VII COMMISSIONE
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

AUDIZIONE


Seduta di marted́ 17 luglio 2001


Pag. 3

La seduta comincia alle 10.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Seguito dell'audizione del ministro dei beni e delle attività culturali, Giuliano Urbani, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, il seguito dell'audizione del ministro dei beni e delle attività culturali, Giuliano Urbani, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Ricordo che nella seduta del 10 luglio il ministro ha illustrato la relazione e si sono svolti alcuni interventi dei colleghi, che proseguiranno nella seduta odierna.
Ringrazio il ministro per la sua presenza e do la parola ai colleghi che hanno chiesto di parlare.

ANDREA GIORGIO FELICE MARIA ORSINI. Signor presidente, tengo molto a questo intervento, avendo ascoltato con grande interesse, nella scorsa seduta, sia la relazione introduttiva del ministro sia gli interventi dei colleghi della maggioranza e dell'opposizione. Devo dire di aver apprezzato che una bella relazione, come quella del ministro Urbani, sia stata lo spunto per un dibattito «alto» e interessante, anche nelle divergenze di valutazioni - ovvie e legittime - dalle quali mi pare sia nata una discussione che pone problemi importanti: credo che questo sia di buon auspicio per il futuro dei lavori della Commissione. Devo aggiungere che, della relazione del ministro Urbani, ho gradito particolarmente la concretezza, la capacità di parlare di problemi reali e di evitare di perdere troppo tempo su scenari generici o su questioni di visione generale. Questo per due ragioni: la prima perché un po' di sano realismo e la capacità di concentrarsi sulle cose da fare, piuttosto che sugli scenari generali, sono indizio di quella capacità di buon governo liberale che significa anche far funzionare gli ascensori nei musei, garantire l'aria condizionata e far sì che i ristoranti o i book shop nei musei funzionino. Credo che la qualità dell'azione di governo e la qualità del sistema paese si misurino sul funzionamento pure delle piccole cose, anche in un mondo come quello dei beni culturali, della cultura e dello spettacolo, che rappresenta uno dei biglietti da visita del nostro paese.
Ho apprezzato il profilo della relazione del ministro anche per un'altra ragione: qualche collega, tra i quali l'onorevole Grignaffini, ha posto (giustamente sotto l'aspetto del metodo, ma non ne condivido, naturalmente, il contenuto nel merito) il problema di quale debba essere il profilo dell'azione del ministro. Dico ciò, proprio perché come è stato giustamente affermato, dobbiamo essere molto lontani non soltanto dal modello del Minculpop, come è ovvio, ma anche da qualunque modello di Stato interventista sulla cultura. Attuare una politica culturale significa perseguire


Pag. 4

un indirizzo che consenta alla cultura di crescere e valorizzarsi; significa far crescere tutto ciò che è parte della memoria storica, della identità e della capacità di un paese di progettare il proprio futuro non solo in termini di infrastrutture, bilancio e di quei grandi temi di cui questo Governo si occuperà, ma anche di idee e di capacità di sviluppo critico. È fondamentale che il Governo, lo Stato e le istituzioni pongano le condizioni affinché questo avvenga, ma che le pongano nel modo più neutro e avalutativo possibile rispetto ai contenuti, in maniera tale da evitare qualunque sospetto di strumentalizzazione, di collateralismo e di utilizzo di quel rapporto fra politica e cultura che non sempre in Italia, nel secolo appena trascorso, è stato così neutro e astratto.
Da questo punto di vista, credo che il passato recente - ricordato da alcuni colleghi dell'opposizione come uno dei biglietti da visita dei precedenti Governi - non sia un ottimo esempio, se non altro perché, anche se certamente si è investito molto nella cultura e nello spettacolo, è innegabile che lo si sia fatto in un'ottica di collateralismo - credo piuttosto evidente e universalmente riconosciuto - che non mi sembra un buon biglietto da visita, e comunque non lo sarebbe per il nostro Governo se tentasse di fare qualcosa di analogo, ma a parti invertite.
Bisognerà compiere, a mio avviso, un grande sforzo di rigore, di serenità e di equilibrio, affinché questo rapporto fra politica e cultura si svolga in un ambito di neutralità; è vero che rimane comunque sempre un rapporto falsato, perché è chiaro come la cultura non sia mai neutra, ma sia un sistema di valori e quindi ha delle ovvie e fortissime intersezioni con le scelte politiche, di campo e di merito. È del tutto evidente che siamo di fronte ad un rapporto problematico, ma è bene che rimanga un rapporto in termini dialettici e che si faccia un salto di qualità, non nel rovesciare errori del passato commettendone di eguali, ma semplicemente tornando ad una condizione di massima neutralità ed avalutatività da parte dello Stato e delle istituzioni per ricostruire una parità di condizioni fra chi opera nell'arte, nella cultura e nello spettacolo.
Ritengo che questo profilo di Stato non interventista vada analizzato anche sotto altri aspetti, tra i quali ne cito uno già in precedenza evidenziato: quello delle sovrintendenze. So bene che esse hanno svolto una funzione preziosa nel contrastare una serie di possibili scempi e danni, anche gravi, al nostro patrimonio artistico e monumentale; non è però un mistero che, talora, le sovrintendenze siano anche state espressione di una cultura del «non fare» che spesso si è posta in termini più antagonistici che collaborativi con gli enti locali. Ricordo l'esempio del collegio dal quale provengo, cioè la sovrintendenza di Verona che ha competenze che riguardano la parte occidentale del Veneto; vi sono comunque altri casi nei quali il rapporto fra sovrintendenze ed enti locali non si svolge in termini collaborativi, ma di veti, contrapposizioni e negazioni sistematiche.
Credo che questo non sia un approccio costruttivo, ovviamente non perché le sovrintendenze debbano ratificare e mettere timbri su ciò che gli enti locali decidono ma perché l'ambito della sovranità, espressa in forma decentrata dai comuni e dalle province, non può essere considerato un nemico da chi svolge funzioni di tutela che dovrebbero andare nello stesso senso.
Mi auguro che il ministro vorrà dare degli indirizzi alle sovrintendenze e che questi ultimi tengano conto di tale aspetto. Ringrazio il ministro Urbani per il profilo che sta dando al suo ed al nostro lavoro: credo che siamo partiti molto bene e che potremo lavorare in modo molto positivo.

GUGLIELMO ROSITANI. Desidero richiamare l'attenzione del ministro sulla sua relazione svolta nella precedente audizione e che da qualcuno è stata definita deludente. In effetti si è trattato di una relazione che ha avuto caratteristiche particolari: l'essenzialità e la chiarezza. Queste sono caratteristiche appartenenti a coloro che sanno e non a coloro che vengono con il «compitino» preparato dai vari collaboratori. Rivolgo pertanto un omaggio


Pag. 5

al ministro che ha rispettato l'intelligenza dei componenti la Commissione e quindi lo ringrazio anche per la sua essenzialità, umiltà e chiarezza.
La sua relazione, a mio avviso, è stata esaustiva e molto interessante; ciò non significa che la essenzialità consenta di affrontare tutti i problemi che ruotano attorno a questo grande mondo della cultura. Vorrei pertanto richiamare l'attenzione del ministro su un settore importante della cultura: quello dello spettacolo. Vi sono responsabilità storiche del centro - della vecchia Democrazia cristiana - che ha lasciato alla sinistra la gestione monopolistica della cultura in Italia fino a ieri, vi è il merito della sinistra che ha avuto la capacità di fare questo ed il demerito di chi ha lasciato ad essa questo monopolio.
Quando si opera in regime di monopolio è inevitabile che subentrino il clientelismo e l'ideologia politica, con la conseguenza di gravare sulla qualità della cultura. Noi abbiamo subito, in questi cinquant'anni, il monopolio della cultura gestito - sottolineo il termine gestito - da parte della sinistra. Abbiamo avuto grandi individualità ed alcuni elementi, indubbiamente, di grande valore, ed il fatto che la cultura venga gestita, non le consente, quasi sempre, di svilupparsi e migliorare in termini qualitativi, non consente la concorrenza e quindi il confronto, non consente di arrivare a quello che la cultura, in tutti i settori, ma in particolare in quello dello spettacolo, dovrebbe essere, cioè arte, creazione, libertà, creatività e fantasia. Questi valori sono stati oggettivamente mortificati dalla gestione monopolistica di fronte alla quale, signor ministro, la Casa delle libertà non può far finta di niente o peggio, permettersi il lusso di continuare ad operare come è stato fatto nel settore della cultura sino ad oggi.
Signor ministro, richiamo la sua attenzione sulla necessità di fare il contrario di ciò che è stato fatto finora nei settori della cultura e particolarmente dello spettacolo. Essi hanno subito gli effetti dell'applicazione di un concetto, l'assistenzialismo, che è la conseguenza dell'esistenza di monopoli: la cultura, in Italia, è stata assistita fino a ieri, nei vari campi del cinema, del teatro, della danza ed in tutti i settori artistici; non attribuisco la colpa a nessuno, ma si tratta di una realtà di cui dobbiamo prendere atto onestamente. È necessario allora interrompere questa pratica, stabilendo regole per il settore del cinema (regolato da una legge molto vecchia), per quelli della prosa e della musica leggera (per i quali non esistono leggi), per quello della musica classica (vige una legge sugli enti lirici che non ha nulla a che vedere con la cultura e con l'attività della musica classica), mentre per il settore della danza è in vigore una legge superata.
Dobbiamo fornire regole e dal 1995 stiamo lavorando in tale direzione; il mio partito è stato il primo nella storia della Repubblica italiana a presentare proposte di legge sulla prosa, sulla musica leggera e sulla danza. Ci riconosciamo il piccolo merito di aver costretto il Governo di centrosinistra - o comunque di averlo stimolato - a presentare disegni di legge sulla musica e sulla prosa. Si tratta peraltro di due disegni di legge «mastodontici», il cui iter si è interrotto nelle Commissioni: ciò è avvenuto non a causa dell'ostruzionismo dell'opposizione, ma perché, oggettivamente, si volevano riproporre istanze centralistiche (per citare l'amico Bossi) che perpetuavano la forma del controllo diretto, immediato, asfissiante del potere politico, confermando la linea dell'assistenzialismo. In quella circostanza, la Casa delle libertà, ha presentato le proprie proposte alternative, ma anche il centro e qualche frangia della sinistra ha avanzato critiche nei confronti di quei due disegni di legge, con la conseguenza di bloccarne l'esame. Dobbiamo cercare di fare tesoro delle varie idee, riconoscendo un merito a chi, con molto ritardo, alla fine ha indicato alcune proposte.
La Casa delle libertà deve percorrere la strada del superamento dei motivi del disagio qualitativo della cultura in Italia, per giungere ad una sorta di liberalizzazione del settore, ponendo fine alla pratica dell'assistenzialismo: è necessario che vi


Pag. 6

sia un certo grado di intervento pubblico, «sposato» all'intervento privato secondo una logica di confronto e di partecipazione tra pubblico e privato. Dobbiamo cercare di favorire la concorrenza, stimolando i giovani autori a scrivere, a proporsi in concorrenza con i «soliti noti», innescando quel circuito virtuoso attorno al quale la libertà, la creatività, la fantasia, l'arte ritornino ad operare nella nostra nazione. Il gruppo parlamentare di alleanza nazionale ha già avanzato le proprie proposte di legge ed in questi giorni sarà presentata quella sul cinema, dove vengono proposte soluzioni «rivoluzionarie» (uso questo termine tra virgolette): attraverso facilitazioni fiscali ed interventi esterni al settore della cultura è possibile favorire la creazione di presenze utili al suo miglioramento. Siamo dell'avviso che si debba avere il coraggio di predisporre una funzione del Governo che, in questo settore, non può essere soffocante, non si può controllare la nomina del sovrintendente o dell'usciere di un certo museo. Dobbiamo creare forme di collaborazione, esaltando le culture locali attraverso l'adeguato riconoscimento di autonomia alle regioni, a differenza delle proposte contenute nei disegni di legge presentati dal centrosinistra che prevedevano, ad esempio, che i programmi regionali nel settore della cultura fossero preventivamente approvati dal Governo centrale. Crediamo che l'ente locale, il grande comune, la grande provincia debbano essere messi nelle condizioni di poter esaltare le realtà locali, nell'ambito delle indicazioni del programma nazionale. Queste sono, a grandi linee, le idee dei deputati di Alleanza nazionale e presumo, della Casa delle libertà, (i responsabili dei vari gruppi si stanno attivando): speriamo di poter formulare presto proposte concrete da sottoporre all'attenzione del ministro.
Signor ministro, le posso assicurare che nel mondo dello spettacolo c'è grande attesa: i due disegni di legge proposti dal centrosinistra sono stati bloccati non perché vari deputati si siano svegliati una certa mattina, dichiarando che non avrebbero più votato a favore; ciò è avvenuto perché tra gli operatori del settore - manager, titolari di compagnie, gestori del teatro, attori, autori - c'è stata una rivolta corale contro l'impostazione di quei provvedimenti. Il mondo dello spettacolo ha bisogno dei valori della libertà, della creatività, della fantasia e dell'arte, di questo nuovo respiro. La Casa delle libertà, facendo onore alla sua stessa definizione, deve varare gli strumenti legislativi necessari a rivoluzionare un settore essenziale per la crescita civile e sociale della nostra nazione.

ANDREA COLASIO. Signor ministro, conoscendola ed apprezzandola da molto tempo come studioso, non avevo dubbi sulle sue doti di equilibrio e sul modo in cui lei avrebbe disegnato scenari strategici del tutto dissonanti rispetto ad una gestione del ministero del tipo Minculpop.
Lei, coerentemente, ha dichiarato che «nei beni culturali la politica deve entrare il meno possibile»: siamo d'accordo. Concordiamo con lei sulla cornice entro cui operare, ma se la politica non deve entrare in tale ambito, al contrario abbiamo bisogno di declinare delle politiche dei beni culturali innovative ed efficaci. Su questo punto, signor ministro, era forse legittimo aspettarsi una più puntuale focalizzazione della sua strategia operativa. Lei, infatti, si è soffermato sulle competenze del ministero, ma non ci ha messi nella condizione di valutare quali siano le priorità, quali i problemi e quali le concrete politiche istituzionali. Se questo suo atteggiamento interlocutorio sta a significare che intende attuare le sue politiche di settore assumendo la Commissione come interlocutore privilegiato, non possiamo che esserle grati per la correttezza istituzionale che informa il suo comportamento; rinviando quindi ad una fase successiva una più puntuale valutazione di merito dei suoi programmi politico-istituzionali. Se questa è la ratio che informa l'audizione in corso, può essere utile il tentativo di individuare assieme alcuni dei nodi, delle linee di frattura, con cui ci si dovrà confrontare nel breve periodo nella sede della Commissione. È propedeutico, intanto, sgombrare


Pag. 7

il campo da un equivoco: quando, ad esempio, si parla della Francia e delle politiche culturali francesi, si ricorre alla vecchia metafora di Cravier: «Parigi ed il deserto francese». Il caso italiano - si dice - è diverso: non si può certo parlare di Roma e del deserto culturale italiano: da noi ci sono le cento città, il policentralismo culturale, le antiche capitali. Tutto ciò è incontrovertibile; come lo è il fatto che, accanto alle cento città, esistono le cento periferie e che gli squilibri territoriali dell'articolazione della domanda e dell'offerta culturale tra centri e periferie, costituiscono uno dei grandi temi con cui le politiche del suo ministero dovranno confrontarsi assolutamente.
Forse un po' inopinatamente allora il sottosegretario, onorevole Sgarbi, ha dichiarato che «la devolution non ha nulla a che fare con l'arte»; è forse opportuno, al riguardo, sospendere il giudizio, mentre credo sia condiviso da molti colleghi l'assunto che, sicuramente, il federalismo ha molto a che vedere con le politiche dei beni culturali del nostro paese.
Diversi autorevoli colleghi, riportando una fonte UNESCO, a dire il vero un po' ottimistica, hanno ricordato la consistenza del nostro patrimonio culturale, rappresentativo, a seconda delle fonti, dei due terzi o del 51 per cento del patrimonio culturale mondiale. Una consistenza patrimoniale comunque rilevante cui (il ministro lo ha sottolineato) per tanti, troppi anni non sono state correlate politiche dei beni culturali adeguate e conseguenti.
Lo svantaggio competitivo con gli altri grandi paesi europei non concerne quindi solo il mondo dell'impresa; un primo approccio comparativo con realtà come Francia e Germania, evidenza, infatti, il differenziale in termini di spesa pro capite per la cultura: siamo fermi a quota 112 mila contro le 212 mila della Germania e 248 mila della Francia. Spesso poi, durante i lavori di questa Commissione, si è sottolineato il carattere residuale, marginale, parentetico e anche a volte casuale delle politiche culturali del nostro paese; politiche connotate prevalentemente da una modalità di tipo difensivo: «I vandali in casa», «Per la salvezza dei beni culturali», «L'Italia storica e artistica allo sbaraglio».
Sono solo alcuni dei titoli dei pochi volumi che, dagli anni Cinquanta e Settanta, si sono occupati del nostro patrimonio culturale: gli autori sono personalità come Cederna e Bianchi Bandinelli, nonché la Commissione parlamentare Franceschini, insediatasi nel 1964 per una ricognizione dello stato del nostro patrimonio. Il mutamento di scenario - ecco il punto rilevante sul piano politico istituzionale - inizia a delinearsi verso la seconda metà degli anni Settanta proprio a partire dalle periferie e dai governi locali. L'accresciuto interesse per le identità locali, la riscoperta delle nostre culture territoriali, di cui il nodo del federalismo è chiara articolazione istituzionale, hanno dato voce ad un processo di territorializzazione della cultura e all'esigenza di una profonda riscrittura della trama dei rapporti intercorrenti tra periferia e centro. È all'interno di tale quadro che si situa il nodo istituzionale della riforma del ministero, dei suoi assetti organizzativi e funzionali. Un punto, signor ministro, su cui ci aspettiamo segnali che vadano nel senso della modernizzazione e del decentramento funzionale. L'accorpamento di funzioni e competenze - i beni e le attività culturali - prima disperse tra dicasteri diversi va certamente nella giusta direzione, delinea un superamento di quella vecchia segmentazione istituzionale spesso dannosa per l'efficacia e l'effettività delle politiche.
Con l'istituzione delle sovrintendenze regionali si è solamente iniziato ad abbozzare un nuovo assetto delle articolazioni territoriali del ministero; è in tal senso positivo che si siano decentrate funzioni in materia di vincoli, apposti oggi con delibera del sovrintendente regionale. Ma quale grado di autonomia operativa e di gestione del bilancio si intende attribuire, signor ministro, a tali organismi? Conferiamo intanto alle sovrintendenze la responsabilità in merito ai depositi temporanei, una procedura a tutt'oggi farraginosa e poco attenta alle esigenze degli


Pag. 8

operatori nel territorio, come è stato sottolineato da molti colleghi. Attribuiamo allora alle sovrintendenze maggiore autonomia in termini di individuazione delle priorità programmatiche, senza il sistema della navette con Roma che spesso ne mortifica la professionalità.
Inoltre, signor ministro, sarebbe importante se lei ci desse il suo autorevole parere in merito alle funzioni delle commissioni regionali per i beni e le attività culturali, previste dalla riforma Bassanini e recepite da alcune regioni, che hanno determinato, come nel caso della Toscana, problemi interpretativi rispetto alla titolarità dei loro costi gestionali. Come si attua la connessione tra regionalizzazione delle sovrintendenze e le commissioni regionali miste? Si pensa a strutture operative, sul modello, ad esempio, delle Drac francesi, o a quali altri modelli istituzionali si fa riferimento? Già in fase di redazione del testo unico sui beni culturali proprio questa Commissione aveva sottolineato come fosse ancora debole il raccordo territoriale tra strutture ministeriali e governi locali. Chi ha ricoperto responsabilità amministrative a livello di governi locali sa bene quanto sia difficile, a volte improba, la collaborazione con le sovrintendenze: va allora istituzionalizzata la procedura della concertazione; va incrementato, come lei ha ben sottolineato, il processo dei flussi di informazione reciproca sui programmi e le priorità territoriali.
In materia di sovrintendenze, ancora un solo rilievo: nella sua lettera ai dirigenti del 13 giugno lei ha sottolineato, a ragione, il sacrificio personale dei funzionari che operano nelle sovrintendenze, i cui livelli retributivi non sono spesso adeguati all'assunzione di responsabilità: cito come paradigmatico il caso della supervisione dei cantieri finanziati da enti terzi. Sono certamente condivisibili le sue affermazioni in merito al rapporto tra domanda e offerta culturale: quest'ultima deve crescere in termini quantitativi e qualitativi. Una giusta politica conservativa del nostro patrimonio si è spesso tradotta, infatti, in politica conservatrice e, come hanno rilevato molti colleghi, non è stata in grado di assumere la fruizione del bene culturale quale elemento centrale delle politiche. Si pensi ad esempio alle politiche museali, legate ad una concezione del museo come tempio, come caveau, come luogo chiuso e non inteso come ambiente attraente, aperto, dotato di quei servizi aggiuntivi, non solo didattici ma anche di ristoro e relax che rendono appetibile e gradita la visita. La legge Ronchey ha certo innovato, aperto la strada, con introiti globali pari a 63 miliardi, ma lei signor ministro, ha di fronte compiti molto gravosi. Proprio perché non esistono solo i grandi musei, è importante capire come lei opererà in relazione al sistema museale territoriale, comprensivo di centinaia di piccoli e medi musei, depositari della sedimentazione identitaria del nostro paese. A cominciare dallo statuto giuridico dei musei statali, considerati erroneamente uffici distaccati, nuclei operativi delle sovrintendenze, senza bilancio, autonomia gestionale, staff operativo, sprovvisti di adeguato statuto giuridico. I piccoli e medi musei sono poi certamente meno attraenti per l'attivazione dei servizi aggiuntivi e necessitano di adeguata strumentazione e consulenza per la loro messe in rete.
Signor ministro, lei ha fatto cenno correttamente alla debole presenza di biblioteche nel nostro paese; lei sa bene come, accanto a questi squilibri territoriali nella struttura dell'offerta, vi sia il grande problema della scarsa propensione alla lettura da parte degli italiani: il 65 per cento non acquista mai un libro, a fronte di una quota minima, il 5 per cento, di lettori abituali, per cui la figura del non lettore, anche tra le giovani generazioni si caratterizza come figura forte, se non prevalente. Qui si aprono grandi opportunità per il ministero: è stato importante, nel quadro del nuovo assetto organizzativo del dicastero, assumere come prioritaria la promozione del libro e della lettura, nonché lo sviluppo dei servizi bibliografici, bibliotecari e nazionali, recependo su quest'ultimo punto, le sollecitazioni dell'AIB.
Signor ministro, lei ha detto giustamente che nella sua azione eviterà il ricorso allo strumento della legge, per non


Pag. 9

incrementare il nostro già ridondante sistema normativo, ma non ritiene sia necessaria una legge quadro sulle biblioteche? Una legge che, nell'assoluto rispetto delle competenze regionali in materia, affronti alcuni grandi temi irrisolti tra cui la territorializzazione dei servizi bibliografici, la predisposizione dei servizi bibliografici nazionali finalizzati e funzionali alla domanda territoriale, che agevolerebbe proprio le biblioteche più piccole, più deboli e periferiche. L'Italia difetta infatti di una bibliografia nazionale completa e tempestiva, di cataloghi collettivi, di infrastrutture di rete, di servizi di fornitura delle registrazioni bibliografiche.
In ogni grande paese europeo vi è una sola istituzione che elabora le notizie bibliografiche che vengono poi recuperate dalle altre biblioteche. In Gran Bretagna il tasso di conversione delle schede bibliografiche è pari all'84 per cento, in Italia si ferma ad un modesto 48 per cento (sono i bacini bibliografici territoriali per i cataloghi unici), con grande spreco di risorse.
Signor ministro, il nostro SBN (servizio bibliografico nazionale) costituisce al riguardo un preciso ed importante punto di riferimento, ma come si intende garantire una sua migliore ricaduta a livello di intero sistema bibliotecario territoriale? Come si intende affrontare l'anomalia - tutta italiana - delle sette o nove (a seconda dei diversi regolamenti ministeriali) biblioteche nazionali, una situazione che contrasta con le raccomandazioni elaborate dall'IFLA che definiscono precisi compiti e funzioni per le nostre biblioteche nazionali? Signor ministro, quale collaborazione funzionale, e quale più razionale divisione dei compiti prevede fra le due biblioteche centrali di Roma e Firenze? Come intende poi operare per sollecitare la grande trasformazione del nostro sistema bibliotecario da «bene culturale» caratterizzato ancora in termini, certamente nobili, di contenitore a servizio pubblico raccordato alle nuove tecnologie informatiche?
Lei, signor ministro, ha fatto benissimo a parlare dell'esigenza di un nuovo e diverso rapporto fra pubblico e privato, che sappia coinvolgere quest'ultimo in una politica attiva di promozione del nostro patrimonio (penso alle sponsorizzazioni). Come intende affrontare allora, per esempio, il tema - molto importante - delle dimore storiche? Mi riferisco alle ville vesuviane o alle ville venete, un patrimonio dell'intera collettività da tutelare tramite un articolato sistema di vincoli? Non crede che si debba invece superare l'approccio meramente vincolistico - figlio di una cultura burocratica e forse un po' autoritaria -? Probabilmente sarebbe opportuno rivedere - lo affermava prima di me qualche collega - i criteri della deducibilità fiscale che andrebbero estesi a quelle manutenzioni ed a quei restauri che non sono funzionali solo alla salvaguardia delle caratteristiche intrinseche del bene, ma anche alla migliore fruibilità del bene stesso. Allo stesso modo sarebbe opportuno estendere la deducibilità fiscale a quelle ricerche storico-documentali necessarie per un restauro filologicamente corretto del bene in oggetto.
In conclusione, signor ministro, nel riconoscerle enorme e grande onestà intellettuale e correttezza politica per aver sostenuto che, nell'ultima legislatura, sono stati compiuti - la cito - importantissimi e positivi passi avanti, le chiedo, in merito alle politiche di spesa che hanno visto le dotazioni del ministero passare dai 2.023 miliardi del 1996 ai 4.160 del 2000, se intenda assumersi in questa sede il preciso impegno di dare continuità a tale trend positivo delle risorse canalizzate a favore della tutela e della valorizzazione del nostro patrimonio storico-culturale, incrementando, di conseguenza, le disponibilità del suo ministero.
Nella consapevolezza, infine, della pur chiara divisione dei compiti tra chi assume la responsabilità di Governo e chi quella di opposizione, formulo l'auspicio, signor ministro, che si possa, tuttavia, lavorare assieme per la crescita culturale del nostro paese.

GIOVANNA BIANCHI CLERICI. Signor ministro, nel farle ovviamente gli auguri


Pag. 10

per il suo prestigioso incarico e per gli impegni che, insieme Parlamento e Governo, ci attendono nei prossimi anni, desidero anche esprimere l'apprezzamento della Lega nord per la semplicità e la concretezza con cui lei ha svolto la relazione introduttiva. Affermo con molta chiarezza ed umiltà che abbiamo ritenuto ovvio che lei non delineasse, in questa prima audizione, a pochi giorni dall' insediamento, le linee della sua politica di governo in questo settore, ma che rappresentasse una elencazione dei problemi immediati che ha già avuto modo di constatare.
Chi ha un po' di esperienza, come la mia e quella di altri colleghi ora presenti, sa perfettamente che, soprattutto in questo settore, molto spesso l'attività legislativa si riduce allo studio ed alla presentazione di leggi settoriali, che riguardano alcuni capitoli ben precisi del panorama dei beni culturali e la promozione della tutela dei beni monumentali. Tutto ciò perché le grandi riforme e le grandi problematiche vengono normalmente affrontate dai governi, sotto forma di delega, per cui l'Esecutivo decide, come è anche giusto che sia, e le Assemblee parlamentari esprimono i pareri, cercando di correggere ove necessario. A tale proposito, la scorsa legislatura è stata illuminante; basta guardare l'elenco, che credo sia depositato in Commissione, delle proposte di legge di iniziativa parlamentare che abbiamo approvato in questo settore: sono veramente limitate nel numero, riguardano soprattutto argomenti ben specifici ed a volte sono ristrette ad un ambito prettamente locale, come d'altronde è anche giusto che sia, perché sono i settori che i parlamentari portano avanti e caldeggiano, e per i quali cercano di ottenere finanziamenti.
Pertanto, signor ministro, la inviterei, allorché arriveremo a decidere i capitoli di finanziamento e le spese del suo dicastero, a battersi come un leone per ottenere il massimo degli stanziamenti possibili per questo settore che, purtroppo, spesso rappresenta il fanalino di coda nel nostro paese, ma che al contrario, come lei stesso ricordava, rappresenta una delle risorse maggiori dell'economia, anche per il suo legame con il turismo.
Per rimanere in tema di turismo, devo ricordare che esso riguarda solamente alcune aree del paese, in particolare del centro e del sud. A questo proposito, nelle scorse legislature, sono stati elargiti finanziamenti sia dallo Stato sia dalla Comunità europea; per questo chiederei di fornirci nelle prossime settimane indicazioni su quale sia lo stato della spesa dei finanziamenti elargiti dalla Comunità europea qualche mese fa, alle aree obiettivo 1; si trattava di una somma decisamente consistente, e credo giusto che il Parlamento sia messo a conoscenza di come tali risorse (che saranno probabilmente anche le ultime che arriveranno al nostro paese in seguito all'allargamento dell'Unione Europea ai paesi dell'est) vengano spese, di cosa si stia facendo e di cosa si intenda fare.
L'argomento principale sul quale vorrei soffermarmi riguarda le competenze; lei, signor ministro, ha ricordato, correttamente, in uno dei passaggi della sua relazione, il problema di chi debba giudicare gli interventi attuati nel settore dei beni monumentali, affermando che questo compito è demandato ai sovrintendenti provinciali le cui decisioni possono essere, talvolta, magari con interventi non sempre ortodossi dal punto di vista istituzionale, fermate o modificate dalle autorità superiori (sovrintendenti regionali e lo stesso ministero).
Sappiamo che, in questo settore, il paese negli ultimi cinque anni ha fatto qualche passo avanti nel senso dell'autonomia e del decentramento dei poteri, ma riteniamo che ciò non sia sufficiente; ricordo perfettamente che, nel 1997, il ministro Veltroni propose al Parlamento di sperimentare l'autonomia delle sovrintendenze partendo da quella di Pompei; proposta che contestammo perché ci sembrò sbagliato iniziare da un'area del paese, e soprattutto da un settore, che si trovava in una situazione particolarmente grave e difficile. Non so se, a distanza di cinque anni, la situazione in quella sovrintendenza sia migliorata e se si stiano mantenendo


Pag. 11

quei livelli di efficienza ed efficacia che sarebbero consoni; so solo che, alcuni giorni fa, sul Corriere della Sera si leggeva che una delegazione di parlamentari europei è rimasta sotto il sole, insieme a centinaia di altri turisti, a causa di una agitazione sindacale dei dipendenti del luogo che si erano recati a visitare; agitazione legittima, ci mancherebbe altro, il personale ha tutto il diritto di tenere le proprie assemblee. In questo caso però i visitatori non erano stati informati a sufficienza e soprattutto - come riportato dal giornalista - il cartello che riportava le informazioni in inglese era scritto in maniera scorretta e assolutamente incomprensibile per qualunque cittadino di lingua non italiana: questa è la prova evidente che, forse, qualcosa non va. Pertanto, credo che vi sia la necessità di effettuare una ricognizione di ciò che sta accadendo nelle sovrintendenze.
La nostra ricetta è quella di giungere - anche in questo campo - con la necessaria tranquillità, e quindi senza forzare la mano, ad una devoluzione di competenze, perché l'apporto delle regioni e delle province è fondamentale, non nel senso di attribuire qua e là qualche piccolo potere che può essere poi messo sotto controllo e sotto tutela, ma nel senso vero di procedere ad una distribuzione dei poteri. So perfettamente che questo non rientra nella prima fase dell'accordo di fondazione della Casa delle libertà (i beni culturali non vi rientrano), però credo che questa sia la linea che, Governo e Parlamento - o perlomeno la maggioranza - dovrebbero seguire.
Un'altra osservazione riguarda il problema dello sport: in base alle leggi in vigore, il Governo detiene poteri di vigilanza che credo sia il caso di mettere in pratica, con molta serietà; è notorio, infatti, come in questo campo vi siano grandissime problematiche. Alcuni sport, ad esempio, soprattutto a livello giovanile e dilettantistico, non navigano certo in buone acque. Ogni tanto abbiamo tutti sentore, grazie ai mezzi di comunicazione, di tali problemi e, quindi, credo sia il caso di fare una riflessione e di riservare ad essi un po' di tempo dei lavori della Commissione in questa legislatura, anche perché si tratta di tematiche che, nel passato, hanno rappresentato un fanalino di coda.
Apprezziamo - ma ci sembra scontato - che lei non abbia alcuna tentazione di realizzare un Minculpop; ci auguriamo che, finalmente, si arrivi ad un sistema nel quale anche il settore del cinema venga sovvenzionato dallo Stato secondo criteri di massima trasparenza, tenendo conto della bravura di coloro che vi operano.
Mi sovviene un brano musicale di Giorgio Gaber, che ho ascoltato qualche settimana fa, che parla della differenza tra destra e sinistra, ed a proposito del cinema afferma che, chi sa perché, un film di sinistra è noioso e un film di destra è di «cassetta»: questa è una logica che, ovviamente, va superata e nella quale non vorremmo mai veder cadere né il Governo né il Parlamento.
È necessario prestare maggior attenzione al rapporto della promozione della cultura con la scuola e le televisioni: siamo un paese dove le strutture scolastiche sono ancora molto indietro in questo campo, dove gli scolari della scuola dell'obbligo ritengono noiose alcune materie come la storia dell'arte, perché vengono proposte in maniera, molto spesso, non accattivante. Ritengo infine che lo strumento dei documentari televisivi e di Internet sia assolutamente da potenziare, ed in questo, il suo dicastero, signor ministro, può svolgere certamente un ruolo importante.
In conclusione, vorrei ribadire che il sistema di lavoro del «giorno per giorno» va abbandonato: questo è un punto sul quale riteniamo si debba operare. Lei giustamente ha affermato che non vuole conferire deleghe di settore ai suoi sottosegretari ma, bensì, deleghe ad hoc per risolvere i vari problemi. Accanto a questo modo di lavorare - che riteniamo assolutamente corretto - è necessario che, anche a livello parlamentare, si attui un processo di attribuzione delle competenze che veda le regioni decisamente coinvolte, magari anche ricorrendo allo strumento - non voglio fare polemiche politiche - delle


Pag. 12

cosiddette «due velocità», là dove vi siano regioni pronte ad affrontare tale situazione. Se nella scorsa legislatura abbiamo proceduto all'attribuzione delle autonomie alle sovrintendenze in un singolo settore, possiamo fare lo stesso nel campo, ben più difficile, della redistribuzione dei poteri - anche legislativi - in questo ambito.

GIUSEPPE GIULIETTI. Desidero affrontare alcune questioni specifiche, partendo da una riflessione che consenta di liberarci da alcuni luoghi comuni. Sarebbe una buona abitudine - mi rivolgo all'onorevole Rositani -, ricordare che rappresentiamo tutti delle «parzialità». Il collega, infatti, ha affermato che molti autori, molti registi e molti scrittori gli chiedono di bloccare alcune leggi; anch'io sento molti autori, molti registi e molti scrittori che, in questa materia, sono nostalgici dei precedenti governi. Dico questo perché anche il mio è un punto di vista parziale (è del tutto evidente), rappresenta ciò che sento, ciò che ascolto e anche chi mi vota (come il collega Rositani); quindi nessuno di noi, in questo settore, rappresenta la totalità: insieme formeremo un opinione che si tradurrà in leggi, ma dobbiamo sapere che rappresentiamo «parzialità», altrimenti ognuno di noi può credere di rappresentare lo Stato. Neghiamo lo Stato e poi ascoltiamo interventi in cui lo Stato è forte e pesante come è giusto che sia in molte culture di destra e di sinistra (sappiamo che lo statalismo ha una lunga tradizione in questo paese, certo non solo di sinistra). Diversamente, correremmo il rischio - credo il ministro lo sappia meglio di me - di scoprire che, se interverremo da soli in alcune materie, gli altri paesi europei andranno per conto proprio, tutelando i loro autori, i loro scrittori, il diritto d'autore e noi rischieremmo di aprire il nostro mercato ad ogni sorta di invasione; occorre quindi una grande misura tra l'idea della liberalizzazione e la funzione dello Stato, come in tutti i paesi europei. L'Unione sovietica non c'è più, dobbiamo liberarci di questo mito e discutere della realtà, guardando alle cifre; rischiamo invece di avere un problema di incremento e non di riduzione dell'intervento dello Stato, di delega alle regioni - come ha detto molto bene l'onorevole Bianchi Clerici - che però richiede un raccordo tra Stato e regioni.
La ringrazio, signor ministro, per la sobrietà del suo intervento, non solo in questa sede, ma anche per le esternazioni pubbliche; non so se lei conferirà le deleghe, ma sicuramente alcuni sottosegretari dovrebbero avere una delega al «silenzio»: il silenzio nell'arte. Vi sono anche libri bellissimi sul silenzio nelle rappresentazioni figurative e anche nelle altre arti. Mi pare che questo sia un problema, essendo tra coloro che amano la discussione, la più ampia la più radicale possibile, occorre solo intenderci su qual è il momento della festa e quale quello della legislazione, del confronto.
Ieri ho sentito proporre, dall'onorevole Sgarbi, l'abbattimento di numerosi monumenti italiani: può essere un'idea importante, l'avanzò anche Marinetti, vi sono ampie tradizioni nel paese, e anche durante la rivoluzione sovietica vi furono manifestazioni in questo senso.
È stato proposto di abbattere il monumento di Udine e quello di Carlo Scarpa, può darsi che sia una scelta, non sono chiuso in questo senso, anche per non essere accusato di essere conservatore. Forse il ministro pensa di organizzare una task force per la eliminazione del «brutto» nell'arte. Come il ministro sa, anche in Italia vi fu qualche stagione nella quale si discusse del brutto e del bello in modo pedagogico ed autoritario, ma è una problematica, che eventualmente, può essere riproposta. Detto questo, nel precisare che condivido gli interventi finora svolti dai colleghi del mio gruppo, dagli amici della Margherita ed anche da altri, vorrei approfondire alcune questioni.
Il tema della difesa dei contenuti, sul quale il ministro è tornato - sia nella passata attività parlamentare sia nelle sue dichiarazioni più recenti - mi sta a cuore, anche in rapporto alle nuove tecnologie. Mi riferisco alla produzione culturale italiana intesa come una grande piattaforma culturale, anche nell'economia delle reti.


Pag. 13

Mi riferisco al fatto che vi è un valore sicuramente estetico di conservazione - di grande valore come è stato sottolineato - ed un elemento economico di questi «giacimenti» culturali, in senso tradizionale ed in senso moderno (come hanno affermato altri colleghi dei diversi schieramenti).
La mia sensazione è che, su questioni come l'audiovisivo, le quote, il fondo di garanzia per il cinema, vi sia la necessità di recepire pienamente le direttive europee. Prima di cominciare a modificare o a «smontare» il sistema di regole definito in sede parlamentare, dalla Commissione e dal ministero, dobbiamo sapere che esiste un quadro di riferimento europeo e che ai nostri autori, registi, produttori e scrittori devono essere concesse pari opportunità. Mi riferisco, per esempio, a questioni specifiche relative al diritto d'autore nella lotta contro la pirateria, affrontate in modo molto attento, prima da Veltroni, come Vicepresidente del Consiglio dei ministri e poi dal ministro Melandri; molto è stato fatto, ma occorre un coordinamento più stretto tra la Presidenza del Consiglio, il Ministero dell'interno ed il Ministero dei beni e delle attività culturali. Si tratta infatti di un grande problema che riguarda il legame tra poteri criminali e contraffazione: non mi riferisco al ragazzo che copia il disco o il libro, ma alle grandi industrie della criminalità. Esiste una difficoltà di applicazione della legge sulla contraffazione ed un problema di raccordo con il Ministero dell'interno: talvolta si oscilla tra un eccesso di repressione, magari del consumo domestico, ed una mancanza di capacità di coordinamento riguardo alla grande contraffazione. Credo che questo sia un tema molto sentito da tutte le associazioni riunite nella federazione antipirateria e che sia opportuno procedere - ripeto - ad un coordinamento.
Le competenze sul diritto d'autore sono attribuite a vari organi: la Presidenza del Consiglio (il dipartimento), la SIAE, il Ministero dell'interno per gli aspetti repressivi ed il Ministero dei beni e delle attività culturali. Durante il processo di riforma del ministero fu ipotizzato un trasferimento di delega: sarebbe opportuna l'individuazione di una interfaccia molto forte, forse addirittura di una direzione generale del ministero, comunque di un unico punto di coordinamento - non sta a me indicarlo - e di riferimento per la riforma della SIAE, su cui c'è una proposta molto raffinata ed attenta curata dalle onorevoli Grignaffini e Chiaromonte (fu seguita, nella precedente legislatura, dall'onorevole Bracco). Mi pare importante, nel quadro della riforma della SIAE, sollecitata da molti gruppi parlamentari in più occasioni, porre il tema della tutela del diritto d'autore: ciò non significa conservare ma affinare, coordinare, recepire le direttive europee, facendo in modo che i nostri autori non siano quelli maggiormente protetti - sono d'accordo con il collega Rositani - o assistiti, ma neanche l'inverso. Viaggiando in Francia, Germania e Gran Bretagna, si scopre che in quei paesi è presente una forte difesa del diritto d'autore ed una forte rivendicazione, rispetto agli Stati Uniti, della tutela del marchio del diritto d'autore, a fronte di un nostro procedere schizofrenico con un eccesso di assistenza o con un difetto di tutela, che sono pratiche diverse. L'assistenzialismo è una degenerazione, molto diversa dal senso dello Stato e dalla tutela del proprio patrimonio, dei propri autori, dei propri giacimenti culturali.
Vorrei porre il problema delle quote di produzione italiana ed europea: ho letto interviste difformi sul fondo di garanzia per il cinema e sulle quote di produzione nazionali destinate ai grandi gruppi televisivi quali Mediaset, RAI, televisione digitale del futuro e La7 (se si svilupperà). Abbiamo recepito con grande ritardo - questo fu uno degli impegni maggiori del ministro Melandri - le direttive europee sulla quota di produzione europea e nazionale. La preoccupazione riguardava la forte presenza degli Stati Uniti in questo settore ed una massiccia invasione di tutto il settore televisivo; avevamo verificato una riduzione del ruolo dei grandi produttori e distributori, di piccoli produttori indipendenti, degli autori, degli sceneggiatori, di un complesso di figure professionali. Il


Pag. 14

problema ora è la richiesta del duopolio (che in Italia, ormai, è come il pensiero unico che detta le regole: questo è inaccettabile sia da parte della RAI, sia di Mediaset), della riduzione e della eliminazione delle quote.
Signor ministro, è necessario un raccordo con le altre norme europee perché sarebbe sciagurato e pericolosissimo - un segnale devastante per il mondo culturale alla vigilia del festival di Venezia - ridurre le quote, oggi non ancora applicate, perché le autorità di garanzia non verificano la mancata applicazione delle quote da parte dei gruppi industriali italiani. Ritengo perciò che dovremmo agire con grande attenzione.
Cito un solo esempio: quando l'intero Parlamento pose la questione del rapporto tra televisione, spettatori minori e pubblicità, non riuscì ad ottenere nulla, perché scalfiva un punto di percentuale a danno dei grandi gruppi, che si ritenne più opportuno tutelare al posto dei cittadini. Critico in primo luogo me stesso, ma dobbiamo sapere che ci vuole un nuovo equilibrio in questo settore, perché è rischiosissimo e pericoloso.
È stata approvata una legge sull'editoria: in questi giorni si dovrà varare un regolamento, di competenza della Presidenza del Consiglio. Una parte della legge riguarda l'apertura del credito alle case editrici italiane: le quattro grandi società (Feltrinelli, De Agostini, Rizzoli, Mondadori), il mondo delle associazioni di tutti i librai italiani, la piccola e media editoria, un comparto enorme che comprende l'editoria specializzata e le librerie. Queste ultime poi rappresentano una parte non conservatrice del tessuto urbano: chi vive in una città di medie dimensioni sa che la libreria è un punto di riferimento intelligente, di cui deve essere garantita l'esistenza, accanto ad Internet. La legge e poi il regolamento disciplinano le modalità di erogazione del credito alle case editrici: al riguardo ritengo opportuno un raccordo molto stretto tra i due ministeri.
Nella scorsa legislatura non riuscimmo ad approvare la legge organica sul libro, presentata dal ministro Melandri e sulla quale si svolse una lunga discussione: non fu varata perché dovemmo affrontare prioritariamente la parte relativa all'editoria. Ci sono vari progetti sul libro, sullo sviluppo della lettura, sull'opportunità di varare una legge organica: penso che esistano tutte le condizioni perché il Parlamento la approvi a larghissima maggioranza, lanciando il segnale che esiste una forte attenzione, non in termini assistenzialistici ma strutturali, per lo sviluppo della lettura e per favorire una serie di azioni positive già concordate. Credo che questo sia un lavoro che possa vederci tutti protagonisti.
La questione del finanziamento per la ricostruzione di Umbria e Marche, in seguito al terremoto, è stata affrontata in più occasioni e può apparire parziale, ma credo non debba essere dimenticata: oggi esiste il problema di garantire i finanziamenti, in occasione dell'approvazione della prossima legge finanziaria, sia per la ricostruzione civile sia per la parte che riguarda il Ministero dei beni e delle attività culturali. Mi permetto di rivolgere una sollecitazione al ministro Urbani, che si è impegnato su tale problema anche nella scorsa legislatura: è necessario garantire i finanziamenti per completare la ricostruzione, ma anche impegnare il ministero, come è stato confermato nell'accordo di programma tra la regione Umbria ed il Ministero dei beni e delle attività culturali; si tratta di un accordo triennale, che prevede un monitoraggio per gli interventi in atto nei principali beni culturali. Mi riferisco a Fabriano e Tolentino, ma anche a Santa Chiara d'Assisi, alla Rocca di Assisi, all'ex seminario di Gubbio, a Foligno: signor ministro, avanzo la richiesta di un suo possibile incontro con i rappresentanti delle due regioni per effettuare un monitoraggio sui temi della ricostruzione, verificando quali siano le emergenze da completare. Vorrei evitare l'atteggiamento di chi, passato all'opposizione, chiede risorse senza porsi alcun problema: non è serio, sono a favore del rispetto delle regole e del rigore della compatibilità in ogni occasione. Si tratta di verificare l'entità dei finanziamenti già


Pag. 15

stanziati, le modalità di erogazione e se sia possibile intervenire con serietà, senza clientelismo, attuando interventi già previsti: mi è sembrato che l'accordo di programma cui mi riferivo fosse stato approntato con serietà ed intelligenza, realizzato da tecnici straordinari che ho visto in azione sia nelle Marche sia in Umbria. Mi parrebbe importante, stimolando il ruolo della Commissione d'intesa con il ministro, compiere un sopralluogo per verificare insieme ciò che deve essere ancora completato. Questo problema riguarda due regioni e deve essere affrontato per tempo.
Da ultimo, vorrei porre la questione, sollevata durante un convegno molto importante, delle grandi feste di tradizione popolare in Italia: è un tema abbandonato, in un paese che ha moltissime feste tradizionali, che sono sparite o che rischiano di essere considerate solo folklore, mentre alcune hanno una forte tradizione storica, che è la parte migliore della nostra memoria; non si tratta di folklore, ma della memoria di feste che affondano le proprie radici nei secoli, che non hanno bisogno di mance o di riprese televisive clientelari, ma di aiuto, di defiscalizzazione, di coordinamento (anche dal punto di vista dei calendari dei programmi). Talvolta si può intervenire anche con poca spesa: mi sembra opportuno intervenire su argomenti che nel lavoro di Commissione rischiano di sparire e che invece meritano di essere discussi più approfonditamente in seguito.
Ringrazio il ministro per l'attenzione: ho ascoltato alcuni interventi che hanno fatto riferimento alla «pesantezza» dei precedenti governi e a questa sorta di rivisitazione del cinquantennio della storia precedente: collega Rositani, sottolineo - perché resti a verbale - che ho un'idea diversa dalla sua. Spesso ho verificato un eccesso di flessibilità, ma non di attenzione: forse avremmo dovuto essere più attenti alla formazione pubblica, allo spirito pubblico e ad un intervento intelligente nel settore dei beni culturali.
Ringrazio nuovamente il ministro Urbani, ma anche quelli che lo hanno preceduto: i ministri Veltroni e Melandri. Signor ministro, sono convinto che la parte sostanziale della loro impostazione, che ritengo importante e da confermare, perché seria, europea e condivisa, troverà il suo assenso e quello della Commissione.

GIOVANNA MELANDRI. Vorrei ringraziare il ministro Urbani, che conosco come persona moderata ed intelligente. Ho un elemento di imbarazzo nell'intervenire durante questa prima occasione di confronto con il Governo, che voglio immediatamente rendere esplicito: infatti la scorsa settimana, durante la prima parte dell'audizione, il ministro ha precisato che non intendeva presentare un programma dettagliato di interventi, perché ancora sottoposto allo studio. Mi si permetta di notare, riguardo all'impianto della relazione, l'assenza di un progetto complessivo, seppur solo abbozzato. È curioso il fatto che questa prima discussione in Commissione si svolga in libertà, senza un progetto complessivo, anche solo accennato. Credo che i temi che si dovranno affrontare in questa legislatura siano collegati all'idea dell'insieme delle competenze del nuovo Ministero dei beni e delle attività culturali. Vorrei dire (traggo questa riflessione dalla lettura dei giornali e non dalla relazione del ministro), che riportare l'attività di indirizzo politico delle politiche culturali, alla caccia del problema singolo, puntuale e parziale - come sembra perseguire il suo sottosegretario, onorevole ministro - equivale a far compiere al ministero in senso inverso il cammino di crescita percorso in questi anni, di cui rivendichiamo il merito.
La prima domanda che rivolgo al ministro riguarda il fatto che credo sarebbe utile fissare, fin da oggi, una scadenza una volta soddisfatte quelle esigenze di studio che lei, signor ministro, ha rappresentato, al termine della quale calendarizzare una sua nuova audizione, così da consentire alla Commissione di conoscere con chiarezza l'agenda, le priorità e le linee della politica culturale del nuovo Governo.
Devo anche dire che, nell'elencare le aree di competenza, il ministro ha dimenticato di citare - non so se casualmente -


Pag. 16

le nuove attribuzioni del ministero: ciò mi ha particolarmente colpito, perché non sono state nominate le competenze nel settore dell'arte e dell'architettura contemporanea, la promozione della lettura (non le biblioteche, ma la nuova competenza della promozione della lettura), la disciplina del diritto d'autore, come ha spiegato molto bene l'onorevole Giulietti.
Forse è necessaria una riflessione preliminare; traggo qualche spunto e qualche preoccupazione dall'intervento dell'onorevole Bianchi Clerici: siamo di fronte ad un passaggio delicato, collegato al progetto di devoluzione, di trasferimento alle regioni di competenze in molte materie, che ora afferiscono allo Stato. Non vorrei che quella esigenza di studio, che il ministro ha sottolineato come necessaria, preluda ad un'idea, presente nella maggioranza e nel Governo, di devoluzione delle competenze del Ministero dei beni e delle attività culturali. Voglio dirlo sinceramente e spero di essere smentita o contraddetta, ma l'assenza di linee programmatiche mi fa ritenere che questo sia un rischio molto serio. Devo anche dire che mi colpisce il silenzio sul tema del partenariato con le regioni: nella scorsa legislatura è stata scelta una linea di salda difesa della dimensione nazionale delle politiche culturali e, nello stesso tempo, di forte accelerazione di tutte le forme di partenariato, partecipazione, cofinanziamento tra Stato e regioni, dei principali progetti inerenti al patrimonio culturale italiano. Personalmente, ho ratificato, in meno di tre anni sei accordi quadro di programma con regioni governate da amministrazioni di diverso orientamento politico: questa ci è sembrata la soluzione adatta ad un paese che non rinuncia all'identità culturale intesa come identità nazionale e che, allo stesso tempo, spinge l'acceleratore nella direzione del partenariato con le regioni. Ho appena sentito dire, invece, che questo settore deve essere oggetto dei processi di devoluzione. A nome del mio gruppo, preannuncio che ci opporremo fortemente ad ipotesi di questo genere.
Il ministro ha inoltre denunciato l'impossibilità di presentare le cifre relative al turismo culturale: vorrei rammentargli, in modo sommesso, che il ministero dispone di strumenti per rilevare tale dato nei musei statali e che sono disponibili quelli relativi al 2000 ed ai primi mesi del 2001. Credo sia necessario partire da questi dati, anche per pronunciare parole più precise riguardo ai programmi dell'attuale Governo sui circa 220 cantieri aperti, finanziati con i fondi del Lotto (piano triennale Lotto 2000-2002), che sono i veri, grandi cantieri della cultura italiana e che la furia iconoclasta del suo sottosegretario, signor ministro, tende a dimenticare: questa Commissione è autorizzata a chiederle che cosa farete dei grandi Uffizi, della nuova Brera, del raddoppio della galleria dell'Accademia a Venezia, di Venaria, della Reggia di Caserta, dei nuovi progetti per l'arte contemporanea....

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Credo che le rispondano i giornali di questi ultimi due giorni ...

GIOVANNA MELANDRI. No, non sono risposte puntuali, perché esiste un indirizzo: i circa mille miliardi, provenienti dal gioco del Lotto, che sono stati investiti per i grandi progetti del cantiere della cultura italiana, devono trovare un sostegno. Prendo atto che lei considera suo obiettivo il mantenimento, anzi l'accrescimento di un flusso costante di risorse destinate al patrimonio storico artistico.
A fronte di questa dichiarazione di principio, mi sembra si riscontri una totale assenza di indicazioni concrete: stiamo fortunatamente svolgendo la nostra discussione in coincidenza con la presentazione del documento di programmazione economico-finanziaria, dalla cui visione informale (ma nelle prossime ore avremo modo di approfondirne i dettagli), mi risulta che esso - divenuto uno degli atti nei quali vengono indicate le priorità di azione anche in tale settore - per la prima volta, dopo cinque anni, non contenga una parola sulle politiche culturali.
Quest'anno, dunque, «buio pesto».
Esprimo ancora il mio imbarazzo perché, a fronte di un'assenza di individuazione


Pag. 17

di linee programmatiche, il documento di programmazione economica e finanziaria «parla», e lo fa con «assordante» silenzio: non so se dovremo aspettarci un analogo silenzio durante l'esame della legge finanziaria.
Lei, signor ministro, fa bene ad identificare come il «cuore» dell'azione del suo dicastero l'attività di tutela; concordo profondamente - vorrei dire perfino culturalmente - con lei quando esprime il timore che la tutela possa diventare il trionfo della soggettività, una preoccupazione che, però, forse deve diventare oggetto di dibattito da avviare nelle stanze di quella amministrazione. Non posso che essere d'accordo con lei se si riferisce alla soggettività, soprattutto, degli organi politici preposti alla tutela, e che invece, a mio avviso, dovrebbero fornire le linee di indirizzo limitandosi a questo perché il Minculpop è presente anche nei beni culturali, allorché si esercita la funzione di governo, dove è il «principe» che definisce i confini dell'estetica.
Credo che gli organi politici debbano fornire le linee di indirizzo e non certo compiere scelte puntuali; invece le scelte tecniche puntuali - questo è stato un faro della precedente amministrazione di cui rivendico con forza la scelta - vanno affidate alla responsabilità ed alla competenza dei tecnici. È evidente che vi sono margini di errore quando esiste la discrezionalità, ed in particolar modo in materia artistica, e quando è in gioco la dimensione estetica degli oggetti di tutela, ma deve essere chiaro che forza, autorevolezza ed affidabilità di questo ministero sono legate a «filo doppio» all'autonomia decisionale sui casi puntuali degli organismi tecnici rispetto all'istanza politica. Lei è stato allievo, e credo anche amico, del ministro Spadolini.

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Sì!

GIOVANNA MELANDRI. Ebbene, tale autonomia è un faro della cultura democratica e liberale del nostro paese: mi auguro che questa legislatura non ci veda tornare indietro. Ho dunque apprezzato le sue parole sull'importanza della tutela, ma è un principio che non basta pronunciare, bisogna concretamente attuarla e verificarla. Discuteremo poi sugli indirizzi, in base alla sua relazione, ma il Governo Berlusconi ha già presentato un atto che «parla» abbastanza chiaramente: nelle pieghe dei regolamenti di deregulation nel campo delle opere pubbliche emanati dal suo Governo e che hanno iniziato il loro iter in Commissione al Senato si nascondono dei fortissimi pericoli per la tutela del patrimonio storico ed artistico che, a mio giudizio, il ministro Urbani sottovaluta o, forse, ignora. Mi riferisco all'atto Senato n. 374, presentato dai ministri Lunardi e Matteoli, che si ispira allo slogan «padroni in casa propria» (i cittadini italiani padroni di casa propria). Nella relazione che accompagna il testo, che prevede la realizzazione di opere pubbliche e la liberalizzazione delle ristrutturazioni interne degli edifici, si fa menzione di una considerazione particolare per gli immobili vincolati: questo è contenuto nella relazione! Il riferimento, peraltro riportato in termini generici e fumosi, è ad un'autorizzazione concessa dall'organo preposto istituzionalmente alla tutela del vincolo, senza specificare le modalità e le condizioni per la concessione o il diniego di tale autorizzazione. Considerando che stiamo parlando di palazzi storici vincolati e di grande pregio, questa leggerezza mi pare, già di per sé, colpevole, ma soprattutto, ed è questa la cosa più grave che voglio segnalare, nell'articolato del provvedimento, precisamente nell'articolo 2, nel quale non si fa alcuna menzione della necessità di una disciplina specifica - lo sottolineo - per gli immobili vincolati! Questo porta ad alcune considerazioni: l'assenza di ogni indicazione nel testo e la presenza di generiche previsioni nella relazione può ingenerare solo confusione al momento della applicazione della norma.
Credo che la Commissione debba sapere qual è la sua posizione, signor ministro, nei confronti del piano di infrastrutture ed opere annunciato dal ministro Lunardi. Le chiedo ancora se proseguirà la


Pag. 18

stagione delle pressioni da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e dei suoi dirigenti, per l'abbattimento degli «ecomostri» nel nostro paese. Sarà in grado il ministero di imporre con forza alle amministrazioni la necessità di non ripercorrere la logica del condono che ha devastato le nostre coste ed il nostro paesaggio? Apprezzo, signor ministro, la sua moderazione, ma su questi problemi vorrei sentire alta e forte la sua voce.
Il «buio» ed il silenzio «assordante» del documento di programmazione economica e finanziaria sono - ripeto - preoccupanti. Ricordo che nel corso degli ultimi cinque anni il bilancio e le voci di finanziamento del Ministero dei beni e delle attività culturali sono cresciuti costantemente e ciò ha permesso, ad esempio, il rilancio di una attività di recupero che vede, in questo momento, in funzione centinaia di cantieri in tutta Italia e vorrei sapere come verrà garantito il prosieguo di tali attività.
A proposito di un'altra iniziativa del Governo Berlusconi, trovo che vi sia una palese contraddizione tra ciò che lei, signor ministro, ha affermato in questa sede la scorsa settimana - in merito al raccordo sempre più forte tra beni culturali e scuola - e la decisione governativa di sospendere l'entrata in vigore della riforma dei cicli - visto che la Commissione è competente anche in materia di riforma della scuola -, che andava esattamente in quella direzione. Come lei sa, in quella riforma era previsto finalmente l'inserimento di alcune discipline e insegnamenti, dalla musica all'arte, anche nella scuola di base, molto importanti per far crescere e sviluppare, «dal basso» una formazione alla cultura, all'estetica, eccetera.
Mi auguro che la tensione creativa e la folgorante ispirazione artistica che sembra essersi impossessata delle più alte cariche del ministero, ceda ben presto il posto ad una seria attività di ricognizione dell'esistente, di proposta di ulteriori strumenti per conservare e rafforzare il rango che compete alle politiche culturali. Tra l'altro lei, signor ministro, ha tralasciato di menzionare che non abbiamo avviato solo alcuni canali di finanziamento straordinario come il Lotto, ma abbiamo favorito anche l'ingresso stesso nel CIPE di questo ministero e l'individuazione in Agenda 2000 di un asse culturale, che oggi può contare su 5 mila miliardi per le regioni a obiettivo 1, risorse che hanno veramente modificato ed elevato il rango di questa amministrazione. Tra l'altro, ricordi che Agenda 2000 nel sud è un treno che non passa due volte, per cui occorre impegnare la capacità di programmazione e di coprogrammazione del ministero con le regioni, come abbiamo già fatto con alcuni accordi quadro di programma con la Basilicata e la Campania.
Mi sono permessa di ricordarle questi aspetti perché davvero sarebbe importante per il nostro paese proseguire, per quanto possibile, con uno spirito bipartisan nella direzione di elevare il rango delle politiche culturali e di rafforzare l'identità culturale del nostro paese.
Ho letto nella sua relazione - un passaggio non posso tralasciarlo - che mi riguarda direttamente e dalla cui lettura derivo che lei, in maniera apparentemente alternativa a come mi sarei comportata io, ha dichiarato che non si dedicherà a tagliare nastri in occasione di alcune manifestazioni: me ne compiaccio e glielo auguro davvero. Voglio però farle presente che vi sono tagli di nastri poco utili ed effimeri, destinati a concludersi senza lasciare alcuna traccia: in questo caso lei farà bene a non andare tagliarli. Vi sono poi nastri che vengono tagliati a conclusione di uno sforzo e di un'attività portati a termine con passione, coraggio e tenacia da migliaia di tecnici, sovrintendenti e restauratori, che quella amministrazione vede all'opera quotidianamente; in questi anni siamo stati al loro fianco, affrontando difficoltà e intoppi, dandoci scadenze e cronoprogrammi molto rigorosi; insieme a loro, con grande gioia e soddisfazione, abbiamo festeggiato la fine di lavori importanti per tutto il paese. Ricordo Milano con la conclusione del restauro del Cenacolo vinciano, Assisi, Firenze, Roma, ma non solo, anche a Montefalco quando abbiamo concluso le opere di restauro del


Pag. 19

ciclo di affreschi di Benozzo Gozzoli, Paestum, Palestrina, Arezzo e Benevento con la straordinaria restaurazione dell'arco di Traiano. In tutti questi luoghi dove abbiamo lavorato per restituire il nostro straordinario patrimonio artistico agli italiani i nastri li ho tagliati!
Le auguro, onorevole Urbani, di lavorare con la stessa tenacia per poter tagliare anche lei qualche nastro; ciò significherebbe che in questa legislatura qualche cantiere, oltre ad essere aperto, sarà anche chiuso.

ENZO CARRA. Signor presidente, signor ministro, le considerazioni e le riflessioni dei colleghi, gli onorevoli Melandri, Giulietti e Colasio, mi lasciano uno spazio d'intervento, tutto sommato ridotto, per alcune ulteriori considerazioni. Parto da una definizione che ho sentito pronunciare, all'inizio dei nostri lavori, a proposito dell'andazzo della cultura. Credo che la Commissione dovrà badare a tale andazzo, cercando di fare ragionamenti seri, piuttosto che produrre altro materiale per un saggio sul riso: capisco, per esempio, che vi è grande attesa nel mondo dello spettacolo; non so se sia una attesa relativa ai palinsesti di Mediaset.
Signor ministro, ho ascoltato il suo intervento pacato e riflessivo, per la verità, rivolto soprattutto all'interno del suo stesso ministero. Un effervescente sottosegretario ha detto che lei è un uomo mite, delicato, gentile e che assomiglia a suo padre. Lei stesso, signor ministro, si è definito un problem solver, un uomo che risolve i problemi. Lei così si è autoassegnato un ruolo da mister Wolf nel film Pulp fiction di Quentin Tarantino, e può darsi che questa sia la situazione nella quale nei prossimi mesi....

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Non ho visto il film, quindi non capisco a chi si sta riferendo.

ENZO CARRA. Le conviene vederlo; comunque mister Wolf è quell'uomo leggiadro con un impeccabile smoking, che arriva a risolvere il problema delle chiazze di sangue che impestano i muri, conseguenza degli omicidi di questo «allegro mattatoio» di Quentin Tarantino: spero che questa non sia la situazione nella quale vi verrete a trovare.
Anzi, vorrei che l'analogia - assolutamente ironica, come può immaginare - finisca qui. Lei ha affermato di aver risolto il problema delle deleghe con progetti-obiettivo: benissimo, spero che questi obiettivi non li debba leggere sui giornali. Lei ha parlato, succintamente, del duomo di Pisa, di Siracusa, di allestitori (tedeschi piuttosto che italiani) e penso che anche questa potrà essere un'ottima occasione di business. Ha parlato di finanziamento dei beni culturali in particolare con i proventi del Lotto (lo ricordava Giovanna Melandri poco fa), salvo poi domandarsi se il Lotto possa andare fuori moda. Ci sarà comunque il Bingo, le corse dei cavalli ....

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. È quello che temo.

ENZO CARRA. Pensateci subito, signor ministro, potrà esserci anche quello, in fondo se abbiamo accettato....

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Non ho visto quel film, però lei non ne ha visti altri! Il suo è un brutto film e non l'ho visto.

ENZO CARRA. Non è un brutto film, signor ministro.

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. È un brutto film! Vi sono film molto più...

ENZO CARRA. Non è un brutto film. Questo, signor ministro, detto da...

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Risparmi le volgarità.

ENZO CARRA. Non è una volgarità.


Pag. 20

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Le volgarità che usa le risparmi!

ENZO CARRA. Non è una volgarità, quello è un bellissimo film!

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Lei è un uomo volgare!

ENZO CARRA. No, mi scusi, questo non glielo consento... È un bellissimo film!

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Sta usando delle volgarità!

PRESIDENTE. Vi pregherei ...

ENZO CARRA. Presidente, non so quale sia la volgarità alla quale si riferisce il ministro.

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Si vergogni!

ENZO CARRA. Questa valutazione la tenga per sé. Lei non ha rivolto critiche ai suoi predecessori e di questo prendo atto.

PRESIDENTE. Onorevole Carra, la prego. I biglietti da visita ve li siete scambiati, come diceva Manzoni. Prosegua il suo intervento.

ENZO CARRA. Non ho mai interrotto il mio intervento.
Lei, signor ministro, non ha rivolto critiche ai suoi predecessori - ha fatto bene - e di questo ho preso atto con molto piacere. Oggi però ha una responsabilità in più rispetto a quelle dei suoi predecessori ed è quanto voglio dirle se non lo considera volgare. Non si tratta di discutere - come pure lei ha fatto nel suo intervento introduttivo - di cultura di destra o di sinistra, di film di destra e di sinistra. Oggi con il Governo di cui lei fa parte ci troviamo in una situazione del tutto speciale rispetto a queste distinzioni classiche e piuttosto superate: ci troviamo in presenza di un produttore, organizzatore, megaeditore, che manda in onda il paese e non vorrei ascoltare appelli alla libertà della cultura da parte di chi ha la proprietà dei mezzi attraverso i quali la cultura si esprime e si diffonde nella realtà. Perciò avete - ripeto - una particolare responsabilità in più rispetto ai vostri predecessori.
Lei ha detto che non interpreterà il suo ministero come un Minculpop: sono sicuro che farà così e le credo; forse qualcun altro ha questa tentazione, ma immagino che tutti noi saremo in grado di fargliela passare. Anzi, conoscendo la sua sensibilità, le affidiamo soprattutto il ruolo, che non è volgare perché mister Wolf era tutt'altro, di rappresentare le nostre preoccupazioni, anche in seno al Consiglio dei ministri. Lei deve interpretare al meglio questo ruolo di moderatore. Giovanna Melandri ha ricordato l'onorevole Spadolini, il quale (anch'io ho avuto modo di conoscerlo) era sanamente intemperante ogni volta che aveva davanti disegni liberticidi come lei lo sa benissimo. Ora non dobbiamo parlare di ciò perché non è questa la sede e non abbiamo alla nostra attenzione neanche disegni del genere; però mi consentirà di dirle che per un Governo favorevole alla cultura e alla libertà di pensiero - ossia che è per la libertà di pensiero e di espressione - ciò può essere addirittura una minaccia se non ben guidato, anche per persone come lei. Si ha bisogno di avere, al di là di queste minacce, assicurazioni che tranquillizzino e garantiscano. Perciò le chiediamo di corrispondere a tale ruolo che credo sia tutt'altro che volgare sia come preoccupazione sia come raccomandazione. Di questo le chiederemo conto tutte le volte che verrà qui a riferire.

PAOLO SANTULLI. La ringrazio, signor ministro, per la chiarezza della sua relazione, soprattutto perché ci dà la possibilità di poter fornire qualche contributo. Reputo necessario svolgere un brevissimo intervento (lei ha suddiviso i nostri compiti in quattro «famiglie»), dato che mi soffermerò su una famiglia che finora


Pag. 21

nessuno ha trattato, la più povera, quella della tutela dello sport, che pure rientra tra le competenze di questa Commissione. Lo ritengo un argomento di grande importanza e credo necessario fare qualche passaggio importante in questa Commissione. Abbiamo la possibilità, investendo sia il ministro dei beni e delle attività culturali, sia il ministro dell'istruzione, di redimere sinergicamente degli interventi in relazione a questo argomento.
Ritengo che la vigilanza sullo sport possa partire da una cultura sportiva che deve realizzarsi nella scuola, signor ministro, dove in questo settore si investe purtroppo molto poco. Negli anni scorsi sono stati presentati progetti interessanti, sono stati avviati, ma poi sono stati abbandonati; oggi vi è la possibilità - e a questo proposito le preannunzio che presenteremo un ordine del giorno - di riprenderli e migliorarli, come vi è la necessità di riprendere e migliorare tutti i protocolli d'intesa intercorsi tra il Ministero della pubblica istruzione, quello dei beni culturali e i vari enti in relazione ad interventi sinergici tra scuola e sport. Pertanto, spero che il ministro si ricorderà di ciò (per quanto attiene alla sua possibilità di intervento), quando bisognerà chiedere al Governo di adottare provvedimenti economici a favore dello sport, soprattutto per quello scolastico: il fenomeno del doping e la violenza negli stadi si combattono con un'educazione allo sport, di cui la scuola è responsabile.
Ringrazio il ministro e preannuncio, come ho detto, la presentazione di un ordine del giorno puntuale su questo argomento.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al ministro Urbani per consentirgli di svolgere la replica, vorrei esprimere due brevissime considerazioni di carattere personale.
Ringrazio il ministro per la sua relazione e gli onorevoli colleghi per i loro interventi. Nel momento in cui sono stato eletto presidente mi è stato riferito che, accanto ad ovvi ed importanti scontri politici, che la nostra è una delle Commissioni maggiormente improntata allo spirito bipartisan, come possono testimoniare i colleghi che ne facevano parte. L'onorevole Volpini mi ha descritto episodi significativi che testimoniano (fermo restando le diversità ed i conflitti che sono il «sale» della politica), un rapporto di collaborazione nell'individuare i problemi e le soluzioni legislative, nello spirito del problem solver. Mi auguro che la continuità con tale impostazione venga assunta, in questa legislatura, come un dato positivo: qualche scontro alla Pulp fiction è ben accetto, basta non cambiare film passando a Natural born killers, caratterizzando il lavoro parlamentare con complesse operazioni di tipo polemico - elettorale e conflittuale: mi rivolgo ai colleghi di tutti gli schieramenti.

ENZO CARRA. Non c'è dubbio.

PRESIDENTE. Vorrei riprendere una considerazione che ho svolto in apertura della seduta: tutte le parti politiche, prima delle elezioni e durante la campagna elettorale, hanno sostenuto che esiste un primato culturale italiano da ricostruire, al quale ridare finalmente nuova efficienza; qualcosa sicuramente è stato fatto in questo senso. Il primato culturale italiano, che storicamente si è espresso nelle arti ed in tutte le discipline del pensiero umano, è dunque il nostro obiettivo (nessuno, qui presente, lo contraddice): si tratterà di capire quali sono le forme più adeguate - su cui ci potrà essere conflitto - per raggiungere questo scopo comune. In proposito, abbandonando per un momento il ruolo di presidente, vorrei approfittare della presenza del ministro per porre un quesito, non di carattere istituzionale e neanche pienamente dentro la logica politica di chi deve governare un ministero. Poiché ci si è più volte riferiti al Minculpop ed al rapporto tra cultura e politica (il diverbio garbato tra l'onorevole Rositani e l'onorevole Giulietti alludeva anche a tale questione), vorrei segnalarvi un problema storico, la cui soluzione non è semplice.
Nessuno vuole imporre linee politiche all'estetica, agli intellettuali oppure esprimere


Pag. 22

concezioni del rapporto tra cultura e politica di stampo totalitarista. È anche vero però - il ministro Urbani lo ricordava - che esiste una contraddizione nella storia dell'umanità per cui le creazioni più importanti degli intellettuali sono quasi sempre avvenute quando un potere ha deciso di assumere con forza l'obiettivo dello sviluppo della creatività del paese. Ciò è accaduto, con la cupidigia del potere o con il servilismo degli intellettuali, sotto diversi regimi: quando la Chiesa esercitava un potere temporale, nel rinascimento, ha prodotto guasti dal punto di vista politico, ma enormi capolavori dal punto di vista culturale; è avvenuto in regimi, democraticamente e storicamente rilevanti, come quello di Roosevelt: se egli non avesse avuto particolari rapporti con Frank Capra e l'idea di orientare la cinematografia hollywoodiana secondo alcuni criteri, probabilmente in quel paese non si sarebbe sviluppata la cinematografia nel modo in cui oggi la conosciamo. Ovviamente, è necessario citare le culture totalitarie (il fascismo scelse una linea architettonica, che può piacere o meno) e regimi che hanno un'idea forte dello Stato: Mitterrand è riuscito a costruire il Beaubourg; probabilmente, in Italia non è nemmeno concepibile l'idea di concedere ad un artista come Renzo Piano la libertà di costruire, al centro di Roma, una struttura analoga al Beaubourg.
La questione del rapporto tra cultura e politica e del ruolo che il potere deve avere nello stimolare e nel promuovere la creatività di un paese, non è semplice da risolvere: questo è l'unico dubbio che avanzo, senza intervenire nel dibattito, approfittando della presenza di un intellettuale come il ministro dei beni culturali per segnalare la questione di difficile soluzione del rapporto tra cultura e politica. Da un punto di vista liberale può essere considerata positiva la critica, rivolta al ministro, di non avere un progetto.
Do la parola al ministro Urbani, che risponderà alle nostre domande.

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Considero infatti un pregio la mancanza di progetto, se per questo si intende l'assenza di una direttiva centralistica e statalistica.
Provo un profondo imbarazzo ad intervenire per una ragione procedurale ed organizzativa: era infatti mia intenzione rispondere puntualmente a tutte le questioni sollevate e poi svolgere alcune considerazioni conclusive. Mi scuso, perché non potrò procedere in questo modo: dovrei impiegare un tempo, che non è a nostra disposizione, più o meno equivalente a quello dei vostri interventi. Mi soffermerò su considerazioni di carattere generale che dovrebbero avere, a parte la battuta iniziale, il pregio di fornire indicazioni sulla «bussola» del Governo (uso un'espressione che avevo già adoperato), sui grandi criteri ispiratori di ciò che intendiamo fare, lasciando ad altri momenti le risposte puntuali.
Ringrazio il collega Colasio perché ha messo a disposizione un testo scritto, che è più fedele di qualsiasi trascrizione e che faciliterà il mio compito. Nel futuro, non potremo che trovare le modalità di risposta nella scelta del metodo di lavoro individuato dalla Commissione: per quanto mi riguarda sono, ovviamente, disponibile. Dagli interventi che ho ascoltato, ho compreso che posso apprendere molto e che possiamo approntare scelte più equilibrate e meditate proprio grazie a considerazioni critiche, positive e negative, che mi sono state rivolte. Mi scuso pertanto con il presidente ed i commissari se svolgerò una replica concentrata su poche questioni.
Il normale metodo di lavoro della Commissione dovrebbe essere improntato ad uno spirito bipartisan, perché si occupa del settore dei beni culturali (e di altri di sua competenza) che costituiscono ciò che, classicamente, gli economisti chiamano i beni pubblici. Potremmo riscontrare molti dissensi (come è ovvio, giusto e utile), sulle modalità di produzione ma, siamo tutti d'accordo sul fatto che è nostro dovere perseguire soluzioni in un settore di interesse generale.
Il sistema elettorale prevalente è maggioritario e uninominale e quindi siamo tutti interessati, comprensibilmente, a


Pag. 23

qualche territorio: da quando ho l'onore di ricoprire l'incarico di ministro, ho ricevuto le telefonate di moltissimi colleghi (non di tutti, sarebbero troppi), tanto che se continuerà in questo modo, prima della fine dell'anno, dovrò ascoltarli almeno due volte....

GIOVANNA MELANDRI. Sicuro, ministro, sicuro.

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. È un fatto estremamente positivo ed ho notato, onorevole Melandri, che la collaborazione con i rappresentanti dell'opposizione avviene in maniera naturale e senza grandi problemi: ad esempio, ieri mi trovavo a Pisa, su sollecitazione dei nostri parlamentari (non deputati locali, perché in quei collegi uninominali la Casa delle libertà non ha propri candidati eletti) che abitano nella zona e dell'onorevole Berlinguer, che aveva particolarmente sollecitato la presenza del Governo a Pisa. Nei fatti quotidiani ciò è inevitabile: se troveremo indicazioni di modalità specifiche d'intervento riguardo a questo aspetto, le seguirò ben volentieri.
Ringraziando ancora una volta tutti i deputati per le sollecitazioni venute dai loro interventi, vorrei affrontare la questione centrale che i colleghi dell'opposizione hanno espresso con la formula della delusione, mentre quelli della maggioranza hanno apprezzato l'umiltà e la «fattività» della relazione, per spiegare le ragioni della mia scelta, che considero obbligate. L'onorevole Melandri avrà la pazienza di ascoltare l'esposizione di un quadro non roseo della situazione che ha reso obbligate alcune decisioni. Sono stato felice di prendere atto degli importanti progressi compiuti nel corso dell'ultima legislatura per effetto dell'iniziativa dell'ex maggioranza di governo, limitandomi ad argomenti di carattere generale: la questione del finanziamento, del Lotto, l'apertura ed i nuovi orari dei musei, i cantieri cui si è riferita l'onorevole Melandri. Mi limito a citare i temi essenziali, ma credo che sia doveroso riconoscere lo sforzo compiuto. La campagna elettorale si è svolta in maniera un po' barbarica, ma qualunque sforzo di costruzione per il futuro deve partire dal riconoscimento di ciò che di buono è stato fatto. Barerei con me stesso, con chi mi ha votato, con la maggioranza parlamentare che appoggia questo Governo e con l'opposizione se non dicessi la verità. Ho un vizio: mi piace l'understatement, forse perché sono moderato (limitatamente, come avrete capito). Poiché sono liberale, so che posso sbagliare ed usando l'understatement, la possibilità di recupero è più facile; se usassi il bangstatement probabilmente la correzione sarebbe più difficile: si tratta di una questione di forma mentis. Chi è in dissenso deve apprezzare questa caratteristica e ringraziarmi, perché potrei impiegare toni foschi, che sarebbero sbagliati, ma che, a volte, sono meno lontani dalla verità rispetto all'understatement, che serve ad attutire le situazioni.
Se ho torto l'opposizione me lo farà capire, conducendo battaglie e avanzando punti di vista diversi, ma vorrei esprimere il mio pensiero con grande franchezza: credo che i beni culturali navighino in un mare caratterizzato da profondi e gravi problemi strutturali. Nel nostro paese, inoltre, siamo privi in questo momento di una autentica ed adeguata «bussola» di Governo dei beni culturali, di una stella polare. Non attribuisco la colpa al governo precedente: esso è stato votato dal Parlamento, che dunque ha la propria parte di responsabilità (anche le ex opposizioni). Se non fissiamo la stella polare, continueremo a navigare a vista (è irrilevante, da questo punto di vista il problema del finanziamento).
Entrerò ora nel merito dei problemi strutturali, esaminando subito il caso più difficile. Il bilancio dei beni culturali è aumentato, raddoppiando in pochi anni: ciò è sicuramente un fatto positivo, avvenuto perché è stata trovata una nuova fonte, che però non ha carattere di stabilità. Sono preoccupato perché - non so se vi avete prestato attenzione, certo l'onorevole Melandri che ha letto con tanta attenzione i primi documenti del Governo


Pag. 24

lo avrà notato - nel provvedimento che riguarda i primi 100 giorni è contenuto un provvedimento in base al quale il Governo ha chiesto la delega...

GIOVANNA MELANDRI. Scusi l'interruzione, signor ministro, ma il Lotto non è compreso nel bilancio.

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Naturalmente non sto parlando del bilancio in senso ristretto, ma di quello consolidato.

GIOVANNA MELANDRI. Il bilancio è raddoppiato ed a ciò si devono aggiungere i proventi del Lotto.

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Ho usato il termine bilancio per indicare la disponibilità complessiva delle risorse relative a tale settore.

GIOVANNA MELANDRI. Allora è molto più che raddoppiato!

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Purtroppo ciò non indebolisce, ma rafforza la mia affermazione. Saprete che il Governo ha chiesto la delega al Parlamento per riordinare l'intero settore, istituendo una agenzia dei giochi. Ciò serve a creare una forma di compensazione tra i giochi che possono, ovviamente, avere gradi di fortuna diversi l'uno dall'altro, variando nel tempo. In questo modo si modificano anche le entrate dei vari settori pubblici a cui sono destinati i proventi dei giochi. Abbiamo l'esperienza della SISAL, del Totocalcio, del Lotto: potremmo ripeterla con l'avvento, se avrà successo, del Bingo. Non sarà sfuggito a nessuno che una delle grandi fonti, in prospettiva, delle televisioni è proprio legata allo sviluppo dei giochi. Capisco l'alea, ma non condivido che si costruiscano le fondamenta di un settore così importante e rilevante sulla casualità.
La riforma Bassanini in materia di beni culturali ha creato - oserei dire coscientemente e volutamente, perché è nelle norme - un grande cantiere: i più critici dicono che è stata una riforma mancata, che non si è misurata con le questioni portanti, e sottolineo portanti, del ministero e del settore (debbo dire che mi sento molto più vicino a questi critici). I più «buoni» hanno semplicemente parlato di «grande cantiere», è cioè di un sistema pieno di meccanismi sperimentali. Riporto alcuni esempi, che avete ricordato anche voi, parlando di devoluzione: la dimensione regionale dell'amministrazione, la creazione dei sovrintendenti regionali, il rapporto con le regioni, ambiti che rappresentano una grande area «nebulosa». La norma stessa stabilisce il limite di un anno per mettere a punto la figura dei sovrintendenti regionali; questa è purtroppo un esperienza che l'onorevole Melandri non ha potuto compiere, visto che i sovrintendenti regionali sono entrati in funzione nel momento del passaggio di consegne fra il Governo attuale ed il precedente e, guarda caso, questa «patata bollente» la trovo adesso sul mio tavolo.
Non entro nei particolari, anche se sarebbero interessantissimi, ma, visto che il presidente Adornato ha fatto riferimento alle mie competenze tecniche del passato, posso assicurarvi che qualunque cultore di teoria dell'amministrazione esce con i brividi alla schiena. Faccio un solo esempio indicativo di quello che intendo con questo termine: i sovrintendenti regionali sono oggi - a normativa vigente - svincolati dal rapporto gerarchico e funzionale con i direttori generali del ministero. Come sapete, i direttori generali sono tali in funzione di competenze e scelti in base ai loro curricula, per cui chi ha competenze in archivistica è pari grado, ma non ha uguali competenze nei monumenti piuttosto che nell'architettura. Oggi siamo di fronte ad un meccanismo per il quale il sovrintendente regionale può non avere una conoscenza specifica del settore sul quale deve pronunciarsi, ma può farlo svincolato dal direttore generale che, invece, ha le necessarie competenze settoriali. Allora voi capite che l'aspetto della tutela dal punto di vista gerarchico è in grande sofferenza.


Pag. 25


Ho parlato di riforma mancata perché essa stessa ha creato problemi. A proposito dei rapporti tra Stato e regioni ci troviamo su un terreno «magmatico», sul quale sarà difficilissimo muoversi ma dovremo farlo per risolvere i problemi. Utilizzo il plurale sia per la parte che compete al Governo, sia perché il completamento - io dico la razionalizzazione - della riforma in questa materia arriverà sul tavolo del Parlamento, anche perché tutti diamo grande importanza (con accenti diversi) alla questione dell'equilibrio fra competenze centrali e regionali.
Le mie valutazioni raggiungono vette francamente deprimenti proprio sull'aspetto della tutela; siamo tutti d'accordo che in materia di beni culturali, in particolare nel settore dei beni artistici latu sensu (lasciando quindi da parte per il momento sport e spettacolo), la tutela è l'abc di tutto, ma il problema è costituito dalle condizioni in cui si trova. Essa è quotidianamente sballottata fra due «tornadi»: il primo è quello di una Babele. Non sarà sfuggito a nessuno il fatto che la tutela è esercitata in maniera diversa a seconda che si tratti di una provincia o di un'altra, a seconda che ci sia o meno un trasferimento. Ricordo il caso di Pisa (onore alla precedente amministrazione che ha impostato un progetto con basi ben solide), dove abbiamo inaugurato un sito archeologico: da questo giacimento romano risalente all'epoca imperiale è stata estratta la prima nave, uno spettacolo bellissimo ed emozionante. È stato rinvenuto un giacimento numericamente equivalente nei pressi di Olbia ed un terzo giacimento, del quale non posso rivelare l'ubicazione, su raccomandazione del generale Conforti, per timore di possibili trafugamenti.
Ebbene, possiamo correre il rischio che la tutela venga esercitata in maniera differente tra Pisa, Olbia e altre parti? Sarebbe una follia pura!
La tutela corre il rischio dell'assenza di regole e criteri; non c'entra niente il Minculpop che avevo citato perché evocato da tutti i critici della «Bassanini», non da me. Una delle critiche rivolte a questa riforma è che si stavano creando le premesse per un rischio di Minculpop e per citare le fonti bibliografiche ricordo che un libro edito da il Mulino sulla riforma del Governo ha riportato quello che riporta più ampiamente questa preoccupazione.
Riprendendo il discorso della tutela, il primo rischio che corre è quello - ripeto - di una Babele: tutti i discorsi sulla valorizzazione e sulla promozione vengono meno immediatamente se non azzeriamo il rischio di una Babele.
L'altro rischio (o tornado) che corre la tutela è quello della «logica dell'incompetenza». È stato creato un meccanismo che rischia di favorire i giudizi di incompetenza come valutazioni sulla congruità o meno di alcuni vincoli di tutela! Ai sovrintendenti regionali, rispetto a quelli provinciali o più che provinciali (per aggregazioni), competono poteri che potremmo definire di secondo grado. Accade allora che chi proviene da un settore specialistico, ed ha scarsa competenza in una determinata materia, è comunque svincolato dal direttore generale, con la conseguenza di correre rischi enormi. Si raggiunge una situazione incredibilmente ridicola là dove alcuni poteri - per così dire - sono attribuiti addirittura al ministro, il quale quasi sempre è il più incompetente di tutti, perché è un organo politico, con una legittimazione politica, chiamato a svolgere funzioni politiche. In questo caso però ha anche competenze di terza istanza nel pronunciamento di giudizi in materia di tutela. Allora anch'io dico, evocando le parole di un precedente Presidente della Repubblica, non ci sto! Questo meccanismo va cambiato in fretta e per farlo dobbiamo evitare i due rischi cui ho accennato, ma dobbiamo anche compiere, strategicamente e strutturalmente, una rivoluzione che è quella di far diventare i «custodi» della tutela due sistemi: il primo è una «quasi magistratura», perché i soggetti interessati vanno sottratti alle influenze ed alle pressioni locali. Non si può esercitare una tutela uniforme sul territorio nazionale e lasciare


Pag. 26

chi deve esercitarla sotto i condizionamenti dell'ambito politico, economico e sociale locale.
Incontrando, in questi giorni, i sovrintendenti, ho ricevuto le loro richieste; troppo spesso ho esaminato relazioni di sovrintendenti - vicenda emblematica è quella di Imola - che erano il trionfo dell'ambivalenza: si tratta di persone che hanno tutte le competenze e le conoscenze tecniche ma che poi oscillano, esposti al turbinio degli interessi localistici. Vedremo mai un magistrato sottoposto a tutto ciò? Certo, sono stati girati anche film su questo argomento, ma ciò rivela una patologia, non una fisiologia, perché il magistrato deve essere svincolato dagli interessi localistici. L'analogia con l'ordinamento giudiziario serve anche ad affermare qualcosa riguardo al sistema dei ricorsi. Uso tale analogia in modo cosciente, perché chi si occupa dell'attività di tutela non è inserito nell'ordinamento giudiziario, ma dovrà assomigliare sempre più a chi svolge funzioni giudiziarie, dal punto di vista dell'autonomia, della formazione e della competenza ed anche dal punto di vista del sistema dei ricorsi. Quanto più si raggiungono posizioni di vertice, tanto più la formazione professionale e l'esperienza devono essere maggiori. Si dà invece il caso di un signore che svolge la professione di politologo alla Bocconi e che non è in grado di stabilire la congruità del buco che rimane sulla piazza di Imola se si sposta il monumento, ma neppure vuole saperne nulla, perché pensa che sarebbe sbagliato arrogarsi la facoltà di giudicare della sua bellezza. Parlo ovviamente di me stesso. Per ora però questo potere è attribuito al ministro, con una incredibile forzatura: naturalmente, collega Colasio, estremizzo il mio ragionamento allo scopo di una maggiore chiarezza espositiva. I fatti rivelano una natura più problematica ma anche forme di equilibrio maggiore. Vorrei solo evidenziare i rischi della situazione in cui ci troviamo perché dobbiamo legiferare contro di essi, in modo tale da non consentire il permanere di ambiguità.
Potrei proporre esempi anche per quanto riguarda l'attività di promozione e valorizzazione, che la legge prevede ma per le quali - ecco il tema della riforma mancata - non abbiamo le strutture: a volte i sovrintendenti meritano grande ammirazione e gratitudine ma, in realtà, non hanno competenze in materia.
Parliamo spesso di outsourcing, che sarà uno strumento riguardo al quale dovremo prendere decisioni in futuro (non intendo necessariamente l'outsourcing di un museo, ma certamente quello dei servizi): avete mai saputo che qualcuno, nelle sovrintendenze, ha seguito un corso sul modo in cui si stipula un contratto adeguato ai fini della tutela, in materia di outsourcing di alcuni servizi? Le polemiche diventano alla maniera della «Secchia rapita» ogni volta che si debba decidere di installare un impianto elettrico: per tre anni ho diretto l'Istituto di politica internazionale a palazzo Clerici, a Milano, dove è esposto il dipinto di Tiepolo più grande che esiste al mondo. Per due volte, prima il vertice italo-tedesco e poi quello italo-francese sono stati paralizzati perché non si riusciva a stabilire dove posare le prese elettriche per illuminare meglio la stanza. Mi rendo conto della delicatezza della vicenda, ma è anche inutile parlare senza possedere le competenze tecniche, culturali e specialistiche.
I sovrintendenti chiedono inoltre di essere liberati dalle funzioni di gestione del personale: in parte, la legge ora le affida ai sovrintendenti regionali, spostandole dalla padella alla brace, perché nemmeno i sovrintendenti regionali hanno competenza adeguate. Da questo punto di vista, però, sarà utile l'applicazione di una parte della riforma Bassanini, che prevede la possibilità di affidare molte competenze in materia lavoristica ed amministrativa ai prefetti, che in sede provinciale possono assumere, attraverso l'offerta di servizi all'intera amministrazione (e quindi anche al settore dei beni culturali), questo tipo di servizi. Esistono due esperienze di questo tipo, una a Pisa ed un'altra che si sta avviando in una provincia lombarda. Per ora, quelli richiamati, sono due settori che


Pag. 27

gravano pesantemente sui sovrintendenti e per i quali essi non hanno le competenze, la formazione, il cursus.
In relazione al tema della riforma mancata, vorrei dire, collega Rositani, che è necessario interessarsi delle questioni strutturali: in caso contrario, dovremmo proseguire il lavoro nel modo in cui era già stato impostato. Il Ministero dei beni e delle attività culturali si occupa di temi esaltanti, ma è anche vero che - il collega Rositani, per ragioni anagrafiche, lo saprà meglio di altri - il procedimento legislativo di costituzione e di crescita del ministero, fino alle leggi Bassanini, non è stato coerente, attraverso tappe sperimentate, ma ha seguito un percorso accidentato. Oggi siamo ancora in tale situazione. Gli argomenti di carattere analitico potrebbero essere infiniti: ho redatto un inventario di alcune pagine dopo aver lavorato dieci giorni, esaminando le leggi e discutendo con i direttori generali del ministero e con i sovrintendenti. Vorrei allora proporre un esempio di carattere generale a proposito del turismo. Tutti sanno che in Italia beni culturali e turismo sono comparti strettamente interdipendenti e complementari, ma la riforma Bassanini ha collocato il turismo tra le attività produttive. La conclusione è che stiamo correndo il rischio di non valorizzare beni culturali e turismo, l'uno a vantaggio dell'altro: per ovviare a ciò, nel prossimo Consiglio dei ministri verrà decisa la costituzione di un comitato interministeriale competente sulle questioni riguardanti il rapporto tra turismo e beni culturali e su quelle relative alle infrastrutture per i beni culturali e per il turismo necessarie per la loro fruizione (ad esempio i parcheggi). Il problema del turismo è un esempio di ciò che intendevo per questioni strutturali urgentissime da affrontare.
Ho già detto del rapporto tra Stato e regioni, e quindi non ci torno sopra, ma avrei un elenco molto nutrito di questioni puntuali, caso per caso, che dovremo affrontare ma che si presentano molto problematiche. Mi limiterò a citare due esempi di diversa entità cominciando dal minore.
Ricordo il momento in cui Giovanna Melandri, passandomi le consegne con grande cortesia, mi diede in particolare una cartellina con su scritto «Credito sportivo» insieme ad un'istruttoria riguardante la situazione a livello di Commissioni parlamentari, pareri e compagnia bella; ebbene, poche ore dopo è arrivata la notizia che eravamo stati chiamati davanti al TAR per una impugnazione, da parte delle banche aderenti al Credito sportivo, rivolta a decidere la nullità del provvedimento ministeriale in base al quale si stabiliva il riordino del Credito sportivo. Anche qui non entro nel dettaglio, ma devo dire che sarebbe interessante per capire come a volte nascano dei problemi forse senza che uno se ne renda conto; ma la conclusione è che noi, fino al 7 novembre (data in cui è stata fissata l'udienza) abbiamo questa grossa spada di Damocle sul Credito sportivo che non sappiamo bene che fine farà perché, se il provvedimento ministeriale verrà dichiarato nullo, è una cosa, se invece verrà accolto il ricorso da parte del ministero, e quindi rimarrà in piedi il nuovo assetto, è un'altra. Sarebbe molto importante per noi mettere subito mano al Credito sportivo perché lo sport sta incontrando notevoli problemi finanziari.
A questo proposito, tengo molto a dire che mi batterò totalmente perché vi siano risorse finanziarie per la diffusione delle pratiche sportive, ma con me presente non partirà una lira per lo sport professionistico, perché se lo sport professionistico è gestito male sono fatti loro: pagano quelli che sbagliano! Non ho nessuna intenzione, come ministro, di concedere una lira che è una lira per lo sport professionistico. Ma per la diffusione delle pratiche sportive sì: mens sana in corpore sano. Le tabelle internazionali dimostrano che rischiamo di avere dei giovani intellettualmente poco sviluppati perché fanno poca ginnastica. A parte il fatto che oggi questo principio non vale più solo per i giovani ma anche per gli anziani, quindi è importantissimo; ma


Pag. 28

la conclusione è che il Credito sportivo lì si è bloccato. Così com'è strutturato, infatti, è uno strumento assolutamente inadeguato per quei fini; si prevedono mutui per gli impianti, ma noi abbiamo bisogno di un volano ben diverso: se lo confrontiamo con i meccanismi finanziari esistenti in Germania, Francia e Spagna, viene la pelle d'oca.
Considerate che sto parlando di quattro banche soltanto, e che vi è una potenzialità enorme sotto tutti i profili del business, ma purtroppo è rimasta quella «strutturina asfittica» risalente a quando non ve ne era la necessità perché provvedeva a tutto «san» Totocalcio. Si è fatto riferimento allo sport, ma in ogni caso prima di interessarmi di altre questioni devo occuparmi dei problemi strutturali (se no, che amministratore pubblico sarei?).
Avevo annunciato un altro esempio, e mi riferisco a Pompei. Rispetto a cinque anni fa, dal punto di vista del numero dei visitatori e della cosiddetta, tra virgolette, promozione e valorizzazione, direi che qualcosa si è fatto.
Stiamo parlando, infatti, di un sito archeologico in cui il numero dei visitatori cresce semestralmente in maniera rilevante, quindi è una bella cosa, ma gli aspetti positivi finiscono qui. Dei vari problemi che affliggono questo sito avrete avuto tutti sentore dalle pagine dei giornali, compresa una recente inchiesta del Corriere della Sera. Mi riferisco in particolar modo a due questioni che dovrebbero terrorizzarci: una è il rischio di degrado sistematico e l'altra è il numero dei siti fruibili (interni al museo archeologico ed aperti al pubblico) che diminuisce a vista d'occhio invece di aumentare; questo perché i tutori, nelle condizioni svantaggiate in cui si trovano, sono costretti a chiuderli per non correre rischi. Ma così facendo le ville aperte sono diventate numericamente la metà. Pompei è una gallina dalle uova d'oro in tutti i sensi, che però pone problemi strutturali di questo genere.
In occasione della mia prima riunione con i sindacati, ho scoperto alcune delle ragioni per le quali erano state promosse determinate attività sindacali, che non sono veri e propri scioperi ma che, di fatto, intralciano le normali attività del sito. Anche lì purtroppo ho scoperto una Babele; le sigle sindacali, tra parentesi, sono in numero decisamente troppo alto (ma questo dipende da chi vuole farsi rappresentare da uno piuttosto che da un altro). Sottolineo ciò perché con un tale livello di frammentazione è difficile dialogare con le parti. In ogni caso, al di là di questo, sono riuscito - grazie anche a un po' di fortuna - costituendo un tavolo di lavoro, che si riunirà per la prima volta il 2 agosto, a bloccare le agitazioni sindacali. Siamo di fronte ad un settore nel quale bisogna lavorare ad alto livello. È stato nominato un city manager emiliano, del quale devo dire di essere un ammiratore, trattandosi di una persona molto perbene, molto capace, e stavo per dire con grande pazienza, che però ormai si è esaurita, nel senso che non ce l'ha più; è in rotta di collisione totale con le rappresentanze sindacali di Pompei ed ha gentilmente presentato le dimissioni; è una persona, tra l'altro, con una grande cultura musicale che ho avuto modo di constatare in altra sede, essendo parte importante del comitato dei Verdi. Mi ha fatto piacere conoscerlo, ma ho capito subito - e ci voleva poco - la ragione per la quale non ha legato con quel contesto: non ha una expertise specifica nel mondo dei sindacati campani! E, come sapete, quello è un genere a sé: chiunque conosca un pochino di storia delle relazioni sindacali sa che è un altro mondo; forse, se vi avessimo messo uno svedese egli avrebbe avuto una conoscenza delle tecniche ma avrebbe dimostrato scarsa conoscenza del diritto positivo e, soprattutto, nessuna conoscenza dell'antropologia, che serve molto per stabilire rapporti costruttivi in un mondo difficile come quello.
Pompei oggi sta oscillando fra essere una meravigliosa opportunità o essere una vetrina negativa che ci distrugge; se i giornali stranieri - con cattiveria - proseguono nella strada che hanno imboccato la settimana scorsa, corriamo grossi rischi:


Pag. 29

se si diffonde l'immagine che Pompei è il luogo dove vi è il massimo numero di cani randagi che mordono le persone, il massimo numero di scippatori, un posto dove i servizi sono disastrosi e, soprattutto, dove si corre il rischio di fare migliaia di chilometri per giungervi e trovare tutto chiuso, allora capite che Pompei rischia di diventare un boomerang clamoroso.
Mi sono limitato, come promesso, all'illustrazione dei maggiori problemi strutturali, perché sono quelli che fanno la differenza essendo caratteristici del meccanismo di lavoro quotidiano che va dai sovrintendenti agli addetti ai cantieri: vi ringrazio per l'umiltà e la fattività, ma qui stiamo parlando dell'ossatura, del sistema nervoso e di quello circolatorio. Il resto sono cose secondarie di cui, per carità, ci occuperemo, ma vengono dopo in tutti i sensi.
Avevo annunciato che avrei speso alcune parole su quella che avevo definito mancanza di bussola (usando tinte forti, e mi scuso con il collega Colasio che, probabilmente, come me ama le tinte pastello).
Manca una bussola, perché manca una chiave di lettura culturale e complessiva dei compiti del ministero, che ha attribuzioni in materia di tutela, di promozione, di valorizzazione. Credo che nessuno, anche riguardo allo spettacolo, si accontenti della condizione dei nostri teatri, del cinema (che però forse sta attraversando una stagione di parziale ripresa), della musica. Mi ero interessato, dialogando con l'ex ministro Veltroni, alla legge sulla musica, che ha avuto un esito veramente negativo, nel senso che non ha accontentato nessuno. L'onorevole Giulietti diceva che ciascuno di noi è un uomo di parte: nel caso della musica non è così, perché tutti dicono che quel provvedimento è da rifare.
Il ministero ha dunque molti compiti di promozione, valorizzazione, attrazione di risorse pubbliche e non: se è vero che disponiamo di un patrimonio mondiale, perché il nostro meccanismo finanziario privilegia ampiamente le risorse pubbliche, un po' di risorse private e quasi ignora le risorse dell'umanità, cioè quelle provenienti dall'estero? Abbiamo constatato che cosa successe quando Venezia fu in pericolo: è facile attrarre altri interessi.
Dobbiamo svolgere le funzioni che la legge ci ha attribuito: il motore per dare forza e vitalità a tutti questi compiti è il lavoro sulla comprensione dei beni culturali. Essi sono beni - come li definisce la commissione Franceschini - in quanto sono testimonianze di civiltà: lo è ogni libro, manoscritto, monumento o quadro che ognuno di noi possa giudicare bello ed importante, riconoscendogli il valore di bene.
Può sembrare l'uovo di Colombo, ma la tutela è più facile dove c'è un forte apprezzamento dei beni culturali ed essi sono considerati un tesoro. Il sovrintendente è considerato uno scocciatore se pone dei vincoli: non un magistrato che ci fa un grande favore, una personalità da ringraziare, ma solo un rompiscatole. La domanda di tutela è in funzione del valore che si assegna ai beni ed alla comprensione della testimonianza di civiltà. Considero un eroe chi svolge la funzione pubblica della tutela. L'aspetto della comprensione è fondamentale anche per creare domanda economica: ci si reca agli Uffizi perché si attribuisce grande importanza alla bellezza estetica, emotiva, culturale, sentimentale alla Venere di Botticelli. Qualche tempo fa un giornale di Milano ha pubblicato il resoconto di un concorso svolto tra i bambini di una scuola di quella città - che assomiglia molto al libro scritto da quel maestro napoletano che descriveva gli strafalcioni dei propri alunni - da cui emergeva, attraverso domande sulla sicurezza dello stadio e del Duomo, la preferenza e l'apprezzamento dei bambini per lo stadio di San Siro piuttosto che per il Duomo.
Capisco l'interesse per il calcio domenicale, ma non capisco come si possa non attribuire importanza al simbolo di Milano che, fino a qualche generazione fa, insieme al panettone, era il Duomo (e i bambini lo percepivano): ciò restituisce l'idea della connessione snaturante che esiste tra basso livello di comprensione e apprezzamento,


Pag. 30

bassa domanda di fruizione, bassa domanda di tutela. Si tratta di un circolo vizioso che deve essere spezzato, innescando un circolo virtuoso della formazione che induca e faciliti la comprensione e quindi l'apprezzamento, la tutela, la valorizzazione, la domanda economica di fruizione. Se lavoreremo su questo piano, assolveremo ad un nostro dovere.
Mi fa grande piacere visitare i cantieri (ieri sono stato a Pisa), lo trovo commovente e bellissimo; rispondo all'onorevole Melandri, che mi chiedeva informazioni riguardo ai grandi progetti, che essi verranno completati, così come i 200 cantieri: il fatto che io sia o meno presente in quei luoghi non cambia la realtà dei fatti. Venerdì abbiamo verificato tutto ciò che potrà accadere riguardo alla Venaria Reale, stiamo discutendo con i presidenti delle regioni. La legge contiene in nuce la previsione, tipica di uno Stato federale, che la funzione di tutela sia attribuita quasi completamente al Governo federale e, in prospettiva, i compiti di gestione (delimitati dalle regole della tutela) dovranno essere, in massima parte, attribuiti agli enti locali ed alle regioni. La legge contiene già questa previsione implicita, si tratta di perfezionarla e migliorarla: la bussola è già stata individuata. Naturalmente, dobbiamo predisporre una funzione di tutela in grado di non farci correre rischi.
La collega Titti De Simone, nella seduta precedente, mi ha accusato di liberismo: ha ragione, è una accusa che accetto volentieri. In prospettiva, possiamo anche immaginare l'outsourcing della gestione ad imprese specializzate; la tutela allora dovrà essere potenziata in termini tali per cui, stipulando un contratto di concessione, si dovrà essere sicuri che il bene sarà valorizzato e non messo a rischio. Dobbiamo prepararci per questo scenario futuro: vi confesso che oggi, per le ragioni che ho prima esposto citando i problemi strutturali, le condizioni non lo consentono.
Per svolgere le funzioni che ci siamo prefissati, dobbiamo far comprendere ed apprezzare i beni culturali. La commissione Franceschini ha usato la bella definizione dei beni culturali come testimonianza della civiltà di un popolo, anche se, naturalmente, esiste anche il tema della contemporaneità. Pensate seriamente che si possa far risaltare il collegamento tra un quadro, un monumento, un oggetto d'arte e la storia delle civiltà d'Italia, se solo il 3,5 per cento del paese distingue tra barocco, romanico e gotico? Pensate sia possibile dirimere i problemi relativi alla collocazione di una scultura moderna, accanto ad altre opere del passato, se la domanda di tutela, di valorizzazione, di promozione è del genere che conosciamo? Oppure se i cittadini considerano ogni duomo in Italia come quello di Siracusa, che è un caso unico al mondo di compresenza di stili (parti delle colonne sono i stile greco, romano, romanico, barocco)? Vogliamo far diventare il Duomo di Milano come quello di Siracusa? No, ma allora dobbiamo stabilire una comprensione di questi argomenti sufficiente al nostro scopo.
Risalta la differenza tra le sale da concerto di un qualsiasi paese dell'Austria o della Germania e le sale da concerto, di qualsiasi città, anche maggiore, in Italia: esistono gradi di silenzio diversi per ascoltare la musica. La risposta ai nostri problemi si trova nel coltivare, democraticamente, la cultura dei beni. Altrimenti, recupereremo in parte ma procederemo al buio, nella disputa su Vangi o in quella sui finanziamenti. Non eserciterò la funzione di ministro dei beni e delle attività culturali al buio.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro dei beni e delle attività culturali e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13.20.