Allegato B
Seduta n. 484 del 5/7/2004
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INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA
RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA
BALDI. - Al Ministro delle attività produttive, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
lunedì 3 novembre 2003 ha avuto inizio la sperimentazione delle nuove modalità di controllo telematico dell'accesso alla zona a traffico limitato del comune di Firenze, mediante il sistema elettronico denominato telepass-Ztl;
il sistema prevede a regime quindici porte telematiche attraverso le quali sarà consentito l'accesso alla zona a traffico limitato solo a coloro i quali saranno in possesso dell'apposito dispositivo elettronico di riconoscimento;
la nuova disciplina implica una tariffazione per l'accesso e la circolazione nella zona a traffico limitato, cosicché anche coloro i quali hanno comunque diritto ad accedere alla predetta zona - siano essi residenti, operatori economici ovvero appartenenti alle forze dell'ordine, alla magistratura o ad altre categorie abilitate - dovranno corrispondere all'amministrazione comunale o alla società concessionaria determinati corrispettivi e tariffe;
la drastica restrizione alla circolazione degli autoveicoli nel centro storico di Firenze, attuata dal comune con l'introduzione delle porte telematiche, oltre a comportare vincoli ed ostacoli eccessivi alla mobilità dei cittadini, produrrà inevitabilmente un forte danno, anche sotto il profilo della concorrenza, alle attività commerciali ed artigianali localizzate nel centro storico della città che costituiscono la spina dorsale dell'economia fiorentina;
la nuova disciplina suscita notevoli preoccupazioni nelle diverse categorie economiche e commerciali fiorentine, dal momento che essa appare suscettibile di incidere negativamente sulle attività aventi sede all'interno della zona a traffico limitato che, oltre a rappresentare un'importante tradizione storica e culturale della città, ne costituiscono una delle principali risorse economiche e produttive;
nell'attuale situazione economica generale del Paese, che ha ovviamente i suoi riflessi anche nella città di Firenze, questa decisione della giunta comunale rappresenta una penalizzazione per l'economia e l'immagine della città, oltre che un peggioramento della qualità della vita dei cittadini -:
quali iniziative di carattere legislativo intendano assumere i Ministri interrogati in relazione alla disciplina di accesso ai centri storici delle città italiane ed all'esigenza di garantire un'adeguata tutela alle attività economiche, in particolare commerciali, che hanno la propria collocazione nell'ambito di tali aree.
(4-07943)
Risposta. - In merito all'interrogazione in argomento, si rappresenta che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si
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occupa delle omologazioni dei dispositivi di controllo dell'accesso alle zone a traffico limitato (Z.T.L.) valutandone gli aspetti tecnici e funzionali.
Successivamente alla omologazione che viene rilasciata alla ditta produttrice, il comune che intende installare un sistema omologato chiede al ministero delle infrastrutture e dei trasporti l'autorizzazione all'esercizio di tali impianti.
Nella domanda relativa devono essere indicati, tra l'altro, gli obiettivi che il comune intende perseguire. L'autorizzazione viene rilasciata previa verifica dell'omologazione delle apparecchiature e della compatibilità con gli obiettivi indicati, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 250 del 1999.
Nel caso specifico di Firenze, si comunica che con decreto dirigenziale n. 897 del 19 giugno 2003 sono stati autorizzati l'installazione e l'esercizio dell'impianto per la rilevazione degli accessi di veicoli alla zona a traffico limitato del centro storico della città.
È compito dei comuni decidere come gestire l'accesso alle Z.T.L. e adottare le eventuali tariffazioni previste dall'articolo 7 del codice della strada in coerenza con le direttive impartite dall'allora Ministero dei lavori pubblici con circolare 21 luglio 1997, n. 3816.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Mario Tassone.
BALLAMAN. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. - Per sapere - premesso che:
il 13 gennaio 2004 si è verificato un allarme radioattività all'interno delle Acciaierie Beltrame di Vicenza;
stando alle prime approssimative informazioni la causa di questo allarme radioattività potrebbe essere una sorgente di Cesio 137 presente in materiale medico dismesso finito nell'altoforno dell'acciaieria o parte di un impianto industriale finito assieme ad altre tonnellate di materiale di sostanze ferrose nell'altoforno;
il cesio 137 è presente anche nel materiale di scarto delle centrali nucleari;
al momento della scoperta della radioattività, il 13 gennaio, i valori rilevati, a quanto riportato dalle agenzia di stampa, sono stati di 25 kilobequerel per kilogrammo;
il giorno successivo i valori riportati dalle agenzie erano di 2/2,5 microsievert/ora, un dato venti volte superiore a quello standard ma molto inferiore a quello riportato il giorno prima;
160 lavoratori, sempre secondo le agenzie di stampa, sono stati messi in cassa integrazione a causa della bonifica che necessariamente dovrà essere effettuata nell'area;
è assolutamente necessario che si concluda al più presto l'inchiesta della magistratura per accertare da dove provenga il materiale radioattivo, per quali motivi sia arrivato alle acciaierie e come abbia fatto a superare i controlli -:
se sia a conoscenza dell'esatto grado di radioattività presente;
quali strumenti si intendano adoperare in futuro al fine di garantire la sicurezza ai lavoratori e ai cittadini residenti in aree limitrofe ad acciaierie che lavorano materiali di recupero.
(4-08544)
Risposta. - In base a quanto comunicato dalla prefettura - ufficio territoriale del governo di Vicenza, il 12 gennaio 2004 è stata fusa all'interno del forno dell'acciaieria «A.F.V. Beltrame» di Vicenza una sorgente radioattiva di Cesio 137, sfuggita ai controlli predisposti in fase di ingresso, a causa della presenza della schermatura.
L'evento è stato rilevato il mattino seguente, durante il monitoraggio delle polveri di abbattimento dei fumi in uscita dall'unità dell'impianto; il direttore dello stabilimento, pertanto, ha provveduto a far ultimare la fusione ancora in corso, a
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mettere in sicurezza la linea di fusione e a inibire l'accesso ai dipendenti.
Venivano informati di quanto accaduto l'Unità operativa agenti fisici dell'ARPAV di Vicenza, i vigili del fuoco, l'U.L.S.S. n. 6 «Vicenza» e la prefettura.
L'ARPAV e i vigili del fuoco avviavano immediatamente gli interventi provvisori di messa in sicurezza dello stabilimento.
Era, in particolare, chiesta la collaborazione dell'ARPAV per l'individuazione e la quantificazione della contaminazione radioattiva.
Nel pomeriggio del 13 gennaio, personale tecnico ARPAV di Vicenza e Verona, facente parte della squadra di pronta disponibilità per le emergenze radiologiche della regione Veneto, effettuava misurazioni delle radiazioni all'interno dello stabilimento «A.F.V. Beltrame».
In serata, il prefetto di Vicenza convocava, per valutare la situazione, una riunione a cui hanno preso parte il sindaco di Vicenza, il questore, i comandanti provinciali dei carabinieri e dei vigili del fuoco, il direttore ed esperti dell'ARPAV, il direttore del servizio igiene dell'U.L.S.S. in questione ed il responsabile dello stabilimento.
In base ai primi accertamenti effettuati, è emersa l'assenza di contaminazioni all'esterno dello stabilimento e, quindi, di pericoli per la popolazione, mentre all'interno, è stata individuata una zona inquinata, corrispondente alla linea di fusione dell'acciaio e di abbattimento dei fumi, per la presenza di Cesio 137 in quantità di circa 25.000 Bq/Kg nelle polveri.
Fin dal pomeriggio dello stesso giorno è stato disposto il blocco del ciclo produttivo della fusione dell'acciaio, con contemporanea messa in cassa integrazione di 160 operai addetti all'impianto interessato; il numero è salito a circa 450 dipendenti dalla domenica successiva, quando è stato arrestato anche il ciclo produttivo della laminazione.
I lavoratori dello stabilimento sono stati tenuti costantemente informati su ogni sviluppo della situazione, sia dalla direzione aziendale sia da un rappresentante sindacale che ha costantemente partecipato agli incontri tenuti in prefettura.
Per quanto riguarda gli aspetti sanitari, sono stati prontamente identificati otto operai che potevano essere venuti a contatto con le polveri contaminate, ai quali veniva subito comunicata la necessità di sottoporsi agli accertamenti medici secondo uno specifico protocollo di controllo dell'U.L.S.S. n. 6 di Vicenza con la collaborazione dell'A.R.P.A.V.; inoltre, sono stati invitati tutti i lavoratori ad effettuare gli esami medici prescritti, qualora ne avessero fatto richiesta.
Sette dipendenti non sono stati interessati da alcuna contaminazione interna, mentre, per l'ultimo, i valori riscontrati hanno evidenziato una modestissima introduzione di Cesio, che è rimasta, comunque, entro valori cento volte inferiori a quelli che la legge dispone come ammissibili.
La relazione redatta successivamente dal competente dipartimento della prevenzione ha escluso che «la popolazione abbia subito variazioni rispetto ai valori di fondo di radioattività».
La situazione è stata costantemente seguita, fin dal primo momento, con l'ausilio di un'apposita commissione tecnica nominata con decreto prefettizio in data 21 gennaio 2004; ne fanno parte tecnici dell'agenzia protezione ambiente e territorio (A.P.A.T.) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, dei vigili del fuoco di Vicenza e del dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell'interno, dell'A.R.P.A.V. e dell'U.L.S.S. n. 6, e ha il compito di esaminare il progetto per la bonifica dell'area interessata e per lo stoccaggio ed il temporaneo deposito, all'interno dell'azienda, delle polveri contaminate; deve, inoltre, esprimere i pareri tecnici necessari per tutte le eventuali determinazioni da adottare ai sensi della normativa vigente.
Per quanto riguarda gli interventi per la decontaminazione e la messa in sicurezza dei materiali contaminati, la Commissione in questione ha esaminato ed approvato il piano preliminare di intervento di bonifica, stoccaggio e deposito temporaneo, all'interno dello stabilimento, delle polveri contaminate (circa 250 tonnellate) presentato dall'azienda; ha richiesto,
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tuttavia, modalità di esecuzione degli interventi più puntuali e ha formulato rilievi ed osservazioni circa l'individuazione dell'area destinata allo stoccaggio, per la quale è stata anche prospettata una proposta alternativa.
Il coordinamento tecnico, la sovrintendenza ed il controllo di tutte le attività finalizzate alla bonifica delle aree interessate ed alla messa in sicurezza delle polveri contaminate, sono stati affidati, ai sensi dell'articolo 126-bis del decreto legislativo 26 maggio 2000, n. 241, al comandante provinciale dei vigili del fuoco di Vicenza sulla base di indicazioni fornite dalla commissione tecnica.
Per quanto concerne la ripresa dell'attività produttiva, dopo il reperimento sul mercato della materia per la ripresa del ciclo della laminazione, dal 2 febbraio ultimo scorso circa 260 operai, nei cui confronti sono stati revocati i provvedimenti di messa in cassa integrazione, sono tornati al lavoro.
Riguardo alla protezione della popolazione, in caso di contaminazione radioattiva comportante un significativo incremento del rischio di esposizione, il decreto legislativo n. 230 del 17 marzo 1995 prevede, a carico dell'esercente, l'adozione di misure idonee per evitare l'aggravamento del rischio, con obbligo di comunicazione al prefetto, territorialmente competente, e agli organi del servizio sanitario nazionale, i quali, in rapporto al livello di rischio determinatosi, informano l'Agenzia nazionale protezione ambiente (ANPA); non è prevista alcuna informativa al Ministero della salute.
Con riferimento al quesito sugli strumenti che consentono una maggiore sicurezza per i lavoratori ed i cittadini, residenti in aree limitrofe ad acciaierie, si segnala che il Ministero della salute, per evitare che eventuali sorgenti di radiazioni possano finire, per motivi accidentali o dolosi, in rottami ferrosi destinati a fonderie, con la circolare n. 30/1993 ha prescritto che i rottami ferrosi importati vengano sottoposti a controlli per la rilevazione di eventuale radioattività.
L'articolo 157 del decreto legislativo citato dispone che gli operatori del settore effettuino una sorveglianza radiometrica, per l'individuazione di eventuali sorgenti dismesse e rimanda ad un decreto ministeriale l'individuazione delle condizioni di applicazione della sorveglianza radiometrica sui materiali.
Lo schema di tale provvedimento è stato predisposto da questa Amministrazione ed è stato trasmesso alle valutazioni dei Ministeri di cui è necessario il concerto (Ministero delle attività produttive, del lavoro e delle politiche sociali e dell'ambiente e della tutela del territorio).
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Guidi.
BULGARELLI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
in numerose basi militari USA e NATO in Italia, tra queste quella di Camp Darby e Ghedi, sono presenti armamenti nucleari che il documento ufficiale National Security Strategy, del 1997, definisce «forze nucleari strategiche che costituiscono un'assicurazione vitale per un futuro incerto, una garanzia dei nostri impegni per la sicurezza degli alleati ed un deterrente per coloro che contemplino l'acquisizione o lo sviluppo di loro arsenali atomici»;
la «Direttiva 60» promulgata dal Presidente Clinton, prevede che le armi nucleari sub-strategiche dislocate in Italia e in Europa possono essere impiegate «contro soggetti o gruppi non presenti al livello istituzionale di Stato, contro i loro centri operativi che dispongano di mezzi atomici di distruzione di massa»;
la «Direttiva 60» è stata integrata nella precedente strategia dell'Alleanza senza essere sottoposta all'approvazione dei Parlamenti dei paesi alleati e ciò pone un problema interpretativo rispetto all'istituto della cosiddetta «co-decisione»;
nella base di Ghedi, ad esempio, sono dislocati aerei di tipo Tornado i cui piloti
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vengono addestrati all'impiego dei missili a testata nucleare custoditi nei Weapons storage and security sistems (WS3) della base, rispetto all'utilizzo dei quali non è chiara la catena di comando chiamata a decidere;
secondo le decisioni prese a Glenneagles dal Nuclear Planning Group della NATO «una particolare considerazione verrà estesa bilateralmente dagli Stati Uniti ai Governi eventualmente coinvolti nell'impiego di armi atomiche»;
tuttavia, a parere di alcuni esperti militari, rimarrebbe tuttora in vigore la direttiva enunciata nel 1964 dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale Charles E. Johnson che recita: «Conseguentemente all'impegno NATO su modalità nucleari della difesa comune, gli alleati non nucleari dell'alleanza in caso di guerra assumono a tutti gli effetti il ruolo di potenze nucleari» -:
se, in caso di proclamato stato di emergenza o di guerra l'utilizzo di dispositivi nazionali, con gli aerei Tornado delle basi di Aviano o Ghedi, sia sottratto ai poteri decisionali dei rispettivi Governi e spetti viceversa unicamente ai comandi USA in Europa.
(4-05657)
BULGARELLI. - Al Ministro della difesa, al Ministro per gli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
presso le basi militari di Ghedi ed Aviano sono stoccate, fin dagli anni sessanta, alcune decine di ordigni termonucleari; gli ordigni sono di tipo B-61, un'arma tattica con testata di potenza variabile tra 0,3 e 300 chilotoni, conservati in bunker di tipo Ws3;
il munizionamento nucleare viene gestito da un'unità speciale statunitense, lo 831 squadrone supporto munizionamento, agli ordini diretti ed esclusivi dello Stato Maggiore U.S.A.; tale unità è anche l'unica ad avere accesso ai bunker dove le testate sono custodite e, più in generale, a garantire la manutenzione degli ordigni -:
quali siano le precauzioni adottate per la custodia in sicurezza degli ordigni termonucleari stoccati nelle basi militari di Ghedi e di Aviano, insediamenti molto vicini a grandi centri abitati che, nell'eventualità di un'esplosione accidentale, ne verrebbero devastati;
in base a quali accordi o convenzioni, il personale militare italiano presente nella base è stato esautorato da ogni tipo di responsabilità decisionale riguardo alla manutenzione e all'eventuale utilizzo bellico degli ordigni termonucleari presenti nelle basi di Aviano e Ghedi.
(4-05686)
Risposta. - La dislocazione di forze Nato e di forze appartenenti agli Stati Uniti d'America sul territorio nazionale si inquadra nel complesso degli impegni assunti dall'Italia nell'ambito delle alleanze e degli accordi internazionali, in ragione di decisioni assunte in passato, ribadite nel tempo e condivise dalla stragrande maggioranza del Parlamento.
Per l'utilizzazione delle basi e dello spazio aereo nazionale, non vige alcuna condizione di extraterritorialità, permanendo allo Stato italiano, la legittimazione ad esercitarvi la piena sovranità.
In tale contesto, le basi, come porzione di territorio nelle quali operano complessi militari, non appartengono, dunque, alla Nato o agli Stati Uniti d'America: le relative installazioni sono date in uso alle forze militari, mentre la sovranità nazionale non è in nessuna maniera messa in discussione.
I restanti elementi richiesti dall'onorevole interrogante su dottrina, sistemi d'arma e procedure di comando e controllo sono riportati in documenti caratterizzati da un'elevata classifica di segretezza e, pertanto, ai sensi della legge n. 801/1977 che disciplina il segreto di Stato non sono divulgabili.
Il segreto militare, su aspetti che inglobano dati sensibili sulle infrastrutture, i compiti, la distribuzione di uomini e mezzi, le articolazioni di comando nelle basi e le disposizioni sui rapporti fra le Autorità militari italiane, Nato e quelle statunitensi è una normale precauzione in quanto la
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diffusione indiscriminata di informazioni sui propri strumenti di difesa è, a ragione, considerata da tutti gli Stati una fonte di rischio.
È da rimarcare, comunque, che gli impegni assunti dall'Italia nell'ambito delle alleanze e gli accordi stipulati su base di assoluta pariteticità e reciprocità garantiscono, essi stessi, la tutela delle prerogative di sovranità nazionale sulle questioni sollevate.
Il Ministro della difesa: Antonio Martino.
BULGARELLI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da varie agenzie di stampa in data 6 novembre 2003, nei giorni precedenti all'attacco americano all'Iraq il governo di Bagdad avviò una serie di trattative segrete con esponenti dell'amministrazione Usa e della Cia tese a scongiurare il conflitto;
secondo quanto riportato dalle agenzie, il governo irakeno tentò di raggiungere un accordo con quello degli Stati Uniti attraverso un uomo d'affari americano di origini libanesi, Imad Hage, al quale i servizi segreti di Bagdad avrebbero affidato il compito di convincere il governo Usa a effettuare ulteriori ricerche, senza limitazioni, sulla presenza di armi di distruzione di massa;
il governo irakeno avrebbe inoltre offerto a Washington la consegna di un uomo ricercato per il primo attentato contro il World Trade Center nel 1993, Abdul Raman Yasin, sul cui capo pendeva una taglia di 25 milioni di dollari; tramite un altro americano di origini libanesi che lavorava al Pentagono, lo stesso Hage ebbe un incontro a Londra con Richard Perle - confermato da quest'ultimo - al quale rinnovò l'invito delle autorità irakene agli Usa di trovare una soluzione per evitare l'esplodere del conflitto;
secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, che riprendono un lungo servizio del New York Times, Perle si sarebbe dimostrato disponibile a riferire dell'iniziativa di Hage al Pentagono, pur non essendo convinto della bontà della proposta, ma sarebbe stato dissuaso dalla Cia che gli comunicò di aver intrapreso già trattative con esponenti irakeni, con i quali furono organizzati vari incontri, almeno uno dei quali a Roma, come confermato dagli stessi funzionari dell'ambasciata Usa; tali incontri non ebbero alcun esito e il 20 marzo 2003 iniziò l'attacco Usa contro l'Irak -:
se il nostro Governo sia stato messo a corrente delle trattative intercorse nelle settimane antecedenti l'aprirsi delle ostilità e, in caso affermativo, per quale motivo non abbia ritenuto opportuno riferire alle Camere della loro esistenza e della loro natura.
(4-08006)
Risposta. - Il Sismi ha segnalato che dalle ricerche esperite presso le competenti articolazioni del Servizio non sono emersi riferimenti in merito alle trattative citate dall'interrogante.
Il Sisde a sua volta, ha sottolineato che il «mediatore» attraverso il quale, lo scorso anno, prima dell'avvio delle operazioni belliche in Iraq, era stato propiziato dal Servizio un incontro tra i vertici dell'intelligence irachena - che l'avevano richiesto - con i locali rappresentanti della CIA, allo scopo di scongiurare un intervento militare, non si identifica con il cittadino americano, di origini libanesi, citato nell'atto di sindacato ispettivo in oggetto.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento: Carlo Giovanardi.
BULGARELLI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. - Per sapere - premesso che:
in un articolo dal titolo «Quei jet Alitalia sono all'uranio» apparso ne la Repubblica il 4 gennaio 2001 il portavoce
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delle compagnie aeree straniere di Malpensa, Osvaldo Gammino, ha dichiarato che l'uranio impoverito è usato come contrappeso sugli aeromobili civili, come era stato denunciato dalle Rdb protezione civile dei vigili del fuoco nei comunicati stampa del 2 dicembre 1999 e del 9 febbraio 2000;
la denuncia dell'organizzazione sindacale riguardava in particolare il comportamento della Direzione Generale della protezione civile e dei servizi antincendi per la mancata informazione sui potenziali rischi nel caso di interventi di soccorso in presenza di uranio impoverito e sulla inadeguatezza dei mezzi e dell'equipaggiamento di protezione individuale;
si sottolinea altresì il grave silenzio delle case costruttrici che non avevano mai segnalato l'utilizzo di questo materiale e della sua pericolosità;
nell'articolo sopracitato il portavoce delle compagnie aeree straniere di Malpensa afferma che le sostituzioni dei contrappesi all'uranio con quelli al tungsteno è avviata, ma dalle dichiarazioni è evidente che ancora molti aerei sono «pericolosi»;
le Rdb dei vigili del fuoco hanno poi denunciato che quasi tutte le loro azioni volte alla raccolta delle informazioni necessarie ad una corretta pianificazione per fronteggiare un eventuale disastro ambientale che si verificherebbe se l'U.I. rimanesse coinvolto in un incendio, non hanno prodotto risposte dalle amministrazioni preposte dello Stato;
in particolare l'ANPA, su precisa richiesta espressa in termini di legge, avrebbe a lungo rifiutato di fornire informazioni sull'ubicazione dell'U.I. ai lavoratori che sono deputati ad intervenire a tutela anche dei cittadini contribuenti e dell'ambiente e solo di recente l'ARPA ha dichiarato di essere a conoscenza della presenza di U238 sugli aerei e della sua capacità di contaminazione dell'ambiente e delle persone in caso di incidente -:
se il Governo non consideri l'utilizzo «civile» di uranio impoverito (aeronautico, navale, ospedaliero eccetera), incompatibile con la pubblica sicurezza;
se non si reputi la presenza di U.I. costituire pericolo tale da richiedere, quantomeno, le indispensabili informazioni e mezzi agli operatori coinvolti da eventuali incidenti e se non si ritenga di dover stigmatizzare evidenti ritardi omissori intervenuti in tal senso;
se, per una maggiore sicurezza dei cittadini e dei lavoratori, vista, ad avviso dell'interrogante, la cattiva informazione da parte delle case aeronautiche in materia, non si reputi necessario che il ministero dei Trasporti autorizzi l'atterraggio in Italia solo agli aerei muniti di certificati di sostituzione dei contrappesi.
(4-08920)
Risposta. - In merito alle problematiche evidenziate con l'atto ispettivo in argomento, l'Enac - Ente nazionale per l'aviazione civile - cui sono state richieste informazioni, fa presente che non risulta che alcun operatore italiano operi attualmente con aeromobili in cui sia stato installato l'uranio impoverito.
Nell'aviazione civile, infatti, detto materiale è stato utilizzato nella costruzione delle masse di bilanciamento delle superfici di controllo dei primi aeroplani di grosse dimensioni quali ad esempio il B747DC 10.
L'Uranio238 prima di essere impiegato, veniva trattato con lavorazioni superficiali quali la placcatura al nichel cadmio e la verniciatura al fine di evitare che potesse essere attaccato da agenti esterni e potesse disperdere polveri nell'ambiente.
Per quanto riguarda la richiesta di autorizzazione all'atterraggio in Italia dei soli aeromobili il cui operatore dichiari di non installare sui medesimi masse di bilanciamento costruite con uranio impoverito, l'ENAC non ravvisa motivazioni tecniche o risultanze relative ad esperienze di servizio che possano far intravedere un pericolo di contaminazione a causa di eventuali incidenti e, quindi, tali da giustificare eventuali provvedimenti restrittivi.
Il Ministero della salute, per quanto di competenza, riferisce che secondo la legislazione italiana, l'uranio impoverito è un
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materiale radioattivo e, pertanto, ricade sotto le prescrizioni stabilite dal decreto legislativo n. 230/1995 contemplante diversi adempimenti di legge. Il primo adempimento riguarda la denuncia di detenzione di detto materiale che, ai sensi dell'articolo 22 del citato decreto legislativo n. 230/1995 deve essere fatta entro 10 giorni agli organi del servizio sanitario nazionale competente per territorio, al comando dei Vigili del fuoco e dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (ANPA), nonché all'ispettorato del lavoro. Oltre a ciò, ai sensi dell'articolo 23 dello stesso decreto legislativo e dell'articolo 3 della legge 1860 del 31 dicembre 1962, occorre inoltrare una denuncia anche al Ministero dell'industria (ora Ministero attività produttive) entro il termine di cinque giorni e tenere la contabilità di tale materiale.
Per quanto concerne i contrappesi montati sugli aeromobili, la normativa in materia prevede una parziale esenzione. Infatti la legge n. 1008 del 19 dicembre 1969 e il decreto interministeriale dell'industria di concerto con la Sanità del 15 dicembre 1970 stabiliscono varie esenzioni agli obblighi di denuncia di detenzione tra cui anche per «uranio naturale o impoverito contenuto nei contrappesi per aeromobili installati, immagazzinati o in fase montaggio o smontaggio» (articolo 1 comma 7 del citato decreto ministeriale 5 dicembre 1970).
Resta, comunque, l'obbligo di tenuta della, contabilità di tale materiale come già precisato in precedenza e, naturalmente, anche di tutte le prescrizioni radioprotezionistiche vigenti per i lavoratori e la popolazione (capo VII e capo IX del decreto legislativo n. 230/1995).
Per quanto concerne i rischi per la salute rappresentati da questi dispositivi, dovrà essere osservata una certa cautela dagli addetti alla manutenzione degli aeromobili.
I livelli di precauzione necessari possono variare anche molto in considerazione delle mansioni previste e devono comunque essere valutati dall'esperto qualificato (ex decreto legislativo n. 230/1995). Le valutazioni di rischio eseguite dall'esperto qualificato devono trovare posto nell'ambito delle valutazioni previste dal decreto legislativo n. 626/1994.
A detta del Ministero della salute, il problema relativo all'utilizzo dell'uranio impoverito come contrappeso nell'industria aeronautica è probabilmente destinato a un progressivo anche se lento ridimensionamento poiché l'orientamento attuale, in ambito nazionale, prevede la sostituzione dei contrappesi ossidati di uranio impoverito con quelli del tungsteno. Per gli aerei esteri la soluzione potrà essere trovata solo in ambito internazionale, decidendo eventualmente la messa al bando di questo materiale per gli usi aeronautici.
Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio fa conoscere, invece, che l'uranio il cui tenore in massa di U235 sia inferiore al normale che è di circa 0,72 per cento, è denominato uranio impoverito o depleto ed in forma di metallo ha trovato applicazione in campo civile in ragione della densità elevata (19g/cm3) e del costo relativamente basso. Esempi di tali applicazioni sono: le schermature delle sorgenti radioattive quali le testate di apparecchi per terapia con Co60 e i contrappesi per taluni tipi di aereo.
Lo stesso Ministero pur ribadendo quanto già detto dal Ministero della salute sia in merito alle esenzioni dagli obblighi di denuncia da parte dei detentori di tale materiale ai sensi delle citate normative, sia in merito all'osservanza delle norme di radioprotezione, fa presente, tuttavia, che nessun esonero è invece previsto per quanto concerne la tenuta della contabilità che deve essere effettuata nei modi e per le quantità stabilite dal Ministero dell'industria con il relativo decreto del 4 novembre 1982.
Tuttavia, al fine di ottenere informazioni utili alla individuazione di tutte le aziende italiane che detengono ed utilizzano uranio impoverito, sia in ambito aeronautico che in altri ambiti, la rappresentanza sindacale di base protezione civile - coordinamento provinciale di Varese ha rivolto al consiglio di amministrazione dell'ex ANPA (attuale agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici - APAT -) in data 15
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marzo 2000 una apposita richiesta peraltro inoltrata anche alla Procura della Repubblica.
La motivazione della richiesta era che tutti i dipendenti operativi del corpo nazionale dei vigili del fuoco fossero in grado di adottare «idonee tattiche di intervento ed autoprotezionistiche» nel caso di situazioni incidentali nelle aziende in questione.
A riguardo, l'ex ANPA ha risposto in data 31 marzo 2000, ravvisando l'impossibilità di fornire i dati identificativi di aziende quali quelli richiesti, poiché da ritenersi dati personali ai sensi dell'articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 31 dicembre 1996, n. 675 e successive modifiche ed integrazioni che detta appunto le norme di tutela dei dati personali stessi. Inoltre, l'agenzia in questione ha fatto altresì rilevare che la comunicazione e la diffusione di dati personali da parte di soggetti pubblici a soggetto privato, quale appunto deve essere ritenuta la organizzazione sindacale di che trattasi, sono consentite ai sensi dell'articolo 27, comma 3, della legge n. 675/1996 precitata, soltanto se prevista da norme di legge o di regolamento; norme che, nel caso di specie, non risultano essere state promulgate o emanate.
Il Ministero dell'ambiente precisa, infine che, in detta nota di risposta, l'agenzia ha comunicato di essere stata incaricata dalla Procura della Repubblica presso il tribunale di Roma di effettuare accertamenti per quanto concerne l'impiego di uranio impoverito per aeromobili. Attese quindi le norme che tutelano sia la riservatezza dei dati, sia quelle attinenti la riservatezza delle indagini in materia penale, l'Agenzia aveva comunicato di non trovarsi in condizione di fornire i dati richiesti.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Mario Tassone.
BULGARELLI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
i responsabili del reggimento Antatres del comando militare di Viterbo hanno presentato, facendo seguito ad un «indagine» disciplinare interna su quattro piloti che si sono rifiutati di prestare servizio in Iraq, una sconcertante denuncia alla procura militare, l'accusa ipotizzata è gravissima: ammutinamento;
la motivazione addotta dai quattro militari per giustificare il loro atto di disobbedienza è centrata sulla carenza di misure di sicurezza prese a tutela della incolumità dei militari italiani di stanza in Iraq;
a prescindere dal dubbio profilo di legittimità sotto il profilo del diritto internazionale e sotto quello costituzionale dell'intervento italiano in Iraq, le motivazioni addotte dai cinque militari appaiono confermate dai fatti;
gli elicotteri in Iraq sembrano uno degli obiettivi privilegiati della guerriglia che continua ad imperversare nel paese contro truppe straniere la cui permanenza è considerata, anche da gran parte della popolazione pacifica, d'occupazione;
rispondendo al «Question time» dell'interrogante n. 3-02830, in cui, dopo aver ricordato che le vittime della «pace» erano già più numerose di quelle della guerra aperta ed ufficiale, si sottolineava che di fatto i nostri soldati lungi dal prendere parte ad una normale missione di pace venivano coinvolti di fatto in una vera e propria guerra i crescenti rischi per il nostro contingente e si chiedeva se, date le condizioni di sicurezza, il ministro non ritenesse di dover ritirare urgentemente le nostre truppe; il ministro per i rapporti con il Parlamento, onorevole Giovanardi, fornì rassicurazioni affermando che «Per quanto riguarda l'evoluzione della situazione nel paese, in questi mesi abbiamo avuto conferma sul campo che le condizioni di sicurezza, assicurate dai contingenti militari della coalizione internazionale, sono state il presupposto essenziale il ripristino di normali condizioni di vita per la popolazione locale». Affermando implicitamente che i rischi per il nostro contingente non erano tali da giustificare un ritiro delle truppe come richiesto dal nostro dispositivo, e che non di guerra si trattava ma di una vera missione di pace, il Ministro
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aggiungeva infatti che «I positivi risultati finora conseguiti dal nostro contingente sono stati messi in luce non solo a un'accoglienza non ostile da parte della popolazione irachena, ma soprattutto da un sentimento in molti casi di grande riconoscenza a fronte delle numerose attività che il nostro contingente sta svolgendo»;
pochi giorni dopo accadde la tragedia di Nassiriya, e l'opinione pubblica tra cui l'interrogante, venne nei giorni che seguirono a conoscenza di ben altre informazioni a disposizione del Ministero della difesa che preannunciavano accadimenti di quella specie inoltre, si scoprì che le misure di sicurezza predisposte erano palesemente insufficienti;
allora il rispetto dei caduti ci impedì di polemizzare sulla mancata informazione di cui, anche in quella occasione, il Governo diede al Parlamento, ma oggi che vengono messi sott'accusa i quattro piloti di cui sopra, pare opportuno che il ministro competente riconosca perlomeno il diritto di obiezione ad ordini che si ritengono incostituzionali e che mettono inutilmente a repentaglio delle vite umane -:
se non si ritenga opportuno attivarsi affinché i provvedimenti disciplinari inflitti ai militari che si sono rifiutati di prendere parte alla controversa missione in Iraq siano ritirati e quali siano attualmente le condizioni di sicurezza per il nostro contingente.
(4-09244)
Risposta. - Sulla vicenda oggetto dell'atto di sindacato ispettivo è in corso un'attività istruttoria da parte della procura militare presso il tribunale militare di Roma.
L'Amministrazione difesa ha provveduto a consegnare alla citata procura i relativi documenti richiesti dagli inquirenti e resta disponibile a fornire ogni ulteriore contributo all'Autorità giudiziaria.
Sull'intera vicenda vige, pertanto, il segreto istruttorio.
Di conseguenza, appare opportuno attendere l'esito dell'istruttoria prima di procedere ad un eventuale riesame della vicenda disciplinare relativa ai militari oggetto dell'interrogazione.
Per quanto concerne il reale stato di sicurezza del Contingente italiano, l'argomento è stato esaurientemente trattato da me e da altri autorevoli rappresentanti del Governo, nelle opportune sedi parlamentari, nel periodo successivo alla presentazione del presente atto di sindacato ispettivo.
Il Ministro della difesa: Antonio Martino.
CALZOLAIO e VIGNI. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per le politiche comunitarie, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. - Per sapere - premesso che:
sono stati presentati alcuni giorni fa ad Almeria (Spagna) i tre grandi progetti finanziati dalla UE per lo sviluppo del solare termodinamico (Sol Air), dell'energia delle maree (Wave Dragon) e della geotermia (Hot Rock), definiti le ultime frontiere tecnologiche per lo sfruttamento delle rinnovabili;
Hot Rock prevede la realizzazione a Soultz-sous-Foret (Francia) di un impianto pilota in grado di iniettare acqua in pressione a una profondità di 6.000 metri nelle fratture geologiche e generare elettricità attraverso il vapore prodotto; partner del progetto sono Francia, Germania, Svizzera e Italia (presente con l'ENEL);
Wave Dragon, localizzato nell'offshore della Danimarca, è costituito da una piattaforma da 237 tonnellate che si riempie durante le alte maree ed è poi in grado, grazie a due sistemi da 300 KW, di generare elettricità immettendo l'acqua in apposite turbine quando il mare si ritira; partner del progetto sono Danimarca, Austria, Germania, Irlanda, Svezia e Regno Unito;
Sol Air, situato ad Almeria, utilizza una serie di specchi per concentrare l'energia solare in un ricettore ceramico, che produce poi vapore utilizzato per
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alimentare una turbina; partner del progetto sono Spagna, Germania, Grecia e Danimarca;
vi è stata modesta partecipazione dell'Italia ai progetti (limitata alla presenza dell'ENEL in Hot Rock), mentre gli altri Paesi hanno aderito alle iniziative sia con imprese che con centri di ricerca ed enti pubblici -:
per quale motivo dal progetto Sol Air sia del tutto assente l'ENEA, che ha avviato da tempo con fondi italiani la sperimentazione del solare termodinamico e si appresta a realizzare con l'ENEL un impianto pilota in Sicilia;
cosa stia facendo l'Italia nelle sedi internazionali per rafforzare la cooperazione nel campo dello sviluppo delle energie rinnovabili, come siano coinvolti istituti e agenzie pubbliche.
(4-09641)
Risposta. - Nel corso del 2003 l'azione condotta dall'Italia in ambito comunitario si è diretta principalmente alla ricerca di un avanzamento nella realizzazione della «Strategia di Lisbona» volta a rendere l'economia europea più moderna, flessibile e integrata, aperta alla ricerca ed alle nuove tecnologie, capace di offrire ai cittadini europei nuovi e migliori posti di lavoro. L'Italia ha dunque promosso, soprattutto nel corso del proprio semestre di Presidenza dell'Unione europea, la fissazione delle priorità dell'agenda economica ed i principali settori di azione, tra cui figurano la piena e sistematica integrazione degli obiettivi di tutela ambientale nelle politiche dell'Unione e la promozione dello sviluppo sostenibile.
In questo ambito, l'Italia ha sostenuto con decisione l'esigenza di definire una strategia integrata per l'elaborazione della normativa comunitaria, che consenta di svolgere un'analisi sistematica dell'impatto della disciplina in corso di definizione valutandone tutti gli effetti e le implicazioni nonché contemperando adeguatamente le diverse esigenze ambientali, sociali e di competitività.
In tale prospettiva, il tema dello sviluppo sostenibile dal punto di vista ambientale è stato affrontato dal Governo nell'ottica di favorire l'innovazione tecnologica ed il risparmio energetico. Nel corso del semestre di Presidenza italiana è stato pertanto promosso un approccio «win-win» al problema dello sviluppo sostenibile, raccogliendo un ampio consenso sull'esigenza di politiche tese ad un tempo verso obiettivi di protezione dell'ambiente e di mantenimento della competitività dell'industria europea. L'Italia, quale Presidente di turno dell'Unione europea ha sostenuto l'integrazione del sistema comunitario in materia di «Emission trading» (scambio di emissioni di gas a effetto serra) con i meccanismi del Protocollo di Kyoto, in modo da consentire una attuazione flessibile ed efficiente dei meccanismi comunitari di controllo delle emissioni. In linea con tali considerazioni, la Presidenza italiana ha svolto una importante azione tesa a coinvolgere la Russia nel sistema previsto dal Protocollo di Kyoto.
Nel corso del 2004 l'Italia ha ripreso le linee essenziali della propria azione svolta nel semestre di Presidenza, sostenendo la necessità di una compiuta integrazione delle tematiche ambientali nel contesto della strategia di Lisbona. In tal senso si è adoperata affinché il Consiglio europeo di Bruxelles del 25-26 marzo ribadisse nelle sue conclusioni l'esigenza di coniugare adeguatamente la crescita economica con il rispetto dell'ambiente [«per essere sostenibile la crescita dev'essere rispettosa dell'ambiente. La crescita dev'essere dissociata dagli impatti ambientali negativi mediante una migliore integrazione delle politiche e modelli di consumo e produzione più sostenibili» (par. 30 delle Conclusioni della Presidenza)].
Il Consiglio europeo ha inoltre ribadito l'importanza fondamentale di un miglioramento del livello di efficienza energetica ed ha raccomandato di aumentare l'utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili per motivi connessi sia all'ambiente che alla competitività. L'Italia si è in tale quadro impegnata affinché il Consiglio europeo
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riaffermasse l'impegno dell'Unione a centrare gli obiettivi del Protocollo di Kyoto.
Anche per quanto riguarda la promozione delle tecnologie compatibili dal punto di vista ambientale, l'Italia ha condiviso con i partner comunitari le conclusioni del Vertice di Primavera, che ribadiscono l'importanza di uno sviluppo accelerato delle tecnologie pulite, fondamentali per sfruttare pienamente le sinergie tra le imprese e l'ambiente.
Il Consiglio europeo ha inoltre accolto favorevolmente il piano d'azione presentato dalla Commissione nel settore delle tecnologie eco-compatibili, chiedendone la rapida attuazione. Operativamente il Consiglio europeo ha altresì invitato la Commissione e la BEI ad attivare la gamma degli strumenti finanziari comunitari per promuovere tali tecnologie.
Il Consiglio europeo di Primavera 2005 sarà poi chiamato a valutare una relazione della Commissione sui progressi generali compiuti nel piano d'azione e sulle altre possibilità di cui l'Unione dispone per promuovere soluzioni a somma positiva in cui il miglioramento dell'ambiente possa concorrere a realizzare gli obiettivi economici e sociali della Strategia di Lisbona.
Infine, sul piano dello sviluppo delle energie rinnovabili, il Governo ha sostenuto la necessità di affrontare con decisione il problema posto dal progressivo aumento della domanda d'energia, dando ampio spazio proprio all'impiego sempre più diffuso delle fonti rinnovabili e delle tecnologie pulite. In questo ambito l'Italia ha sollecitato la rapida adozione delle direttive volte al miglioramento dell'efficienza energetica.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.
CATANOSO e FRAGALÀ. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
già nel corso della XIII legislatura la Commissione parlamentare antimafia ebbe ad occuparsi approfonditamente del cosiddetto «caso Catania» e segnatamente delle ipotesi d'infiltrazioni mafiose non solo nelle sedi politiche, con particolare riferimento al comune di San Giovanni La Punta, ma anche in quelle giudiziarie;
alcune settimane fa il Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia ha annullato l'elezione a sindaco di San Giovanni La Punta di Santo Trovato, coindagato con l'imprenditore Sebastiano Scuto, attualmente agli arresti, nei processi che hanno dato corpo al «caso Catania», disponendo la ripetizione del turno di ballottaggio;
pochi anni fa il consiglio comunale di San Giovanni La Punta è stato sciolto per infiltrazioni mafiose riconducibili al clan «Laudani»;
ancora oggi, per quanto emerso in Commissione antimafia e nei procedimenti penali in corso, è lo stesso clan ad influenzare la vita politica ed economica del comune di San Giovanni La Punta -:
se siano state intraprese le procedure atte a verificare l'esistenza o meno del condizionamento mafioso sul consiglio comunale e sull'amministrazione di San Giovanni La Punta ed in particolare se il prefetto di Catania abbia effettuato l'accesso amministrativo presso il comune di San Giovanni La Punta previsto nel quadro delle procedure propedeutiche all'eventuale scioglimento per infiltrazioni mafiose;
se e come, nel caso la procedura suddetta sia stata attivata, ritenga di procedere con la massima sollecitudine alla bonifica delle istituzioni locali del comune di San Giovanni La Punta.
(4-03998)
Risposta. - La particolare situazione politico-amministrativa del comune di San Giovanni La Punta (CT) è costantemente seguita dalla prefettura di Catania.
Attualmente la gestione dell'ente è affidata ad una commissione straordinaria, nominata con decreto del Presidente della Repubblica del 9 maggio 2003 e per la durata di diciotto mesi, alla quale sono stati conferiti i poteri necessari per ricondurre alla legalità l'azione amministrativa del comune.
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Si precisa che la gestione dell'ente, già dall'11 luglio del 2002, era stata affidata ad un commissario straordinario di nomina regionale per effetto dell'annullamento, in sede giurisdizionale, dell'atto di proclamazione dell'elezione del sindaco e dei consiglieri.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.
CENTO. - Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo un rapporto dell'assessorato alle politiche sociali della regione Emilia-Romagna la situazione nelle carceri emiliano romagnole è decisamente drammatica;
il rapporto citato ha fornito numeri e dati preoccupanti in relazione alla salute ed al benessere dei detenuti;
secondo gli estensori del rapporto il principale problema deriva dalla assoluta carenza di fondi, che rende difficile l'acquisto di molti beni, anche di prima necessità, da destinare alle esigenze dei detenuti;
il rapporto evidenzia inoltre la preoccupante carenza di medici e di infermieri e l'assistenza sanitaria risulta di conseguenza insufficiente;
il decreto legislativo 230 del 1999 ha stabilito il passaggio delle funzioni sanitarie svolte dall'amministrazione penitenziaria nei settori della prevenzione e dell'assistenza ai tossicodipendenti detenuti ai servizi dell'azienda Usl; per tutte le restanti attività sanitarie è partita una sperimentazione, cui ha aderito la regione Emilia-Romagna, del passaggio al servizio sanitario nazionale di tutte le competenze sanitarie fino ad allora attribuite al ministero della giustizia;
la verifica della sperimentazione era fissata per il giugno 2001, successivamente prorogata al 30 giugno 2002;
tale termine è scaduto, e, ad oggi, il Governo non ha fornito alcuna risposta o indicazione utile alla ridefinizione dell'assistenza sanitaria nelle carceri dal 1 luglio 2002;
in questo quadro di incertezza il Governo non definisce compiutamente le responsabilità relative alle cure specialistiche (psichiatria, malattie infettive) e l'approvvigionamento dei farmaci destinati alla popolazione detenuta;
il ministero di giustizia dispone di risorse e personale per l'assistenza sanitaria nelle carceri italiane, mentre in numerosi istituti dell'Emilia-Romagna, pervengono note e lettere tese a richiedere farmaci, personale infermieristico, per rispondere a bisogni primari di salute, a soddisfare i livelli essenziali di assistenza che a tutti i cittadini del territorio nazionale dovrebbero essere garantiti;
il quadro descritto evidenzia le difficoltà delle aziende sanitarie del territorio a dare vita all'organizzazione della medicina penitenziaria, non avendo a disposizione né risorse, né l'attribuzione di competenza necessaria per entrare come soggetti responsabili negli istituti penitenziari -:
se i Ministri interrogati, a fronte di quanto esposto in premessa, non ritengano di dover dare risposte e mezzi certi per assicurare ai cittadini detenuti l'assistenza sanitaria e le opportunità sociali minime, contribuendo ad eliminare le situazioni di disagio che spesso sono la causa dei numerosi «eventi critici» evidenziati dal rapporto della regione Emilia-Romagna;
se i Ministri interrogati non ritengano improrogabile la necessità di ribadire il trattamento rieducativo ed il diritto alla salute della popolazione detenuta, assicurando le opportune garanzie della qualità dei trattamenti stessi.
(4-03743)
Risposta. - La materia dell'assistenza sanitaria ai detenuti ed agli internati è disciplinata dal decreto legislativo 22 giugno
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1999, n. 230 «Riordino della medicina penitenziaria, a norma dell'articolo 5 della legge 30 novembre 1998, n. 419».
In particolare, l'articolo 1, comma 1, del predetto provvedimento normativo stabilisce che «I detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali».
Il successivo articolo 8, comma 1, prevede, a partire dal 1o gennaio 2000, il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie svolte dall'amministrazione penitenziaria "con riferimento ai soli settori della prevenzione e della assistenza ai detenuti e agli internati tossicodipendenti».
Altresì, è disposto il contestuale trasferimento de «il relativo personale, le attrezzature, gli arredi e gli altri beni strumentali nonché le risorse finanziarie».
Sicché, a far data dal 1o gennaio 2000, le competenze fino ad allora esercitate dall'amministrazione penitenziaria, limitatamente ai settori indicati dal citato articolo 8, sono state acquisite dal Servizio sanitario nazionale.
Per le restanti funzioni è stato, invece, previsto un trasferimento graduale da attuarsi, in via sperimentale, almeno in tre regioni (confronta articolo 8 comma 2).
Detta sperimentazione, che ha avuto inizio il 16 giugno 2000, ha, in un primo momento, interessato le regioni Toscana, Lazio e Puglia e, successivamente, è stata estesa alle regioni Emilia-Romagna, Campania e Molise.
A tal riguardo, si rammenta che, proprio al fine di fornire alle regioni indicazioni ed indirizzi per lo svolgimento delle funzioni sanitarie negli istituti penitenziari, con decreto 21 aprile 2000 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 maggio 2000, n. 120), è stato approvato il progetto obiettivo «per la tutela della salute in ambito penitenziario».
Appare, inoltre, importante segnalare che, con decreto 18 maggio 2001, l'allora Ministro della sanità istituì un «Comitato per il monitoraggio e la valutazione della fase sperimentale», in carica sino al 31 luglio 2002, con il compito di verificare l'effettiva attuazione delle sperimentazioni e lo stato delle stesse all'interno delle regioni interessate.
Preme, inoltre, ricordare che, con decreto interministeriale 16 maggio 2002, è stata costituita una Commissione mista, composta da esperti del Ministero della salute e del Ministero della giustizia, per lo studio congiunto di una riforma della sanità penitenziaria, che sia in linea con gli indirizzi di politica generale del Governo.
La Commissione ha elaborato una proposta tecnica di riordino della materia ed è in procinto di concludere i suoi lavori.
I servizi sanitari per detenuti tossicodipendenti sono transitati al Servizio Sanitario Nazionale in data 1o gennaio 2000 e quindi, in forza della modifica del titolo V della Costituzione, rientrano nella sfera di competenza regionale.
Peraltro, in relazione alla progressiva riduzione dei finanziamenti destinati all'assistenza sanitaria penitenziaria avvenuta negli ultimi anni, l'Amministrazione penitenziaria ha invitato, in presenza di un'oggettiva carenza di risorse e sulla base della normativa sopraricordata, le regioni e le singole ASL a farsi carico, almeno in parte, degli oneri relativi ad alcune voci di spesa (farmaci, visite specialistiche, interventi d'emergenza), conseguendo, in effetti, dei risultati positivi specie in alcune regioni (Sardegna, Calabria, Piemonte).
Il Ministero della giustizia sottolinea che non si è trascurato, inoltre, di raccomandare, nei documenti di programmazione sanitaria sia del 2002 che del 2003 - indirizzati ai provveditorati e alle direzioni di istituto - particolare cura ed attenzione per taluni peculiari settori della sanità penitenziaria, che non hanno subito riduzioni di finanziamenti, tra i quali la cura delle patologie HIV-correlate, assicurata in osservanza del decreto interministeriale sanità-giustizia del 18 novembre 1998 da
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personale specialistico delle unità operative di malattie infettive tramite specifiche convenzioni.
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Guidi.
CIANI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la Compagnia Trasporti Laziali Società Regionale S.p.A. (COTRAL) gestisce il servizio di trasporto pubblico locale extraurbano su gomma nell'intero territorio della Regione Lazio;
la medesima COTRAL S.p.A. è partecipata a larga maggioranza dalla Regione Lazio;
negli ultimi tempi si sono evidenziate non poche difficoltà nel normale svolgimento del servizio;
per ultimo, nella giornata del 3 dicembre 2002 sono stati posti dei blocchi stradali da parte dell'utenza sulla strada provinciale Tiburtina Valeria, altezza Scalo di Mandela;
come riportato sul giornale Il Messaggero - Roma Città, edizione del 4 dicembre in un articolo titolato «COTRAL, è bufera: in rivolta autisti e passeggeri», la protesta di oltre 500 persone ha assunto caratteristiche di veri e propri moti per circa tre ore, con l'intervento della forza pubblica;
lo stesso Sindaco di Vicovaro ha denunciato «una situazione di allarme sociale dovuta proprio ai disservizi del trasporto pubblico su gomma»;
ai disagi dei pendolari si sono aggiunti i disagi dei conducenti, i quali sono da mesi in agitazione (è stato indetto tra l'altro uno sciopero di quattro ore per mercoledì 11 dicembre) a causa della vetustà del parco, della inadeguatezza degli organici, della gravosità dei turni;
lo stesso Presidente del COTRAL dottor Poidomani, nell'intervista rilasciata al Messaggero, ha denunciato che il parco autobus «è antiquato ed insufficiente», con una media di circa 14 anni di anzianità, mentre i finanziamenti, già previsti nell'anno 1999 per oltre 120 miliardi di lire, ulteriormente incrementati con l'annualità 2000, 2001 e 2002, avrebbero consentito di procedere da anni ad un consistente rinnovo del parco autobus fino al 50 per cento del medesimo;
sugli autobus viaggiano talvolta 80-90 persone a fronte dei 52 ammessi;
solo nel mese di agosto 2002 il COTRAL ha bandito tardivamente due distinte gare rispettivamente per n. 120 veicoli e n. 465 veicoli;
mentre la prima gara è andata deserta, la seconda per n. 465 veicoli è stata sospesa dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, in accoglimento di un ricorso presentato da una Società fornitrice di autobus;
la successione degli avvenimenti, con particolare riguardo ai problemi di ordine pubblico ed alla necessità di osservanza nell'espletamento del servizio alle disposizioni del codice della strada in tema di sicurezza ad avviso dell'interrogante, richiama la diretta responsabilità del Presidente del COTRAL dottor Poidomani -:
se non ritenga pericoloso e quindi perseguibile la pratica di far viaggiare sugli autobus un numero di utenti superiore a quello ammesso e in caso affermativo se ritenga di adottare iniziative normative in tal senso;
quali iniziative si intendano assumere al fine di evitare il ripetersi di situazioni di allarme per l'ordine pubblico e di impedire il mantenimento di condizioni di pericolo per l'utenza e i lavoratori.
(4-05023)
Risposta. - In via preliminare, si evidenzia che il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 «Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59», e successive
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modificazioni ed integrazioni, ha attribuito a regioni ed enti locali la competenza esclusiva in materia di trasporti pubblici locali definiti, dall'articolo 1 comma 2, «servizi di trasporto di persone e merci che non rientrano tra quelli di interesse nazionale tassativamente indicati dall'articolo 3». L'articolo 3, comma 1, lettera c) poi, definisce di interesse nazionale «i servizi di trasporto automobilistico a carattere internazionale, con esclusione di quelli transfrontaleri, e le linee interregionali che collegano più di due regioni».
La vicenda rappresentata dall'interrogante, riguarda problematiche inerenti le modalità di esercizio dei servizi gestiti dalla Compagnia trasporti laziali, il cui ente concedente è la regione Lazio che, alla luce della suindicata normativa, è il soggetto istituzionale titolato ad assumere le idonee iniziative intese a garantire il soddisfacimento delle esigenze di mobilità delle popolazioni residenti nel proprio territorio.
Si riferisce comunque che il 3 dicembre 2003, alle ore 6 sulla via Tiburtina Valeria all'altezza di Mandela (Roma), alcuni autisti della CO.TRA.L. (Compagnia trasporti laziali), rilevando che a bordo degli autobus da loro condotti era presente un numero di passeggeri superiore a quello consentito, arrestavano la marcia dei mezzi, chiedendone l'invio di ulteriori, per poter assicurare il trasporto degli utenti in piena sicurezza.
Nella circostanza, intervenivano militari del comando stazione carabinieri di Vicovaro, non constatando alcun tipo di blocco stradale né altre forme di protesta.
In seguito, alle ore 7, giungevano altri automezzi ed il servizio riprendeva normalmente.
Si ricorda che il sindaco di Vicovaro ha più volte segnalato alla direzione della CO.TRA.L. l'aumento dell'utenza e la citata Compagnia, dal 3 febbraio 2003, ha previsto un'ulteriore corsa tra le 5.50 e le 6.20, che ha parzialmente risolto il disagio per i pendolari.
Recentemente, inoltre, sono stati assegnati all'autoparco di Subiaco altri otto automezzi.
Grazie a tale incremento di mezzi il trasporto sul tratto autostradale Subiaco-Roma è stato potenziato con l'aumento di 8 corse giornaliere dal lunedì al venerdì. Per la tratta Vicovaro-Roma, sempre via autostrada, è stata aggiunta un'ulteriore corsa alle ore 6.
Si ricorda altresì che nel mese di ottobre 2003 si è tenuta la gara d'appalto per la fornitura di 500 nuovi autobus, dei quali 25 già consegnati nel marzo scorso.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.
COSSA. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
con decreto del Ministro della Difesa n. 86 del 26 marzo 1999, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 14 aprile 1999 viene approvato il nuovo «Elenco imperfezioni ed infermità che sono causa di non idoneità al servizio militare» che sostituisce il precedente decreto datato 29 novembre 1995;
l'Elenco imperfezioni ed infermità» viene applicato agli iscritti di leva, agli arruolati, ai militari di leva ed al personale aspirante agli arruolamenti volontari in sede di selezione, fatti salvi i requisiti psicofisici specifici richiesti per l'arruolamento nelle singole forze armate;
tale elenco costituisce, invece, solo una guida di orientamento per il personale militare di carriera già in servizio, per il quale il giudizio di idoneità dovrà essere espresso in relazione all'età, al grado, alle categorie ed agli incarichi, nonché alle particolari norme che regolano la posizione di stato;
l'articolo 2 lettera d) inserisce tra i motivi di non idoneità, in modo generico «i difetti quantitativi o qualitativi degli enzimi; trascorso, ove occorra, il periodo di inabilità temporanea»;
tra le numerose enzimopatie comprese nella generica dicitura della forma rientra anche il deficit enzimatico G6PD, normalmente noto come «favismo»;
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tale deficit, che è di tipo ereditario, riguarda circa 400 mila italiani, con percentuali comprese tra l'1 per cento ed il 7 per cento nell'Italia continentale ma che sono del 16,9 per cento per i maschi residenti in Sardegna;
nello specifico, la forma presente in Sardegna, detta «Variante Mediterranea», non provoca uno stato di anemia cronica ma predispone solamente ad emolisi acuta (anemia emolitica acuta) che si scatena nel caso di somministrazione di specifici farmaci o assunzione di fave;
il soggetto G6PD carente è sotto ogni profilo una persona normale ed abile ad eseguire qualunque lavoro, anche di notevole impegno fisico, purché si presti attenzione ai noti ed individuabili fattori scatenanti;
la carenza G6PD (favismo) è diffusa nelle regioni meridionali con la percentuale più alta in Sardegna, e che a causa della grave crisi occupazionale i cittadini residenti nell'Isola partecipano più numerosi ai concorsi per volontari nelle Forze Armate;
quasi il 17 per cento dei sardi ed il 7 per cento delle altre regioni del meridione è escluso dai concorsi per volontari nelle Forze Armate in forza di una dizione eccessivamente generica presente nell'«Elenco imperfezioni ed infermità che sono causa di non idoneità al servizio militare» -:
quali provvedimenti intenda adottare per eliminare una discriminazione nei confronti di tanti giovani fabici, perfettamente idonei al servizio militare che intendono legittimamente arruolarsi nelle Forze Armate;
se non ritenga opportuno adottare iniziative affinché sia indicato all'articolo 2 dell'«Elenco imperfezioni ed infermità che sono causa di non idoneità al servizio militare» un maggiore dettaglio dei deficit enzimatici che precludono l'arruolamento nelle Forze Armate escludendo il deficit enzimatico G6DP (favismo) dalle patologie che impediscono l'arruolamento.
(4-09465)
Risposta. - L'accertamento dell'idoneità al servizio militare è disciplinato dal decreto ministeriale 4 aprile 2000, n. 114: «Regolamento recante norme in materia di accertamento dell'idoneità al servizio militare», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 10 maggio 2000, n. 107.
Nel caso specifico l'articolo 2, comma d) dell'elenco delle imperfezioni e delle infermità che sono causa di non idoneità al servizio militare, allegato al regolamento, prevede anche «i difetti quantitativi o qualitativi degli enzimi, trascorso, ove occorra, il periodo di inabilità temporanea».
La successiva direttiva tecnica applicativa, emanata dalla direzione generale della sanità militare in data 19 aprile 2000 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 2 giugno 2000 n. 127 serie generale, precisa ulteriormente che rientra nel suddetto articolo 2 comma d) il «Deficit anche parziale di G6PDH» quale causa di non idoneità al servizio militare.
Il soggetto affetto dalla patologia in parola è reattivo al contatto con diversi elementi non determinabili, se non caso per caso. Si tratta, in genere, di cereali, oltre alle fave, notoriamente scatenanti il fenomeno.
La crisi di favismo può degenerare rapidamente in crisi emolitica, provocando la distruzione dei globuli rossi in breve tempo con possibili conseguenze letali; ove non si intervenga prontamente con ricovero ed adeguata terapia ospedaliera, nei casi più gravi può causare anche il decesso del paziente.
Appare evidente perciò che la deficienza di questo enzima, spesso non nota al portatore, può provocare reazioni impreviste e improvvise del soggetto, che sono incompatibili con le situazioni di impiego del militare.
Ove non si disponesse la non idoneità al servizio militare dei portatori di questa malattia, tali manifestazioni patologiche metterebbero a rischio anche l'incolumità del soggetto.
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Per le suesposte ragioni le enzimopatie sono contemplate all'articolo 2 comma d) dell'«elenco delle imperfezioni e delle infermità che sono causa di non idoneità al servizio militare».
Il Ministro della difesa: Antonio Martino.
ARMANDO COSSUTTA, DILIBERTO e SGOBIO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
quattro elicotteristi del comando di Viterbo dell'aviazione italiana si sono rifiutati di prestare servizio a Nassiriya, in Iraq, perché si consideravano poco protetti, e sono stati rimpatriati e sanzionati dall'esercito (con la grave accusa di «ammutinamento»);
iquattro militari italiani erano giunti in Iraq lo scorso mese di dicembre, quando c'era appena stata la strage di Nassiriya e nel nord del Paese continuavano a cadere gli elicotteri americani, colpiti da missili;
i quattro piloti del gruppo di volo inviato in Iraq - ha affermato il generale Roberto Tonon, comandante del raggruppamento aviazione dell'esercito di Viterbo, da cui provengono i quattro militari, in un'intervista pubblicata sul quotidiano Corriere della Sera del 5 marzo scorso - «una volta messi al corrente della minaccia in loco, hanno dichiarato di non sentirsi troppo preparati, insicuri e poco protetti ed hanno dichiarato al comandante che non se la sentivano di affrontare i rischi e sono stati rimpatriati ed il comando ha proceduto ad un'inchiesta di carattere tecnico-disciplinare che si è conclusa con delle sanzioni e l'esercito ha trasmesso gli atti alla procura militare di Roma»;
i quattro militari, che con l'accusa ipotizzata loro rischiano una pena compresa tra i sei mesi ed i tre anni di carcere, avrebbero dovuto prestare servizio nell'aeroporto di Tallil, gestito dal sesto reparto operativo autonomo dell'aeronautica militare, dove l'esercito è presente con oltre 100 soldati e 7 elicotteri;
a parere degli interroganti, quello dei quattro piloti è un atto di coraggio e insieme di grande saggezza e dimostra chiaramente come i nostri militari continuino a stare in Iraq senza un adeguato sistema di sicurezza e senza che il Governo italiano abbia intessuto rapporti diplomatici atti a proteggerli -:
se non ritenga opportuno attivarsi affinché i provvedimenti disciplinari inflitti ai suddetti militari siano ritirati e quale sia, a tutt'oggi, il reale stato di sicurezza per il nostro contingente impegnato in Iraq.
(4-09279)
Risposta. - Sulla vicenda oggetto dell'atto di sindacato ispettivo è in corso un'attività istruttoria da parte della procura militare presso il tribunale militare di Roma.
L'Amministrazione difesa ha provveduto a consegnare alla citata procura i relativi documenti richiesti dagli inquirenti e resta disponibile a fornire ogni ulteriore contributo all'Autorità giudiziaria.
Sull'intera vicenda vige, pertanto, il segreto istruttorio.
Di conseguenza, appare opportuno attendere l'esito dell'istruttoria prima di procedere ad un eventuale riesame della vicenda disciplinare relativa ai militari oggetto dell'interrogazione.
Per quanto concerne il reale stato di sicurezza del contingente italiano, l'argomento è stato esaurientemente trattato da me e da altri autorevoli rappresentanti del Governo, nelle opportune sedi parlamentari, nel periodo successivo alla presentazione del presente atto di sindacato ispettivo.
Il Ministro della difesa: Antonio Martino.
TITTI DE SIMONE. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la struttura residenziale «I Platani» è una residenza psichiatrica considerata dall'entourage medico altamente riabilitativa;
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alla fine di gennaio 2003 viene comunicato agli operatori della struttura il trasferimento di due ospiti della residenza presso una casa di riposo per anziani considerata dagli stessi operatori del tutto inidonea ai soggetti interessati;
in seguito a questo disaccordo alcuni operatori e operatrici inviano al direttore del Dipartimento di salute mentale una lettera con la quale esprimono il loro dissenso e chiedono la revoca del trasferimento per poter affrontare il problema con tempi più lunghi e considerare altre possibili soluzioni;
l'invio della lettera viene considerato grave atto di violazione delle norme contrattuali e statutarie da parte della cooperativa che non riconosce ai propri lavoratori il diritto di esprimere critiche all'operato della cooperativa sul luogo di lavoro e in presenza di terzi;
da parte della Ausl la lettera di cui sopra sarebbe stata considerata episodio di gravissima inadempienza in seguito alla quale si avanza richiesta alla cooperativa di operare la sospensione immediata degli operatori interessati;
i quattro operatori «dissenzienti» sono stati licenziati in tronco all'inizio di marzo -:
se il Ministro ritenga che nella vicenda di cui si è detto in premessa si possa configurare come un comportamento anti-sindacale e, in caso affermativo, quali iniziative di propria competenza intenda assumere.
(4-06056)
Risposta. - Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame, sulla base degli elementi ricevuti dal presidente della regione Emilia-Romagna, per il tramite dell'ufficio territoriale del governo di Bologna.
Le strutture psichiatriche residenziali («RSH»), secondo le indicazioni emanate dalla regione Emilia-Romagna, sono differenziate in tre tipologie: a trattamento «intensivo», «protratto», «socio riabilitativo», tutte con diverso livello di intensità assistenziale in relazione alla tipologia dell'utenza.
La struttura «I Platani», gestita dalla «Cooperativa AssCoop», in convenzione con l'Ausl «Città di Bologna», rientra nella tipologia a trattamento «socio-riabilitativo» e, come tale, è rivolta a persone con buona autonomia, per le quali si rendono necessarie opportunità di assistenza specializzata in riabilitazione e risocializzazione, con l'obiettivo di dimissioni assistite in ambito familiare o socio-assistenziale.
Già da tempo l'équipe curante del Centro di salute mentale (CSM) competente aveva rilevato che i programmi riabilitativi attuati nella residenza - finalizzati ad una utenza con buona autonomia personale - non apparivano più adeguati alle condizioni cliniche di due degli assistiti, i quali presentavano momenti di forte criticità, soprattutto nell'ambito relazionale con il mondo esterno, con comportamenti potenzialmente rischiosi per la loro salute fisica e psichica.
Per questi motivi, di ordine esclusivamente terapeutico, il medico psichiatra referente, dopo numerosi incontri con l'équipe del Centro salute mentale e gli operatori della struttura, riteneva necessario riformulare per le due persone assistite un progetto terapeutico orientato ad una residenzialità più rispondente ai loro bisogni di tutela della salute fisica e psichica.
Veniva individuata la struttura «Villa dei Ciliegi» di Monteveglio (Bologna) che - con la supervisione del dipartimento di salute mentale - era ritenuta idonea per la prosecuzione del programma assistenziale previsto: tale programma, contestato da alcuni operatori della struttura «I Platani», non è poi stato realizzato anche perché i due ospiti sono stati allontanati da tale sede ad opera di terzi, dal 26 al 28 febbraio 2003, episodio sul quale è stata avviata una indagine dalla magistratura.
Dopo tale evento gli assistiti sono stati accolti, in regime di ricovero volontario, presso il servizio psichiatrico di diagnosi e
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cura, dove è stato rilevato un peggioramento della salute psicofisica, imputabile al forte stress a cui erano stati sottoposti, anche nell'ambito delle indagini giudiziarie relative ai fatti in questione (incontri con carabinieri, giudice, perito).
Il periodo di ricovero trascorso presso il citato Servizio Psichiatrico ha permesso di ristabilire buone condizioni di salute nei due pazienti, compatibilmente con la loro psicopatologia.
In tale sede, una ulteriore accurata valutazione clinica ha confermato la necessità, come già indicato dal «CSM», di ridefinire un percorso assistenziale e riabilitativo caratterizzato da un ambiente protetto, con supervisione costante del dipartimento di salute mentale: tale percorso è stato avviato con l'inserimento delle due persone in strutture ad elevata protezione, con attività riabilitativa giornaliera in centri diurni specializzati.
Fermo restando il pieno diritto degli operatori, come peraltro di ogni cittadino, di segnalare il proprio dissenso circa i programmi di cura rivolti agli assistiti, la competenza clinica nei percorsi assistenziali è - comunque - in capo alla struttura sanitaria e più precisamente al medico curante, che deve operare esclusivamente sulla base dei bisogni clinici e assistenziali delle persone in cura.
In tal senso nessun provvedimento è mai stato avviato da parte del dipartimento di salute mentale o della azienda Ausl «Città di Bologna» nei confronti di operatori «dissenzienti».
Già da tempo, invece, precedentemente al grave episodio sopra accennato, il dipartimento di salute mentale aveva più volte segnalato alla «Cooperativa Ass Coop», con apposite note scritte agli atti dell'Ausl, diverse inadempienze da parte di operatori della struttura, in relazione alle specifiche indicazioni terapeutico-assistenziali stabilite dai medici di riferimento del Centro salute mentale.
In particolare, erano state riscontrate inosservanze nell'ambito della conduzione dei programmi personalizzati, nei compiti di supporto agli ospiti nella cura di sé e nelle principali attività della vita quotidiana, nella gestione delle uscite e dei permessi.
Tali inadempienze vennero ripetutamente segnalate anche agli operatori, nel corso degli incontri periodici di staff, sia dal medico referente della struttura che da altri medici del Centro di salute mentale, senza poter pervenire alla soluzione del problema.
Per questi motivi, in coerenza con quanto previsto nel contratto con la cooperativa stessa, l'Ausl ha richiesto, non il licenziamento, ma la individuazione degli operatori inadempienti, suggerendone, altresì, il trasferimento ad altra struttura aziendale, anche al fine di ridurre i problemi di tensione ambientale creatisi presso «I Platani».
Tale richiesta, dopo il grave episodio di allontanamento dei due ospiti dalla struttura, rispondeva anche alla necessità di poter valutare con estrema attenzione quanto accaduto.
Il presidente della regione Emilia-Romagna ha sottolineato che le aziende sanitarie sono tenute a provvedere con puntualità alla verifica e alla valutazione dei servizi acquisiti nell'ambito di convenzioni con il privato, il quale deve garantire i requisiti di qualità e le professionalità previste nei relativi contratti di fornitura, rispettando la normativa vigente in materia di rapporto di lavoro del personale impiegato.
Nel caso in questione, gli operatori della struttura «I Platani» risultavano essere soci (e non dipendenti) della «Cooperativa AssCoop» e pertanto l'assunzione di eventuali provvedimenti contro decisioni assunte dalla cooperativa nei confronti dei propri soci non rientrava nei compiti istituzionali dell'Ausl «città di Bologna» e della stessa regione.
Da informazioni assunte presso la «Cooperativa AssCoop» dall'azienda Usl, risulta che il giudice civile ha emanato una sentenza di reintegro nella qualifica di socio-lavoratore degli operatori «licenziati».
Nel dispositivo della sentenza non sono evidenziati «comportamenti antisindacali» da parte della «Cooperativa AssCoop», la
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quale ha comunque presentato ricorso contro la sentenza stessa.
In merito alla vicenda segnalata nell'atto ispettivo, il presidente della regione Emilia-Romagna ha inteso sottolineare che l'Ausl «città di Bologna» non si è costituita in alcuno dei procedimenti in corso e che la stessa azienda ha operato nel rispetto e in attuazione delle competenze e responsabilità cliniche dei medici curanti, con la necessaria cautela ed il buonsenso che lo sviluppo dei fatti richiedeva, e ciò anche nella inevitabile ricerca di specifiche responsabilità individuali.
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Guidi.
DELMASTRO DELLE VEDOVE. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il Comune di Coggiola (Biella) vanta un credito, nei confronti del Ministero dell'interno, pari ad euro 17.814,50, quale saldo dei trasferimenti per l'esercizio 2002;
il credito costituisce la risultante delle sottoindicate voci: a) euro 9.527,52 quale contributo ordinario; b) euro 353,64 quale contributo consolidato; c) euro 7.933,34 quale contributo sviluppo investimenti (rate mutui);
la somma euro 17.814,50 per un Comune delle dimensioni di Coggiola assume una rilevanza assoluta e non consente alla civica amministrazione di operare sulla base dei criteri di efficienza e di efficacia, non essendo certa di poter contare sulle somme vantate a credito nei confronti dello Stato;
è necessario provvedere con urgenza ad accreditare al Comune di Coggiola la somma di cui sopra -:
se non ritenga necessario ed urgente provvedere ad accreditare senza indugio al Comune di Coggiola (Biella) la somma di euro 17.814,50 costituente il saldo dei trasferimenti relativi all'anno 2002.
(4-07960)
Risposta. - Il complessivo saldo ancora da accreditare al comune di Coggiola (Biella) per l'anno 2002 ammonta attualmente a 6.419,36 euro di cui 3.390,96 euro quale contributo ordinario; 353,64 quale contributo consolidato e 2.674,76 quale contributo per gli investimenti.
In data 3 e 4 novembre 2003 sono stati, infatti, accreditati gli importi di 6.136,56 quale contributo ordinario e di 5.258,58 quale contributo per gli investimenti.
Le mancate ulteriori assegnazioni finanziarie da parte del Ministero dell'economia e finanze e la conseguente indisponibilità di fondi non permette, tuttavia, in tempi immediati, di provvedere alla richiesta, formulata anche dall'interrogante, di erogazione dei saldi.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.
GIUSEPPE DRAGO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il 5 marzo 2004 è stato fermato ed arrestato dalle autorità cinesi monsignor Wei Jing Yi mentre si stava recando all'aeroporto di Herbin, nella Cina del nord-est, per accogliere alcuni amici stranieri;
il presule della chiesa cattolica clandestina cinese fedele al Vaticano era stato ordinato nel 1995 vescovo di Qiqhar, nell'Heilongjian, una delle diocesi più a nord della Cina;
monsignor Wei Jing Yi in passato era già stato arrestato due volte e condannato alla detenzione nei campi di concentramento dal 1987 al 1989 e dal 1990 al 1992;
secondo alcuni gruppi di difesa dei diritti religiosi attualmente vi sono diversi vescovi nelle carceri cinesi o impediti nel loro ministero -:
quali siano i motivi dell'arresto di monsignor Wei Jing Yi;
se il Governo intenda adoperarsi ai fini dell'immediato rilascio del vescovo cattolico di Qiqhar;
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quale sia l'attuale situazione dei cattolici in Cina;
quali iniziative si intenda adottare, anche a livello europeo, contro la continua violazione dei diritti umani e delle libertà religiose vista l'ostinata persecuzione contro vescovi, sacerdoti e laici fedeli alla Chiesa universale.
(4-09310)
Risposta. - Si sottolinea che il tema del rispetto dei diritti umani, e delle libertà religiose in particolare, forma oggetto di specifica attenzione da parte del Governo italiano, che ha avuto l'occasione di dimostrare il suo particolare e costante interesse al problema, soprattutto nello scorso semestre, nella sua qualità di Presidente di turno dell'Unione Europea.
Il tema della tutela dei diritti civili in Cina è stato, nel corso del nostro semestre di Presidenza, ampiamente discusso dal competente gruppo di lavoro COASI (gruppo Asia/Oceania) in ambito PESC (Politica estera di sicurezza comune). La Presidenza italiana si è fatta altresì promotrice dell'organizzazione di un seminario UE-Cina sui diritti umani, che si è tenuto a Venezia il 15 e 16 dicembre 2003, focalizzato sugli aspetti procedurali (garanzie giudiziarie, equo processo) della loro tutela.
Il tema del rispetto della libertà religiosa è stato affrontato nel quadro delle ultime due sessioni (sedicesima e diciassettesima) del dialogo strutturato UE-Cina sui diritti umani, che hanno avuto luogo rispettivamente a Pechino il 27 e 28 novembre 2003, sotto Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione Europea, e a Dublino, il 26 e 27 febbraio 2004, sotto Presidenza irlandese.
Nel corso della sedicesima sessione del dialogo l'Italia, in qualità di Presidente di turno dell'Unione Europea, ha ribadito con chiarezza che il pieno rispetto del diritto alla libertà di culto e di pensiero costituisce un fattore centrale nel sistema di protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Da parte cinese, si è sottolineato come il Governo di Pechino riconosca la libertà religiosa dei propri cittadini e cerchi di proteggerla: a tale proposito, misure legislative sono state adottate al fine di ricostruire templi o chiese demolite durante la rivoluzione culturale. Infine, è stato confermato l'invito rivolto allo special rapporteur delle Nazioni unite sulla libertà religiosa a visitare il Paese, ricordando che l'ultima visita da questi effettuata in Cina risale al 1994.
Anche in occasione della diciassettesima sessione di dialogo, l'Unione europea ha reiterato le sue preoccupazioni per le misure repressive adottate dal Governo cinese contro alcuni gruppi religiosi, in particolare a danno di quelli non ufficiali e dei seguaci della setta Falun Gong, segnalando nuovamente il caso del vescovo Su Zhimin, esponente della chiesa cattolica sotterranea cinese ripetutamente arrestato dalla polizia. Da parte cinese, si è tenuto a fornire un quadro complessivo della libertà religiosa nel Paese sostanzialmente positivo, sottolineando in particolar modo i progressi compiuti in tale ambito dal 1949 ad oggi.
La preoccupazione e la vigile attenzione che l'Unione europea riserva al rispetto delle minoranze religiose (compresa - ovviamente - la minoranza cattolica) nel Paese è stata evidenziata anche in occasione di recenti incontri dell'alto rappresentante per la PESC, Solana, con il primo ministro Wen e con il Ministro degli esteri Li (Pechino, 16-17 marzo 2004): da questi ultimi colloqui sono emersi i timidi progressi ad oggi compiuti con riferimento all'auspicata ratifica cinese del Patto ONU sui diritti civili e politici nel 1966, oltre ad una lieve diminuzione delle misure repressive attuate contro i gruppi religiosi «non ufficiali».
Si fa presente, comunque, che la situazione dei cattolici in Cina è particolarmente complessa, in quanto permane la dicotomia tra la chiesa cattolica ufficiale e la chiesa cattolica non ufficiale fedele al Pontefice di Roma. I cattolici cinesi sono obbligati ad aderire alla «chiesa patriottica», legata al partito che veglia sulle sue attività. Negli ultimi mesi si è registrata una crescente pressione sulla stessa chiesa cattolica ufficiale probabilmente dovuta alla preoccupazione per l'intensificazione dei contatti tra la chiesa cattolica ufficiale e la chiesa cattolica non ufficiale e per il timore che si
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verifichi un avvicinamento tra le due chiese. D'altra parte, si deve registrare come segno positivo che in seguito ai recenti emendamenti, la Costituzione cinese faccia riferimento, per la prima volta, alla tutela dei diritti umani.
Per quanto riguarda infine lo specifico caso del vescovo Wei Jingyi, si forniscono i seguenti elementi di informazione.
Tale caso è stato immediatamente seguito dalla nostra ambasciata a Pechino la quale, su richiesta della Farnesina, ha preso contatto con il Ministero degli esteri cinese. Le autorità cinesi hanno d'altro canto ufficialmente negato la veridicità delle notizie apparse sulla stampa. Subito dopo le voci sul presunto arresto del Monsignor Wei, analoghe smentite sono giunte anche dalle locali autorità della provincia dello Heilongjiang. La nostra Ambasciata ha comunque sottolineato l'importanza attribuita dal nostro paese al caso di Monsignor Wei e alla sorte dei cattolici in Cina, e da parte cinese si è riscontrata la consapevolezza di ciò anche in prospettiva delle prossime visite ad alto livello e del conseguente reciproco interesse a mantenere serenità nei rapporti tra i due paesi.
Si assicura che il Ministero degli esteri non mancherà di sollevare la questione anche con l'Ambasciata cinese in Italia, che d'altra parte è ben al corrente delle nostre preoccupazioni in materia di libertà religiosa in Cina, e di promuovere l'interessamento al caso anche da parte dell'Unione europea.
L'Italia e l'Unione europea, inoltre, non mancheranno, come in passato, di seguire con estrema attenzione la situazione della libertà religiosa in Cina, cogliendo ogni occasione utile di incontro con le Autorità di Pechino - sia a livello bilaterale che in ambito multilaterale - per sottolineare come la garanzia del rispetto della libertà di culto, così come di ogni altra libertà fondamentale e, più generalmente, dei diritti umani, rappresenti un elemento fondamentale delle relazioni tra l'Unione europea e la Cina.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Margherita Boniver.
FILIPPO MARIA DRAGO. - Al Ministro delle politiche agricole e forestali. - Per sapere - premesso che:
nel 2000 il Governo ha predisposto un incentivo finanziario rivolto agli operatori delle reti da post derivanti (cosiddette «spadare»), attualmente denominate anche «da posta», in quanto messe al bando in quell'anno dall'Unione Europea;
tuttavia, tale trattamento non è stato adottato anche per gli operatori di palangari derivanti, i quali lavorano con un'altra tecnica di pesca, più onerosa e selettiva per il pescato della stessa specie e con conseguente disparità sul mercato -:
se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative, anche di carattere normativo, al fine di ristabilire la parità di trattamento tra gli operatori delle reti «da posta» e quelli di palangari derivanti.
(4-10061)
Risposta. - Il decreto ministeriale del 26 luglio 1995, relativo al rilascio delle licenze di pesca, ha previsto all'articolo 11, in ragione del razionale sfruttamento delle risorse biologiche del mare, il raggruppamento per categorie omogenee dei sistemi autorizzati sulla licenza.
Ciò ha comportato che l'indicazione di ciascun sistema sulla licenza consente l'impiego degli attrezzi compresi nel sistema autorizzato.
Al fine di garantire attraverso una regolamentazione precisa e dettagliata il razionale sfruttamento delle risorse alieutiche e la conservazione delle risorse biologiche del mare, è fatto divieto di utilizzare le reti da posta derivanti; diversamente l'utilizzo dell'attrezzo denominato «palangaro» non è vietato in senso assoluto.
Infatti, il «palangaro» è utilizzabile previa autorizzazione della competente autorità marittima, secondo quanto disposto dagli articoli 139, 140 e 141 del Regolamento alla legge sulla pesca marittima (legge n. 963/1965) ed in attuazione del riordino dei sistemi di controllo, previsti sulla stessa attività in esecuzione della legge delega n. 38/2003.
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Si fa presente, infine, che nell'ambito della definizione dei decreti legislativi di cui alla legge delega 7 marzo 2003, n. 38, si è registrato un compiuto approfondimento tecnico sulle soluzioni proposte volte ad un miglioramento complessivo dei controlli in materia di sistemi di pesca.
Il Ministro delle politiche agricole e forestali: Giovanni Alemanno.
FOTI. - Al Ministro per gli italiani nel mondo. - Per sapere - premesso che:
il pagamento della pensione australiana di vecchiaia ai connazionali che abbiano lì prestato attività lavorativa, è soggetto alla verifica del reddito e del patrimonio prevista dalla sezione 1064 del Social Security Act del 1991, riguardante il reddito di una coppia. Lo conferma il caso del signor Luigi Sabbatini, nato a Ripe (Ancona) il 17 aprile 1932 e residente a Piacenza in Via Balsamo 30, che con nota del Social Security si è visto denegare, in data 7 maggio 1997 il diritto di pensione per il suddetto motivo -:
se e quali iniziative intenda assumere in ragione di quanto sopra esposto per la tutela degli interessi pensionistici dei nostri connazionali che abbiano lavorato in Australia.
(4-06369)
Risposta. - Secondo le notizie ricevute dall'ambasciata d'Italia a Canberra, e in mancanza di ulteriori e più specifici elementi, la pensione australiana di cui è titolare il signor Luigi Sabbatini potrebbe essere paragonabile alla pensione sociale italiana (sostituita, a partire dal 10 gennaio 1996, dall'assegno sociale ai sensi della legge 8 agosto 1995, n. 335), pur precisando che, mentre la pensione sociale italiana è una prestazione assistenziale inserita in un sistema in cui l'attività lavorativa comporta il versamento della relativa contribuzione, in Australia le prestazioni previdenziali, inclusa la pensione di vecchiaia, hanno carattere universale, non richiedono coperture contributive bensì periodi di residenza sul territorio australiano, sono di importo fisso e uguale per tutti.
La pensione australiana in questione non è pertanto fondata su base contributiva, bensì è concessa in base allo stato di bisogno del suo titolare. L'attribuzione della stessa è peraltro condizionata dai livelli reddituali e patrimoniali sia del titolare che del coniuge o convivente.
Nel caso in questione è probabile che i redditi dichiarati dal signor Sabbatini, ivi compresa l'eventuale pensione italiana, abbiano superato il limite previsto dalla normativa vigente in Australia per il beneficio della pensione, comportando di conseguenza una decurtazione della stessa.
È infine il caso di precisare che l'articolo 4 della convenzione italo-australiana in materia di sicurezza sociale, ratificata con la legge 24 marzo 1999, n. 101, assicura ai cittadini italiani parità di trattamento rispetto ai cittadini australiani nell'applicazione della normativa australiana in materia.
Il Ministro per gli italiani nel mondo: Mirko Tremaglia.
INTINI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
con decreto 7 agosto 2003 del Ministero dell'economia e delle finanze (Gazzetta Ufficiale del 9 settembre 2003) che ha per oggetto la determinazione forfettaria della base imponibile per l'applicazione dell'imposta sugli intrattenimenti e dei tributi ad essa eventualmente connessi, derivanti dall'utilizzazione degli apparecchi meccanici o elettromeccanici, da divertimento ed intrattenimento (tra cui biliardi attivabili a moneta o gettone), si stabilisce che circoli e sale ricreative debbano pagare in particolare per l'uso di biliardi, una tassa (imponibile forfetario) di 3.500,00 euro l'anno;
di contro, all'articolo 2 - comma 2 - del decreto, si recita che «per gli apparecchi installati stabilmente in sale ricreative
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delle amministrazioni militari, dei corpi di Polizia e dei Vigili del Fuoco, si applicano gli imponibili nella misura ridotta di un terzo»;
è inconcepibile che circoli sociali, frequentati prevalentemente da persone anziane e pensionati debbano sobbarcarsi spesso troppo elevate che pesano sulla gestione dei locali suddetti, costringendo proprietari e gestori ad alzare i prezzi per il pubblico;
il servizio sociale reso dai circoli aiuta gli anziani ed i meno abbienti a restare in contatto con altre persone ed a trascorre più serenamente le loro giornate con diversivi che però non dovrebbero pesare troppo sul loro budget familiare -:
se non si ritenga doveroso, nonché opportuno adottare iniziative dirette almeno ad equiparare l'imponibile forfettario deciso per i circoli a quello delle Forze armate, Polizia e Vigili del fuoco, se non addirittura renderlo inferiore, per facilitare la frequentazione di suddetti luoghi a tutti coloro che ne possono usufruire, senza dover spendere cifre esagerate.
(4-08969)
Risposta. - L'interrogante, nel lamentare che i circoli sociali, frequentati prevalentemente da persone anziane e pensionati, sarebbero tenuti a pagare per l'uso dei biliardi una tassa (imponibile forfetario) di 3.500,00 euro l'anno, chiede che venga applicato, invece, l'imponibile nella misura ridotta di un terzo, come previsto per gli apparecchi installati nelle sale ricreative delle amministrazioni militari, dei Corpi di polizia e dei Vigili del fuoco.
Al riguardo, si ricorda che l'articolo 14-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, prevede che la base imponibile per gli apparecchi meccanici da divertimento ed intrattenimento è determinata, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, forfetariamente previa valutazione delle peculiarità e delle caratteristiche tecniche di tali apparecchi.
Il direttore generale dei monopoli di Stato, con decreto del 7 agosto 2003, ha determinato la base imponibile forfetaria annua per il pagamento dell'imposta sugli intrattenimenti. Tale decreto individua, in relazione alle diverse caratteristiche tecniche, cinque tipologie di apparecchi meccanici o elettromeccanici, fissando, per ciascuna categoria, la relativa base imponibile.
L'imposta relativa all'utilizzazione degli apparecchi meccanici ed elettromeccanici varia, per singola tipologia di apparecchi (con applicazione sia dell'imposta sugli intrattenimenti sia dell'IVA), da un minimo di euro 48,60 ad un massimo di euro 630,00. Pertanto, il prelievo non è mai di 3.500,00 euro all'anno.
Per quanto concerne l'auspicio dell'interrogante circa l'introduzione di un trattamento di favore per i circoli sociali frequentati da anziani, si precisa che il legislatore, all'articolo 92 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, ha già previsto in favore dei centri sociali per anziani gestiti da Onlus, da associazioni o enti di promozione sociale, da fondazioni o enti di patronato, da organizzazioni di volontariato nonché da altri soggetti, pubblici o privati, le cui finalità rientrano nei principi generali del sistema integrato di interventi e servizi sociali previsto dalla legge 8 novembre 2000, n. 328, l'esenzione dall'imposta sugli intrattenimenti per tutte le attività di intrattenimento, indicate nella tariffa allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 640 del 1972, svolte occasionalmente e dirette alla socializzazione ed all'integrazione delle persone anziane.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Manlio Contento.
LOIERO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere se non ritenga opportuno provvedere affinché venga sollecitamente corrisposto, alla cittadina italiana, esule dall'Istria, Francesca Tonetti (posizione n. 1333/152487TC) - considerata anche l'età avanzata dell'interessata - l'ultimo indennizzo per gli ingenti beni
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della sua famiglia, abbandonati nei territori ceduti all'ex-Jugoslavia e utilizzati, previo consenso della famiglia, dal Governo italiano per il pagamento riparatore dei danni di guerra causati dal 1941 al 1945 all'ex Jugoslavia, indennizzo ammontante, ai sensi della legge 29 marzo 2001 n. 137, a circa 69 milioni di vecchie lire, pari a un misero 1 per 100 del valore che avevano i beni abbandonati nel 1938.
(4-09349)
Risposta. - L'articolo 3, comma 2, della citata legge 29 marzo 2001, n. 137, recante disposizioni in materia di indennizzi a cittadini e imprese operanti in territori della ex Jugoslavia, già soggetti alla sovranità italiana, prevede sei scaglioni di valore dei beni al 1938 e stabilisce che la precedenza nella liquidazione degli indennizzi in questione è concessa, nei limiti delle risorse annualmente disponibili, secondo l'ordine degli scaglioni definito nella tabella A, annessa alla legge stessa, con priorità dallo scaglione di valore del bene più basso.
Pertanto, le pratiche vengono evase in base al criterio di precedenza stabilito dalla legge e, nell'ambito di questo, tenendo conto dell'ordine cronologico di arrivo delle relative domande.
Le domande di liquidazione di indennizzo, inoltrate a questa Amministrazione, sono 11.608, di cui 9.407 per beni di valore al 1938 pari o inferiore a lire 100.000.
Con riferimento al caso specifico, si precisa che la domanda della signora Tonetti è pervenuta l'8 maggio 2001 ed il valore al 1938 del corrispondente bene risulta pari a lire 726.138= (quarto scaglione).
Attualmente, l'Ufficio competente sta esaminando le istanze, appartenenti al primo scaglione, presentate nel mese di giugno 2001.
D'altra parte, l'ipotesi di prendere in considerazione le domande, sulla base delle condizioni economiche degli interessati, non appare perseguibile, considerato il gran numero di aventi diritto che si trovano nella stessa condizione e che tali situazioni non sono previste dalla vigente normativa.
Si soggiunge, infine, che per accelerare le procedure di liquidazione degli indennizzi, l'articolo 3, comma 22, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria 2004) ha autorizzato questa Amministrazione a stipulare apposite convenzioni con società partecipate dallo Stato o con enti pubblici.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Manlio Contento.
MARAN. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il consiglio comunale di Gradisca d'Isonzo (Gorizia) ha rinnovato all'unanimitla propria contrariet giespressa in un'analoga presa di posizione nel dicembre 2000 all'ipotesi della realizzazione di un centro di temporanea permanenza presso la caserma «Ugo Polonio» ubicata nel territorio comunale, sostenendo che l'impatto che una simile iniziativa avrebbe sull'equilibrio del territorio sarebbe sicuramente negativo e che la programmazione territoriale comunale, a fronte di un cos considerevole intervento esterno, sarebbe stravolta e snaturata, rendendo il comune soggetto passivo di iniziative decise lontano, in assenza di elementi di giudizio che ne consentano una valutazione realistica degli effetti che produrrebbero in un ambito territoriale cosdelicato;
la realizzazione della struttura non stata comunicata alle istituzioni locali, ma stata appresa da notizie apparse su organi di stampa;
il 15 giugno 2002 il prefetto di Gorizia, Andreana, dichiar alla stampa che si stava completando l'iter per un centro di temporanea permanenza a Gradisca, cinque giorni dopo il sindaco di Gradisca d'Isonzo chiese informazioni con una lettera inviata a prefettura e ministero dell'interno, senza ricevere risposta -:
quali siano le reali iniziative del ministero dell'interno in merito alla realizzazione
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di un centro di temporanea permanenza per immigrati, da allestire nelle strutture della caserma «Polonio» di Gradisca d'Isonzo.
(4-05654)
MARAN. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nella sua visita elettorale del 3 giugno scorso a Gorizia assieme ai parlamentari di Forza Italia, parlando nel corso di una conferenza stampa in Prefettura di lotta all'immigrazione clandestina il Ministro Pisanu si è soffermato sul centro di Gradisca (Gorizia);
come hanno riportato i giornali «il titolare degli interni, ha fatto capire che un ulteriore tassello in grado di completare l'attività delle Forze dell'ordine in tema di immigrazione è rappresentato dall'apertura di un centro di permanenza temporanea proprio nell'Isontino» e il Prefetto di Gorizia ha voluto puntualizzare che «il progetto esecutivo è quasi pronto»;
ad avviso dell'interrogante, non sarebbe male se anziché parlarne ai giornali in modo allusivo ed estemporaneo il Ministro trovasse il tempo di riferirne in Parlamento nei termini appropriati, posto che non ha ancora risposto all'interrogazione n. 4-05654 del 6 marzo 2003 -:
che cosa intenda davvero fare il Governo a Gradisca e se non ritenga necessario, proprio al fine di determinare le condizioni che possano consentire il successo delle misure ipotizzate, mantenere un rapporto più rispettoso e improntato alla collaborazione con la comunità interessata che sull'argomento, in modo del tutto ingiustificato, non ha altre informazioni che quelle ricavate dai giornali.
(4-06517)
Risposta. - Tra gli obiettivi strategici prioritari, in attuazione delle linee programmatiche del Governo, riaffermate nella direttiva per l'attività amministrativa di questo Ministero per l'anno in corso, figura quello di dare attuazione con tempestività ed efficacia alla legge 30 luglio 2002, n. 189, recante: «Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo».
Risulta fondamentale, in detto contesto, l'azione di contrasto dei flussi di clandestini attraverso le espulsioni, la cui effettività è strettamente connessa al numero dei posti disponibili nei centri di permanenza temporanea e assistenza, ancora non adeguata rispetto alle esigenze.
È stata, quindi, avviata sul territorio nazionale una indagine esplorativa, d'intesa con le Autorità Provinciali competenti, tesa ad individuare aree ed immobili che rispondano agli occorrenti requisiti di funzionalità, qualità e sicurezza.
In tale quadro la istituzione di un centro nell'Italia nordorientale, completamente sprovvista, già peraltro prevista a Gradisca d'Isonzo (Go), con decreto interministeriale del 22 dicembre 2000, assume particolare rilievo.
Le prese di posizioni non favorevoli manifestate dall'Amministrazione comunale, che, purtroppo, riflettono una prassi costante da parte dei comuni interessati non hanno comunque impedito di avviare le relative procedure.
In ogni caso si assicura che, nello svolgimento delle varie fasi che hanno caratterizzato l'intera procedura, il prefetto di Gorizia non ha fatto mancare un contatto diretto e costante con il comune di Gradisca d'Isonzo, nella persona del sindaco, il quale è stato reso edotto, nel corso dei vari incontri e contatti nelle vie brevi, dell'iter della vicenda.
In particolare, dopo l'affidamento, nell'aprile del 2003, del relativo incarico di progettazione, nel luglio dello stesso anno l'Agenzia del demanio consegnava alla prefettura l'immobile della dimessa caserma «Ugo Polonio» per essere adibito ad uso del centro. Pertanto, dopo l'approvazione, in data 17 ottobre 2003, del progetto definitivo a cura della Commissione tecnica consultiva di cui all'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri in data 23 maggio 2003, nel dicembre 2003 venivano conferiti gli incarichi di direzione dei lavori, nonché di responsabile unico del procedimento per la realizzazione dei lavori.
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Le relative opere di esecuzione, iniziate nel gennaio 2004, sono tuttora in corso.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.
MASCIA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 1 agosto 2002 una delegazione del partito della rifondazione comunista, di cui, tra gli altri, faceva parte l'interrogante e il deputato regionale siciliano Francesco Forgione, ha effettuato una visita nel centro di accoglienza per immigrati di Lampedusa;
durante la visita è stata riscontrata la presenza di 197 stranieri uomini, di cui due minori, in una struttura attrezzata per 86 posti;
lo staff di operatori presenti nel centro risultava composto da: un medico, un'addetta alle pulizie che lavora tutti i giorni dalle 9,30 alle 14, alcuni addetti alla mensa e otto carabinieri impegnati nella sicurezza;
gli stranieri ospitati dormono sotto tende e in container in cui la temperatura raggiunge in estate anche i settanta gradi;
nel centro non esiste una mensa perché il container destinato a questo scopo è stato adibito a dormitorio: le persone sono pertanto costrette a mangiare al sole in cortile e, considerata la impraticabilità degli spazi, le stesse vengono tenute in fila e contate molte volte al giorno;
la mancanza di generi di prima necessità - come, ad esempio, acqua, sapone, vestiti di ricambio, schede telefoniche, sigarette - determina spesso tensioni e proteste;
le condizioni igieniche, come segnalato attraverso un fax alla prefettura di Agrigento dall'unico medico presente nel centro, sono a rischio epidemia: sporcizia ovunque, sette bagni per duecento persone, di cui solo tre funzionanti;
durante la visita, si è rilevata l'assenza di interpreti, di figure di mediazione e di materiale informativo, circostanze che impediscono il tempestivo accesso alla procedura di asilo e all'effettivo esercizio del diritto di difesa»;
è possibile ipotizzare che le condizioni del Centro dopo la visitadella delegazione del partito della rifondazione comunista siano, se possibile, peggiorate a causa dell'alto numero di imbarcazioni cariche di stranieri, intercettate a largo di Lampedusa e costrette dalle autorità competenti ad approdare sull'isola;
da un reportage pubblicato dal quotidiano Liberazione il 20 agosto 2002 per quanto riguarda la mancanza di acqua si legge: «Sfogliando i documenti nell'archivio del comune scopro che nel centro l'acqua manca da mesi non per calamità, ma perché la manutenzione ordinaria del motore della pompa idrica non è prevista - e quindi garantita - da nessuna convenzione. E poi scorgo un blocchetto di fax e fatture (12 per la precisione) tutti datati fra il 10 luglio e il 29 luglio 2002... Richiesta urgente, anzi urgentissima, di acqua: tre autobotti; fattura di una tintoria di Lampedusa per il lavaggio di lenzuola. E ancora disperatamente acqua e sapone. Tutti i documenti e l'intestazione dei fax identificano il centro di Lampedusa come centro permanente. Non è un dettaglio. Come non è un dettaglio il documento datato 1 agosto 2000 spedito dal prefetto di Agrigento con la richiesta urgente, per garantire informazione e assistenza legale ai "clandestini", di affiggere in un posto visibile nel centro e comprensibile agli ospiti, un elenco di avvocati iscritti all'ordine della provincia. Non è un dettaglio non aver visto questo elenco entrando nel centro due anni dopo»;
il reportage affronta anche la questione delle morti: «Il parroco ci parla anche dei numerosi morti di Lampedusa. Delle croci nel cimitero vecchio che, però, ci promette, verranno tolte per rispetto delle religioni... Ci rechiamo al cimitero, ci ferisce la vista di una tomba di cemento
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con un'incisione: "Seppellito il 20 luglio 2000 alle ore 11". Chiediamo a due ragazzini di indicarci le tombe dei "clandestini"; in fondo, nella zona nuova, nell'unico punto verde del cimitero, fra rosmarino e oleandro, ci sono in ordine sparso otto croci numerate. Dal registro dei decessi del comune che abbiamo consultato risultano essere identificati 12 morti in un arco di tempo compreso fra il 2000 e il 2001. La capitaneria di porto ci spiega la procedura ufficiale in caso di ritrovamento di corpi in mare o su barche: registrazione del numero dei morti, invio dei corpi ad Agrigento per effettuare l'autopsia e l'identificazione. Non è prevista e non risulta alla Capitaneria nessuna sepoltura a Lampedusa. È anche vero che i dati sulla presenza di migranti - vivi o morti che siano - non sono facili da ottenere a Lampedusa. La capitaneria tiene il suo registro dei nuovi sbarchi, altrettanto fa la Guardia di finanza e così gli altri due corpi presenti sull'isola. Senza circolazione di informazioni. La capitaneria raccoglie le denunce dei ritrovamenti dei cadaveri nelle reti dei pescatori, ce lo conferma il presidente dell'associazione dei pescatori stessi; ma noi questi registri non li abbiamo visti. Candidamente ci viene confessato che capita di non aggiornare i registri dei decessi. Come il caso del ragazzo morto di diabete a luglio, ritrovato su una barca di legno di 7 metri avvistata dagli operatori della piattaforma petrolifera a 60 miglia da Lampedusa, che spediscono via email la foto della barca alla capitaneria: questa solo dopo due giorni intercetta la barca e soccorre i 27 migranti che ci sono sopra, senza registrare il decesso per diabete» -:
se sia a conoscenza di quanto descritto;
quali iniziative intenda prendere per migliorare la vivibilità del centro di Lampedusa sotto il profilo igienico-sanitario;
quali iniziative intenda prendere per organizzare sistematicamente l'accoglienza degli stranieri presso centri diversi da quello di Lampedusa, qualora gli arrivi superino la capienza massima del suddetto centro;
se risulti che associazioni che si occupano di immigrazione avessero segnalato illecite modalità di trattenimento degli stranieri presso il centro di Lampedusa e, eventualmente, quali iniziative siano state prese dopo tali segnalazioni;
se siano previsti ampliamenti della struttura oggi attrezzata per sole 86 persone;
come spieghi l'assenza degli strumenti necessari (interpreti, figure di mediazione e materiale informativo) per il tempestivo accesso alla procedura di asilo e all'effettivo esercizio del diritto di difesa, e quali iniziative intenda prendere per garantire tali diritti agli stranieri che sono accolti nel centro di Lampedusa;
per quale ragione non risulti esposto in modo visibile nel centro un elenco di avvocati iscritti all'ordine della provincia, al fine di garantire informazione e assistenza legale agli stranieri, come peraltro richiesto dal prefetto di Agrigento il 1 agosto 2000;
perché tra i documenti dell'archivio del comune non risultino fatture emesse prima del 10 luglio 2002 a favore del centro di accoglienza e, conseguentemente, come si sia provveduto alle necessità del centro prima di quella data;
come spieghi la cronica mancanza di acqua presso il centro e perché non esista nessuna convenzione che garantisce la manutenzione ordinaria del motore della pompa idrica;
quale sia la procedura di registrazione dei decessi degli stranieri che arrivano sull'isola dal mare e come spieghi l'esistenza di croci senza nome presso il cimitero di Lampedusa;
perché la morte per diabete del ragazzo ritrovato su una imbarcazione insieme ad altre 27 persone lo scorso luglio non sia stata registrata;
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se sia in grado di rendere noto il numero dei decessi di stranieri avvenuti sull'isola, le cause che li hanno provocati, nonché le generalità delle persone morte;
quanto duri mediamente la permanenza degli stranieri presso il centro di Lampedusa e se tale dato sia conforme allo status giuridico del centro medesimo.
(4-03814)
Risposta. - Si premette che nel corso del 2002 si sono effettivamente verificate alcune disfunzioni nella gestione del Centro di permanenza temporanea e assistenza di Lampedusa (Agrigento) a causa della unilaterale e improvvisa decisione della locale sezione provinciale della Croce rossa italiana di ritirarsi dai compiti di gestione della struttura, in un periodo di forte afflusso di clandestini.
In questa particolare e contingente situazione, la prefettura-UTG di Agrigento si è immediatamente attivata perché venissero comunque erogati i servizi minimi essenziali all'interno del Centro, coinvolgendo a tal fine la locale amministrazione comunale e il volontariato religioso operante sull'isola.
Le condizioni di vita e i servizi offerti all'interno della struttura sono definitivamente rientrati in una situazione di sostanziale normalità a seguito dell'affidamento della gestione del Centro alla confraternita misericordie d'Italia, avvenuto il 6 agosto del 2002, e, già il 2 settembre successivo, a seguito di un sopralluogo effettuato da funzionari del Ministero dell'interno, era stato constatato un sensibile miglioramento delle condizioni generali.
L'impegno della locale prefettura-UTG è, comunque, proseguito sia attraverso interventi di varia natura necessari per rispondere a esigenze impreviste, sia attraverso forme di collaborazione con altre organizzazioni di volontariato, come quella concordata, nel settembre di quell'anno, con «Medici senza frontiere» che ha inviato presso il Centro, a titolo gratuito, un proprio infermiere professionale esperto di malattie tropicali.
Terminato l'anno 2002, in data 31 gennaio 2003, è stata stipulata un'ulteriore convenzione con la confraternita misericordie d'Italia per la prosecuzione della gestione del Centro di Lampedusa.
Questa nuova convenzione, in conformità con la direttiva ministeriale dell'8 gennaio 2003 concernente «linee-guida per la gestione dei Centri di permanenza temporanea», prevede, fra gli altri servizi, l'erogazione di servizi di mediazione linguistica e culturale, di interpretariato, di assistenza sociale e psicologica nonché di informazione sulla normativa concernente l'immigrazione e, specificatamente, sui diritti e i doveri dell'immigrato e sulla condizione giuridica dello straniero in Italia.
Da questo ultimo punto di vista, si precisa che, anche nel periodo agosto-dicembre 2002, la Confraternita delle misericordie d'Italia ha assicurato la presenza di interpreti (uno dei quali espleta anche funzioni di mediatore culturale in quanto di origine araba), assistenti sociali e psicologi.
È stato, inoltre, autorizzato, dal luglio 2002, dalla locale prefettura, l'accesso al Centro da parte di operatori dell'associazione culturale «Acuarinto» per l'espletamento di un apposito servizio di informazione in materia di diritto di asilo.
In particolare, l'attuale gestore del centro pone a disposizione degli extracomunitari vademecum informativi, anche sulle procedure di asilo, predisposti in italiano e in altre lingue (arabo, inglese, francese, spagnolo, parsi, tedesco), nonché l'elenco degli avvocati iscritti all'ordine della provincia di Agrigento, fornito dalla locale prefettura, al fine di agevolare i contatti degli extracomunitari per ogni possibile esigenza di carattere legale.
In proposito, la locale prefettura ha precisato, altresì, che, fin dall'agosto 2001, sulla base di apposita direttiva ministeriale e ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 286 del 1998, l'elenco degli avvocati iscritti all'ordine provinciale è stato regolarmente affisso all'interno del Centro.
Il ripetuto verificarsi di condizioni di sovraffollamento presso il Centro di Lampedusa (in particolare circa 450 extracomunitari presenti contemporaneamente nel periodo di ferragosto del 2002, a fronte di una ricettività ordinaria di 86 posti) ha
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determinato la necessità di attuare - per prevenire il possibile insorgere di gravi problemi sia in termini di sicurezza che sotto il profilo igienico-sanitario - ingenti trasferimenti di stranieri verso altre strutture (mediante ponti aerei con velivoli della Aeronautica militare, trasporto via mare con aliscafi oppure trasporto con aeromobili di una società privata).
Tale tipo di soluzione, che peraltro continua tuttora a essere seguita, risponde all'esigenza di mantenere, in maniera costante, quanto più possibile libera la struttura di accoglienza per immigrati di Lampedusa così da poter efficacemente e adeguatamente accogliere gli eventuali nuovi ospiti.
Anche per queste ragioni, il periodo di permanenza degli stranieri nel CPTA di Lampedusa, rientra nel limite massimo previsto dalla legge n. 189 del 2002.
Si soggiunge, inoltre, che il Ministero dell'interno è orientato ad attivare nell'isola di Lampedusa, in sostituzione dell'attuale struttura, un nuovo Centro, la cui realizzazione è stata peraltro ritardata da alcune prese di posizione di segno contrario a livello locale.
Venendo, poi, alle asserite segnalazioni di illecite modalità di trattenimento degli stranieri presso il Centro di Lampedusa, si fa presente che agli atti della prefettura di Agrigento e del locale Comando provinciale dei Carabinieri - Arma che espleta la vigilanza esterna presso il Centro di Lampedusa - non risulta pervenuta alcuna segnalazione al riguardo.
Quanto agli ampliamenti previsti per aumentare la capienza della struttura che sarebbe attrezzata per sole 86 persone, si comunica che per rendere più agevole l'accoglienza dei numerosissimi extracomunitari che giungono nell'isola, meta della quasi totalità degli sbarchi che si verificano in quell'area, sono stati eseguiti lavori che hanno consentito di incrementare la ricettività della struttura che può attualmente ospitare 174 persone.
L'interrogante pone, infine, alcuni quesiti di natura più specifica in merito ai quali si forniscono le seguenti precisazioni.
In ordine all'asserita mancanza presso l'archivio del Comune di fatture emesse prima del 10 luglio 2002 a favore del Centro di accoglienza, nel ricordare che, fino al giugno 2002, la gestione dell'attività del Centro era affidata, in regime di proroga di precedente convenzione, alla Croce rossa italiana, si fa presente che soltanto a seguito del venir meno del rapporto con il predetto Ente gestore si è reso necessario demandare - per l'appunto a partire da giugno 2002 - al Comune di Lampedusa la cura di alcuni adempimenti richiesti dalla contingente situazione di emergenza.
In relazione ai lamentati problemi idrici verificatisi nel Centro, si evidenzia che anche la manutenzione degli impianti idrici da parte del gestore rientrava nel rapporto convenzionale con la Croce rossa italiana.
All'interruzione del predetto rapporto è, pertanto, conseguita la necessità di provvedere al rifornimento idrico con specifici interventi volti, in particolare, a rimuovere i guasti alle cisterne o alle pompe di sollevamento, in una situazione generale, in cui le disponibilità idriche sull'isola sono connesse al funzionamento del locale dissalatore ed al rifornimento a mezzo di navi cisterna, che, come noto, non sempre garantiscono continuità di approvvigionamento.
Un successivo quesito concerne la procedura di registrazione dei decessi degli stranieri, nonché la presenza di croci senza nome presso il cimitero di Lampedusa.
A tal proposito dagli atti del comune di Lampedusa risulta che le morti dei cittadini extracomunitari, i cui corpi sono stati rinvenuti in mare, vengono comunque registrate, ma, nei loro confronti, come previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, non viene formato dall'ufficiale di Stato civile, in assenza di identificazione, il relativo atto di morte, la cui redazione è invece successivamente effettuata in base a specifico decreto del tribunale competente, emesso a seguito di azione promossa dal procuratore della Repubblica.
Le croci senza nome del cimitero dell'isola riguardano corpi di cittadini extracomunitari non identificati.
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Per quanto riguarda la morte per diabete del ragazzo ritrovato su una imbarcazione insieme ad altre 27 persone nel luglio del 2002 che non sarebbe stata registrata, da quanto accertato agli atti del comune di Lampedusa risulta invece che è stato registrato il decesso di un ragazzo centroafricano, avvenuto nel luglio del 2002, e che in merito è stata rilasciata da quel Comune autorizzazione al seppellimento n. 23 in data 1o agosto 2002.
Sempre in merito ai decessi di stranieri sull'isola, il comune di Lampedusa riferisce che dagli accertamenti effettuati risultano registrati presso l'ufficio comunale competente, nell'arco temporale 2001 - novembre 2003, i seguenti decessi: 0 nel 2001, 2 nel 2002 e 20 nel 2003.
Per la maggior parte dei cittadini extracomunitari deceduti non è stato possibile risalire alle generalità, mentre le cause dei decessi non sono registrate agli atti del Comune. Invero, il medico necroscopo è obbligato a redigere apposita scheda Istat (trasmessa a quell'Istituto e all'ASL) con l'indicazione della causa di morte solamente per i soggetti identificati e riconosciuti.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.
MAZZUCA POGGIOLINI. - Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
è riconosciuta ai reparti militari che debbono mantenere un costante livello operativo ed addestrativo una indennità, cosiddetta «supercampagna», di cui all'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 360 del 1996;
con decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del Capo di Stato maggiore della difesa devono essere indicati annualmente i contingenti massimi del personale militare destinatario delle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica di cui sopra;
in sede di attribuzione dell'indennità di supercampagna ai vari enti e reparti, ad alcuni di essi non è stato riconosciuto il relativo diritto, nonostante tali reparti, oltre a svolgere i propri compiti d'istituto, partecipino fattivamente alle attività operative dei vari comandi svolgendo i servizi armati, e dando il massimo supporto operativo;
in particolare, per il particolare impegno e la costante disposizione alla prontezza operativa cui è disposto il 7 Reparto Tecnico Operativo dell'Aeronautica Militare, di stanza a Latina, l'attribuzione dell'indennità di supercampagna risulterebbe in piena attuazione delle disposizioni normative che ne regolano l'assegnazione;
a seguito delle attese e delle aspettative del personale interessato, una mancata attribuzione dell'indennità di supercampagna comporterebbe un contenzioso amministrativo, fondato sulla disparità di trattamento con altro personale militare beneficiario di tale indennità -:
quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati affinché il personale del 7 Reparto Tecnico Operativo dell'Aeronautica Militare venga ricompreso tra i reparti che hanno diritto al pagamento della maggiorazione all'indennità di impiego operativo per reparti di campagna di cui all'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 360 del 1996.
(4-08637)
MAZZUCA POGGIOLINI. - Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
viene riconosciuta ai reparti militari che debbono mantenere un costante livello operativo ed addestrativo una indennità, cosiddetta di «supercampagna», di cui all'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 360 del 1996;
con decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell'economia e
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delle finanze, su proposta del Capo di Stato maggiore della difesa devono essere indicati annualmente i contingenti massimi del personale militare destinatario delle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica di cui sopra;
in sede di attribuzione dell'indennità di supercampagna ai vari enti e reparti, ad alcuni di essi non è stato riconosciuto il relativo diritto, nonostante tali reparti, oltre a svolgere i propri compiti d'istituto, partecipino fattivamente alle attività operative dei vari comandi svolgendo i servizi armati, e dando il massimo supporto operativo;
in particolare, per il particolare impegno e la costante disposizione alla prontezza operativa cui è disposto il Reparto addestramento Controllo Spazio Aereo dell'Aeronautica Militare, di stanza a Borgo Piave (provincia di Latina), l'attribuzione dell'indennità di supercampagna risulterebbe in piena attuazione delle disposizioni normative che ne regolano l'assegnazione;
a seguito delle attese e delle aspettative del personale interessato, una mancata attribuzione dell'indennità di supercampagna comporterebbe un contenzioso amministrativo, fondato sulla disparità di trattamento con altro personale militare beneficiario di tale indennità -:
quali iniziative intendano assumere i ministri interrogati affinché il personale del Reparto addestramento Controllo Spazio Aereo dell'Aeronautica Militare, di stanza a Borgo Piave (Provincia di Latina) venga ricompreso tra i reparti che hanno diritto al pagamento della maggiorazione all'indennità di impiego operativo per reparti di campagna di cui all'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 360 del 1996.
(4-08795)
Risposta. - L'indennità di «supercampagna» è stata istituita con decreto del Presidente della Repubblica n. 360 del 1996 in favore del personale militare delle Forze armate che presta servizio presso i comandi/reparti/unità di campagna impiegati nell'ambito di grandi unità di pronto intervento nazionali ed internazionali.
La corresponsione dell'emolumento è subordinata, quindi, al possesso di peculiari requisiti di operatività e di impiego.
La normativa, inoltre, rinvia ad un decreto interministeriale difesa-economia la determinazione annuale dei «contingenti massimi» del personale militare destinatario dell'emolumento.
A tale riguardo, il decreto interministeriale 2 dicembre 2003 ha stabilito per l'anno 2002 un contingente di 53.215 unità complessive, attribuendo, in particolare, all'Aeronautica militare 17.059 posizioni, confermando l'entità dei contingenti vigenti nell'anno precedente.
Di conseguenza, lo Stato maggiore della difesa, in linea con quanto previsto dalla normativa e nei limiti dei predetto contingente, ha determinato con apposita direttiva i reparti rispondenti ai requisiti previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 360 del 1996.
In relazione a quanto precede e proprio per le diverse connotazioni circa il livello di operatività, sono stati esclusi dai beneficio in parola oltre ai reparti di manutenzione ed i reparti tecnico-operativi anche altre componenti del supporto logistico-operativo.
È necessario, inoltre, precisare che ai fini dell'indennità di «supercampagna», per la quale debbono sussistere peculiari requisiti di operatività, non ha alcun rilievo, al fine dell'attribuzione dell'emolumento, il fatto che il personale dei reparti in parola concorra allo svolgimento dei servizi militari armati.
Il Ministro della difesa: Antonio Martino.
ANGELA NAPOLI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
con atto ispettivo n. 4-01490 del 27 novembre 2001 l'interrogante ha provveduto a denunziare parte delle pesanti irregolarità perpetrate dall'amministrazione,
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a guida del sindaco Giuseppe Mezzatesta, del comune di Molochio (Reggio Calabria);
tra gli altri fatti l'interrogante ha ricordato diversi procedimenti penali pendenti a carico del sindaco di Molochio;
nei giorni scorsi il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Palmi ha rinviato a giudizio il sindaco di Molochio, dottor Mezzatesta, accusato del reato di cui all'articolo 323 del codice penale per abuso d'ufficio -:
se non ritengano necessario ed urgente avviare le procedure per lo scioglimento del consiglio comunale di Molochio.
(4-07146)
Risposta. - La prefettura di Reggio Calabria ha riferito che a carico del sindaco di Molochio (RC) risultano pendenti, presso la procura della Repubblica di Palmi procedimenti penali per omissione d'atti d'ufficio, abuso d'ufficio, falso ideologico, rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio, peculato, truffa ed altro.
Sono attualmente in corso ulteriori accertamenti da parte delle competenti autorità diretti a verificare eventuali infiltrazioni e condizionamenti della criminalità organizzata e solo al termine di tale attività, potrà essere adottata, qualora ritenuta necessaria, la misura di rigore richiesta dall'interrogante.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.
ANGELA NAPOLI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il comune di Cassano allo Ionio (Cosenza), a causa dello scioglimento del civico consesso per la mancata approvazione del bilancio, dallo scorso mese di giugno 2003, è amministrato da un Commissario prefettizio;
nella passata consiliatura è emerso che il segretario generale di quell'ente, ancora oggi in carica, nominato in data 7 aprile 2000, in modo irrituale, direttore generale dalla gestione commissariale del tempo, dopo l'elezione del nuovo sindaco della città, avvenuta in data 30 aprile 2000, ha continuato ad esercitare le stesse funzioni, pur essendo decaduto ope legis percependo i relativi emolumenti, in palese violazione dell'articolo 108, comma 2 del decreto legislativo n. 267 del 2000. (Così come previsto dall'articolo 51-bis della legge n. 142 del 1990);
in data 10 novembre 2000, con nota n. 15646, il nuovo sindaco ha provveduto a diffidare il direttore generale del comune a restituire le somme indebitamente percepite, dalla data di inizio della nuova legislatura amministrativa;
in data 19 novembre 2000, con nota 16273, sempre il nuovo sindaco ha chiesto all'ufficio finanziario dell'ente di attivarsi per il recupero delle citate indennità indebitamente percepite dal direttore generale;
in data 29 novembre 2002 il consiglio comunale, con deliberazione n. 53, ha disposto di istituire un apposito capitolo di bilancio in cui far affluire le somme provenienti dal recupero delle retribuzioni percepite indebitamente per la presunta funzione svolta di direttore generale ed inoltre di perseguire ogni eventuale tipo di responsabilità;
poiché il direttore generale ha continuato a mantenere le proprie inadempienze non ottemperando alle sollecitazioni del sindaco, la giunta comunale di Cassano, in data 3 maggio 2003, con delibera n. 67, ha disposto il recupero delle somme mediante trattenute sullo stipendio del segretario generale, con decorrenza maggio 2003;
lo stesso segretario generale ha proposto opposizione alla citata deliberazione della giunta municipale, nonostante, nel frattempo la Corte dei conti di Catanzaro abbia richiesto l'intera documentazione ed il ministero dell'interno abbia espresso parere favorevole alla posizione assunta dall'amministrazione comunale;
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in data 14 ottobre 2003, senza alcuna logica motivazione, su disposizione del nuovo Commissario prefettizio, in sede di tentativo di conciliazione, il comune di Cassano allo Ionio ha aderito sorprendentemente alle richieste della contro parte, con grave danno erariale per l'ente;
ma la cosa ancora più grave, a parere dell'interrogante, è che, in data 17 ottobre 2003, il nuovo Commissario prefettizio ha rinominato direttore generale la medesima persona -:
se, in punto di diritto, un Commissario prefettizio possa nominare un direttore generale visto le funzioni cui quest'ultimo è preposto;
se a carico del direttore-segretario generale in questione esistano indagini amministrati;
se non ritenga di far revocare tale nomina ed assumere tutti i provvedimenti conseguenti.
(4-08397)
Risposta. - Il commissario straordinario del comune di Cassano allo Ionio, con provvedimento datato 26 aprile 2004 ha disposto la revoca dell'incarico di direttore generale conferito nel mese di ottobre 2003 al segretario generale del medesimo Comune ai sensi dell'articolo 108 del decreto legislativo n. 267/2000.
Tale decisione, secondo quanto riferito dal medesimo Organo straordinario, è stata dettata oltre che da motivi di ordine finanziario - versando, come noto, il comune di Cassano allo Ionio in una difficilissima situazione economica che richiede il taglio di tutte le spese non obbligatorie - anche e soprattutto dal fatto che a distanza di circa sei mesi dal conferimento dell'incarico al suddetto funzionario, la gestione commissariale ha purtroppo dovuto constatare la pressoché invariata persistenza della insoddisfacente situazione organizzativa degli uffici e dei servizi comunali, la quale aveva indotto la medesima gestione straordinaria ad individuare proprio nella persona del segretario generale del Comune la figura manageriale in grado di imprimere il necessario impulso all'azione amministrativa.
Tale ultima circostanza, contravvenendo, appunto, alle aspettative del Commissario dell'ente locale in termini di riorganizzazione dell'intera macchina comunale, ha prodotto, pertanto, come effetto immediato, la suddetta disposta revoca, e l'avvio di ricerche, da parte dello stesso Organo straordinario, di nuove soluzioni per migliorare l'azione amministrativa sotto il profilo dell'efficacia e dell'efficienza.
Su un piano più generale, si ricorda che, a norma dell'articolo 141 del decreto legislativo n. 267 del 2000, recante il Testo unico degli Enti locali, il commissario esercita le attribuzioni conferitegli con il decreto di scioglimento del comune sostituendosi pienamente e completamente all'Amministrazione comunale disciolta.
La nomina dei commissari straordinari rappresenta obiettivamente un atto di sostegno dello Stato all'ente locale per il superamento di quelle crisi istituzionali o programmatiche alle quali l'ente locale resta esposto, al fine di agevolare la ripresa della vita democratica in seno alla comunità.
Si significa infine che l'attività dei commissari, improntata al rispetto dei criteri di imparzialità e legalità, è svolta in piena autonomia e con imputazione degli atti all'ente amministrato.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.
NESI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere:
se risulti e corrisponda a verità la notizia pubblicata su alcuni giornali secondo la quale i governi della Francia, della Germania e dell'Inghilterra stanno creando quella che viene definita «coalizione tra i Paesi industriali dell'Europa» con l'obiettivo di:
a)definire strategie per rafforzare l'industria meccanica ad alta tecnologia ed energetica, attraverso misure riguardanti la stesura delle norme comunitarie che interessano la grande industria;
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la definizione di richieste politiche a favore delle multinazionali con sede nei tre Paesi;
b) creare «una nuova base politica alla grande industria», con misure su metodi di lavorazione, fonti e consumi energetici;
c) se l'Italia sia stata esclusa da questa alleanza, oppure si è volutamente esclusa, forte della sua alleanza con gli Stati Uniti d'America.
(4-07191)
Risposta. - Riguardo ai quesiti posti nel testo dell'interrogazione, non risultano elementi a conferma della supposta costituzione, da parte di taluni Stati membri dell'Unione europea - segnatamente Germania, Francia e Regno Unito - di una «coalizione tra Paesi industriali d'Europa», volta alla realizzazione degli scopi di tutela dell'interesse della grande industria prefigurati dall'interrogante.
Nel quadro più generale della realizzazione delle condizioni per il rilancio dell'economia europea, lo sviluppo della competitività ed il completamento del mercato interno rimangono tuttavia una chiave di volta fondamentale per la realizzazione degli obiettivi di crescita. In questo ambito la Presidenza italiana dell'Unione europea ha ribadito, nel proprio programma semestrale, la consapevolezza della sempre maggiore interdipendenza tra i vari fattori economici e giuridico-istituzionali, come pure la necessità di realizzare un mercato realmente aperto e competitivo, basato sulla conoscenza, sullo sviluppo industriale e sulla sempre più estesa diffusione e diversificazione dei servizi. La Presidenza italiana ha inteso dunque dare concretezza alle indicazioni fornite dal Consiglio europeo di Salonicco, che ha indicato tra le priorità politiche quella di «creare le migliori condizioni economiche per promuovere la crescita ... intensificando la competitività e il dinamismo mediante investimenti nel capitale umano e fisico e nella ricerca e sviluppo (R&S), migliorando l'applicazione delle tecnologie all'intera economia e lo sfruttamento della ricerca, ... stimolando l'imprenditorialità e migliorando il quadro in cui opera l'industria».
In questo contesto, da parte di molti Paesi membri è stata richiamata l'opportunità di riservare un ruolo particolarmente importante allo sviluppo di un'efficace politica industriale europea. Da più parti, inoltre, è stata sottolineata la necessità di considerare tale politica industriale quale elemento «orizzontale» da porre a fondamento dell'elaborazione di azioni e di politiche dell'Unione, adottando pertanto una linea più equilibrata e meno teorica, in grado di dare maggior risalto alle preoccupazioni dell'industria. Tali questioni, alle quali la Presidenza italiana ha riservato particolare attenzione, sono oggetto di ampio dibattito in sede comunitaria.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.
PEZZELLA, LANDOLFI, COLA, BOCCHINO e TAGLIALATELA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
in data 24 aprile il quotidiano napoletano Il Mattino ha riportato la notizia della morte di un giovane studente universitario napoletano che si trovava in viaggio di piacere a Cancun, in Messico. Il giovane, secondo quanto raccontato dal giornale, sarebbe morto in circostanze misteriose, anche se la versione ufficiale delle autorità messicane parla di decesso per arresto cardiaco. I particolari emersi dal racconto dei familiari lascerebbe infatti intendere un'altra lettura della vicenda, ossia quella di un omicidio con contorni da vero giallo internazionale. Filippo Guarracino era partito per una vacanza l'otto marzo scorso e nei giorni successivi, secondo il racconto della sorella, aveva denunciato un furto subito nella sua camera d'albergo. Da quel momento lo studente aveva ricevuto una serie di minacce e, nonostante fosse stato avvertito il console italiano, non era riuscito a tornare in Italia perché gli avevano rubato, oltre ai soldi, anche il
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passaporto. La salma è giunta a Napoli dopo un mese dal delitto. La diagnosi ufficiale parla di arresto cardiaco, ma all'autopsia non era presente un perito della famiglia che si è rivolta anche ad un legale per arrivare alla verità. Tanti sono quindi gli interrogativi e misteri che avvolgono questa tragedia: le cause della morte, l'autopsia eseguita in Messico, i ritardi per il rimpatrio della salma, i contatti della famiglia con il ministero degli affari esteri e le protezioni chieste all'ambasciata italiana di Città del Messico. La notizia ha destato molto scalpore e tanta inquietudine nell'opinione pubblica. Non è la prima volta di turisti italiani uccisi all'estero. Precedenti si sono registrati già a Tenerife e in Indonesia) -:
se il ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, e quali iniziative intenda adottare per l'accertamento della verità;
se, qualora vengano accertate responsabilità e negligenze, quali azioni intende adottare.
(4-09867)
Risposta. - Il caso del signor Filippo Guarracino è stato seguito con particolare attenzione dal Consolato onorario italiano a Cancun e dall'ambasciata d'Italia a Città del Messico sin dal 13 marzo 2004, allorché il connazionale segnalava al funzionario di turno dell'ambasciata di aver subito il furto di 700 dollari USA, del biglietto aereo, del passaporto, nonché di altri documenti ed effetti personali (un paio di occhiali e due telefoni cellulari) presso l'hotel Las Golondrinas di Playa del Carmen. Il furto sarebbe avvenuto, stando sempre a quanto dichiarato dal connazionale, nella notte tra il 10 e l'11 marzo, quando alle 8 del mattino lo stesso avrebbe trovato la porta della stanza d'albergo aperta, accorgendosi di essere stato derubato.
Il signor Guarracino, molto scosso per l'accaduto, affermava altresì di non aver denunciato il furto, precisando che la polizia messicana gli aveva sottratto 5000 pesos (senza spiegarne le ragioni) e che desiderava far ritorno in Italia. Sia il funzionario di turno dell'ambasciata italiana sia il console onorario a Cancun rassicuravano il connazionale circa la possibilità di sostituire il passaporto con un documento di viaggio nonché di far riemettere il biglietto aereo di ritorno in Italia. Il console onorario provvedeva altresì, a seguito delle pressanti richieste sia dell'interessato sia della famiglia in Italia, a reperirgli un alloggio a Cancun. Lo stesso 13 marzo, il connazionale rilasciava, nella sede del Consolato onorario, una dichiarazione nella quale sosteneva di essere stato derubato la mattina dell'11 marzo, di aver tentato di recarsi a piedi da Playa del Carmen a Cancun per raggiungere il consolato e di essere stato quindi immotivatamente e bruscamente fermato dalla polizia e condotto in una cella di sicurezza, da cui sarebbe uscito versando una cauzione di 600 pesos. Il connazionale avrebbe poi trovato un nuovo alloggio a Tulum, località distante 100 km da Cancun, in direzione opposta rispetto a Playa del Carmen. Dopo aver visitato Tulum, avrebbe chiesto ad un tassista di accompagnarlo a Cancun ma avrebbe poi ricordato di aver dimenticato lo zaino con gli occhiali, la patente ed altri effetti personali in albergo. Pertanto, solo il 13 marzo sarebbe riuscito a raggiungere Cancun e a contattare il consolato.
Tale versione dei fatti, già differente rispetto a quella fornita in occasione della prima telefonata all'Ambasciata, è stata poi ulteriormente modificata dal connazionale all'atto della denuncia resa il 15 marzo alle autorità di polizia e necessaria ai fini del rilascio del documento di viaggio. In tale occasione, il signor Guarracino affermava infatti che il furto dei 700 dollari, del passaporto e degli altri effetti personali (macchina fotografica e occhiali) sarebbe avvenuto alle 8 del mattino del 12 marzo nell'Hotel Las Golondrinas di Playa del Carmen. Il giorno successivo, 16 marzo, nell'espletare le pratiche per il rilascio del documento di viaggio, il signor Guarracino modificava nuovamente la versione dei fatti, sostenendo di aver perso il passaporto «camminando per strada».
Il 17 marzo, non avendo più notizie del connazionale dal pomeriggio del giorno precedente,
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il console onorario sollecitava l'intervento della polizia turistica per poterlo rintracciare. Alle 18.30 circa si aveva notizia del ricovero del signor Guarracino presso l'ospedale generale di Cancun, essendo stato rinvenuto per strada, in stato di incoscienza.
Il console onorario a Cancun, recatosi a rendere visita al connazionale il 18 marzo, ha da quel momento seguito l'evolversi delle sue precarie condizioni di salute. Condizioni tali da indurre l'ambasciata italiana ad invitare la sorella a raggiungere al più presto il Messico. Tale invito veniva reiterato il 20 marzo, dopo che il medico di fiducia del consolato si era recato in ospedale per avere informazioni dettagliate circa le condizioni del predetto. Il 21 marzo, il Console onorario, recatosi in ospedale per la consueta visita veniva informato del decesso del signor Guarracino, avvenuto la sera prima alle ore 21.15. L'Ambasciata italiana ha quindi provveduto tempestivamente a comunicare in Italia, la grave notizia alla sorella del nostro connazionale.
Il decesso è imputabile a cause naturali (infarto del miocardio), come risulta dalle certificazioni mediche acquisite e dal riscontro dell'autopsia, che mettono in luce le gravi condizioni di salute in cui il signor Guarracino si trovava, soffrendo tra l'altro di insufficienza renale acuta e di disfunzione epatica.
L'ambasciata italiana a Città del Messico e il consolato onorario a Cancun hanno provveduto, una volta eseguita l'autopsia, al disbrigo delle formalità relative al rimpatrio della salma. Al riguardo, va precisato, che l'autopsia è stata eseguita come da normale prassi, dai medici messicani e pertanto non si è potuta accogliere la richiesta dei familiari affinché venisse eseguita in Italia o eventualmente in Messico con la presenza di periti italiani.
In merito al rimpatrio della salma, nonostante il fattivo interessamento di questo Ministero e dell'ambasciata, il ritardo è imputabile al disaccordo che la famiglia ha avuto con l'agenzia funebre messicana, in merito al preventivo delle spese per il rimpatrio stesso. Inoltre, il ritardo, è anche in parte dovuto ad errori compiuti dalle Autorità messicane nella redazione del certificato di morte (errore nella trascrizione di data, ora e giorno del decesso, indicato il 10 marzo alle 20.30 anziché il 20 marzo alle ore 21.15), imprecisioni che l'ambasciata ha fatto immediatamente rilevare.
Infine, il trattamento della salma (imbalsamazione o trattamento antiputrefattivo) è avvenuto conformemente alle disposizioni internazionali vigenti in materia, in particolare quelle stabilite dalla Convenzione di Berlino del 10.2.1937, cui anche il Messico aderisce.
Il feretro è giunto in Italia il 21 aprile 2004 con volo diretto a cadenza settimanale Lauda Air da Cancun a Roma.
Gli elementi sopra esposti mettono in luce come l'Ambasciata italiana a Città del Messico, abbia fornito la massima assistenza possibile al connazionale e ai familiari, sia direttamente sia tramite il consolato onorario a Cancun.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Mario Baccini.
PISICCHIO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'amalgama di argento è una lega metallica impiegata in odontoiatria come materiale di restauro per i denti attaccati dalla carie;
in tale composto chimico è presente in misura non minore al 50 per cento di mercurio;
l'alta tossicità del mercurio può arrecare danni anche rilevanti ai principali organi umani, quale sistema centrale e periferico, del rene, i vasi sanguigni, gli organi della riproduzione, il pancreas e il sistema immunitario;
diverse associazioni di odontoiatria, tra cui l'ada council on dental material, istruments and equipment (l'associazione americana dentisti, commissioni sui materiali, strumenti ed attrezzature dentali) hanno raccomandato l'assunzione di tecniche alternative all'uso dell'amalgama per effettuare cure dentistiche;
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tra le problematiche collaterali all'impiego del mercurio nella pratica odontoiatrica vi è anche il non lieve pericolo derivante dallo smaltimento del materiale di scarto dell'amalgama -:
quali provvedimenti il ministro intenda adottare per affrontare adeguatamente il problema, al fine di garantire il più ampio livello di tutela della salute dei cittadini utenti dei servizi odontoiatrici e dei cittadini sottoposti al rischio della esposizione ai rifiuti tossici.
(4-06077)
Risposta. - L'amalgama dentale viene usata in odontoiatria da più di 150 anni: come la maggior parte dei biomateriali, non è inerte e, anche se correttamente applicata nella bocca del paziente, può liberare piccole quantità di mercurio.
Tale possibilità può avvenire sia per l'erosione degli amalgami, durante la masticazione, sia per l'ingestione di particelle di metallo, accidentalmente staccatesi dalle otturazioni.
Inoltre, poiché il mercurio è un metallo avente la tendenza ad evaporare a temperatura ambiente, il paziente è potenzialmente esposto anche all'inalazione dei relativi vapori.
La potenziale esposizione al mercurio inorganico, proveniente dagli amalgami, può avvenire attraverso le seguenti vie:
via respiratoria: riguarda i vapori di mercurio che si liberano dall'amalgama. I fattori che determinano l'assorbimento per via respiratoria sono: la superficie degli amalgami; i tempi delle fasi di applicazione/rimozione; la qualità chimico-fisica dell'amalgama;
via digestiva: riguarda l'assorbimento di particelle di mercurio che possono staccarsi dall'amalgama per abrasione o degrado e dipende: dalla localizzazione degli amalgami (superficie masticatoria); dalle abitudini personali (ad esempio, l'uso di chewing gum); dalla qualità chimico-fisica dell'amalgama; dalla superficie dell'amalgama applicata.
L'assorbimento gastro-enterico è notevolmente influenzato anche da fattori individuali (tipo di alimentazione e azione della flora intestinale in grado di modificare anche la forma chimica di mercurio ingerito).
Via trasmucosa e via transpulpare: sono «vie minori» che possono però permettere il passaggio del mercurio direttamente nel sangue.
Via nervosa: è stato dimostrato sperimentalmente, in primati in cui erano stati collocati amalgami ed in altri animali, che il trasporto di mercurio può avvenire nei nervi dei gangli, sia olfattivi che dentari.
Il rilascio di vapori e di particelle dagli amalgami può aumentare a causa della masticazione di cibi particolarmente duri e del lavaggio dei denti con spazzolini e paste dentifricie abrasive (con un aumento significativo di rilascio di vapore di mercurio da 12 a 14 volte).
Dai diversi studi sperimentali effettuati, è stata comunque stimata, nei portatori di superfici occlusali in amalgami, l'esistenza di più elevate concentrazioni intraorali di vapore di mercurio, e di concentrazioni ematiche di mercurio, rispetto ai soggetti non portatori.
La vasta letteratura disponibile è, nella maggior parte, concorde in merito al basso, o addirittura trascurabile, rischio di effetti tossici per l'uomo derivante dall'impianto di otturazioni a base di amalgami; sono state evidenziate, tuttavia, alcune situazioni nelle quali l'assorbimento di mercurio può risultare più elevato, o condizioni organiche di particolare sensibilità che richiedono maggiore attenzione (per esempio donne in gravidanza, età pediatrica, consumatori di chewing gum).
Per quanto riguarda l'eventuale esposizione di donne in gravidanza ai vapori e/o particelle di mercurio, i risultati degli studi sperimentali, effettuati su donne in gravidanza, portatrici di amalgami con superficie da 0 a 780 mm2, hanno mostrato come la placenta abbia una capacità molto elevata di trattenere il metallo, non rilevandosi, se non in misura molto ridotta, alcuna correlazione tra quantità di mercurio a livello ematico e la superficie dell'amalgama.
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Una particolare attenzione, peraltro, deve essere rivolta al problema dell'allergia al mercurio.
Pur non ritrovandosi in letteratura dati precisi per quel che riguarda stati di allergia in pazienti portatori di amalgami, alcuni studi hanno indicato che il numero dei pazienti, suscettibili di presentare reazioni allergiche al mercurio presente nelle loro otturazioni, è compreso tra lo 0,04 e lo 0,0001% della popolazione generale; inoltre, anche se in casi limitati, il mercurio può causare dermatiti allergiche da contatto.
Va precisato che l'Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1997 ha dichiarato che: «Gli amalgami dentali sono considerati sicuri, ma alcuni componenti ed altri materiali utilizzati possono, in alcuni casi, provocare reazioni allergiche o effetti collaterali locali. La piccola quantità di mercurio rilasciato dagli amalgami, specialmente durante l'applicazione e la rimozione, non è stata associata con altri effetti collaterali.
Un potenziale rischio di esposizione al mercurio per il personale odontoiatrico esiste se le condizioni di lavoro non sono opportunamente organizzate.
L'evidenza corrente è che i materiali dentali "restaurativi", compresi gli amalgami, sono validi e sicuri; comunque effetti biologici avversi, in seguito all'uso di materiali, avvengono occasionalmente e devono essere trattati su base individuale. L'OMS riconosce l'importanza del monitoraggio continuo sulla sicurezza ed efficacia di tutti i materiali odontoiatrici restaurativi».
È opportuno ricordare che nell'ambito dell'Unione europea i prodotti per odontoiatria rientrano nella definizione di «dispositivo medico» e come tali sono regolamentari dalla direttiva 93/42 Comunità europea (recepita in Italia con il decreto legislativo n. 46 del 24 febbraio 1997) che prevede per i dispositivi medici l'obbligo di marcatura Comunità europea; tale marcatura viene apposta sul prodotto dal fabbricante, indicato come il responsabile dell'immissione in commercio del dispositivo medico.
Il fabbricante degli amalgami deve provvedere ad alcuni adempimenti, tra cui la preparazione di un fascicolo tecnico, comprendente le specifiche del prodotto, i metodi di fabbricazione, i dati clinici, nonché l'analisi dei rischi e le istruzioni per l'uso.
L'analisi dei rischi deve essere effettuata per ciascun tipo di amalgama ed è stata definita con norme di livello comunitario, prendendo in considerazione tutte le possibilità di rischio, anche quelle ipotetiche, che possono realizzarsi per qualunque tipo di causa, sia durante il processo produttivo sia durante l'utilizzo degli amalgami, mettendo in atto tutte le misure per l'eliminazione o la riduzione del rischio, anche attraverso corrette istruzioni per l'uso.
Qualora, nel corso delle attività di vigilanza da parte dell'Autorità competente, così come previsto dalla Direttiva citata, gli amalgami in commercio, forniti di marcatura Comunità europea, risultino privi di corrette avvertenze e/o istruzioni per l'uso, è necessario intraprendere le opportune azioni correttive.
A tal fine, il Ministero della salute con il decreto ministeriale del 10 ottobre 2001 ha vietato, in via cautelare, l'utilizzazione, l'importazione e l'immissione in commercio degli amalgami dentali non preparati sotto forma di capsule predosate, indicando le precauzioni e le avvertenze da riportare nelle istruzioni per l'uso di quelli messi in commercio in Italia.
Con tale provvedimento si limita il rischio di esposizione a vapori di mercurio, in corso di preparazione degli amalgami, eliminando, inoltre, il rischio di sovradosaggio. Relativamente alla correlata problematica dello smaltimento del materiale di scarto dell'amalgama, si fa presente che il decreto legislativo n. 152 dell'11 maggio 1999 prevede, fra l'altro, il divieto di eliminare, con le acque reflue, mercurio e solidi in sospensione, al di sopra di una determinata soglia.
A tal proposito, si segnala come sia diffusa, presso gli studi dentistici, la pratica di utilizzare sistemi di recupero dei residui di amalgama, al fine del loro corretto smaltimento.
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I rifiuti contenenti mercurio sono ricompresi tra i rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo: la loro gestione (deposito temporaneo, raccolta, trasporto, eccetera) è attualmente disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 2003, n. 254, «Regolamento recante disciplina della gestione dei rifiuti sanitari a norma dell'articolo 24 della legge 31 luglio 2002, n. 179.
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Guidi.
REALACCI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
Catania è la più grande città ad alto rischio sismico in Italia, e probabilmente in Europa, e per tale motivo era stata scelta come sede di un progetto-pilota per l'elaborazione di scenari di danno in caso di sisma, denominato «Progetto Catania»;
con i risultati del «Censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici strategici e speciali...» realizzato dal Dipartimento di Protezione Civile in collaborazione con il Ministero del lavoro e il Gruppo nazionale difesa dai terremoti si ha oggi la conoscenza di quali sono gli edifici a maggior rischio: tali progetti hanno impegnato considerevoli somme di denaro pubblico;
secondo quanto risulta all'interrogante, da più di un anno e mezzo l'amministrazione comunale di Catania dispone dei risultati di ambedue gli studi e non solo non ne ha fatto oggetto di divulgazione e dibattito, utili per una maggiore presa di coscienza, ma non ne ha tenuto in nessun conto nella sua attività:
nonostante i due studi e - in particolare il «Progetto Catania» - siano infatti di fondamentale importanza anche per la discussione del PRG e del Piano triennale dei lavori pubblici, dei loro risultati sarebbe stato tenuto all'oscuro il consiglio comunale e, a quanto pare, anche l'ufficio del Piano;
è dovere delle pubbliche amministrazioni informare e rendere conto del proprio operato ai cittadini secondo quanto stabilito recentemente anche dalla legge n. 150 del 2000;
la legge n. 228 del 1997 prevede, per la prima volta in Italia e solo per la Sicilia orientale, la possibilità di intervenire per la prevenzione sismica utilizzando i fondi residui della legge n. 433 del 1991, relativa al ripristino dei danni del terremoto del 1990;
in dispregio delle linee guida dello Stato («Metodo Augustus») e della Regione («Linee guida per la redazione dei piani comunali di protezione civile») il Comune di Catania vorrebbe realizzare, con i fondi della prevenzione sismica, strade, parcheggi e addirittura edifici (parcheggi multipiano) e nulla invece ha messo in programma per la prevenzione negli edifici strategici assegnando più peso evidentemente alla sicurezza delle auto che non a quella delle persone:
per i parcheggi il Comune di Catania aveva già ottenuto un mutuo di 68.793 milioni di cui il 90 per cento a carico della stessa Regione (legge Tognoli): il decreto regionale di finanziamento definiva questo «il contributo regionale massimo ammissibile» statuendo che per la parte restante vi era «l'obbligo di copertura finanziaria da parte del Comune di Catania». Nonostante ciò, lo stesso Comune ha richiesto, sempre con i fondi della legge n. 433 del 1991, l'assegnazione di altri 65.488 milioni;
sebbene i parcheggi a raso siano utili come aree di emergenza ciò non significa che vadano realizzati con i fondi per la prevenzione, mentre non si fa nulla per gli edifici a rischio;
i parcheggi multipiano non possono infatti in nessun caso essere spacciati per aree di emergenza;
il Comune di Catania avrebbe chiesto e già ottenuto dalla regione circa 20 miliardi di lire - sempre con i fondi per la prevenzione - per:
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a) la realizzazione di una strada (viale De Gasperi) asserendo che la stessa servirebbe a sostituire il lungomare che, in caso di sisma, sarebbe soggetto agli effetti di un maremoto, mentre gli studi dimostrerebbero che ciò non è vero: anzi è proprio il lungomare l'unico pezzo di costa dove non c'è il rischio del maremoto essendo 8-10 metri alto sul livello del mare (si vedano a tal proposito: A. Tinti, Analisi di aspetti selezionati del terremoto del 1693: studio dello tsunami, GNDT, 1998; ed Enzo Boschi-Emanuela Guidoboni, Catania terremoti e lave, Bologna, 2001);
b) l'ammodernamento della circonvallazione;
entrambe le opere, pur probabilmente utili, non possono rientrare nei criteri di priorità definiti dal Metodo Augustus, ma vanno finanziati con gli ordinari fondi comunali, in tal modo altrimenti i 100 miliardi disponibili per la prevenzione in provincia di Catania sarebbero tutti assorbiti dal Comune di Catania e nulla resterebbe per gli altri enti (gli altri Comuni, la Provincia, le ASL);
a causa di ciò numerosi sindaci di comuni della provincia avrebbero protestato nel corso dell'assemblea del 25 febbraio 2002 alla presenza del Presidente della regione;
la destinazione di questi fondi deve essere decisa dalla regione previo parere di una Commissione paritetica Stato-Regione di cui fanno parte tre dirigenti del Dipartimento Protezione Civile e tre dirigenti della Regione e che pertanto vi è un potere/dovere di controllo da parte dello Stato sul migliore uso di questi finanziamenti che sono a carico del bilancio dello Stato -:
se non ritenga che i fondi della protezione civile debbano essere esclusivamente utilizzati per opere di conclamata utilità ai fini della protezione civile;
quale utilità pratica hanno avuto questi studi che hanno impegnato grandi risorse pubbliche;
se si ritengano attendibili o meno i risultati del «Censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici...» realizzato dal CNR-GNDT;
quali direttive siano state date ai dirigenti del Dipartimento Protezione Civile componenti della Commissione Stato-Regione per l'esame delle proposte di finanziamento avanzate dai vari enti;
se, alla luce del Metodo Augustus i parcheggi multipiano possano essere considerati aree attrezzate per la protezione civile;
se non ritenga necessario e indispensabile aumentare i fondi destinati alla prevenzione sismica nella Sicilia orientale e nelle altre zone a rischio d'Italia con un vero e proprio Piano decennale per la sicurezza sismica che, insieme agli interventi di salvaguardia dal rischio idrogeologico, dovrebbero rappresentare le vere «grandi opere» del nostro Paese.
(4-06086)
Risposta. - L'ordinanza di protezione civile n. 3274 del 30 marzo 2003 recante «Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per la costruzione in zone sismiche», modificata successivamente con l'ordinanza n. 3316 del 2004, fornisce, alle regioni interessate, i criteri per la classificazione sismica del territorio. Essa realizza un nuovo assetto normativo che si affianca alla normativa europea, al fine di svolgere efficacemente i compiti di prevenzione antisismica affidati alle regioni stesse e previsti agli articoli 93 e 94 del decreto legislativo n. 112 del 1998.
Inoltre l'articolo 2, comma 3, della predetta ordinanza 3274 ha previsto risorse economiche per le verifiche tecniche delle opere strategiche e delle infrastrutture di «rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile» che «possano assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale collasso», secondo i criteri definiti nella medesima ordinanza.
In particolare la regione siciliana, allo scopo di definire le priorità di verifica
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sismica degli edifici, ha utilizzato i risultati degli studi del «Progetto Catania» e del «Censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici strategici e speciali».
Il «Progetto Catania» consiste in una ricerca svolta dal Gruppo nazionale per la difesa dai terremoti, dal Servizio sismico nazionale e dal Dipartimento della protezione civile, realizzata sulla base di accurati studi svolti nel centro storico della città di Catania ed in ampie zone della periferia, relativi alla vulnerabilità sismica ed al livello di rischio per la città stessa. I dati forniti sono stati messi a disposizione degli enti interessati ed in particolare del comune di Catania.
Il «Censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici strategici e speciali», condotto dal Gruppo nazionale per la difesa dai terremoti, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dai lavoratori socialmente utili, costituisce un'ulteriore analisi sul territorio che gli enti territoriali possono utilizzare per adempiere a quanto previsto dall'ordinanza n. 3274.
Per quanto riguarda la legge n. 433 del 1991, successivamente modificata dalla legge 228 del 1997, si fa presente che tale norma è stata emanata a seguito del sisma che il 13 ed il 16 dicembre 1990 ha colpito numerosi comuni della Sicilia orientale.
In particolare, con l'articolo 1, lettere h) e i) bis della citata legge 443, sono state stanziate delle risorse economiche sia per il potenziamento dei servizi centrali e periferici della protezione civile, compresi gli organi, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sia per la realizzazione di interventi di messa in sicurezza e prevenzione dal rischio sismico degli edifici pubblici e privati e delle infrastrutture non statali nei comuni di Siracusa, Ragusa, Catania e Messina.
In proposito sono stati previsti dei piani, articolati in specifici interventi, redatti dalla regione siciliana con delibera della giunta regionale n. 219 dell'8 maggio 2001, su proposta del comitato tecnico paritetico, costituito da tre rappresentanti del Dipartimento della protezione civile e da tre rappresentanti della regione.
Il Piano, attualmente in vigore, ha previsto, per la città di Catania, 16 interventi per la realizzazione di nuovi distaccamenti dei vigili del fuoco, per l'adeguamento viario della circonvallazione e la viabilità nei pressi dell'ospedale Cannizzaro, per il progetto di completamento e di collegamento di Via Due Obelischi e per la realizzazione di una struttura multipiano di ammassamento e ricovero. Tra detti interventi non risulta quello relativo alla realizzazione di viale De Gasperi.
Per quanto riguarda la scelta delle opere da realizzare e la possibilità di considerare i parcheggi multipiano come aree attrezzate per la protezione civile, si fa presente che il «metodo Augustus» suggerisce di individuare preventivamente le aree di emergenza da destinare alla protezione civile, scegliendole in zone non soggette a rischio, in vicinanza di risorse idriche, fognarie, elettriche ed in prossimità di adeguate infrastrutture viarie per garantire sia una rapida urbanizzazione alla popolazione colpita da un evento calamitoso, sia un rapido accesso alle aree medesime.
Inoltre si renderà necessario lo stanziamento di risorse destinate al soccorso ed al superamento dell'emergenza.
Nell'ambito degli indirizzi di pianificazione per il rischio sismico, redatti dal Dipartimento della protezione civile, si precisa che per «aree di emergenza» si intendono non solo spazi ma anche strutture che, in caso di terremoti o altri eventi calamitosi, possono essere destinate a finalità di protezione civile.
Il concetto di «polifunzionalità» si concretizza nella scelta di spazi e strutture che possono essere utilizzate anche per altre attività, come lo svolgimento di fiere, concerti, eventi sportivi ed altro.
L'area del parcheggio multipiano, costruito secondo le norme antisismiche dell'ordinanza n. 3274, può, quindi, essere considerato area di emergenza per i soccorritori e per la raccolta delle risorse, mentre si rivela inadatta al ricovero della popolazione colpita da un evento sismico.
Sempre per finalità di protezione civile si è provveduto, in accordo con la regione, alla realizzazione di 10 parcheggi (già previsti
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nel piano parcheggi della città di Catania), per un importo totale di 41.088.281,00 euro di cui 6.197.482,79 di euro previsti della legge n. 433 del 1991.
Tali parcheggi «a raso» potranno soddisfare, in caso di evento sismico, l'esigenza di realizzare in tempi rapidi delle tendopoli, prima ed aree per prefabbricati, in un secondo momento.
Inoltre l'ordinanza di protezione civile n. 3259 del 20 dicembre 2002, ha nominato il sindaco di Catania commissario delegato «per l'attuazione degli interventi volti a fronteggiare l'emergenza determinatasi nella città di Catania in relazione alla situazione del traffico e della mobilità e per gli interventi del rischio sismico connessi e funzionali».
In tale contesto al commissario è stata attribuita la facoltà di poter disporre dei finanziamenti previsti dalla legge n. 433, con particolare riferimento agli obiettivi dell'articolo 1, punto h) della stessa legge.
Tuttavia il commissario delegato, rispettando la realizzazione degli interventi previsti, ha rimodulato l'importo finanziario sulla base dei progetti esecutivi più urgenti.
Per quanto riguarda l'obiettivo i) bis della predetta legge n. 433, questo riguarda, in particolare, l'adeguamento della preesistente sede del centro operativo misto.
In relazione ai criteri adottati dai dirigenti del Dipartimento della protezione civile per l'esame delle proposte di finanziamento avanzate dai vari enti, sono state considerate prioritarie le opere per la realizzazione e l'adeguamento delle vie di fuga, nonché l'individuazione delle aree di attesa, ammassamento e ricovero, il miglioramento delle condizioni di sicurezza sismica dell'edilizia privata, attraverso interventi di rafforzamento, la cui priorità è stata determinata sulla base del rischio sismico ed infine l'adeguamento antisismico degli edifici che ospitano i centri operativi.
In particolare per la messa in sicurezza delle vie di accesso dei soccorsi, sono stati previsti lavori per l'eliminazione di tutti i sovrappassi della circonvallazione-nord e le opere di manutenzione per l'allontanamento dalla costa della circonvallazione di levante, che sarà realizzata in una posizione più arretrata rispetto all'attuale.
L'impegno finanziario complessivo previsto per gli interventi è di circa 24 milioni di euro, stanziati in base alla citata legge n. 433.
Infine l'ordinanza di protezione civile n. 3105 del 7 febbraio 2001, recante «disciplina degli interventi di prevenzione sismica per gli edifici privati nei comuni della Sicilia orientale (province di Siracusa, Catania, Ragusa e Messina)», ha stanziato 280 miliardi di vecchie lire dei quali il 60 per cento pari a 138 miliardi di lire, da assegnare ai comuni interessati in funzione dell'indice di rischio sismico di ciascuno di essi ed il restante 40 per cento pari a 90 miliardi di lire, da ripartire sulla base di una graduatoria stilata dalla regione siciliana.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento: Carlo Giovanardi.
REALACCI. - Al Ministro della difesa, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. - Per sapere - premesso che:
da organi di stampa nazionali e regionali, (quali l'edizione di la Repubblica del 19 gennaio 2004 e l'Unione Sarda del 15 dicembre 2003), viene riportata la notizia di una possibile presenza di radioattività nelle acque della Maddalena come conseguenza del grave incidente al sommergibile statunitense Hartford, avvenuto nell'ottobre scorso;
nel silenzio delle autorità americane, ma anche italiane, sull'accaduto, l'istituto di ricerca indipendente Criirad (Commission de recherche et d'information independantes sur la radioactivité), diretta dall'ingegnere e fisico nucleare Bruno Chareyon ha analizzato le acque dove è avvenuto l'incidente;
i risultati di queste analisi sono allarmanti: nelle alghe prelevate nella zona dell'incidente in due riprese subito dopo
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l'incidente, il 17 e il 18 novembre e il 9 dicembre, è stata trovata una forte concentrazione di torio 234. Addirittura tra i 3.900 e i 4.700 becquerels nelle alghe rosse prelevate, un po' meno in quelle verdi, ma in quantità comunque da quattro a sette volte superiori al normale;
il torio 234 è il primo discendente dell'uranio 238 ma anche un componente del combustibile nucleare che alimenta i sommergibili: questo rende credibile la tesi di un inquinamento come conseguenza dell'incidente;
si tratta di valori enormemente alti che non è possibile commisurare con quelli antecedenti all'incidente perché le autorità italiane e americane non hanno mai reso noto il risultato delle rilevazioni periodicamente effettuate nelle acque della Sardegna;
sempre il quotidiano l'Unione Sarda nell'edizione del 15 dicembre 2003 rivela il contenuto del piano di emergenza in caso di incidente nucleare (il piano originario risale al 1979, ma è rimasto secretato per anni);
il piano non contempla, a differenza degli altri piani di emergenza quali quelli di Taranto, La Spezia e Gaeta, il rischio di fusione nucleare e appare inoltre palesemente sottodimensionato poiché non calcola il forte carico turistico della zona. E, cosa ancora più grave, ipotizza a quanto risulta all'interrogante, una evacuazione della popolazione solo volontaria -:
se siano a conoscenza di cosa sia realmente avvenuto nelle acque della Maddalena e se sussistano rischi alla salute dei cittadini e all'ambiente a causa dell'incidente occorso al sommergibile nucleare 768 Hartford;
se sia stata valutata, a causa dell'aumento della radioattività delle acque, l'opportunità di avviare operazioni di bonifica dell'area interessata a tutela della salute pubblica e dell'importante ecosistema marino;
se non si intenda modificare con urgenza e integrare il piano di emergenza a tutela delle salute delle popolazioni introducendo principi più idonei e rigidi quali:
la realizzazione delle prove di evacuazione;
il dimensionamento del piano di evacuazione in relazione del carico turistico dell'area interessata;
la contemplazione, come avviene nel piano di emergenza del Porto di La Spezia, anche del caso di una accidentale fusione nucleare;
la creazione di un osservatorio ambientale sanitario per il monitoraggio della qualità dell'ambiente - aria, acqua e salute dei cittadini - che renda periodicamente pubblici i risultati.
(4-08621)
Risposta. - Il sottomarino nucleare statunitense «Hartford» alle ore 11,55 locali del giorno 25 ottobre scorso, uscendo dalla rada di La Maddalena per un problema tecnico di lieve entità, ha toccato il fondo nelle acque basse, a nord-ovest dell'isola delle Bisce.
Il battello, secondo quanto previsto dal Piano di emergenza per la sosta di unità a propulsione nucleare nella rada di Santo Stefano, è stato scortato nel transito in uscita da una motovedetta della capitaneria di porto.
Al termine di detta operazione di scorta, l'equipaggio del battello ha avvertito un forte rumore proveniente dallo scafo.
Da una prima valutazione, il battello non sembrava aver riportato alcun danno allo scafo tanto meno alla propulsione, pur rendendosi necessaria l'effettuazione di ulteriori controlli agli organi di governo che hanno determinato il rientro dell'unità in porto.
Tali controlli hanno consentito di accertare la presenza di danni al timone ed alcune strisciate sullo scafo di entità tale da non comportare alcun danno allo scafo ovvero al personale di bordo.
Ai verificarsi dell'evento è stato immediatamente escluso qualsiasi pericolo di
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inquinamento ambientale e per la incolumità delle popolazioni, fermo restando, comunque, che le istituzioni militari hanno costantemente monitorizzato l'evolvere della situazione.
Con specifico riferimento al controllo ambientale:
il Presidio multizonale di prevenzione (PMP) di Sassari [Area fisica geologica ambientale dell'azienda unità sanitaria locale (A.U.S.L.) n. 1-Sassari - Agenzia regionale protezione ambientale Sardegna] ha confermato che i risultati del monitoraggio sistematicamente effettuato indicano l'assenza di pericolo sia per la popolazione che per l'ambiente e portano ad escludere che l'incidente abbia provocato un qualche inquinamento radioattivo;
per quanto riguarda la presenza di Torio-234, misurato dalla Commissione per la ricerca, e l'informazione indipendente sulla radioattività (CRIIRAD) nell'alga rossa, è stato ipotizzato un fenomeno di bioaccumulo e la stessa Commissione in una nota ha sottolineato l'origine naturale del Torio che non è, quindi, ricollegabile a reazioni nucleari di fissione, nonché la difficoltà dell'interpretazione dei dati raccolti; inoltre, le analisi effettuate dal personale del Presidio multizonale di prevenzione (PMP) su campioni di sedimenti prelevati mensilmente non hanno indicato valori di attività del Torio-234 superiori a quanto riportato nei testi scientifici;
lo spettro accumulato dalle centraline acqua viene monitorato durante la giornata e memorizzato alle ore 24.00: pertanto, la comparsa di picchi anomali di tutti gli isotopi gamma emettitori, naturali o artificiali, sarebbe prontamente segnalata ed indagata;
l'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), in collaborazione con l'Istituto culturale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM) e con l'Agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPAS) ha recentemente redatto un rapporto tecnico nei quale si esclude che la presenza di Torio e di Uranio siano da mettere in relazione alla presenza di sommergibili nucleari nella base di Santo Stefano e all'incidente occorso al sottomarino americano;
l'Istituto di radioprotezione e di sicurezza nucleare (IRSN) francese, il quale effettua nella zona interessata controlli mensili su mitili ed acqua di mare, non ha segnalato attività radioattiva anormale.
A conferma dell'attenzione con cui la Difesa segue la problematica ambientale, essa ha siglato in data 14 gennaio 2004 un documento di accordo con la regione Sardegna in seno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipartimento coordinamento amministrativo, con il quale è stato determinato di consentire a tutti gli Enti pubblici territoriali interessati di poter effettuare analisi concernenti la qualità dell'aria, dell'acqua e del fondale marino della rotta di transito delle unità navali statunitensi all'interno del comprensorio militare in questione.
Il Centro interforze studi ed applicazioni militari (CISAM), organismo tecnico-scientifico della Difesa, ha prelevato campioni ambientali per accertare, come peraltro già in atto semestralmente ed ininterrottamente sin dal 1974, l'eventuale presenza di elementi inquinanti nell'area in questione.
In particolare, si tratta di campioni di acqua di mare, sedimenti, organismi marini vegetali ed animali (mitili), dal cui esame è emerso che il Torio 234 era già presente, con concentrazioni paragonabili alle attuali, anche nei campioni di alghe e sedimenti prelevati ed analizzati nel corso della precedente campagna semestrale (luglio 2003), tre mesi prima dell'incidente in cui è rimasto coinvolto il sottomarino Hartford.
Inoltre, la Marina militare continua ad assicurare a favore della provincia di Sassari una fattiva collaborazione fornendo il necessario supporto per lo svolgimento delle periodiche attività di prelievo di campioni di flora, fauna e sedimenti da sottoporre ad analisi di laboratorio, nel più generale contesto del monitoraggio ambientale dell'area in questione che è, da anni, costantemente monitorata mediante diverse reti di rilevamento della radioattività.
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Il sistema di monitoraggio dell'area dell'arcipelago è dotato di cinque centraline per il controllo della radioattività in aria (dislocate sull'isola di Santo Stefano, isola di Caprera - due punti - isola di La Maddalena, Palau) e di due centraline per il controllo della radioattività in acqua (dislocate sulle isole di Santo Stefano e di La Maddalena).
Peraltro, in data 23 febbraio scorso presso il PMP di Sassari si è tenuta una riunione alla quale hanno partecipato rappresentanti dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), dell'Istituto culturale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM), del Presidio multizonale di prevenzione (PMP) di Cagliari, nonché docenti universitari di Sassari, per definire un programma di monitoraggio straordinario della radioattività ambientale nel parco di La Maddalena.
Si può dunque escludere che l'incidente occorso al sottomarino abbia causato danni all'ambiente. Così come non vi è alcuna ragione che possa destare una situazione di allarmismo.
Per la salvaguardia e la tutela dei residenti, la prefettura di Sassari recentemente ha provveduto a rielaborare, in perfetta aderenza a quanto previsto dal decreto legislativo n. 230 del 1995, il Piano di protezione civile.
Il Piano contiene la pianificazione delle attività e degli interventi da espletare in caso di incidente derivante dalla presenza di sommergibili nucleari nella base di Santo Stefano.
Le ipotesi di incidente, unitamente alla stima delle possibili conseguenze radiologiche ad esso associate, sono state oggetto di una rivalutazione aggiornata dell'Agenzia per protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT) riportata nel documento «Presupposti tecnici per il piano di emergenza esterna relativo alla sosta di unità navali militari a propulsione nucleare nei porti italiani» rev. 2000, sul quale la commissione tecnica per la sicurezza nucleare e la protezione sanitaria ha espresso il proprio parere favorevole.
Inoltre, nella considerazione che: i mezzi navali vengono accompagnati in entrata ed in uscita nelle acque dell'arcipelago; in caso di incidente si prevede l'allontanamento del sommergibile con un rimorchiatore sempre pronto ad operare; la probabilità che si verifichi la fuoriuscita nell'ambiente di materie radioattive allo stato aeriforme è molto bassa; non è stata ritenuta necessaria l'adozione di una misura quale l'esodo della popolazione di La Maddalena. Per tale ragione il Piano prende in considerazione l'ipotesi di un esodo solamente volontario; cioè solo per coloro che sentono l'esigenza di allontanarsi dall'area.
In conclusione, la Difesa ha posto in essere ogni possibile misura per prevenire eventuali incidenti.
Nel caso dell'incidente dell'Hartford non sono stati rilevati danni ambientali nell'area in argomento, da anni costantemente monitorata mediante diverse reti di rilevamento della radioattività e, pertanto, non si dispone di elementi oggettivi per avviare un'operazione di bonifica.
Il Ministro della difesa: Antonio Martino.
RUSSO SPENA e CENTO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
la legge delega per la riforma della Pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa, n. 59 del 1997, demanda al Governo l'emissione dei provvedimenti di attuazione attraverso DPCM, prevedendo all'articolo 11 lettera h), «procedure di consultazione delle organizzazioni sindacali firmatarie dei contratti dei relativi comparti prima dell'adozione degli atti interni di organizzazione aventi riflessi sul rapporto di lavoro»;
la legge n. 59 del 1997, all'articolo 12 lettera c) dispone che venga garantito «al personale inquadrato ai sensi dell'articolo 38 legge 400/88, il diritto di opzione tra il permanere nei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri e il transitare nei ruoli dell'amministrazione cui saranno
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trasferite le competenze», così come ribadito all'articolo 11 comma 5 del decreto legislativo 303/99 modificato (decreto legislativo 343/03);
il decreto legislativo 343/03 concernente modifiche ed integrazioni all'articolo 9-ter (Istituzione del ruolo speciale della Protezione civile) del decreto legislativo 303/99 sull'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, estende tale principio anche al personale che presta servizio «...presso il dipartimento della protezione civile ha facoltà di opzione secondo modalità e termini stabiliti con il decreto del Presidente...»;
i contratti collettivi nazionali di lavoro stabiliscono in via prioritaria che la consultazione con le organizzazioni sindacali ...si svolga invece, obbligatoriamente sull'organizzazione e disciplina degli uffici, nonché sulla consistenza e la variazione delle dotazioni organiche;
tra la data del 26 aprile 2004 in cui è stato emanato un DPCM che nel preambolo ritiene «... opportuno definire la situazione delle opzioni per procedere successivamente all'inquadramento del personale nel ruolo di destinazione» e la pubblicazione del supplemento speciale n. 1 al bollettino ufficiale parte II pubblicato il 14 maggio 2004, il Governo ha provveduto ad inserire in un decreto-legge «...recante disposizioni urgenti in materia di funzionamento della pubblica amministrazione», l'articolo 3, nel quale si specifica che «... il diritto di opzione ivi previsto deve intendersi attribuito esclusivamente al personale a suo tempo inquadrato nei ruoli di cui tabelle allegate alla legge 23 agosto 1988 n. 400, e non appartenente ai ruoli iscritti nell'ambito della presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi delle diverse disposizioni normative, pur se aggiunti ai ruoli di cui alla predetta legge n. 400 del 1988 -:
quali siano i motivi per i quali non siano state applicate le leggi (legge n. 59 del 1997, articolo 11 lettera h) e le normative contrattuali vigenti in materia di consultazione preventiva relativa alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, circa le politiche del personale;
quali siano le motivazioni che hanno indotto il Governo prima ad estendere il diritto di opzione con il decreto legislativo n. 343 del 2003 e successivamente a revocarlo, di fatto applicando unilateralmente criteri propri dell'istituto della mobilità, snaturando così il concetto proprio di opzione e creando profonde disparità di trattamento tra il personale dei ruoli all'interno del comparto della Presidenza del Consiglio dei ministri.
(4-10175)
Risposta. - Come evidenziato dall'interrogante con la legge n. 59 del 1997 viene garantito al solo personale inquadrato nei ruoli della Presidenza del Consiglio (di cui alle tabelle A e B allegate alla legge n. 400 del 1988) il diritto di opzione a permanere nei medesimi ruoli, in caso di trasferimento di competenze ad altre Amministrazioni. Tale esclusività trova conferma nella circostanza che furono presentati emendamenti (poi non approvati) per estendere tale diritto di opzione anche al personale degli altri ruoli della Presidenza del Consiglio (protezione civile e servizi tecnici nazionali).
Recentemente, per alcuni dipendenti dei predetti Servizi tecnici è stato riconosciuto dal TAR il diritto ad esercitare l'opzione sopra descritta e, in pendenza di appello al Consiglio di Stato, la Presidenza del Consiglio, con apposita norma interpretativa inserita nel recente decreto-legge n. 136, ha ritenuto necessario confermare per la stessa opzione l'ambito soggettivo di applicazione al solo personale già previsto dalla legge n. 59 del 1997. Tale norma interpretativa attiene, in tutta evidenza, alla procedura applicativa della citata legge n. 59 e non interferisce con il successivo decreto legislativo n. 343 del 2003, che prevede per il personale della Protezione civile in servizio presso strutture della Presidenza del Consiglio e per quello della stessa Presidenza in servizio presso il Dipartimento della protezione civile la facoltà di opzione per essere inquadrato nel ruolo in cui presta attualmente servizio.
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Risulta pertanto inesatto lamentare la «revoca» del diritto di opzione, di cui alla legge n. 59 del 1997, tenuto conto che la norma interpretativa del decreto-legge, per la sua natura, si limita a ribadire quanto stabilito dalla stessa legge n. 59, mentre è indubbio che la facoltà di opzione fra ruoli della stessa Presidenza è in corso di applicazione secondo le finalità indicate nel decreto legislativo n. 343.
Quanto al mancato coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, occorre tenere presente che l'opzione in parola, meramente facoltativa, non attiene a procedure di mobilità, ovvero all'organizzazione del lavoro, ma si limita a consentire, tramite apposita domanda, la stabilizzazione del personale interessato nel ruolo in cui presta servizio, sempre nell'ambito della stessa Amministrazione.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento: Carlo Giovanardi.
RUZZANTE. - Al Ministro delle politiche agricole e forestali. - Per sapere - premesso che:
le gelate primaverili, le grandinate di maggio e di agosto ma soprattutto il lungo periodo di siccità che hanno caratterizzato l'estate 2003, hanno messo in ginocchio l'agricoltura della provincia di Padova;
questa ondata ha avuto ripercussioni sulle produzioni di tutti gli indirizzi colturali presenti nel territorio provinciale;
nonostante le sollecitazioni dell'interrogante fatte tramite interrogazione parlamentare e le richieste della provincia di Padova, attraverso l'Assessorato all'Agricoltura, non è intervenuto ancora alcun provvedimento o agevolazione di natura fiscale e contributiva atto ad alleviare il grave disagio in cui versano le aziende danneggiate;
lo stanziamento di un risarcimento, aumentando le risorse previste nel Fondo di Solidarietà Nazionale è necessario per garantire un futuro alle aziende più colpite ed attenuare lo stato di crisi in cui si trova questo comparto produttivo già pesantemente provato -:
se il Ministro intenda intervenire prontamente adottando iniziative normative volte a prevedere uno stanziamento di fondi necessari per il ripristino delle attività produttive duramente colpite dalle eccezionali avversità atmosferiche;
se il Ministro non ritenga necessario integrare le disponibilità del Fondo di Solidarietà Nazionale con risorse sufficienti a garantire un minimale sollievo alle aziende colpite, dato che i danni causati da eventi calamitosi non solo nella provincia di Padova, risultano sempre più frequenti.
(4-09804)
Risposta. - Per le grandinate del 28 agosto 2003 e per la siccità del medesimo anno che hanno colpito alcuni territori agricoli della Provincia di Padova, il Ministero, su proposta della regione Veneto, ha emesso il decreto di declaratoria in data 30 dicembre 2003 (Gazzetta Ufficiale n. 6 del 9 gennaio 2004).
Per quanto riguarda, inoltre, le gelate della primavera 2003, in considerazione della circostanza che la regione Veneto non ha formulato proposte di intervento, si ritiene che l'evento calamitoso segnalato abbia inciso sulla produzione lorda vendibile aziendale del territorio in misura inferiore al 35 per cento e cioè in una misura non sufficiente a consentire l'attivazione degli interventi di soccorso del Fondo di solidarietà nazionale.
Si fa presente, infine, che a favore delle aziende agricole ricadenti all'interno dei territori comunali individuati con il predetto decreto ed in presenza dei requisiti di legge, potranno essere erogati gli aiuti economici nella forma di mutui e contributi atti a compensare il danno alle produzioni ed il ripristino, la ricostruzione e la riconversione delle strutture aziendali.
A ciò si aggiunga che a favore delle imprese agricole, al fine di evitare squilibri di natura socio-assistenziale nei territori colpiti da calamità naturali o avversità atmosferiche, sono previsti riduzioni dei
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contributi INPS e sgravi fiscali riferiti all'anno dell'evento.
Il Ministro delle politiche agricole e forestali: Giovanni Alemanno.
SGOBIO. - Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 12 giugno 2003, il segretario generale della Cgil della Calabria ha denunciato che a Catanzaro «tre lavoratori dipendenti, di età compresa tra i 26 ed i 30 anni, di un'azienda di servizi sono stati licenziati perché si sono rifiutati di accettare l'intimazione del datore di lavoro a consegnare il libretto elettorale con il quale si va a votare per il referendum sull'articolo 18»;
secondo quanto riferito dal segretario generale della Cgil della Calabria, in altre aziende della provincia di Cosenza altri lavoratori sono stati minacciati dai datori di lavoro per non andare a votare e sono stati costretti a consegnare, per evitare il licenziamento, il certificato elettorale;
la denuncia del segretario generale della Cgil della Calabria è di una gravità senza precedenti, perché è un reato impedire ad un cittadino di esercitare liberamente i propri diritti elettorali -:
se non ritengano urgente intervenire, ciascuno per i propri ambiti di competenza, nell'intento di dare disposizioni ai prefetti affinché si facciano accurati controlli sulle denunce fatte dalla Cgil della Calabria, a tutela della libertà dei cittadini, e a difesa dei diritti e della dignità dei lavoratori.
(4-06605)
Risposta. - In merito alla vicenda segnalata dall'interrogante, la direzione provinciale del lavoro, Servizio ispezione del lavoro di Cosenza ha comunicato di aver contattato il segretario generale della CGIL della Calabria, per poter individuare, suo tramite, le aziende della provincia di Cosenza, dove si sarebbero verificate le «intimazioni di licenziamento» nei confronti dei lavoratori.
In proposito lo stesso segretario generale della CGIL ha, tuttavia, smentito che i fatti da lui segnalati si siano verificati per come riportati nel documento parlamentare, precisando che alla vigilia delle consultazioni referendarie, in un pubblico comizio e successivamente alta stampa, si era limitato a denunciare all'opinione pubblica eventuali pressioni di carattere psicologico esercitate - soprattutto nelle piccole aziende del settore terziario - nei confronti dei lavoratori dipendenti per scoraggiare il libero esercizio del diritto di voto.
Lo stesso segretario generale ha ribadito, inoltre, di aver denunciato casi di licenziamenti che erano già avvenuti anteriormente alle votazioni referendarie, ma ha escluso l'adozione di provvedimenti di licenziamento nei confronti dei lavoratori che si sarebbero rifiutati di «accettare l'intimazione del datore di lavoro a consegnare il libretto elettorale», per impedirne l'esercizio del diritto di voto.
La locale compagnia dei Carabinieri ha tuttavia tempestivamente trasmesso la nota dell'agenzia ANSA del 12 giugno 2003, che riportava la dichiarazione del segretario generale, alla Procura della Repubblica di Cosenza che ha rubricato i reati di cui all'articolo 97 del 30 marzo 1957, n. 361 (minaccia o pressioni per costringere l'elettore ad astenersi dall'esercitare il diritto elettorale) e all'articolo 56 del codice penale (delitto tentato).
Lo stesso Comando ha altresì comunicato che da ulteriori verifiche effettuate su delega dell'Autorità giudiziaria non risultano presentate denunce in ordine ai fatti riportati nel documento parlamentare.
È sottinteso che eventuali denunce in questo senso provocherebbero immediate e scrupolose indagini.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.
TANZILLI. - Al Ministro dell'interno, al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il signor Pasquale Caponera è stato eletto consigliere provinciale di Frosinone in data 13 giugno 1999;
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lo stesso, con atto del Presidente della provincia di Frosinone, è stato nominato Presidente del Consorzio di Campocatino costituito tra l'amministrazione provinciale di Frosinone, di cui Caponera è consigliere, e il comune di Guarcino;
il citato consorzio di Campocatino è un ente vigilato da parte dell'amministrazione provinciale di Frosinone e tale circostanza ha determinato quindi l'incompatibilità del Caponera, giusta l'articolo 63, comma 1, n. 1), del testo unico delle leggi sugli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000;
il Consiglio provinciale di Frosinone è stato investito della questione nell'oramai lontana seduta del 9 luglio 2002 in cui il consigliere provinciale Stefano Scerrato ha promosso un ordine del giorno nel quale rilevava la causa di incompatibilità;
risulta che tale argomento sia stato posto come ventinovesimo punto all'ordine del giorno del 18 novembre 2002 e del 29 novembre 2002 (seduta peraltro non tenutasi per convocazione intempestiva). Soltanto il 30 dicembre 2002, il punto è stato messo all'ordine del giorno ma non è stato discusso;
tali circostanze, ad avviso dell'interrogante, fanno ritenere che non vi sia la volontà di trattare la questione;
il consigliere provinciale di Frosinone Stefano Scerrato avrebbe informato nel febbraio del 2003 il prefetto di Frosinone, dottor Aurelio Cozzani, ai sensi dell'articolo 69 del testo unico delle leggi relative all'ordinamento degli enti locali ma stranamente quest'ultimo non si è attivato ai sensi dell'articolo 70 del suddetto testo unico;
alla luce di tutte queste circostanze il signor Attilio Castellucci, cittadino elettore della provincia di Frosinone e primo dei non eletti alle consultazioni provinciali del 1999, ha chiesto la declaratoria in via giursidizionale della decadenza dalla carica di consigliere provinciale del signor Caponera Pasquale;
tale ricorso giurisdizionale il 23 maggio 2003 è stato accolto dal tribunale di Frosinone che, quindi, ha disposto la decadenza dalla carica di consigliere provinciale del signor Caponera Pasquale;
il Provvedimento è stato notificato il 6 giugno 2003 anche alla provincia di Frosinone;
il 27 giugno 2003, giorno in cui si è svolto il primo consiglio provinciale utile dopo la notifica del provvedimento del tribunale di Frosinone, Castellucci Attilio, tramite proprio difensore ha diffidato il presidente del consiglio provinciale di Frosinone, l'architetto Rita Martelluzzi, il segretario generale della provincia di Frosinone, il dottor Adriano Marini, e il presidente della provincia di Frosinone, l'avvocato Francesco Scalia, a voler disporre la propria surroga in luogo del decaduto Caponera;
il Presidente del consiglio provinciale, invece, ha ritenuto il provvedimento non esecutivo giusta l'articolo 84 u.c. del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960, che sospende l'efficacia della sentenza di decadenza se è stato proposto rituale atto di citazione in appello innanzi alla Corte d'appello;
l'atto di appello non era stato, invece, proposto e quindi non operava tale disciplina ma rimanendo efficace il provvedimento giurisdizionale del tribunale di Frosinone;
il 4 luglio 2003, poi, è stata inviata dalla cancelleria della volontaria giurisdizione del tribunale di Frosinone, alla provincia di Frosinone oltreché al prefetto di Frosinone la sentenza completa di dispositivo e motivazione;
il 9 luglio 2003 si è svolto un'altra seduta del consiglio provinciale e nemmeno in esso è stata disposta alcuna surroga ex articolo 45 del consigliere Castellucci in luogo del decaduto Caponera nonostante mancava l'atto d'appello del Caponera, atto presupposto per rendere applicabile l'u.c. dell'articolo 84 del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960;
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l'unico provvedimento che l'amministrazione provinciale conosceva il 9 luglio 2003 era solo ed esclusivamente la sentenza di decadenza disposta dal tribunale di Frosinone il 23 maggio 2003;
l'interrogante ritiene che si siano consumate condotte non conformi alla legge -:
se non intenda promuovere un'indagine sull'intera vicenda allo scopo di valutare l'operato del prefetto di Frosinone, Aurelio Cozzani che - sebbene formalmente informato - nulla avrebbe fatto, né prima del pronunciamento della magistratura e nemmeno successivamente a quest'ultimo per l'esecuzione del decisum giurisdizionale e, quindi, attraverso quella che appare all'interrogante una omissione, non avrebbe concorso al buon andamento della pubblica amministrazione;
se non ritenga che il ritardo, che si può configurare come inerzia, nella surroga del consigliere provinciale costituisca una grave violazione di legge tale da richiedere l'esercizio dei poteri previsti dall'articolo 142 del testo unico delle leggi relative all'ordinamento degli enti locali.
(4-07076)
Risposta. - Nel merito delta vicenda sollevata dall'interrogante si premette che, con delibera n. 107 del 22 dicembre 2003, il Consiglio provinciale di Frosinone ha provveduto alla surroga del consigliere provinciale signor Pasquale Caponera - decaduto per sopravvenuta incompatibilità a seguito di sentenza definitiva - con il signor Attilio Castellacci.
Quanto ai lamentati ritardi con i quali l'ente locale ha dato esecuzione alla relativa sentenza n. 686 del 2003 del tribunale civile di Frosinone e alle iniziative assunte al riguardo dalla prefettura di Frosinone, si fa presente che, con nota del 14 febbraio 2003, l'Amministrazione provinciale forniva assicurazione alla citata Prefettura in merito all'adozione del provvedimento di surroga del consigliere provinciale in questione.
In questa fase, la prefettura di Frosinone, ispirandosi al principio costituzionale di leale collaborazione, non riteneva, pertanto, di dover attivare l'azione popolare di cui all'articolo 70 del decreto legislativo n. 267 del 2000, trattandosi, peraltro, come è noto, di azione suppletiva attivabile «da qualsiasi cittadino elettore ... o da chiunque vi abbia interesse».
Intervenuta successivamente la dichiarazione giurisdizionale di decadenza con la citata sentenza n. 686 del 2003, trasmessa alla prefettura della cancelleria del tribunale civile di Frosinone in data 2 luglio 2003, la locale Prefettura si attivava nuovamente presso il presidente del Consiglio provinciale per conoscere la data di notifica della sentenza in questione agli interessati - avvenuta l'11 luglio successivo -, ricevendo ulteriore assicurazione circa l'adozione dei conseguenti provvedimenti.
Tenuto conto dei termini ordinari di interposizione dei rimedi giurisdizionali previsti dall'ordinamento vigente e della circostanza che l'istituto della surroga si configura come atto dovuto, la citata prefettura non riteneva, in tale lasso di tempo, di dover adottare alcuna iniziativa invasiva della sfera di autonomia decisionale propria dell'ente locale, nel pieno rispetto del principio costituzionale di leale collaborazione e ferma restando ogni ulteriore valutazione in caso di mancato adempimento da parte del consiglio provinciale.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.
VALPIANA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ha pronunciato una decisione (n. 1422/2003) contro l'annullamento di una sentenza del TAR Campania (sez. I n. 5335 del 7 dicembre 2001) nella controversia che opponeva due associazioni di famigliari di sofferenti psichiatrici (UNASAM, Unione Nazionale delle Associazioni della Salute Mentale e AFASP, Associazione dei famigliari e amici dei sofferenti psichici di Napoli) alla regione Campania, al comune di Napoli, alla seconda Università degli studi di Napoli e
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alla ASL 1 di Napoli, in quanto i ricorrenti contestavano la decisione del TAR che annullava l'accordo da loro fatto che assegnava l'ex Ospedale psichiatrico Bianchi di Napoli per 99 anni e a titolo gratuito alla stessa università;
infatti dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici di cui alla legge 180 del 1978, la legge finanziaria per il 1995 (n. 724 del 1994, articolo 3, comma 5) e le disposizioni legislative stabiliscono che i redditi prodotti dai beni mobili e immobili degli ospedali psichiatrici dimessi siano destinati per l'attuazione di quanto previsto dal progetto obiettivo Tutela della salute 1994-1996, ovvero, in generale, «per interventi nel settore psichiatrico» come successivamente confermato e stabilito dalla legge finanziaria per il 2001: (legge 23 dicembre 2000, n. 388), che impone specificamente di destinare alla produzione di reddito, attraverso vendita o locazione, i beni mobili e immobili degli ex ospedali psichiatrici, già assegnati o da destinare alle aziende sanitarie locali o ospedaliere, nonché di utilizzare i redditi in tal modo prodotti prioritariamente per la realizzazione delle strutture territoriali, in particolare residenziali, nonché di centri diurni con attività riabilitative destinate ai malati mentali in particolare attuazione degli interventi previsti dal piano sanitario nazionale 1998-2000 e dal progetto obiettivo tutela della salute mentale 1998-2000. Solo qualora risultino disponibili ulteriori somme, dopo l'attuazione di quanto previsto innanzi, «le aziende sanitarie locali potranno utilizzarle per altre attività di carattere secondario» -:
quale sia la situazione attuale regione per regione di ognuno degli ex ospedali psichiatrici in riferimento allo:
utilizzo per attività relative ai servizi di salute mentale;
utilizzo per altre attività di carattere socio-sanitario;
utilizzo per altri tipi di attività;
quale sia il reddito realizzato da ciascun ospedale e se e quanto di questo reddito sia stato impiegato per le strutture alternative definite dai piani sanitari nazionali e regionali e dai progetti obiettivo e quali strutture (o iniziative specifiche) siano state realizzate;
se quanto è stato realizzato in termini di organizzazione, strutture, personale e strumenti dei Dipartimenti di salute mentale sia rispondente ai bisogni espressi sui territori, compreso quanto è stato anche rilevato e richiesto dalle associazioni e coordinamenti per la salute mentale.
(4-06387)
Risposta. - Facendo riferimento all'atto parlamentare in argomento si allega una tabella ricavata dalle indicazioni fornite dalle regioni sui piani di destinazione degli ex ospedali psichiatrici pubblici che si riferiscono all'ultima rilevazione realizzata nel dicembre 2000. Nella suddetta tabella non sono stati inseriti i 18 ex ospedali psichiatrici del veneto e quello calabrese di Girifalco (Catanzaro), in quanto alla data del 30 settembre 1997 tali strutture avevano già completato il proprio programma di superamento. Al fine di un aggiornamento dei dati relativi alla situazione in oggetto nel mese di marzo 2004 il ministero della salute ha avviato una verifica dello stato attuale delle strutture e della destinazione dei fondi realizzati nella vendita o nella locazione degli ex ospedali psichiatrici.
Per quanto riguarda la richiesta di verifica di congruità dei servizi ai bisogni del territorio si fa presente che è opportuno fare riferimento ai singoli Piani sanitari regionali.
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Guidi.
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Allegato
ELABORAZIONE BASATA SULLE RISPOSTE FORNITE DALLE REGIONI SULLA SITUAZIONE DEGLI EX OSPEDALI PSICHIATRICI PUBBLICI A DICEMBRE 2000
EX OP |
Edifici utilizzati dall'Ente proprietario per la salute mentale |
Edifici utilizzati dall'Ente proprietario per altre attività |
Edifici utilizzati da altri Enti o per attività non sanitarie |
Reddito realizzato |
Edifici o aree concesse in locazione |
Reddito utilizzato per strutture alternative |
Alessandria
| SI | SI | SI | NO | NO | |
Collegno-Grugliasco
| SI | SI | SI | SI | NO | SI |
Novara
| SI | SI | | NO | NO | |
Vercelli
| SI | SI | SI | NO | NO | |
Racconigi
| SI | SI | SI | NO | NO | |
Bergamo (parte di proprietà dell'AO)
| SI | SI | SI | NO | NO | |
Bergamo (parte di proprietà della ASL)
| NO | SI | SI | NO | NO | |
Brescia
| NO | SI | SI | NO | NO | |
Castiglione delle Stiviere (Mantova)
| NO | NO | SI | NO | NO | |
Codogno
| NO | SI | NO | NO | NO | |
Como (parte di proprietà dell'AO)
| NO | SI | SI | NO | NO | |
(Como (parte di proprietà della ASL)
| NO | SI | NO | NO | NO | |
Cremona (parte di proprietà dell'AO)
| SI | SI | SI | NO | NO | |
Cremona (parte di proprietà della ASL)
| NO | SI | SI | NO | NO | |
Limbiate (parte di proprietà dell'AO)
| SI | SI | SI | NO | NO | |
Limbiate (parte di proprietà della Provincia di Milano)
| NO | SI | SI | NO | NO | |
Mantova (parte di proprietà dell'AO)
| NO | SI | SI | NO | NO | |
Mantova (parte di proprietà della ASL)
| NO | SI | NO | NO | NO | |
Paolo Pini - Milano (parte di proprietà dell'AO)
| SI | SI | SI | NO | NO | |
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EX OP |
Edifici utilizzati dall'Ente proprietario per la salute mentale |
Edifici utilizzati dall'Ente proprietario per altre attività |
Edifici utilizzati da altri Enti o per attività non sanitarie |
Reddito realizzato |
Edifici o aree concesse in locazione |
Reddito utilizzato per strutture alternative |
Paolo Pini - Milano (parte di proprietà della ASL)
| SI | SI | SI | NO |
NO | |
Paolo Pini - Milano (parte di proprietà della Provincia di Milano)
| SI | SI | SI | NO | NO | |
Sondrio
| SI | SI | SI | NO | SI | SI |
Varese (parte di proprietà dell'AO)
| NO | SI | SI | NO | NO | |
Varese (parte di proprietà della ASL)
| SI | SI | SI | NO | NO | |
Voghera (Pavia)
| SI | SI | NO | NO | NO | |
Pergine Valsugano (Trento)
| SI | SI | SI | NO | NO | |
Udine
| | | SI | | | |
S. Camillo di Salice
| | | | NO | NO | |
Cogoleto (Genova)
| SI | SI | SI | SI | | SI |
Quarto (Genova)
| SI | SI | NO | NO | NO | |
Colorno (Parma)
| SI | NO | NO | NO | NO | |
S. Lazzaro (Reggio
Emilia)
| SI | SI | SI | NO | NO | |
S. Bartolo (Ferrara)
| SI | SI | NO | NO | NO | |
XXV aprile e Istituto
S. Gaetano (Bologna)
| SI | SI | NO | NO | NO | |
Roncati (Bologna)
| SI | SI | SI | NO | SI | SI |
Provinciale (Piacenza)
| SI | SI | NO | NO | NO | |
Osservanza (Imola)
| SI | NO | NO | NO | NO | |
Maggiano (Lucca)
| | SI | | SI | | SI |
Pistoia
| SI | SI | | SI | | SI |
Volterra
| SI | SI | | SI | | SI |
S. Niccolò (Siena)
| | | | SI | | SI |
Arezzo
| | SI | SI | SI | | |
Firenze
| | SI | SI | SI | | |
Pag. LVI
EX OP |
Edifici utilizzati dall'Ente proprietario per la salute mentale |
Edifici utilizzati dall'Ente proprietario per altre attività |
Edifici utilizzati da altri Enti o per attività non sanitarie |
Reddito realizzato |
Edifici o aree concesse in locazione |
Reddito utilizzato per strutture alternative |
«San Benedetto»
(Pesaro)
| NO | SI | NO | NO | In trattativa | |
Ancona
| NO | SI | SI | SI | SI | SI |
Macerata
| NO | SI | NO | SI | NO | SI |
Fermo
| SI | SI | NO | SI | NO | SI |
Perugia
| | SI | SI | NO | NO | |
S. Paolo (Foligno)
| SI | | | | | |
S. Maria della Pietà
(Ceccano)
| SI | SI | NO | NO | NO | |
S. Maria della Pietà
(Roma)
| SI | SI | | NO | | |
S. Francesco (Rieti)
| SI | SI | NO | NO | NO | |
S. Maria di Collemaggio (L'Aquila)
| SI | SI | SI | In trattativa | SI | |
Teramo
| | SI | | | | |
Frullone (Napoli)
| | SI | SI | | | |
Leonardo Bianchi
(Napoli)
| OP non chiuso a dicembre 2000 | SI | SI | | | |
S. Maria Maddalena
(Aversa)
| | SI | In trattativa | | | |
Mater Domini (Nocera Superiore)
| SI | SI | | | SI | |
Nocera Inferiore
| SI | SI | | | SI | |
Villa Romatizza
(Brindisi)
| Dati non forniti dalla regione | | | | | |
Libertini (Lecce)
| OP non chiuso a dicembre 2000 | SI | | NO | NO | NO |
Agrigento
| NO | SI | | NO | NO | |
Messina
| NO | SI | | NO | SI | SI |
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EX OP |
Edifici utilizzati dall'Ente proprietario per la salute mentale |
Edifici utilizzati dall'Ente proprietario per altre attività |
Edifici utilizzati da altri Enti o per attività non sanitarie |
Reddito realizzato |
Edifici o aree concesse in locazione |
Reddito utilizzato per strutture alternative |
Palermo
| | SI | | NO | SI | |
Siracusa
| SI | SI | | NO | NO | |
Trapani
| SI | SI | SI | | | |
Rizzeddu
| SI | SI | NO | NO | NO | |
Villa Clara (Cagliari)
| SI | SI | SI | NO | NO | |
Nota: Nella tabella non sono stati inseriti i 18 ex OP della regione Veneto e quello della Regione Calabria di Girifalco (CZ) in quanto alla data del 30 settembre 1997 tali strutture avevano già completato il proprio programma di superamento.
VILLARI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il comune di Marano in provincia di Napoli è attualmente governato da un'amministrazione di centrosinistra;
l'esecutivo e la sua maggioranza operano nella piena legittimità democratica e non risultano episodi di condizionamento dell'amministrazione;
è stata insediata da parte del ministero dell'interno la commissione di accesso presso il comune, tale fatto appare rispondere ad una logica politica e di pressione nei confronti di un'amministrazione che stà lavorando bene -:
quali siano le motivazioni alla base di questa iniziativa del ministero dell'interno.
(4-06061)
Risposta. - L'attività demandata alla commissione d'accesso scaturisce da un provvedimento di delega del Ministro dell'interno che, avendo valutato una serie di risultanze che riguardano la gestione del comune di Marano di Napoli (NA), ha ritenuto di dover attivare i poteri di cui all'articolo 1, comma 4 del decreto-legge n. 629 del 1982.
Le funzioni attribuite alla commissione rientrano nel generale potere di vigilanza e monitoraggio della funzionalità degli organi elettivi degli enti locali, anche in ordine agli eventuali fenomeni di infiltrazioni camorristiche nei relativi apparati elettivi e burocratici.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.
ZANELLA e RUZZANTE. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
risulta all'interrogante che nella città di Padova un gruppo di famiglie e di genitori di malati psichiatrici, in particolare di persone affette da schizofrenia e bipolarismo, hanno sottoscritto un appello in cui chiedono alle strutture locali una riorganizzazione dei centri diurni per persone affette da disagio psichico che dovrebbero svolgere la propria attività seguendo alcuni requisiti indicati nel medesimo appello: essere dedicati solo alla malattia bipolare e alla schizofrenia, essere aperti tutto il giorno compresi i sabati e le domeniche, organizzare tutta la giornata
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del malato sia dal punto di vista ludico che di inserimento professionale, monitorare la terapia fino al raggiungimento della dose minima efficace, avere un responsabile presente tutti i giorni, disporre di un centralino telefonico e una guardia medica notturna, organizzare sedute di psicoterapia e gruppi di auto-aiuto per i familiari, avere la possibilità che uno psichiatra si rechi a domicilio nel caso in cui il paziente non voglia o non possa afferire al Centro;
l'appello, ospitato sulle pagine del quotidiano Il Mattino, ha suscitato molto interesse e moltissime lettere di familiari di malati psichiatrici sono arrivate alla redazione del giornale a testimonianza del fatto che sono numerose le famiglie che si trovano ad affrontare il problema del disagio psichico;
nel Progetto Obiettivo per la tutela della salute mentale pubblicato sul Bollettino Ufficiale della regione Veneto il 6 febbraio 2001 sono messi a punto l'organizzazione, le funzioni e gli strumenti delle equipe psichiatriche e sono stabiliti come punto di riferimento per l'attuazione delle strutture di accoglienza proprio i requisiti richiesti dai familiari dei malati, che, in realtà, non sono attuati;
nel Progetto Obiettivo «Tutela della salute mentale» 1998-2000 che «costituisce "adempimento prioritario" previsto dal Piano sanitario nazionale 1998-2000» e «che individua la salute mentale fra le tematiche ad elevata complessità, per le quali si ritiene necessaria l'elaborazione di specifici atti di indirizzo» sono indicati gli obiettivi e le strategie per «dare basi più solide al settore dell'assistenza psichiatrica, riferita alla popolazione adulta, onde migliorarne la qualità complessiva» e tali obiettivi e strategie risultano, secondo la denuncia dei familiari dei malati psichiatrici, non attuati -:
se non ritenga che la condizione denunciata dai familiari dei pazienti psichiatrici di Padova sia in contrasto con gli obiettivi e le strategie del Progetto Obiettivo Nazionale per la salute mentale 1998-2000;
se ritenga che in tale situazione, di fatto, non siano lesi i diritti dei pazienti e siano realizzati i Livelli Essenziali di Assistenza per i servizi alle persone affette da malattie neuropsichiatriche, definiti nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001 «Definizione dei Livelli essenziali di assistenza».
(4-06457)
Risposta. - Il Progetto-obiettivo «Tutela della salute mentale 1998-2000 ed i livelli essenziali di assistenza da garantire alle persone affette da patologie psichiatriche citati dagli interroganti costituiscono delle indicazioni di carattere generale, in base alle quali le regioni attuano i loro provvedimenti programmatori ed applicativi.
Inoltre, la recente modifica del titolo V della Costituzione ha delegato tale materia alle regioni; pertanto, spetta ad esse rendere attuabili ed operative queste disposizioni, organizzando i servizi per la salute mentale sul proprio territorio e favorendo l'integrazione funzionale di tali servizi tra di loro e con le altre attività socio-sanitarie del distretto.
Per quanto riguarda gli episodi segnalati nell'atto ispettivo in esame, si riferisce sulla base degli elementi trasmessi dall'ufficio territoriale del Governo di Padova, previa richiesta della direzione generale dell'azienda ULSS n. 16 di Padova.
Il Progetto-obiettivo «Tutela della salute mentale» 1998-2000 (decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999) e il Progetto obiettivo regionale per la tutela della salute mentale (DGRV n. 4080 del 22 dicembre 2000) descrivono in modo specifico l'organizzazione del Centro diurno, individuandone gli obiettivi e le strategie.
Si riporta di seguito la descrizione contenuta nel DGRV n. 4080 del 22 dicembre 2000:
«Il Centro diurno è una struttura semi-residenziale con funzioni terapeutico-riabilitative (compreso l'intervento farmacologico, occupazionale e di gruppo), collocata di preferenza nel contesto territoriale per favorire gli scambi sociali, ed è aperto di norma otto ore al giorno per sei giorni la settimana.
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L'azione terapeutico-riabilitativa dovrà realizzarsi con pazienti che presentino menomazioni e disabilità conseguenti o correlate alla malattia mentale. Essa mirerà primariamente al recupero della piena possibilità di libera espressione dell'intenzionalità dei pazienti, al mantenimento e miglioramento della loro autonomia ed integrazione nel contesto sociale di appartenenza, utilizzando la relazione interpersonale, altre opportunità risocializzanti, espressive e formative, sino anche a favorirne l'eventuale inserimento lavorativo, attraverso i Centri di lavoro guidato (CLG) che accompagnano il paziente nell'attività lavorativa».
Inoltre, secondo le previsioni del decreto del Presidente della Repubblica 7 novembre 1994, il Centro diurno svolge le funzioni terapeutico-riabilitative e deve possedere, quali requisiti minimi strutturali, un numero di locali per attività prevalentemente di gruppo e per colloqui/visite psichiatriche, rapportato alla popolazione servita.
La predetta struttura deve essere collocata, prevalentemente, in un normale contesto residenziale urbano, per favorire i processi di socializzazione e l'utilizzo di spazi ed attività per il tempo libero esistenti nella comunità.
Per quanto riguarda i requisiti minimi organizzativi, la normativa prevede nel Centro diurno la presenza di personale medico specialistico e di psicologi programmata o per fasce orarie; l'apertura otto ore al giorno per sei giorni la settimana; il collegamento con le altre strutture per la tutela della salute mentale di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 1994; la presenza di educatori professionali, personale infermieristico, Istruttori in relazione alle attività previste.
L'utenza dei Centri diurni è rappresentata da tutti i pazienti (affetti da psicosi schizofrenica, ma anche da altre psicopatologie psichiatriche non psicotiche) che per il decorso della loro psicopatologia manifestano problemi di disabilità conseguenti e correlate alla psicopatologia psichiatrica e che possono trarre beneficio da un percorso riabilitativo, nonché terapeutico-risocializzante e promozionale della salute.
Non risulta che sia prevista dalla normativa in vigore né l'istituzione di Centri diurni specifici per soli pazienti affetti da disturbi bipolari e schizofrenia né che il Centro diurno sia aperto anche nei giorni festivi, con guardia medica notturna e responsabile presente tutti i giorni. È prevista l'apertura diurna con presenza del medico e dello psicologo programmata o a fasce orarie. Il Centro, infatti, è il luogo della riabilitazione e come tale si integra con l'azione terapeutica specifica di altre strutture tipiche di un Servizio psichiatrico, come il Centro di salute mentale, fulcro centrale dell'attività del Servizio psichiatrico di cui il Centro diurno è specifica emanazione, il Day hospital psichiatrico e il Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC) con la funzione anche di Servizio psichiatrico interno di guardia (SPI). Tali strutture, proprio per la loro funzione istituzionale, hanno orari di apertura, compiti e attribuzioni di personale tali da rispondere anche alle situazioni di emergenza che si verifichino sul territorio coprendo l'intero arco della giornata (CSM e SPI), e tali da consentire un intervento globale sui pazienti, che va dal monitoraggio farmacologico alla psicoterapia, alla visita domiciliare: tale attività è, comunque, precipua del Centro di salute mentale.
In considerazione di quanto previsto sia dal Progetto obiettivo nazionale sia da quello regionale per la tutela della salute mentale, il dipartimento di salute mentale di Padova, della azienda ULSS n. 16, ha comunicato di essersi organizzato in modo tale che ogni servizio psichiatrico sia in grado di rispondere, attraverso la sua rete interna di servizi, ai molteplici bisogni provenienti dal territorio.
Ciascuna delle tre équipes psichiatriche dei DISM, infatti, ha un Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC) con Servizio psichiatrico interno di guardia (SPI) centralizzato e un Centro di salute mentale, dei quali i due principali aperti nei sei giorni la settimana, con due sedi ambulatoriali distaccate.
Vi sono inoltre tre Centri diurni pubblici, tre Centri diurni annessi alle Comunità terapeutiche-riabilitative protette del
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territorio, e tre Centri di lavoro guidato gestiti in convenzione con il privato sociale che accompagna il paziente nell'attività lavorativa per favorirne l'inserimento mirato.
Complessivamente dunque sono attivi nove Centri diurni, oltre ai due Day hospital territoriali, che si diversificano per i territori di afferenza, le attività riabilitative proposte e la tipologia dei destinatari.
Il DISM di Padova ha inoltre attivato presso i tre Servizi psichiatrici «un intervento mirato di assistenza psicologica ai familiari di malati psichiatrici».
Si soggiunge infine che del Consiglio di dipartimento dei DISM faranno parte tutte le quattro Associazioni di familiari di malati mentali riconosciute dalla regione Veneto che rappresentano una discreta percentuale di famiglie di utenti padovani e con le quali il DISM mantiene proficue forme di collaborazione da diversi anni».
Nonostante ciò, riteniamo utile ed opportuna tale interrogazione, poiché mette in luce, anche in una psichiatria italiana che ha conseguito indubbi e forse unici risultati in Europa, una applicazione disomogenea delle strategie di intervento che gli interroganti pongono in evidenza e che non può che essere condivisa.
Vi è da aggiungere, per onestà e coerenza scientifica e politica, che punti critici di inadempienze e disfunzioni, sono presenti al di là della configurazione partitica delle regioni italiane.
Considerando ciò, sia come sottosegretario delegato che come Presidente della commissione salute mentale, ho chiesto da tempo, e soprattutto dopo gli importanti fatti di S. Gregorio Magno ai quali è stata dedicata troppa poca attenzione, che questo Ministero, evidenziasse la realtà nazionale.
Fiducioso in un riscontro positivo da parte di tutti i soggetti istituzionali coinvolti ribadisco la mia disponibilità per tutte le verifiche necessarie sulle questioni in merito.
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Guidi.
ZANELLA. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
domenica 18 gennaio 2004, intorno alle quattro del mattino, durante l'attacco di un elicottero statunitense, undici persone di cui 4 bambini sono rimasti uccise nel villaggio di Saghatho dell'Afghanistan orientale;
l'azione è avvenuta nell'ambito della caccia a elementi talebani ma il bombardamento ha raggiunto dei civili innocenti;
dal 22 dicembre 2001, giorno dell'insediamento del presidente Hamid Karzai, le forze Usa impegnate nella campagna contro i Taleban e la rete di al Qaida in Afghanistan hanno commesso una serie di errori ai danni di civili afgani; questi i principali incidenti provocati dal «fuoco amico»:
29 dicembre 2001: secondo i racconti degli abitanti del villaggio di Qalaye Niazi, nella provincia di Paktia, le bombe sganciate da un B-52 uccidono 107 persone, tra cui donne e bambini. Gli Usa negano e dicono di aver colpito un obiettivo di al Qaida;
23 gennaio 2002: le forze americane attaccano il villaggio di Hazar Qadam uccidendo 15 persone. Gli Usa in seguito riconoscono che si trattava di combattimenti afghani alleati;
7 marzo 2002: 23 persone, secondo fonti afghane, fra cui donne e bambini, sono uccisi in un raid nella provincia di Paktia;
17 maggio 2002 almeno dieci civili sono uccisi da una bomba a Bal Khel, al nord di Khost. Secondo fonti giornalistiche, nel paese si stava celebrando un matrimonio e alcuni invitati avevano sparato colpi d'arma da fuoco in aria, scambiati dall'equipaggio di un elicottero Usa come un atto ostile;
30 giugno 2002: una bomba, sganciata durante un bombardamento notturno, cade su di una festa di un matrimonio presso il villaggio di Kakrakai, restano uccise oltre 40 persone;
8 aprile 2003: una bomba lanciata nella notte da un caccia Usa colpisce per errore una casa alla periferia di Shkin, al confine con il Pakistan. Restano uccise 11 persone tra cui sette donne;
Pag. LXI
5-6 dicembre: durante un raid aereo Usa a Gardez, nella provincia di Paktia, sei bambini e due adulti restano uccisi sotto il crollo di un muro colpito dalle bombe. Il giorno dopo in un attacco aereo Usa contro un edificio nel villaggio di Petaw;
nella provincia di Ghazni, muoiono 9 bambini e un «terrorista» per il quale - secondo la versione del comando militare Usa - era stato sferrato l'attacco aereo. Gli abitanti di Petaw contestano la versione del comando Usa;
il 9 dicembre, dopo la morte dei 9 bambini nel villaggio di Petaw nella provincia di Ghazni, il segretario alla difesa Usa, Donald Rumsfeld, ha difeso la scelta dei cosiddetti «attacchi mirati», proprio gli stessi che hanno provato e continuano a provocare la morte della popolazione civile;
come è noto, gli «attacchi mirati» sono da tempo utilizzati da Israele contro singoli esponenti delle fazioni armate palestinesi provocando, anche in questo caso, morte di civili;
secondo fonti di stampa alcuni consiglieri militari israeliani stanno insegnando ad unità speciali statunitensi per operazioni anti-guerriglia -:
se la strategia degli attacchi mirati, rivendicata dal segretario alla difesa Usa sia condivisa dal Governo italiano.
(4-08596)
Risposta. - Il dipartimento statunitense della Difesa, nel respingere decisamente le critiche formulate sull'operato delle forze statunitensi, ha precisato che le forze della coalizione in Afghanistan hanno sempre condotto operazioni militari nel rispetto delle regole dei conflitti armati, evitando in tutti i modi di colpire civili innocenti. Esso ha ricordato, a tale proposito, che la lotta al terrorismo da parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti (Enduring Freedom) è una delle più complesse e difficoltose operazioni di guerra mai realizzate. Il nemico, rappresentato da Al Qaeda, dai Talebani o da altre formazioni terroristiche, cerca spesso di confondersi tra la popolazione civile. A questa situazione le forze della coalizione cercano di rispondere con una strategia di interventi il più possibile «mirati» e discriminando tra bersagli legittimi e popolazione civile tramite «Rules of Engagement» particolarmente restrittive. A fronte di molte operazioni di successo, però, se ne sono verificate purtroppo delle altre, che, avendo provocato perdite fra i civili, addolorano non solo la comunità afgana, ma tutta la comunità internazionale, ivi compresi gli Stati Uniti.
In particolare, in merito ad alcuni dei tragici incidenti segnalati nella presente interrogazione, il Pentagono ha osservato quanto segue:
incidente del 4 dicembre 2003 ad est di Gardez, dove furono trovati morti 6 bambini e 2 adulti a seguito di combattimenti.
Nella località in questione si trovava un gruppo di fabbricati notoriamente utilizzati dai Talebani. Le forze statunitensi non avevano avuto alcuna indicazione che vi fossero civili ed hanno risposto al fuoco, dopo essere state attaccate. Poiché negli edifici erano depositati armi ed esplosivi, per vari giorni dopo l'attacco si sono verificate sul luogo diverse esplosioni secondarie, che hanno provocato il crollo di un fabbricato e la morte degli 8 non-belligeranti.
incidente del 6 dicembre 2003 nei pressi di Ghazni, dove furono trovati morti 9 bambini.
Il Pentagono ha compiuto un'indagine interna per acclarare le circostanze dell'incidente. I risultati tuttavia non sono stati resi pubblici, dal momento che molta parte dell'inchiesta concerne dati ed informazioni classificate. Esso afferma che gli Stati Uniti hanno operato in collaborazione con le Autorità afghane ed ha espresso alle famiglie colpite il proprio rincrescimento per l'accaduto. Benché l'inchiesta abbia portato alla conclusione che le regole d'ingaggio furono debitamente rispettate, le procedure sono state da allora modificate, al fine di meglio garantire l'incolumità dei non-belligeranti, ferma restando per le forze della coalizione la necessità di affrontare il nemico quando necessario.
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Ciò detto, si precisa che, dopo il ritiro della Task Force Nibbio, il nostro Paese non ha un proprio contingente militare sul suolo afghano nell'ambito dell'operazione «Enduring Freedom». Esso è invece presente a Kabul con 500 uomini, i quali sono parte del contingente militare dell'ISAF (International security assistance force), istituito dalla risoluzione 1386 del 2001 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e attualmente sotto comando NATO. Il ruolo dell'ISAF è per il momento quello di garantire il ripristino della sicurezza nell'area della capitale e conferire il proprio sostegno al governo transitorio afghano, anche in vista del futuro svolgimento delle elezioni e del rafforzamento delle istituzioni democratiche. È inoltre prevista una prossima espansione della missione ISAF sul resto del territorio, tramite lo stabilimento di diversi PRT (Provincial reconstruction teams).
In questo quadro, la partecipazione italiana all'ISAF rappresenta un contributo rilevante all'attuazione degli accordi internazionali di Bonn sull'Afghanistan, ma non alle attività belliche vere e proprie.
Si ricorda tra l'altro che l'Italia è stata protagonista del processo di pace e partecipa attivamente all'attuazione degli Accordi di Bonn, non solo attraverso il proprio contributo all'ISAF, bensì anche al riassetto del settore giustizia per il quale ha assunto il lead.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Margherita Boniver.
ZANELLA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
all'aeroporto di Venezia, a causa della nebbia, il giorno 4 febbraio scorso viene annunciato un forte ritardo dell'aeromobile della compagnia AirOne, destinato alla tratta Venezia-Roma, per il volo AP6365 delle 19,20; il ritardo è imprecisato e le condizioni atmosferiche sono oggettivamente critiche;
verso le ore 20,30, i passeggeri vengono informati che l'aeromobile non è atterrato a Venezia ma a Treviso, che quindi non potranno partire per Roma e pertanto invitati ad attendere ulteriori informazioni;
alle 21 circa, la compagnia AirOne comunica la decisione di trasferire i passeggeri al vicino aeroporto di Treviso con autobus organizzato dalla compagnia stessa, in modo da consentire l'imbarco a Treviso per proseguire il viaggio per Roma; i passeggeri giungono a Treviso circa mezz'ora più tardi senza trovare, però, alcuna assistenza di personale AirOne. Su «suggerimento» della polizia aeroportuale, a seguito di richiesta di informazione da parte dei passeggeri stessi, si procede con lo screening e si raggiungono le sale d'imbarco con i tagliandi della carta d'imbarco. Si procede quindi all'imbarco sull'aeromobile AirOne in attesa;
a procedura d'imbarco conclusa, si attende un'altra mezz'ora in attesa delle fasi di avvio al decollo, mentre intanto la nebbia peggiora. Viene fornito più tardi l'assenso a procedere verso la pista di decollo ma si attende per altri 45 minuti. Il comandante e lo staff informano della situazione con puntualità e precisione durante tutta la durata dell'attesa;
il decollo comunque non avviene, per nebbia, quando ormai sono circa le 23, e quindi l'aereo rientra all'aerostazione. Il personale di bordo assicura i passeggeri che verranno presi in consegna da AirOne non appena sbarcati e una volta raggiunta l'aerostazione, ove, invece, nessuno attende i passeggeri e nessuno sa fornire indicazioni; i passeggeri vengono inviati verso il parcheggio esterno e lì lasciati. A ciò non segue alcuna informazione, nessun riferimento, nessun segno da parte della compagnia. Il comandante e lo staff dell'aereo declinano ogni responsabilità e se ne vanno in albergo;
verso le 24, su richiesta degli addetti dell'aeroporto di Treviso, viene inviato un autobus da Venezia per fare ritorno a Venezia Tessera, dove, ancora una volta, non vi è personale AirOne ad accogliere i
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passeggeri mentre l'aeroporto non è accessibile al pubblico, i biglietti e carte d'imbarco sono in possesso dello staff AirOne, e i passeggeri sono quindi lasciati a se stessi, senza indicazioni sul da farsi. In tutto questo i passeggeri sono ancora formalmente e sostanzialmente passeggeri AirOne a tutti gli effetti perché non è mai stata loro restituita la carta d'imbarco.
dopo aver richiesto, invano, la presenza del Capo scalo AirOne, alcuni passeggeri si dirigono in taxi presso la stazione ferroviaria di Venezia Mestre, nella speranza di prendere un treno notturno, altri raggiungono (circa 30) il vicino Fly Hotel (costo 115 euro), verso le due del mattino. Alle sei si ritorna all'aeroporto, dove si richiede di conferire con il personale AirOne, opportunità che viene negata, per presunta indisponibilità (risulta non rintracciabile) del Capo scalo AirOne. Nessuna traccia delle carte d'imbarco. Silenzio assoluto. Alle sette lo staff di terra dell'aerostazione rende disponibili, a pochi fortunati, alcune delle carte dimbarco. La «disavventura» finisce lì e alla richiesta di come procedere, anche per rimborsi o prenotazioni su altri voli, nessuno riesce a fornire una risposta; intanto i passeggeri raggiungono Roma, con iniziative autonome;
dopo un'ora e mezzo di tentativi telefonici per poter parlare con un responsabile, solo alle 11 del giorno dopo si riesce a contattare l'Ufficio relazioni con la clientela dell'AirOne; le risposte fornite sono a dir poco sconcertanti visto che allo stesso ufficio non risulta che tale vicenda sia probabile perché la compagnia non opera a Treviso (!!). In seguito, i passeggeri vengono invitati a chiedere i rimborso e viene loro promesso che sarebbero stati contattati personalmente sui numeri di telefono privato opportunamente rilasciati agli uffici, cosa che non avviene, comunque;
la Società Aerea AirOne sta, proprio in questo periodo, rendendo noto ai media il suo processo di certificazione di qualità: «Il raggiungimento di questo obiettivo è il risultato del costante impegno dell'AirOne nell'orientamento ai cliente e alla gestione per processi finalizzati al miglioramento continuo dell'efficienza ed efficacia della propria struttura, ai fini di confermare quanto già sottolineato nei numerosi riconoscimenti ottenuti nei suoi anni di attività» è quanto tra l'altre affermazioni viene di recente pubblicizzato;
la società di fronte al disagio dei passeggeri ha assunto un comportamento inaccettabile non garantendo il dovuto supporto informativo e logistico;
secondo l'interrogante tale società dovrebbe risarcire tutti i passeggeri -:
quali misure intenda adottare nei confronti di una società aerea che opera su territorio nazionale, accreditandosi con certificazione di qualità anche per l'assistenza pre e post volo;
se sia stato predisposto un monitoraggio sulla puntualità degli aerei di qualsiasi compagnia, atteso che si rilevano continui ritardi in arrivo e in partenza, e quali siano le eventuali cause di essi.
(4-09089)
Risposta. - In merito alle problematiche evidenziate con l'interrogazione indicata in argomento, sono state richieste informazioni all'ENAC - Ente nazionale per l'aviazione civile - che ha fatto conoscere quanto riferito sull'episodio dalla stessa società AirOne.
In data 4 febbraio 2004 la situazione meteo, che certamente rendeva restrittive le condizioni di visibilità sullo scalo di Venezia, determinava per tutti i vettori, compresa la stessa Società AirOne l'impossibilità di operare i propri voli. Infatti, al fine di ridurre il disagio dei passeggeri del volo di rientro Venezia-Roma Fiumicino e consentire loro di raggiungere la destinazione finale, la società stessa non cancellava il volo AP6365 ed assicurava la partenza dall'aeroporto di Treviso.
Il supervisore AirOne offriva ai passeggeri non interessati al trasferimento, la possibilità di riutilizzare il biglietto in altra data e provvedeva a ritirare i tagliandi di
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volo ed a consegnare le carte d'imbarco agli altri passeggeri, al solo fine di consentire il regolare accesso a bordo del volo in partenza da Treviso.
La società di assistenza dell'aeroporto di Treviso AER TRE S.p.a. cui AirOne ha delegato l'assistenza a terra dei propri voli, provvedeva quindi all'imbarco dei passeggeri giunti a Treviso.
Dopo circa 45 minuti di attesa, a fondo pista, l'ufficio controllo traffico non autorizzava il comandante del volo AirOne al decollo, costringendolo al rientro in piazzola. Stante il perdurare delle criticità il comandante provvedeva quindi ad informare i passeggeri della cancellazione e delle successive procedure di assistenza.
I passeggeri venivano accolti dalla AER TRE ed invitati a salire a bordo di un pullman per essere trasferiti a Venezia. All'arrivo a Venezia la società Eagles Services, cui AirOne ha affidato l'attività di assistenza a terra dei propri voli, ricevuto il messaggio dell'avvenuta cancellazione del volo in partenza da Treviso, informava i passeggeri di non essere nella possibilità di restituire i tagliandi di volo, in quanto trattenuti dal supervisore AirOne, rimasto in turno presso lo scalo di Venezia fino al momento dell'avvio dell'aeromobile AirOne al punto di decollo.
In data 5 febbraio, la stessa società Eagles Services ed il supervisore AirOne, provvedevano a restituire i biglietti ai passeggeri e ad informarli, contestualmente circa le procedure di rimborso.
La situazione meteo reiterava gli stessi impedimenti del giorno precedente determinando l'impossibilità per tutti i vettori, tra cui anche l'AirOne stessa, di operare i voli da Venezia. I passeggeri venivano quindi trasferiti a Treviso dove tutti i voli, compreso quello AirOne, venivano nuovamente cancellati per cause meteo.
Al fine di mitigare il disagio sofferto dai passeggeri la stessa società ha offerto ai passeggeri del volo AP6359 del 5 febbraio 2004 ed A.P. 6364 del 4 febbraio un biglietto aereo omaggio da utilizzare su qualsiasi tratta del proprio network e ritirabile presso le biglietterie di Venezia e di Roma.
Per quanto concerne il rispetto degli orari programmati, l'ENAC per quanto di propria competenza comunica che viene effettuato un costante monitoraggio da parte delle direzioni di aeroporto e risulta che, nella maggior parte dei casi, detti ritardi siano imputabili a cause estranee alla volontà del vettore.
Per quanto riguarda, in particolare, l'aeroporto di Venezia-Tessera l'ente assicura che tale monitoraggio viene effettuato sistematicamente da lungo tempo.
La puntualità in arrivo e partenza dei vettori aerei, sul medesimo aeroporto, per il periodo gennaio-marzo 2004, è desumibile dai grafici allegati alla presente.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Mario Tassone.
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ZANELLA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
secondo una agenzia ANSA del 27 marzo una deputata riformista iraniana dimissionaria, Fatemeh Haqiqatju, si è vista impedire l'espatrio su ordine della magistratura, controllata dai conservatori;
l'ex parlamentare ha dichiarato che il divieto è stato deciso per un anno, ma che non le è stata fornita alcuna spiegazione sulle motivazioni di tale provvedimento;
la deputata si sarebbe dovuta recare in Gran Bretagna per una settimana su invito d un'associazione studentesca islamica, ma è stata bloccata in aeroporto;
Fatemeh Haqiqatju è stata, all'inizio di quest'anno, tra i maggiori protagonisti della protesta parlamentare contro la decisione del Consiglio dei Guardiani di bocciare migliaia di candidature alle elezioni politiche del 20 febbraio scorso, misura che ha impedito, di fatto, l'esercizio della democrazia nel paese; per questa ragione Haqiqatju si è dimessa insieme con un altro centinaio di colleghi; le sue dimissioni sono state le prime a diventare effettive dopo l'accettazione della maggioranza dell'assemblea;
Shirin Ebadi, iraniana impegnata da anni nella difesa dei diritti civili, premio Nobel per la Pace, ha visitato lo scorso 19 febbraio la Camera dei deputati e durante l'incontro con i parlamentari italiani ha evidenziato i contrasti presenti in Iran sia riguardo la situazione elettorale che verso il rispetto dei diritti umani -:
se il Ministro sia al corrente di questa situazione;
se non ritenga che il provvedimento nei confronti di Fatemeh Haqiqatju si configuri come una violazione dei diritti civili;
se non ritenga che le documentate violazioni dei diritti civili nel paese impongano al nostro Governo una presa di posizione forte nei confronti del Regime politico iraniano, che vada nella direzione di esercitare pressioni con i mezzi a disposizione del Governo per il rispetto dei diritti umani, della libertà di espressione e informazione, della libertà politica.
(4-09594)
Risposta. - La situazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali in Iran, continua ad essere oggetto di particolare attenzione sia da parte dell'Italia, che dell'Unione europea. A tale riguardo si segnala che nel discorso generale pronunciato dalla Presidenza irlandese a nome dei 15 Paesi membri e dei 10 di recente adesione, sul tema delle violazioni dei diritti umani nel mondo, in occasione dei lavori della 60a sessione della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite di Ginevra, è stato inserito uno specifico riferimento alla situazione in Iran. L'Unione europea ha in particolare espresso preoccupazione per le ripetute e diffuse violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali in atto nel Paese, con specifico riferimento a fenomeni di rilevante gravità, quali le detenzioni arbitrarie, le sparizioni forzate. Il ricorso a pratiche di tortura, alle esecuzioni pubbliche, nonché a punizioni corporali particolarmente odiose come le amputazioni. L'Unione europea ha inoltre espresso ferma condanna per le politiche discriminatorie attuate dal regime nei confronti delle minoranze religiose, nonché per le violazioni della libertà di opinione e di espressione, le cui manifestazioni più recenti sono rappresentate dalla chiusura di giornali e di siti Internet indipendenti e riformisti e dalle persecuzioni di giornalisti. Anche per il trattamento riservato dalle Autorità iraniane ad alcuni parlamentari dello schieramento riformista, come Fatemeh Haqiqatju, a seguito dell'affermazione elettorale dei conservatori dello scorso febbraio, sia al livello bilaterale che nel quadro dei contatti fra la Presidenza di turno dell'Unione europea le Autorità iraniane, si è più volte sottolineata la necessità di consentire il libero svolgimento del dibattito all'interno delle forze politiche e nel contesto delle libertà civili e politiche assicurate dalla Costituzione iraniana.
Dal dicembre 2002 è in corso un dialogo strutturato Unione europea-Iran sui diritti umani. Si tratta di un esercizio articolato
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sulla base di riunioni periodiche (due all'anno), che coinvolge non solo le autorità di Governo ma anche parlamentari, accademici e rappresentanti della società civile, associazioni, fondazioni ed ONG sia europee che iraniane. Il dialogo ha già fatto registrare alcuni progressi, per quanto limitati, in settori particolarmente sensibili come quelli dell'eguaglianza di genere, compresa l'introduzione di una normativa meno discriminatoria per le donne in materia di divorzio e di custodia dei figli. Dalle informazioni fornite dalle ambasciate dell'Unione europea in loco, sembrerebbe inoltre che la moratoria delle lapidazioni sia stata effettivamente rispettata dal regime iraniano. Alcuni limitati progressi sono stati infine conseguiti sul fronte della tutela delle minoranze religiose, attraverso l'introduzione di una legge che parifica i diritti di tutte le confessioni riconosciute dalla costituzione iraniana nella determinazione del cosiddetto «prezzo del sangue».
La decisione dell'Unione europea di sostenere, in sede di Assemblea generale delle Nazioni unite nel dicembre scorso, una risoluzione di condanna dell'Iran per violazioni dei diritti umani, presentata dal Canada, ha comportato un considerevole raffreddamento nei rapporti con l'Iran che aveva implicato, fra l'altro, il rinvio della IV sessione del dialogo strutturato Unione europea-Iran sui diritti umani, inizialmente previsto a Teheran nella prima metà del mese di marzo e che è invece in programma per il mese di giugno, in occasione del quale verrà analizzata nel dettaglio la situazione del rispetto dei diritti umani nel Paese e sollevati alcuni casi individuali ritenuti di maggior urgenza.
L'Italia, di concerto con gli altri partners europei, si è molto adoperata per una ripresa di tale esercizio, nella convinzione che esso rappresenti a tutt'oggi la cornice più appropriata, e nel lungo periodo anche lo strumento più efficace per favorire miglioramenti concreti della situazione sul terreno.
Naturalmente la ripresa del dialogo strutturato Unione europea-Iran sui diritti umani non implica la rinuncia ad altre forme di pressione più dirette che rimangono comunque a disposizione dell'Italia e dell'Unione europea qualora i risultati attesi dall'esercizio dovessero rivelarsi inadeguati ed insufficienti. A tale riguardo si ricorda che la ripresa dei negoziati per l'Accordo economico e commerciale fra l'Unione europea e l'Iran rimane, fra l'altro, soggetto a specifiche condizionalità nel settore del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Luigi Mantica.