
La nuova provincia nasce dall'esigenza di avere uno strumento autonomo di programmazione aderente ai bisogni del territorio.


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Contrariamente a quanto pensano gli amici ascolani, la separazione amministrativa si tradurrebbe in un vantaggio competitivo per entrambe le realtà. Non è vero che dividere vuol dire indebolire: attraverso la distinzione delle individualità di ciascuno si possono creare sinergie per operare con più forza nei confronti dell'ente regionale. Non a caso, il filosofo Maritain asseriva che bisogna distinguere per unire.
La fretta che abbiamo noi fermani di conseguire il risultato è dettata dalla consapevolezza che un ulteriore ritardo può generare danni a causa delle disfunzioni organizzative che comporta. Le contrapposizioni che possono nascere in questa logorante aspettativa rischiano di creare una pericolosa condizione di stallo, nell'attesa che si stabilisca il giusto territorio per la programmazione. Dal canto suo, Ascoli potrà trarre grande vantaggio dal fatto di poter gestire una sua realtà omogenea, senza essere costretta a rincorrere attese di un'altra realtà che si configura come estranea.
Fanno parte del territorio fermano oltre 22 mila soggetti economici iscritti alle camere di commercio e più o meno altrettanti sono quelli appartenenti al territorio di Ascoli. Tuttavia, come ho già detto, le modalità di formazione sono state totalmente diverse nei due casi: i distretti industriali calzaturiero e del cappello che, nel settore, sono i più importanti d'Italia (sono state fornite alcune cifre anche da altri colleghi), appartengono al territorio fermano e constano di oltre 6 mila aziende medie, piccole e piccolissime, mentre il territorio ascolano, sviluppatosi beneficiando, dapprima, delle provvidenze della Cassa per il Mezzogiorno e, successivamente, con quelle di cui alla legge n. 64, si avvantaggia di attività produttive diverse, di medie e di grandi dimensioni.
Il fermano ha, tra l'altro, l'assoluta necessità di organizzare il proprio territorio sotto il profilo della viabilità. Quest'ultima versa in uno stato di preoccupante arretratezza poiché le provvidenze speciali (Cassa per il Mezzogiorno ed altre) sono state destinate soltanto all'ascolano.
Concludendo, desidero ribadire che non vi è alcuna contrapposizione con Ascoli e che la nostra richiesta si basa su motivazioni positive; anzi, proprio nel momento in cui stiamo per conquistare l'autonomia amministrativa, dichiariamo tutta la nostra disponibilità a collaborare con gli ascolani: per noi, autonomia significa collaborazione e dialogo.
Da ultimo, mi sia consentito dare pubblicamente atto del prezioso ed intenso lavoro svolto al comitato per l'istituenda provincia di Fermo, in particolare al suo presidente, cavaliere Luigi Vitali, a tutti gli altri che non nomino specificamente perché l'elenco sarebbe troppo lungo e quasi sicuramente incompleto nonché, in generale, a tutti coloro che si sono adoperati, ad ogni livello, per costruire questo grande consenso intorno all'istituzione delle nuove tre province (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Paola Mariani. Ne ha facoltà.

PAOLA MARIANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la discussione del testo di legge unificato al nostro esame, che prevede l'istituzione delle province di Fermo, Barletta e Monza, è una sorta di testimone ideale, che porta a termine il lavoro e l'iter iniziato nella XIII legislatura e arrivato, in quella sede, alla soglia dell'Assemblea l'8 marzo 2001. Solo lo scioglimento delle Camere infatti ha impedito che il buon lavoro svolto in I Commissione andasse a termine. E proprio grazie a quel lavoro, nato, tra l'altro, dalla proposta di un deputato dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, l'onorevole Cesetti, abbiamo ora la possibilità di utilizzare, in base al comma 3 dell'articolo 107 del regolamento, la procedura abbreviata. Ora, grazie quindi ad un lavoro svolto con convinzione e tenacia dal centrosinistra nella scorsa legislatura, ma in maniera unitaria anche da altri colleghi di altre forze politiche (perlomeno visto il consenso avuto in Commissione), l'Assemblea e il Governo possono pronunciarsi finalmente su questo provvedimento. Ora arriviamo al nodo vero, perché non possiamo più pensare di


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rinviare ancora, illudendo quei cittadini, i sindaci, gli operatori economici, che aspettano risposte concrete e definitive, con palliativi di ordine procedurale; adesso, veramente, alla discussione generale deve seguire l'effettiva approvazione della Camera con un iter certo e veloce.
Sono stati richiamati gli intenti bipartisan: ho apprezzato quelli del relatore Schmidt e di altri colleghi, però so che ci sono anche opposte opinioni; so che anche nei nostri territori ci sono voci diverse e non mi piace sentir dire che l'iter che si svolgerà alla Camera poi si arresterà al Senato, perché in questo modo sicuramente non faremmo gli interessi di quel territorio e di quei cittadini che, invece, ci chiedono tutt'altra cosa. Oggi non è in discussione la forza del centrosinistra o quella del centrodestra; non si tratta di misurare la potenza di questo o quel parlamentare, né si tratta di un braccio di ferro tra le istituzioni, tra i loro rappresentanti, il Fermano, da un lato, e la provincia di Ascoli Piceno, dall'altro; sarebbe sbagliato e punitivo per le esigenze reali di quei territori verso i quali noi abbiamo il dovere di rispondere, partendo da dati reali ed inconfutabili.
Fermo - è stato detto - è nei fatti già capoluogo di un territorio definito; se poi volessimo entrare nel merito di quanti anni ci sono dietro a questa proposta di legge che ora discutiamo - è già stato accennato - dovremmo risalire al 1861, quando il nuovo ordinamento nazionale soppresse l'allora provincia di Fermo. Da quel tempo, questo territorio ha continuato a rivendicare la sua autonomia. Sono state diverse le istanze, a diversi livelli, ma dobbiamo arrivare ai nostri giorni, nel 1989, quando i 40 comuni, che comprendono il territorio del Fermano, hanno presentato l'istanza per essere costituiti in provincia autonoma da quella di Ascoli Piceno. Solamente perché il Governo non ha esercitato la delega prevista nella legge n. 142, questa provincia non è diventata realtà. Ora, come diceva anche l'onorevole Sinisi, proprio perché questa è una specifica proposta di legge parlamentare, la Camera e il Senato avranno la possibilità, autonomamente e con propria volontà, di portare a termine il progetto.
La storia è molto lunga ed in questi lunghi anni l'autonomia di Fermo, la sua identità culturale, politica e sociale non è cambiata; non è stata scalfita dalla coabitazione con l'Ascolano. Io, che sono marchigiana - come molti altri colleghi che sono qui intervenuti, che pure non sono della provincia di Ascoli Piceno - abito in un comune limitrofo e posso testimoniare come il Fermano sia, già da anni, da sempre, non solo nelle menti dei rappresentanti istituzionali, ma anche nel dire e nel fare comune degli operatori economici, della gente di strada, comunque un'entità autonoma e separata.
La già citata lontananza del Fermano da Ascoli Piceno è forse la cosa che, più concretamente, ha sancito, nei fatti, questa distanza. Dunque, la necessità e la volontà di avere una struttura istituzionale più vicina, più consona e più legata ai propri bisogni non può essere sottovalutata né sottaciuta. Per molti anni e per molte volte queste istanze sono state riproposte e ripresentate a testimonianza che quella integrazione dei territori non c'è stata ed il Parlamento non può non tener conto di una questione così rilevante.
Fermo, nei fatti, è già capoluogo di provincia pur non essendolo per legge e pur possedendo tutti i requisiti previsti dalla legge. Il tessuto economico e sociale è integrato ed omogeneo e presenta le seguenti particolarità: se è vero che le Marche, in generale, rappresentano un modello di produzione molto particolare (il modello delle piccole e medie imprese dove gli imprenditori hanno fatto e fanno molto da soli senza l'aiuto assistenziale dello Stato) il Fermano, e in particolare il comparto calzaturiero, sono il modello reale, sono il fiore all'occhiello del made in Italy. Inoltre, in questo settore economico si registra anche un'assonanza culturale che accomuna gli operatori, i cittadini ed i lavoratori di quei territori. Oltre al settore calzaturiero, leader di questa zona, vi sono anche altri settori come quello manifatturiero per la produzione del cappello


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e l'agricoltura; tutte queste attività presentano una loro specificità e particolarità nel territorio del Fermano.
Vi è poi la particolare costruzione a rete del tessuto economico che non può che essere un elemento a favore della costituenda provincia di Fermo. Oltre alla particolarità del tessuto economico, occorre valutare la moltitudine delle imprese (sono più di quindicimila) che va a compensare la carente densità abitativa. Effettivamente, quella di Fermo è la più piccola tra le province di cui si propone l'istituzione, e dovrà essere applicato il disposto dell'articolo 16, comma 2, lettera e), della legge n. 142 del 1990 ai sensi del quale «Di norma, la popolazione delle province risultante dalle modificazioni territoriali non deve essere inferiore a 200.000 abitanti» poiché a Fermo vi sono circa 167.000 abitanti. Dunque, la carenza abitativa è compensata dall'entità del numero delle aziende (si parla di un'azienda circa ogni dieci abitanti). È un tessuto economico di straordinaria importanza e vitalità che ha bisogno di una provincia vicina che possa programmare, avendo a cuore e tenendo presenti le necessità del suo territorio e dei suoi cittadini. Ho già sottolineato quanto sia importante per questi territori la valorizzazione in provincia.

PRESIDENTE. Onorevole Paola Mariani, la invito a concludere.

PAOLA MARIANI. Ho finito, signor Presidente.
Vi è inoltre da considerare che le strutture ed i servizi già presenti sono moltissimi (dunque la valutazione finanziaria per quanto riguarda Fermo non ha motivo di esistere) come il commissariato, le sedi INPS e INAIL, la camera di commercio, gli uffici giudiziari ed altri ancora. Dunque un assetto provinciale è già prefigurato ed è per questo che la regione Marche, già nel 1990, ha espresso parere favorevole che, in seguito, è stato anche ribadito.
Dunque, onorevoli colleghi e rappresentanti del Governo, il tempo delle discussioni è finito, è maturo il tempo delle decisioni non per rivendicare meriti o primati ma per portare a termine un impegno nei confronti di quel territorio, per rispondere ai sindaci, alle comunità locali ed agli operatori economici, al di là delle collocazioni politiche, perché questo è il nostro mandato (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ruggieri. Ne ha facoltà.

ORLANDO RUGGIERI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, alla faccia dello spirito autenticamente bipartisan evocato dall'onorevole Migliori di Alleanza nazionale, che ha sottolineato il lavoro di senatori e deputati e persino di consiglieri regionali di Alleanza nazionale! alla faccia pure dello spirito bipartisan scevro dal mettere il cappello sulla questione dibattuta da parte dell'onorevole Fontanini, che ha esaltato il ruolo del suo ministro e leader politico! Io, invece, con tutta modestia, ho l'onore e l'orgoglio, la ferma convinzione e passione di rappresentare qui, oggi, la totale contrarietà dei cittadini del piceno alla divisione del loro territorio con la conseguente istituzione della nuova provincia di Fermo.
In linea generale e di principio riporto le conclusioni del documento dell'Unione delle province d'Italia del 28 giugno 2001, riguardante proprio le proposte al nostro esame, affinché il Governo ed il Parlamento tengano conto del parere espresso ufficialmente dall'UPI in sede di audizione parlamentare. Nel premettere che è ormai prassi consolidata di inizio legislatura la presentazione di disegni di legge istitutivi di nuove province - prassi che si è evidenziata nel corso della XIII legislatura con numerose proposte sul tema e alle quali, dico io, si sono aggiunte nel corso di questa decine di altre - l'UPI ribadisce la ferma sua contrarietà all'istituzione di nuove province. Essa, infatti, afferma che a seguito dell'approvazione del testo unico sull'ordinamento degli enti locali, e del progressivo affermarsi del decentramento amministrativo, si è assistito ad un crescente consolidamento dell'istituzione provinciale


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sia rispetto all'ambito territoriale di influenza, sia da parte della popolazione governata, che verrebbe necessariamente meno con l'insorgere di nuove istituzioni.
Si sottolineava inoltre la necessità che le istituzioni provinciali dovessero esercitare la propria influenza su una superficie territoriale adeguata all'attuazione delle politiche di sviluppo locale, influenza che sarebbe inevitabilmente ridotta dall'istituzione di nuove province. Nel detto documento dell'UPI si ricordavano, inoltre, le problematiche di tipo finanziario che si erano evidenziate nelle province nate nel 1995, le quali avevano mostrato un vero e proprio ritardo economico nei confronti delle altre. Infatti, le nuove province avrebbero dovuto attingere risorse finanziarie unicamente da quelle preesistenti, ma tale soluzione si era rivelata insufficiente, tanto da costituire un'ulteriore fonte di spesa per lo Stato centrale.
Il documento proseguiva affermando la verificata, conclamata e sistematica disapplicazione del dettato normativo portato dal decreto legislativo n. 267 del 2000, il quale, all'articolo 21, prevede che l'istituzione di nuove province non comporta necessariamente l'istituzione di uffici provinciali delle amministrazioni dello Stato e degli altri enti pubblici. L'UPI, infatti, segnalava la proliferazione di uffici statali sul territorio, in netto contrasto con il principio di semplificazione oggi in vigore, e con ulteriore dispendio di risorse pubbliche.
L'articolato documento dell'Unione province d'Italia concludeva ricordando che per rispondere alla crescente domanda di istituzione di nuove province il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali prevede, all'articolo 21, la possibilità di creare i circondari, sulla base dei quali la provincia potrà organizzare gli uffici, i servizi e la partecipazione dei cittadini.
A questo documento ha fatto seguito quello inviato, in data 11 ottobre 2001, ai gruppi parlamentari di Camera e Senato ed ai componenti della nostra Commissione affari costituzionali, dall'Unione regionale delle province marchigiane. In esso si legge che le competenze provinciali su temi fondamentali come l'ambiente, la viabilità, la politica turistica, la programmazione economica, le politiche sociali, la formazione professionale, le politiche attive del lavoro, rendono evidente e necessaria la dimensione territoriale d'area vasta; in conseguenza di ciò emerge che l'assetto territoriale, che nel frattempo si è consolidato, rappresenta il vero terreno su cui operare evitando inutili dispersioni di tempo, di risorse, ed anche di cultura amministrativa.
Fatta la suddetta premessa, l'Unione regionale delle province marchigiane concludeva affermando l'orientamento negativo all'istituzione della quinta provincia marchigiana, che si realizzerebbe in un territorio ove già operano due parchi nazionali ed un'unione di comuni istituita, ai sensi di legge, come ente locale. Tali realtà sarebbero smembrate dall'istituzione della nuova provincia, mentre oggi hanno raggiunto un assetto soddisfacente per il conseguimento degli obiettivi politici, organizzativi e di servizio che si sono posti, pur nella necessità di maggiori attenzioni da parte di provincia, regione e Stato nazionale.
Come abbiamo potuto notare, il documento dell'Unione regionale delle province marchigiane introduce il concetto di area vasta e ottimale per il governo del territorio che cozza in maniera evidente con la proposta di istituzione della provincia di Fermo. La nuova provincia di Fermo, infatti, avrebbe un dimensionamento demografico di circa 165 mila abitanti, meno di una circoscrizione di una città metropolitana, mentre la residuale provincia di Ascoli Piceno passerebbe da circa 365 mila abitanti a poco più di 200 mila abitanti. A questo proposito non sfuggirà a voi tutti la contraddizione delle relazioni e dei vari gemellaggi che vi sono stati con le istituende consorelle di Barletta e Monza che hanno dimensionamenti rispettivamente tripli e quintupli di quello del fermano, senza contare (fatto sicuramente non secondario) che le due consorelle rappresentano aree metropolitane residuali in


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città come Bari e Milano che hanno milioni di abitanti. Il territorio Piceno, con due province «bonsai», Ascoli e Fermo, affronterebbe sicuramente con minore competitività il confronto con le realtà politiche, economiche e sociali del territorio.
La proposta dell'onorevole Zama avrebbe, se accolta, solo l'effetto di retrocedere la provincia di Ascoli Piceno dal cinquantatreesimo al novantatreesimo posto su 104 nella graduatoria delle provincie italiane, mentre la nuova provincia di Fermo si collocherebbe al quartultimo posto della stessa graduatoria.
Le argomentazioni dei sostenitori della nuova provincia si basano su una generica e vaga richiesta di autonomia di un territorio, a loro dire, ricco, stanco di mantenere il territorio povero di Ascoli Piceno. Vi invito caldamente a non condividere una simile visione politica che stride con i principi di solidarietà e sussidiarietà sanciti dall'ultimo referendum costituzionale nonché dalla ratio del nuovo ordinamento degli enti locali. Addirittura, registriamo con favore la tendenza ordinamentale e legislativa in Italia e in Europa di favorire l'unione e la fusione di enti locali, soprattutto di piccole dimensioni, che trovano ragioni per stare insieme per una migliore gestione di progetti e servizi per aree territoriali omogenee. È bene pure ricordare che la parte nord del territorio Piceno che fa riferimento alla cittadina di Fermo (che conta - bisogna ricordarlo - circa 35 mila abitanti) dispone già di un numeroso insieme di servizi - lo ricordava benissimo l'onorevole Zama - dei quali alcuni esclusivi nell'ambito della provincia (conservatorio musicale, tribunale ecclesiastico), alcuni autonomi (le ASL, il tribunale, l'istituto case popolari, gli istituti scolastici, le federazioni di partiti e sindacali ed altri) e numerosi distaccati dal capoluogo, praticamente tutti i settori della pubblica amministrazione, associazionistici, sindacali e così via.
Inoltre, tra il capoluogo Ascoli Piceno e Fermo la distanza in linea d'aria supera di poco i 30 chilometri e il collegamento è assicurato sia dall'autostrada sia dalla ferrovia. L'insieme territoriale è piuttosto compatto e non supera nel suo complesso i 2000 chilometri quadrati. Pertanto, non può essere neanche quella della facilitazione di accesso ai servizi la motivazione di una nuova amministrazione provinciale.
Invito i colleghi a riflettere sui costi di una democrazia partecipativa così esasperata e delle istituzioni. Ricordo i vari enti ed istituzioni (circoscrizioni, comuni, comunità montane, province e regioni) con i rispettivi esecutivi nonché il Parlamento, il Parlamento europeo ed il Governo. Inoltre, la mia preoccupazione di non favorire l'istituzione di nuove province, senza che sia assicurata la piena efficienza del ruolo delle province che residuano dalla nascita delle nuove, è stata accolta come raccomandazione dal Governo che se ne è fatto carico in data 19 dicembre 2001. Confido in tale impegno, non senza far presente che, attualmente, per l'istituzione delle nuove province non vi è copertura finanziaria per l'anno 2002. È forse per tale motivo che, non potendo ottenere il necessario parere da parte della Commissione bilancio, oggi abbiamo affrontato la sola discussione sulle linee generali senza prevedere tempi o calendarizzazioni per il voto. Nutro anche diverse riserve circa la regolarità formale dell'iter legislativo per l'istituzione della provincia di Fermo fin qui seguito.
L'iter si basa su vecchie deliberazioni di 40 comuni assunte nel 1989, alcune di esse addirittura revocate. La deliberazione del comune capofila Fermo manca della dichiarazione di voto. Tutte sono decadute per l'abrogazione, con il nuovo testo unico degli enti locali del 2000, dell'articolo 63 della legge n. 142 del 1990. La proposta, infine, che stasera discutiamo è fatta senza che la regione Marche abbia adottato, come dal richiamato testo unico, la norma intesa a promuovere e coordinare l'istituzione delle province.
Concludo auspicando che prima ancora di votare l'istituzione della nuova provincia di Fermo vi sia la possibilità di una riflessione seria e di buon senso da parte del Governo e del Parlamento sul tema


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dell'istituzione delle nuove province, partendo dalla revisione dell'articolo 21 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 che prevede, di norma, per le istituende nuove province, una popolazione non inferiore ai 200.000 abitanti. Credo che non sia più eludibile una tale riflessione se si vorrà in futuro legiferare su questo argomento in maniera chiara, univoca, trasparente e in condizioni di obiettività riguardo alle richieste numerosissime che stanno pervenendo per la nascita di nuove province.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione congiunta sulle linee generali.

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