Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 108 del 4/3/2002
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Discussione della proposta di legge: Grignaffini ed altri (i firmatari hanno ritirato la loro sottoscrizione dalla proposta di legge): Disposizioni in materia di organi collegiali della scuola dell'autonomia (1186) e delle abbinate proposte di legge: Angela Napoli; Gambale ed altri; Adornato ed altri; Titti De Simone (774-1954-2010-2221) (ore 19).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge: Grignaffini ed altri: Disposizioni in materia di organi collegiali della scuola dell'autonomia; e delle abbinate proposte di legge d'iniziativa dei deputati: Angela Napoli; Gambale ed altri; Adornato ed altri; Titti De Simone.
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione sulle linee generali della proposta di legge è pubblicata nel calendario (vedi resoconto stenografico della seduta del 1o marzo 2002).
Il tempo complessivamente attribuito ai relatori di minoranza, pari a 20 minuti, è stato così ripartito: 12 minuti all'onorevole Capitelli; 8 minuti all'onorevole Titti De Simone.
Comunico che gli onorevoli Grignaffini, Gambale, Bellillo, Carli, Chiaromonte, Giulietti e Melandri hanno ritirato la loro sottoscrizione dalla proposta di legge n. 1186.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1186)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Margherita, DL-l'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare.
Ha facoltà di parlare la relatrice per la maggioranza, onorevole Bianchi Clerici.

GIOVANNA BIANCHI CLERICI, Relatore per la maggioranza. Onorevoli colleghi, il provvedimento che la Commissione cultura propone al voto dell'Assemblea è volto a rinnovare la disciplina relativa agli organi di governo delle istituzioni scolastiche, alla luce delle rilevanti innovazioni di carattere ordinamentale intervenute nel corso degli ultimi anni.
Finalità preminente dell'intervento è quella di ridefinire la composizione, le funzioni e le responsabilità degli organi collegiali operanti in seno alle scuole, per consentire loro il pieno esercizio dell'autonomia amministrativa, didattica, organizzativa, di ricerca e di sviluppo introdotta dall'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successivamente disciplinata dal regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275. Allo stesso tempo, la revisione della disciplina sugli organi collegiali non può non tenere conto delle nuove responsabilità e dei nuovi compiti che sono stati attribuiti agli ex capi di istituto (divenuti dirigenti scolastici, ai sensi del medesimo articolo 21 della legge n. 59 del 1997, e dei successivi provvedimenti attuativi), compiti e responsabilità precisati e resi cogenti dal contratto recentemente siglato con le relative organizzazioni sindacali.
Infine, imprescindibile elemento di contestualizzazione della nuova disciplina è il riassetto delle competenze costituzionali in materia di istruzione che, ai sensi del nuovo testo dell'articolo 117, da una parte ha attribuito allo Stato la competenza esclusiva sulle norme generali in materia di istruzione e alle regioni una potestà legislativa concorrente in materia di istruzione, dall'altra ha dato rilievo costituzionale all'autonomia delle istituzioni scolastiche già sancita a livello legislativo.
Anche tralasciando altri rilevanti interventi (come il riordino degli organi collegiali nazionali e periferici della scuola, disposto dal decreto legislativo 30 giugno 1999, n. 233) ed a prescindere dalle prospettive delle riforme in itinere, appare comunque evidente la necessità di procedere ad una profonda revisione delle norme vigenti in materia di organi collegiali, che risalgono sostanzialmente al decreto del Presidente della Repubblica n. 416 del 1974, e quindi ad una stagione, culturale e politica - quella dei cosiddetti decreti delegati -, assai distante dalla realtà e dalle esigenze di rappresentanza e di efficienza che emergono dal nuovo contesto.


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Sull'urgenza di una complessiva riforma della materia si è d'altronde registrato il più ampio consenso tra le forze politiche in Commissione.
Passando all'esame degli aspetti procedurali che hanno condotto al testo oggi all'esame dell'Assemblea, va in primo luogo rilevato come tutte le principali componenti politiche si siano fatte promotrici di proposte di legge di riforma degli organi collegiali: ricordo la proposta di legge n. 774 a firma dell'onorevole Angela Napoli, presentata all'inizio della legislatura, alla quale si sono successivamente aggiunte tre distinte proposte di legge di iniziativa dei rappresentanti dei principali gruppi di opposizione in Commissione (le proposte di legge Grignaffini ed altri n. 1186; Gambale ed altri n. 1954 e Titti De Simone n. 2221) ed una proposta di legge sottoscritta dal presidente della Commissione Adornato e da tutti i rappresentanti dei gruppi di maggioranza (la proposta di legge n. 2010). L'urgenza dell'intervento era d'altronde così avvertita dai gruppi di opposizione da spingerli a richiedere l'inserimento delle proposte di legge nel calendario dei lavori dell'Assemblea all'interno della riserva di tempi e argomenti garantiti alle minoranze dal regolamento.
Concluso l'esame preliminare delle abbinate proposte di legge, la Commissione ha proceduto alla costituzione di un Comitato ristretto cui è stato affidato il compito di svolgere i necessari approfondimenti conoscitivi e di definire il testo da assumere come testo base. Il Comitato ristretto in primo luogo ha proceduto allo svolgimento di un intenso programma di audizioni informali in cui sono state coinvolte tutte le principali organizzazioni sindacali della scuola, numerose associazioni professionali dei docenti e le più portanti associazioni di genitori e studenti, oltre ai rappresentanti delle regioni e degli enti locali. Concluso il ciclo di audizioni informali, in seno al Comitato ristretto si è aperto il confronto sulla definizione del testo da adottare come base. Nonostante l'emergere di alcuni significativi punti di convergenza e di mediazione, all'esito di tale confronto è prevalsa la considerazione della non conciliabilità delle posizioni della maggioranza e dell'opposizione su alcuni aspetti, limitati ma decisivi per l'intera impostazione della riforma (in primis il ruolo del dirigente scolastico all'interno del consiglio di istituto) e, quindi, si è dovuto prendere atto dell'impossibilità di giungere alla predisposizione di un testo unificato.
Pertanto, stante l'inserimento delle proposte di legge nel calendario dell'Assemblea su richiesta dei gruppi di opposizione, alla ripresa dell'esame in sede referente, in ossequio alle disposizioni degli articoli 23 e 24 del regolamento, e alle indicazioni fornite dal Presidente della Camera con lettera ai presidenti delle Commissioni permanenti del 10 febbraio 2000, la Commissione ha deliberato di adottare come testo base la proposta di legge sulla quale verteva la richiesta dei gruppi di opposizione, ovvero la proposta n. 1186. L'adozione di tale proposta come base per il seguito dell'esame è quindi avvenuta in applicazione delle norme poste a tutela del diritto delle minoranze a concorrere nella definizione degli argomenti da trattare in Commissione ed in Assemblea, e non corrispondeva ad un'indicazione di maggiore condivisione dei suoi contenuti rispetto alle proposte di legge abbinate.
Il vincolo relativo all'adozione del testo base non poneva d'altronde limiti formali al potere di emendazione del testo da parte della maggioranza, così com'è poi effettivamente avvenuto tramite l'approvazione di una serie di emendamenti che hanno profondamente modificato il testo della proposta di legge n. 1186 avvicinandolo sostanzialmente a quello della proposta n. 2010, benché permanga una serie di significative differenze scaturite a seguito del dibattito in seno al Comitato ristretto ed all'accoglimento di alcune osservazioni, anche dei rappresentanti dei gruppi di opposizione.
Il testo emendato è stato quindi trasmesso alle Commissioni competenti in sede consultiva per acquisirne il prescritto parere. La XI Commissione (Lavoro) e la XII Commissione (Affari sociali), nonché


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la Commissione parlamentare per le questioni regionali non hanno espresso il parere, mentre la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere favorevole con una condizione recepita dalla Commissione (si veda l'articolo 10 del testo della Commissione stessa). La I Commissione (Affari costituzionali) ha espresso parere favorevole con una condizione ed una osservazione. In particolare, la condizione - non recepita nel testo presentato in Assemblea - richiede di rendere meno puntuali e specifiche le disposizioni relative alla composizione ed alle modalità di convocazione del collegio della scuola e alle modalità di individuazione del garante dell'utenza, nonché le modalità di convocazione del collegio dei docenti, per non comprimere eccessivamente l'autonomia delle istituzioni scolastiche.
Il parere della I Commissione investe direttamente un nodo fondamentale della riforma proposta, in cui si confrontano la necessità di garantire l'autonomia delle istituzioni scolastiche con quella, altrettanto rilevante, di garantire regole certe ed omogenee su temi che, per la loro centralità ai fini della progettazione e dell'attuazione della nuova autonomia, non sembra possano essere lasciati a una regolamentazione disomogenea e potenzialmente arbitraria, in particolare per quanto riguarda le garanzie di rappresentanza. L'individuazione delle forme per il suo recepimento avrebbe, quindi, imposto la riapertura di un confronto generale sull'insieme del provvedimento e sugli equilibri tra i diversi organi. La maggioranza della Commissione ha ritenuto non opportuno comprimere tale confronto nell'ambito dei tempi ristretti tra l'espressione del parere e il termine ultimo utile per la conclusione dell'esame in sede referente, stante il suo inserimento nel programma dell'Assemblea a partire da oggi, 4 marzo.
Sulle questioni toccate dal parere della I Commissione, pertanto, ci si è riservati di operare una successiva riflessione ai fini della discussione in Assemblea, con l'impegno a valutare e promuovere opportune modifiche delle norme in oggetto, per accentuarne il carattere di principio.
Va, inoltre, segnalato il parere favorevole con condizioni e osservazioni del Comitato per la legislazione, che peraltro si era espresso sul testo base prima delle modifiche apportate dall'approvazione degli emendamenti. In particolare, va evidenziato che molte delle condizioni e osservazioni di tale parere non appaiono utilmente riferibili alla nuova formulazione del testo. Risulta, invece, riferibile anche alla nuova formulazione la richiesta di utilizzare la tecnica della novella al vigente testo unico delle disposizioni relative alle scuole di ogni ordine e grado. Sul punto, la Commissione ritiene di procedere ad un'ulteriore riflessione, per verificare la possibilità di conferire al Governo una delega per l'aggiornamento e il coordinamento delle norme del testo unico.
Al termine dell'iter sommariamente descritto, la Commissione ha licenziato per l'Assemblea il testo oggi in discussione.
Esso si basa sull'assunto di fondo che il nuovo assetto degli organi di governo delle istituzioni scolastiche debba valorizzare l'autonomia ad esse attribuita sulla base di un ristretto nucleo di disposizioni generali, valide sull'intero territorio nazionale e per tutti gli ordini e i gradi di scuole, cui si affiancano alcune disposizioni di principio che le regioni e le singole scuole potranno attuare secondo le rispettive e differenziate esigenze e competenze.
Nell'impostazione proposta, la nuova disciplina ridefinisce la composizione, le funzioni e i poteri degli organi delle istituzioni scolastiche autonome sulla base dei criteri di libertà, semplicità e responsabilità, lasciando peraltro alle singole istituzioni ampio spazio per esercitare la propria autonomia tramite l'apposito regolamento della scuola e le altre competenze attribuite ai diversi organi.
L'articolo 1 stabilisce i principi generali cui si ispira l'intervento legislativo. Sono, in primo luogo, individuati i soggetti che concorrono al governo delle istituzioni scolastiche e il rapporto tra norme statali, potestà legislativa delle regioni e autonomia delle istituzioni scolastiche.
Assai rilevanti sono i principi fissati dal comma 4, che richiama, tra l'altro, la


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necessità di valorizzare la funzione educativa dei docenti, il diritto all'apprendimento e alla partecipazione degli studenti, la libertà di scelta dei genitori e il patto educativo tra famiglie e docenti.
L'articolo 2 individua gli organi di governo delle istituzioni scolastiche, oggetto dei successivi articoli, ivi compreso il dirigente scolastico, i cui compiti essenziali, definiti dalla legislazione vigente, sono richiamati all'articolo 3.
L'articolo 4 disciplina le competenze fondamentali del consiglio della scuola, che è organo di indirizzo e programmazione delle attività dell'istituzione scolastica. Tra i compiti più rilevanti ad esso attribuiti si possono segnalare, oltre all'approvazione del bilancio, la deliberazione del regolamento della scuola - cui è demandata la definizione della maggior parte degli aspetti attinenti al funzionamento dell'istituzione stessa - e l'approvazione di eventuali accordi tra la scuola e soggetti esterni. Il piano dell'offerta formativa è, invece, predisposto dal collegio dei docenti e sottoposto all'adozione del consiglio della scuola, al fine di verificarne la rispondenza agli indirizzi generali e alle compatibilità rispetto alle risorse umane e finanziarie disponibili.
La composizione del consiglio della scuola è oggetto dell'articolo 5, che fissa in undici il numero dei componenti. Oltre al dirigente scolastico ed al direttore dei servizi generali e amministrativi - che assumono la carica di presidente e di segretario del consiglio - ne fanno parte in primo luogo i rappresentanti dei docenti, dei genitori e, nella scuola secondaria superiore, degli studenti. Il numero di tali rappresentanti è di tre genitori, tre docenti e due studenti nelle secondarie superiori, cinque genitori e tre docenti nelle altre scuole. Si prevede, inoltre, che faccia parte del consiglio anche un rappresentante dell'ente locale tenuto per legge alla fornitura dell'edificio.
Con disposizione innovativa si prevede poi che il genitore che ha ottenuto più voti assuma la funzione di garante dell'utenza. Questi, tramite strumenti quali risoluzioni o documenti di altra natura, è chiamato a rappresentare in via continuativa il punto di vista e le esigenze degli utenti del servizio scolastico. Il garante, inoltre, presiede il nucleo di valutazione del servizio disciplinato dall'articolo 9.
L'articolo 6 definisce i compiti del collegio dei docenti, cui sono attribuite le funzioni di indirizzo, programmazione, coordinamento e monitoraggio delle attività didattiche ed educative, provvedendo in particolare all'elaborazione del piano dell'offerta formativa. Il collegio, che è presieduto dal dirigente, potrà liberamente definire le forme di articolazione interna che parranno ad esso necessarie per il migliore svolgimento delle proprie funzioni.
L'articolo 7 demanda al regolamento della scuola la definizione delle sedi collegiali e delle modalità con cui i docenti procedono alla valutazione periodica e finale degli alunni.
L'articolo 8 stabilisce, in via di principio, che le istituzioni scolastiche debbono valorizzare la partecipazione degli studenti e dei genitori alle attività della scuola, demandando, ancora una volta, al regolamento della scuola le forme attraverso le quali tale partecipazione si realizza. È, inoltre, esteso ai genitori il diritto di riunione e di assemblea già previsto per gli studenti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 249 del 1998.
L'articolo 9 istituisce, presso ciascuna scuola, un nucleo di valutazione del funzionamento dell'istituto. Tale organismo, di cui fanno parte il garante dell'utenza, che lo presiede, un docente ed un esperto esterno, ha il compito di valutare l'efficienza e l'efficacia del servizio scolastico, anche alla luce delle priorità fissate dall'istituto nazionale per la valutazione del sistema dell'istruzione.
L'articolo 10, inserito in recepimento del parere della Commissione bilancio, dispone che dall'attuazione della legge in discussione non debbano derivare oneri per il bilancio dello Stato.
Infine, l'articolo 11 reca l'abrogazione delle norme del testo unico relative ai previgenti organi collegiali delle scuole.


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Signor Presidente, onorevoli colleghi, in qualità di relatore del provvedimento vorrei richiamare l'attenzione dei colleghi sulle riflessioni politiche che hanno guidato l'azione della maggioranza parlamentare nel disegno dei nuovi organi di governo delle istituzioni scolastiche. Il modello immaginato prevede che accanto ad una figura caricata di importanti responsabilità di gestione e coordinamento (il dirigente scolastico) si collochi un organismo di indirizzo e programmazione altrettanto forte (il consiglio della scuola) al cui interno la componente dell'utenza, soprattutto quella di genitori e studenti, è significativamente valorizzata. Al loro fianco c'è il collegio dei docenti dotato delle prerogative, competenze didattiche ed articolazioni organizzative prima elencate. Il nucleo di valutazione del servizio e gli organi di valutazione collegiale degli alunni completano questo sistema orizzontale, ma diversificato nell'attribuzione delle responsabilità. Infatti, tutti gli organi di governo interagiscono e cooperano all'insegna di quell'obiettivo di riconduzione della responsabilità in capo al soggetto che la detiene, obiettivo tante volte invocato e raramente raggiunto nella vita della scuola e di ogni altra istituzione pubblica.
Peraltro, la scelta di assegnare la presidenza del consiglio al dirigente non smentisce, a nostro avviso, l'impostazione della proposta di legge stessa i cui principi ispiratori si riassumono nel tentativo di conciliare positivamente la riconduzione delle responsabilità e le garanzie di rappresentanza. Il garante dell'utenza, ossia di tutte le componenti della vita scolastica, rappresenta in questo senso una sorta di contraltare alla figura del dirigente scolastico e delle forti competenze che, come ricordato, la legislazione gli affida. Quella del garante è una figura, peraltro, del tutto innovativa nell'ordinamento scolastico e la scelta di affidare questo ruolo delicato ad un genitore è un segnale, non solo simbolico, della volontà di superare l'ostacolo della fievole partecipazione delle famiglie alla vita della scuola.
Quanto alle preoccupazioni di tutela e di osservanza alle disposizioni costituzionali attualmente in vigore, ritengo che esse saranno accolte positivamente nel corso dell'esame in aula. D'altronde, è sempre stato intendimento del relatore e della maggioranza la proposizione di un modello di organi di governo che si limitasse ad indicare alcuni, pochi, principi fondamentali, demandando, poi, ai regolamenti della singola istituzione la disciplina di tutti gli aspetti che coinvolgono la quotidiana conduzione della scuola.
Mi sembra, peraltro, che sia salvaguardato anche lo spazio di un intervento legislativo per le regioni che rilevino la necessità di far valere la propria potestà concorrente. In conclusione, come relatore per la maggioranza ritengo che le soluzioni delineate nella proposta di legge oggi al nostro esame - così come modificata nel corso dei lavori in Commissione - raggiungano lo scopo di superare l'ordinamento vigente, ormai obsoleto nel contesto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, e di ridisegnare un moderno sistema di organi di governo in grado di restituire alla scuola un ruolo centrale nella formazione dei giovani e nello sviluppo sociale e culturale del paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania e di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Capitelli.

PIERA CAPITELLI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, presidente della VII Commissione, la proposta di legge che ci stiamo accingendo ad esaminare si colloca nel quadro delle controriforme della scuola proposte dall'attuale maggioranza e si richiama unicamente al governo delle istruzioni scolastiche, omettendo ogni riferimento effettivo alla partecipazione e alla collegialità.
Vorrei fare qualche osservazione sul testo della Commissione, al fine di rendere conto delle ragioni che ci hanno indotto alla presentazione di un testo di minoranza. Al di là di marginali e confuse mascherature, il progetto di legge approvato dalla VII Commissione riporta la scuola italiana a prima del 1974, cioè a prima dei decreti delegati.


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Con esso viene cancellata, come un fatto esclusivamente negativo, l'esperienza, sicuramente complessa e contraddittoria, della partecipazione democratica di genitori, studenti ed operatori scolastici al governo della scuola, per affermare in sua vece, in forme autoritarie mai sperimentate in precedenza, una gestione burocratica e verticistica del processo educativo.
Un processo che per sua natura postula la partecipazione e la collegialità, viene isterilito e ingessato in forme e in procedure prioritariamente affidate alla responsabilità del dirigente scolastico. Ricordiamo che il dirigente scolastico, oltre ad assicurare, in base alle disposizioni legislative vigenti, la gestione unitaria dell'istituzione e la sua legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio, così come è anche titolare della contrattazione sindacale a livello di istituto.
Con la proposta della maggioranza, come se non bastassero tutti quei compiti, si propone che il dirigente scolastico presieda, non più soltanto il collegio dei docenti, ma anche il consiglio della scuola. Con il progetto di legge al nostro esame si vuol ridurre ad una finzione il consiglio della scuola (ad esempio con l'esclusione degli ATA) ed anche ad un simulacro la partecipazione di genitori ed alunni. Si espungono di fatto gli organi di rappresentanza dei genitori e degli studenti, che potranno essere riproposti, non in virtù della loro previsione di legge, ma solo se le scuole (ricordiamo che i loro regolamenti sono approvati a maggioranza semplice) lo riterranno opportuno.
In questo quadro, appare puramente strumentale e diversiva la discussione che si è aperta nel centrodestra sulla maggioranza affidata alle componenti esterne del consiglio. Infatti, in quell'organismo - per come è stato congegnato, presieduto, attivato, riassunto e rappresentato dal dirigente scolastico - la rappresentanza dei genitori e degli studenti risulta totalmente svuotata.
Nessun ruolo viene assegnato agli studenti, che non vengono riconosciuti neppure come utenti: si tratta di un ruolo che, evidentemente, dovranno conquistare con le loro lotte, a cominciare da quella per la difesa e per l'applicazione del loro statuto.
Ma torniamo al dirigente. Esso viene indicato come titolare di funzioni di indirizzo e di programmazione e, contemporaneamente, di quelle di gestione e di coordinamento. Il progetto respinge, in tal modo, l'esigenza, universalmente avvertita, di distinguere e separare le funzioni, prospettando la più sfrenata sovrapposizione delle medesime ed evocando in tal modo scenari di conflittualità nelle scuole.
Non sappiamo come recepiranno i dirigenti scolastici la prospettazione del loro nuovo profilo professionale, male probabilmente! Siamo, infatti, convinti che la maggioranza di loro apprezzi il significato e il ruolo della partecipazione democratica come condizione unica per un governo efficace della complessità che caratterizza il funzionamento di ogni scuola. Inoltre, molti di loro hanno serie conoscenze in materia di organizzazione del lavoro. Conoscono, ad esempio, le applicazioni alla scuola delle teorie della qualità totale e sanno che certe forme di autoritarismo sono destinate a suscitare ingovernabilità e conflitti devastanti e, quindi, la più totale inefficienza. Ma, forse, ciò è quello che persegue l'attuale Governo.
Con la nostra proposta di legge, avendo la maggioranza in Commissione respinto ogni proposta sostanziale di modifica da noi avanzata, riproponiamo un'organica riforma della democrazia scolastica, coerente con le esigenze della recente autonomia e con la necessità di rafforzamento del sistema pubblico dell'istruzione.
La nostra proposta è rivolta innanzitutto al paese e alla scuola e vuole significare che l'alternativa all'annullamento della vita democratica delle istituzioni scolastiche è possibile. Essa, a partire dal dibattito che svolgeremo in quest'aula, dovrà crescere, dovrà essere discussa nelle scuole e dovrà affermarsi domani nel governo del paese.
Il testo che si sottopone all'esame della Camera dei deputati contiene le disposizioni relative agli organi collegiali per le istituzioni scolastiche dotate di personalità


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giuridica e di autonomia. Molti principi in esso contenuti potranno essere utilmente utilizzati nella definizione dei regolamenti a livello delle singole scuole.
Le norme che proponiamo sostituiscono le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 416 del 1974.
L'obiettivo è quello di attribuire funzioni, poteri e responsabilità ad organi non monocratici, che mettano in grado le istituzioni scolastiche di esercitare, nell'ambito del sistema nazionale pubblico dell'istruzione, l'autonomia amministrativa, didattica, organizzativa, di ricerca e di sviluppo prevista dall'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
La nostra proposta si inserisce in un disegno di profonda riforma del sistema scolastico, che si collega inoltre al decreto legislativo 6 marzo 1998, n. 59, sulla dirigenza scolastica, e al decreto legislativo 30 giugno 1999, n. 233, sulla riforma degli organi collegiali territoriali della scuola, di recente congelati da un decreto-legge governativo. Ciò, peraltro, dopo che il Governo si era assunto la grave responsabilità istituzionale di non dare loro attuazione.
L'analisi dell'OCSE, compiuta per valutare l'insieme delle riforme avviate nel sistema scolastico italiano, mette in risalto la necessità di garantire, nel nostro paese, un processo di cooperazione tra tutte le componenti delle scuole - insistiamo sul termine «cooperazione» -, anche per affrontare le possibili situazioni di conflitto attraverso un processo decisionale democratico che permetta di risolverle nell'interesse degli studenti e della scuola.
D'altronde, l'esercizio dell'autonomia scolastica, previsto dall'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, richiede una legge che attribuisca funzioni, poteri, responsabilità agli organi dell'ente autonomo. È, quindi, necessario compiere alcune scelte, valide per tutto il territorio nazionale e previste in norme di carattere generale. Nell'ambito di tali scelte, le singole istituzioni avranno ampio spazio per esercitare la propria autonomia, discutendo e votando l'apposito regolamento.
Il testo della maggioranza tradisce tale esigenza perché, spazzando via tutta l'esperienza della partecipazione, affida ad una improbabile attività regolamentatrice delle scuole anche materie che, per loro natura, non possono che avere una valenza nazionale. Ad esempio, è possibile che in alcune scuole esista il comitato dei genitori e in alcune altre no? Oppure che in alcune scuole gli studenti possano ricorrere contro i provvedimenti disciplinari ed in altre no? Solo alcuni esempi per dimostrare la difficoltà di mettere in pratica le proposte confluite nel testo di maggioranza.
Nella nostra proposta, l'articolo 1, in attuazione delle norme generali che regolano il sistema nazionale di istruzione, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, stabilisce l'oggetto di applicazione delle norme e recepisce il principio della cooperazione tra le varie componenti, nel rispetto delle differenziate esigenze formative e della conseguita autonomia.
L'articolo 2 elenca gli organi delle istituzioni scolastiche e fissa il principio della separazione tra le funzioni di indirizzo e di controllo, da un lato, e le funzioni di gestione, dall'altro. Si tratta di un principio già previsto dalla normativa generale relativa all'organizzazione della pubblica amministrazione. Non è inopportuno ricordare a tale proposito che il decreto legislativo n. 165 del 2001 attribuisce le funzioni di indirizzo e di controllo ad organi di natura politica e le funzioni di gestione ai dirigenti. A tale riguardo, il testo governativo è solo foriero di conseguenze pesanti.
L'articolo 3 disciplina le competenze dell'organo di indirizzo e controllo per eccellenza: il consiglio dell'istituzione; l'articolo 4 ne stabilisce la composizione e la durata.
L'articolo 5 riguarda l'organo tecnico e professionale con competenze generali in materia didattica: il collegio dei docenti; sono previste forme di articolazione che ne garantiscano il funzionamento rispetto alle fondamentali competenze di natura disciplinare, di programmazione didattica e di valutazione.


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L'articolo 7 garantisce - ripeto: garantisce - la costituzione di organismi di partecipazione dei genitori e degli studenti lasciando le scelte delle forme e delle modalità al regolamento di istituto; ribadisce inoltre il diritto di riunione e di assemblea per gli studenti, stabilito dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, ed estende tale diritto ai genitori.
L'articolo 8 disciplina la funzione di verifica e di valutazione del collegio dei docenti per l'attività didattica; prevede, altresì, la costituzione di un'apposita commissione per la valutazione dell'efficienza e dell'efficacia del servizio scolastico.
L'articolo 9 stabilisce le modalità di adozione e modifica del regolamento dell'istituzione; si prevede per le decisioni la maggioranza dei componenti dell'organismo. La cosa è ignorata, invece, nel testo della maggioranza ove una qualsiasi maggioranza dei partecipanti alla riunione può assumere decisioni in materia.
L'articolo 10 contiene, infine, le disposizioni abrogative e l'indicazione di una delega per le necessarie modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297.
Queste sono le nostre proposte, nella speranza che ci sia ancora qualche possibilità che il testo della maggioranza recepisca anche il lavoro svolto dalla minoranza nella quale ci sono persone, come ve ne sono nella maggioranza - questo non è da escludersi -, che conoscono profondamente il mondo della scuola e ne apprezzano la vita democratica (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Titti De Simone.

TITTI DE SIMONE, Relatore di minoranza. Signor Presidente, il testo approvato dalla Commissione cultura in materia di organi collegiali, a nostro avviso, peggiora profondamente la normativa vigente. Già la scelta di modificare il titolo del testo base in discussione in Commissione con il titolo «Norme concernenti il governo delle istituzioni scolastiche» evidenzia, a nostro avviso, come, di fatto, si stia tentando di depotenziare il senso e il ruolo che gli organi collegiali hanno avuto in questi anni. Istituiti nel 1974, gli organi collegiali rappresentavano un obiettivo di un movimento che aveva contribuito alla democratizzazione della scuola. Certamente, non saranno stati perfetti e il loro funzionamento nella pratica avrebbe potuto essere migliorato, ma non certo nel senso indicato oggi dalla maggioranza con il testo che si è deciso di sottoporre all'esame dell'Assemblea.
Nelle istituzioni degli organi collegiali si era registrato un passo importante verso la democratizzazione della società e della scuola italiana. I principi di partecipazione e responsabilità, l'uno contraltare dell'altro, rappresentavano una nuova stagione in cui il confronto e la dialettica avrebbero portato le varie componenti della scuola ad esercitare il diritto-dovere democratico di partecipare al governo della cosa pubblica.
Oggi, con questa proposta della maggioranza si devasta profondamente questa concezione democratica. Per tali ragioni, nel corso dei lavori della Commissione, noi abbiamo ritenuto assolutamente inconciliabili le diverse posizioni espresse nella discussione sulle varie proposte di legge e, quindi, fin dall'inizio, abbiamo considerato che, viste queste filosofie così opposte, non si potesse arrivare alla definizione di un testo unico. Per questi motivi, noi riproporremo nella discussione di domani in Assemblea una nostra proposta di legge alternativa.
Nella proposta della maggioranza la scuola diventa a tutti gli effetti un'azienda e, come tutte le aziende, ha un padrone, che è il dirigente scolastico, con una concezione che mortifica profondamente tutte le altre componenti. Il dirigente scolastico assume su di sé tutti i poteri, ed è a sua volta ricattabile nel suo lavoro dal Governo centrale, dal punto di vista del posto di lavoro. Vi è un consiglio di scuola che non è altro che un consiglio di amministrazione, il quale, su proposta del dirigente scolastico, ha il compito di decidere i criteri per la


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partecipazione degli studenti e delle famiglie alle attività della scuola. Non vi è una rappresentanza di tutte le componenti della scuola, perché nel consiglio della scuola manca il personale ATA.
Nonostante il consistente movimento che si sta opponendo a una interpretazione della scuola dell'infanzia come istituzione assistenzialistica e priva di funzioni educative, nel testo del relatore si propone nuovamente la dizione di scuola materna. Abbiamo un dirigente scolastico che presiede tutto ciò che c'è da presiedere nella scuola, e addirittura si prevede anche l'esclusione di alcuni soggetti che vivono la scuola, a fronte dell'introduzione di soggetti esterni nel Consiglio della scuola, come il rappresentante dell'ente tenuto alla fornitura dei locali. C'è una iperrappresentanza dei genitori, che noi contestiamo profondamente, laddove nella scuola superiore diventa maggioritaria rispetto a quella degli studenti.
Il testo che noi intendiamo presentare in alternativa a quello del relatore per la maggioranza - che altro non è che la nostra proposta di legge - si pone l'obiettivo di disciplinare le modalità e l'organizzazione del governo delle istituzioni scolastiche al fine di garantire la gestione democratica e collegiale dell'autonomia delle istituzioni scolastiche e la libertà di insegnamento: a nostro avviso, quest'ultima nel testo della maggioranza può essere pericolosamente attaccata con la nascita di figure ambigue e, quindi, pericolose, come quella del garante dell'utenza. Al contrario, la nostra proposta si ispira ai principi di democrazia, di partecipazione e di trasparenza, e valorizza la partecipazione di tutte le realtà che contribuiscono a formare l'articolato mondo della scuola. In un momento in cui la scuola è sottoposta a continui e ripetuti interventi di controriforma che, oltre a generare confusione e incertezze, la spingono verso un aziendalismo che non condividiamo, noi intendiamo rilanciare una scuola finalizzata allo sviluppo della persona.
È necessario rilanciare l'unitarietà del sistema scolastico nazionale e la salvaguardia di tutte le scuole, in ogni luogo e di ogni ordine, e ricondurre l'autonomia all'autogoverno. L'autonomia, quindi, si deve rispecchiare nelle forme simboliche e organizzative della scuola, nell'idea e nei contenuti di una comunità di autogoverno. Ciò presuppone, fermo restando il carattere nazionale del sistema, una gestione partecipata, plurale e democratica dell'istituzione scolastica, intesa come una funzione fondamentale dello Stato laico e pluralista. Gli organi collegiali rappresentano organismi preziosi, ma negli anni sono stati svuotati di funzioni reali e indeboliti. Crediamo, invece, che sia importante rilanciare la partecipazione e la facoltà decisionale dei soggetti che nella scuola vivono e operano, prevedendo forme di gestione non gerarchica e burocratica anche degli aspetti amministrativi delle scuole.
A nostro avviso, la scuola non può essere equiparata, nel suo funzionamento, ad un'azienda, ad una fabbrica, rendendola subalterna alle esigenze del mercato, anche nella sua organizzazione e nella sua gestione.
Per noi, la scuola è il luogo della conoscenza e della relazione, è uno spazio di cittadinanza che assolve al compito fondamentale di formare il cittadino, uomo o donna.
Gli alunni, sin dalla scuola dell'infanzia, devono imparare a incontrare gli altri e le altre, a decodificarne le modalità comunicative, a confrontarsi con le diversità e le uguaglianze, con i diversi punti di vista e le diverse esigenze dei singoli.
Gli organi collegiali sono, a nostro parere, il luogo dove le componenti delle diverse realtà scolastiche si incontrano, si ascoltano e insieme costruiscono, nella concretezza di ogni singola e specifica situazione, l'istituzione scolastica.
Il testo alternativo che proponiamo si compone di nove articoli e tende, tra l'altro, ad innovare e valorizzare il ruolo di alcuni istituti degli organi collegiali che, invece, nel testo di maggioranza vengono profondamente mortificati. Prime tra tutti, per le scuole superiori, sono l'assemblea degli studenti e l'assemblea dei genitori, che diventano, a tutti gli effetti, organi


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delle istituzioni scolastiche (l'assemblea degli studenti e dei genitori quali parti rilevanti della vita e della gestione democratica e collegiale della scuola).
All'articolo 1 si definiscono oggetto e finalità della proposta di legge che si ispira ai principi di democrazia e trasparenza per la definizione dei meccanismi di autogoverno delle istituzioni scolastiche.
Con l'articolo 2 si individuano gli organi di autogoverno e le funzioni del dirigente scolastico, che deve comunque agire nel rispetto della libertà di insegnamento e delle competenze degli altri organi collegiali.

PRESIDENTE. Onorevole Titti De Simone, si avvii a concludere.

TITTI DE SIMONE, Relatore di minoranza. Domani esamineremo gli altri articoli, volevo solo rilevare che la I Commissione (Affari costituzionali) ha espresso un parere favorevole con un'osservazione che ha un peso, che spero venga rilevato nel modo giusto dall'Assemblea. Infatti, si viene a toccare un nodo fondamentale relativo ad una esasperazione dell'autonomia che comprime le garanzia di rappresentanza, sostanzialmente mette in atto una regolamentazione disomogenea e potenzialmente arbitraria di questa rappresentanza e istituisce la figura del garante dell'utenza, che rischia di esercitare un'ingerenza profonda nella libertà di insegnamento.
Concludo dicendo che in Commissione abbiamo svolto 60 audizioni e da queste è emerso, in modo molto evidente, che, di fronte a questa vostra proposta di riforma, non vi è il consenso di coloro che nella scuola vivono e operano. Di queste impressioni, di queste considerazioni il Governo e questa maggioranza, ancora una volta, non hanno voluto tenere conto. Noi, invece, pensiamo che sia il caso di opporsi alla vostra controriforma in Parlamento e nella società, perché crediamo, insieme al movimento che si sta mobilitando in queste settimane, che ci sia bisogno di aprire nel nostro paese un nuovo processo, per una scuola democratica laica, per il diritto universale all'istruzione, per la libertà di insegnamento, per una scuola includente e non delle disuguaglianze, come volete voi (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

VALENTINA APREA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Volpini. Ne ha facoltà.

DOMENICO VOLPINI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, il provvedimento di legge in discussione costituisce una delle pietre miliari della riforma della scuola. Si tratta degli organismi collegiali di governo dell'istituto scolastico che, in virtù dell'articolo 21 della legge n. 59 del 1997, è divenuto istituto scolastico autonomo.
L'autonomia conferita dalla legge non è solo funzionale, ma istituzionale. Tale autonomia è sia organizzativa sia didattica. Essa si realizza nella distinzione delle funzioni e nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa delle famiglie e del diritto ad apprendere degli studenti.
L'autonomia organizzativa e didattica si attua nel rispetto degli obiettivi del sistema nazionale di istruzione e degli standard di livello nazionale (comma 7 della citata legge) posti dal ministro competente.
La legge sull'autonomia scolastica e il decreto del Presidente della Repubblica sul riordino per decentramento del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (decreto 6 novembre 2000, n. 347) hanno avuto, come obiettivi fondamentali, quelli di rafforzare, nell'ambito del sistema scolastico nazionale, i rapporti degli istituti scolastici con le comunità locali e la realtà territoriale e di svincolare i singoli istituti autonomi dall'invadenza e dalla pesantezza dell'intromissione dell'autoritarismo


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centrale che, in passato, si sostanziava in migliaia di circolari ministeriali che giungevano a regolamentare le minime attività scolastiche.
In conclusione, la filosofia che sottostà alla riforma attribuisce al ministro e ai suoi organi derivati le funzioni di coordinamento generale del sistema nazionale, di indicarne gli obiettivi e gli standard generali, di attuare la valutazione nazionale in modo da assicurare la rispondenza dell'istruzione pubblica ai valori della Costituzione e di sostanziare il valore legale del titolo di studio, lasciando in tale quadro generale agli istituti scolastici l'autonomia organizzativa e didattica - va ribadito - nella distinzione dei diritti costituzionali delle funzioni e dei ruoli.
Il provvedimento oggi in discussione - il provvedimento della maggioranza -, in piena contraddizione con tale spirito della riforma, annulla l'autonomia e stabilisce un centralismo assoluto. Il processo di controriforma viene attuato in due tempi: con il contratto della dirigenza scolastica che prevede la licenziabilità del dirigente scolastico da parte del dirigente scolastico regionale; con la concentrazione, in base al principio della unicità della responsabilità, nella persona del dirigente scolastico del coordinamento e del controllo sia delle funzioni di indirizzo sia di quelle di gestione, con lo svuotamento di quelle di controllo interno, mediante il meccanismo inadeguato per la designazione del garante dell'utenza e del coordinamento del nucleo di valutazione di istituto che li rende inefficaci entrambi.
In pratica, si viene ad avere un dirigente scolastico (che è anche presidente del consiglio della scuola, del collegio dei docenti, nonché organo unico di gestione) che è anima e corpo nelle mani del dirigente regionale il quale, appellandosi al giudizio di inefficienza, lo può licenziare quando vuole e, soprattutto, quando il ministro, dal quale egli stesso è nominato e che gli può revocare la nomina ad libitum, ne esprima il semplice desiderio.
È questo un sistema con dinamiche implicite che lo riconducono ad un centralismo inedito, mai esistito nella scuola della Repubblica italiana (nella quale i vecchi presidi erano di ruolo e non licenziabili se non per gravi reati penali), attuato con buona pace dei diritti delle famiglie, degli studenti, dei docenti e delle comunità locali.
Onorevole Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, fin qui la denuncia del limite fondamentale della proposta di legge di maggioranza, sufficiente da solo a proporne saggiamente l'accantonamento. Tuttavia, il gruppo della Margherita, non volendo essere accusato propagandisticamente di operare soltanto una sterile critica distruttiva, sicuro ovviamente della bocciatura del testo di minoranza, propone al relatore di maggioranza e al Governo alcune modifiche al testo di maggioranza per migliorarlo, tenendo conto anche dei suggerimenti che le 39 associazioni della scuola hanno espresso nelle audizioni in VII Commissione e che, come risulta dalla documentazione depositata in Commissione, ad eccezione dell'Associazione professionale europea formazione (APEF), sono tutte concordi nel bocciare gli elementi portanti del testo di maggioranza e dei cui suggerimenti il Governo e la maggioranza hanno tenuto ben poco conto (basta leggere la documentazione depositata in Commissione ed il testo di legge presentato in Assemblea).
Noi pensiamo che, nel rispetto della distinzione delle funzioni e dei ruoli che ne derivano, il consiglio di istituto debba essere presieduto da un genitore. Esso è organo di indirizzo generale della politica scolastica e come tale va distinto dall'organo di gestione che è costituito dal dirigente scolastico aiutato dal direttore dei servizi generali e amministrativi. Tali ruoli e funzioni in una istituzione educativa democratica, quale la scuola, a differenza di quanto può avvenire nell'azienda, nella quale l'amministratore delegato può assumere in sé tali ruoli e funzioni, vanno tenuti distinti. Altri due gravissimi limiti della proposta di maggioranza risiedono nella delineazione della figura del garante dell'utenza e nella composizione del nucleo di valutazione.


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La costituzione della figura del garante dell'utenza risulta essere palesemente un contentino alle famiglie per aver estromesso il genitore dalla presidenza del consiglio di istituto, andando sia contro la storia degli ultimi trent'anni della scuola italiana sia contro le richieste di tutte le associazioni della scuola udite in VII commissione, ad eccezione della sola APEF.
Noi pensiamo che la famiglia, genitori e studenti, debba essere parte efficiente ed efficace del governo della scuola e, di conseguenza, non aver bisogno di alcun garante. Un garante è necessario solo quando coloro che debbono essere garantiti non sono soggetti attivi decisionali del governo democratico dell'istituzione dalla quale debbono garantiti. La volontà del legislatore, dal testo di maggioranza, risulterebbe essere solo quella di dare un contentino di facciata, senza alcuna efficacia operativa.
Infatti, la designazione meccanicistica, dettata dal comma 4 dell'articolo 5, può vanificare tale figura, se il primo degli eletti, votato come membro di un organo politico quale il consiglio di istituto, non ha le competenze culturali necessarie per svolgere il ruolo del garante. Per dare un minimo di efficacia a tale ruolo, si dovrebbe emendare il testo dicendo che il garante dell'utenza viene nominato dal consiglio di istituto su proposta dei genitori degli studenti membri dello stesso, in modo tale che essi possono scegliere per tale ruolo una persona competente. Ma ciò, ovviamente, risulterebbe di intralcio ad una gestione verticistica e centralistica che connota il nuovo sistema nazionale dell'istruzione voluto dal testo di legge proposto dalla maggioranza.
La volontà di avere una gestione autoritaria libera da lacci e lacciuoli risulta evidente anche da come viene concepito il nucleo di valutazione d'istituto.
Ovviamente le scuole, se vogliono superare il vizio di autoreferenzialità attuale, debbono potere usufruire del servizio di valutazione della propria attività, valutazione ex ante, on going ed ex post di livello sufficientemente valido.
Ma questo servizio, delicato e assolutamente necessario, non può essere offerto che da un organo tecnico scientifico composto di valutatori preparati e coordinato da un tecnico della valutazione.
La proposta di maggioranza prevede invece una rivalutazione, - articolo 9 comma 1 -, composto dal primo degli eletti dei genitori nel consiglio di istituto (organo, come detto, politico, che non richiede alcuna competenza tecnica di valutazione) da un docente (siamo nell'ambito dell'autovalutazione e non della valutazione) e da un esterno (sic), presieduti da un genitore. Non è facilmente comprensibile in base a quali competenze professionali questo nucleo svolga la propria attività valutativa.
Forse si intende un nucleo di autovalutazione? Ma allora vi dovrebbero essere rappresentate tutte le componenti della scuola e comunque dovrebbe essere coordinato da un tecnico della valutazione. Noi proponiamo che il nucleo di valutazione sia composto di tecnici della valutazione esterni all'istituto e coordinati dal più autorevoli di essi. Altrimenti lo si svuota di senso. Ma come detto, a noi sembra che questa eventualità sia consona alla filosofia del testo legislativo di maggioranza. Siamo all'assurdo: se si vuole gestire aziendalisticamente la scuola, almeno si mutui dall'impresa la serietà della valutazione e del monitoraggio delle proprie attività.
Vorrei far notare all'onorevole relatore e al Governo che le critiche costruttive fin qui mosse non sono né di sinistra né di centro né di destra, ma di puro buon senso, che proviene da un'approfondita conoscenza della scuola. Rimarrebbe molto difficile comprendere la loro non accettazione, a meno che essa non sia basata soltanto su una pura volontà di controriforma, che tende a vanificare l'autonomia istituzionale scolastica e a condurre il sistema scolastico ad un centralismo verticistico (mai esistito nella scuola italiana), estromettendo la famiglia e la comunità locale da qualsiasi potere all'interno della scuola.


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Anche il «contentino» dato alla Lega con l'inserimento di un membro del consiglio di istituto, nominato dall'ente tenuto per legge alla fornitura dei locali della scuola, non farà altro che svuotare ulteriormente di senso la maggior parte dei consigli di istituto, in quanto non riusciranno ad essere completati in tempo utile e, perciò, non riusciranno a funzionare. Quando mai le province di Roma, Milano, Torino, Napoli, Palermo riusciranno a nominare le centinaia di loro rappresentanti nei consigli scolastici?
La nostra proposta per rendere efficace tale figura è quella di dare agli enti aventi diritto la facoltà e non l'obbligo di nominarli. In tal modo, gli enti possono liberamente scegliere e non essere oberati e sopraffatti da un obbligo di legge, che imporrebbe loro di creare ex novo uffici ad hoc, con ingenti spese e poca opportunità di successo. E questo a spese loro, in quanto questa proposta di legge non prevede oneri a carico del bilancio dello Stato.
Meraviglia molto che basti un palliativo del genere per far digerire alla Lega il sistema centralistico napoleonico che questa legge produrrà e che andrà, se lasciata inalterata, con legge dello Stato centrale, a creare non un diritto, ma un ulteriore obbligo agli enti locali (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Butti. Ne ha facoltà.

ALESSIO BUTTI. Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, credo che sulla scuola difficilmente individueremo qualche convergenza, anche nel prosieguo della legislatura. Il tono utilizzato dalle colleghe Capitelli e Titti De Simone, ma anche dal collega Volpini, è perentorio. Credo non vi sia spazio per buoni propositi o per una fattiva collaborazione.
Abbiamo sentito parlare di controriforma, ma so che qualche collega dopo aggiungerà un concetto di controriforma visto dal centrodestra. Abbiamo sentito parlare di sistema napoleonico: è evidente che il nostro concetto di scuola è diametralmente opposto al vostro. Riteniamo che, nell'ambito della riforma globale della scuola, non poteva mancare una concreta revisione degli organi collegiali che, peraltro, dall'istituzione dei primi decreti delegati Malfatti - di nome e di fatto - hanno offerto un bilancio assai insoddisfacente.
Dal 1974 ad oggi sono cambiate tante cose, non solo nell'universo scolastico. C'è stata una riforma importante, più volte richiamata, della pubblica amministrazione; è stato introdotto il concetto di autonomia delle scuole, con quel fascino che può riservare, ad esempio, un regolamento adottato da ogni singolo istituto; ma, soprattutto, sono trascorsi quasi trent'anni e occorreva, quindi, intervenire sugli strumenti di governo delle istituzioni scolastiche, ridefinendo gli organi collegiali, in modo coerente rispetto ai nuovi assetti autonomistici delle istituzioni stesse.
Sulla riforma degli organi collegiali, il gruppo di Alleanza nazionale - dateci atto di questo - con la collega Angela Napoli, prima firmataria della proposta di legge n. 774, ha manifestato da subito chiarezza nelle idee, anticipando, peraltro, anche qualche altro gruppo parlamentare. Forse, questa proposta di legge era addirittura un'eredità della passata legislatura. La presentazione di tale proposta di legge era un chiaro segnale - ovviamente, di natura politica - che bene esprimeva la sensibilità della destra politica in materia di organi collegiali e, più in generale, di scuola. Un segnale immediatamente colto dal presidente della Commissione, onorevole Adornato, del quale, successivamente, dopo un'attenta valutazione tecnica e politica, ho sottoscritto la proposta n. 2010, divenuta in seguito il testo ufficiale della maggioranza.
La filosofia con cui abbiamo inteso lavorare attorno alla riforma degli organi collegiali è molto chiara. Ci sembrava necessario evitare la conflittualità, registratesi, alcune volte, tra i vari organi che, a causa di un'ambiguità di fondo sulla funzione esercitata, si sovrapponevano tra


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loro. Ritenevamo indispensabile, inoltre, un maggiore e più proficuo raccordo con il territorio e con la comunità civile che su esso interagisce. Ci interessava anche focalizzare e chiarire concetti a volte inflazionati o male interpretati, quali, ad esempio, la partecipazione di tutti gli attori protagonisti alla vita della scuola e le responsabilità relative alla gestione tecnico-amministrativa e all'organizzazione, anche didattica, di ogni singolo istituto. Ambivamo a scardinare o a scassare - quest'ultimo termine piace moltissimo al collega Bressa; ce lo ha ricordato, ripetutamente, la scorsa settimana, durante il dibattito sul conflitto di interessi ma, in ogni caso, utilizziamo il termine scardinare che suona meglio - in modo definitivo quel formalismo procedurale e quell'insopportabile lentezza burocratica che spesso mortifica anche la professionalità dei docenti, oltre che la volontà partecipativa delle famiglie, ed il protagonismo degli studenti. Anche a noi interessa rendere protagonisti gli studenti della scuola, che vivono in prima persona. A questo riguardo, pur apprezzando gli sforzi contenuti nell'articolo 5 del testo della Commissione, per realizzare la più ampia rappresentatività degli insegnanti, ci sembra che qualche miglioramento - lo avevo già anticipato - sia ancora possibile. Al riguardo, auspichiamo, ad esempio, che al Senato si possa trovare una definitiva soluzione di questa delicata vicenda; parlo, ovviamente, di numeri, di schemi (spesso sembrava di essere davanti ad un campo di calcio quando si parlava di 3, 3, 2 e di 4, 4, 2, o di altro).
Riteniamo peraltro importante realizzare una forma di coinvolgimento anche del personale ATA, almeno nella definizione del bilancio che più direttamente può riguardare la loro attività; il personale svolge ovviamente un ruolo non marginale nella scuola italiana e spesso è trascurato.
Ho parlato di formalismo e di lentezza, difetti che la riforma del 1974 non ha superato, dando adito al centralismo statale. I poteri assegnati agli organi collegiali sono stati, di fatto, annacquati e vanificati da un'eccessiva presenza dello Stato e dalla limitazione delle risorse, ovviamente anche sotto il profilo economico. Questo fatto oggettivo ha allontanato, ad esempio, i genitori, le famiglie, dalla vita scolastica; ne ha affievolito la partecipazione, mortificandone il significato reale del termine. Vogliamo essere onesti fino in fondo: una delle scommesse - lo ripeto - una delle scommesse di questa legge risiede proprio nel tentativo che molti di noi - non tutti -, anche se con sfumature diverse, ritengono indispensabile fare, ossia riportare le famiglie nella vita scolastica. Sappiamo che sarà un'impresa difficile evidentemente, ma almeno, tentiamo! Tali famiglie, a nostro avviso, rappresentano pienamente, insieme agli studenti, l'utenza del sistema scolastico. Ha detto bene qualcuno, durante i lavori della Commissione (non ricordo se fosse il presidente Adornato): per noi il concetto di utenza coincide con quello di cittadinanza che usufruisce di un servizio, e quello scolastico, evidentemente è un servizio. Possiamo definire i genitori utenti indiretti di un servizio.
Da tale consapevolezza, ne consegue la difesa del ruolo del genitore alla guida del nucleo di valutazione del funzionamento dell'istituto, un nucleo che - l'abbiamo ribadito più volte, anche in Commissione - non può, e non deve, interferire nelle scelte didattiche del singolo docente e del collegio dei docenti.
Sempre durante il dibattito in Commissione, sono emerse le opinioni dei singoli gruppi politici sulla riforma della scuola, sul concetto di didattica, di partecipazione, anche di coinvolgimento del tessuto sociale alla vita stessa. Ma, non è una novità - e lo abbiamo riscontrato anche questa sera -, le opinioni tra il centrodestra ed il centrosinistra differiscono nettamente. Sarebbe assurdo e preoccupante il contrario.
Dal nostro punto di vista, la scuola rappresenta - lasciatemi passare il termine; se volete, lo possiamo virgolettare - la seconda «agenzia» educativa e formativa, perché il ruolo fondamentale, nell'educazione e nella formazione del giovane, per noi, in modo particolare per Alleanza nazionale, deve essere svolto dalla famiglia. A tale riguardo, le pressioni


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del gruppo che rappresento sono state argomentate ripetutamente: la famiglia non può e non deve rimanere estranea alla vita della scuola.
La scuola cresce, educa, forma gli studenti ad immagine e somiglianza di chi governa, secondo l'impronta del sistema (e a noi, ovviamente, non garba il vostro sistema, allo stesso modo in cui a voi, altrettanto ovviamente, non garba il nostro); la scuola forma la società di domani secondo didattiche e programmi che vengono decisi a livello politico. Quando ero studente, già attivo politicamente, comprendevo perfettamente il motivo per il quale la Democrazia cristiana dei tempi d'oro non mollasse mai, nonostante decine e decine di rimpasti di Governo, due ministeri determinanti: quello dell'interno, per il controllo del territorio, e quello della pubblica istruzione, per il controllo - come si diceva all'epoca, adoperando un termine di sapore orwelliano - delle intelligenze. Noi del centrodestra non vogliamo controllare le intelligenze, ma abbiamo idee chiare sull'educazione e sulla formazione dei giovani.
Governare il mondo della scuola è molto importante e, avendolo capito da tempo, non mi ero fatto soverchie illusioni - né me le potevo fare ascoltando il dibattito di questa sera - sulla possibilità di addivenire alla votazione di un unico testo, magari accompagnato da un'unica relazione: troppo distanti erano e sono, infatti, le posizioni in campo e troppo evidente è la consapevolezza della posta in gioco. Del resto, non ho creduto neanche all'ipotesi, più volte prospettata anche dal ministro Moratti, di arrivare ad un testo il più possibile condiviso; non è stato possibile: vi è stata buona volontà in tal senso, ma tale possibilità era irrealizzabile in concreto. L'importanza del tema era nota - l'ha ricordato la relatrice - tanto ai partiti di maggioranza quanto a quelli dell'opposizione, i quali hanno chiesto, difatti, l'inserimento delle loro proposte di legge nel programma dei lavori dell'Assemblea (nella cosiddetta quota protetta).
Abbiamo affrontato questioni importanti in Commissione e nel Comitato ristretto (mi spiace che non sia più presente l'onorevole Volpini): dal ruolo del dirigente scolastico alla presidenza del consiglio di istituto; dal nome da attribuire al nuovo consiglio (CDA, forse troppo aziendalistico come termine, oppure consiglio della scuola) al rapporto sul patto educativo tra famiglie e docente; dalla consistenza e composizione del consiglio, alla composizione del nucleo di valutazione e alla presenza, come dicevo anche poco fa, del personale ATA.
L'auspicio era proprio quello di approvare un testo che fosse il più possibile condiviso, ma anche su ciò non abbiamo mai nutrito eccessive speranze. In Commissione, abbiamo espresso valutazioni diverse anche su un concetto (non solo all'apparenza) elementare, semplice e condivisibile quale quello della partecipazione responsabile, che collegasse le funzioni svolte a precise responsabilità. Non abbiamo trovato l'accordo neanche su questo!
Abbiamo nuovamente marcato le differenze discutendo e votando un emendamento con il quale i Democratici di sinistra-l'Ulivo (se non erro, ne era presentatrice la collega Sasso) proponevano la soppressione del patto educativo tra famiglie e docenti. Ma potrà la famiglia partecipare all'educazione del figlio concordandone le modalità con i docenti? Potrà sperare la famiglia di rendere visibile la propria traccia educativa e non solo di rintracciare quella del docente? Questa è libertà! Questo è anche l'ennesimo baratro culturale tra centrodestra e centrosinistra!
Il vero pluralismo culturale è, probabilmente, il nostro. Non bisogna dimenticare che il libro di testo non è il Vangelo - l'abbiamo sostenuto nelle nostre battaglie scolastiche studentesche - e che i docenti, spesso politicizzati, almeno in passato, quanto lo erano i libri di testo, non sono gli unici depositari della verità. Quanti giovani hanno visto formati la propria cultura, le proprie idee e il proprio carattere subendo l'influenza dell'insegnante? Tantissimi!
Attenzione, questo non significa svilire il ruolo dei docenti, anzi significa richiamarli


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ulteriormente alle loro responsabilità e al loro equilibrio. E vado alla conclusione. Il testo all'esame della Camera è frutto, dal mio punto di vista, di un'intelligente mediazione tra i ruoli e tra le componenti che vivono direttamente la scuola. Ha un buon profilo, è portatore certamente di una semplificazione a lungo attesa, può esser ulteriormente perfezionabile rispetto a qualche equilibrio numerico e conclude un intenso lavoro del Comitato ristretto, ben coordinato dal relatore... scusate, dalla relatrice (così anticipiamo anche i contenuti del dibattito relativo all'articolo 51 della Costituzione)...

GIOVANNA BIANCHI CLERICI, Relatore per la maggioranza. Relatore! Sono per il maschile.

ALESSIO BUTTI. Comunque relatore, relatrice, è lo stesso. Inoltre, le numerose audizioni svolte in Commissione ci hanno consentito di approfondire ulteriormente la conoscenza in materia. Dall'associazione dei docenti a quelle dei genitori, dagli studenti agli enti locali, non abbiamo certamente lesinato né energia né buona volontà. Ecco, nonostante la mole di lavoro svolto, o forse proprio per questo, le posizioni espresse dal centrodestra e dal centrosinistra appaiono inconciliabili. Mi auguro almeno che il dibattito nei prossimi giorni possa svolgersi serenamente, anche perché stiamo ragionando, ed è un fatto importante, su un progetto di iniziativa parlamentare e non governativa (Applausi del sottosegretario Aprea).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Grignaffini. Ne ha facoltà.

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Signor Presidente, confesso che anch'io, soprattutto dopo l'intervento del collega Butti, sono molto contenta dell'esito che ha preso la nostra discussione in Commissione. Infatti, noi eravamo partiti dall'esigenza condivisa di muovere un profondo riordino dei sistemi di governo della scuola, visto che gli organismi previsti nel 1974, pur avendo sperimentato una sere di opzioni positive, avevano cominciato a manifestare tutta la loro debolezza e, visto che il processo di autonomia, e ancor di più la costituzionalizzazione dell'autonomia, ponevano nuove questioni e nuove domande. Questa esigenza condivisa ha indotto noi forze dell'opposizione - voglio qui ricordarlo - a chiedere la calendarizzazione di questo provvedimento; ne do atto al presidente della Commissione Adornato. Grazie a questa richiesta abbiamo rotto una consuetudine, che ormai caratterizza i comportamenti governativi, non li chiamo parlamentari, della maggioranza, cioè quella di procedere per decreti e per deleghe, quella di sottrarre il dibattito al Parlamento, quella di sottrarre il dibattito alle forze sociali.
Abbiamo discusso, ci siamo confrontati, abbiamo ascoltato circa 50 tra associazioni, sindacati, operatori del mondo della scuola, abbiamo fatto - intendo la Commissione - quello che questo Governo non si è sognato di fare mai negli otto mesi di governo della cosa pubblica. Abbiamo cioè richiamato il Governo ad un elementare principio di democrazia, quella stessa democrazia che vorremmo richiamare anche all'interno del mondo della scuola. È vero, infatti, che, al di là di queste esigenze condivise, al di là delle logiche dei numeri, dei nomi, dei consigli di amministrazione, di altre astruserie - penso al garante dell'utenza (ci arriverò dopo) - quello che è emerso da questa discussione, ed è emerso in modo anche molto evidente in tutti gli interventi che mi hanno preceduto, è che di fronte alla modalità di definizione degli organismi di governo delle istituzioni scolastiche ci troviamo di fronte a due diversi modelli, due idee di democrazia, di scuola, di società. In specifico su questo argomento - sui temi più generali mi soffermerò dopo brevemente - credo che una frase della relatrice, peraltro del tutto coerente e condivisibile nella sua ricostruzione storica di questo percorso, possa essere riassunta così.
La relatrice ha detto: che con il 1974 la sinistra ha voluto la partecipazione, quel


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modello è fallito, ora vi verrà data l'efficienza. Mi scuso della forzatura ma è la retorica del discorso parlamentare.

GIOVANNA BIANCHI CLERICI, Relatore per la maggioranza. Molto forzata!

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Il problema è che - al di là dell'inefficienza del ministro Moratti già acclarata con l'avvio dell'anno scolastico (tutto era improntato all'efficienza e, in realtà, si è dimostrato un vero e proprio boomerang che si è catapultato sulle fragili membra della scuola) - l'idea ed il modello di efficienza che proponete sono legati all'idea di un governo monocratico, aziendale, di un comando che pensa di poter fare a meno di ciò che ormai anche le aziende chiamano la cooperazione comunicativa (perché anche l'azienda si è evoluta, volevo ricordarlo ai colleghi della maggioranza ed alla rappresentante del Governo). Scegliete sempre ed unicamente la semplificazione del percorso democratico: laddove la democrazia è difficile scegliete le scorciatoie e dunque il dirigente scolastico diviene la persona in grado di assolvere a tutti i compiti ed a tutte le funzioni; la partecipazione diviene un elemento di disturbo e quindi viene ridotta a funzione puramente consultiva.
Ma, come dicevo prima, c'è un'altra teoria, sempre finalizzata al buon risultato dell'azienda, che si chiama ancora efficientismo ma si chiama anche cooperazione comunicativa o cooprogettazione (come ha più volte ribadito nel suo intervento la collega Capitelli), secondo la quale la democrazia ed il successo (il risultato) sono entrambi da perseguire. Ciò, però, io credo sia molto meglio espresso nella formulazione del nostro testo, finalizzata a realizzare una democrazia decidente capace di superare i vecchi impasse dell'assemblearismo fine a se stesso, ma capace anche di accogliere e far propria tutta la capacità di cooperazione, progetto e partecipazione di tutti gli attori del mondo della scuola.
Dunque ciò che voi avete seguito nella vostra proposta di legge è un rito abbreviato, che non a caso - è già stato detto - rimette in campo un neocentralismo legato, cosa ancora più grave, ad un ruolo non dello Stato burocratico accentratore, oggetto di tante vostre battaglie verbali, ma che rimette il sistema di governo delle istituzioni scolastiche in capo al Governo, al Governo! Questo è un dato inaudito e noi che ci siamo occupati, sempre e comunque della pubblica siamo stati accusati di statalismo!
Non so cosa dire di questa nuova configurazione che voi proponete, a vari livelli, ma che è esplicita anche in questo provvedimento, secondo la quale il sistema scolastico (lo pensate anche per la magistratura e dunque non c'è niente di nuovo), anziché essere pensato attraverso le forme e le procedure dell'autonomia, dell'autogoverno e della capacità di mettere in campo una funzione pubblica, da voi è pensato come direttamente dipendente da una azione e da un comando del Governo.
Inoltre, questa proposta di legge è, in realtà, un semplice tassello di una più generale concezione della scuola e della società che emerge con tutti i provvedimenti che questo Governo ha messo in campo.
Si tratta di un complesso di provvedimenti che voglio qui brevemente ricordare: diminuzione delle risorse, cambiamento nelle forme di reclutamento dei docenti con l'apertura ai docenti provenienti dalle scuole private, revisione degli esami, corsia privilegiata, unico accantonamento della legge finanziaria per gli insegnanti di religione, riduzione dell'organico funzionale e stretta commisurazione al numero degli alunni, abbassamento dell'offerta formativa, norme che riguardano la contrattazione praticamente dettate tramite legge anziché attraverso il loro naturale strumento (per fortuna la mobilitazione dell'ultimo mese ha fatto rientrare, appunto attraverso il contratto siglato dai sindacati, questo vero e proprio obbrobrio che comunque avevate messo in legge); ed ancora la riforma, o controriforma, Moratti, con la vera e propria abolizione dell'obbligo scolastico formativo, la cancellazione di fatto - con legge


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ordinaria - dell'articolo 34 della Costituzione, l'abbassamento degli anni nella scuola dell'infanzia (con quel pasticcio che trasforma gli insegnanti in semplici custodi dei ragazzi), il taglio al tempo pieno, i progetti ridotti sulla qualità dell'offerta formativa, la previsione di veri e propri contratti d'opera, l'esternalizzazione di una serie di offerte (dalla lingua straniera alle discipline non verbali), la canalizzazione precoce; insomma, si potrebbe continuare a lungo.
Tutti questi provvedimenti - quello di cui stiamo discutendo rappresenta un tassello importante di un disegno complessivo - mostrano quale tipo di sguardo miope stia caratterizzando l'azione del Governo, uno sguardo miope che riguarda innanzitutto la restrizione dell'offerta di formazione obbligatoria e gratuita. Nel disegno complessivo che tutti i provvedimenti che ho elencato contribuiscono a delineare (essi, infatti, definiscono un vero e proprio sistema), state mettendo in campo una forte distinzione tra due sistemi formativi, uno dell'eccellenza ed uno della sussistenza. Si tratta di uno sguardo miope perché è lo stesso di quelle imprese che pensano al profitto come riduzione dei costi, e cioè ad un'efficienza immediata, e non come capacità di garantire una migliore, diffusa ed universale qualità di massa.
Attenzione però, perché tutte le indagini, anche quelle dell'ISTAT sui livelli della formazione nel nostro paese e nei paesi dell'Unione europea, indicano come incentivare lo sviluppo dell'eccellenza e garantire una qualità di massa nella formazione siano, oggi, due poli che non possono essere scissi. Essi vanno affrontati simultaneamente perché in una società orizzontale e molecolare la creazione di percorsi di eccellenza è legata strettamente allo sviluppo di un'offerta formativa di base di qualità. In questo senso vi è un principio di uguaglianza e di crescita del sistema paese da difendere; vi è una concertazione, intesa come promozione della qualità del tessuto sociale, da mettere in campo. Anche in questo caso voi dividete il paese in due e siete così miopi da non accorgervi che i costi sociali ed economici delle vostre operazioni sono molto superiori alla loro resa. In questo senso la nostra preoccupazione è molto forte, perché le vostre controriforme costeranno all'Italia ed al suo futuro, costeranno alla giustizia sociale, costeranno alla libertà.
Vorrei soffermarmi ora, brevemente, sulle questioni che riguardano più da vicino il provvedimento che abbiamo di fronte. Innanzitutto, vorrei ribadire il concetto che avevo già espresso: attraverso questo provvedimento in qualche modo viene snaturato il principio stesso dell'autonomia che costituisce ormai un dato assunto e fatto proprio dalla nostra stessa Costituzione.
Voi togliete autonomia quando vi rifiutate di definire i principi generali che consentano all'autonomia stessa di essere esercizio effettivo ed efficace. Voi limitate l'autonomia quando attribuite tutte le funzioni al dirigente scolastico, ricattabile - come ricordavo prima - e direttamente dipendente dal Governo (e sottolineo dipendente dal Governo e non servitore dello Stato), togliendo autonomia e capacità di progettazione e di condivisione. Come dicevo, limitando l'autonomia, realizzate un doppio processo che riguarda la necessità di rimettere in capo al Governo la gestione e il controllo sulla scuola: questa, onorevole Butti, è gestione e controllo sulla scuola.
Potrei aggiungere anche altri elementi che, come tutti i sintomi, definiscono la malattia che sta attraversando questa maggioranza. La remissione in capo al Governo del controllo e della gestione della scuola è evidenziata anche dalle opinioni sui libri di testo espresse dal presidente della regione Lazio Storace e dal fatto che il collega qui presente si è inventato un telefono per la denuncia degli insegnanti all'interno della scuola. È la stessa idea padronale e di controllo, idea che mina e lede fondamentalmente il principio dell'autonomia ribadito dalla Costituzione.
Dall'altra parte, però, con questa operazione, riconsegnate ai privati un modello


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di qualità e di eccellenza, svuotando il sistema della scuola pubblica. Da una parte, si svuota la scuola pubblica e la si mette alle dirette dipendenze del Governo; dall'altra, si costruisce una scuola di qualità e di eccellenza per pochi che però, proprio per ciò che ho detto prima, diventa inefficace anche da un punto di vista strategico. Dunque vi sono due Italie: una per pochi e molte briciole per molti. Con le vostre proposte state mettendo in campo la perpetuazione delle divisioni sociali, delle differenze di classe, di ceto e di censo.
Concretamente, anche rispetto alla proposta da voi presentata, voglio soffermarmi da ultimo su alcuni sintomi. Si tratta quasi di una questione nominalistica, ma mi chiedo se le parole non siano le cose e, comunque, penso che le parole stesse tradiscano il pensiero che le muove. È vero che voi avete eliminato l'espressione «consiglio di amministrazione» su sollecitazioni giunte in Commissione; tuttavia, perché non parlate di «istituzioni scolastiche»? Le istituzioni scolastiche rappresentano una nuova configurazione giuridica secondo la quale le singole scuole sono dotate di autonomia e di personalità giuridica. Perché non le chiamate con il loro nome?
Inoltre, parlate di alunni; è vero che la parola «alunni» si trova nella Costituzione e capisco l'importanza di questo termine, ma sono passati degli anni. Rispetto alla Costituzione state tradendo tante cose e magari su questa si poteva anche soprassedere. Gli studenti, che sono gli attori attivi di una comunità di apprendimento, sono anche legati alla definizione della scuola come luogo di una cittadinanza.
La definizione di studente implica un attore portatore di un diritto fondamentale: quello all'apprendimento. Voi, forse, questo modello lo avete poco in mente, non a caso parlate ancora di garante dell'utenza. È vero: la scuola è fondamentalmente un servizio la cui universalità tutti siamo tenuti ad osservare. Tuttavia, questo garante dell'utenza dà proprio l'idea che non esista un modello di comunità partecipante ed implicata direttamente nei processi decisionali costruttivi. Ciò mette in chiaro e rende molto più visibile l'idea di scuola come servizio da prestare nei suoi minimi termini, da ridurre il più possibile - con riduzioni di spese, di personale, di investimento - perché, comunque, del sistema dell'eccellenza si occupano altri soggetti, altre configurazioni.
Dunque, mi pare siano parole che tradiscono la vostra concezione di scuola e di società. Certo, non avete tolto l'accesso: avete tolto l'obbligo, ma non l'accesso. È poca cosa, credo, perché la società di oggi non può più essere solo società dell'accesso. Noi, nella scorsa legislatura, abbiamo posto il problema di una scuola pubblica che non si limiti a porre la questione dell'accesso, ma quella del successo formativo. Abbiamo posto il problema di una scuola pubblica che si pone la questione della partecipazione al processo. Ecco, se vi è un paradigma che attraversa nel profondo la nostra epoca e diventa decisivo per definire anche i livelli di democrazia che la caratterizzano è il paradigma della produzione e del protagonismo. Produzione e protagonismo vogliono dire partecipazione ai processi, partecipazione ai risultati. È questa l'unica garanzia dell'efficacia, che non è certo l'efficienza di cui voi disseminate la vostra proposta di legge (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bellillo. Ne ha facoltà.

KATIA BELLILLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è certo che questa destra ha una visione della democrazia e delle istituzioni - dove l'esercizio democratico dovrebbe svilupparsi - assolutamente alternativa al centrosinistra. Soprattutto, è alternativa all'idea ed alla definizione che in questi cinquant'anni abbiamo dato, in questo paese, alla democrazia repubblicana.
È normale che questo atto sia proposto dalla maggioranza nelle modalità in cui ci è stato proposto. Lo giudico un provvedimento


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molto grave perché - ed è già stato detto - anticipa quella che dobbiamo definire la controriforma Moratti. Inoltre, ci chiarisce, se qualcuno ancora avesse avuto dubbi, anche l'Italia che voi sognate. Infatti, credo che il vostro obiettivo non sia quello di superare la cosiddetta prima Repubblica.
Con questo provvedimento non si torna a prima del 1974 ma, in realtà, la vostra idea è di smantellare la democrazia repubblicana. Magari fosse soltanto l'idea della semplificazione, ma non credo sia così; ritengo ci sia qualcosa di più perché dietro a questa esigenza, cosiddetta efficientista, in realtà, ho quasi la sensazione che vogliate cancellare quell'insieme di regole che definiscono nella garanzia dei diritti di ogni cittadino i presupposti per l'uguaglianza dei cittadini, delle cittadine, degli uomini e delle donne di questo nostro Stato.
Del resto, un'oligarchia economica, come quella che state instaurando, non ha bisogno di cittadini ma di utenti che siano funzionali al mercato e, in realtà, tutto ciò è al centro di ogni vostro interesse: noi partiamo dalle esigenze delle persone, voi mettete al centro le esigenze del mercato. Allora, la Costituzione che sancisce l'uguaglianza di tutti i cittadini e, quindi, i diritti dei cittadini e le opportunità che devono essere garantite dallo Stato agli stessi, naturalmente, sono soltanto un fastidio e, di conseguenza, per la giustizia sociale e per l'uguaglianza non si parte dai diritti.
Il diritto all'istruzione, previsto dagli articoli 33 e 34 della Costruzione, richiede un sistema scolastico delineato per essere luogo di formazione alla cittadinanza, all'agire democratico ed alla capacità di essere protagonisti della vita democratica del proprio paese e, quindi, deve essere anche pensato come luogo di cooperazione fra tutte le componenti scolastiche.
Invece, il mercato non ha bisogno di cittadini, di cooperazione, di educazione e di formazione ma di sudditi ed utenti e, perciò, la scuola deve essere, prima di tutto, luogo di selezione. Una selezione che sta ritornando ad essere elitaria e verticistica e che, naturalmente, non può che prevedere una scuola buona, che formerà quelli che dovrebbero o dovranno essere i futuri dirigenti, e un scuola di avviamento, che sfornerà la manodopera e che, poi, il ministro Maroni, sicuramente, provvederà a che venga licenziata senza nessuna preoccupazione, se non per garantire all'impresa il proprio agio e la propria attività, senza nessun controllo.
Per la vostra scuola non c'è bisogno di partecipazione, di responsabilità, di inclusione e di cooperazione; i giovani non sono i protagonisti, non sono i cittadini di oggi e di domani ma semplicemente utenti - o, forse, lo sono le famiglie - e, comunque, all'interno del modello scolastico che delineate sia le famiglie che gli studenti sono delle comparse. La scuola non è con loro, non è per loro, gli organi di autogoverno non devono avere come obiettivo la valorizzazione della partecipazione, non devono essere informati a criteri di democrazia e di condivisione e, soprattutto, gli studenti non devono essere i protagonisti all'interno degli istituti scolastici e della loro scuola.
Il consiglio della scuola viene trasformato in un mero organo di indirizzo e programmazione. Esso necessita di una regolamentazione da parte dallo Stato solo perché, appunto, le scuole usano le risorse finanziarie statali, altrimenti, probabilmente, non ci sarebbe stato bisogno nemmeno di arrivare a questa legge.
Per quanto riguarda tutto il resto, voi dite che ognuno può decidere come vuole. Ciò significa che, naturalmente, si procede senza dare forza, senso, pregnanza ai concetti fondamentali di partecipazione e di autogoverno.
In tal modo, si svuota anche il regolamento dell'autonomia, che è legge dello Stato e definisce il senso della scuola italiana. Tale regolamento - forse vale la pena di ricordarlo in questo dibattito - fonda la sua forza proprio sulla capacità delle strutture scolastiche e dei soggetti che operano all'interno della scuola di autogovernarsi, di progettarsi, ma tutto ciò all'interno di un sistema di governo della scuola.
Credo che con tale intervento si mini, in qualche modo, questo modello, che era


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stato pensato in modo condiviso: insieme alle famiglie, agli operatori, agli insegnanti ma, soprattutto, agli studenti. Si cerca, dunque, di sminuire tale modello non solo condiviso, ma anche, articolato, aperto e flessibile, capace di scardinare la scuola elitaria e verticistica che avevamo ereditato, ma che voi oggi volete reintrodurre.
Si azzera il percorso aperto con le riforme del centrosinistra e che si è sviluppato - intendo sottolinearlo ulteriormente, in quanto è fondamentale e importante anche per comprendere cosa è accaduto in questi anni nel nostro paese - insieme agli studenti e, soprattutto, con la loro condivisione.
Che fine farà questo sistema di rappresentanza, che, comunque, le leggi che non siete riusciti ancora a cancellare prevedono, dopo l'approvazione di questo provvedimento? La rappresentanza degli studenti attualmente si basa su due canali complementari: la rappresentanza istituzionale, attraverso gli organismi elettivi, e l'associazionismo, come canale di partecipazione e di rappresentanza.
Allora, è importante capire cosa accadrà, perché sappiamo come sia fondamentale garantire la rappresentanza istituzionale che, tuttavia, può funzionare efficacemente solo se supportata dal contributo degli studenti, attraverso le loro associazioni, le loro organizzazioni di riferimento che trovano, appunto, legittimazione e rappresentanza nelle sedi istituzionali.
Che fine farete fare alla Conferenza nazionale dei presidenti delle consulte provinciali degli studenti e, soprattutto, al forum delle associazioni? Vorrei ricordare che, finalmente, dopo trent'anni di lotta degli studenti all'interno della scuola italiana, per la prima volta, attraverso l'istituzione di questi organismi, si è agevolato e istituzionalizzato il dialogo fra il ministro - non i funzionari, non i burocrati - e gli studenti. Vorrei anche ricordare che, per garantire questa autonomia, questa capacità di progettarsi, da parte degli studenti, all'interno della propria scuola, erano stati previsti dei fondi perché si realizzassero i progetti autogestiti dagli studenti, disposti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 567. I famosi 160 miliardi, stanziati negli ultimi quattro anni e utilizzati in parte dagli studenti che voi, già quest'anno, avete dimezzato; e chissà che fine faranno il prossimo anno!
Prevedo già che queste opportunità, che erano state date agli studenti per vivere all'interno delle loro scuole, saranno cancellate.
Vi è poi lo statuto delle studentesse e degli studenti: vorrei ricordarvi che esso riconosce il diritto dello studente a partecipare ai processi decisionali della scuola sia attraverso i canali tradizionali (consiglio di classe, consiglio di istituto) sia attraverso l'utilizzo di pratiche innovative che vedono lo studente coinvolto con pari dignità nelle scelte più importanti della comunità scolastica. Voi state cancellando questa pari dignità perché vi accingete ad approvare un provvedimento che non prevede una presenza paritaria degli studenti all'interno del consiglio.
Per quanto riguarda il personale ATA, presumo che secondo voi questi operatori dovranno lavorare e sottostare agli ordini del capo, del manager, del presidente, del tuttofare: quindi, non sono tenuti in alcuna considerazione.
Ebbene, di fatto abolite il sistema delle assemblee di istituto. È previsto il diritto di assemblea, ma ogni scuola potrà decidere come e, soprattutto, quando tenere le assemblee: ciò significa abolire il sistema delle assemblee di istituto.
Il consiglio sarà presieduto non più da un genitore, bensì da questo preside, presidente d'istituto, presidente del consiglio dei professori: insomma, il padre padrone della scuola. Non so, poi, chi abbia inventato il garante dell'utenza: tale ruolo dovrebbe essere ricoperto dal genitore che abbia ottenuto più voti di preferenza. Sarei curiosa di capire come si configurerà questa nuova funzione: penso che soltanto un'intelligenza particolarmente fantasiosa possa proporre un organismo di questo tipo.
Dunque, di cosa stiamo discutendo? Discutiamo di un fatto molto grave, che ci porta indietro rispetto alla nostra idea di cittadinanza: ci trasformate di nuovo, quasi tutti, in soggetti subalterni da co


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mandare; trasformate gli alunni da soggetti attivi e responsabili, come erano stati pensati nelle riforme portate a termine nei precedenti cinque anni, in utenti, come sostiene qualcuno. Anch'io ho il dubbio che voi li vediate come utenti. La rappresentanza paritetica che gli studenti rivendicano da tanti anni resta un bel sogno; tuttavia, ciò che è più grave è che si snaturano tutte le innovazioni introdotte, che erano finalizzate alla realizzazione di un sistema democratico in cui i diversi soggetti e, in particolare, i giovani si sentissero realmente cittadini di una stessa comunità: gli studenti erano considerati non come utenti destinatari, bensì come soggetti attivi e responsabili in grado di contribuire a delineare il proprio percorso formativo, rendendo effettivo il diritto all'apprendimento e al sapere.
Dunque, che fine farà il corpus di interventi normativi che ha rivoluzionato, ampliandoli e rinnovandoli, gli spazi di partecipazione e di rappresentanza studentesca? Altro che 1974! Ritengo che si vada molto, ma molto più avanti.
Sappiamo già che ci state riservando altre amare sorprese. Lo statuto delle studentesse e degli studenti è pericolosamente minato alla sua base. Avremo sicuramente altre occasioni in quest'aula per discutere le proposte che state elaborando e l'idea che avete in mente per smantellare di fatto la scuola pubblica, ma ci avete detto che il comportamento tornerà ad incidere sul profitto scolastico: in pratica, uno studente potrà essere punito a piacimento del professore, magari perché non ha rispettato i principi fondamentali della nuova scuola Moratti, che dovrà naturalmente favorire la formazione morale e spirituale degli alunni e lo sviluppo della coscienza storica, di appartenenza alla comunità locale, nazionale e alla civiltà europea.
Per quanto potremo, noi Comunisti italiani denunceremo ciò che qui si vorrebbe consumare nel silenzio. Chiediamo che la ministra Moratti convochi la Conferenza nazionale delle consulte provinciali degli studenti...

VALENTINA APREA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Già fatto.

KATIA BELLILLO. ...e il forum delle associazioni per permettere agli studenti di discutere queste vostre proposte.
In conclusione, questo disegno di legge, insieme agli interventi che finora sono stati attuati, definisce la vostra subdola e precisa strategia per distruggere i cardini della scuola statale, favorendo di fatto e senza troppi clamori le scuole private. Non permetteremo che ciò avvenga e naturalmente difenderemo, insieme a tutti gli altri diritti sanciti dalla Costituzione, la scuola di tutti, laica, pubblica e statale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Garagnani. Ne ha facoltà.

FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, signor viceministro, colleghi, il dibattito al quale abbiamo partecipato, anche per gli ultimi interventi che si sono susseguiti, ha evidenziato indubbiamente la distanza abissale che separa il centrodestra dal centrosinistra, non tanto per una differenza di proposte, a parte alcune eccezioni, quanto per una caratterizzazione ideologica che ha marcato tutti gli interventi. Mi sarei aspettato, a parte l'eccezione dell'onorevole Volpini, una volontà costruttiva, soprattutto quella di misurarsi sui contenuti reali del provvedimento approvato dalla Commissione. In realtà, ho assistito a pure declamazioni ideologiche, a toni da crociata: si è parlato di controriforma. Ma quale controriforma! Più che altro, abbiamo assistito ad una rappresentazione da Torquemada, da Inquisizione, da parte dei colleghi della sinistra, che hanno voluto vedere nel provvedimento approvato dalla Commissione - in realtà, un provvedimento appropriato, adeguato alle novità di questi ultimi tempi, che si fa carico di alcune istanze portate avanti dagli organi scolastici e dalla popolazione scolastica tout court - chissà quali reconditi fini perseguiti dal Governo e dalle forze che lo appoggiano.


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Ora, per capire quanto è distante il merito del provvedimento dalle volontà conclamate da questi colleghi dell'opposizione del centrosinistra, che hanno misconosciuto tutto ciò, bisogna dire che bastava seguire attentamente la relazione della collega Bianchi Clerici per rendersi conto e confrontarsi adeguatamente con la finalità ultima di questo provvedimento che è soltanto quella di adeguare uno strumento, che nel passato, pur con molti limiti, ha svolto un ruolo, ad un'epoca che è profondamente cambiata. Invece, nulla di tutto questo. Si è parlato di controriforma; a parte che, a mio modo di vedere, la controfirma ha rappresentato una fase significativa della vita culturale italiana del cinquecento italiano ed europeo, della Chiesa cattolica: Roma è piena di monumenti del barocco; c'è stato un effondersi delle arti e della cultura. Per cui, per quanto mi concerne, non è un termine dispregiativo.
A parte questo, mi sarei aspettato un'analisi spassionata e concreta su come la scuola di oggi debba affrontare un minimo di coinvolgimento delle strutture portanti della medesima, in una società italiana profondamente mutata rispetto al 1974, l'anno caratterizzante della riforma degli organi collegiali; un anno improntato da forti caratterizzazioni e tensioni ideologiche, che presiedettero alla definizione dei decreti delegati e, obiettivamente, li condizionarono. Probabilmente, i legislatori di allora vollero stemperare una tensione palpabile in ogni momento della vita scolastica, proprio attraverso un coinvolgimento e un confronto all'interno della scuola degli organi collegiali.
Oggi è cambiato tutto lo scenario politico culturale che allora fece da sfondo a questi provvedimenti. È cambiato totalmente sia - per fortuna - per una minore radicalizzazione ideologica, per il venire meno delle grandi ideologie, sia anche per la riscoperta del ruolo essenziale di alcune figure istituzionali che allora furono abbondantemente penalizzate. Mi riferisco al ruolo della famiglia, al ruolo del docente per quanto riguarda la libertà del medesimo di insegnare determinate discipline, senza essere asservito a collegi dei docenti più o meno politicizzati, spesso in grado di determinare orientamenti globali non rispondenti, in ultima analisi, alla logica stessa dell'ordinamento scolastico italiano.
Di fronte a tutto questo posso capire la delusione e la nostalgia dei colleghi del centrosinistra che, ovviamente, ricordano i bei tempi andati. Nel 1974, ed ancor prima, questi soviet - uso questo termine -, diffusi in ogni scuola (come oggi) e queste minoranze attive ed ideologizzate, spesso condizionavano l'orientamento di una maggioranza a volte assente e determinavano gli indirizzi delle scuole di ogni ordine e grado, arrivando a condizionare pesantemente quella libertà dei docenti che oggi è stata difesa in modo astruso dalla collega Grignaffini e dalle altre che mi hanno preceduto.
Credo occorra meditare su questo; bisogna essere chiari, ho sentito una Babele di accuse. Si è parlato di autoritarismo, di burocrazia. Ma dov'è questo autoritarismo? Dov'è la burocrazia? Direi, piuttosto, che siamo in presenza di una concezione anarchica della scuola.
Inoltre, da parte dei colleghi della sinistra, si è attaccato il ruolo del dirigente scolastico. La sottosegretaria Aprea è buona testimone per aver vissuto quegli anni - come pure, credo, la collega Bianchi Clerici - in Parlamento. Chi ha istituito la figura del dirigente scolastico? Chi ha verticalizzato la gestione della pubblica istruzione, superando il ruolo e la figura tradizionale del provveditore agli studi e definendo anche un nuovo volto della scuola italiana, almeno per quanto riguarda i soggetti tradizionali ai quali eravamo abituati? È stato il centrosinistra. Non si può allora, in questa sede, con una sorta di schizofrenia scarsamente comprensibile, attaccare questo presunto centralismo, dimenticandosi che sono stati proprio loro a definire questo ordinamento nelle sue linee portanti, che noi cerchiamo di perfezionare e modificare dov'è utile. È chiaro però che, in meno di un anno che siamo al Governo, abbiamo fatto il possibile per cambiare gli indirizzi


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che riteniamo grandemente lesivi dell'autonomia, della natura e dell'identità della scuola italiana.
Questo provvedimento, così come è stato approvato, viene incontro a questo desiderio di novità, in primo luogo nella sua snellezza; la relatrice ha evidenziato, infatti, che questa proposta di legge è costituita da un ristretto nucleo di disposizioni generali. È ovvio che oggi, con la cosiddetta deregulation, con il decentramento dei poteri in materia scolastica alle regioni e agli enti locali, sarebbe un assurdo che lo Stato avocasse a sé una serie di competenze generalizzate, anche per quanto riguarda la gestione interna della scuola che, ovviamente, non competono più allo Stato medesimo. Allo Stato, invece - che di questo il provvedimento si fa carico - compete di definire le linee essenziali che regolano il governo delle istituzioni scolastiche; ciò rappresenta un diritto-dovere per lo Stato, tenendo conto, però, che lo stesso non può entrare nella definizione di particolari minimi.
Tuttavia, questo provvedimento, pur nella sua schematicità, non poteva non essere adottato, in presenza di una legge delega al Governo che modifica radicalmente la struttura della scuola italiana. La proposta di legge in esame si giustifica pienamente come naturale compiutezza di quel provvedimento che si fa carico - lo dico una volta per tutte - di definire un modo diverso di porsi della scuola italiana nei confronti dei suoi naturali destinatari e di attuare quel principio di sussidiarietà al quale noi della Casa delle libertà crediamo profondamente; un principio di sussidiarietà che riconosce l'esistenza di istituzioni che preesistono allo Stato e che debbono essere riconosciute per il loro ruolo e per la loro funzione sociale.
In questo contesto come non ribadire, ad esempio, la validità del comma 4 dell'articolo 1 del testo in esame, laddove si fa carico - lo dico alla collega Grignaffini - della libertà di insegnamento di singoli o di gruppi di insegnanti, nell'ambito della libertà di insegnamento. Questo principio, espresso dal comma 4, è importantissimo perché conferma la dignità del singolo insegnante nello svolgere, fino in fondo, la sua professione, eventualmente liberandolo da determinazioni, da costringimenti, di maggioranze all'interno della scuola. Ciò, probabilmente, non rientra nella visione della sinistra, la quale è abituata a ragionare in termini di gruppi, di massa o, se si vuole, di soviet. Quando si fa riferimento alla valorizzazione della funzione docente, si afferma qualcosa che è noto e condiviso da tutti, ma che è scarsamente considerato.
Ribadisco, inoltre, l'applicazione del principio di sussidiarietà, in riferimento alla libertà di scelta dei genitori e al patto educativo tra famiglie e docenti. Posso capire che queste stringate affermazioni diano fastidio alla sinistra, ma la libertà di scelta dei genitori è essenziale - a nostro modo di vedere - per rendere veramente la scuola più partecipata, più determinata nel farsi carico delle realtà più disparate della società italiana, come pure in questo contesto un patto educativo tra famiglie e docenti si giustifica pienamente.
Crediamo certamente nel ruolo del docente, ma non riteniamo che la scuola possa esaurirsi soltanto nella funzione pedagogica dello stesso. Probabilmente la sinistra crede in questa funzione di motore inevitabile, di leadership del docente. Infatti, ho notato con preoccupazione gli accenni negativi, rilevati in questa sede, contro l'enfatizzazione, che tale non è, del ruolo della famiglia e dei genitori.
Crediamo in ciò - lo abbiamo ribadito - ed il ministro se ne è fatto carico perché costituisce novità della scuola italiana l'applicazione orizzontale del principio di sussidiarietà - e insisto su questo tema - che finora è mancata, perché è prevalsa una concezione verticistica e autoritaria, basata sull'intervento dello Stato e delle sue emanazioni periferiche e sul ruolo omnicomprensivo, totale, del docente che prescindeva totalmente dal ruolo minimo di associazioni di genitori, di istituzioni educative non statali presenti sul territorio.
Pertanto, la bontà di questo articolo risiede proprio nell'aver percepito questi elementi di novità, visti con preoccupazione dai colleghi della sinistra, che scaturiscono


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dalla coscienza del popolo italiano ed, in genere, della popolazione scolastica.
È, inoltre, altrettanto significativo il fatto stesso che nell'articolo 6 si definiscano queste norme come cogenti anche per le istituzioni educative paritarie, tenendo conto delle loro specificità ordinamentali. Si tratta, infatti, di un provvedimento che si rivolge all'intero universo delle istituzioni educative; non si limita alla sola scuola statale, ma cerca di contemperare, in un'unica istituzione omnicomprensiva, in un sistema pubblico integrato, le varie realtà educative che lo Stato deve riconoscere per la loro ricchezza, per il loro apporto e per la loro peculiarità.
Non mi soffermo sul ruolo del dirigente scolastico.
Devo ribadire che con questa proposta di legge, in particolare all'articolo 3, dove si stabilisce una valutazione anche del ruolo del dirigente medesimo, sulla base dei risultati del servizio, si stabilisce un principio nuovo: sono finite le rendite di posizione che hanno caratterizzato per troppo tempo la scuola italiana. Accanto ad insegnanti validissimi, meritevoli di ogni considerazione, abbiamo avuto, in questi anni, insegnanti assolutamente insufficienti rispetto al compito per il quale lo Stato li retribuiva; analogo discorso deve farsi per i presidi e i dirigenti scolastici assolutamente non idonei al ruolo che dovevano affrontare.
Uno dei problemi di fondo della scuola italiana è proprio quello di recuperare un principio di meritocrazia, di graduazione dei diritti e dei doveri, di riconoscimento anche di necessarie sanzioni nei confronti di chi approfitta del suo ruolo per fare propaganda politica o per non fare assolutamente nulla. Questo lo dobbiamo ribadire anche in questa sede con forza.
Allo stesso modo, credo che il fatto che le scelte didattiche siano definite dal collegio dei docenti, all'articolo 4, rappresenti un altro principio naturale che smentisce la propaganda che è stata svolta in questa sede. Nessuno vuole insegnare al docente ciò che vuole insegnare, a patto che il docente sia preparato e sappia misurarsi con le nuove attese dell'opinione pubblica italiana, con gli strumenti di valutazione che sono posti nel suo interesse. Credo che alla fine la valutazione dei risultati e del docente riconosca anche il ruolo, la ricchezza, il prestigio e la professionalità del docente medesimo andando a vantaggio della collettività. Nessuno, lo ripeto, può oggi beneficiare di rendite di posizione!
Si tratta di uno dei principi fondamentali contenuti nella legge delega: il gruppo di Forza Italia ha appoggiato con tenacia tale proposta di legge, basandosi anche sul contributo offerto nella precedente legislatura dai nostri colleghi, prima fra tutte dal sottosegretario Aprea e, in questa legislatura, dal presidente Adornato, nonché di altri colleghi.
Crediamo realmente, e mi avvio alla conclusione, che questa proposta di legge definisca in termini conclusivi il percorso avviato dalla legge delega ed apra un sentiero nuovo per la scuola italiana: si libera da alcune scorie ideologiche, cerca di far fronte a determinati rischi ed attese dell'opinione pubblica e soprattutto cerca di affrontare in termini nuovi una maggiore responsabilizzazione degli studenti e delle famiglie nell'attività della scuola, non demandando soltanto agli insegnanti ogni tipo di facoltà decisionale, ma valorizzando gli insegnanti medesimi accanto alle famiglie. Non si lasciano quindi questi ultimi in uno splendido isolamento che molto spesso si riduce a forme di autocommiserazione, autoesaltazione o di isolamento vero e proprio; si cerca di favorire, all'interno delle scuole, l'emergere delle varie componenti, perché la scuola non è e non può essere proprietà degli insegnanti, delle famiglie o degli studenti. Si tratta di un unicum e proprio perché tale deve vedere sorgere e ed accentuare al proprio interno diversi talenti e il pluralismo.
Credo di non dover aggiungere altro sia perché il tempo scorre inesorabile sia perché il dibattito ha evidenziato ormai in termini precisi, ad abundantiam, le diverse prese di posizione di fronte ad una accentuata politicizzazione da parte della sinistra che ha rifiutato di vedere, di non


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leggere fra le righe, ciò che realmente questa proposta di legge prevede, rifiutando di misurarsi sui contenuti reali della relazione di maggioranza e sottolineando, ad esempio, il ruolo dei nuclei di valutazione nel funzionamento dell'istituto.
Anche questo è un dato estremamente significativo perché introduce, rispetto a decenni di lassismo imperante nella scuola italiana, nella quale non vi era alcun riconoscimento del merito né valutazione del medesimo, un criterio che rappresenta un aspetto che potrà portare soltanto del bene al profitto degli studi e all'intera scuola italiana. Stesso discorso è legato al riconoscimento del garante dell'utenza: anche in questo caso si tratta di riconoscere nella scuola altri soggetti, altre potenzialità. Si tratta di definire cioè un percorso scolastico che, in termini nuovi, sappia farsi carico delle nuove presenze, oggi più che mai attive, nella realtà sociale. Questo è un punto di fondo.
La bontà del provvedimento, in sostanza, si evidenzia in questo, come per altri provvedimenti, che sono stati anche definiti in termini originali e chiari dal Presidente del Consiglio Berlusconi (e, non a caso, Forza Italia è d'accordo su questo).
Nel provvedimento in discussione, come in altri, noi sappiamo interpretare il nuovo che emerge dalla società italiana. Dobbiamo constatare, però, alla luce anche del dibattito che si è svolto in questa sede, che il centrosinistra rimane tenacemente abbarbicato a ciò che è passato, a ciò che non è più, ad una concezione ideologica che non ha più alcun riscontro non solo nell'ordinamento scolastico italiano, ma nell'ordinamento scolastico europeo.
Questa è la ragione per cui ribadisco il consenso dei deputati del gruppo di Forza Italia su un provvedimento con il quale credo si sia mostrato un notevole coraggio nell'affrontare tali problemi, che urgono e che necessitavano di un'immediata soluzione (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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