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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 21 febbraio 2005, n. 17, recante disposizioni urgenti in materia di impugnazione delle sentenze contumaciali e dei decreti di condanna.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Ghedini, ha facoltà di svolgere la relazione.
NICCOLÒ GHEDINI, Relatore. Signor Presidente, il decreto-legge che ci accingiamo ad esaminare prende le mosse da due decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo, la prima del 18 maggio del 2004, Somogyi contro Italia, la seconda del 10 novembre 2004, Sejdovic contro Italia.
Pur ribadendo la legittimità del procedimento contumaciale, le citate sentenze hanno ritenuto esistente una violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per quanto attiene al meccanismo che, nel nostro ordinamento, consente la restituzione nel termine.
Come sapete, l'articolo 175 dell'attuale codice processualpenalistico prevede l'obbligo, per l'imputato, di provare di non avere avuto effettiva conoscenza del provvedimento. Ciò fa sì che vi sia una sorta
di inversione dell'onere probatorio rispetto a quanto avviene nel sistema ordinario. In tal modo, sull'imputato viene a gravare un onere notevole. Il decreto-legge in esame ha inteso correggere questo aspetto, ponendo a carico dell'autorità giudiziaria l'onere di provare l'eventuale insussistenza della mancata conoscenza prospettata dall'imputato.
La sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 18 maggio 2004 ha anche posto all'attenzione dell'interprete la problematica del regresso, nella fase e nel grado, di colui che chiede la rimessione nel termine, per far sì che questi venga rimesso, appunto, in quella situazione di pienezza di poteri nella quale si sarebbe trovato se la vocatio in judicium fosse stata corretta.
Inoltre, si è ritenuto di semplificare ulteriormente le notifiche, facendo sì che al difensore di fiducia siano effettuate, ai sensi dell'articolo 157 del codice di procedura penale, le notifiche successive alla prima effettuata all'imputato.
La Commissione ha anche ritenuto, all'unanimità, di apportare ulteriori modifiche. Si è addivenuti, così, con la collaborazione di tutti i colleghi, ad un testo che appare equilibrato e che, in ossequio all'articolo 111 della Costituzione, effettivamente contempera le esigenze di massima garanzia con quelle di celerità del processo penale. Con gli emendamenti da ultimo presentati si è previsto che il giudice al quale spetta la cognizione della richiesta di restituzione nel termine rimette gli atti al giudice che procedeva al tempo in cui si è verificata una delle ipotesi di mancata vocatio.
Per quanto riguarda le notifiche, si è proceduto ad una maggiore razionalizzazione, anche in ossequio ad una sentenza non più recente della Corte costituzionale (se non erro, la n. 16 del 1994), secondo la quale il difensore può dichiarare di non accettare la notificazione quando il rapporto fiduciario sia venuto meno.
In sintesi (anche per non annoiare i colleghi che stanno chiacchierando!), credo si possa affermare che il decreto-legge in esame è assolutamente in linea con le richieste della Corte europea dei diritti dell'uomo e con le garanzie (in particolare, quella di cui all'articolo 111) della nostra Costituzione.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
LUIGI VITALI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.
PRESIDENTE. Sta bene.
Il primo iscritto a parlare sarebbe l'onorevole Bonito. Tuttavia, interverrà per primo l'onorevole Fanfani. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE FANFANI. Signor Presidente, un impegno mi costringerà ad assentarmi. Ritengo, dunque, un atto doveroso ringraziare la Presidenza e l'onorevole Bonito per questo scambio.
Condivido le osservazioni sviluppate dal relatore, onorevole Ghedini, vorrei aggiungere alcune brevi considerazioni.
Il provvedimento al nostro esame appare quanto mai opportuno, perché tende a colmare un difetto di civiltà giuridica, presente nel nostro ordinamento processual-penalistico, più volte oggetto di richiami e sollecitazioni da parte della Corte europea per i diritti dell'uomo, nonché ad adeguare il sistema processual-penalistico rispetto ad alcune necessità correttive ed al provvedimento approvato da questa Assemblea non più di due settimane fa e concernente il mandato d'arresto europeo e le procedure di consegna tra gli Stati membri.
In realtà, la necessità di intervenire in questa materia deriva innanzitutto dall'esigenza di adeguare l'ordinamento al disposto dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, laddove sancisce il diritto di ogni persona ad avere un processo equo, ma soprattutto (articolo 3) ad essere informato, nel più breve tempo possibile, sul processo a suo carico e a disporre del tempo necessario alla propria difesa.
Partendo da questo presupposto e dalla intangibilità di questo principio, la Corte per i diritti dell'uomo aveva più volte richiamato lo Stato italiano, condannandolo per gli inadempimenti che, in più occasioni, si erano verificati in alcuni processi in relazione all'avvenuta condanna di soggetti che non avevano potuto avere notizie certe del procedimento a loro carico ed alla difficoltà di regressione del processo nella fase in cui si era verificato questo vizio, dovuta ad una formulazione impropria dell'articolo 175, come è stato richiamato dal relatore, onorevole Ghedini.
In particolare, la Corte per i diritti dell'uomo aveva stabilito che «la violazione del diritto del ricorrente ad un equo processo trae la sua origine da un problema risultante dalla legislazione italiana nella materia del processo in contumacia e deriva dalla formulazione delle disposizioni del codice di procedura penale relativa alle condizioni di presentazione di una domanda di restituzione nel termine». Ciò per sostenere ulteriormente l'esistenza «nell'ordinamento giuridico italiano di una carenza, in conseguenza della quale ogni condannato in contumacia, che non sia stato informato in maniera effettiva della procedura a suo carico intentata contro di lui, potrebbe vedersi privato di un nuovo processo».
La Corte suggeriva allo Stato italiano il dovere di eliminare (cito ancora testualmente) «ogni ostacolo legale, che potrebbe impedire la restituzione nel termine per fare l'appello, alla rinnovazione del processo concernente ogni persona condannata in contumacia». Suggeriva, altresì, al nostro paese di «prevedere e disciplinare con misure appropriate una procedura ulteriore che possa assicurare la realizzazione effettiva del diritto alla riapertura della procedura (passaggio fondamentale di questa decisione), conformemente ai principi della protezione dei diritti enunciati nell'articolo 6».
Il secondo motivo che induceva ed induce vieppiù ad una modifica in tal senso è costituito dai principi introdotti con il nuovo mandato di arresto europeo, approvato da questa Assemblea due settimane fa.
Infatti, nell'articolo 18, lettera g) della proposta di legge approvata da questa Assemblea, di recepimento della decisione quadro relativa al mandato di arresto europeo, si stabilisce testualmente il diritto della corte di appello a rifiutare la consegna ove «dagli atti risulta che la sentenza irrevocabile oggetto del mandato d'arresto europeo non sia la conseguenza di un processo equo», richiamandosi così i principi generali di cui all'articolo 6. Soprattutto, poi, rileva l'articolo 19 là dove, tra le garanzie richieste allo Stato membro di emissione, al quale lo Stato membro può subordinare l'esecuzione del mandato di arresto, si fa espressamente riferimento alla condizione che l'autorità giudiziaria emittente fornisca assicurazioni, in caso di processi in contumacia ovvero di processi in absentia, considerate sufficienti a garantire alla persona oggetto del mandato di arresto europeo la possibilità di richiedere un nuovo processo nello Stato membro di emissione e di essere presente in giudizio.
Si comprende come, proprio da tali misure - i principi di cui all'articolo 6 al quale si è fatto prima riferimento e le varie pronunce dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, nonché il provvedimento varato anche dal nostro Stato in ordine alle procedure relative al mandato di arresto -, nascesse inevitabilmente una necessità di generale adeguamento. Adeguamento sia ai principi di ordine più ampio e generale sia alla normativa specifica già approvata in sede di recepimento della decisione quadro relativa al mandato di arresto.
Ecco perché, con tale premessa, il provvedimento del Governo, che pure presentava aspetti non proprio del tutto corrispondenti alle esigenze da noi avanzate, è comunque un provvedimento opportuno e, soprattutto, ritenuto adeguato alle nostre necessità, stanti le modifiche apportate con l'esame svolto in Commissione. Ciò, sia nella parte in cui si impone all'autorità giudiziaria di svolgere ogni necessaria verifica
al fine di accertarsi se effettivamente vi sia stata o meno una mancata conoscenza della parte richiedente il nuovo processo circa l'esistenza del procedimento penale, sia, soprattutto, nella parte in cui si cerca di ovviare alle censure della Corte europea stabilendo che colui che è stato processato a propria insaputa, ovvero in absentia, abbia diritto ad una regressione del processo alla fase nella quale il vizio si è verificato.
Nella sostanza, si tratta di una norma di civiltà; potrà prestarsi ad interpretazioni difformi o dar luogo a tensioni processuali, ma servirà certamente a rendere il nostro ordinamento più conforme ai principi generali in materia di tutela della dignità dell'uomo e, soprattutto, più aderente al principio generale secondo il quale non si può processare una persona senza che essa sia sufficientemente informata.
La valutazione che diamo del provvedimento, così come emendato dal lavoro svolto in Commissione, è dunque positiva.
PRESIDENTE. Mi è occasione gradita salutare il ministro delegato agli affari intergovernativi canadesi del Governo del Quebec, Pelletier (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Bonito. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BONITO. Signor Presidente, tra le materie giuridiche che a mio avviso sono più importanti e di interesse per l'operatore, oltre che per lo studioso, vi è certamente la storia del diritto, assunta ovviamente in tutte le sue multiformi articolazioni.
Faccio tale introduzione, affrontando la discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione del decreto-legge in materia di impugnazione delle sentenze contumaciali e dei decreti di condanna, giacché, attraverso il provvedimento in esame, viene evocato un istituto giuridico molto peculiare, particolarmente conosciuto dalla scienza giuridica del nostro paese e quasi sempre disconosciuto dalle scienze giuridiche degli altri paesi. Mi riferisco all'istituto della contumacia.
La contumacia, infatti, è non dico una precipua caratteristica del nostro ordinamento, ma un istituto che trova notevole applicazione all'interno del nostro paese, mentre in altri ordinamenti giuridici evoluti (europei e non solo) esso è scarsamente applicato, o risulta addirittura sconosciuto.
Il fatto è che proprio la storia del nostro ordinamento giuridico, vale a dire la storia del nostro processo penale, ci fa comprendere il motivo di tutto ciò, giacché l'istituto contumaciale è connesso, fuor di dubbio, ad una visione del processo penale né moderna, né democratica. Si tratta, infatti, di un istituto connaturato ad un processo penale d'altri tempi, definito processo inquisitorio. La contumacia, in effetti, caratterizza il processo penale in assenza dell'imputato, e ciò, di per sé, rende chiara ed evidente una contraddizione di fondo rispetto a principi costituzionali che, ormai, fanno parte della cultura non soltanto giuridica del nostro paese.
La contumacia, infatti, può essere assenza consapevole dal processo (ed in questo caso, è giusto che essa sia disciplinata in modo tale da consentire lo svolgimento del processo stesso), ovvero può caratterizzare un processo in cui la parte interessata (vale a dire l'imputato) nulla sa; di guisa che può accadere - ed accade effettivamente - che qualcuno venga condannato senza conoscerne il motivo, senza sapere che è stato condannato, senza sapere che è esistito un processo a suo carico e senza conoscere le ragioni dell'imputazione a suo carico.
Ciò è accaduto ed accade tuttora, e si tratta, fuor di dubbio (di qui, l'evocazione del dato storico), di un residuo di un processo penale che si definisce inquisitorio. Tale processo è caratterizzato proprio dal fatto che si possa non conoscere, nonché che il giudice possa valutare e giudicare senza aver ascoltato le ragioni difensive, se non attraverso le forme - assai attenuate per il diritto alla difesa - delle dichiarazioni di un difensore d'ufficio.
È questo il motivo per cui, anche se viviamo in un paese in cui il Parlamento, con una sistematicità ed una frequenza forse fuori del tempo, a più riprese si è occupato di questioni giudiziarie e nel quale la legislazione penalistica è soggetta, da tanti anni, ad una continua riscrittura, non dobbiamo stupirci se rimangono residui del passato e se, ancora una volta, l'Europa ci richiama per rivedere alcune norme del nostro ordinamento che, per l'appunto, mostrano, nella loro iniquità, tutta la loro vetustà e tutta la loro età.
Lo ha ricordato il relatore: due sentenze importanti della Corte europea per i diritti dell'uomo hanno posto al centro della nostra riflessione l'istituto della contumacia, giacché si sono verificate ipotesi in cui imputati risultavano condannati senza aver saputo nulla del processo a loro carico. La Corte europea ha ammonito il nostro paese, rilevando che non può essere principio processuale quello in forza del quale il contumace non possa essere restituito in termini per l'impugnazione, laddove abbia dimostrato la sua buona fede ed abbia giustificato la non conoscenza della vicenda processuale.
Se tale è stato il primo pronunciamento, come ricordava il relatore, nel secondo la Corte è stata ancora più severa, poiché ha ammonito il nostro paese a rivedere la propria legislazione interna e a consentire l'introduzione di un meccanismo effettivo per garantire il diritto delle persone condannate in contumacia ad ottenere un nuovo processo. Ebbene, ciò dispone il provvedimento al nostro esame e, una volta tanto, da parte dell'opposizione, in materia di politica del diritto, non si levano proteste, anche se qualche obiezione si potrebbe sollevare, soprattutto per ciò che riguarda il metodo del lavoro parlamentare. Questo decreto-legge ci è «piovuto» ad horas; ad horas è stato esaminato; ad horas è stato emendato; ad horas è stato discusso e sarà immediatamente approvato. Considerato, tuttavia, che la materia è largamente condivisa, occorre dire che anche questi «strappi» al regolamento, queste accelerazioni un po' sopra le righe rispetto alla disciplina regolamentare dei nostri lavori possono essere consentiti ed accettati.
Quest'intervento - per la verità, la relazione di accompagnamento al provvedimento non manca di porlo in evidenza - si appalesa necessario altresì sotto altro punto di vista: non solo per corrispondere al doveroso invito contenuto nel pronunciamento della Corte europea per i diritti dell'uomo, ma anche perché occorre rendere coerente la nostra legislazione penale in materia di processo contumaciale con il recente provvedimento approvato dal Parlamento che riguarda la decisione quadro sul mandato di arresto e l'inserimento nel nostro ordinamento di una disciplina che ha dato ossequio alla decisione quadro stessa. Menzionavo tale necessità giacché, come noto, la richiesta di estradizione semplificata potrebbe trovare ostacoli, sia per quanto riguarda la richiesta dal lato attivo, sia per quanto riguarda la ricezione dal lato passivo, proprio con riferimento alla nostra insufficiente - insufficiente sotto l'aspetto delle garanzie - disciplina in tema contumaciale. Ciò perché, giustamente, altri paesi europei, rispetto ad una nostra richiesta di mandato di arresto, ossia di estradizione semplificata, ben potrebbero opporre, sulla base delle loro legislazioni interne, l'insufficiente disciplina, sotto l'aspetto della tutela delle garanzie, del nostro processo contumaciale.
Questa è un'altra ragione - e non di poco conto - per la quale il provvedimento al nostro esame è giustificato. Quanto al suo contenuto, occorre dire che la proposta iniziale governativa è stata opportunamente migliorata - a nostro avviso - dal lavoro del relatore, che ha avuto l'accortezza e la sensibilità di rappresentare per tempo una serie di integrazioni e di soppressioni, ossia una serie di interventi emendativi sicuramente migliorativi del testo, che l'opposizione ha avuto modo di esaminare e di discutere con lui, accettandoli, così come accetterà l'intero provvedimento nel momento del voto.
Per tutte queste ragioni, noi voteremo favorevolmente su questo provvedimento che, lo ribadisco, riteniamo giusto ed opportuno.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
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