![]() |
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 13,35.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sicurezza ambientale dei siti e degli impianti ad elevata concentrazione inquinante di rifiuti pericolosi e radioattivi, l'audizione di rappresentanti dell'ENEA. È presente il commissario straordinario dell'ente, professor Carlo Rubbia, che per l'autorevolezza della sua storia e la professionalità che ha sempre dimostrato non ha sicuramente bisogno di presentazione. Sono altresì presenti la dottoressa Delia Salmieri, direttore delle relazioni esterne dell'ENEA, ed il dottor Francesco Troiani, direttore dell'unità RAD dell'ENEA.
Da parte dell'ENEA è stato predisposto un documento, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
Ringrazio i nostri ospiti e do la parola al professor Rubbia per la sua relazione.
CARLO RUBBIA, Commissario straordinario dell'ENEA. Lo scopo di questa mia esposizione, negli stretti limiti di tempo disponibili, è quello di fornire alcuni elementi strategici nel quadro specifico indicato nel programma dell'indagine conoscitiva della Commissione, presentato dal presidente nella seduta del 30 ottobre ultimo scorso, tralasciando di fornire elementi di dettaglio, tenuto conto delle progettate visite ai siti da parte della Commissione. Se ho ben capito, voi andrete a visitare i siti in questione e, quindi, le questioni di dettaglio si possono omettere. Rendiamo tuttavia disponibile, sotto forma di allegato, 1'aggiornamento del programma ENEA di interventi per il trattamento dei rifiuti radioattivi in corso.
Vorrei anche in questa occasione ribadire la massima priorità data dall'ENEA e il suo fortissimo impegno, in collaborazione con gli altri operatori preposti - nell'ambito delle specifiche competenze - al fine di una rapida ma corretta soluzione globale al problema dei residui radioattivi italiani.
Passo ora ad alcune considerazioni generali sui rifiuti radioattivi in Italia. L'utilizzo di sorgenti di radiazioni ionizzanti porta significativi benefici all'umanità nella medicina - come ad esempio nel trattamento del cancro, nella diagnostica e terapia medica -, nei processi industriali e, per molti paesi oggi nella produzione di energia. Ma, come ben noto, la radioattività è potenzialmente dannosa alla salute - soprattutto poichè le radiazioni ionizzanti possono causare danni e mutazioni alla struttura del DNA cellulare - e quindi la protezione contro tali effetti deve seguire una precisa regolamentazione. Fanno eccezione ad una regolamentazione quella parte delle radiazioni ionizzanti per
le quali essa è impossibile, come ad esempio i raggi cosmici, e quelle utilizzate a dosi talmente piccole che l'inserimento in un processo di regolamentazione costituirebbe uno spreco di risorse (ad esempio, le piccole sorgenti di radiazione come tracciatori per la ricerca, sorgenti di calibrazione e alcuni prodotti di largo consumo, che contengono piccole sorgenti a bassa attività specifica, come i rivelatori di fumo antincendio). Tutto il resto è sottoposto ad una procedura basata sulla catena notificazione e autorizzazione, secondo procedure stabilite internazionalmente dalla AIEA di Vienna (International Basic Safety Standards for Protection against Ionizing Radiation and for the Safety of Radiation).
Gli elementi radioattivi hanno una durata di vita che è limitata nel tempo, in quanto decadono in altri elementi, che possono essere sia stabili sia ancora radioattivi, creando una catena di decadimenti che si conclude alla fine con un elemento stabile. Sono, quindi, nel gergo usuale, «degradabili». Ne risulta che sostanze radioattive inizialmente sottoposte a regolamentazione, ad un tempo ulteriore possono essere liberate da tali restrizioni e rientrare nell'uso comune, quando il livello di attività da esse raggiunto sia sufficientemente debole e determinato da specifici livelli di «clearance». Ma questo avviene in tempi molto variabili, da pochi secondi a miliardi di anni. Ad esempio, la radioattività naturale e cioè quella dei terreni, delle rocce, delle acque, dei cibi, eccetera, è ancora oggi la causa principale di esposizione alle radiazioni: un residuo di quello che era il pianeta terra all'atto di formazione, 4,5 miliardi di anni fa. Il calore geotermico, l'attività vulcanica sono generati dal calore dovuto a tale radioattività residua, principalmente legata al ciclo dell'uranio e del torio ancora contenuti all'interno della crosta terrestre.
Alcuni Paesi, come Germania, Francia, Finlandia, Svezia, Taiwan, Inghilterra, Giappone, Stati Uniti ed altri, hanno elaborato linee guida per il rilascio incondizionato di materiali inizialmente radioattivi. Anche se gli standard proposti internazionalmente sono abbastanza simili, persistono delle differenze a mio parere sostanziali. Le due principali organizzazioni internazionali preposte alla protezione contro le radiazioni ionizzanti e cioè l'International Atomic Energy Agency (IAEA) e l'EURATOM hanno anch'esse sviluppato direttive che contengono livelli ammessi per ciascun radionuclide. È evidente che si debbano chiaramente e urgentemente definire - specificamente per l'Italia - con opportune norme legislative, delle precise e realistiche regole in questa materia.
È interessante fare il parallelo tra la regolamentazione italiana all'esposizione alle radiazioni ionizzanti (ancora da venire) e quella relativa all'esposizione alle radiazioni elettro-magnetiche (per intenderci le linee elettriche ad alta tensione, i telefonini, gli orologi sveglia, eccetera). Basate su dei criteri ultra-prudenziali, le norme italiane, predisposte dal ministro Bordon nella passata legislatura, erano tali da richiedere, al fine di essere applicate, costi ingentissimi per la ristrutturazione della rete elettrica nazionale esistente (alcune decine di miliardi di euro, una vera e propria «manovra» governativa). Evidentemente si pongono questioni di buon senso e analisi di costo-beneficio: si dovrebbe infatti riflettere su come tale somma di denaro possa essere utilizzata al meglio al fine di ridurre l'incidenza di tali malattie, e cioè se i circa 50 mila miliardi di lire stimati, sarebbero meglio spesi per migliorare le attrezzature ospedaliere e la ricerca per la lotta contro il cancro, piuttosto che le linee elettriche!
Lo stesso criterio si deve applicare, a mio giudizio, nella definizione del livello minimo di radioattività per lo stoccaggio nel deposito nazionale e per la definizione del tempo per cui debba perdurare la sorveglianza, in isolamento rispetto alla biosfera, al fine di raggiungere un livello sufficientemente basso per permettere la «clearance» incondizionata definitiva. Un livello troppo prudenziale farà lievitare sia i costi sia le dimensioni del deposito nazionale nonché il tempo di permanenza in esso dei materiali prima del loro rientro nella biosfera.
Riterrei quindi utile definire, quantizzandolo, il danno dovuto alla radiazione ionizzante. Il pubblico è stato molto sensibilizzato ai rischi potenziali associati alla radioattività. Il pericolo maggiore dovuto all'esposizione, a dosi non massicce, è associato all'aumentata crescita di casi di cancro, molto spesso mortali. Gli studi più dettagliati sono raccolti nei rapporti della United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation (UNSCEAR), approvati dall'Assemblea generale della Nazioni Unite. La dose ricevuta si misura in Sievert, o meglio in milli-Sievert (mS), o in micro-Sievert (µS). Per dosi moderate e continuative, come è generalmente il caso, l'UNSCEAR stima che l'aumento di probabilità di decesso a causa dell'esposizione - da sommare all'inevitabile rischio naturale di morte per cancro dell'ordine del 15-20 per cento - sia dell'ordine del +4 o +6 per cento per ogni Sv assorbiti a rateo moderato ma continuativo. Quindi l'esposizione alla radiazione ionizzante ha effetti analoghi agli altri fattori cancerogeni di natura chimica, come ad esempio l'amianto, il benzolo, il fumo, eccetera. Un confronto UNSCEAR indica che l'esposizione a 1 Sv aumenta il rischio di cancro al polmone all'incirca quanto il fumare 10 sigarette al giorno.
Anche se le attività umane associate al nucleare hanno prodotto scorie radioattive di alta intensità e che destano gravi preoccupazioni, va ricordato che il contributo principale all'esposizione radioattiva del grande pubblico (anno 2000), e quindi dell'italiano medio, è oggi dovuta alla inevitabile radiazione naturale (raggi cosmici più radioattività naturale, specialmente il Radon) (2400 µS/anno), seguita dalle applicazioni mediche (400 µS/anno, di cui ben la metà dovuta alla tecnica TAC), dai test nucleari nell'atmosfera degli anni '60 (5 µS/anno), dall'incidente di Chernobyl, (2 µS/anno) e dall'industria nucleare estera (0.2 µS/anno).
Va ricordato che la radiazione dovuta a sorgenti naturali varia secondo i luoghi nel vasto intervallo da 400 a 4000 µS/anno, a cui vanno aggiunti da 1200 a 10000 µS/anno dovuti alla presenza del Radon. La radiazione cosmica è, al livello del mare, dell'ordine di 380 µS/anno e cresce con l'altezza a 2000 µS/anno a La Paz (Bolivia, 3900 m). Alle altezze di volo commerciale di 10 km, essa è 100 volte l'intensità al livello del suolo. Un volo transatlantico di 10 ore rappresenta una dose di 10 µS. L'uso dei fosfati come fertilizzanti produce una dose pari a 2 µS/anno. Una TAC (tomografia assiale computerizzata) dà al paziente una dose di 5000 µS.
La convergenza internazionale nella definizione di soglia di «non radioattività» e, quindi, di incondizionata o eventualmente condizionata clearance del materiale che determini sia l'invio al deposito nazionale che la sua uscita dopo il conseguente periodo di isolamento, si situa generalmente intorno ad una dose massima di 10 µS/anno, 240 volte inferiore alla inevitabile dose di provenienza naturale e 40 volte inferiore alla dose media dovuta alle applicazioni mediche.
Una volta prefissato tale limite di dose, è quindi possibile calcolare, cosa peraltro fatta dalla IAEA in un rapporto tecnico, la quantità massima accettabile di ciascun elemento radioattivo nella peggiore eventualità di uso. Ne consegue, nel caso del mix dei prodotti radioattivi provenienti da impianti come Caorso, un livello di attività limite per il rilascio incondizionato di 0.37 bequerel/ grammo. È questa una scelta ragionevole?
DONATO PIGLIONICA. Mi scusi, professor Rubbia: la sua è una domanda o un'affermazione?
CARLO RUBBIA, Commissario straordinario dell'ENEA. Si tratta di una domanda. Ritengo che il mio compito, da tecnico, sia quello di fornirvi un'immagine quanto più onesta e trasparente della situazione. Credo che il problema di fondo sia quello di definire a quale livello la sostanza è definita radioattiva e quando no.
Come è noto, l'intensità della sorgente si misura in bequerel, cioè 1 disintegrazione al secondo. Questa è un'unità piccolissima. Basti pensare che la radioattività
interna naturale di un essere umano di 70 chili è pari a 12.000 bequerel e cioè di 0.18 Bq/grammo. Patate e grano sono a 0.15 Bq/grammo, la carne o le verdure fresche circa 0.10 Bq/grammo. Le rocce granitiche, ad esempio, hanno concentrazioni di potassio 40 dell'ordine di 1 o 2 Bq/grammo e di radio o torio pari a 0.2 - 0.6 Bq/grammo. Non menziono la questione dell'acqua minerale, che anch'essa costituisce un problema. Il fiume Rodano trasporta ogni anno nel Mediterraneo ben una tonnellata di uranio disciolto dalle Alpi. I fosfati usati largamente nell'agricoltura sono ricchi di uranio (0.044 - 4.8 Bq/g) e di Radio (0.03 - 4.8 Bq/g). Sono questi i fattori di cui bisognerà certamente tenere conto al fine di arrivare ad una «ragionevole» definizione di che cosa si consideri un pericolo radioattivo e di cosa invece faccia parte delle condizioni naturali.
Ma esistono problematiche ulteriori. Fermo restando che il parametro essenziale è la dose effettiva trasmessa all'individuo, da un punto di vista sociale, va tenuto conto anche di quanto estesa sia l'esposizione risultante a tutta una popolazione. In generale si assume che l'aumento di probabilità sia proporzionale alla dose, per quanto piccola essa sia. Quindi, per ottenere il numero totale di tumori causati si moltiplica ordinariamente il numero di individui per la dose individuale media, introducendo la quantità sievert moltiplicata per uomo. Questi tumori sono spesso difficilmente attribuibili ad una causa specifica, in quanto passano di solito anche parecchi decenni tra l'esposizione e l'emergenza della malattia, comunque dominata nei numeri dalle cause naturali, anche in assenza di esposizione. Sono, quindi, stime teoriche, ma che producono numeri impressionanti. Secondo UNSCEAR, l'esposizione alle radiazioni produce una fatalità circa ogni 20 sievert per uomo. Quindi se, ad esempio, moltiplichiamo la dose media dovuta al radon naturale a cui è esposta oggi la popolazione italiana, pari a circa 1200 microS/ anno, per il numero di individui, otteniamo 3600 fatalità all'anno, pari alla metà di quella dovuta agli incidenti stradali. Incidentalmente, sono dell'opinione che una campagna nazionale per la riduzione dell'esposizione al radon, dovuto principalmente a radioattività naturale dei materiali usati per le costruzioni, dovrebbe essere considerata con la massima priorità, in quanto esso può rappresentare un serio pericolo. È un fenomeno analogo a quello dell'amianto.
La classificazione, del resto ben nota, dei residui radioattivi è basata su tre categorie: nella prima categoria il rientro nella biosfera è breve, generalmente mesi e eccezionalmente alcuni anni e non necessita quindi l'invio nel deposito nazionale. Seguono la seconda e terza categoria per le quali una permanenza nel deposito nazionale è necessaria, in ordine crescente di attività e di radiotossicità con particolare riguardo agli emettitori alfa, per i quali la relazione tra attività (i bequerel) e la dose ricevuta dall'individuo è anche cento volte maggiore. Per alcuni di questi prodotti, la permanenza necessaria al fine di raggiungere il succitato livello di clearance si avvicina a parecchi secoli. La domanda che i componenti della Commissione dovrebbero porsi è la seguente: istituiamo un deposito, ma per quanti anni dovrà rimanere tale?
Assumendo i valori oggi raccomandati, i residui previsti dalla chiusura dei programmi nucleari in Italia e da inviare al deposito nazionale si situano, per quanto riguarda gli impianti SOGIN (Caorso, Trino ed altri) a circa 30.000 mcubi di seconda categoria e 5000 mcubi di terza categoria (questi numeri sono, naturalmente, dipendenti dalla scelta della soglia minima: se cambiate il numero di 0,37 bequerel, i numeri possono oscillare in modo rapido) e, per quanto riguarda i rifiuti da impianti ENEA-FN (Consorzio SICN) a circa 18.000 mcubi di II categoria e 2.900 mcubi di III categoria. Queste sono due quantità comparabili ed è, evidentemente, necessario trattare 1'insieme di questi rifiuti in maniera unitaria, trasferendone quanto prima la titolarità ad un unico operatore (SOGIN).
Al massimo della scala dei valori dell'attività radioattiva si situa il combustibile nucleare usato, di cui sono state prodotte in Italia all'incirca mille tonnellate: dieci anni dopo la sua estrazione dal reattore ha un'attività dell'ordine di 10 miliardi Bq/grammo e una produzione di calore 1 kWatt/tonnellata. Dopo mille anni la sua attività specifica si riduce a 37 milioni di Bq/ grammo. Un milione di anni dopo, esso ha ancora l'attività pari a 370 mila Bq/grammo.
È evidente che questo tipo di rifiuti non può rientrare nello scenario del deposito sorvegliato con possibilità di rientro nella biosfera dopo un adeguato periodo di raffreddamento (si tratta di milioni di anni).
Per questi prodotti esistono due soluzioni possibili. La prima è rappresentata dal deposito «geologico» a grandi profondità, in grado di garantire l'isolamento dalla biosfera per milioni di anni, e quindi non sorvegliato; purtroppo, con il tempo questi prodotti tendono a diffondersi e sfuggire ad ogni ragionevole contenimento. La seconda, invece, è il «bruciamento» delle scorie con la trasformazione dei rifiuti in quelli di seconda e terza categoria, per i quali il deposito sorvegliato su tempi ragionevoli è possibile. Al momento, ambedue le soluzioni sono allo stato di studio, e quindi è eventualmente necessario prevedere una prima fase di stoccaggio provvisorio, ad esempio nel sito nazionale, in previsione di una ulteriore soluzione definitiva futura. L 'ENEA, in particolare, è fortemente impegnato in un programma internazionale per la realizzazione di un sistema pratico di «bruciamento».
Per quanto concerne le considerazioni sul deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, gli eventi dell'11 settembre hanno profondamente modificato la strategia da seguire per la messa in sicurezza dei residui radioattivi, e hanno introdotto un carattere di assoluta urgenza. Infatti, precedentemente a tale data, la gestione di tali materiali era esclusivamente determinata da considerazioni che esulavano dalla volontà di nuocere. Oggi, specialmente in Italia, ci troviamo in una situazione di intollerabile fragilità che, a mio parere, deve essere urgentemente risolta. Si noti, a questo proposito, che uno dei primi passi negli USA è stato quello di rimuovere tutte le remore nella realizzazione del deposito di Yucca Mountain (Nevada). Non c'è dubbio che la minaccia persisterà nel futuro. Il deposito nazionale deve quindi essere realizzato nei tempi più brevi. L'alternativa è la creazione di depositi dovutamente protetti ed attrezzati nei principali luoghi in cui sono tenuti i materiali radioattivi.
Ancora ben prima degli eventi succitati, tutti i paesi avanzati avevano riconosciuto la necessità di un opportuno stoccaggio centralizzato e sotto sorveglianza, limitato nel tempo, di tali sostanze, in isolamento rispetto alla biosfera, al fine di raggiungere un livello sufficientemente basso da permettere la loro «clearance» definitiva. Ad esso sono destinate le categorie seconda e terza sopra menzionate (e non il combustibile). In alcuni casi, lo stesso deposito è utilizzato come fase intermedia (fino a 50-100 anni in molti casi) per il combustibile nucleare, in attesa della sua definitiva collocazione, come riferito precedentemente, quando ho trattato le due possibili soluzioni (deposito geologico e «bruciamento»).
Ad esempio, in Francia l'ANDRA (1'Agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi) ha realizzato il sito di Aube che già riceve i rifiuti a bassa e media attività (con una capacità di 15.000 metri cubi all'anno, e si trova attualmente impegnato al 12 per cento della sua capacità) e sta realizzando in un altro sito vicino il deposito per i rifiuti a bassissima attività, che sarà operativo nel corso del 2003. In Spagna, il sito analogo di El Cabril, già operativo, ha una capacità totale di 40 mila tonnellate. In Finlandia, i parlamentari, inclusi i verdi, hanno autorizzato nel 2000 la costruzione ne1 2010-2020 di un centro di stoccaggio in profondità nel granito per i combustibili usati.
In Svezia, la soluzione dello stoccaggio definitivo dei combustibili usati nel granito, a 500 metri sotto terra, è stata
adottata una ventina di anni fa: il centro di stoccaggio definitivo sarà operativo tra il 2015 e il 2050-2060, e riceverà in totale 9300 tonnellate di combustibile usato; inoltre, si prevedono tre centri di superficie su tre siti già individuati.
In Germania è allo studio un sito geologico profondo, ma già funziona da anni lo stoccaggio dei combustibili usati su due siti in Renania e in Sassonia. Inoltre, è stata usata la miniera di sale di Morsleben tra il 1981 e il 1998 per lo stoccaggio dei rifiuti a bassa e media attività.
I Paesi Bassi prevedono di stoccare a partire dal 2003 i rifiuti di alta attività in un sito di superficie, in fase finale di costruzione, mentre è stato sottoposto al Parlamento il rapporto finale del programma di ricerche CORA per lo stoccaggio in un deposito profondo.
Nel Regno Unito, esiste un deposito superficiale a Drigg per i rifiuti a bassa attività, vicino a Sellafield, e si sta studiando il deposito sotterraneo.
Gli Stati Uniti prevedono di stoccare il combustibile usato definitivamente in profondità sul sito di Yucca Mountain, nel Nevada: il progetto ha ottenuto l'approvazione definitiva del Congresso nel luglio del 2002. Questo sito potrà accogliere 70 mila tonnellate di rifiuti tra il 2010 e il 2060.
In Italia, invece, non vi è ancora alcuna soluzione individuata, né realizzata, quantunque siano già stati definiti alcuni indirizzi strategici dal Ministero dell'industria (oggi Ministero delle attività produttive) con il documento «Indirizzi strategici per la gestione degli esiti del nucleare in Italia» (1999), nel quale, tra l'altro, veniva identificato l'obiettivo di provvedere alla scelta del sito e alla realizzazione del deposito nazionale, idoneo per lo smaltimento definitivo dei rifiuti condizionati di seconda categoria e per lo stoccaggio a medio termine dei rifiuti di terza categoria e dei combustibili irraggiati.
L'ENEA ha costituito un'apposita task force che ha condotto una serie di attività riguardanti la caratterizzazione di rifiuti, la progettazione concettuale del deposito ed alcune indagini dirette alla individuazione e valutazione preliminare di siti o aree geografiche idonee e del potenziale impatto ambientale del deposito sull'area individuata. Gli studi della task force ENEA hanno carattere esclusivamente tecnico e prescindono da ogni considerazione di opportunità politica: l'ENEA non ha preso iniziative con le autorità per verifiche con i piani regolatori, né ha esaminato le potenziali implicazioni economiche e sociali o esplorato la disponibilità locale ad ospitare il deposito.
Il processo di selezione è stato basato su un'analisi territoriale previa individuazione di una serie di parametri oggettivi relativi ad alcune caratteristiche fisiche e morfologiche (ad esempio: pendenza, sismicità, assetto idrogeologico), di elementi quali la prossimità a centri abitati, a vie di comunicazione nazionali e così via. I lavori della task force sono stati menzionati nel rapporto del gruppo di lavoro sulle condizioni per la gestione in sicurezza dei rifiuti radioattivi, sottoposto all'attenzione della Conferenza Stato-regioni nel giugno 2001, che ha approvato il rapporto del gruppo nel gennaio 2002.
A conclusione del mio intervento, vorrei sottoporre all'attenzione della Commissione alcune mie riflessioni, che riguardano sia le caratteristiche generali delle problematiche di cui si è discusso in questa audizione, sia, in particolare, il ruolo e le peculiarità dell'ENEA.
Una prima riflessione riguarda il ruolo dell'innovazione tecnologica: infatti, nel caso del ciclo dei rifiuti nucleari la soluzione - o per lo meno, una significativa mitigazione dei problemi connessi con le varie fasi di produzione, trattamento e smaltimento - richiede una sostanziale innovazione dei processi tecnologici oggi in uso, da conseguirsi attraverso programmi di ricerca, sviluppo e dimostrazione, che dovranno coinvolgere sia gli operatori della ricerca, sia gli operatori industriali. L'innovazione può offrire un contributo rilevante nel miglioramento dei processi di inertizzazione oggi in uso e, in prospettiva, può offrire soluzioni radicali al problema dello smaltimento dei rifiuti più difficili da trattare, come quelli con tempi di vita
lunghissimi, dell'ordine delle decine di migliaia di anni. Nuovi processi oggi allo studio, basati sulla partizione e trasmutazione - quindi, il «bruciamento» - dei radioisotopi radioattivi a lungo tempo di vita, offrono in prospettiva l'opportunità di ridurre radicalmente il ricorso al deposito geologico di questi rifiuti. Questi processi, che richiedono l'uso di sistemi sottocritici di nuova concezione (i cosiddetti ADS, Accelerator driven system) sono oggi allo studio in tutti i principali paesi industrializzati: in Italia, l'ENEA è il capofila delle attività.
L'eredità nucleare rappresenta un problema di carattere nazionale, sia per il coinvolgimento di molte amministrazioni dello Stato per la sua definitiva soluzione, sia perché eventuali ed imprevedibili episodi incidentali potrebbero avere ripercussioni drammatiche su vaste aree del paese. A tutt'oggi, non sono presenti elementi oggettivi per dar luogo ad allarmismi. La chiusura dell'opzione nucleare richiede strumenti di concertazione adeguati, e a livello nazionale.
L'Ente (l'ENEA) si è ovviamente fatto carico delle proprie responsabilità e in qualità di «ente esperto» anche della messa a disposizione di competenze tecniche che potranno fornire rilevanti contributi, anche nel quadro della ricerca e dello sviluppo. Inoltre, è necessaria una concertazione di tutti gli aventi causa (Ministero vigilante delle attività produttive, l'APAT, il Ministero dell'ambiente, le regioni, le autorità di ambito e, non ultime, le amministrazioni locali e le parti sociali), affinché il cammino che porta alla chiusura dell'opzione nucleare si concluda nei tempi minimi previsti, e quindi la diminuzione del rischio nucleare prosegua senza alcun rallentamento.
Per raggiungere l'obiettivo finale del rilascio incondizionato dei siti, sono da risolvere alcune problematiche. In primo luogo, occorre la realizzazione del deposito nazionale: gli enti esercenti hanno formulato la propria programmazione nell'ipotesi che entro il 2010 sia disponibile ed operativo (anche se in misura parziale) il deposito nazionale, per lo smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi di bassa e media attività e per lo stoccaggio temporaneo di quelli ad alta attività.
L'individuazione del sito e la costruzione del deposito nazionale di smaltimento rivestono carattere d'urgenza. Le attività di messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi e di smantellamento degli impianti devono comunque procedere anche in attesa della predetta infrastruttura, con soluzioni temporanee su ciascun impianto, che richiederanno il consenso e l'espletamento di iter autorizzativi anche con le amministrazioni locali.
Occorre, inoltre, un piano per il conferimento di tutti i materiali condizionati al deposito nazionale. Il trasporto dei manufatti potrà richiedere un arco temporale più lungo di quello ipotizzato nella pianificazione. In tale evenienza, i siti, dotati di adeguate infrastrutture di stoccaggio, non potranno essere rilasciati entro la data indicata (2016), e in ciascuno di essi dovrà essere mantenuto un presidio per la sorveglianza.
In mancanza di indicazioni specifiche, gli enti produttori hanno unilateralmente assunto l'ipotesi che i manufatti di rifiuto condizionati, attualmente in produzione, saranno sicuramente accettati dal futuro deposito. Tuttavia, si rende necessario definire una policy nazionale di dettaglio che definisca la capacità ricettiva, le specifiche dei manufatti condizionati, i limiti e le condizioni di conferimento, le possibilità di trattamento in loco di particolari classi di rifiuto, i costi di conferimento per ciascuna categoria e, ancor prima della realizzazione e dell'esercizio del deposito, la ripartizione dell'inventario con l'attribuzione di quote agli enti produttori ed una programmazione di massima dei tempi di conferimento.
Infine, è necessario risolvere rapidamente i problemi di carattere normativo ed autorizzativo, per convergere rapidamente verso scelte operative definitive. Occorre specificare in via definitiva aspetti quali, ad esempio, le specifiche per lo smaltimento incondizionato dei materiali e per il rilascio dei siti (livelli di «clearance»).
L'urgenza determinata dai recenti eventi dell'11 settembre richiede un più rapido superamento dei problemi di carattere procedurale, di una eccessiva lunghezza e talvolta complessità delle istruttorie e delle procedure autorizzative. Si rende necessario un rinforzo di competenze dedicate nei soggetti autorizzanti a tutti i livelli, nonché il ricorso sistematico a conferenze dei servizi, all'uopo stabilite. In proposito, si ricorda che, in virtù dell'ordinanza n. 3130, del 30 Aprile 2001, del ministro dell'interno, è stato possibile approvare in tempi brevissimi il progetto di rinforzo della difesa idraulica del Centro ricerche di Saluggia.
La nota carenza di risorse umane specializzate e multi-disciplinari, anche all'esterno dell'ente, nel settore del trattamento e condizionamento dei rifiuti rende necessaria una revisione del blocco delle assunzioni per gli enti pubblici ed una conseguente forte immissione di nuove risorse, da inserire immediatamente nel ciclo formativo, per provvedere in tempo utile al trasferimento delle competenze del personale a fine attività lavorativa, esigenza obbligatoria soprattutto per quelle figure professionali per le quali la legge prevede il conseguimento di particolari idoneità e formazione, «patenti» (direttori e supervisori d'impianto, operatori, eccetera) o particolare specializzazione (radioprotezionisti).
Le suddette cruciali esigenze di risorse umane rendono necessario un immediato e imponente programma di formazione del personale.
PRESIDENTE. La ringrazio, professor Rubbia, per le informazioni rese e la documentazione consegnata.
CARLO RUBBIA, Commissario straordinario per l'ENEA. La mia presentazione odierna è collegata a quella che riceverete dal generale Jean, il quale, essendo l'operatore prescelto per la messa in sicurezza delle centrali, potrà fornire anche il suo punto di vista su tale questione.
Considero le mie affermazioni di oggi una premessa a quello che, poi, la SOGIN dovrà riferirvi, nel senso che si sta materializzando una transizione ENEA-SOGIN e, forse, l'insieme delle due presentazioni darà un'immagine completa.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre domande o formulare richieste di chiarimento.
DONATO PIGLIONICA. Ovviamente, lei, professor Rubbia, ha fornito il punto di vista dello scienziato e ciò riporta le questioni in una dimensione più accettabile. Nell'ultimo passaggio della sua relazione lei ha sottolineato uno dei rischi più volte evidenziati nel corso di queste audizioni, cioè la perdita per il nostro paese di competenze professionali in questo campo - perché, ovviamente, non avendo più le «palestre», manca il luogo della formazione che rischierebbe di essere solo teorica - e, addirittura, pone l'esigenza di un trasferimento di know-how e di competenze da chi oggi le detiene.
Veniva riferito che l'età media dei soggetti che si occupano di tali questioni è diventata di 54 anni. Può suggerirci un metodo e può dirci se esiste la possibilità di mantenere una quota di attività nel campo della ricerca del nucleare, anche perché siamo tra quelli che portano denaro ai programmi europei nel settore del nucleare senza riceverli di ritorno, perché la scelta di un'esclusione totale del nucleare ci escluderebbe da tutto ciò?
In secondo luogo, non voglio tornare sulla delicata e tutto sommato benevola polemica del ministro Matteoli con l'ENEA, ma ancora oggi torna la competenza tecnica di tale ente, non certo quella politica perché non si poteva chiederle di indicare i siti.
Nel lavoro svolto dall'ENEA le isole sono prioritariamente escluse dalla potenziale identificazione di un sito nazionale. Quali sono le motivazioni dell'esclusione a priori di un 20 per cento del territorio nazionale da siti potenzialmente identificabili? Inoltre, non ritiene che sia anche da rivedere il lavoro svolto dall'ENEA, che oggi rischia di essere già datato per il sopravvenire di condizioni nuove?
Faccio un semplice esempio. L'area del Molise ha subito un recentissimo e drammatico fenomeno sismico che non era registrato nelle carte sismiche che avete utilizzato, per cui nel vostro piano risultano molti siti identificati nel Molise, dove, invece, oggi una rivisitazione della vostra mappa porrebbe nuovi elementi in questo settore di criticità e, quindi, di esclusione. In alcune aree - come quella della Murgia, che pure era un sito che per molti versi si predisponeva in maniera quasi perfetta - sono stati introdotti dei vincoli ambientali che ritenete motivo di esclusione dai siti potenzialmente identificati; anche la Maremma, altro sito potenzialmente identificato, presenta dei nuovi vincoli ambientali, legislativamente posti, che pongono elementi di criticità nell'identificazione di tali siti.
Le chiedo se non ritenga necessario un aggiornamento di quel lavoro da parte dell'ENEA perché due o tre anni non sembrano un tempo lunghissimo ma possono cambiare le condizioni di valutazione. Infine, può chiarirci quali sono i rischi che oggi corriamo con gli attuali depositi di materiali che non sono stati progettati per essere siti di stoccaggio?
CARLO RUBBIA, Commissario straordinario dell'ENEA. Il problema delle perdite di competenze è molto grave e lei ha giustamente indicato che il rifiuto del nucleare ha anche creato un conseguente rifiuto da parte dei giovani ad intraprendere questo tipo di carriera. Le conoscenze che abbiamo oggi sono molto limitate e sono concentrate nell'ENEA. Gli altri enti di ricerca e gli altri operatori hanno una scarsità di attività in questo settore e, quindi, dobbiamo alimentare in maniera costante il sistema di risorse umane. Vorrei qui ricordare l'impossibilità, oggi in vigore per due anni, di assumere personale a tempo indeterminato. È chiaro che i ragazzi non saranno invogliati ad intraprendere una carriera e dedicare la loro vita a risolvere il problema della radioattività - che, è un compito difficile, anche a causa delle possibili esposizioni - se dopo tre anni non trovano lavoro sul mercato.
Quindi, è fondamentale che le ragioni di sicurezza, che nella legge finanziaria hanno giustificato la possibilità di assumere personale per le forze dell'ordine, si estendano anche al settore nucleare. Per quanto riguarda l'ENEA, abbiamo continuato l'attività del nucleare al suo interno ed, in particolare, l'abbiamo concentrata sulla questione dell'eliminazione dei rifiuti, lavorando principalmente sulla parte più difficile e più preoccupante, cioè quella del combustibile nucleare usato.
In questo campo, abbiamo un programma scientifico denominato TRADE, che svolgiamo in collaborazione con altre importanti organizzazioni e che ha trovato un enorme sostegno di carattere internazionale. Il suo costo stimato è di 60 milioni di euro: gli Stati Uniti e la Francia parteciperanno con 10 milioni di euro, l'Unione europea prevede per le attività in questo settore 10 milioni di euro, la Germania parteciperà con 7-8 milioni di euro e anche il Giappone sta per entrare in questa collaborazione. Questo programma verrà svolto in Italia con la maggior parte dei finanziamenti provenienti dall'estero e con il personale che lavorerà nel nostro centro della Casaccia: quindi, con un progetto di innovazione riusciamo a portare in Italia le migliori competenze, in questo settore, dei migliori paesi del mondo.
PRESIDENTE. Speriamo di trovare in Italia altre competenze per poter continuare questo tipo di attività.
CARLO RUBBIA, Commissario straordinario dell'ENEA. Non è questo il problema. Le competenze potremmo averle, ma sussiste il problema di poter sviluppare delle carriere in questo settore per carenza di investimenti.
PRESIDENTE. La mia preoccupazione è che non ci saranno più ingegneri nucleari.
CARLO RUBBIA, Commissario straordinario dell'ENEA. La ricerca e lo sviluppo
possono essere un ottimo meccanismo per mantenere vivo questo tipo di attività. Un altro nostro programma di ricerca e sviluppo è rivolto alle applicazioni mediche.
Le conoscenze che possediamo sulla radioattività possono infatti essere impiegate anche per lo studio della terapia e diagnostica del cancro. Abbiamo poi diretto un grande sforzo verso l'innovazione tecnologica per migliorare il trattamento dei rifiuti radioattivi. Questi tipi di attività creano entusiasmi, conoscenze, massa critica. Noi vediamo questo processo come una dinamica catalizzatrice per originare quel tipo di professionalità di cui avremo bisogno; stiamo facendo del nostro meglio in questo campo.
Per quanto riguarda la questione dei siti, a proposito del possibile deposito nelle isole, la risposta è semplice. Vi è il problema fondamentale del trasporto; quando occorre trasportare per mare una gran quantità di queste sostanze possono infatti porsi dei problemi. L'altro motivo che osteggia la soluzione da lei prospettata, è il fatto che la vicinanza con il mare di tali eventuali siti costituisce un rischio, in quanto possibile veicolo per diffondere le sostanze pericolose. Oggi si preferisce reperire una struttura profonda, stabile, solida, che possa garantire la sicurezza geologica, anche in tempi molto lunghi. Le isole, evidentemente sempre esposte al mare, che sono inoltre spesso anche zone sismiche, sembrano pertanto inutilizzabili ai nostri scopi. Si è parlato di fare qualcosa di questo genere a livello internazionale; esistono dei progetti futuristici di trovare un'isola, condannandola a divenire deposito di questi materiali, ma nel nostro caso questo non sembrava possibile.
Per quanto riguarda poi l'esigenza di rivedere il lavoro dell'ENEA sui siti, rispondo che lei ha ragione. Ho peraltro sottolineato che oggi i problemi della sicurezza hanno cambiato completamente il sistema. Questo è già un motivo sufficientemente importante per intervenire. Priorità e scelte devono essere compiute pensando anche alla eventualità del pazzo criminale che decida di suicidarsi o produrre la «bomba sporca».
Per quanto riguarda la localizzazione dei siti vorrei ricordare che il nostro studio è cominciato nel 1996, concludendosi nel 1999, per poi passare alla conferenza Stato-Regioni. Ebbene, il nostro allegato 4, appunto relativo ai siti, non è stato inserito nel rapporto finale della Conferenza, è stato scartato. Quindi è chiaro che si tratta di un lavoro appena iniziato, da riprendere con grande urgenza, starà poi al Governo decidere quale operatore dovrà attuare il programma, per quanto ci riguarda siamo pronti a tirarci su le maniche e fornire il nostro contributo. Sono d'accordo con lei che la scelta non sia ancora completa. La via intrapresa ci ha permesso di ridurre all'incirca all'1 per cento della superficie del nostro paese le zone ancora passibili di divenire siti di deposito, ed è chiaro che in rapporto a tutto il territorio nazionale, questo è un valore rilevante.
Ci si deve anche rendere conto che queste scelte non possono costituire un teorema matematico; non possiamo trovare il posto migliore nel senso che le variabili in questione sono molteplici ed esse condizionano la decisione definitiva. La scelta fondamentale è la volontà locale, della regione, del sistema sociale di accettare gli interventi. Se volessimo, per assurdo, i rifiuti potrebbero essere anche depositati sulla luna: è chiaro però che questo richiederebbe una cifra esorbitante. Non è soltanto con una scelta tecnica che possiamo risolvere il problema, però, a mio parere, dobbiamo inserire in questo discorso anche la questione della sicurezza, stiamo parlando dello smaltimento di tutte le sostanze radioattive del nostro paese: ciò dovrebbe costituire ragione ulteriore perché qualcuno sia chiamato ad intervenire in materia. Il problema della sicurezza in questi temini è una novità, se lei vuole, che non esisteva nel passato ed esercita un'influenza sui tempi e sulla necessità di trovare una soluzione con le conseguenze che lei può immaginare. Comunque, la nostra è una disponibilità completa.
Siamo d'accordo poi sulle esigenze di aggiornamento; per quanto riguarda invece i rischi dei siti, come ho detto, non ci sono
ragioni di grave preoccupazione, però non vi è dubbio che oggi il nostro sistema pone in atto tutti gli sforzi necessari per rispondere alla questione di sicurezza in caso di atti terroristici. Sotto tale aspetto ritengo sia molto importante svolgere un'azione di rafforzamento della sicurezza delle sostanze radioattive per quanto riguarda gli interventi di difesa civile. Siamo di fronte ad una situazione sinora imprevista e che stiamo valutando. A lungo andare, in ogni caso, questo problema non sarà soltanto dell'esercente, dell'ENEA, ma del paese intero, della sicurezza, del sistema di difesa nazionale. Non possiamo da soli intervenire in materia; manca tra le nostre competenze quella di verificare l'identità di soggetti che intendessero avvicinarsi, ad esempio, al sito di Saluggia, non avendo alcuna possibilità di chiedere i documenti. Occorre dunque per davvero una fortissima collaborazione con le autorità preposte ad intervenire. Ritengo che in questo caso andrebbe svolto uno studio molto accurato per verificare quali siano le misure da adottare, che certamente costeranno molte risorse umane e finanziarie.
ROBERTO ROSSO. Ringrazio innanzitutto il professor Rubbia della relazione e dei suggerimenti ivi contenuti, i quali potranno essere utilmente recuperati nel disegno di legge Marzano per la ridefinizione del sistema energetico nazionale. In particolare, mi riferisco alla possibilità per la SOGIN di divenire collettore di tutte le istanze.
CARLO RUBBIA, Commissario straordinario dell'ENEA. Questo tipo di questioni vorrei lasciarle al professor Jean, presidente della SOGIN.
ROBERTO ROSSO. Sta bene. Vengo dunque alle tre domande che intendo porle. Innanzitutto lei ha parlato spesso di clearance, quindi di trasparenza, sembrerebbe però profilarsi un problema. La mappa originaria di identificazione delle aree favorevoli, allo stato attuale, risulterebbe ulteriormente ristretta, passando da oltre 200 siti a circa 33. Ricordo pure che la precedente gestione SOGIN ha creato un vero e proprio panico nelle zone di insediamento attuale dei siti radioattivi. Nella sua relazione si parla di un problema di sicurezza derivante dai fatti dell'11 settembre, mentre si esclude l'esistenza di un problema di messa in sicurezza dei siti attuali. Se Trino si trova effettivamente in questa condizione per il sito di Saluggia il caso è diverso, e non soltanto perché in passato fu attraversato dalle acque, nell'alluvione del 2000; la situazione era alquanto critica, era accaduto qualcosa di pericoloso, il fiume era penetrato nel sito causando la dispersione - come lei saprà - di numerose scorie radioattive depositate, con fatti documentati persino da una trasmissione di Raitre, e da alcune pagine de L'espresso, mentre addirittura l'ARPA regionale rilevava tracce di radioattività intensa fuori del sito, anche se non così pericolosa ai fini della mortalità o dell'incremento di tumore.
Per ora, essendo la situazione di pericolosità dell'attuale sito di Saluggia rilevata e confermata anche dagli esperti ex ENEA, ed ex responsabili del sito di Saluggia stesso, nonché ex responsabili nazionali di questo tipo di produzioni, anche in ragione della mancanza persistente di una modalità adeguata di messa in sicurezza di quel materiale, particolarmente quello liquido, ritengo sia importante segnalare l'esigenza di arrivare quanto prima alla definizione di un deposito nazionale, come lei sottolineava. Condivido la sua affermazione in proposito. Non ha infatti carattere alternativo la scelta di mettere in sicurezza quei luoghi. Ripeto: la SOGIN è arrivata a creare panico nella popolazione, dicendo che chiunque avesse prodotto rifiuti si sarebbe tenuto anche le scorie, pur se in luoghi esposti alle inondazioni, come sono evidentemente Trino e Saluggia, entrambi colpiti dalle alluvioni. Questo ha creato timore nella popolazione, parallelamente allo svolgimento di due anni di indagini e alla diffusione di notizie allarmanti sulla stampa locale, oltreché manifestazioni di migliaia di cittadini preoccupati della sicurezza nei luoghi.
Allora, senza neppure esigere che da subito la «clearance» implichi rivelare
quali siano i 33 siti, ritengo essenziale almeno escludere tra questi quelli in cui la popolazione teme possano invece essere collocati i rifiuti proprio in ragione di esigenze di sicurezza. Almeno questo dovrebbe essere fatto perché renderebbe più serena la convivenza con quella che deve essere un'eredità non permanente, in base alla programmazione che lo stesso ENEA fa.
Quindi se fosse possibile - attesa la verità delle informazioni in mio possesso sui 33 siti, ed escludendo Trino, Saluggia e altre realtà analoghe - almeno confermare che questi non potranno essere, alla luce delle analisi dell'ENEA, sede del deposito nazionale di stoccaggio, risulterebbe utile per l'ENEA, per la SOGIN per l'amministrazione locale e la popolazione.
Chiedo inoltre un chiarimento sul piano per il conferimento di tutti i materiali condizionati al deposito nazionale. Potrebbe darmi delucidazioni in merito?
VALTER ZANETTA. Ringrazio la Commissione che ha avviato l'indagine conoscitiva in un momento, come ha detto l'onorevole Rosso, in cui nella X Commissione si discute l'importante articolo 27 del disegno di legge in materia energetica riguardante la definizione del sito nazionale. Durante l'audizione con il professor Jean nella X Commissione, sono emersi alcuni rilievi che saranno recepiti in emendamenti da presentare all'articolo 27 al fine di abbreviare la scadenza del 2010, un traguardo troppo distante.
È vero che occorrono i tempi burocratici, ma è nostra competenza ridurli al minimo, attraverso meccanismi che favoriscano la definizione del sito, in particolare per mezzo di incentivi alla regione ed al comune nel cui territorio sarà individuato il sito (è esperienza di tutti, infatti, che a fronte di un incentivo spesso si riesce a risolvere il problema). Il Parlamento ha varato la legge obiettivo per giungere allo snellimento delle procedure concernenti le opere più importanti, e questa è un'opera straordinariamente importante e meritevole di attenzione.
Mi sembra, paradossalmente, che oggi sia più difficile sistemare i rifiuti che costruire una ipotetica e non più fattibile centrale, anche perché penso che all'estero sia maturata un'esperienza sufficiente. È necessario accorciare i tempi.
TOMMASO FOTI. Per quanto riguarda il fatto che i siti su cui sono state costruite le centrali nucleari non siano tra quelli indicati dall'ENEA, è sufficiente scorrere la lista dei 200 siti individuati dall'Ente e vedere che essi non sono stati considerati. Come è stato ribadito nelle precedenti audizioni, non è in questo modo che si risolve il problema, dato che l'individuazione del sito produrrà comunque timori presso la popolazione nel cui territorio esso sarà installato. Il problema è più serio e generale e deve essere affrontato come ha fatto il professor Rubbia, affermando che, laddove sarà creato il deposito per i rifiuti nucleari, non si provoca un danno ambientale. Se non usciremo da questo equivoco, nessuna Conferenza Stato-Regioni potrà risolvere la situazione.
L'onorevole Zanetta ha giustamente ricordato che nella X Commissione si sta esaminando il disegno di legge Marzano. Ho già ribadito, in quella sede, che la competenza sull'articolo in questione è della VIII Commissione, tanto da essere tentato di proporre lo stralcio dell'articolo.
Ciò che mi spaventa di più è che si continuino a prendere in considerazione ipotesi sul gestore del sito, sul progettista, quando vi è ancora estrema confusione su chi debba individuare il sito stesso. Alcuni soggetti - l'APAT, l'ENEA ed i Ministeri - dovrebbero agire in modo coordinato, considerando il problema non soltanto dal punto di vista legislativo, perché la migliore delle norme non potrà risolvere il problema del coordinamento, fino ad oggi assente; il nucleare è «finito» ormai da diversi anni. Al riguardo vorrei aggiungere che le centrali nucleari sono ancora «accese» ed è costoso tenerle in questo stato;
si impiegano risorse che potrebbero essere invece destinate alle ricerche del professor Rubbia.
Le chiederei, professore, di fornirci, anche attraverso una memoria aggiuntiva, considerazioni riguardanti l'articolo 27. Se il Parlamento continuerà a legiferare senza cognizioni sufficienti su una materia in cui gli organi scientifici non possono essere disgiunti da quelli politici, non si risolverà la questione. I comitati che si formano a livello locale non si affrontano inviando i celerini, e un discorso serio sul territorio si può fare solo se si hanno le idee chiare. Se anche gli enti con valenze scientifiche agiscono in modo non coordinato, si generano soltanto dubbi.
Per quanto riguarda la «lotteria» dei 30 siti, ad esempio, è preferibile rendere noto quali siano, dato che all'individuazione di uno o due siti (è stata prevista anche la possibilità di individuare un deposito nazionale ed un sito geologico) si dovrà pur giungere. Ricordo che alla vigilia della campagna elettorale del 2001, Libero pubblicò un articolo sostenendo che i siti fossero sette. Non so chi abbia fornito tale informazione, ma mi accorgo che a distanza di qualche mese si è passato da una lista di 200 siti ad un numero di 30 e non vorrei che in qualche documento «molto riservato» (a tal punto che la sua esistenza è stata presa in considerazione nell'articolo pubblicato un anno e mezzo fa) siano già stati presi in considerazione sette siti. Sarebbe preferibile giocare a carte scoperte e rendere esplicito il numero reale: il Governo deve governare ed il Parlamento deve legiferare.
Non intendo difendere il ministro Matteoli soltanto perché appartiene alla mia formazione politica, ma reputo grave che l'onorevole Rosso abbia oggi preso in considerazione nel suo intervento un elenco di 30 siti quando il ministro, fino a poco tempo fa, prendeva ancora in considerazione la lista dei 200 siti.
PRESIDENTE. Per quanto riguarda il disegno di legge in materia di energia, la parte di competenza della VIII Commissione prevede che essa fornisca un parere rinforzato che, quindi, non potrà in alcun modo essere ignorato dalla X Commissione.
MICHELE VIANELLO. Colgo l'occasione per affermare che, al di là del parere rinforzato, se non saremo d'accordo sulla soluzione adottata, sarà possibile raggiungere, con un'opinione comune tra i diversi gruppi della Commissione, una soluzione per emendare l'articolo 27.
Detto ciò, capisco, professor Rubbia, che il ragionamento sia totalmente incentrato sulla determinazione del sito per lo smaltimento dei residui nucleari, ma non reputo positiva la scarsa attenzione dedicata - anche se il collega Foti ora vi accennava - al processo di conversione dei siti in cui si produceva energia nucleare.
Nel momento in cui si decide che il nucleare non è più, per così dire, nei nostri orizzonti, è chiaro che si deve iniziare un processo di bonifica ambientale e di riconversione di quei siti, che non penso abbia implicazioni, dal punto di vista delle tecnologie, della accortezza e della sensibilità delle scorie. Ci troviamo in presenza di parti di territorio che, potenzialmente, se non gestite, possono diventare a loro volta, per così dire, potenziali bombe innescate. Penso che questo dovrebbe essere un terreno sul quale prestare la dovuta attenzione. Siamo tutti concentrati sul sito in cui si smaltiscono le scorie; ma il problema dei «bussolotti» (secondo un'espressione delle mie parti) come lo affrontiamo?
PRESIDENTE. Ritengo doveroso - non avendolo fatto in precedenza - ringraziare per la sua partecipazione il professor Rubbia, che invito a formulare le risposte ai quesiti posti.
CARLO RUBBIA, Commissario straordinario dell'ENEA. Vorrei cercare di effettuare una sintesi di tutto quanto è stato affermato e fornire una risposta all'insieme delle osservazioni.
Innanzitutto, sono d'accordo con voi sulla considerazione relativa ai tempi, di cui si parla, per arrivare a chiudere la questione
del sito nazionale, anche tenendo conto di quanto avviene in altri paesi, nei quali le cose vanno in maniera molto più spedita. Ritengo si dovrebbe compiere uno sforzo per aumentare la velocità. I numeri che vi ho fornito sono quelli canonici, ufficiali, riportati dappertutto. Se mi domandate se tali numeri mi stiano bene, anche alla luce della questione della sicurezza, l'affermazione secondo la quale dobbiamo aspettare fino al 2010 per mettere tutto in sicurezza potrebbe avere gravi conseguenze. Da questo punto di vista, sono convinto che sia necessaria una revisione, per quanto possibile, per introdurre una procedura d'urgenza, di emergenza, che ci permetta di arrivare in fondo in tempi rapidi. Ho citato l'importante esempio della difesa idraulica di Saluggia. Quando sono arrivato all'ENEA, mi sono reso conto della vicinanza del sito ad un fiume - non più di 20 metri - e potete immaginare la mia reazione: una situazione assolutamente ridicola. Nonostante una serie molto grande di difficoltà e di «viscosità» del sistema, abbiamo affrontato con decisione il problema, abbiamo convocato una conferenza di servizi, ci siamo rivolti direttamente al Ministero dell'interno e siamo riusciti, in meno di un anno, a costruire una difesa idraulica che ci dia una garanzia maggiore. Ci sono mezzi, quale la conferenza di servizi, che sono esempi di come si possano accelerare le tappe, con successo, come nel caso della difesa idraulica.
L'onorevole Rosso ha perfettamente ragione quando afferma che non è Saluggia il luogo ideale in cui depositare definitivamente le sostanze radioattive, cosa che peraltro non è certo prevista. Tuttavia, vorrei ricordare che la quantità di rifiuti che abbiamo in tale sito è pari ad un millesimo di quella che hanno i tedeschi, in base al loro programma. In realtà, ne abbiamo una quantità modesta rispetto a quella di altri paesi. Non mi sembra che Der Spiegel pubblichi articoli, come quelli dell'Espresso, sulla quantità di radiazioni. Anche questo è un commento. Dobbiamo trovare una soluzione corretta per Saluggia e credo che non si possa realizzare nei famosi cinque anni del termine previsto per la prescrizione. Tutti lo sanno. Se lo desidera, onorevole Rosso, sono a sua disposizione per illustrarle più in dettaglio il problema. La realizzazione deve avvenire nei tempi più brevi possibili, secondo una tempistica realistica. Tuttavia, la complessità di tale tempistica dipende dal fatto che c'è un processo autorizzativo, con tempi lunghissimi. Quando si presenta una proposta, deve essere esaminata dall'APAT, è necessario convocare le varie conferenze e così via. Dipende dalla farraginosità del sistema italiano se le cose non vanno a quella velocità che lei auspica.Vorrei sottolineare l'importanza di un buon coordinamento tra le varie organizzazioni responsabili dal punto di vista tecnico e dal punto di vista parlamentare, come da voi ricordato. Credo che dovremmo compiere uno sforzo per aumentare questo coordinamento.
Per quanto riguarda noi, abbiamo recentemente svolto una discussione con il generale Jean, con il quale ci incontriamo con frequenza. Di comune accordo, abbiamo amplificato i rapporti tra SOGIN ed ENEA, per arrivare ad una soluzione di questo complesso problema. Come voi affermate, giustamente, le caratteristiche di un sito non sono quelle di una centrale; perciò, è chiaro che le centrali non possano essere ridotte a dei cimiteri. È evidente che le caratteristiche dei siti utilizzati per generare energia elettrica, che richiedono l'accessibilità delle persone al posto di lavoro, non sono quelle di un deposito di questo genere. Quindi, questa ortogonalità tra i due sistemi, che è stata sottolineata, è perfettamente vera.
Quanto alle considerazioni relative ai 30 siti, si tratta di un lavoro ancora in evoluzione. All'ENEA vi sono persone che lavorano per studiare ulteriormente le caratteristiche, i parametri ecc. ma è chiaro che ci dovrà essere una operazione ufficiale. Quello che lei menziona, onorevole Rosso, è qualcosa che lei ha acquisito parlando forse informalmente con degli addetti ai lavori, ma non è certamente una posizione ufficiale dell'ENEA, né certamente si tratta di un lavoro definitivo. Tuttavia, teniamo presente che non arriveremo
all'identificazione di un solo sito e ci sarà sempre un problema di do ut des, in una operazione nella quale non abbiamo l'autorità né la volontà di entrare.
Un altro tema che vorrei sottolineare è quello dell'importanza di una buona informazione, senza allarmismi e tendenziosità. Recentemente - sapete come sono i giornalisti - sono stati realizzati alcuni servizi giornalistici - che anche voi recepite, del resto - a mio parere davvero lontani dalla realtà dei fatti. Insisto sull'importanza di avere una informazione corretta e la calma necessaria per risolvere questo tipo di problemi evitando ogni scoop. Penso che il cittadino avrebbe diritto ad una informazione meno tendenziosa e meno allarmistica evitando certi eccessi del passato, che non giovano né al cittadino né a coloro che, al servizio del cittadino, cercano di risolvere una situazione che, tra l'altro, non hanno creato: ricordiamo, infatti, che il deposito di Saluggia ha 30 anni di età. A questo proposito, è stato affermato che i recipienti erano vecchi. Abbiamo effettuato un'analisi, al massimo livello internazionale, e redatto un rapporto di cui, vorrei lasciare una copia alla Commissione, convocando alcuni tra i più grandi esperti mondiali - tre francesi, uno svedese, un italiano e un tedesco - per verificare la situazione del sistema di Saluggia. Questi esperti affermano che effettivamente la situazione dei recipienti è corretta, cioè che questi ultimi sono in condizioni perfettamente adeguate. Non solo: abbiamo un altro recipiente di riserva e, nel caso ci fosse un problema con uno di quelli in uso, possiamo trasferire il liquido altrove. Questo problema della vetustà dei recipienti che, in futuro, dovranno arrestarsi, è stato affrontato ed abbiamo verificato che, effettivamente, le superfici e le pareti, in esame, sono risultate in perfetto stato di funzionamento. Non lo abbiamo fatto noi ma abbiamo chiamato alcuni tra i massimi esperti mondiali in questo campo che sono venuti ed hanno controllato.
ROBERTO ROSSO. Anche riguardo alla qualità della piscina per i liquidi?
CARLO RUBBIA, Commissario straordinario dell'ENEA. Certamente. Ho ritenuto opportuno rivolgermi ai migliori esperti a livello mondiale: si è cercato di arrivare ad una definizione corretta della situazione facendo ricorso alle migliori competenze disponibili.
FRANCESCO TROIANI, Direttore dell'unità RAD dell'ENEA. Quanto affermato in precedenza sulle perdite di materiale radioattivo non corrisponde pienamente alla realtà. Durante l'alluvione del 2000 il centro ENEA di Saluggia è stato appena lambito dall'acqua, mentre quello che si è allagato è il centro della SORIN; noi quindi non abbiamo registrato nessuna perdita di materiale radioattivo. Mi permetto però di difendere la SORIN; la perdita di materiale che ha subito quest'ultima riguardava in realtà sostanze in attesa di decadimento rientranti nella prima categoria (a smaltimento convenzionale) e pertanto la perdita è stata bassissima. Il problema della radioattività è che questa è misurabile a livelli talmente bassi che è stato possibile rilevare anche il livello bassissimo di quel particolare caso. L'indagine conoscitiva però, anche della procura, come ben sapete, si è conclusa sostanzialmente con un nulla di fatto. Ed in ogni caso ciò non ha riguardato l'ENEA.
PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 14,40.
![]() |