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PRESIDENTE. Passiamo alla discussione del seguente documento:
Relazione della Giunta per le autorizzazioni sulla applicabilità dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti del deputato Umberto Bossi (Doc. IV-quater, n. 18).
Ricordo che l'organizzazione dei relativi tempi di esame è stata predisposta a seguito della Conferenza dei presidenti di gruppo di ieri ed è stata pubblicata in calce al calendario (vedi il resoconto stenografico della seduta del 22 gennaio 2002).
La Giunta propone di dichiarare che i fatti per i quali è in corso il procedimento concernono opinioni espresse dal deputato Bossi, nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi del primo comma dell'articolo 68 della Costituzione.
Ha facoltà di parlare il relatore per la maggioranza, onorevole Deodato.
GIOVANNI DEODATO, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con lettera in data 3 novembre 1999 indirizzata al Presidente della Camera dei deputati, l'onorevole Umberto Bossi ha chiesto che la Camera si pronunci in ordine alla insindacabilità, secondo l'articolo 68, primo comma, della Costituzione, dei fatti a lui ascritti in un procedimento penale nel quale egli è imputato «per avere vilipeso la bandiera nazionale pronunziando nel corso della pubblica manifestazione per la festa della Padania, tenutasi presso il Palazzetto dello Sport, la seguente espressione: «il tricolore lo uso soltanto per pulirmi il culo». In Cabiate 25 luglio 1997».
Con sentenza del 23 maggio 2001, il tribunale di Como condannava l'onorevole Bossi alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione con i benefici di legge. Tale
sentenza è stata impugnata ed attualmente il procedimento penale pende davanti alla corte d'appello di Milano.
La Giunta per le autorizzazioni, acquisita la missiva dell'onorevole Bossi datata 18 dicembre 2001, ha esaminato il caso nella seduta del 19 dicembre 2001.
Anzitutto, deve essere rilevato che la sentenza di condanna di primo grado non può e non deve condizionare il giudizio della Camera. Ciò per la semplice ragione che la sentenza, nel caso specifico, non costituisce una pronuncia definitiva, essendo stata impugnata e pendendo il relativo giudizio di appello. Infatti, secondo l'articolo 27 della Costituzione, l'imputato è considerato innocente fino alla condanna definitiva in Cassazione e, cioè, al termine dei tre gradi di giudizio. Inoltre, come è stato già rilevato nella Giunta, la pronuncia della Camera è preclusa solo da una sentenza già passata in giudicato, ma tale ipotesi evidentemente non ricorre nel caso in esame. È poi noto che il giudizio di questa Assemblea, diversamente da quello dell'autorità giudiziaria, non ha ad oggetto l'accertamento di una responsabilità penale. Secondo il dettato costituzionale la deliberazione parlamentare deve verificare esclusivamente la riconducibilità alla prerogativa dell'insindacabilità delle affermazioni rese, al di fuori del Parlamento, da un deputato nell'esercizio delle sue funzioni.
È anche il caso di osservare che nella legislatura precedente lo stesso deputato aveva chiesto l'applicabilità dell'articolo 68 della Costituzione nell'ambito di altri due analoghi procedimenti penali, sempre per i reati di vilipendio alla bandiera nazionale commessi nella stessa epoca e, cioè, nei primi mesi del 1997. In entrambi i casi la Camera ha deliberato all'unanimità, nelle sedute dell'11 e del 12 gennaio 2000, che i fatti ascritti all'onorevole Bossi fossero riconducibili alla prerogativa dell'insindacabilità (si vedano i Documenti IV-quater n. 96 e n. 97). È anche necessario ricordare che, a seguito di queste due deliberazioni, non è stato instaurato innanzi alla Corte costituzionale alcun giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
Nel merito, l'episodio in questione deve essere opportunamente inquadrato nel contesto dell'azione politica svolta all'epoca degli avvenimenti dal partito del quale l'onorevole Bossi era segretario nazionale. Ed è un fatto notorio che nel 1997 la Lega nord si batteva per la secessione del territorio padano dallo Stato centrale, non rinunciando ad iniziative significative nel contesto parlamentare, come, ad esempio, la denominazione del proprio gruppo parlamentare quale «gruppo Lega nord per l'indipendenza della Padania». Questa denominazione è stata, quindi, ufficializzata sia alla Camera sia al Senato dietro formale autorizzazione dei rispettivi Presidenti.
In particolare, i deputati leghisti avversarono con determinazione una proposta di legge - divenuta poi la legge 5 febbraio 1998, n. 22 - volta ad introdurre l'obbligo di esposizione negli edifici pubblici delle bandiere italiana e dell'Unione europea. Gli interventi in Commissione, sia alla Camera sia al Senato, di vari parlamentari della Lega, in particolare quelli degli onorevoli Fontan e Chincarini del 2 e del 15 luglio 1997, parlarono di «attacco concentrico» e di prevaricazione delle autonomie regionali e locali. Né mancò il ricorso a forme di ostruzionismo, culminate nella presentazione di svariate decine di emendamenti, i quali spesso presentavano carattere ironico e un contenuto talvolta non meno offensivo di quello dell'espressione per la quale oggi la Camera è chiamata a pronunciarsi. Eppure mai si è dubitato della compatibilità di tali atti con la normale dialettica politica e parlamentare.
Al riguardo, è utile osservare che lo stesso tribunale di Como, nel passaggio iniziale della sentenza, quando, cioè, non viene ancora accertata la responsabilità penale dell'imputato, ha testualmente affermato che «nel corso del comizio...» conclusivo di una festa di partito «...il senatore Bossi ha reitirato le espressioni incriminate... inserendole nell'ambito della
critica alla proposta di legge di esporre su tutti gli edifici pubblici maggiormente rappresentativi l'emblema nazionale».
Sul piano sostanziale, quindi, può ben dirsi che le affermazioni, certamente forti e sconvenienti, pronunciate dall'onorevole Bossi possono essere riconducibili ad una sua opinione politica, poiché è indubbio che in quel momento il tricolore rappresentava per l'onorevole Bossi il simbolo dello Stato centralista ed oppressore delle formazioni locali e costituiva l'emblema dell'obiettivo politico di una battaglia secessionista.
Per completezza, è il caso di precisare che, proprio in funzione dell'indispensabile diritto di critica e di denuncia costituzionalmente riconosciuto al parlamentare, un autorevole componente della Giunta ha sostenuto la possibilità della mancata integrazione degli elementi del reato contestato nella fattispecie in esame.
In conclusione, è comunque evidente l'esistenza di un nesso funzionale tra le espressioni dell'onorevole Bossi e l'esercizio delle sue funzioni parlamentari, perché le prime riproducono in estrema sintesi, al di fuori del Parlamento, le legittime opinioni già manifestate sia verbalmente sia per iscritto in occasione del dibattito parlamentare anche da numerosi rappresentanti della Lega nord.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Giunta, accogliendo la proposta del relatore, ha deliberato a larga maggioranza di proporre all'Assemblea la non sindacabilità secondo l'articolo 68, primo comma, della Costituzione, dei fatti ascritti all'onorevole Bossi.
Per queste ragioni, con profonda convinzione, invito l'Assemblea ad accogliere la proposta della Giunta.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Bielli.
VALTER BIELLI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che a tutta l'Assemblea non sfugga l'importanza di questa discussione. Non leggerò integralmente la relazione che ho presentato perché è a disposizione dei colleghi, ma mi limiterò ad alcune considerazioni.
In primo luogo, questo procedimento nasce a seguito del fatto che al comizio in cui l'onorevole Bossi ha pronunciato queste frasi assistevano agenti delle forze dell'ordine e, quindi, non vittime o personaggi influenzati dal dato politico, ma coloro che sono preposti a valutare se vi è un reato. Tali agenti delle forze dell'ordine, udite quelle parole, hanno redatto il rapporto che poi ha dato origine al procedimento in atto.
Si è già detto qual è il capo di imputazione: il reato di cui all'articolo 292 del codice penale.
PRESIDENTE. Le chiedo scusa, onorevole Bielli. Vorrei pregare i colleghi, anche qui davanti al banco del Governo, di prendere posto e consentirci di seguire la relazione.
Prego, onorevole Bielli.
VALTER BIELLI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, bisogna comunque essere soddisfatti per la presenza di tutto il Governo: non è un fatto usuale e credo che ciò sia positivo.
Detto questo, il capo di imputazione è «per avere vilipeso la bandiera nazionale, pronunziando, nel corso della pubblica manifestazione per la festa della Padania, tenutasi presso il palazzetto dello sport, la seguente espressione: "il tricolore lo uso soltanto per pulirmi il culo"». Tale frase è stata pronunciata di fronte a migliaia di persone.
Nel corso dell'esame nella Giunta è stato sostenuto dalla maggioranza dei componenti espressisi sul punto che il fatto è avvenuto fuori dalle sedi parlamentari ma può comunque ritenersi riconducibile all'esercizio delle funzioni di deputato per i seguenti motivi. Innanzitutto, si tratterebbe di un episodio connotato da natura politica in quanto il problema era riferito alla battaglia che la Lega nord conduceva per l'indipendenza della Padania. In secondo luogo, si stava discutendo in Parlamento della cosiddetta legge sulla bandiera. Credo, però, e lo dico con molta
serenità a tutti i colleghi, che nessuna di queste argomentazioni sia convincente.
Intanto occorre premettere la gravità e la volgarità delle espressioni usate, tenendo presente che l'articolo 18 della Costituzione tutela un bene importante come la bandiera italiana. Per ciò che concerne il nesso con l'esercizio del mandato parlamentare, nessuno degli elementi presentati nella relazione della maggioranza è pertinente al caso in esame. Non l'argomento della coloritura politica. È del tutto evidente, infatti, che il mero contesto politico di una dichiarazione non basta a far sì che la stessa sia agganciata al profilo funzionale dell'attività di un membro del Parlamento. Se tanto bastasse, la prerogativa dell'insindacabilità non sarebbe più un connotato della funzione ma diverrebbe un privilegio della persona, vietato dalla Costituzione medesima. Non l'argomento della contestualità con l'esame parlamentare della legge sulla bandiera, giacché in nessun emendamento e in nessuna dichiarazione di voto ci sono espressioni e termini di questo tipo. Voglio far osservare al collega Deodato che, quando si discusse della legge sulla bandiera, furono presentati emendamenti dai colleghi della Lega nord, dichiarati inammissibili e, pertanto, mai giunti in Assemblea.
A questo proposito, aggiungo che, se si vanno a vedere i verbali della Commissione Affari costituzionali, si può constatare che il collega Menia chiese il motivo per cui tali emendamenti non erano arrivati in Assemblea. La risposta fu molto chiara e semplice: non è possibile che vengano dichiarati ammissibili emendamenti di questo tipo.
Sarebbe grave se fossero dichiarati ammissibili emendamenti che hanno come termine il contesto dell'igiene intima di un deputato: ritengo che tutto ciò non sia possibile. Pertanto, credo che, da questo punto di vista, le argomentazioni presentate non siano pertinenti rispetto al dato in oggetto. Ritengo, invece, che meriti attenzione il fatto che, in occasione dell'esame in Giunta della sua richiesta di deliberazione, l'onorevole Bossi abbia ritenuto di far pervenire alla Giunta medesima una lettera, nella quale, nella sostanza, smentisce se stesso.
Nella missiva, infatti, l'onorevole Bossi, attuale ministro, sostiene che nell'episodio in questione si era fatto trascinare dall'impeto oratorio del comizio e che non intendeva offendere i valori rappresentati dalla bandiera tricolore. A questo punto, delle due l'una: o si tratta di dichiarazioni rese nel contesto dell'assolvimento dei compiti di un deputato, e allora non c'era alcun bisogno che si scusasse giacché la prerogativa dell'insindacabilità, in qualche modo, lo tutelava rispetto alle frasi che egli stesso aveva usato; oppure, l'onorevole Bossi si pente di quanto affermato, ritenendo le sue parole del tutto fuori luogo, e per il ruolo che egli rivestiva allora e per il loro contenuto, e dunque riconosce che non si trattava affatto di affermazioni funzionalmente legate al suo mandato parlamentare (lo dico con molta forza, come è del resto evidente, dal momento che le condotte di vilipendio, di per sé, non possono ritenersi coperte dall'articolo 68 della Costituzione).
PRESIDENTE. Onorevole Bielli, il suo tempo è scaduto da due minuti e, quindi, la prego di avviarsi alla conclusione.
VALTER BIELLI, Relatore di minoranza. Riteniamo, ovviamente, che, scrivendo questa lettera, riconosca che aveva vilipeso e sbagliato. A questo punto, credo che, se è vero che c'è il pentimento di Bossi, sarà sicuramente motivo per il tribunale di tenerne conto e, da questo punto di vista, mi auguro che possa essere assolto. Tuttavia, la Camera, non essendo un tribunale, deve discutere di un'altra cosa, cioè se quelle affermazioni fossero funzionali al mandato parlamentare. Lo dice Bossi che non erano funzionali e sarebbe grave se lo smentissimo: per tali motivi, credo che, in questo caso, sia giusto dichiarare tali frasi sindacabili.
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