Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 11,55.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul calcio professionistico, l'audizione del presidente della Commissione d'appello federale e del presidente della Corte federale della FIGC e di rappresentanti della Covisoc e della Coavisoc.
Ringrazio i nostri ospiti per aver accolto l'invito della Commissione. Come sapete, l'oggetto dell'indagine conoscitiva in corso, le sue finalità, così come il senso stesso delle previste audizioni, riflettono il tentativo di delineare un panorama che sia il più completo possibile sulle opinioni esistenti intorno ad uno sport tanto popolare da un lato, ma anche così attraversato da disagio e malessere.
Con l'indagine in corso si mira a capire in quale modo il Parlamento, nell'esercizio della funzione legislativa, possa intervenire in questo settore per aiutare la ripresa e il superamento delle varie situazioni di crisi.
Do ora la parola al presidente della Coavisoc, professor Alberto Santa Maria.
ALBERTO SANTA MARIA, Presidente della Coavisoc. Pur essendo il presidente della Coavisoc, la Commissione d'appello di secondo grado per l'ammissione delle squadre di calcio all'UEFA, sono stato nominato solo da una ventina di giorni e, quindi, poco potrei dirvi sul tema. Desidero, invece, intervenire (pur senza entrare troppo nel merito degli aspetti tecnici, che in questa sede sono irrilevanti) sulla problematica degli aiuti di Stato, che ho seguito sia per incarico della Lega nazionale, sia come coordinatore dei vari ministeri coinvolti, su richiesta della segreteria della Presidenza del Consiglio dei ministri e, in particolare, del dottor Letta. Questo tema ha sollevato, in parallelo, contestazioni da parte del commissario preposto al mercato interno, Bolkestein (così, mentre il primo problema è sostanzialmente superato, il secondo è tuttora pendente).
Per studiare la difesa della posizione italiana, siamo andati a vedere che cosa accade all'estero. Innanzitutto, abbiamo verificato come mai si sia arrivati alla situazione attuale nel nostro paese e come tutto questo abbia o meno un riflesso in situazioni analoghe all'estero. Ci siamo, insomma, chiesti che cosa sia stato fatto all'estero e nell'Unione europea per superare l'eventuale momento di difficoltà. Il problema è generale e nasce con la sentenza Bosman del 15 dicembre 1995, emanata dalla Corte di giustizia delle Comunità
europee, che ha portato ad una rivoluzione nel campo dello sport professionistico equiparando lo sportivo (nel nostro caso, il giocatore di calcio) ad un lavoratore dipendente, con tutte le conseguenze relative.
Si pensi alle conseguenze economiche del trattamento giuridico attinente alla posizione del lavoratore dipendente rispetto a colui che era sempre stato considerato, sotto il profilo normativo, un lavoratore autonomo. Non solo, ma questa sentenza ha fatto cadere tutta la struttura dell'impostazione bilancistica delle società sportive professionistiche, in particolare delle società di calcio. Vi era una certa indennità di preparazione e promozione, che era relativa a ciascun giocatore, riportata in bilancio e ammortizzata in tre anni. Questa indennità costituiva un pagamento dovuto da parte della squadra che subentrava quando veniva venduto il cartellino. Venendo meno questo discorso ed entrando, invece, nell'ottica di un lavoratore dipendente, si è determinato un disastro su tutti i bilanci.
Noi - mi riferisco al mio studio, che mi ha aiutato su queste tematiche - abbiamo condotto un'analisi molto attenta ed abbiamo visto che, mentre nella stagione precedente alla sentenza Bosman, cioè nel 1994-1995, tutti i club di serie A avevano un bilancio in attivo (oggi sembra una cosa incredibile), il bilancio della stagione immediatamente successiva alla sentenza Bosman, cioè al 30 giugno 1996, vedeva soltanto cinque club su diciotto dell'intera serie A con un utile di bilancio: tutti gli altri erano in perdita! Quindi, non c'è dubbio che la fase di cambiamento del sistema è stata questa.
Inoltre, si è verificato un fatto aggravante: mentre sembrava che i diritti televisivi, unitamente a quelli derivanti dalle scommesse (nel caso italiano, derivanti dal Totocalcio), dovessero ampiamente compensare la problematica Bosman, il passaggio dalla televisione in chiaro a quella a circuito chiuso ha portato ad un calo fortissimo di entrate.
Vi faccio un esempio molto semplice e reale. Avendo le varie squadre della serie A prospettive di entrate notevolissime per i proventi dei diritti televisivi, era stata fatta una sorta di promessa mutualistica alle società di serie B, per cui le società di serie A si impegnavano a dare un contributo di circa 200 miliardi a favore di queste ultime. L'anno scorso è stata l'ultima volta che questo contributo è stato versato. Se infatti avessero dovuto versarlo quest'anno, il contributo sarebbe stato addirittura superiore all'entrata complessiva di tutte le società di serie A!
GIOVANNI LOLLI. Mi scusi, ma lei è sicuro di quello che sta dicendo?
ALBERTO SANTA MARIA, Presidente della Coavisoc. Sicurissimo!
GIOVANNI LOLLI. Se ho ben capito, il costo della solidarietà alla serie B è di 200 miliardi di vecchie lire. Lei ci sta dicendo che l'intero ammontare dei diritti televisivi in chiaro e in criptato è meno di 200 miliardi? Non so da dove lei prenda questi dati. Oggi lei ci sta dando formalmente la notizia che in Italia le società di serie A ricavano dai diritti televisivi chiari e criptati meno di 200 miliardi di vecchie lire l'anno, tutte insieme! Ho capito bene?
ALBERTO SANTA MARIA, Presidente della Coavisoc. Questo è quanto ci è stato detto e si tratta di dati che non ho avuto modo di controllare, visto che non faccio l'avvocato.
GIOVANNI LOLLI. Le assicuro che si tratta di un ordine di grandezza diverso. Lei ha notizie inesatte in merito all'ordine di grandezza di cui parliamo! Solo la Juventus prende più di 200 miliardi: è una sola società (tanto per farle comprendere di che cosa stiamo parlando). Quindi, si immagini se tutta la serie A può trovarsi nella condizione che lei ci riferisce!
PRESIDENTE. Onorevole Lolli, la ringraziamo per la sua obiezione. Consentiamo al presidente Santa Maria di continuare la sua esposizione.
GIOVANNI LOLLI. Mi scusi, ma non riesco a non essere stupefatto!
ALBERTO SANTA MARIA, Presidente della Coavisoc. Mi dispiace molto, ma è un dato che ci è stato riferito.
GIOVANNI LOLLI. Siete voi che dovreste controllare. Vi sfugge un dato importante!
PRESIDENTE. Onorevole Lolli, questa non è un'interlocuzione personale. Lei ha sollevato la sua obiezione, ma ora permetta al presidente della Coavisoc di rispondere!
ALBERTO SANTA MARIA, Presidente della Coavisoc. Discorso analogo, a quanto mi è stato riferito, è relativo ai proventi del Totocalcio, che sono notevolmente diminuiti negli ultimi anni, anche in funzione dell'entrata di concorrenti inglesi, sempre nell'ambito della libera circolazione e della libera prestazione dei servizi.
In questo clima è stato ribadito in sede comunitaria, durante il vertice di Nizza del dicembre 2000, che lo sport è un fenomeno con funzioni socio-culturali educative importantissime, che vanno pertanto tutelate. In particolare, è stata sottolineata l'importanza della tutela e della valorizzazione dell'attività calcistica giovanile, anche dilettantistica, con lo scopo di contrastare fenomeni di violenza all'interno e all'esterno degli stadi.
Le soluzioni strutturali individuate negli altri paesi sono di diverso tipo. Esistono soluzioni una tantum, come quella escogitata dal comune di Madrid, che, insieme a terzi, ha acquistato terreni limitrofi allo stadio Bernabeu di proprietà del Real Madrid, prima destinati a verde pubblico e successivamente ad abitazioni private. Vi sono state interrogazioni parlamentari nei confronti della Commissione europea, perché questa soluzione ha spinto qualcuno ad ipotizzare che si potesse trattare di aiuti di Stato, ma la Commissione non ha ritenuto opportuno aprire il caso. Soltanto recentemente ha chiesto di verificare se una parte di terreni riacquistati dal comune di Madrid fossero stati pagati a valori normali.
Vi sono poi casi come quello del Borussia Dortmund, che ha utilizzato per anni una legge che favorisce il lavoro notturno a squadre per gli operai più bisognosi per evitare di pagare i contributi ed ottenere agevolazioni fiscali, sostenendo di svolgere un lavoro notturno a squadre quando aveva partite serali.
Credo che possa interessare di più ciò che è stato realizzato negli altri paesi in maniera strutturale. Ad esempio, in Francia è stata recentemente applicata l'ipotesi riguardante l'aiuto con particolare valore sociale attraverso leggi integrate modificate anche di recente, che prevedono consistenti aiuti per le società professionistiche e non, purché svolgano un'attività di tipo educativo di integrazione e di coesione sociale, formando dei centri per la preparazione dei giovani calciatori. Questo tipo di attività, che nel sistema italiano è retto direttamente dalle varie squadre professionistiche a proprie spese, è stato finanziato integralmente dallo Stato francese, con conseguenze di una qualche rilevanza, perché mentre fino alla metà degli anni novanta il numero complessivo dei giocatori francesi inseriti in formazioni straniere non raggiungeva la trentina, attualmente oltre cento calciatori francesi giocano in campionati esteri.
Il discorso più interessante riguarda la Gran Bretagna, in particolare l'Inghilterra, dove a seguito dei numerosi incidenti verificatisi negli stadi inglesi il Governo ha commissionato al Lord Chief Justice, Taylor, la ricerca delle cause che avevano portato a questa degenerazione e del miglior modo per uscirne. Insieme al report di Lord Taylor è stata varata una legge, il Taylor act, che ha proposto una soluzione molto intelligente, seguita negli ultimi dieci anni, che ha prodotto risultati impressionanti. Tutti ricordiamo cosa fossero gli stadi inglesi una decina di anni fa, mentre oggi vediamo in prima fila i bambini. È stata creata una Football Trust dotata di importi molto rilevanti che hanno permesso
ai vari club della Premiere league di acquistare i propri stadi di calcio senza tirare fuori un centesimo e di ristrutturarli integralmente. Oggi all'interno degli stadi vi sono alberghi, ristoranti, supermercati e palestre. Si tratta di veri e propri centri sportivi al chiuso che richiamano, con l'occasione della squadra di calcio, un numero elevato di persone. Ad esempio, nei ricavi del Manchester United dello scorso anno relativi all'Old Trafford, su 80,7 milioni di euro 20,2 derivavano dalla sola attività di ristorazione. Accanto a questi interventi economici sono state previste la schedatura dei tifosi e la fotocopia dei documenti personali, in modo da individuare i tifosi scorretti. Quest'ultimo aspetto, però, non è mai stato attuato, quindi in realtà il piano è stato realizzato soltanto in parte. Oggi il tutto viene gestito da una associazione denominata Football Stadia Improvement Fund Limited, che gestisce fondi molto rilevanti distribuendoli tra le varie squadre di calcio. Questi fondi sono finanziati con somme provenienti da contributi dello Stato (2,3 milioni di sterline), dalla Football association (2,5 milioni), dalla Premiere league (2,5 milioni), da Sport England (9,5 milioni), una sorta di ente statale che gestisce soldi dello Stato, da Sport Scotland (1 milione).
In Spagna è stato tolto dalle tasse il 2,5 per cento delle entrate del totocalcio spagnolo per finanziare un fondo che viene utilizzato per le squadre di calcio. Questo è in sintesi ciò che è stato fatto negli altri paesi.
La soluzione italiana è stata quella praticata attraverso l'articolo 18-bis del decreto n. 282 del 2002, il cosiddetto decreto «spalma-debiti», che non ha comportato alcuna uscita di denaro da parte dello Stato, non rientrando quindi nella categoria degli aiuti di Stato. Non c'era alcun vantaggio fiscale e questo l'abbiamo dimostrato con varie tabelle alla Commissione. Fra l'altro, quest'ultima non aveva considerato l'incidenza dell'IRAP che, nonostante la suddivisione su dieci anni della differenza fra il valore dei calciatori iscritti a bilancio e quello minore verificato successivamente con perizia, ha andamenti crescenti negli anni. Credo che al Governo italiano non sia costato nulla aver rinunciato a togliere l'espressione «fiscale» perché non aveva alcuna conseguenza effettiva.
Il discorso contabile - che riguarda, in particolare, la presunta agevolazione che nascerebbe dal fatto che le squadre di calcio non applicano gli articoli 2446 e 2447 del codice civile in ipotesi di perdita o di riduzione del capitale - non è un aiuto di Stato, ma norme di legge che non esistono in altri paesi della Comunità. La seconda direttiva in materia prevede un trattamento diverso da quello contenuto nel nostro codice in via ordinaria e dispone soltanto l'obbligo di convocare l'assemblea, mentre non trae alcuna conclusione sulle sue decisioni. Abbiamo evidenziato che leggi italiane, che non sono mai state contestate dalla Commissione, derogano a questi principi; inoltre, sul piano generale abbiamo posto un quesito al commissario Bolkestein, cioè se ritenga che un bilancio sia maggiormente veritiero quando tiene conto di situazioni reali - sia pur seguendo strade non particolarmente allineate ai principi contabili e se ciò risulti chiaramente sia dal bilancio sia dalla relazione integrativa - oppure quando, attenendosi a discorsi formali, si mantengono le cose come stanno e non si fa risultare dal bilancio che il patrimonio della società è diminuito per il decremento del valore dei giocatori.
CESARE BISONI, Presidente della Covisoc. La Covisoc è un organismo tecnico di supporto alla Federazione per il controllo economico-finanziario delle società, nel rispetto di quanto previsto dalla legge n. 91 del 1981 - che delega tale controllo alle federazioni al solo scopo di garantire il regolare svolgimento dei campionati -, ma in tale ambito ha anche una funzione propositiva nei confronti del presidente e del Consiglio federale.
Per quanto riguarda il controllo economico-finanziario, sostanzialmente effettuiamo due interventi. Il primo riguarda l'esame della documentazione per la verifica dei requisiti per l'iscrizione ai campionati
e questo si esercita normalmente a luglio; inoltre, esiste una continua attività di monitoraggio sulla situazione delle società non correlata a tale iscrizione. La commissione è composta di cinque membri, esiste una segreteria tecnica coordinata dal dottor Maugeri ed abbiamo una cinquantina di ispettori, i quali, di volta in volta, vengono inviati presso le società ad esercitare i controlli economico-finanziari. La commissione si è insediata da poco più di quattro mesi e in questo lasso di tempo ha lavorato a fondo sulla normativa esistente, che era già in discussione presso il Consiglio federale, ed ha svolto una funzione di consulenza sulla nuova normativa, che è stata varata dal Consiglio federale del 17 marzo e che è abbastanza innovativa rispetto a quella precedente. La segreteria tecnica e la commissione stanno lavorando ad un nuovo piano dei conti per le società di calcio professionistiche, che contiamo di varare in tempi relativamente brevi. Abbiamo potenziato l'attività di ispezione presso le società e nell'arco di quattro-cinque mesi abbiamo eseguito una settantina di ispezioni: su tutto ciò potrà riferire meglio il dottor Maugeri, che coordina il corpo degli ispettori. Inoltre, stiamo studiando un nuovo modello di analisi economico-finanziaria delle società che sia più rispondente alla nuova situazione che si è venuta a creare.
Credo che la normativa varata il 17 marzo sia adeguata ai tempi e al momento, nonché confacente rispetto al nostro obiettivo finale di garantire un campionato regolare. Abbiamo, in parte, semplificato la normativa precedente perché in qualche punto presentava contraddizioni e sovrapposizioni di norme. Per quanto riguarda l'iscrizione ai campionati, abbiamo proposto l'adozione di nuovi parametri di riferimento: prima si lavorava sostanzialmente sul parametro rappresentato dal rapporto ricavi/indebitamento ed abbiamo ritenuto che ciò non fosse il modo migliore per esercitare questo tipo di controllo. Abbiamo mantenuto tale rapporto ai fini dell'attività di monitoraggio nel tempo ma abbiamo suggerito di dare maggiore valore al rapporto patrimonio/attivo, che, a nostro giudizio, evidenzia meglio la relazione che deve esserci tra la patrimonializzazione della società e il totale dei suoi investimenti o, comunque, dei debiti che ha assunto nel tempo.
Tutto ciò per accompagnare nel tempo le società verso strutture finanziarie più solide ed adeguate, ossia verso un rapporto patrimonio/attivo che cresca di valore. Del resto, mi sembra che nello stesso Consiglio federale si siano manifestate l'intenzione e la volontà di procedere nel tempo attraverso un incremento del parametro minimo di riferimento per l'iscrizione al campionato. Abbiamo dato maggior valore a questo rapporto e crediamo che si debba fare un passo successivo anche in relazione alla proposta dell'UEFA sulle iscrizioni alle coppe europee per i prossimi anni, cioè la sottoposizione da parte delle società di un piano finanziario relativo alla stagione successiva. Infatti, soltanto il piano finanziario, cioè il budget delle entrate e delle uscite relativo ai dodici mesi successivi, può far capire se la società sia in grado di concludere il campionato. Naturalmente l'adozione di un piano finanziario presuppone un modo di lavorare diverso e, quindi, la necessità di «istruzione» rispetto ad esso. In alcune federazioni o leghe (in alcuni paesi i controlli sono effettuati presso le federazioni, in altri presso le leghe) ciò già avviene e, ad esempio, la lega svizzera lavora chiedendo alle società i piani finanziari.
Se l'UEFA manterrà i propositi manifestati, i piani finanziari verranno richiesti dal 2005-2006 per l'iscrizione alle coppe europee e questo potrà essere il momento per la richiesta dei piani finanziari anche per l'attività corrente ordinaria e per l'iscrizione al campionato nazionale. Vi sono passaggi che debbono essere affrontati se si desidera porre le società in una situazione migliore dal punto di vista economico-finanziario e se si vuole giungere a prendere decisioni riguardanti l'iscrizione al campionato basate su dati fondati.
Inoltre, riferendomi a quanto poco prima detto riguardo il fatto che le nuove norme sono abbastanza confacenti all'obiettivo,
aggiungo che si tratta di disposizioni più severe rispetto alla normativa prevista dall'UEFA per l'iscrizione alle coppe, anche in relazione ad alcune scadenze riguardanti il pagamento di debiti scaduti più vicine al momento dell'iscrizione al campionato di quanto richiesto dall'UEFA, facendo essa riferimento solo al 30 giugno 2003.
Vi sono segnali di maggiore aderenza all'obiettivo di consolidamento della struttura finanziaria. La situazione creatasi richiede gradualità e tempo per essere complessivamente sistemata affinché il sistema calcio abbia una struttura finanziaria complessivamente orientata più verso il patrimonio che verso i debiti rispetto a quanto non avvenga oggi.
CESARE MARTELLINO, Presidente della Commissione d'appello federale della FIGC. In qualità di presidente della Commissione d'appello federale della Federazione italiana gioco calcio (CAF), vorrei dare una panoramica sulla giustizia sportiva e sulla CAF. La Commissione d'appello federale è l'organismo di giustizia sportiva di ultima istanza e giudica sulle decisioni delle commissioni disciplinari.
Premetto che le commissioni disciplinari hanno una duplice competenza. Innanzitutto, una competenza diretta ed in prima istanza nei casi di deferimento da parte di organi federali e del procuratore federale per ambiti attinenti alla materia disciplinare (in particolare le violazioni del fondamentale articolo 1 del codice di giustizia sportiva, laddove si prevede che un tesserato, socio o amministratore di società debba mantenere un comportamento leale, probo e corretto nel corso dei rapporti attinenti all'attività sportiva), nei casi di illeciti sportivi, cioè quando si cerchi di alterare con pratiche illecite il risultato sportivo, e per le dichiarazioni rilasciate dai dirigenti lesive di altri tesserati o dell'ordinamento federale. Inoltre, le commissioni disciplinari decidono in seconda istanza, in grado di appello, sulle decisioni dei giudici sportivi, strutturati a livello nazionale, regionale e provinciale a seconda dei rispettivi campionati. Questi decidono la settimana successiva alla effettuazione delle partite sui fatti che avvengono nei campi di gioco durante lo svolgimento dei campionati. Si può ricorrere contro queste decisioni di natura disciplinare alla commissione disciplinare in grado di seconda istanza, cioè sostanzialmente in grado di appello, e contro le decisioni della commissione disciplinare dinanzi alla CAF.
Vi sono, in sostanza, due diversi regimi di ricorsi, taluni contro le decisioni della commissione disciplinare che giudica in prima istanza ed altri contro le decisioni della commissione disciplinare che ha già giudicato sulle determinazioni del giudice sportivo. La distinzione è importante perché in base alle ultime modifiche del codice di giustizia sportiva, introdotte nell'estate del 2001, la Commissione d'appello federale, quando decide in seconda istanza sulle competenze della commissione disciplinare, può riesaminare il merito. Invece quando si ricorre contro le decisioni delle commissioni disciplinari che hanno già giudicato in grado di appello sulle decisioni del giudice sportivo, la Commissione d'appello federale, trovandosi in terza istanza, può giudicare soltanto sulle questioni di diritto. Si tratta di una situazione simile a quella dei ricorsi in Corte di Cassazione, dove si può ricorrere soltanto per motivi di legittimità.
La CAF è composta da almeno 14 membri ed è presieduta da un presidente coadiuvato da due vicepresidenti. Attualmente i membri sono più di 20 ed al suo interno si formano più collegi. Il lavoro è intenso in quanto non si esaminano soltanto i ricorsi riguardanti la Lega nazionale professionisti delle serie A e B (quelli più eclatanti in quanto amplificati dalla stampa), ma anche le decisioni riguardanti il settore dilettanti. Ciò può essere evidenziato con le statistiche dei reclami riguardanti la stagione 2002-2003 da cui si evince che, a fronte di 435 ricorsi complessivi, 30 riguardano la Lega nazionale professionisti di serie A e B, 13 la Lega nazionale professionisti di serie C, ben 127 la Lega nazionale dilettanti e 107 il settore giovanile scolastico (particolarmente controllato
dagli organi di giustizia sportiva per il fine educativo nello svolgimento dell'attività sportiva).
L'attività della CAF è intensa perché riguarda le decisioni di tutti i giudici articolati - come ho precedentemente accennato - sia in sede nazionale per le competizioni di questo livello sia, soprattutto per la Lega nazionale dilettanti, in strutture regionali e provinciali.
L'iter della giustizia sportiva è abbastanza veloce, anche perché essa si avvale di strumenti piuttosto agili e non presenta le farraginosità dei sistemi giudiziari. È un sistema che riesce, in poco tempo, ad emettere anche una decisione definitiva.
La difficoltà, quindi, non è questa. Il problema principale, secondo me, è costituito dalla difficoltà di disporre di strumenti normativi adeguati. Storicamente, la giustizia sportiva è stata strutturata ed orientata a tutelare i valori dello sport, a tutelare la competizione sportiva, a tutelare gli alti valori morali e sociali dello sport, in genere. A seguito del cambiamento che ci è stato illustrato anche dal professor Santa Maria, questa tutela dei valori morali dello sport mal si concilia con gli interessi economici che sono entrati in gioco. Pertanto, la giustizia sportiva è orientata verso la tutela dei valori sportivi, però deve fronteggiare anche fenomeni strettamente connessi con gli interessi economici in gioco.
La giustizia sportiva e, in particolare, la CAF negli ultimi tempi sono state impegnate e si impegnano principalmente a combattere alcuni fenomeni piuttosto recenti. Infatti, se negli anni '80 i fatti maggiormente in evidenza erano quelli degli illeciti sportivi (tutti ricordate i famosi casi di scommesse nel calcio), negli anni 2000 i casi più eclatanti sono quelli relativi al doping - fenomeno veramente difficile da contrastare sul piano sia normativo sia degli strumenti a disposizione - e, soprattutto, alla violenza negli stadi. Riguardo a quest'ultimo problema, ognuno deve fare la sua parte. La giustizia sportiva e la Federazione hanno approntato alcuni strumenti. Con le recenti modifiche apportate al codice di giustizia sportiva, approvate nell'estate 2001, sono stati previsti alcuni strumenti preventivi, cioè sanzioni per le società che hanno rapporti economici con le tifoserie e i gruppi di tifosi. È stata vietata l'esposizione di striscioni che possano inneggiare alla violenza o alla discriminazione razziale; sono state previste sanzioni per i dirigenti che, con le loro dichiarazioni, possano incentivare o determinare azioni di violenza. Inoltre, in via repressiva, sono state stabilite gravi sanzioni per i fatti violenti che avvengano durante le partite di calcio.
Ovviamente, questo è quanto può fare una giustizia sportiva e, come abbiamo constatato attraverso i risultati, non può esser sufficiente. Del resto, la giustizia sportiva, per poter fronteggiare questi fenomeni, deve utilizzare uno strumento molto criticato e non bene accetto da parte di coloro che, come noi, operano nell'ambito della giustizia. Si tratta della responsabilità oggettiva. Purtroppo, per fronteggiare questi fenomeni dobbiamo punire alcune società che, molte volte, non hanno responsabilità diretta negli accadimenti, non hanno rapporti con i tifosi e possono fare ben poco per evitare e fronteggiare gli incidenti che avvengano al di fuori dello stadio. È ben difficile, infatti, che una società possa fare questo. Però, questo è un principio cardine in quanto è l'unico modo per poter fronteggiare il fenomeno. Certamente il principio della responsabilità oggettiva, cioè una responsabilità che prescinde da qualunque colpa, urta contro il senso giuridico degli operatori del diritto. Tuttavia, lo ripeto, è l'unico sistema di cui noi disponiamo per fronteggiare il fenomeno e, ovviamente, non è sufficiente. Comunque bisogna bilanciare gli interventi perché non si possono punire le società oltremisura per fatti di cui, alla fine, non sono direttamente protagoniste.
Ho concluso la mia relazione e sono a vostra disposizione per rispondere ad eventuali domande.
PASQUALE DE LISE, Presidente della Corte federale della FIGC. Cercherò di fornire il mio modesto apporto, esclusivamente di natura tecnico-giuridica, alla indagine
conoscitiva che questa Commissione sta conducendo. Tale apporto può derivare dalla mia competenza professionale, in quanto sono stato magistrato ordinario e magistrato della Corte dei conti e sono, da più di trent'anni, magistrato del Consiglio di Stato. Per quanto riguarda la mia attività nell'ambito della giustizia sportiva, sono stato componente, prima, e vicepresidente, poi, della Commissione d'appello federale della FIGC. Attualmente, sono presidente della Corte federale della FIGC.
Vorrei svolgere una breve premessa. Ormai lo sport è diventato un fenomeno globale sia sotto l'aspetto territoriale sia sotto l'aspetto contenutistico. Sotto il primo profilo, la normativa nazionale è fortemente influenzata e, si può dire, condizionata sia dalle disposizioni del trattato sull'Unione europea e del diritto comunitario, sia dalle stesse politiche comunitarie. In queste normative non assume rilievo soltanto lo sport in sé considerato ma, piuttosto, lo sport con la sua capacità di influenzare i più vari settori e di esserne influenzato a sua volta. Basti pensare alla libertà di circolazione e di stabilimento (che è all'origine della sentenza relativa al caso Bosman, cui in seguito dovremo fare cenno), alla politica audiovisiva, alla sanità, all'istruzione, alla gioventù, all'ambiente e così via. Dello sport si è occupato il trattato di Amsterdam, che ne ha sottolineato l'importanza sociale. Al Consiglio europeo di Nizza, nel 2000, è stato affermato il principio secondo cui all'ordinamento sportivo deve essere riconosciuto il diritto di organizzarsi autonomamente. La Commissione Giscard ha ipotizzato di introdurre nella Costituzione europea un espresso riconoscimento della specificità dello sport, operando, in tal modo, il superamento della sua dimensione puramente economicistica con l'affermazione, al contrario, dei principi di sussidiarietà e di solidarietà sui quali lo sport deve far leva.
Affermo questo perché tutto ciò influenza il contenuto e l'aspetto giuridico dell'ordinamento sportivo. Dal punto di vista della teoria generale, dello sport si sono occupati molti giuristi, da Santi Romano a Cesarini Sforza - a proposito della pluralità degli ordinamenti giuridici - fino a Cassese, Guarino e Amato i quali, più recentemente, hanno affermato la tesi del movimento sportivo quale formazione sociale costituzionalmente riconosciuta, fondata sull'autonomia dei privati. Inoltre, dal punto di vista giuridico lo sport presenta il carattere della trasversalità e della multidisciplinarietà, nel senso che influenza ed è influenzato dai più vari se non da tutti gli aspetti del mondo giuridico. Nel diritto civile, lo sport è stato la culla dei cosiddetti contratti innominati, cioè i contratti non previsti dal codice civile, che in tale ambito hanno trovato linfa vitale: mi riferisco ai contratti di sponsorizzazione e di utilizzazione dei diritti televisivi. Nel diritto commerciale, con la previsione delle società senza fini di lucro, lo sport è stato antesignano, in un certo senso, della riforma del diritto societario. Nel diritto del lavoro, lo sport ha creato un particolare tipo di rapporto di lavoro subordinato, qual è quello di lavoro sportivo, e così via. Per non parlare del diritto costituzionale nel quale, a seguito della riforma del titolo V della Costituzione, lo sport si trova ad essere espressamente menzionato, per la prima volta, all'articolo 117, tra le materie di competenza legislativa concorrente.
Tutto questo causa un problema - che mi permetto di sottolineare - innanzitutto al Parlamento, il quale si trova, in un certo senso, costretto tra l'ordinamento comunitario, da una parte, e l'ordinamento regionale, dall'altra. In questa materia, come in tante altre, il Parlamento (sembrerà un assurdo, ma quanto affermo non vuole essere assolutamente una bestemmia) si trova ad essere condizionato da questi due elementi e non è libero di legiferare.
In un precedente resoconto relativo a questa indagine conoscitiva ho letto dichiarazioni - forse attribuibili al presidente della Lega nazionale dilettanti, Tavecchio - relative a quel regolamento previsto dalla precedente legge finanziaria ma non emanato. Signor presidente, non
credo che al fine di approvare questo regolamento sia sufficiente una risoluzione di questa Commissione. Infatti, la nuova Costituzione ha previsto l'ordinamento sportivo fra le materie concorrenti. In conseguenza di ciò vi sarà una legislazione statale di principio, mentre la potestà regolamentare verrà attribuita esclusivamente alle regioni.
Tutto questo non è in contraddizione con quanto sostenuto dal Consiglio di Stato, poiché quest'ultimo ha fatto leva sugli aspetti civilistici e fiscali relativi al regolamento in questione. Per quanto concerne l'aspetto relativo all'albo, lo stesso Consiglio di Stato ha sostenuto che, tutto sommato, esso rappresenta la ricognizione di una situazione preesistente. Su questo argomento - vitale per lo sport e, in particolare, per il calcio dilettantistico - l'ottimo sottosegretario Pescante (con il quale mi sono confrontato in più di un'occasione) non è riuscito a convincere le regioni.
PRESIDENTE. Stiamo prevedendo un'apposita normativa al riguardo.
PASQUALE DE LISE, Presidente della Corte federale della FIGC. Salvo un'eventuale impugnativa; in ogni caso la Corte costituzionale si sta dimostrando molto aperta su questo versante.
PRESIDENTE. La mia è una notizia, non un auspicio.
PASQUALE DE LISE, Presidente della Corte federale della FIGC. Ne prendo atto e penso che questo sia l'unico sistema, salvo - come ripeto - il giudizio finale espresso dalla Corte costituzionale.
Venendo più allo specifico, per quanto concerne l'ordinamento sportivo e come in precedenza sostenuto anche dal collega Martellino, ci si trova dinanzi a situazioni - quali, ad esempio, la sentenza Bosman e la decisione del 2001 della Corte federale riguardante i calciatori extracomunitari - che condizionano fortemente l'ordinamento interno.
La sentenza Bosman praticamente ha dato origine alla piena libertà di stabilimento e di circolazione degli sportivi in ambito comunitario. Del resto, tutto ciò non riguarda solo gli sportivi ma anche coloro che esercitano professioni intellettuali, insomma chiunque eserciti un'attività lavorativa.
La decisione della Corte federale, presa nel 2001 sotto la presidenza di Manzella e riguardante gli extracomunitari, ha finito per riconoscere un principio, prima ancora che giuridico, di civiltà: sto parlando del principio di non discriminazione in relazione alla razza e alla nazionalità. Si tratta di un principio che, tra l'altro, è stato recepito dal CONI ed è contenuto anche nelle carte federali.
Di fronte a questi fatti che hanno comportato e comportano l'accesso sempre più frequente alla giurisdizione ordinaria, statuale, a mio avviso l'ordinamento sportivo dovrebbe, in un certo senso, premunirsi non arroccandosi su dichiarazioni di mera facciata, di mera forma. Andrebbero utilizzati degli strumenti validi ed efficaci sul piano della tempestività, dell'effettività e della tutela degli associati tali da consentire a questi ultimi di preferire la giustizia sportiva, domestica a quella statale, più lunga, farraginosa e complicata.
Questa è la strada che è stata imboccata, sia dal CONI sia dalla FIGC. Il primo, attraverso l'articolo 12 dello statuto, ha istituito la Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport, quale sede ultima per la definizione delle controversie che abbiano esaurito i rimedi interni alle singole federazioni. Dall'altro lato, la FIGC ha potenziato le funzioni della Corte federale configurandola quale massima autorità di garanzia nell'ordinamento calcistico. Ad essa sono state attribuite le funzioni di vero e proprio giudice costituzionale nell'ambito dell'ordinamento del calcio. Inoltre, per il presidente è stata prevista l'elezione da parte dell'assemblea come per il presidente federale, e per i componenti la nomina fra soggetti aventi i medesimi
requisiti previsti dall'ordinamento generale per i giudici della Corte costituzionale.
Alla Corte sono state riconosciute le funzioni, oltre che di interprete e di giudice di legittimità delle norme statutarie e federali, di giudice dei conflitti tra le «componenti» della Federazione e di giudice per la tutela dei diritti fondamentali dei soggetti dell'ordinamento.
A proposito di tutela dei diritti fondamentali, forse dovrei accennare ad un argomento su cui non amo molto intrattenermi, rappresentato dal caso Catania e relativo al maggio 2003. La Corte federale ha emanato all'unanimità quella decisione - che credo tutti conoscano -, di cui mi assumo tutta la responsabilità. Tale decisione è stata presa nell'esercizio del potere-dovere della Corte di garantire dei diritti fondamentali che erano stati, a nostro avviso, conculcati, violati. Sto facendo riferimento al diritto al contraddittorio, al diritto relativo alla regolarità dei campionati, alla mancanza nell'ordinamento federale dello strumento rappresentato dall'opposizione di terzo, e al diritto concernente la partecipazione al campionato di competenza; il tutto nello spirito della prevalenza del risultato acquisito sul campo rispetto a quello derivante da interpretazioni, peraltro errate, di norme equivoche e poco chiare.
Debbo riconoscere che, io per primo, allora ero ben lontano dal prevedere quell'happening infinito che di lì a poco si sarebbe scatenato con l'intervento «a gamba tesa» dei TAR che, tra l'altro, ha dimostrato quanto sia difficile tenere separato lo spirito del tifoso (che è in ognuno di noi) dalla figura del giudice. Tuttavia mi sento di affermare che da quella vicenda è derivato un risultato che considero positivo: intendo riferirmi all'emanazione del decreto-legge 20 agosto 2003, n. 220, ed alle importanti modificazioni ad esso apportate in sede di conversione con la legge 17 ottobre 2003, n. 280. Per non abusare della vostra considerazione, non intendo dilungarmi sul contenuto del decreto-legge.
Vorrei sottolineare che l'aspetto importante di tale provvedimento è che, per la prima volta nel nostro ordinamento, è stata sancita espressamente in sede normativa l'autonomia dell'ordinamento sportivo. Questa autonomia non è illimitata, ma è derivata dall'ordinamento statale, cui quello sportivo indubbiamente è subordinato. Il decreto-legge è molto importante perché ha sancito una linea di demarcazione tra le materie che possano essere rilevanti sia in ambito sportivo sia in quello statuale e quelle che, invece, sono considerate irrilevanti: quelle tecniche e quelle disciplinari. Su queste materie qualsiasi controversia deve essere contenuta esclusivamente nell'ambito della giustizia sportiva. Per gli altri punti che invece non sono irrilevanti per l'ordinamento statuale, si è previsto per i diritti di carattere patrimoniale, la competenza della giurisdizione ordinaria, e per tutte le altre materie la competenza esclusiva del giudice amministrativo.
In entrambi i casi sono state introdotte due importanti precisazioni: da un lato, deve essersi verificato l'esaurimento dei rimedi previsti dall'ordinamento sportivo, quindi l'esaurimento dei vari gradi di giudizio previsti dalla giustizia sportiva per potersi rivolgere al giudice ordinario; dall'altro lato, si è sancita la salvezza delle cosiddette clausole compromissorie, vale a dire quelle clausole arbitrali previste dall'ordinamento sportivo e alle quali qualsiasi appartenente a tale ordinamento, con l'adesione, si è volontariamente sottomesso. Con queste due precisazioni, che tra l'altro fanno salvi - a mio avviso - i profili di costituzionalità del provvedimento che pure da taluni è stata messa in dubbio, il decreto-legge in questione porta un elemento di stabilizzazione, di chiarificazione in questo mondo così turbolento.
Vorrei richiamare, inoltre, altre due importanti disposizioni del decreto-legge: quella che sancisce la competenza territoriale funzionale inderogabile del TAR del Lazio, evitando che gli interessati scelgano il giudice, come purtroppo può accadere almeno nella fase cautelare nell'ordinario giudizio amministrativo, e quella
che prevede nelle controversie in questione un procedimento particolarmente accelerato, come la natura di queste controversie richiede.
Sono naturalmente a disposizione della Commissione per fornire ogni possibile chiarimento in ordine alle funzioni della Corte federale e all'attività da essa svolta nel periodo della mia presidenza (ossia dal dicembre 2001) e formulo l'auspicio che da questa indagine conoscitiva, come dall'attività autorevole e illuminata del Parlamento, possano derivare risultati positivi per il mondo sportivo e per quello del calcio in particolare.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti ai nostri ospiti.
ANTONIO RUSCONI. A me sembra che la situazione patrimoniale del calcio in Italia sia questa, non quella che abbiamo sentito questa mattina; forse le persone autorevoli che sono intervenute stamani hanno dato per scontato che i parlamentari conoscessero pienamente la situazione. La condizione è quella che invece si registra ogni settimana nei patrimoni delle società; basterebbe, infatti, citare quello che è accaduto negli ultimi quaranta giorni per le storiche società del Foggia e del Monza. I dati dimostrano che i controlli in questi anni non hanno funzionato: è sufficiente ricordare - mi riferisco a fine luglio 2002 - la cancellazione della Fiorentina e l'iscrizione della Lazio, le cui garanzie si erano poi rivelate non adeguate. Mi sto riferendo alle fideiussioni a garanzia presentate quest'anno da alcune delle maggiori società italiane di calcio, che ricevono fideiussioni da parte di società che hanno un capitale ridicolo, che si trovavano a garantire per cifre spropositate, avendo esse stesse un capitale irrisorio. Dico ciò perché quando qualche presidente annuncia ricorsi o problemi sulla regolarità del campionato, fa presente che alcune società si sono iscritte ed hanno fatto una campagna acquisti magari dispendiosa - oltre le regole - e altre società, invece, hanno deciso di rimanere all'interno di una situazione debitoria più consona e più contenuta.
Vorrei evidenziare due aspetti relativi ai settori giovanili e alla proprietà degli stadi, ai quali abbiamo rivolto le nostre sollecitazioni. Vorrei, innanzitutto, chiarire che quando facciamo riferimento al settore giovanile dovremmo parlare di settore dilettantistico, perché nelle società professionistiche assistiamo ad una continua riduzione della componente giovanile, dovuta anche alla possibilità di ingaggiare giovani stranieri a costi irrilevanti.
In ultimo, mi domando se non sia il caso che vengano imposte delle scelte alle società; non sto parlando delle società più indebitate - che sono note a tutti - ma di quelle meno indebitate, che però secondo i dati ufficiali del 2003 hanno un totale di entrate di 13 milioni di euro ed un tetto salari di 25 milioni di euro (sto riferendomi alla Sampdoria, che non è certamente una società che rischia di non essere iscritta al campionato del prossimo anno o alle coppe europee). Forse avrò esagerato, ma la situazione mi sembra molto preoccupante e necessita di alcune scelte, come il salary cap, cioè un tetto salariale agli stipendi, di contenuto forzoso, che obblighi le società, o solo alcune, a vendere e non ad acquistare. Questa credo sia una ricetta dovuta per una situazione che sta sempre più degenerando.
GIOVANNI LOLLI. Prima di formulare alcune domande, vorrei ribadire al professor Santa Maria il fatto che le cifre sono completamente diverse da quelle riferiteci. Le cito qualche dato. La somma che le società sportive professionistiche introitano dai ricavi televisivi è pari a circa mille miliardi di vecchie di lire l'anno. Tale ricavo è stabilizzato, da circa tre anni, su questa cifra ma è poi cresciuto, del cinquecento per cento, a partire dagli anni '80, continuando a crescere anche dopo il 1996 di circa un terzo. I conti in rosso delle società sportive nascono prima del 1996 (per questo motivo, forse, lo studio che ci ha riferito dovrebbe essere un po' aggiornato) poiché, prima di tale
anno, l'indebitamento delle società sportive professionistiche era già di 150 milioni di euro, mentre adesso è arrivato a circa 900 milioni di euro: questi sono i numeri!
Pertanto, sebbene i dati che lei ci ha riferito siano molto interessanti, io sono abbastanza inquieto perché, se l'analisi vuole che, tutto sommato, vada tutto bene, dopo il 1996 c'è stata una diminuzione dei ricavi televisivi e quindi si fa un'analisi che è totalmente sbagliata. La invito quindi a riflettere. Lei ci ha fornito dei dati che non corrispondono alle notizie in mio possesso.
Per quanto riguarda la Covisoc, sono costretto a formulare alcune domande forse un po' improprie (fra l'altro, ascolteremo l'ex presidente della Covisoc nei prossimi giorni), che non esulino troppo dal suo ruolo attuale, facendo quindi riferimento alla sua posizione ad oggi (anche perché so bene che ha ereditato una situazione abbastanza difficile).
Lei ci ha detto (è una notizia che corrisponde anche alle informazioni in mio possesso) che ci sono regole nuove e più stringenti (la trimestrale nel rapporto ricavi-indebitamento e la semestrale nel rapporto patrimonio netto e attivo patrimoniale): bene! Mi pare che già così ci si ponga su un piano più serio rispetto al passato. Tuttavia, poiché dopo il 1996 la Covisoc è stata svuotata del tutto o quasi delle proprie funzioni, le chiedo se alcuni aspetti siano stati corretti o no, perché questo è un punto non chiaro. Per esempio, penso al fatto che la Covisoc, dopo il 1996, può lavorare e indagare semplicemente su un esercizio. Addirittura, ci fu anche una querelle negli anni passati su cosa dovesse intendersi: campionato o campionati. La Federazione ha poi dato un'interpretazione restrittiva, nel senso di campionato. Se voi siete ancora vincolati a ragionare solo su un esercizio, essendo, per esempio, i diritti televisivi triennali, come riuscite a controllare il fatto che una società prende tutto il triennio - cioè l'entrata principale - lo carica sull'esercizio in corso e poi negli anni successivi - cosa che succede regolarmente - si trova in difficoltà?
Un'altra domanda. Con le nuove norme, siete in condizione, per esempio, di compiere verifiche (cosa che la Covisoc, dopo il 1996, non ha più potuto fare) sui versamenti IRPEF da parte delle società? Siete in condizione, adesso, di verificare l'indebitamento bancario delle società?
Si tratta di una serie di interrogativi che mi pongo e che vi rivolgo perché, in mancanza di strumenti in questo senso, temo che anche quelli nuovi che vi sono stati dati possano non essere sufficienti.
Inoltre, qualora verifichiate l'esistenza di uno sforamento dei parametri (questo valeva anche prima, seppure solo relativamente al terzo) tra indebitamento e ricavi, entro un certo periodo di tempo le società debbono procedere ad un aumento di capitale. In passato è successo, clamorosamente, che questo aumento di capitale quasi mai corrispondesse ad un esborso di denaro - cash - ma fosse invece realizzato attraverso fideiussioni. Una parte di queste fideiussioni si è rilevata (non si tratta certo di una vostra responsabilità, perché sono cose del passato) molto approssimativa. Che strumenti avete adesso, per impedire che possano di nuovo verificarsi situazioni di questo genere? Eventualmente, quali strumenti, a vostro giudizio, sarebbero necessari per essere in condizione di agire meglio?
Queste mie domande sono tese anche a stimolare vostre richieste. Avete bisogno di qualche strumento più efficace che possiamo contribuire a fornirvi, sotto forma di legge o di raccomandazione alla Federazione?
Tra l'altro, una delle difficoltà della Covisoc è stata che, rilevato l'eventuale «buco», prospettata alla società la necessità di farvi fronte, poi si registravano ritardi per cui si arrivava circa a novembre, data in cui, a campionato iniziato, diventava molto complicato per la Covisoc stessa intervenire.
Inoltre, esistono ancora la fascia A e la fascia B tra le società, o sono state completamente cancellate? Se non esistesse più tale differenza, mi farebbe piacere, perché essa era facilmente aggirata (allora, vi chiedo se sia tuttora aggirabile, attraverso
lo strumento che sapete). Infatti, che cosa facevano prima le società? Esistevano società in fascia A e in fascia B. Le società che andavano nella cosiddetta fascia B potevano fare la campagna acquisti e i trasferimenti semplicemente in attivo. A quel punto, intervenivano però le plusvalenze incrociate.
Sono a conoscenza del fatto che ciò accade tuttora (sono notizie di stampa), anche dopo il famoso decreto dello scorso anno, che il professor Santa Maria ha lodato ma che io non condivido assolutamente. Nonostante quello «splendido» decreto, le società (anche società blasonatissime) hanno continuato a fare plusvalenze incrociate. È noto, sono notizie di stampa! In pratica, le società si scambiano calciatori sconosciuti che non faranno mai nessuna partita in serie A e alcuni dei quali non entreranno mai neanche nelle rose a cui viene attribuito un valore.
Allora, vi siete dotati di qualche strumento in più, per esempio attraverso delle richieste o un coinvolgimento dell'ufficio trasferimenti, per capire se le società si scambiano semplicemente dei giovanotti? C'è qualche strumento in tal senso? Se non esiste, chiedetelo a noi, al fine di impedire che continuino - perché purtroppo così è - cose di questo genere!
Ancora, lei niente ci ha detto (o forse nulla poteva dirci) sulle sanzioni. Infatti, un aspetto emerge su tutti. Se, da un lato, mancano - forse - le regole, dall'altro, se poi non arrivano mai le sanzioni a fungere da deterrente (ma si tratta sempre di sanzioni approssimative) è chiaro che è tutto inutile. È evidente: non c'è deterrenza! Peraltro, alcune delle sanzioni previste erano un po' grottesche. Vorrei sapere da voi se queste sanzioni siano sufficienti o se, nel caso, vogliate suggerirci misure nuove. Per esempio, sanzioni che riguardano le posizioni in classifica sono strumenti che, normalmente, danno abbastanza fastidio e risultano essere un buon deterrente. Peraltro, lei mi ha anticipato nel suo intervento, ma vorrei sapere se vi siate già avvalsi della facoltà ispettiva che vi è stata conferita con le nuove norme e, nel caso, come stia funzionando. In pratica, state conducendo questi accertamenti in termini ispettivi?
Infine, effettivamente sulla giustizia sportiva noi abbiamo approvato questo decreto in condizioni un po' affrettate, così come lei ci ha ricordato. Tuttavia, l'impegno dell'intera Commissione giustizia, che si riunì insieme alla Commissione cultura, fu quello di tornare sull'ordinamento sportivo perché una questione rimane aperta. Si tratta del problema dell'autonomia, che riguarda in parte, per altri versi, anche la Covisoc. Leggo che il contenzioso della giustizia sportiva riguarda, in una percentuale elevatissima, la Federazione e qualche altro soggetto. Ora, trovo singolare che i giudici siano nominati dalla Federazione, cioè che uno dei due contendenti sia sostanzialmente anche colui che nomina. Che poi a presiedere queste strutture della giustizia amministrativa ci siano persone di elevata qualità, ciò ci rassicura sul piano personale, senza alcun'ombra di dubbio.
Tuttavia, un commissario purtroppo oggi assente, l'avvocato Gironda Veraldi, che è stato membro della CAF, ci ha raccontato un episodio abbastanza inquietante: sulla vicenda dei passaporti, avendo la CAF deliberato in modo molto energico, quando poi la Federazione scoprì che, in realtà, la questione era molto più ampia di quanto si pensava, quella CAF fu semplicemente cancellata (perlomeno così ci ha raccontato l'avvocato Gironda Veraldi)!
Ci sentiremmo, quindi, tutti più rassicurati se ci fosse una vera terzietà di queste strutture. Naturalmente ho anche compreso il vostro problema (poiché lei, fra le righe, me lo ha fatto comprendere), quello cioè dell'autonomia del sistema. In questo caso, però, anziché la Federazione, potrebbe essere il CONI a procedere alle nomine (faccio un esempio come tanti). In ogni caso, domando a voi se esista questo problema, perché dal mio osservatorio esiste e mi sembra abbastanza serio.
PRESIDENTE. Ringrazio i commissari e do la parola ai nostri ospiti per le repliche.
ALBERTO SANTA MARIA, Presidente della Coavisoc. In primo luogo, ritengo che il suggerimento già avanzato di porre un cap, come nel caso dell'NBA americana, sarebbe utile perché rappresenterebbe un punto di riferimento chiarissimo. Se passiamo dall'analisi alle proposte per migliorare la situazione, temo che di fronte a problemi eccezionali occorrano risposte eccezionali. Se poi vogliamo che falliscano tutte le squadre eccetto le solite note che dietro hanno proprietari disposti a spendere centinaia di miliardi, allora è un altro discorso.
GIOVANNI LOLLI. Mi scusi se la interrompo di nuovo, ma a suo tempo ci era stato già detto che molte società rischiavano di fallire entro il 31 marzo se non si interveniva; abbiamo poi scoperto che questa data è stata magicamente superata senza danni.
ALBERTO SANTA MARIA, Presidente della Coavisoc. Giustamente l'onorevole Lolli ha posto l'accento su tutte situazioni eccezionali, come ad esempio lo scambio di giocatori al fine di migliorare il bilancio. In questo caso si tratta di una procedura non corretta, non facilissima da individuare e colpire; sicuramente sarebbe il benvenuto un intervento legislativo che rendesse più agevole l'individuazione di procedure scorrette. Non pensi un secondo che non ci troviamo sulla stessa linea. Non ho alcun apprezzamento da fare sull'articolo 18-bis, anche se dovendolo difendere in sede comunitaria, nell'interesse del paese, ho cercato di fornire ad esso una spiegazione logica coerente e come poi fatalmente succede quando uno fa l'avvocato mi sono talmente affezionato alla mia tesi che alla fine mi sono convinto anche io. Al di là di tutto ciò, è chiaro che abbiamo una situazione di per sé eccezionale, creata da persone inadatte alla gestione delle società e dal fatto che lo sport ha una risonanza talmente rilevante che qualcuno ne ha abusato e ne continua ad abusare sapendo che poi la piazza impedisce di trovare soluzioni logiche; tuttavia questo rappresenta una realtà da non trascurare.
Non so se ricordate cosa era in passato una partita di calcio in Inghilterra: sembrava di essere in guerra. Come sono riusciti, nell'arco di una decina di anni, a trasformare le partite di calcio da occasioni di guerriglia urbana a manifestazioni anche per bambini? Probabilmente spostando il discorso sulla famiglia e trasformando lo stadio in centro di divertimento e di ritrovo, dove c'è anche il calcio che probabilmente richiama l'attenzione su tutto il resto.
È indubbia l'utilità di un intervento legislativo che non consenta gli scambi tra giocatori se qualcuno di questi non gioca effettivamente, anche se in tutti gli scambi ci sarà sempre uno meno furbo dell'altro (basti pensare agli scambi tra Milan ed Inter). Sicuramente questi passaggi saranno stati utilizzati anche ai fini di bilancio, ma non c'entra niente con l'articolo 18-bis. Anch'io ho letto sui giornali di giocatori presi e scambiati che poi non hanno mai giocato, ma servirebbero strumenti idonei per evitare fenomeni del genere. Il mio invito personale è di distinguere le situazioni che di per sé sono illegittime da quelle che sono state create nel tempo e si sono ormai stratificate, sulle quali è necessario comunque intervenire.
CESARE BISONI, Presidente della Covisoc. In effetti, nel mio intervento ho omesso di parlare delle sanzioni, che invece, giustamente, rappresentano un aspetto molto interessante. Le nuove norme conferiscono maggiori poteri in materia di sanzioni rispetto al passato. In particolare, la Covisoc potrà decidere autonomamente in materia di sospensione e di decadenza dei contributi federali per l'intero anno in corso nel caso in cui non pervenga tempestivamente tutta la documentazione che le società devono presentare. Noi saremo molto attenti affinché le scadenze siano d'ora in poi sempre rispettate. Inoltre, la Covisoc ha un potere sanzionatorio diretto per quanto riguarda lo sforamento del parametro ricavi-indebitamento, che resta per l'attività di monitoraggio, impedendo la campagna acquisti
alla società che dovesse trovarsi al di sotto del parametro minimo stabilito, a meno che da contratti depositati o da versamenti effettuati in contanti non risulti che l'operazione non genera nuovo indebitamento.
Per quanto riguarda invece il tema delle ammende, che pure possono essere comminate per quanto riguarda alcune violazioni di trasmissioni di dati e documenti, le norme attuali stabiliscono che la Covisoc può proporre l'ammenda, ma questa deve poi essere comminata dagli organi della giustizia sportiva.
Tengo a rimarcare che prima non volevo dare l'impressione di un sistema calcio migliore di quanto sia effettivamente. Ho seguito anch'io la situazione attraverso i giornali e sono consapevole di quanto accaduto; ora poi ho anche qualche informazione ulteriore. Non ho elementi per giudicare quanto avvenuto in passato, non lo voglio fare e non credo che spetti a me; devo presumere che le iscrizioni di alcune squadre ai precedenti campionati siano irregolari, ma sono sicuramente altri a dover indagare e formulare giudizi in merito.
Riguardo alle fideiussioni, che tanti problemi hanno creato lo scorso anno, le nuove istruzioni che verranno fornite alle società per l'ammissione al campionato chiariranno che dalla prossima estate le fideiussioni potranno essere soltanto bancarie o assicurative.
Il dottor Maugeri approfondirà ora il tema dei controlli specifici sul bilancio.
VITTORIO MAUGERI, Coordinatore della segreteria della Covisoc. Poiché il mio compito specifico è quello di coordinare gli ispettori della Covisoc e sottoporre a revisione i documenti che pervengono alla segreteria, vorrei fornire una mia impressione sulla situazione attuale del sistema calcio.
Evidentemente il problema fondamentale, come tutti ormai riconoscono, è rappresentato dallo spaventoso indebitamento accumulatosi negli anni, derivante principalmente da due fonti: istituti di credito e amministrazione finanziaria. Buona parte delle nostre società calcistiche si sono autofinanziate anche non pagando le imposte. Siamo pertanto giunti ad una strettoia. Veniamo ora dalla conclusione di un primo vaglio dei bilanci delle società richiesto per la verifica dei requisiti necessari alla concessione delle licenze UEFA.
Alcune società hanno superato tale verifica, altre no, ed ora si passerà al secondo grado. In questo caso la maggior parte dei problemi erano infrastrutturali, altri erano riconducibili a criteri economico-finanziari. In questa fase e dopo il varo delle nuove regole proposte dalla Covisoc, le norme UEFA sono quasi più facilmente aggirabili. Ad esempio, per quanto riguarda i debiti tributari, l'UEFA si accontenta esclusivamente del pagamento dell'IRPEF sugli stipendi dei dipendenti, peraltro non di tutti ma solo del settore sportivo (del medico ma non dello staff medico).
Invece, quando procederemo per l'ammissione al campionato il problema diventerà molto serio perché prevedo enormi difficoltà. Infatti, uno dei sistemi ammessi dall'UEFA era l'aver presentato la domanda di condono che veniva identificata come una rateizzazione del debito fiscale. La prima rata è quasi simbolica, i 6 mila euro che tutti conoscono, ma al 21 giugno ci sarà una seconda rata da pagare, cioè un po' prima che la Covisoc esamini la documentazione ai fini dell'ammissione al campionato. Questo sarà un problema difficilmente superabile se le società, che sono fortemente indebitate e che hanno presentato domanda di condono, non potranno pagare la prima rata. Sulla questione delle fideiussioni si farà in modo che gli intermediari di cui agli articoli 106 e 107 delle testo unico delle leggi bancarie siano esclusi come soggetti autorizzati a rilasciare fideiussioni per l'ammissione al campionato: i parametri sono, quindi, più stringenti e continueremo a monitorare l'indebitamento bancario.
Per quanto riguarda la possibilità dei controlli, fin da settembre, quando ho dato le istruzioni ai nostri ispettori, non mi sono posto il problema che gli stessi potessero limitare la propria azione al controllo
di un solo anno. Fino ad ora abbiamo verificato oltre il 50 per cento delle 132 società di calcio fra A, B, C1, C2 e nel nostro monitoraggio pretendiamo molta severità anche da parte degli ispettori. Quindi, il problema non è in termini di poteri. Ritengo che la Covisoc possa svolgere tranquillamente il proprio lavoro perché ha dei poteri diretti e la possibilità di chiedere alla presidenza federale di proporre ricorsi per l'articolo 2409 del codice civile, cioè relativamente alla possibilità di avere ispezioni giudiziarie.
Certo, ci troviamo di fronte ad una situazione di difficoltà - prima qualcuno citava il caso di Monza e di Foggia - perché ci sono società che falliscono, ma riteniamo di riuscire a controllare in tempo tali situazioni; infatti, aumentando il numero delle ispezioni e, quindi, il budget a disposizione della Covisoc, sarà possibile prevenirle. Ad esempio, nel caso della Pro Vercelli siamo arrivati tempestivamente e siamo corsi ai ripari il giorno stesso in cui il presidente del tribunale locale aveva ordinato il sequestro di tutta la documentazione per una denuncia del presidente del collegio sindacale. Stessa cosa per l'Isernia, per la quale abbiamo chiesto l'ispezione giudiziaria ed abbiamo in corso un'altra richiesta. Quindi, non mi pare che sia un problema di ampliamento dei poteri della Covisoc.
Avremo certamente dei problemi contingenti, per i quali la Covisoc non potrà fare nulla se non far rispettare le norme. In questo momento la problematica fiscale è quella rilevante, perché le nostre società hanno un indebitamento elevatissimo nei confronti del fisco. Il decreto «spalma-perdite» ha sicuramente aiutato in parte, ma oggi per determinate situazioni si rivela forse non del tutto favorevole, perché nella stessa parte dell'attivo patrimoniale abbiamo il diritto alle prestazioni pluriennali dei calciatori e gli oneri pluriennali derivanti dalla svalutazione: per il nuovo parametro Covisoc tutto ciò contribuirà a produrre una carenza che dovrà essere ripianata.
Prima si faceva cenno al problema della campagna acquisti. Nei suggerimenti per le nuove norme la Covisoc ha previsto il divieto di effettuare campagne acquisti se ci si trova al di sotto di un determinato parametro, pur sapendo che gli scambi intersocietari vengono garantiti da fideiussioni reciproche. La Covisoc ha osservato che ciò non è sufficiente e, nel momento in cui non dovesse esserci più un saldo attivo, da stanza di compensazione della Lega nazionale professionisti, pretenderà che non si facciano più acquisti, pur potendo vendere e rimanere sul mercato. Quindi, le norme sono ormai approvate e non credo che la Covisoc abbia bisogno di ulteriori poteri. Se si riterrà di intervenire, lo si dovrà fare sulla situazione contingente che verificheremo nel giro di un paio di mesi.
PASQUALE DE LISE, Presidente della Corte federale della FIGC. Il problema delle nomine del giudice è delicatissimo. Anche nel Consiglio di Stato abbiamo le nomine governative, ma la Corte costituzionale ha detto che ciò andava bene. Infatti, si dice che quando si è nominati si taglia il cordone ombelicale con il soggetto che ha proceduto alla nomina e, quindi, il giudice trova poi i caratteri della sua autonomia nell'attività che compie e nella mancanza di condizionamenti che possono venire da altre parti.
Una volta in seno alla Federazione mi sono occupato della riforma dello statuto. In quel caso vi erano state delle istanze in base alle quali le nomine degli organi della giustizia sportiva dovessero provenire addirittura dalle leghe, anche se a me ciò sembrava un'eresia in considerazione dell'autonomia dell'ordinamento. Tuttavia, occorrono delle garanzie, innanzitutto i requisiti, anche se in questo caso sussistono dei problemi (ad esempio, i magistrati del CSM sono abbastanza ritrosi a concedere l'autorizzazione). Il caso dell'allora avvocato, onorevole Gironda Veraldi, non credo che sia derivato da una forma di ritorsione verso la decisione. Della composizione della CAF di allora facevo parte anch'io ed uscii durante il rinnovo; vi faceva parte anche Martellino, che in quell'occasione fu nominato presidente.
Quindi, non credo che ce l'avessero per la decisione sui passaporti, che poi è stata riformata dagli effetti derivanti dall'esterno, cioè dai tribunali che in sede UEFA attenuarono le pene. La sostituzione di numerosi componenti del CAF di allora è stata compiuta proprio nel momento in cui la Federazione era commissariata e vi procedette Petrucci, presidente del CONI e commissario della FGCI.
Il rimedio (lo dico anche a danno del presidente Martellino e mio personale) potrebbe essere un mandato piuttosto lungo non rinnovabile. Ogni attività, anche quella parlamentare, deve avere un inizio ed una fine; non si può rimanere tutta la vita a svolgere lo stesso incarico, salvo che non vi siano ragioni di sussistenza. Anche quella è una esperienza entusiasmante, ma dopo sei anni finisce. Io sono passato dalla CAF alla Corte federale e vedremo cosa avverrà nella prossima assemblea, quando probabilmente non sarò rieletto.
Per concludere, la nomina ab externo da parte del CONI o del Parlamento o di altro organo non mi sembra una soluzione idonea.
PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi per la presenza e gli interventi estremamente interessanti.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13,55.