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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cicchitto. Ne ha facoltà.
FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'esporre le ragioni dell'adesione del gruppo di Forza Italia alla comunicazione del Presidente del Consiglio, che è caratterizzata da un grande equilibrio politico, desidero concentrare brevemente l'attenzione su tre punti: il contesto generale; l'obiettivo per il quale il dottor Calipari ha perso la vita; alcuni elementi della vicenda con i quali dobbiamo fare i conti.
Il contesto generale è quello tracciato poco fa dal Presidente del Consiglio: siamo in Iraq con l'obiettivo di realizzare la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU n. 1546.
Il perseguimento di questo obiettivo ha portato a dei risultati. Il nostro paese è stato coinvolto successivamente, dopo la conclusione della fase di guerra; ebbene, successivamente a quella fase, la nostra azione, insieme a quella dell'alleanza, ha portato alle elezioni e alla formazione di un nuovo Governo: un salto di qualità!
Non vi è, quindi, un elemento di guerra; certamente vi è uno stato di guerriglia, che presenta anche elementi di terrorismo fondati sul rapimento. Queste azioni sono compiute non soltanto nei confronti dei paesi presenti in Iraq: sono state colpite altre nazioni, che hanno assunto posizioni di politica estera completamente diverse da quella italiana. Sul terreno di una risposta positiva, sul terreno della volontà di salvare la vita dei rapiti, rivendichiamo al Governo italiano il merito di aver ottenuto dei risultati in occasione di diverse drammatiche vicende: la liberazione di tre dei quattro operatori privati della sicurezza, le due Simone e, adesso, la vicenda di Giuliana Sgrena.
Abbiamo ottenuto dei risultati che altri paesi - anche quelli che non si trovano in Iraq, come la Francia - non hanno ottenuto. Abbiamo conseguito tali risultati seguendo una determinata metodologia, sulla quale - credo sia una delle rare occasioni - tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento hanno realizzato e trovato un'intesa. Non abbiamo intrapreso la strada dei blitz; abbiamo cercato, e trovato, la strada della trattativa con i rapitori e con le forze ad essi vicine. Questo implica una serie di problematiche e di questioni con le quali, se si devono raggiungere dei risultati, ci si deve sporcare le mani.
Al riguardo, mi unisco a quanto affermato poco fa dal Presidente del Consiglio nel respingere certe lezioni impartiteci da qualche giornale, il quale, forse, avrebbe preferito scrivere dei titoli sui morti e, invece, ha dovuto farli sui rapiti che sono stati salvati. Rivendichiamo ciò ad onore dell'azione che il Governo italiano, d'intesa anche con l'opposizione, ha sviluppato.
Ebbene, ci si muove su un terreno estremamente difficile, quello della guerriglia e dei rapimenti. Su questo terreno si è verificato un incidente: noi lo riteniamo tale. Escludiamo nel modo più assoluto che vi sia stata volontarietà nell'azione dell'esercito statunitense che ha portato alla morte del dottor Calipari. Come sostenuto nella relazione del Presidente del Consiglio, la non volontarietà esclude il dolo, ma non la colpa!
Nella ricostruzione italiana, presente nella relazione di Ragaglini e Campregher, si colgono le contraddizioni e gli errori commessi in questa vicenda, a nostro avviso, dagli americani. Del resto, chi legga con attenzione la relazione predisposta dai rappresentanti statunitensi noterà che le raccomandazioni che essi rivolgono al loro stesso esercito per la gestione dei posti di blocco sono parallele all'analisi da noi svolta sugli errori commessi.
Ci stiamo misurando, quindi, su una divergenza di interpretazione, qui ribadita dal Presidente del Consiglio: una divergenza di lettura delle responsabilità che hanno portato al tragico incidente che ha portato alla morte del dottor Calipari.
Per concludere, l'esposizione svolta dal Presidente del Consiglio mette in evidenza due cose che dimostrano il fatto che il Governo italiano è sul campo in Iraq in un contesto e con degli scopi molto precisi: accompagnare lo sviluppo di quel paese verso l'acquisizione della libertà e della democrazia di uno Stato degno di questo nome, mantenere il rapporto di alleanza con gli Stati Uniti d'America con tutta la dignità nazionale che è richiesta e che caratterizza l'impostazione del Governo italiano.
Quindi, nel momento stesso in cui ribadiamo le ragioni dell'alleanza e il proposito di rimanere in Iraq con quell'obbiettivo e anche di lavorare alle condizioni per la nostra fuoriuscita, allo stesso tempo marchiamo in modo netto le divergenze che vi sono state con il Governo degli Stati Uniti: divergenze che non drammatizziamo, ma che nemmeno vogliamo accantonare e mettere da parte.
La nostra adesione alla comunicazione fatta dal Presidente del Consiglio discende non soltanto dal nostro riconoscimento di un'azione sul campo svolta dal Governo italiano, dalle sue strutture operative e dal Sismi che ha portato a salvare Giuliana Sgrena, come precedentemente altri rapiti, e che ha visto il Governo italiano avere su questo terreno risultati e successi che altri Governi, anche con posizioni diverse, non hanno avuto, ma anche da una posizione equilibrata e dignitosa che, al contempo, sottolinea quella divergenza senza mettere però in discussione le conseguenze politiche dovute, che sono quelle di mantenere l'alleanza e la nostra presenza in Iraq, confermando tutti gli obiettivi politici che già in partenza ci eravamo dati, cioè quelli di arrivare ad una situazione tale per cui si creeranno le condizioni per far uscire il nostro paese dall'Iraq in quanto sarà l'Iraq stessa a comunicarci di avere raggiunto la stabilità, la libertà e la democrazia (Applausi dei deputati del gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fassino. Ne ha facoltà.
PIERO FASSINO. Signor Presidente, ringrazio il Presidente del Consiglio per le informazioni che ha voluto dare al Parlamento. Prima di svolgere alcune considerazioni sulle sue comunicazioni e su questo delicato passaggio, vorrei ancora una volta esprimere il cordoglio alla famiglia per la morte di Nicola Calipari, così come voglio accomunare a questo cordoglio quello verso i soldati e i carabinieri e gli uomini morti a Nassiriya e in Iraq ed esprimere, al contempo, la nostra solidarietà a tutti i nostri uomini, sia a quelli in divisa che ai funzionari dei servizi che sono impegnati in quel difficilissimo teatro
e che lì agiscono ogni giorno a nome del nostro paese.
Dalla lettura del rapporto italiano e di quello americano, e anche di quello che lei ha qui puntualmente detto, risulta un'evidente discrasìa di interpretazione e di ricostruzione delle vicende che non è su punti marginali. Peraltro, persistono ancora zone d'ombra che, naturalmente, non significano il fatto che chi abbia lavorato in queste settimane non abbia cercato di ricostruire con puntualità, zone d'ombra su quale fosse l'effettivo livello di informazione tra i servizi italiani e quelli americani, su quali siano state effettivamente le disposizioni nella catena di comando americana, così come rimangono incertezze e zone d'ombra sulla dinamica degli eventi, sull'esistenza o meno di immagini fotografiche e dell'eventuale loro interpretazione, la rimozione immediata dell'auto sul luogo dell'incidente, che ha alterato la possibilità di una relazione compiuta che avrebbe consentito la ricostruzione della dinamica dell'incidente: molte cose su cui occorre ancora appurare la verità.
Da questa prima considerazione vorrei trarre una prima conclusione: il fatto che siano stati redatti due rapporti e che la commissione abbia tratto le sue conclusioni in questo modo non può portarci a considerare chiuso il caso. Nessuno vuole, men che meno noi dell'opposizione, alterare i rapporti tra gli Stati Uniti e l'Italia, che sono rapporti di alleanza solidi a cui noi stessi teniamo, ma essere alleati e riconfermare la solidità di questa alleanza non significa rinunciare alla ricerca della verità.
Lo dobbiamo alla famiglia Calipari, lo dobbiamo ai soldati e ai funzionari italiani che sono impegnati ogni giorno in quel teatro di guerra, i quali devono sapere esattamente di quale solidarietà a sostegno e assunzione di responsabilità possono godere, e lo dobbiamo al paese perché è morto in quella notte tragica un funzionario dello Stato che era lì a rappresentare l'Italia. L'accertamento della verità rimane, quindi, per noi una priorità che non è risolta dalla pubblicazione del rapporto della commissione.
Nessuno vuole cercare dei capri espiatori - per riferirci ad un'espressione che lei, Presidente Berlusconi, ha usato - ma, la verità sì, e noi chiediamo quindi che si operi per mettere la magistratura italiana, a cui a questo punto è delegata la ricerca della verità, nelle condizioni di avere tutte le informazioni e tutte le possibilità di accesso alle conoscenze che consentono di accertare la verità. In questo quadro, sollecitiamo il Governo italiano ad esigere che il Governo americano presti alla magistratura italiana tutta la collaborazione necessaria perché l'accertamento della verità sia possibile; perché è evidente che la magistratura italiana potrà tendere a questo obiettivo sulla base della collaborazione non soltanto dei nostri organi istituzionali, ma anche del Governo americano stante che una serie di conoscenze e di informazioni sono più in possesso degli americani che non dei nostri. Da questo punto di vista, e ciò non lo dico per nessuna polemica recriminatoria ma per il futuro, non so se sia stata, alla luce delle risultanze, un'opportuna scelta quella di affidare l'accertamento della verità ad una commissione congiunta, perché l'esito dice che, in realtà, tale strumento non ha avuto l'efficacia che ci si proponeva, ma questo lo dico senza alcuna valutazione polemica contro nessuno.
Una seconda questione, che ritengo sia doveroso porre in quest'aula, è che noi riteniamo che dal Governo degli Stati Uniti debbano venire delle scuse. Fino ad oggi questa espressione dal Governo degli Stati Uniti non è venuta. Sono venute espressioni di cordoglio, sono venute espressioni di riconoscimento a Nicola Calipari, giustamente definito un eroe, e sono venute espressioni che ribadiscono l'alleanza e l'amicizia con l'Italia ma, ripeto, non sono venute parole di scusa. Ora, i fatti portano a dire che si è trattato probabilmente di un incidente tragico. Ma un incidente tragico non assolve dalle responsabilità! Lei stesso, Presidente Berlusconi, nel suo discorso svolto qui, ha sottolineato che
l'assenza di un'intenzione dolosa non significa che non ci siano delle responsabilità. Allora, se ci sono delle responsabilità, è bene che chi le ha le riconosca e chieda scusa. È morto un uomo, è morto in un check-point americano; è morto un uomo che gli stessi americani definiscono un eroe. La lettura del rapporto - e lei, Presidente Berlusconi, lo ha ricordato anche nella sua relazione - indica che, in ogni caso, comunque si ricostruisca quello che è successo, ci sono state delle gravi inadempienze nel modo di gestire il check-point che sottolineano che ci sono state delle responsabilità. Credo, quindi, che chiedere un atto di risarcimento morale e politico al Governo degli Stati Uniti sia un fatto di dignità del nostro paese e sia un fatto di giustizia verso la famiglia Calipari e verso l'Italia, a maggior ragione perché siamo alleati. Quando si è alleati l'alleanza si fonda su un rapporto di fiducia e di affidabilità, piena e totale, e quando qualche cosa incrina quel rapporto di fiducia e di affidabilità è bene che chi ha la responsabilità di averlo incrinato compia degli atti che siano capaci di ricostituirlo e ricostruirlo nella sua pienezza (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani). Noi chiediamo che ci sia da parte del Governo italiano una richiesta esplicita al Governo americano di un atto che abbia un valore morale e politico non marginale, ma importante proprio per le relazioni tra il nostro paese e gli Stati Uniti.
La terza ed ultima considerazione riguarda la situazione in Iraq e la parte finale del suo rapporto. Anche l'episodio dell'uccisione di Nicola Calipari indica quanto sia grave la situazione in Iraq. Ogni giorno noi siamo di fronte ad episodi di tensione e di violenza. Anche oggi i giornali italiani ci parlano di sessanta morti ieri nella città di Herbil e di episodi di violenza che ogni giorno si ripetono in Iraq.
Quella notte tragica in cui Nicola Calipari ha trovato la morte non vi è stato soltanto un tragico incidente: è avvenuto un tragico incidente che si colloca in una sequenza lunghissima di episodi di violenza che quotidianamente scuotono l'Iraq!
Allora, io credo che di questo si debba prendere atto, per vedere come affrontare una situazione di instabilità, che quel paese continua a conoscere, particolarmente acuta. Tutto ciò indica che lì è in corso una guerra. Ed io lo sottolineo perché c'è un'ambiguità tuttora irrisolta nell'atteggiamento del Governo italiano: non si può continuare a dire che siamo lì in una missione di pace in un contesto che è quotidianamente caratterizzato dall'essere un contesto di guerra.
Ma quello che a me interessa in questo momento sottolineare non è tanto questo. Sono note le difformità di giudizio tra il Governo e l'opposizione sulla guerra in Iraq e sull'opportunità di una presenza italiana. Quello che voglio dire è che anche la vicenda di cui stiamo discutendo oggi sollecita a definire una strategia di uscita dalla guerra irachena, e in particolare dal regime di occupazione militare, e di sostegno politico alla transizione democratica in Iraq.
D'altra parte, sono maturati, negli ultimi mesi, eventi e fatti di particolare importanza: vi sono state elezioni generali in Iraq, con quella grande partecipazione che tutti abbiamo salutato come un importante evento; qualche settimana fa, è stato eletto il nuovo presidente dell'Iraq, nella persona del leader curdo Talabani; da due giorni, l'Iraq ha un Governo nella pienezza dei poteri. Tutto questo determina un quadro nuovo che porta a dire che esistono le condizioni per accelerare il trasferimento dei poteri alle autorità irachene, che si tratta di rafforzare ulteriormente ogni attività che consenta agli iracheni di essere titolari della propria sicurezza, che vi sono le condizioni per concentrare lo sforzo della comunità internazionale nell'azione di ricostruzione economica (e, a questo fine, emerge l'utilità e l'urgenza di convocare una nuova conferenza internazionale che definisca quegli obiettivi della nuova fase).
In questo quadro, allora, è chiaro che si colloca in modo diverso - e deve essere
collocato in modo diverso - anche il problema della presenza delle truppe militari che fino ad oggi sono state in Iraq. Signor Presidente del Consiglio, vorrei segnalarle che, proprio questa mattina, le agenzie hanno battuto la notizia che anche il Governo giapponese ha annunciato di avviare il ritiro delle proprie truppe dall'Iraq entro la fine di quest'anno. E il Giappone è l'ultimo dei paesi, dopo la Spagna, la Polonia, la Tailandia, l'Ucraina, la Bulgaria, la Repubblica Dominicana, l'Honduras e la Norvegia!
Allora, io credo che si ponga una riflessione anche per il Governo italiano. Nel momento in cui il quadro in Iraq sta conoscendo una trasformazione che evolve sempre più verso una dimensione politica della transizione, è evidente che anche noi dobbiamo collocarci sempre di più dentro quello schema.
Noi non abbiamo stabilito, signor Presidente del Consiglio, alcun automatismo tra la morte di Calipari ed una richiesta di ritiro delle truppe italiane in Iraq, anche perché la richiesta di ritirare le truppe italiane in Iraq l'abbiamo avanzata in questo Parlamento anche prima che avvenisse la tragica vicenda in cui è morto Calipari (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo). Non abbiamo...
PRESIDENTE. Onorevole Fassino...
PIERO FASSINO. Ho finito, signor Presidente.
Non abbiamo stabilito alcun rapporto automatico: sarebbe stato un atteggiamento ritorsivo, sbagliato e non degno della delicatezza della vicenda di cui stiamo discutendo. Quello che, invece, noi le chiediamo è una valutazione sulla fase nuova e diversa che si può aprire in Iraq. E questa fase nuova e diversa si può aprire e può essere accelerata nella sua implementazione dall'assunzione di una dimensione più politica della presenza internazionale in Iraq e dal superamento della sola presenza militare come unica modalità con cui la comunità internazionale aiuta l'Iraq, oggi, ad acquisire un regime democratico stabile.
Insomma, a nome dei gruppi dell'Ulivo, a nome dei Democratici di sinistra, della Margherita, dei Socialisti italiani, dei Repubblicani, noi chiediamo al Governo di valutare la fase nuova che si sta determinando...
GIORGIO LA MALFA, Ministro per le politiche comunitarie. Dei repubblicani europei (Commenti)!
PIERO FASSINO. Va bene, va bene...
PRESIDENTE. Ministro La Malfa, mi scusi, lasciamo concludere l'onorevole Fassino.
PIERO FASSINO. La Malfa, stiamo discutendo di una questione di valore morale e politico più alto (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani, Misto-Verdi-l'Unione)! Concludo, signor Presidente.
A nome di questi gruppi, chiediamo al Governo italiano di valutare la nuova fase e di adottare scelte che predispongano il rientro delle truppe italiane dall'Iraq, di definire tempi e modalità di questi rientri e di portare, quanto prima, tutto ciò all'attenzione del Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gasparri (Una voce dai banchi dell'opposizione: Arieccolo!). Ne ha facoltà.
MAURIZIO GASPARRI. Signor Presidente, il gruppo di Alleanza Nazionale condivide il senso e il contenuto delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio (Commenti)...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per cortesia. Vi chiedo di consentire all'onorevole Gasparri di intervenire. Onorevole Gasparri, a lei la parola.
MAURIZIO GASPARRI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, il gruppo di Alleanza nazionale condivide il senso e la sostanza delle comunicazioni del Presidente del Consiglio, comunicazioni esaustive su tutte le varie vicende al centro di questa situazione: la tragica uccisione, la morte di Calipari, che ancora una volta, oggi, tutti i componenti del mio gruppo e tanti di noi che in quei giorni tragici hanno avuto la possibilità di visitare i familiari e di toccare con mano lo sgomento di una famiglia di servitori dello Stato (al riguardo, ricordo che anche la moglie di Calipari è una funzionaria dello Stato, impegnata in un'attività analoga a quella del super eroico marito) vogliono ricordare con commozione e con cordoglio.
Credo che le comunicazioni del Presidente del Consiglio abbiano ribadito una situazione di chiarezza sui rapporti con gli alleati, rapporti di lealtà assoluta - una lealtà che non è incrinata da questa tragica vicenda -, ma rapporti che non sono assolutamente incrinati o condizionati da qualsiasi forma di sudditanza: lealtà sì, dunque, ma sudditanza no! Mi sembra che questo sia uno dei punti ribaditi ancora una volta nelle comunicazioni odierne.
L'affermazione molto chiara sulla non condivisione delle conclusioni delle varie inchieste e delle posizioni espresse dagli Stati Uniti credo sia molto esplicita, molto chiara, e le parole del Presidente del Consiglio l'hanno voluto sottolineare ancora una volta: l'impossibilità di conclusioni condivise. Più chiari di così, nel Parlamento italiano, di fronte alla pubblica opinione nazionale ed internazionale, credo non si potesse essere.
Non abbiamo accettato, dunque, le conclusioni degli Stati Uniti. Non ci sono state conclusioni condivise. C'è un rapporto (oggi è stato richiamato) meticoloso e preciso che contesta alcune modalità, fatti che non abbiamo condiviso, ad esempio le modifiche dei luoghi dove si è verificata l'uccisione di Calipari. Certamente, è un comportamento che non ha facilitato accertamenti e verifiche. Le modalità stesse del posto di blocco, pur comprendendo la drammatica ed anomala situazione di emergenza che si vive a Bagdad e in Iraq, potevano e dovevano essere diverse, per evitare un epilogo così tragico.
Non si incrina un'alleanza, ma non si rinuncia alla verità sulla uccisione di Calipari. Credo che questo sia il senso di una posizione che anche il nostro gruppo non può non condividere.
Si è parlato, giustamente, della presenza in Iraq. Poc'anzi, l'onorevole Fassino ha ricordato le notizie battute, questa mattina, dalle agenzie circa la posizione del Giappone. Onorevole Fassino, questa mattina, le agenzie hanno battuto tragiche notizie su ulteriori attentati in Iraq. Gli attentati che si sono verificati questa mattina in Iraq, come nei giorni scorsi, hanno riguardato, non le truppe internazionali impegnate in quell'area in operazioni di pace, ma quei cittadini iracheni che si mettono in coda per diventate soldati o poliziotti per contribuire all'autogoverno della propria nazione!
Lì si semina il terrore, per impedire l'autogoverno dell'Iraq (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia); tale situazione va ricordata. Siamo, dunque, sul posto per consentire agli iracheni di potersi arruolare nel loro esercito, nella loro polizia; ciò, non perché aggrediscano altri popoli, come dianzi, ai tempi di Saddam Hussein, ma affinché possano governare il territorio. Non sappiamo quando ciò avverrà; tutti ci auguriamo sia il prima possibile, ci mancherebbe altro! Infatti, non solo per noi diminuirebbero gli attuali rischi ma, soprattutto, quella parte così martoriata del mondo diventerebbe finalmente un paese dove un governo espressione della popolazione locale avrebbe la capacità di garantire sicurezza ed autogoverno. Siamo lì per favorire questo percorso, ma oggi, ancora una volta, gli attentati hanno colpito gli iracheni che vogliono organizzarsi per essere, per così dire, padroni in casa propria; tale è la realtà quotidiana di quel paese.
Dianzi, si è riconosciuto come sia stato un bene la celebrazione delle elezioni;
onorevole Fassino, ciò è vero ma, a mio avviso, senza l'impegno multinazionale, assunto anche da parte dell'Italia, quelle elezioni cui tutti abbiamo plaudito - e che lei ricordava - non si sarebbero tenute. Il tentativo di governo dell'Iraq autonomo non si sarebbe compiuto (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).
La situazione di quei luoghi non è quella occidentale dove, a breve, si voterà in Inghilterra, da poco si è votato in Italia, e via dicendo; lì, non è così: se non fossimo stati presenti anche noi sul posto assumendoci i rischi connessi, le elezioni non si sarebbero potute svolgere. Dunque, si è trattato di una novità positiva, un passo nel percorso di costruzione della democrazia; percorso al quale l'Italia ha dato, sta dando e, a mio avviso, continuerà a dare ancora un contributo importante ed essenziale. Siamo consapevoli dei rischi che l'Italia, per così dire, si è accollata; se li sono accollati militari e funzionari dei servizi segreti, ma anche giornalisti, volontari, lavoratori. In questi anni, mentre tra i caduti di Nassiriya si contano non solo carabinieri e soldati ma anche due civili, hanno perso la vita altri soldati (caduti durante esercitazioni o in operazioni militari) e giornalisti come Balboni. È morto un lavoratore, Quattrocchi, non un mercenario! Un lavoratore che era sul posto per lavorare e garantire alla sua famiglia un reddito (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).
Abbiamo sicuramente pagato un prezzo e Calipari è l'ultimo eroe di questa storia; ma abbiamo dato un contributo al ripristino della legalità, della democrazia e della libertà in quella parte del mondo. E l'Italia, che compostamente si è ritrovata in quei giorni di Nassiriya e in altre occasioni, ha anche dimostrato al mondo di essere un paese consapevole di condividere con altre nazioni - con Governi di qualsiasi orientamento, di centro, di destra o di sinistra - un impegno comune assumendosi la sua parte di rischi e responsabilità per costruire democrazia e libertà nel mondo. E di ciò eravamo orgogliosi allora, ma lo siamo - con sobrietà, e però con fermezza - anche oggi.
In questo contesto, sulla vicenda drammatica di Calipari, vogliamo verità; gli eroi, infatti, si onorano con la ricerca accanita e decisa della verità. Le conclusioni cui giunge la versione statunitense non ci hanno soddisfatto, non le condividiamo, e lo abbiamo ribadito; quelle nostre, realistiche, hanno tuttavia, per così dire, sgombrato il campo dall'ipotesi - che pure si era sostenuta nelle ore immediatamente successive all'evento - della volontarietà. Si osservò allora, infatti, che non si poteva accettare l'ipotesi di tragica fatalità; si sostenne ciò anche in Parlamento e sulla stampa. Ma non vi era stata volontarietà; ciò mi sembra ora un fatto condiviso, non solo dall'Italia e dagli Stati Uniti ma dall'intero Parlamento italiano. Il Presidente del Consiglio ha dichiarato poc'anzi come l'assenza di volontarietà non escluda la colpa e la conseguente responsabilità, la negligenza, l'improvvisazione, le modalità, quanto l'ampia relazione illustra. Aspetti sui quali si continuerà a discutere, nelle istituzioni politiche, nelle inchieste della magistratura, nel dibattito internazionale che proseguirà, nella lealtà ma anche nella chiarezza. Infatti, la lealtà è fatta anche di non rinuncia alla verità. Tuttavia, non vi è stata volontarietà; non si trattava di un'imboscata, piuttosto, vi è stata una colpa gravissima. Aggiungerei, anzi, che oggi, a mio avviso, nessuno nega si sia trattato di una drammatica, tragica fatalità; una vicenda che non si può archiviare con facilità e che merita, invece, ulteriori approfondimenti. Ma non era certamente un complotto, un'imboscata o quant'altro; lo puntualizzo perché anche tale ipotesi fu sostenuta, mentre oggi mi pare sia maturata la convinzione, condivisa dal Parlamento e dalle forze parlamentari, che non di tale evenienza si trattò.
Certo, ancora molto deve essere accertato. Comunque, signor Presidente del Consiglio, il nostro gruppo condivide quanto ella ha riferito nelle sue comunicazioni e la ringrazia per la fermezza delle
parole, la chiarezza e gli atti consegnati all'attenzione del Parlamento i quali consentono, ovviamente, ulteriori riflessioni ed approfondimenti. Infatti, riteniamo giusto preservare la ragioni di un'alleanza che fa parte della storia dell'Italia di questo dopoguerra; esigere, nella lealtà, la verità e quindi rinunciare ad ogni forma di sudditanza; confermare la validità dell'impegno in Iraq ed onorare ancora una volta, oggi, la memoria di tutti i caduti (Calipari e tanti altri, militari e civili); rivendicare con orgoglio l'impegno dell'Italia per garantire a quel popolo la costruzione di un futuro di democrazia.
Quando quel popolo sarà finalmente libero dal terrore, e sarà un popolo che non aprirà le sue giornate con l'attentato del giorno, allora anche quel popolo, e tutti noi, renderemo omaggio, ancora una volta, ad un eroe come Calipari (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Tucci. Ne ha facoltà.
MICHELE TUCCI. La ringrazio, Presidente Casini. Desidero innanzitutto ricordare che, già in occasione del dibattito sulla fiducia al suo nuovo Governo, lei, signor Presidente del Consiglio, ha voluto informare il Parlamento della possibilità che l'inchiesta bilaterale per la morte di Calipari a Bagdad giungesse a conclusioni differenziate tra i rappresentanti dei due paesi, che componevano la stessa commissione d'inchiesta. In quel momento, si trattava solo di indiscrezioni, ma lei garantì che mai l'Italia avrebbe sottoscritto una conclusione non condivisa e che avrebbe subito riferito al Parlamento se ciò si fosse verificato.
Occorre darle atto, onorevole Berlusconi, della tempestività con la quale ha chiesto al Presidente Casini la calendarizzazione del dibattito e, soprattutto, occorre darle atto del buonsenso, dell'autorevolezza, dell'indipendenza e della determinazione con cui il Governo si è comportato in tutta la vicenda del sequestro di Giuliana Sgrena, così come è avvenuto, del resto, nelle precedenti occasioni nelle quali dei cittadini italiani sono rimasti coinvolti nelle azioni di terrorismo in Iraq.
Purtroppo, ad un passo dal coronamento di un'operazione ineccepibile, per la migliore riuscita della quale erano state tempestivamente intraprese le più accurate iniziative diplomatiche e di intelligence, ed era stata altresì chiesta ed ottenuta la condivisione dei rappresentanti dell'opposizione, è accaduto l'irreparabile, e l'Italia ha perso, caduto da eroe, uno dei suoi migliori servitori.
Tuttavia, anche in tale frangente, lei, signor Presidente del Consiglio, ha agito con la determinazione e con l'autorevolezza che la nazione, colpita al cuore nella sua dignità, le riconosce senza ombra di dubbio. Lei ha convocato l'ambasciatore USA, affinché fossero chiarite le circostanze che avevano determinato la morte del nostro agente, ed ha ottenuto - il che non era mai accaduto in passato -, da parte degli Stati Uniti d'America, la pronta costituzione di una commissione d'inchiesta paritetica.
Nulla dunque, signor Presidente del Consiglio, può esserle addebitato: anzi, a lei va il convinto ringraziamento nostro e della nazione intera. Nulla può esserle addebitato, come dicevo, per le conclusioni non condivise cui è pervenuta la commissione d'inchiesta, e che sono il prodotto di fondamentali punti di disaccordo tra le parti sulle regole di ingaggio, sul coordinamento con le autorità competenti in Iraq e sulle responsabilità dei soldati di presidio a quel tragico check point.
La parte statunitense parla di tragico incidente, e non riscontra responsabilità alcuna da parte dei suoi militari, mentre i commissari italiani, nella loro relazione, contestano agli Stati Uniti di non aver permesso la ricostruzione della dinamica dei fatti, e di non aver permesso, dunque, l'accertamento puntuale della verità.
Tale divergenza ha impedito che si giungesse ad una conclusione univoca, sicché, come ha chiarito il ministro degli affari esteri, non si poteva chiedere al Governo italiano di sottoscrivere una ri
costruzione degli avvenimenti che non corrisponde a ciò che è accaduto quella sera.
La ricerca della verità, signor Presidente del Consiglio - dell'unica verità -, deve continuare, ed è ora affidata alla magistratura italiana, la quale opera, come lei stesso ha sottolineato, con il pieno sostegno del Governo. È altrettanto auspicabile, tuttavia, che tra Roma e Washington, sul piano diplomatico, si continui a dialogare per giungere ad un accordo politico che eviti ricadute negative sui rapporti tra i due paesi, fermo restando che l'accertamento della verità deve essere comunque perseguito.
Noi siamo ben consapevoli del sangue che i soldati americani hanno versato in nome della libertà e della democrazia, per liberare l'Europa dalla tragedia delle dittature che l'hanno stretta in una morsa di terrore, nel secolo scorso, e delle vite che hanno immolato - e continuano ad immolare - per liberare i popoli afgano ed iracheno e per contrastare e sconfiggere, come tutti auspichiamo, quel terribile e dilagante fenomeno rappresentato dal terrorismo integralista globale, di fronte al quale nessuno - e nessuna parte del mondo - può sentirsi sicuro.
Comprendiamo, quindi, signor Presidente del Consiglio, che quei militari che oggi agiscono in Iraq - esseri umani, pur sempre fragili, anche se generosi nell'impegno che portano avanti - avvertano il bisogno di sentirsi tutelati, soprattutto nel momento in cui le difficili condizioni in cui operano e l'imponderabile brutalità degli eventi - tra cui, non dimentichiamolo, gli attacchi strategici dei kamikaze - ingenerano in loro paura e disorientamento, tali da indurli a reazioni spesso incontrollabili. Tutto ciò è ancora più vero quando si tratta di soldati di scarsa esperienza, come quelli del check point di Bagdad, che il rapporto americano dichiara addirittura al primo giorno di servizio.
Comprendiamo tutto ciò, ma siamo altresì convinti che la verità vada affermata. L'impegno del Governo è stato totale ed è, per noi, convincente, ma vi è chi dai risultati non condivisi dell'inchiesta sulla morte di Calipari trae argomenti per chiedere l'immediato ritiro del contingente italiano dall'Iraq. Noi siamo convinti che sia sbagliato trarre conseguenze di tal genere. Restano, infatti, ferme le ragioni di fondo dell'alleanza tra Italia e Stati Uniti d'America e ancor più solide sono le ragioni della presenza delle truppe italiane in Iraq. Siamo andati in Iraq come forza di pace, per aiutare il processo di ricostruzione e normalizzazione di quella realtà umana e sociale e, dunque, siamo in Iraq per gli iracheni.
La verità non può essere mistificata né, addirittura, nascosta. Siamo in Iraq non per un atto di subordinazione, né di sudditanza agli Stati Uniti, ma perché siamo un grande paese protagonista della civiltà occidentale, convinto membro delle Nazioni Unite, componente del G8, realtà di riferimento non solo per l'Europa, ma per il mondo intero. Un grande paese, onorevoli colleghi, deve sapersi assumere le responsabilità che gli competono. Deve sapersi spendere, con i suoi mezzi, ma - soprattutto - con i suoi principi, per gli altri, per la democrazia dei paesi che non la conoscono, per arginare con la forza della pace il terrorismo che insanguina il mondo. Sono questi i motivi per cui il piano di ritiro dall'Iraq, signor Presidente del Consiglio, che era già nei progetti del Governo, nel contesto della risoluzione ONU n. 1546, deve seguire logiche proprie e non può - e non deve - apparire come un gesto di ritorsione nei confronti degli Stati Uniti perché, fino a questo momento, non hanno contribuito in modo soddisfacente - è una nostra convinzione - all'accertamento della verità sulla morte di Calipari.
La nostra missione in Iraq ha riscosso l'apprezzamento e la riconoscenza del mondo intero: degli Stati Uniti, dei paesi arabi, delle stesse autorità irachene e del Segretario generale dell'ONU, Kofi Annan. Ritirarci all'improvviso e non seguire, inopinatamente, un piano già impostato sarebbe vile ed irresponsabile, come penso ritengano serenamente anche i componenti più avveduti dell'opposizione.
Signor Presidente del Consiglio, nel ribadirle l'apprezzamento per il comportamento tenuto dal Governo, la sollecitiamo a seguire, con la massima attenzione, l'evolversi di questa delicatissima vicenda, come ha - del resto - fatto fino a questo momento, nel rispetto della salvaguardia, della dignità e dell'autonomia dovute ad un grande paese quale l'Italia. Grazie, signor Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e di Forza Italia - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Guido Giuseppe Rossi. Ne ha facoltà.
GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, l'intervento del gruppo della Lega Nord Federazione Padana non può che iniziare con un ricordo ammirato del coraggio del dottor Nicola Calipari, il coraggio e l'abnegazione che tanti altri uomini e donne, servitori dello Stato, dimostrano tutti i giorni, rischiando la vita - e, talvolta, perdendola - non a causa di una pattuglia americana in Iraq, come nel caso di Calipari, ma cercando, magari, di impedire una rapina ai danni di uno sventurato cittadino in una qualsiasi delle città italiane. Tanto coraggio e tanto senso del dovere non possono, perciò, essere strumentalizzati a fini politici di parte.
Occorre essere chiari. Occorre definire, con onestà intellettuale il quadro d'insieme all'interno del quale è maturata la tragedia.
Occorre affermare a chiare lettere, senza «se» e senza «ma», che la causa di questa morte è il rapimento della signora Giuliana Sgrena da parte di terroristi che, probabilmente, in passato hanno ucciso, decapitato, mutilato, al di là di ogni logica, al di là di ogni legittimità derivante da una volontà resistenziale o da una lotta per l'autodeterminazione. Assassini e non resistenti, complici di assassini e non combattenti della libertà (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana): questi erano e questi sono gli individui che hanno rapito tutti gli ostaggi italiani ed europei in questi ultimi mesi!
Siamo persuasi che da parte di tutti - destra e sinistra, maggioranza e opposizione - occorre condannare con grande forza gli autori del terrore e del terrorismo. Non possono esservi zone d'ombra, distinguo, articoli di fondo o dibattiti che mettano in dubbio questa certezza.
Purtroppo, ciò non è avvenuto con la signora Sgrena, con le altre due Simone, con le loro dichiarazioni, con la loro visione tutta ideologica, che tendeva quasi a giustificare e ad umanizzare gli assassini che le avevano rapite, ribaltando sugli Stati Uniti e sulle nostre truppe presenti militarmente in Iraq la responsabilità degli eventi.
Questa condanna del terrore non vi è stata per rigidità ideologica e per calcolo politico. Non si vuole e non si voleva permettere, in nessun modo, al Governo in carica di vedere legittimata la propria azione contro il terrorismo islamico internazionale. Non si voleva legittimare questa azione da parte di ampi settori del mondo di sinistra; e ciò ha come conseguenza - marginale sì, ma non per questo meno inquietante - la proliferazione, negli ambienti della sinistra radicale, tollerati e non banditi dalla sinistra cosiddetta ufficiale, dei soliti ignoti che scrivono sui muri di Milano, durante i cortei per la festa dei lavoratori, «dieci, cento, mille Nassiriya» (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).
Chiedo ai colleghi dell'opposizione e al mondo culturale ad essi contiguo - il Manifesto e signora Sgrena compresi - di essere severissimi contro questo tipo di manifestazioni di odio.
È agli atti che il Governo italiano, in un clima di concordia nazionale, non ha lesinato uomini e mezzi per salvare la vita degli ostaggi, della signora Sgrena e, precedentemente, delle due Simone. Questo clima di concordia, tuttavia, non era stato concesso dalle sinistre nel caso dei primi quattro ostaggi e della morte di Fabrizio Quattrocchi. La solita storia, tutta italiana, degli ostaggi di serie B e di serie A (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega
Nord Federazione Padana e di Alleanza Nazionale)! E ricordo anche con un certo imbarazzo, colleghi del centrodestra, la nostra debolezza culturale nei confronti dei giudizi dei nostri avversari politici: Quattrocchi e compagni, bollati come mercenari al soldo degli americani, degni solo di poca considerazione; le due Simone e la Sgrena limpidi e luminosi esempi di virtù civile e democratica, cui tutto il paese doveva rendere omaggio (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Alleanza Nazionale). La solita storia che già Pasolini ci ricordava durante gli scontri di Valle Giulia: da una parte, i poliziotti figli del popolo, dall'altra, i borghesi rivoluzionari. Pochi applausi per Quattrocchi, poche commemorazioni, poche autorità per chi non si era piegato e non ha ringraziato i propri rapitori.
Ho voluto ricordare questa sperequazione tra ostaggi proprio perché è la diretta conseguenza della mancata e totale condanna del terrorismo iracheno. Chi non compie questa analisi, come fa la sinistra italiana, non ha i titoli per giudicare la vicenda Calipari o per pontificare sul presunto asservimento del nostro paese agli americani.
Qualcuno, forse, ha dimenticato il caso del Cermis, quando Presidente del Consiglio era l'onorevole D'Alema, ministro della giustizia l'onorevole Diliberto e Presidente degli Stati Uniti d'America un tale Bill Clinton, attore e soggetto principale di quel famoso «Ulivo mondiale», che qualcuno voleva proporre su tutta la scena della politica globale.
Ebbene, quell'episodio fu incommensurabilmente più grave di quello che è avvenuto al check point n. 541 sulla strada dell'aeroporto per Bagdad (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana). In quel frangente, non vi fu la levata di scudi, non vi fu una sollevazione di un caso politico, ma si parlò di incidente e di fatalità.
Forse con maggiore coerenza anche oggi si potrebbe intervenire con più razionalità su quanto avvenuto a Bagdad. Noi, che invece abbiamo fatto questa analisi, possiamo esprimere un giudizio con serenità e oggettività. Riteniamo il rapporto italiano equilibrato e oggettivamente verosimile e condividiamo la scelta del Governo di non accettare la versione delle autorità statunitensi. Riteniamo che non ci sia stata assolutamente premeditazione, come qualcuno velatamente ha insinuato o sta insinuando, e a questo proposito sarebbe altamente opportuno il totale silenzio della signora Sgrena sulla questione.
Riteniamo che questa tragedia sia frutto di una serie di eventi negativi, rafforzati dalla eccezionalità e dalla pericolosità della situazione ambientale e dalla segretezza della missione compiuta dai nostri apparati di intelligence. D'altronde, questa è anche l'analisi compiuta da un collega dell'opposizione, l'onorevole Angioni, in un'intervista ad un quotidiano nazionale, nella quale dichiara: Hanno sbagliato tutti: carenze di pianificazione statunitense e di comunicazione degli italiani.
Utilizzare questa vicenda, come fa la sinistra, per fare dell'antiamericanismo un buon partito o per sollevare la questione del ritiro delle truppe dall'Iraq non fa bene al nostro paese e non fa bene alla verità. In altra sede, tuttavia, e con altra serietà noi pensiamo che il tema, come è già stato anticipato dal Presidente del Consiglio, di un ritiro graduale e concertato con gli alleati debba essere oggetto di riflessione a breve.
GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Si tratta di un disimpegno che è la graduale logica conseguenza e conclusione di un impegno politico, militare ed umanitario che sicuramente, pur in un quadro tragico come quello iracheno, ha dato i suoi frutti e anche chi era fieramente e duramente contrario in questo momento ha dovuto prendere atto - l'intervento dell'onorevole Fassino né è testimonianza - che passi in avanti nella situazione irachena sono stati fatti.
In conclusione, il gruppo della Lega Nord rende onore al dottor Nicola Calipari
e a tutti i servitori dello Stato caduti nell'adempimento del loro dovere e condivide l'azione del Governo intesa a tutelare in ogni modo l'azione dei nostri uomini impegnati nelle Forze armate e nei servizi di intelligence. Si tratta di una tutela che, vista la pericolosità della missione, deve tener conto ma non può essere assolutamente subordinata a qualsiasi tipo di relazione internazionale, per quanto positiva e amichevole questa relazione possa essere.
La Lega Nord auspica, infine, maggiore responsabilità da chi è stato parte in causa di queste dolorose vicende. Signor Presidente del Consiglio, la dignità di un paese si dimostra in questa difficile situazione. Tutti facciano la loro parte (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Giordano. Ne ha facoltà.
FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, ci sono clamorose divaricazioni su aspetti decisivi nelle due verità che ci sono state presentate da una Commissione mista italo-americana. Lei, peraltro, non le ha negate.
Le versioni coincidono su alcuni aspetti, ma divergono nella sostanza, signor Presidente del Consiglio, ossia sulle responsabilità. Sono figlie di logiche diverse e sicuramente alludono a idee opposte sulla modalità di gestione dei sequestri e sulla possibilità o meno di aprire trattative con il nemico.
Dalla versione italiana appaiono ovvie e persino clamorose le responsabilità americane, ma gli Stati Uniti d'America non possono permettersi la messa in discussione e in stato di accusa di un qualunque loro soldato impegnato in azioni di guerra. L'impunità è la condizione necessaria per garantire e tutelare il loro ruolo di governo per via militare nella fase attuale della globalizzazione. Non possono concedersi neanche un capro espiatorio, figurarsi l'individuazione di qualche responsabilità nella catena di comando militare!
Finora il Governo italiano ha tenuto un atteggiamento di totale subalternità agli interessi americani nell'area.
Nella cosiddetta coalizione dei volenterosi, che si va sempre più sgretolando - giorno dopo giorno, ormai, vengono determinati annunci di ritiro delle truppe di tanti paesi da quel territorio -, voi comunque siete stati i più fedeli alleati degli americani. Evidentemente, signor Presidente del Consiglio, tutto ciò non è servito a risparmiarci l'umiliazione e il dolore della morte di Calipari. Signor Presidente del Consiglio, Calipari era un eccellente, straordinario, servitore dello Stato. Non era certamente funzionale a nessun altro tipo di progetto politico, come lei qui oggi ha detto.
È tutto a posto per quello che è successo nel carcere di Abu Ghraib, figuriamoci se si tratta di fuoco amico in una notte di Bagdad! Quella pattuglia, messa lì ad attendere, pare, l'ambasciatore Negroponte, introietta la logica della guerra preventiva. Anche in un posto di blocco si spara preventivamente. Vi basta una telefonata di Bush per risolvere la controversia? Dai banchi di Forza Italia si dice che questa telefonata certifica il ruolo da protagonista ed il prestigio del nostro paese nel panorama internazionale e conferma che i rapporti tra Italia ed USA continuano ad essere saldi ed improntati alla reciproca lealtà e correttezza. L'incidente è chiuso, tutto come prima e pacche sulle spalle, signor Presidente del Consiglio?
La verità è che questa guerra è intollerabile, in tutte le sue manifestazioni! Questa guerra non è finita. Ogni giorno ci viene offerta una cronaca di conflitti ed un escalation di morti. Questa guerra continua! Fallisce in tutti i suoi obiettivi dichiarati. È intollerabile per il popolo iracheno, ma determina anche una corruzione delle relazioni internazionali. Dopo Abu Ghraib, e per l'Italia anche dopo la vicenda del Cermis, avremmo bisogno di una forte iniziativa politico diplomatica, che denunci l'omertà del Governo degli Stati Uniti d'America. C'è una extralegalità, che è eletta a sistema!
Esiste o meno un problema per l'intera comunità internazionale, signor Presidente del Consiglio, se uno dei suoi componenti si sottrae sistematicamente a regole che sono comuni? È chiaro ora perché gli americani non hanno mai sottoscritto il Protocollo per la Corte penale internazionale, tentando piuttosto un sistematico boicottaggio dello stesso, con accordi bilaterali? È un problema, per l'Europa, tutto ciò? E per l'Italia, che è stata sede di sottoscrizione di quel trattato, è o no un problema la permanente impunità delle responsabilità dei militari americani?
E voi del Governo come fate oggi a restare ancora nel pantano iracheno con le nostre truppe? Come fate a non abbandonare quel teatro militare? Noi abbiamo chiesto il ritiro immediato delle nostre truppe, da sempre. Abbiamo oggi depositato una mozione, che è aperta alla firma di tutti coloro che vogliono chiedere il ritiro immediato, per rendere ancora più cogente questa nostra volontà. Noi oggi vi chiediamo di ritirare quelle truppe e vi chiediamo anche: non sentite ora lesa anche la dignità e l'autonomia del nostro paese? Se non per pacifismo, signor Presidente del Consiglio - che immagino, come avete ripetutamente detto, non rientri nella vostra direttrice di iniziativa politica e nel vostro DNA -, almeno per spirito di sovranità, volete oggi ritirare quelle truppe dall'Iraq? Questo vi chiediamo, con grande determinazione e con grande forza!
E guardate che ve lo dice chi ha anche sostenuto un atteggiamento, che in qualche misura voi avete provato ad intraprendere, ovverosia una strada alternativa alla logica militare sulla vicenda degli ostaggi, riuscendo anche a conseguire alcuni risultati, ma è del tutto evidente che vi è un problema di dignità, di autonomia e di sovranità del nostro paese. Per le necessità pacifiste, per le necessità politiche e per la collocazione internazionale di questo paese, voi oggi dovreste ritirare le truppe! Non lo fate ed è questa la vostra più grande colpa (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e Misto-Verdi-l'Unione)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Armando Cossutta. Ne ha facoltà.
ARMANDO COSSUTTA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, lei ha esposto le conclusioni alle quali sono pervenute le autorità italiane e le suddette - lo abbiamo visto - sono nettamente diverse da quelle esposte dalle autorità americane. Vi sono due versioni clamorosamente opposte e l'opinione pubblica ne esce obiettivamente disorientata.
Un fatto è sicuro ed è che il fuciliere americano Mario Lozano ha ucciso l'alto funzionario italiano Nicola Calipari.
La domanda: lo ha ucciso per un tragico errore o lo ha ucciso perché lo doveva uccidere? Non lo sappiamo! Forse, lo potremmo sapere se i magistrati italiani potessero interrogarlo a fondo (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)!
ANTONINO LO PRESTI. Ai tempi del KGB dicevate queste cose!
NICOLÒ CRISTALDI. Vergogna!
ANTONINO LO PRESTI. Ai tempi del KGB facevate queste cose!
MAURA COSSUTTA. Fascista!
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, in Parlamento si possono liberamente esporre le proprie opinioni!
ARMANDO COSSUTTA. Posso parlare, signor Presidente?
PRESIDENTE. Prego, onorevole Armando Cossutta.
ARMANDO COSSUTTA. Ripeterò questa frase, perché desidero esprimerla con chiarezza.
Un fatto è sicuro ed è che il fuciliere americano Mario Lozano ha ucciso l'alto funzionario italiano Nicola Calipari.
Domanda: lo ha ucciso per un tragico errore o lo ha ucciso perché doveva ucciderlo? Non lo sappiamo!
GUSTAVO SELVA. È un'infamia!
MAURA COSSUTTA. Vergogna!
ARMANDO COSSUTTA. Potremmo saperlo, forse, se i magistrati italiani potessero interrogarlo a fondo, ma le autorità americane non lo permettono, perché i militari americani non sono processabili da nessuna magistratura del mondo! Mai, neanche quando compiono atti o reati tremendi, come la strage del Cermis di qualche anno fa! Non sono processabili neppure dal Tribunale internazionale de L'Aja, al quale gli Stati Uniti non hanno mai aderito e non intendono aderire.
Tra Italia e Stati Uniti è insorto un drammatico contrasto, che ha alle sue origini la totale avversione delle autorità americane circa le modalità dell'azione condotta dall'Italia per liberare Giuliana Sgrena, la presenza stessa dei servizi segreti italiani e le loro iniziative per la liberazione dei precedenti ostaggi.
Domanda: i servizi segreti americani volevano dare un segnale, una sorta di tragico stop al lavoro dei servizi italiani, là, in quei territori ed in quelle situazioni dove loro sono e vogliono essere padroni unici ed assoluti? Sono domande lecite e legittime.
I comandi americani in questo caso sapevano tutto. Ne erano stati informati e ne erano a conoscenza per conto loro.
È credibile che la più potente ed efficiente macchina da guerra del mondo si sia dimenticata di avvertire in tempo la squadra del fuciliere Lozano? Non è credibile!
È credibile che la più esperta organizzazione spionistica del mondo, la CIA, si sia dimenticata di schiacciare quel click che avrebbe impedito di mettere in chiaro le moltissime ed ostentatissime cancellature e di far leggere a tutto il mondo le parti antiitaliane più scabrose del suo rapporto che diceva di voler tenere nascoste? Non è credibile!
Comunque, Calipari è stato ucciso per un errore fatale o per una trappola mortale; di fronte ad una tale tremenda vicenda dovremmo accontentarci di prenderne atto e basta?
Come la mettiamo, signor Presidente del Consiglio, con questo affronto americano? Il Presidente Bush non le ha neppure chiesto scusa: tante pacche sulle spalle, ma fatti zero! È lei che ha scelto il rapporto privilegiato con gli Stati Uniti ed ha abbandonato l'Europa ed ora si trova solo, isolato dal mondo.
Come intende muoversi? Io non chiedo ovviamente decisioni estreme verso gli Stati Uniti, ma dignità, fine della sudditanza dell'Italia al dominio degli Stati Uniti e che l'Italia concretamente ritiri subito i suoi militari dall'Iraq non solo per ciò che è accaduto (anche per questo!), ma perché è ora di finirla con questa guerra che l'Italia non ha mai voluto e in cui non vuole più essere coinvolta né direttamente né indirettamente!
O vogliamo aspettare che siano prima gli stessi americani a venir via dall'Iraq, da una guerra che il mondo intero ha condannato?
Si dice persino che gli Stati Uniti sono andati in Iraq non per il petrolio, come sappiamo, non per il dominio di quella strategica zona geopolitica, non per cercare di distruggere le armi di sterminio che non esistevano, ma perché hanno il dovere di portare la democrazia dove non c'è e, quando occorra, anche con la forza.
Ciò è assurdo! La democrazia, onorevoli colleghi, va difesa, va estesa, ma non con questi mezzi. Da ragazzo mi avevano insegnato che la rivoluzione non si esporta sulla punta delle baionette, adesso mi si vorrebbe insegnare che la democrazia si può esportare sulla punta dei missili.
Basta signori del Governo, basta onorevoli colleghi, noi presentiamo oggi stesso, con altri gruppi della sinistra, una mozione per chiedere formalmente il ritiro immediato dei nostri soldati (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pisicchio. Ne ha facoltà.
PINO PISICCHIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ad un'Assemblea parlamentare corre l'obbligo di saper distinguere la umanissima emozione nei confronti del fedele servitore dello Stato dal soppesamento politico del tragico evento e delle sue conseguenze sul piano delle relazioni internazionali.
Se dal punto di vista della solidarietà umana il Parlamento rende omaggio a Nicola Calipari, interpretando i sentimenti della nazione, sul piano politico si interroga sui punti oscuri di un tragico incidente che, tuttavia, non è privo di responsabilità. Un tragico incidente le cui cause possono essere, certo, oggetto di interpretazioni diverse, ma il cui esito non diverge nella sostanza.
Vorremmo subito chiarire che in noi non alberga nessuna pregiudizialità ideologica nei confronti dell'operato del Governo, anzi, vorremmo mettere in guardia da tentativi di strumentalizzazione della vicenda in chiave antiamericana o per trarre indebite conclusioni sul ruolo dei servizi italiani.
Su due fatti, quindi, occorre fare chiarezza. L'alleanza con gli Stati Uniti e la qualità e la serietà dei servizi italiani sono fuori discussione, né l'uccisione di Nicola Calipari deve essere utilizzata come argomento per gettare un cono d'ombra sulla partecipazione italiana all'alleanza di pace.
Tuttavia, le risultanze dei due rapporti, quello americano e quello italiano, convergono sulle valutazioni finali, vale a dire sul fatto che non vi era intenzionalità nell'azione dei militari americani, non c'era dolo nell'omicidio, ma - si legge nel rapporto italiano - i militari erano stressati, disorganizzati, carenti nelle segnalazioni del posto di blocco, probabilmente avevano operato fuori dalle regole di ingaggio.
In ogni attività professionale che comporti rischio una tale sequenza di deficienze è negligenza grave. In una zona di guerra la negligenza di militari addetti alla sicurezza è colpa grave e lo stesso Presidente Berlusconi lo ha ammesso oggi. Per tale motivo non possiamo fermarci a registrare una divergenza di valutazioni nella dinamica delle azioni senza esigere che venga riconosciuta la responsabilità colposa dei militari americani dei quali, grazie ad Internet, conosciamo persino i nomi.
Si può essere alleati lealissimi, senza mai rinunciare ad esigere comportamenti rispettosi. È la regola che da De Gasperi, a Moro, ad Andreotti, a Craxi, ha sempre caratterizzato le relazioni di amicizia italo-statunitensi.
Noi, dunque, incoraggiamo il Governo italiano a tutelare le ragioni di un'amicizia con il popolo americano, ma insieme chiediamo che la regola e la lezione di grande dignità iscritte nella tradizione della politica estera italiana siano fatte proprie da questo Governo per la dignità del nostro paese, certamente, ma anche per la memoria del dottor Calipari.
Inoltre, vorrei ancora aggiungere un'altra notazione. Esiste un mistero tra i misteri della liberazione degli ostaggi in Iraq che riguarda la questione dei riscatti. Gli americani dichiarano che furono pagati 10 milioni di euro per la liberazione della Sgrena; inoltre, un'agenzia di stampa italiana ha fatto osservare, analizzando i conti delle missioni italiane, che diversi milioni di euro non avevano avuto destinazioni specifiche nel bilancio ufficiale, lasciando supporre che anche per altri ostaggi sia stato adottato il sistema di pagamento dei riscatti. Su questa delicata questione gli italiani hanno diritto di avere una parola finale, chiara e convincente. Noi, in quest'aula, ancora la stiamo attendendo.
Vorrei fare un'ultima considerazione. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha parlato oggi di un graduale disimpegno della presenza italiana in Iraq. Già ne ha fatto cenno lo scorso autunno e lo ha ripetuto oggi. Signor Presidente, prendiamo atto delle sue affermazioni e, tuttavia, le chiediamo di mettere mano ad una strategia concreta, aperta al confronto con l'opposizione, per dare esito compiuto
alle sue affermazioni. Siamo pronti a fare la nostra parte e attendiamo da lei una parola in questo senso a nome del Governo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Popolari-UDEUR).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pecoraro Scanio. Ne ha facoltà.
ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, la ricostruzione fatta dal Presidente del Consiglio dei ministri in aula è onestamente limitata e, soprattutto, assolutamente inadeguata...
Scusi, signor Presidente, ma in aula vi è un tale caos che non riesco a svolgere il mio intervento.
IGNAZIO LA RUSSA. Non c'è nessuno!
PRESIDENTE. Onorevole Pecoraro Scanio, mi dispiace, ma purtroppo esiste questa cattiva abitudine. Onorevoli colleghi, vi prego di ascoltare con l'attenzione che meritano l'oratore e il tema su cui ci stiamo confrontando.
ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, il problema è che alcuni colleghi urlano. Se parlassero a bassa voce non vi sarebbero difficoltà e potrei svolgere il mio intervento.
PRESIDENTE. Gli «urlatori» hanno avuto la loro epoca, adesso vanno di moda i «melodici»!
ALFONSO PECORARO SCANIO. Il problema da noi rilevato è che il Presidente del Consiglio è venuto in aula a darci notizie, limitandosi a considerare come una semplice discrepanza quello che in realtà è un problema molto grave. Infatti, era stato garantito lo svolgimento di un'inchiesta fatta da una commissione congiunta per l'accertamento della verità. Al contrario, il dato reale fornito è che, ad oggi, non abbiamo la verità sull'omicidio di Nicola Calipari. È questo il dato.
Il Governo è venuto ad illustrare una situazione che resta tuttora estremamente «ombrosa», a dir poco - comunque molto dubbia - soprattutto senza fornire alcuna garanzia su quali saranno le modalità per l'accertamento della verità. Infatti, ha riferito che la magistratura italiana svolgerà un'inchiesta senza però aggiungere a quali iniziative il Governo darà vita affinché tale inchiesta risulti efficace.
Sappiamo perfettamente che non è stata assicurata alcuna collaborazione da parte delle autorità statunitensi, tanto che gli stessi omissis, inseriti nella relazione americana per non rivelare i nomi, sono stati svelati solo da una circostanza che non è chiaro se attribuire ad una leggerezza o ad un altro pezzo di intrigo internazionale. Quindi, il dato esposto al Parlamento è quello del fallimento dell'azione del Governo che, nonostante l'annuncio di un'inchiesta congiunta che avrebbe assicurato la verità, è venuto a riferire in aula, attraverso il Presidente del Consiglio, che l'accertamento promesso non è stato fatto. Quindi, spetterà alla magistratura italiana, tuttavia priva di strumenti, dover rendere giustizia alla famiglia Calipari, all'Italia e alla comunità internazionale, quella stessa giustizia che fino ad oggi non solo non abbiamo visto, ma sulla quale non disponiamo neppure di elementi.
Peraltro, sulla base di notizie riportate da organi di informazione degli Stati Uniti, emerge addirittura il sospetto che coloro che hanno sparato sull'auto su cui viaggiavano Nicola Calipari, Giuliana Sgrena e l'altro ufficiale, potrebbero non appartenere alle truppe regolari americane ma alle cosiddette milizie private o guardie di sicurezza dell'organizzazione Blackwater, da sempre sostenuta dall'ambasciatore Negroponte. Dunque, negli Stati Uniti si apre addirittura un dibattito sul fatto che non si capisce se a sparare siano stati soldati americani o addirittura guardie private. Di fronte a questo caos, che ha portato alla presentazione di interrogazioni anche nel Parlamento statunitense, riteniamo eccessivamente semplificatorio quanto è stato affermato in questa sede.
In primo luogo, chiediamo un'azione del Governo italiano affinché il caso sia affrontato dalla Corte penale internazionale.
Siamo consapevoli del fatto che il Governo statunitense non riconosce l'autorità di tale Corte, ma riteniamo che non debba essere la magistratura italiana, che dispone di strumenti limitati, ad esaminare un caso così complesso e che si debba chiedere al Governo degli Stati Uniti di accettare, in via eccezionale, l'autorità della Corte penale de L'Aja, per questo caso specifico, dal momento che aveva precedentemente accettato la commissione congiunta. Riteniamo si tratti di una proposta saggia e chiediamo a tutte le forze politiche, in particolare dell'Unione del centrosinistra, di impegnarsi seriamente per l'accertamento della verità. Ci sembra che questa sia la via giusta per ottenere tale accertamento: di fronte a due diverse relazioni, una italiana e l'altra americana, quale istanza migliore se non la Corte penale internazionale, in cui l'Italia ha fortemente creduto, tanto che ieri abbiamo approvato la concessione di un contributo al suo funzionamento?
L'ultima considerazione riguarda il fatto che il Presidente del Consiglio ha continuato a parlare anche della permanenza delle truppe in Iraq. Ebbene, signor Presidente, onorevoli colleghi, l'azione che si sta conducendo in Iraq è un'azione di war keaping, di mantenimento della guerra, e non di peace keaping, perché ogni giorno vi sono decine e decine di morti in azioni di guerra. È dunque evidente, per quanto ci riguarda, che il dibattito di oggi deve essere aggiornato con un voto conclusivo. Chiederemo la convocazione della Conferenza dei presidenti di gruppo per stabilire il prosieguo del dibattito stesso, che non ha senso termini senza un voto del Parlamento, al quale verrebbe impedito di esprimere il proprio giudizio su questa gravissima vicenda. Presenteremo, auspicabilmente con tutte le forze dell'Unione di centrosinistra, una mozione per chiedere il rientro delle truppe italiane e l'affidamento alla Corte penale internazionale della competenza sul caso Calipari (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Unione).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Craxi. Ne ha facoltà.
BOBO CRAXI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo che il Governo italiano abbia svolto con un certo rigore e una certa professionalità il proprio compito, innanzitutto raggiungendo il felice risultato di salvare una vita umana, quella della giornalista Giuliana Sgrena, così come ha manifestato un certo coraggio nella volontà di fare luce sulla tragica vicenda che ha coinvolto il nostro servitore dello Stato, Calipari.
Ad ogni buon conto, questa vicenda ha messo in rilievo che non ci può essere la volontà di recidere il saldo legame di amicizia fra gli alleati, che non può essere messo in discussione, e il Presidente del Consiglio ha fatto bene a sottolinearlo. In ogni caso, non aiuta il raggiungimento della verità e l'accrescimento della dignità del nostro paese un certo antiamericanismo con toni da anni Cinquanta, che è riecheggiato stamane in quest'aula.
Naturalmente, però, una visione non condivisa dei fatti non può essere soltanto frutto di un distorto modo di vedere le cose: «quattro occhi» avrebbero dovuto vedere meglio di due. In questo caso la mancanza di volontarietà nell'accaduto non può, e non deve per nessuna ragione escludere responsabilità.
Vi sono evidenti responsabilità, e credo che il Governo debba sollecitare non più e soltanto l'accertamento della verità, ma anche l'ammissione delle responsabilità. In questo si rinsalda l'amicizia: se si rende con evidenza che alleanza e amicizia si fondano anzitutto sul carattere di reciprocità. Assieme queste due nazioni hanno lavorato sul difficile teatro iracheno. Certo, non è in discussione la nostra presenza lì oggi, ma è in discussione, oramai, il carattere progressivo di un estenuante conflitto civile fra fazioni ed etnie rivali, che non riesce a far rientrare l'Iraq in una condizione di normalità.
Ci dobbiamo domandare, allora, sino a quando, e soprattutto come, si pensa che in Iraq possa cessare quel precario, difficile equilibrio: come e senza il conforto di
una presenza occidentale. Se si preparano dei tempi lunghi, è allora bene saperlo e prepararci, così, a resistere ad un'eventuale prolungata presenza nell'area, sino a giungere alla consuetudine di una permanenza delle truppe straniere in Iraq.
È questa la volontà del Governo italiano? Io penso di no! E dovrebbe essere anche nell'interesse del Governo americano e della sua amministrazione iniziare a promuovere quella che ormai tanti osservatori definiscono la cosiddetta exit strategy, ossia una strategia d'uscita dall'Iraq.
È stata tirata in ballo in queste settimane un'analoga vicenda, in cui si registrò un forte contrasto fra il nostro Governo e l'amministrazione americana. Penso che, oggi come allora, su questioni che riguardano la salvaguardia della vita dei cittadini, il carattere di autonomia e di dignità nazionale, il Governo, gli italiani abbiano compiuto il proprio dovere sino in fondo: hanno, cioè, mantenuto alto il proprio senso dello Stato, la propria dignità, il senso della propria autonomia.
È per questo che il solenne riconoscimento all'eroe Calipari, giunto dal presidente Bush, dovrà coincidere con le scuse alla famiglia e con la punizione di chi ha fatto fuoco e ha strappato ai suoi cari una vita umana.
Ecco perché penso che una vicenda di questa natura segnali la necessità di un riordino, di un riequilibrio dei rapporti tra noi e gli Stati Uniti. Penso che tutto ciò, in quest'aula, dinanzi al sostegno politico necessario e ad una responsabilità maggiore, con le finalità di un nuovo equilibrio di pace, di stabilità e di cooperazione fra i popoli, non mancherà, non potrà mancare, e potrà venire dal Governo e dall'opposizione!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Martinelli. Ne ha facoltà.
PIERGIORGIO MARTINELLI. Signor Presidente, i gravi fatti di sangue che giornalmente avvengono in Iraq ci aiutano in parte a fornire una risposta sulle cause della tragica morte del dirigente del SISMI Nicola Calipari. L'ordine mai pervenuto ai militari di rimuovere il posto di blocco a tutela del passaggio dell'ambasciatore Negroponte (poiché rientrato in elicottero), unito alla tensione e allo stress dei militari costretti ad una lunga permanenza in zona a grande rischio di attentati, dai quali subiscono quotidianamente grandi perdite in vite umane, hanno contribuito a determinare questo grave incidente: evento non imputabile a dolo, ma sicuramente colposo.
Le parole del Presidente Bush, di stima, rivolte alla figura del compianto Calipari, si possono leggere come assunzione di responsabilità di quanto accaduto. Signor Presidente del Consiglio, riteniamo che a nome di tutto il Governo si debba fare chiarezza sul tragico episodio ed accertare tutta la verità, senza che ciò dia adito a strumentalizzazioni sui buoni rapporti di amicizia con il popolo americano.
La invitiamo ad attivarsi presso l'Unione europea per accelerare il completo trasferimento delle responsabilità militari nelle mani del nuovo Governo iracheno.
Concludo questo mio breve intervento, rinnovando alla famiglia il senso di profondo cordoglio.
PRESIDENTE. È così esaurita la trattazione dell'informativa urgente del Governo.
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