XII COMMISSIONE
AFFARI SOCIALI

AUDIZIONE


Seduta di marted́ 19 febbraio 2002


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La seduta comincia alle 12.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Seguito dell'audizione del ministro della salute, Girolamo Sirchia, in materia di IRCCS.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, il seguito dell'audizione del ministro della salute, professor Girolamo Sirchia, in materia di istituti di ricovero e cura a carattere scientifico.
Ricordo che nella precedente seduta si è svolto l'intervento introduttivo del ministro e alcuni colleghi hanno posto delle domande; nel prosieguo odierno dell'audizione interverranno i colleghi che intendano porre ulteriori quesiti o chiedere chiarimenti ed infine seguirà la replica del ministro Sirchia.
Ringrazio, anzitutto, il ministro per la sua disponibilità e prima di dare la parola ai colleghi vorrei io stesso porre alcune domande al nostro ospite.
Il ministro ha riferito che, in attuazione di quanto stabilito dalla legge finanziaria, si procederà alla trasformazione degli IRCCS in fondazioni; ciò mi pare dovrebbe servire a dare maggiore ordine a tutto il comparto. Tale ipotesi riguarda, ovviamente, gli istituti di natura pubblica; per quelli privati vige, invece, una diversa disciplina. Vorrei chiedere al ministro alcuni chiarimenti sulla funzionalità degli IRCCS nelle varie zone d'Italia in rapporto anche alla loro natura di istituti pubblici o privati. Esiste una differenza, e se esiste perché, tra gli IRCCS situati al nord, al centro o al sud del nostro paese? Le chiedo inoltre se esista, in particolare, una differenza tra gli istituti privati e quelli pubblici.
Vorrei portare l'esempio di un IRCCS siciliano situato in località Troina. Questo istituto si occupa dei malati mentali e delle disabilità in genere, funziona molto bene e, forse, rappresenta un'eccezione in un territorio situato nel profondo sud, molto difficile da raggiungere. Esistono altresì istituti pubblici che operano bene ma, forse, l'esempio degli IRCCS privati che funzionano come se fossero, per così dire, delle fondazioni potrebbe servire da esempio per quelli pubblici che, dalla trasformazione in fondazioni, ricaverebbero una maggiore snellezza delle loro funzionalità, sia di cura sia di ricerca. Va ricordato, infatti, che accanto all'attività di ricerca questi istituti svolgono un'importante opera di assistenza, fornendo cure ai molti cittadini che a loro si rivolgono.
Ovviamente, anche in alcuni policlinici e università si svolge un'attività di ricerca, ma negli IRCCS questa dovrebbe avvenire ad un certo livello; ciò che noi auspichiamo è che tutte le trasformazioni che attendono gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico avvengano privilegiando la ricerca, cioè il fine istituzionale di questi istituti.


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PIERGIORGIO MASSIDDA. Ringrazio il ministro per esser intervenuto e per aver comunicato alla Commissione le intenzioni del Governo in questo settore, anche perché, leggendo alcuni articoli di stampa, avevamo ricevuto delle informazioni un po' distorte. Credo che il lavoro svolto nelle precedenti legislature vada considerato; ricordo che il tema degli IRCCS è stato oggetto di analisi da parte del Parlamento sin dal 1994. Ritengo che questi istituti, proprio grazie al compito di ricerca che assolvono, possano diventare dei punti di riferimento di eccellenza per quanto riguarda l'assistenza sanitaria.
Credo che, proprio per la loro specificità, abbiamo sempre guardato agli istituti di ricerca scientifica come a dei punti di riferimento a livello nazionale, e ciò è tanto più vero se si considera che sono stati assegnati dei fondi aggiuntivi alle regioni per sostenere i costi dell'assistenza fornita da questi istituti. Faccio l'esempio dell'istituto neurologico Besta di Milano, che non ha fornito assistenza esclusivamente nell'ambito della regione Lombardia; ho avuto modo più volte di frequentare questo istituto e ho notato come rappresenti un punto di riferimento di eccellenza per tutta la nazione.
Vi è un dubbio sul quale oggi chiediamo maggiore chiarezza da parte del Governo. Non vorremmo che, nel processo di trasformazione in senso federalista, questi istituti di ricerca scientifica perdessero il ruolo di riferimento per tutta la nazione. Vi è poi un altro aspetto che riguarda gli obiettivi che si pensa di perseguire, anche in via sperimentale, per il futuro. Abbiamo inteso la proposta del Governo per gli IRCCS come il tentativo di reperire delle risorse suppletive e ricercare delle nuove modalità di gestione per permettere una crescita maggiore di questi istituti. Questi sono i motivi per cui abbiamo supportato tali proposte e voglio ricordare che la prima indicazione di dividere la sperimentazione in tre aree del nostro paese partì proprio da questa Commissione.
Esistono ancora delle patologie che necessiterebbero di alcuni punti di riferimento. Ad esempio, recentemente è stato inaugurato a Pescara, con fondi dell'Unione europea, un centro per la ricerca sulla talassemia che in realtà si occupa dei trapianti di midollo osseo. Per una patologia come quella (estremamente diffusa in Italia, molto più di quanto si creda), invece, chiediamo che vi sia un istituto di ricerca scientifica che intervenga, per così dire, su tutta la «filiera».
Uno dei centri di eccellenza nel mondo - si tratta di una realtà che conosco bene - si trova in Sardegna, regione che non ha mai richiesto il riconoscimento del carattere scientifico dell'istituto. Ciò costituisce un danno non per la regione ma per l'intera nazione anche nei rapporti con le nazioni limitrofe. Quindi, è compito del Governo incentivare lo sviluppo della ricerca in questi istituti evitando che si deroghi alla monotematicità.
Negli anni scorsi, è avvenuto, a volte, che alcuni istituti di ricerca scientifica, avendo la possibilità di prestare un certo tipo di servizi di assistenza sanitaria, abbiano concentrato la loro attività più sull'assistenza che non, invece, sulla ricerca; inoltre, talora, detti istituti dilatavano l'ambito delle attività di assistenza che era loro consentito prestare. Pertanto, anche se il Governo si sta muovendo sui giusti binari, vorremmo, tuttavia, richiamarlo ad esercitare un ruolo di coordinamento, al fine di impedire che il processo di federalismo in atto alteri la posizione degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico: si deve evitare che questi ultimi, un patrimonio nazionale, possano, di fatto, diventare un patrimonio regionale. Auspico che il Governo, ove una tale misura si renda necessaria e ove ne abbia la possibilità, adotti forme di incentivazione di talune realtà nazionali esistenti per la cura di alcune patologie.
Ho già parlato, al riguardo, della talassemia, ma analoghe esigenze di costituzione di IRCSS si pongono anche per altre patologie: penso, per esempio, alle strutture per la cura di malattie come l'Alzheimer o di altre patologie che sono leggermente differenti da quelle comuni. Purtroppo, molte regioni preferiscono non


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trasformare tali strutture in istituti di ricerca scientifica perché, a norma delle leggi vigenti, l'istituto di ricovero e cura a carattere scientifico sfugge al controllo «politico» della regione; quindi, molte volte, per interessi prettamente politici, di gestione del potere e via dicendo, è stato snaturato il ruolo di alcuni istituti o non è stato loro permesso di divenire un patrimonio nazionale.
Ho così affrontato le questioni che consideravo più importanti; tuttavia, in conclusione, vorrei aggiungere quanto segue. Il Governo dovrebbe forse chiarire se, con la modifica della normativa sugli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, i consigli scientifici avranno ancora capacità di incidere sulle scelte o se, invece, si vuole lasciare al direttore il potere di modificare le priorità.
Inoltre, sarebbe opportuno, da parte del Governo, rassicurare il personale degli IRCSS; è diffuso, infatti, il timore che le modifiche legislative possano determinare una riduzione delle tutele e delle garanzie lavorative. Mi pare, dall'intervento del ministro Sirchia, che così non sia; chiedo, quindi, che il Governo dia al personale di tali istituti una migliore informazione circa i cambiamenti in atto, informazione atta a dissipare allarmi probabilmente infondati.

GRAZIA LABATE. Ho letto attentamente la relazione del ministro Sirchia; desidererei, dopo una brevissima premessa, rivolgergli alcune domande per comprendere i suoi convincimenti reali. Da un lato, infatti, condivido l'analisi svolta dal ministro sullo stato, descritto come una realtà in sofferenza nel paese, degli IRCSS pubblici e privati; dall'altro, però, devo dire, per amore della verità, che dal ministro Sirchia mi sarei attesa, con altrettanta chiarezza, in quell'analisi, una diversa spiegazione della situazione in cui si trovano gli IRCSS. Mi sarei attesa, cioè, l'attribuzione del detto stato di sofferenza dei citati istituti non soltanto a cause di tipo gestionale o a problemi di tipo finanziario. Occorreva dire, con molta chiarezza, che vi è stato un effetto moltiplicatore, nel nostro paese, degli IRCSS, spesso a scapito della loro missione fondamentale; non solo in campo pubblico ma anche in campo privato si è registrato il fiorire di istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, spesso monotematici, istituti il cui carattere di ricerca e di scientificità mi permetterei di mettere in discussione.
Tale asserzione non vuole essere apodittica; mi sono basata, infatti, sulle relazioni scientifiche di una serie di istituti di ricovero e cura a carattere scientifico presenti nel nostro paese, soprattutto in alcune regioni del centro-sud. Quindi, avrei gradito da parte del ministro un'analisi un po' più articolata; se pensiamo di riformare il settore unicamente perché riteniamo che esso sia in sofferenza dal punto di vista della gestione economica e finanziaria, credo che non rendiamo un buon servizio al paese. Ricordo, al riguardo, le affermazioni dello stesso ministro, che ha dichiarato di voler creare centri di eccellenza altamente qualificati in termini di ricerca. Credo, a tale riguardo, che l'accezione di istituto di ricovero e cura a carattere scientifico fatta propria dal ministro sia pur sempre quella di ente di supporto di ricerca per la politica nazionale del paese; penso, quindi, che il ministro non sposi una visione così decentrata e regionalistica da far venire meno la finalità di supporto di ricerca per la politica della salute del paese.
L'Italia, tra l'altro, presenta alcune peculiarità; poc'anzi il collega Massidda ha parlato della talassemia, patologia da cui è afflitta la popolazione meridionale. Il tema avrebbe meritato, nel corso degli anni, un'ampia riflessione del mondo scientifico tale da consentire a questi istituti, supporto di ricerca per lo sviluppo della politica nazionale a favore della salute, di avere quell'impulso che sappiamo hanno ricevuto analoghe strutture europee o d'oltreoceano.
Quindi, ministro, davvero lei è convinto che occorra riformare questi istituti per problemi di natura economica e gestionale? Se fossero vere le motivazioni portate sul terreno economico e gestionale, si


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potrebbe intervenire, a legislazione vigente, con vari strumenti, tutti di diritto privato: si possono, ad esempio, dare in outsourcing ampie parti della gestione di questi servizi, si possono stipulare contratti e convenzioni con strutture private in modo, quindi, da avere una gestione mista che consenta una buona tenuta economica e finanziaria. Ma la questione non risiede in ciò come non risiede nel fatto che la regione non si senta rappresentata: quest'ultimo, infatti, è un problema di regolamento e di statuto. Abbiamo discusso per tutta la passata legislatura di una legge di riforma degli IRCSS che contemplasse anche i regolamenti attuativi di questi istituti; si può benissimo stabilire con legge che il consiglio di amministrazione si compone anche di un rappresentante della regione, di uno del comune capoluogo regionale di appartenenza e via dicendo. Tali problemi, ministro Sirchia, per me sono del tutto risolvibili ricorrendo ad una legge ordinaria che non stravolga le finalità del sistema e che affronti il problema della qualità e dell'eccellenza degli istituti in oggetto.
In sede di esame dell'articolo 28 della legge finanziaria per il 2002 si è molto discusso circa l'applicazione, in via sperimentale, della nuova disciplina; posi, allora, in Assemblea, alcuni quesiti cui non ebbi risposta. Posi tali domande senza alcuna prevenzione; giustamente, lei, ministro, nella sua esposizione, riferiva di esperienze europee e d'oltreoceano che funzionano bene con un sistema basato sulle fondazioni. Però, anche a tale proposito, ho bisogno di un chiarimento perché il nostro ordinamento ci consegna fondazioni di capitali e fondazioni di gestione. Ora, posto che non mi pare esistano, nel paese, mecenati che conferiscano ingenti somme a favore della salute - al contrario, si può contare solo sulla contribuzione del singolo cittadino, magari attraverso iniziative quali Telethon - desidererei capire qual è lo schema di fondazioni che lei intende introdurre nell'ordinamento. Anche se mi è chiara la precisazione a proposito della maggioranza di capitale pubblico - quindi, un 51 per cento che preservi la missione pubblica dell'istituto - ho bisogno di capire la formula, perché solo così il paese avrà la possibilità di stabilire, nelle modalità di controllo e di vigilanza sugli enti, la coerenza con la mission che l'istituto di ricovero e cura a carattere scientifico produce.
Il sistema delle fondazioni deve essere improntato sulla gestione, oltre che sui capitali, altrimenti non troverà un solo soggetto privato (esistendo un lungo lavoro istruttorio compiuto da anni sulla materia) disposto ad investire in una fondazione di un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, se non si determinano i benefit che otterrà dall'investimento.
Si tratta di svolgere una discussione franca sul merito degli istituti che chiarisca il loro profilo istituzionale, la missione, il ruolo del personale e delle risorse umane di qualità e di eccellenza, al fine non di garantire aprioristicamente protezione, bensì per favorire una strategia di sviluppo delle professionalità e, al tempo stesso, per definire nel nostro paese se, dopo tanti anni, effettivamente, si ha bisogno di una pletora di istituti di ricovero e cura a carattere scientifico o piuttosto di una razionalizzazione di tale materia per puntare ad un sistema di eccellenza, che non smarrisca la sua finalità fondamentale: fare ricerca a favore della politica della salute e sanitaria del nostro paese.
Credo che, per quanto detto, non possa essere ignorato, nonostante il disegno di legge delega, il lungo lavoro svolto dalla nostra Commissione su tale materia. Esistono punti di approdo significativi che, non per un ritardo temporale delle due Camere, ma per un atteggiamento ben preciso del Senato, non consentì nella precedente legislatura di dotarsi di uno strumento idoneo ed adeguato per razionalizzare e porre in sicurezza l'attuale sistema.
Infine, credo che nel ripensare tale materia lei dovrebbe esaminare con le regioni e con gli assessori regionali, per gli IRCCS pubblici, la questione riguardante il settore monotematico, soprattutto nel campo oncologico. Il problema del mancato


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decollo degli IRCCS pubblici nel settore è determinato da una sofferenza gestionale e di prospettive della ricerca; in Internet si può verificare che i nostri IRCCS sono molto competenti per la ricerca e per lo sviluppo dei diversi settori innovativi e che non siamo indietro rispetto ai lavori compiuti all'estero, sebbene i nostri siano poco conosciuti. Purtroppo, gli IRCCS monotematici e gli oncologici soffrono molte carenze, in quanto il sistema di ristrutturazione ospedaliera nelle diverse regioni ha teso a creare sovrapposizioni tra istituti di ricerca e reparti oncologici ospedalieri. Sarebbe opportuno compiere una verifica per avviare una sinergia tra le diverse strutture, affinché si renda possibile lo sviluppo di un centro di eccellenza per l'offerta di un servizio che superi l'ambito strettamente regionale; solo in tal modo ritengo possibile ottenere il risparmio e la razionalizzazione del sistema, che non ci saranno se si perpetuerà l'attuale situazione.

GIUSEPPE PETRELLA. Non esistono preconcetti sul sistema delle fondazioni; tuttavia, vorrei avere maggiori ragguagli. Sono d'accordissimo sulle joint venture pubbliche e private con il 51 per cento controllato dal settore statale. Comunque, la presenza di società multinazionali nel futuro delle fondazioni, interessate allo sviluppo di alcune ricerche (come le industrie del farmaco oppure del settore elettromedicale), può determinare il rischio di orientare lo sviluppo scientifico verso un settore particolare, come purtroppo succede negli Stati Uniti d'America.
Alla fine, ne sono sicuro, troveremo un accordo: la ricerca italiana è un patrimonio comune, che non appartiene ad una sola parte politica.
I problemi della nostra ricerca non sono provocati dalla mancanza di ricercatori, bensì dalla carenza cronica di fondi. Sottolineo con grande forza tale situazione e mi auguro che in Consiglio dei ministri lei, ministro, possa rappresentare tale esigenza. Il nostro paese non può competere senza i finanziamenti necessari: è una richiesta di aiuto proveniente dai ricercatori italiani, compresi coloro che sono costretti ad emigrare per continuare il proprio lavoro.
È importante, allora, ottenere ulteriori risorse con lo sviluppo delle fondazioni, però ritengo indispensabile che il Governo intervenga con un aumento degli stanziamenti per le attività di ricerca.

PRESIDENTE. Do la parola al ministro della salute per la replica.

GIROLAMO SIRCHIA, Ministro della salute. Innanzitutto, intendo ringraziare tutti gli intervenuti perché sono stati posti temi propositivi di grande interesse, sviluppati anche molto puntualmente. Inizierei la mia replica affrontando uno dei punti fondamentali, più volte richiamato, vale a dire se questi mecenati siano industrie farmaceutiche o industrie operanti nel campo della radioterapia, indirizzate alla ricerca. La risposta è categoricamente negativa, perché in tal caso esiste un evidente conflitto di interessi che abbiamo precisato in tutti i modi. Pertanto, rispondendo in tal senso al quesito posto dall'onorevole Bindi, per mecenati intendo sostanzialmente quelle fondazioni bancarie che prevedono nel loro statuto (e dovranno prevedere sempre più) funzioni sociali.
Vorrei evidenziare, inoltre, come si stia facendo sempre più strada il tema dell'etica dell'impresa, che in Italia è francamente ancora molto acerba, mentre in altri paesi è più avanzata. Al riguardo, auspichiamo che non tanto la singola impresa, che non può intervenire in quanto tale, quanto le grandi associazioni degli industriali o altre organizzazioni sociali possano svolgere tale ruolo, così come avviene in Europa e in America. La mia speranza, quindi, è che anche in Italia aumenti quell'etica dell'impresa, cioè l'investimento in ambito sociale, oggi ancora assente o scarsa; pertanto, data la sua attuale scarsità, occorre sotto questo profilo limitarsi alle fondazioni bancarie, a meno di donazioni patrimoniali come avveniva una volta. La fondazione bancaria, infatti, ha quella missione e deve continuare


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ad essere sostenuta in tal senso; al riguardo, vorrei ricordare che numerose fondazioni bancarie - anche se non tutte - hanno seguito tale via. La loro missione, dunque, deve essere indirizzata a favore della cultura, del sociale ed anche della sanità.
Il secondo aspetto sul quale intendo sciogliere i dubbi avanzati riguarda l'interrogativo se la trasformazione degli IRCCS in fondazioni metta in discussione l'inquadramento del personale nel rapporto di lavoro di diritto pubblico. Innanzitutto, vorrei rispondere che la fondazione mantiene una finalità pubblica, come è specificatamente indicato nel disegno di legge, in quanto non vogliamo cambiarne la missione. Infatti, il consiglio di amministrazione prevede una chiara maggioranza pubblica indipendentemente dall'ingresso di privati, che risultano confinati ad un solo componente elettivo. La missione pubblica degli IRCCS, dunque, è garantita da un consiglio di amministrazione a maggioranza pubblica e dunque anche il diritto dei lavoratori a mantenere il contratto di lavoro pubblico è automaticamente garantito. Ciò non significa che un domani non si possa immaginare la possibilità che in nuovi IRCCS ciò possa cambiare. Infatti, se dovesse essere esternalizzata, in tutto o in parte, anche la quota sanitaria, il rapporto di lavoro in tal caso risulterà disciplinato dal contratto in vigore per fondazioni private come, ad esempio, il San Raffaele. Tuttavia, ciò è da escludere nelle fondazioni esistenti perché risulta impraticabile, a meno che il personale decida di cambiare la disciplina del rapporto di lavoro.
Chiaramente, come è stato anche detto, ciò non risolve tutti i problemi; del resto, non sostengo che esistano altri modi per risolverli: si tratta semplicemente di una modalità che in altri paesi ha prodotto buoni risultati. Pensiamo di cambiare tutto così? Sicuramente no, perché se è vero che abbiamo costituito una pletora di IRCCS, è vero anche che abbiamo a disposizione uno strumento per ridimensionarla. Infatti, se la proposta dovesse andare a regime, occorrerebbe riautorizzare ognuno di questi IRCCS in base al nuovo statuto ed è chiaro, allora, che avremmo la possibilità di concedere tale autorizzazione o meno. Ma avremo concretamente tale possibilità? Al riguardo, vorrei osservare che ho avuto modo di visitare alcuni IRCCS che, senza fare nomi, non rivestono una grande rilevanza. Mi è stato fatto notare che, nonostante ciò, tali IRCCS sono collocati in località dove costituiscono l'unica impresa esistente, dove la banca locale finanzia più volte il sostegno alle loro attività poiché rappresentano l'unica fonte di occupazione locale. Allora, senza avanzare critiche, vorrei evidenziare che non sarà un'operazione facile chiudere ciò che è stato impropriamente aperto, perché chiuderlo significa, come sempre, ledere interessi di persone che vi lavorano, e ciò costituisce sicuramente un problema.
Per quanto riguarda la questione degli istituti oncologici pubblici italiani, sono tra i più convinti che essi abbiano fatto cose mirabili e posto in essere protocolli di assoluto rispetto internazionale: anche questa è la ragione per la quale abbiamo iniziato a mettere in rete gli istituti oncologici (prevalentemente pubblici), proprio perché vogliamo potenziare la grande capacità di cui dispongono. Tuttavia, se è vero che nei reparti ordinari delle divisioni di oncologia esistono alternative che certamente non giovano alla nostra missione, è anche vero che non possiamo immaginare che tutta l'oncologia afferisca a questi enti, né possiamo precludere alle regioni la facoltà di operare in tale ambito. Ad esempio, a Genova è stato aperto un istituto di oncologia a San Martino proprio mentre siamo in sofferenza con l'IRCCS dei tumori. Francamente, come ho riferito anche al presidente, non condivido tale scelta, tuttavia non posso neanche impedirla. Si tratta allora di creare reti in cui tali IRCCS, collegati anche con le oncologie ospedaliere o universitarie, si pongano come punto di consulenza e di riferimento da cui i protocolli vengano irraggiati a tutti. Infatti, ancora oggi vi sono in Italia oncologie mediche che non applicano i protocolli terapeutici internazionali. Dal momento che conosciamo tale situazione,


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essa va corretta con il convincimento, perché nessuno può vietare ad alcuno di usare uno schema terapeutico piuttosto che un altro. L'unico modo è far crescere la cultura e il valore intrinseco degli IRCCS, i quali sono già molto validi e devono diventarlo ancora di più.
Ho già ricordato come, accanto a questo problema, si stia discutendo in Europa della questione della libera circolazione dei pazienti. Se tale proposta verrà approvata - e passerà, o tanto o poco -, vorrà dire che i pazienti si cureranno laddove lo riterranno più opportuno ed i relativi servizi sanitari finanzieranno le spese. Al riguardo, osservo che si tratta di una politica che per l'Italia può essere devastante e può rappresentare un vero pericolo, anche perché il nostro paese non ha mai fatto operazioni di marketing come sta facendo tuttora - in Italia - la Francia, tanto per fare un esempio. Infatti, sapete che vi sono medici che vanno a Milano, ma probabilmente anche altrove...

GRAZIA LABATE. Anche a Roma.

GIROLAMO SIRCHIA, Ministro della salute. ...anche a Roma, per aprire degli ambulatori invitando la casistica - talora anche tramite accordi con i medici italiani - a migrare in Francia. Allora, se non ci qualifichiamo, tali operazioni sono di una pericolosità terribile. Non è possibile, infatti, chiudere le frontiere perché non possiamo essere favorevoli alla libera circolazione delle merci in Europa ed opporci alla libera circolazione dei pazienti: ciò sarebbe veramente improponibile. Allora, durante il Consiglio dei ministri dell'Unione europea abbiamo preso tempo, perché tale scelta penalizza gravemente alcune nazioni, ma non ci illudiamo che tale situazione possa durare all'infinito, perché il sistema diverrà sempre meno rigido finché, nei prossimi quattro o cinque anni, tale via diventerà praticamente obbligatoria.
Oggi abbiamo detto no, ma ciò non deve intendersi come l'eliminazione o il divieto della libera scelta; esistono delle regole che, per il momento, servono a circoscrivere questa libera scelta in alcuni «canali», evitando un'apertura totale (che porterebbe le nazioni al dissesto) anche se, in futuro, tale ipotesi probabilmente si realizzerà. L'unica difesa che abbiamo è quella di creare qui quanto viene cercato altrove, non vi è altra via d'uscita. Questa deve essere la logica.
Vorrei aggiungere inoltre che questi istituti sono troppi e alcuni non fanno ricerca (questo lo sappiamo) ma tutti saranno, comunque, soggetti ad una nuova autorizzazione o concessione.
È stato chiesto se tali istituti avranno sempre rilievo nazionale. A tale richiesta non sono in grado di rispondere perché, a livello giuridico, mi trovo di fronte ad un parere in cui si afferma che mantenere una rete di ricerca a livello nazionale è competenza dello Stato mentre alcune regioni hanno parere esattamente opposto. Personalmente, credo che la soluzione scaturita dall'accordo con le regioni sia valida: si prevede, sostanzialmente, che questo ostacolo si possa superare purché nel consiglio di amministrazione entrino pariteticamente sia lo Stato sia le regioni, oltre ad un rappresentante del comune. Credo, infatti, che non abbia senso che i grandi comuni, soprattutto di livello metropolitano, restino fuori dai consigli di amministrazione. Di fatto il dualismo regione-Stato si supera creando una sinergia, non con un conflitto istituzionale. Abbiamo attuato tale ipotesi al policlinico di Milano; in un primo tempo la regione ha creato qualche problema, ma in seguito ha condiviso questa scelta e, quindi, tale sperimentazione si sta ora avviando. Spero che in questo modo si superi il conflitto. Se, invece, vi sarà una volontà assoluta di estromettere lo Stato dai consigli di amministrazione, come è intenzione di qualcuno, allora ne discuteremo con gli avvocati o con i giuristi.
Per quanto riguarda la politica della ricerca, non vi è dubbio che il suo finanziamento sia debole; non so se l'economia nazionale riprenderà a finanziare la ricerca ed in quantità maggiori, mi auguro


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di sì. Oggi, come saprete, la ricerca sanitaria è finanziata con il famoso 1 per cento del Fondo sanitario nazionale, quota che, nella realtà, si riduce poi allo 0,4 per cento. Al riguardo cercherei di importare dall'estero una scelta che ho rilevato funzionare molto bene: l'autofinanziamento delle fondazioni tramite attività produttive.
Ciò potrebbe avvenire ad esempio con attività quali quelle degli alberghi o simili. Mi chiedo perché, ad esempio, il policlinico di Milano non possa, un domani, avviare una attività produttiva quale quella di un supermercato. Certo, avremmo la reazione dei commercianti, ma mi chiedo perché questi istituti non possano gestire, con una direzione a parte, i propri capitali immobiliari, gestire un supermercato o degli alberghi per la degenza postambulatoriale. Poter far ciò significherebbe per le fondazioni costruire una capacità imprenditoriale propria alla quale non andrebbero posti limiti.
Gli esempi all'estero sono numerosi. In alcuni casi vi sono cinema, supermercati, asili nido e altro ancora, delle attività cioè che portano degli utili da reinvestire poi nei settori sanitari e della ricerca. Credo che questa ipotesi possa essere utile così come concedere anche agli IRCCS la possibilità che hanno le università di costituire delle società (nelle quali è prevista una partecipazione di minoranza); tramite queste strutture è possibile avviare vere attività imprenditoriali. Perché non lo possono fare anche gli IRCCS? Auspico la massima libertà imprenditoriale per chi è in grado di praticarla.
L'onorevole Massidda ha parlato anche di altre discipline, ma deve essere chiaro che abbiamo situazioni di eccellenza, sia per la talassemia sia per i trapianti, un po' in tutto il settore dell'ematologia. Ma di fatto non abbiamo in ematologia - se non in pochi casi - attività riconosciute come IRCCS né tantomeno tale attività si esplica nel contesto dei policlinici. Quindi, condivido totalmente queste affermazioni e di ciò abbiamo diversi esempi. Lo stesso discorso può essere fatto per il settore dell'ortopedia, dove abbiamo delle eccellenze ma, contemporaneamente, il numero degli istituti è scarso. Vi sono poi le neuroscienze che, ovviamente, sono prioritarie anche per gli interessi sociali che coinvolgono, ma pure in questo caso, purtroppo, dobbiamo rientrare nella quota dello 0,4 per cento cui accennavo prima.
È necessario trovare il modo di aumentare questi già risicati fondi. La realtà è che a Milano abbiamo la più grande produzione scientifica d'Italia ma per la ricerca riceviamo solo 22 miliardi contro gli oltre 400 miliardi destinati alla gestione; questo mi sembra rilevante. Se poi dovessimo assumere del personale, quei 22 miliardi non basterebbero neanche per la ricerca di base minima, per pagare i reagenti. Questo è un problema che ho ben presente ma per il quale non vedo, al momento, una via d'uscita.
Il presidente Lucchese ricordava come esistano anche ottimi IRCCS privati, e su ciò non vi è alcun dubbio; rispettiamo tali istituti ed alcuni esempi, come il San Raffaele, gli istituti di Troina, Ancona e altri, sono ben noti. Non è nostra intenzione penalizzare nessuno, laddove si fa ricerca questa sia ben venuta; non è la distinzione tra pubblico e privato che ci preoccupa ma se si svolga o meno ricerca e soprattutto se vi siano risorse aggiuntive come quelle che i privati hanno saputo creare.
È vero che nel meridione vi è stata una certa penalizzazione, considerando che gli IRCCS sono poco presenti; e sono quindi convinto che, francamente, una politica in favore di nuovi IRCCS debba essere fatta, ma esclusivamente nelle regioni meridionali dove questi sono quasi assenti. Abbiamo delle realtà che, proprio per la loro qualità, potrebbero assumere la caratteristica di IRCCS: ricordo ad esempio il centro mielolesi di Messina, un ottimo centro che ha tutte le caratteristiche per diventare un IRCCS, ma non lo è....


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FRANCESCO STAGNO d'ALCONTRES. Si tratta di una fondazione di privati!

GIROLAMO SIRCHIA, Ministro della salute. Certo, però potrebbe tranquillamente essere un IRCCS.
È stato chiesto come mai non si fa più cenno a quanto era stato ipotizzato, cioè a una divisione della sperimentazione in tre aree; ricordo che questa ipotesi è stata scartata nel corso del dibattito, credo alla Camera, e non per mia volontà. Aggiungo però che, in realtà, le tre aree, intese come diverse collocazioni, vi saranno comunque.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Sirchia. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13.15.