Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 16,35.
(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante impianto audiovisivo a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui temi relativi all'imposizione sulle transizioni valutarie (C. 1233 Crucianelli, C. 1301 Nesi, C. 1475 Giovanni Bianchi, C. 3041 Iniziativa popolare e C. 3048 Grandi), l'audizione dell'avvocato Alessandro De Nicola.
Ringrazio l'avvocato per aver accettato il nostro invito e gli do subito la parola.
ALESSANDRO DE NICOLA. Affronto questo argomento in quanto esiste ormai un'ampia letteratura sul tema in questione, sviluppata non solo dalle organizzazioni economiche di studio internazionale, ma anche da un cospicuo numero di studiosi che fanno riferimento a istituti, fondazioni o centri di studio che in qualche modo si rifanno al pensiero politico liberale e propugnano l'economia di mercato. Quindi, la mia funzione, più che di economista monetario, è quella di cercare di mettere nella forma il più possibile accettabile il risultato di studi, anche empirici, compiuti sul tema.
Occorre premettere che la Tobin tax, partita come proposta di un economista, si è poi trasformata in una sorta di totem per una parte delle correnti di opinione che in genere considerano i meccanismi di mercato come qualcosa da guardare con diffidenza. Come ha scritto un economista francese, Pascal Salin: «Le variazioni dei tassi di cambio o dei corsi delle azioni sono considerate misteriose e, addirittura, malefiche. La borsa è percepita come un luogo in cui i ricchi tramano dei complotti e gli speculatori sono facilmente sospettati di essere la fonte di tutti i mali». Questo modo di pensare è alla base della proposta della Tobin tax; addirittura alcuni sostengono la completa inutilità della struttura finanziaria internazionale, che sarebbe contrapposta ad una economia reale e, quindi, in quanto tale, qualcosa di superfluo che non rifletterebbe la reale produzione.
Sotto tale profilo, credo che, come premessa, si dovrebbe avere una forma mentale diversa, in quanto quella che viene chiamata speculazione è un'attività umana molto semplice: quella di cercare di predire il futuro ed avvantaggiarsene, traendone profitto. Incidentalmente, a causa di conseguenze non intenzionali rispetto al comportamento che viene adottato dagli operatori, questo comportamento ha poi degli effetti benefici per l'economia nel suo complesso, come testimonia anche un'altra citazione di Ludwig von Mises: «Nell'economia di mercato l'uomo intraprendente avverte la discrepanza tra i prezzi dei fattori complementari
di produzione ed i prezzi futuri attesi dai prodotti e tenta di avvantaggiarsene a proprio profitto. Il prezzo futuro che egli ha in mente non è certamente il prezzo di equilibrio ipotetico, nessuno ha a che fare con l'equilibrio e i prezzi di equilibrio. Queste nozioni sono estranee alla vita e all'azione reale. Quel che spinge l'uomo a cambiare ed innovare non è la sua visione dei prezzi di equilibrio, ma l'anticipazione dell'altezza dei prezzi, come essi prevarranno sul mercato al tempo in cui pensa di vendere i prodotti».
La finalità della Tobin tax si è evoluta tanto che lo stesso premio Nobel che l'aveva proposta non la riconosceva più. In una nota intervista al Financial Times del 2001 affermò che con le diverse condizioni che si erano verificate, forse quella che ormai veniva chiamata Tobin tax avrebbe preferito che non venisse più introdotta. Lo stesso padre, quindi, ha disconosciuto la sua creatura. I compiti che questa forma di tassazione dovrebbe avere dovrebbero essere quelli di disincentivare e limitare i movimenti speculativi di capitale, in quanto dovrebbe contrastare fenomeni di eccessiva volatilità e instabilità dei tassi di cambio. In sostanza, si limitano gli scambi a breve termine per limitare la volatilità dei tassi di cambio e l'instabilità del mercato monetario. Inoltre, grazie a tutto ciò, si dovrebbe evitare l'acuirsi o il crearsi di crisi finanziarie.
Vi è poi un aspetto ulteriore: attraverso la Tobin tax si potrebbe finanziare lo sviluppo. Ciò che i proponenti molto spesso propugnano è utilizzare i proventi della tassazione per finanziare lo sviluppo dei paesi poveri o risolvere problemi globali come il surriscaldamento del pianeta. Questo, prima ancora di vagliarlo dal punto di vista logico ed economico, è un atteggiamento che Hayek chiamerebbe costruttivista, nel senso che da fenomeni esistenti si ritiene che vi sia una mens superiore pubblica che possa, con dei controlli costosi ed intrusivi, prevedere in anticipo come evolverà il mercato. Si ritiene che introducendo una nuova imposta gli effetti che si produrranno saranno esattamente identici a quelli pensati dai propugnatori. Questo modo di ragionare parte da un assunto profondamente sbagliato: la convinzione che di fronte ad un mercato imperfetto vi sia un governo perfetto, perché quando si vogliono curare dei supposti fallimenti di mercato e, quindi, si ha in mente un mercato imperfetto, si parte sempre dal presupposto che vi sia un governo perfetto. Se invece, più realisticamente, si considerasse che anche il governo è imperfetto almeno quanto i mercati, ma molto spesso di più, sarebbe molto più semplice il giudicare proposte che portano a sicuri costi e benefici incerti.
Partiamo dal primo assunto, cioè la volatilità. La Tobin tax serve per diminuire la volatilità. È bene capire che non sempre la volatilità dei tassi di cambio è malefica. L'assunto su cui si basa la Tobin tax - cioè che essa serve a diminuire la volatilità dei tassi di cambio - è, già di per sé, discutibile, nel senso che una certa volatilità, anche a breve termine, è utile perché, spesso, riproduce i dati reali dell'economia e, per di più, è complementare alle misure di politica economica dei governi.
Tutti sappiamo che la politica dei tassi di cambio è complementare a politiche economiche espansionistiche o restrittive e che un minore libertà sui tassi di cambio costringerebbe a comportamenti virtuosi su tutte le altre variabili della politica economica, in quanto, ormai, il tasso di cambio non è più nelle nostre mani. Faccio un esempio che elimina ogni possibile dubbio sul fatto che la volatilità sia benefica - anche quella a breve termine -, quello dell'Argentina. Questo paese ha cercato di abolire la volatilità dei tassi di cambio, introducendo la dollarizzazione della propria economia. Peccato che, in assenza delle altre misure macroeconomiche che erano reputate necessarie dai mercati per mantenere la stabilità del tasso di cambio, la dollarizzazione dell'economia argentina ne ha portato il collasso.
Quindi, la volatilità è un bene, perché riflette la percezione che i mercati hanno dell'economia, percezione che può essere errata, essendo il mercato imperfetto; cercare
di abolirla o di ridurla può sicuramente arrecare danni molto superiori ai benefici.
Inoltre, un altro assunto è che i mercati monetari siano altamente volatili. Ebbene, ciò non è vero. Ho portato per l'occasione uno studio dell'OCSE sulla volatilità dei mercati. Vi mostro questi grafici: le curve che descrivono l'andamento medio negli ultimi ventidue anni mostrano una volatilità non molto elevata. Da queste statistiche, che si riferiscono a periodi inferiori, emerge che persino l'Italia, che è sommamente volatile, ha una volatilità media costante in ventidue anni del 10,3 per cento rispetto al dollaro, con picchi dell'11,65 per cento in alto e del 9,23 in basso. Si tratta quindi di una stabilità assolutamente incredibile. Preciso che la volatilità del tasso di cambio fa riferimento ai picchi di tasso di cambio tra una moneta e l'altra. In ventidue anni, la volatilità media è stata del 10 per cento. C'è stato un solo mese in cui si è registrato un picco pazzesco e voi tutti lo ricorderete: il famoso ottobre del 1992, quando l'Italia è uscita dallo SME. È stata l'unica crisi monetaria e ricordo che l'8 ottobre 1992, peraltro, il picco di volatilità è stato raggiunto anche da Germania, Francia e Canada. Si è trattato quindi di un evento di portata mondiale, anche se in Italia il picco è stato certamente più alto, ma non peggiore rispetto al Giappone. È sicuramente stupefacente che un paese come il nostro, sicuramente uno dei meno virtuosi, abbia un tasso di volatilità media del 10,3 per cento, in linea con Giappone, Germania, Francia, Regno Unito e Svizzera.
Oltre a non essere così volatili, i mercati monetari sono meno volatili di quelli azionari. Questi ultimi hanno infatti una volatilità molto maggiore. Chi ha una volatilità minore sono i mercati delle obbligazioni, perché sono composti in gran parte da obbligazioni che seguono il tasso di sconto delle banche centrali. Laddove ci sono meccanismi di mercato, quindi nei mercati azionari, la volatilità è molto maggiore. È bene notarlo, perché, nel momento in cui fosse introdotta una Tobin tax, gli scambi si concentrerebbero su strumenti alternativi. Gli strumenti alternativi di liquidità maggiormente presenti nel mercato sono i fondi azionari. Quindi, la gran massa di liquidità, che fuggirebbe dai mercati monetari, ricorrerebbe agli hedge fund o a tutti gli altri strumenti finanziari, come i forwards o i futures, sui mercati azionari, quindi, guarda caso, su quei mercati che già ora sono più volatili di quelli monetari.
Inoltre, il fatto che ci siano molte transazioni nel mercato monetario - si calcola 1.500 miliardi di dollari l'anno - è dovuto al fatto che i trader nel mercato monetario utilizzano la tecnica dell'hedging. Quando hanno richieste di grandi masse di monete in una valuta piuttosto che un'altra, si tutelano - cosa nota a qualsiasi nostro operatore di borsa - acquistando altre monete o opzioni su altre monete da parte di altri trader, che, in qualche modo, così distribuiscono il rischio.
Una transazione in valuta comporta un moltiplicarsi di altre transazioni - è, infatti, per questo motivo, che ce ne sono tante - ma le transazioni figlie della transazione principale sono transazioni di copertura, cosiddette di hedging, vale a dire prudenziali perché il rischio sia diffuso e non concentrato. Le imprese si avvalgano di tali strumenti di hedging perché hanno reale bisogno di concentrarsi sulla produzione e non per necessità di speculare sul livello dei cambi o dei prezzi nei mesi a venire; considerato il momento in cui dovranno perfezionare i contratti, cercano di coprire, attraverso i trader specialisti, il loro reddito futuro, comprando strumenti finanziari che sarebbero gli stessi che si vorrebbero tassare. Quindi, avremmo lo strano caso di sanzioni per transazioni che sono utili per diffondere e quindi ammortizzare il rischio sistemico.
Vi ricordo, inoltre, che ci sarebbero fenomeni assolutamente incredibili. Siccome la Tobin tax, nella forma più diffusa in cui viene proposta, prevede un'imposta dello 0,1 per cento su ogni transazione,
questo vorrebbe dire che, se la stessa massa di moneta circola ogni settimana con un operatore diverso, quindi con una lentezza molto maggiore rispetto a quella richiesta dai mercati, questo 0,1 verrebbe moltiplicato per 52; è come se applicassimo l'IVA per ogni vendita successiva dello stesso prodotto. Questo non funziona perché la moneta non è un prodotto come una bottiglia d'acqua ma è un mezzo di pagamento dei prodotti. Quindi, introdurre una tassa su un bene che, per sua natura, è destinato alla circolazione, naturalmente ha un effetto moltiplicatore assolutamente negativo. Ciò porterebbe, infine, all'ulteriore conseguenza negativa che, venendosi a tassare, e quindi a distorcere, uno strumento finora ritenuto efficiente dal mercato - altrimenti non ci sarebbero tante transazioni - quest'ultimo si sposterebbe su strumenti efficienti e ci sarebbe un fenomeno di selezione avversa.
Per evitare la tassazione si utilizzerebbero, quindi, strumenti meno efficienti. Ad esempio, per i contratti concernenti il petrolio e le materie prime ci si potrebbe avvalere di diverse valute forti. Quindi, i futures sul petrolio e sulle materie prime potrebbero essere scambiati, anche se in modo meno efficiente, utilizzando valute diverse, in modo da ottenere lo stesso risultato dell'hedging che ottengono con le monete gli operatori finanziari. Evidentemente, infatti, sarebbero presenti ulteriori elementi distorsivi originati dal fluttuare del prezzo relativo alle materie prime; si verrebbe così a creare un fenomeno di selezione avversa.
Infine, la Tobin tax - paradosso assoluto - potrebbe aumentare nel modo sbagliato la volatilità che tanto si vorrebbe diminuire. Infatti, siccome la Tobin tax ridurrebbe la liquidità nei mercati - poiché vi sarebbero meno transazioni - ogni operazione di un certo ammontare rappresenterebbe in percentuale un valore più alto del totale; quindi, basterebbero meno operazioni per originare più volatilità. Inoltre, poiché il mercato rende volatili le monete a seconda di come le giudica, un'operazione da un miliardo di euro nel momento in cui si verificasse meno liquidità potrebbe produrre degli effetti avversi.
Peraltro, per aggiungere beffa a danno, gli effetti negativi maggiori si avrebbero nei confronti dei paesi poveri e ciò per tre motivi.
In primo luogo, in un contesto in cui vi è più difficoltà a scambiare monete gli operatori rivolgono la loro attenzione verso le monete forti: vi sarebbe, quindi, una dollarizzazione dell'economia mondiale e questo rappresenterebbe, veramente, il paradosso dei paradossi.
Un ulteriore paradosso è dato dal fatto che sempre i paesi più poveri sarebbero costretti a pagare più tasse; ciò perché la moneta dell'Indonesia non viene scambiata sui mercati internazionali con quella del Brasile: non vi è, infatti, liquidità sufficiente. Che cosa succede quindi quando Brasile ed Indonesia instaurano rapporti commerciali? L'indonesiano - il brasiliano farà lo stesso - si servirà dei dollari per entrare in possesso di moneta brasiliana. Quindi, vi è un doppio passaggio che vede il dollaro fungere da clearance house degli scambi monetari. Naturalmente, poiché la tassa è prevista per ogni scambio, mentre uno scambio dollaro-euro equivarrebbe solamente allo 0,1 per cento, il rapporto tra rupia indiana e dinaro algerino originerebbe una tassa dello 0,2 per cento perché si dovrebbe passare attraverso il dollaro.
La terza e ultima beffa è data dal fatto che vi sarebbe un aumento di costo del trasferimento dei flussi monetari relativi ai paesi poveri. I benefici che alcuni paesi poveri hanno ottenuto aprendo le loro economie ed attraendo di conseguenza gli investimenti dei paesi ricchi avrebbero, naturalmente, un costo di transazione in più - per quanto minimo - derivante dall'esistenza di questa tassa.
Tutto ciò è frutto di una concezione mercantilista secondo cui si ottiene una specie di somma zero e ciò in assenza di un circolo vizioso alimentato dal commercio e dalle transazioni internazionali.
Come avevo promesso farò un'ultima citazione: « Dal momento che il valore
della libertà si basa sulle opportunità che essa fornisce per azioni non previste e imprevedibili, raramente siamo in grado di apprezzare che cosa perdiamo in conseguenza di una particolare restrizione di essa. Ogni restrizione, ogni coercizione diversa dall'implementazione di regole generali ha per scopo il raggiungimento di qualche particolare risultato prevedibile, ma, di solito, non è noto ciò che essa impedisce. Gli effetti diretti di ogni interferenza sulla libertà sono chiaramente visibili, ma altrettanto spesso gli effetti remoti non saranno noti e, quindi, verranno trascurati. Noi non saremo mai completamente a conoscenza di tutti i costi resi necessari dal perseguimento di un particolare risultato attuato mediante una tale interferenza» (Frederick von Hayek).
Per quanto concerne l'applicabilità della Tobin tax, o quest'ultima si applica universalmente o è meglio non applicarla. Infatti, se la Tobin tax non si applicasse universalmente, fiorirebbero, naturalmente, le giurisdizioni tax free e tutte le transazioni monetarie si sposterebbero in Lussemburgo, in Nuova Zelanda o in qualche altro paese che decidesse di mantenere le transazioni monetarie tax free. In questo caso, chi introduce la Tobin tax non raccoglierebbe denaro per i poveri e, in più, vedrebbe la propria economia perdere in liquidità. Ad esempio, quando la Svezia introdusse nel 1984 un'imposta dello 0,15 per cento sugli strumenti monetari e sulle obbligazioni metà dei flussi finanziari si spostarono a Londra e l'attività di scambio ad essi relativa declinò dell'80 per cento. Inoltre, fiorirebbero i paradisi fiscali e le tensioni internazionali tra i paesi che introducono la tassazione e quelli che invece non lo fanno. Inoltre, si creerebbe un problema di enforcement, un ulteriore costo nascosto. Con 1.500 miliardi di euro, cioè 3 milioni di miliardi di vecchie lire - per imitare il Presidente del Consiglio Berlusconi - di transazioni chi è che sta dietro all'attuazione di queste tasse? Ci troveremmo di fronte ad una polizia statale che dovrebbe fare l'enforcement di una tassa che non va a beneficio delle casse statali. Infatti, i propugnatori della Tobin tax vogliono che questi soldi vadano a favorire qualche organismo internazionale che li ridistribuisca ai paesi poveri.
Vengo all'ultima questione; se anche, tanto premesso, si dovesse ottenere un gettito dalla Tobin tax, chi lo gestirebbe? Se fosse l'ONU, si opererebbero scelte politiche; quindi - ed il problema non sarebbe risolvibile -, chi avrebbe maggior forza politica riuscirebbe ad ottenere i migliori progetti mentre i paesi più poveri e disperati sarebbero probabilmente penalizzati. In aggiunta, le organizzazioni internazionali, che potrebbero essere deputate a gestire tali progetti, ahimé, presentano una caratteristica ineliminabile: dissipano soldi in una maniera scandalosa. Tutti ricordiamo lo scandalo legato all'operazione in Iraq, gestita dall'ONU, Oil for food; ma vi posso dare in questo caso un'esperienza di prima mano. L'Unicef, cui tutti quanti voi certamente guardate con simpatia - ricorderete senz'altro le cartoline con i bambini stilizzati che si tengono per mano, e via dicendo -, ebbene, «spreca» il 50 per cento delle proprie revenue per coprire costi amministrativi, vale a dire per i suoi funzionari. Oltre che essere, per così dire, un «egoista liberista», io sono consigliere di amministrazione dell'Actionaid, la più grande charity italiana per le adozioni a distanza. Adotta 100 mila bambini l'anno a distanza ed ha un turn over di circa 30 milioni di euro, tra adozioni e sponsorizzazioni.
Ebbene, Actionaid, che pure è italiana - noi, notoriamente, siamo alquanto pasticcioni nell'ambito delle gestioni economiche -, presenta costi amministrativi, essendo una charity privata, pari al 13 per cento delle proprie risorse ed ha esattamente lo stesso focus dell'Unicef. Oltre agli effetti economici negativi illustrati, ed oltre a tutti i costi di enforcement - questi ultimi, invero, sono costi veri: qualcosa deve pur rimanere alle varie polizie di tutto il mondo che cercano di riscuotere la tassa per poi redistribuirne i proventi all'ONU -, si presenterebbe anche un altro profilo
critico. In genere, infatti, la distribuzione delle risorse affidate agli organismi internazionali è influenzata politicamente ed i soldi vengono spesso sprecati. Sarebbe molto più semplice, per venire davvero in soccorso dei paesi poveri, abolire le barriere doganali dell'Unione europea, smantellare la politica agricola comune ed abolire, altresì, i sussidi che l'amministrazione statunitense dà agli agricoltori nordamericani. Ciò costituirebbe il maggiore aiuto che Stati Uniti d'America ed Unione europea potrebbero dare ai paesi poveri. Vi ringrazio per l'attenzione prestatami.
PRESIDENTE. A mia volta, desidero ringraziarla molto, avvocato De Nicola, per la particolare utilità che l'audizione reca ai nostri lavori; anche per ragioni di contrasto di opinioni, l'odierno incontro ci aiuta a mettere a fuoco bene gli argomenti. Do quindi la parola ai colleghi che desiderano intervenire.
NERIO NESI. Mentre lei, avvocato, interveniva in un precedente incontro presso la Confindustria, pensavo che, se fossi ancora presidente di una grande banca, non avrei dubbi ad affidare a lei cause importanti. Anzitutto, perché lei è molto bravo, lo si sente; in secondo luogo, perché è anche molto coraggioso. Ritenevo - ma oggi, dopo la sua esposizione, lo penso ancora di più - che la scuola di Chicago, al suo confronto, fosse un covo di comunisti, in quanto più liberista non si potrebbe essere.
Ha ragione il presidente Grandi; ho partecipato a questa audizione con particolare interesse, conoscendo il suo valore; infatti, a fronte di tutto quanto a favore della Tobin tax si è portato nel dibattito, in un paese serio - come, vagamente, è l'Italia - occorreva ed occorre una voce autorevole drasticamente contraria. Mi permetto di svolgere solo alcune osservazioni, che partono dal presupposto del dubbio come sistema. In questo senso, intervengo a titolo personale, anche perché non ho più neanche un partito; sono un uomo assolutamente libero e, anche per tale motivo, solo, forse più solo di prima.
ALESSANDRO DE NICOLA. Il che le fa onore.
NERIO NESI. Il progetto di legge da me presentato insieme agli altri firmatari si distingue per un elemento; parte dal presupposto che alcune delle questioni da lei indicate sono reali; saremmo sciocchi se pensassimo che la Tobin tax fosse facilmente introducibile ed applicabile.
Il progetto di legge prevede che l'imposizione di una Tobin tax possa funzionare anche soltanto a livello europeo; mi rendo conto, peraltro, che, a livello nazionale, un'imposta di questo genere sarebbe difficilmente applicabile. Occorre, quantomeno, un accordo internazionale; intravedo, ed ho intravisto redigendo il progetto, che l'accordo internazionale potrebbe avere un'ampiezza sufficiente se fosse ratificato da tutti i paesi europei.
Attraversiamo un momento nel quale le grandi regioni del mondo perseguono ciascuna la sua politica; lei, che certamente tratta cause assai importanti, sa come sia la situazione dell'acciaio in questo momento. Penso alla posizioni protezionistiche di Cina e Stati Uniti al riguardo; ebbene, anche l'Europa dovrebbe perseguire una politica dell'acciaio. Il mio amico Michele Salvati, pur essendo iscritto ai Democratici di sinistra, è, forse, più liberista di lei; o, quantomeno, è liberista come lei. Infatti, a fronte di questa situazione dell'acciaio, ha dichiarato, l'altro giorno, che è il mercato che deve affrontare il problema.
ALESSANDRO DE NICOLA. Invero, anche all'interno dei Democratici di sinistra, alcuni hanno tali convinzioni; uno di costoro è Franco Debenedetti.
NERIO NESI. Un mio amico, torinese come me; non tutti i torinesi, però, sono così!
Io parto da un presupposto che, se me lo consente, è di carattere morale; stiamo tassando tutto quanto si possa tassare, grandi e medi redditi. È possibile concepire una serie di operazioni finanziarie - da lei acutamente indicate - che non
scontino alcuna imposizione? Nel momento in cui l'Italia e l'Europa hanno uno straordinario bisogno di mezzi finanziari - dobbiamo perseguire a tutti i costi una politica di sviluppo e, per farlo, occorrono ingenti risorse -, come è concepibile che una serie di operazioni finanziarie, aventi un valore prossimo allo zero per quanto riguarda l'interesse generale del paese, non scontino alcuna imposizione? Questa è la domanda di fondo che, a mio avviso, in questa sede - la Camera dei deputati - noi, rappresentanti di tutto il paese, non possiamo non porci. Questo è l'elemento chiave; mi rivolgo ad una persona del suo valore, che forse può individuare altre soluzioni, che siano coerenti anche con l'impostazione da lei indicata. Una soluzione, però, è necessaria.
Inoltre, ci si rende conto della difficoltà di utilizzazione di tali fondi; la mia proposta è stata, infatti, all'inizio, molto più modesta. Essa partiva dalle necessità dello Stato italiano e non da quelle dell'ONU o dei paesi. Voleva fornire un contributo per migliorare la nostra posizione fiscale e Dio sa quanto ne abbiamo bisogno. Da tale presupposto derivava la mia soluzione sulle modalità di applicazione della tassa. Poiché da vecchio banchiere so che tutto ciò che si fa in banca ha come base una commissione per la banca, ho sempre pensato che fosse sufficiente, in questo senso mi sono consultato anche con alcuni banchieri, applicare a questa commissione bancaria un quid piccolissimo che, data la dimensione, permetterebbe comunque di raggiungere somme considerevoli. La commissione applicata dalla banca in pratica verrebbe divisa in due parti, di cui una rimarrebbe alla banca stessa e l'altra andrebbe allo Stato. Credo che se la misura dell'imposizione fosse molto limitata non si verificherebbe il trasferimento di risorse in altri settori o in altri centri finanziari esteri.
Lei ha svolto poi una difesa molto interessante del mercato, assumendo anche una posizione molto delicata quando ha sottolineato l'imperfezione del governo. Può immaginare che cosa io pensi dell'attuale Governo italiano. Mi permetto di fare notare che un articolo di fondo nella prima pagina del più importante giornale italiano titolava: tornare a Beneduce. Questa è la linea del Corriere della Sera, che auspica un ritorno alla programmazione delle risorse, ai grandi enti di Stato. Questa necessità è sentita da più parti. Ieri, lo stesso Corriere della Sera, ha pubblicato un articolo di grande interesse di Massimo Lucchetti sull'ENEL il quale si conclude con una domanda retorica a cui dava poi una risposta negativa: in che misura contribuisce l'ENEL all'interesse generale del paese?
Si sta creando nell'opinione pubblica, anche in quella della grande borghesia italiana, l'idea che occorra ritornare a strumenti anche di natura pubblica che hanno concorso a risolvere momenti difficili delle vicende italiane. Vorrei che lei meditasse su tale tendenza.
Quando ero presidente di banca mi chiesero: è utile la speculazione in borsa? I suoi risparmi in cosa sono investiti? Naturalmente risposi che i miei risparmi erano investiti tutti in BOT!
Un tempo la gran parte del paese affidava i suoi risparmi ai buoni del tesoro oppure a certi tipi di obbligazioni, tutte queste pratiche con il tempo si sono volatilizzate e siamo entrati nella speculazione più selvaggia. Cosa è meglio?
GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Sostanzialmente condivido la totalità delle affermazioni dell'avvocato De Nicola. Vorrei invece ritornare sulla possibilità di applicare la Tobin tax a livello europeo. Mezz'ora fa in Commissione esteri abbiamo audito il ministro degli affari esteri, il quale ci ha riconfermato la grande difficoltà che sta incontrando l'Unione europea nel trovare un accordo sui principi fondamentali della Costituzione europea su temi imprescindibili per poter costituire un soggetto politico di forte rappresentatività nel consesso internazionale. Non si riesce a trovare un punto di incontro sul rappresentante della politica estera, sui criteri di maggioranza e sulla qualificazione di rappresentanza dei 25 Stati; di fronte a questo scenario mi sembra
molto difficile che si possa riuscire a trovare una convergenza di vedute sulla applicazione a livello europeo della Tobin tax.
Mi pare di avere compreso che l'eventuale applicazione della Tobin tax, in base ai ragionamenti che l'avvocato ci ha esposto, potrebbe penalizzare anche lo sviluppo dei mercati industriali. Infatti, l'avvocato ci ha ricordato che le transazioni valutarie applicate da società che hanno vocazione finanziaria trovano delle coperture tecniche attraverso un sistema di hedging in modo da eliminare il rischio di cambio o rischi similari. Mi chiedo se una eventuale applicazione della Tobin tax non potrebbe penalizzare il sistema dell'attività industriale frenando il rilancio degli investimenti e, quindi, dei consumi.
L'avvocato ci ha anche fatto l'esempio dell'Argentina molto utile in questa ottica, perché ci ha fatto comprendere che quando il ministro Cavallo decise di legare la moneta nazionale al dollaro americano a lungo andare causò una ingessatura dei vari mercati con tutto ciò che ne è derivato in seguito. Evidentemente questa tassa potrebbe non sortire gli effetti auspicati da altri autorevoli interlocutori auditi in questa sede. In più ci ha segnalato che non vi sarebbe alcun vantaggio a favore dei paesi in via di sviluppo e ha sposato una teoria che io vado sostenendo, forse isolato anche all'interno del mio stesso partito: per dare respiro ai paesi in via di sviluppo occorrerebbe superare i protezionismi, le politiche di sussidio, liberalizzando veramente il commercio internazionale. Non è un caso, infatti, che il WTO si sia bloccato, spero temporaneamente, a Cancun proprio su questi temi.
Sono convinto che non sarà certo ricostituendo il ministero delle partecipazioni statali che si potrà rilanciare il sistema produttivo nazionale, bensì creando le condizioni per costruire delle strategie di indirizzo delle politiche industriali.
Cito, in modo un po' semplicistico, l'esempio del mercato delle locazioni che credo sia abbastanza esemplificativo. Quali risultati abbiamo ottenuto con il blocco della libera circolazione degli immobili attraverso le leggi stataliste vincolanti dell'equo canone? Fatta salva la contingenza degli ultimi due anni - dove probabilmente vi è stato il trasferimento di risorse dai mercati finanziari agli immobili, considerati come beni rifugio - negli anni passati, con il dirigismo delle politiche stataliste sul mercato delle case, con l'applicazione dell'equo canone, con le proroghe degli sfratti e con un intervento giudiziario a tempi lunghissimi, abbiamo visto quanto il mercato si è ingessato e quale è stata l'ascesa vertiginosa dei prezzi.
Allora, il problema, dal mio punto di vista, non è quello di avere più Stato e meno mercato, ma quello di un mercato più regolato. Dico all'amico, professor De Nicola, che possiamo essere tutti liberali e liberisti, convinti delle nostre posizioni, ma abbiamo qualche difficoltà quando poi assistiamo ai casi Cirio o Parmalat. Ritengo, quindi, opportuna una riflessione, anche da chi, a mio avviso, correttamente, sia convinto che la mano invisibile del mercato sia più utile di quella dello Stato, sulla necessità di creare una cultura del mercato e dell'imprenditoria, una eticità - concetto atecnico dal punto di vista squisitamente dell'economia liberale - ed un indirizzo tali che chi vive nella realtà del mercato possa sentire maggiormente l'esigenza di moralizzazione del sistema.
Tengo infine a ringraziare il professor De Nicola, che ci ha dato una visione ampia che ci consente di avere visioni opposte, ma estremamente costruttive per le conclusioni che le due Commissioni riunite dovranno trarre.
PRESIDENTE. Vorrei fare anch'io alcune considerazioni. Premesso che sono tra i firmatari di un progetto di legge che promuove la Tobin tax, ricordo che abbiamo impostato i lavori delle Commissioni sul principio di non fermarci alle valutazioni ed alle analisi dei diversi punti di vista, ma di cercare di affrontare le problematiche e le preoccupazioni relative
ai mercati finanziari, interpretando i contributi offerti, anche quelli più critici.
Il tema alla nostra attenzione, nell'auspicio di tutti, è quello di comprendere cosa occorre fare per regolare, nel modo migliore possibile i fenomeni non positivi intervenuti nei mercati finanziari, in particolare quelli di natura speculativa.
Circa quanto detto in precedenza dal collega Landi sulla vicenda relativa agli affitti, il problema è innanzitutto che sul mercato di presentano due entità che non sono uguali. Come poi abbiamo visto anche con il change-over lira/euro, chi non aveva da competere sui mercati internazionali ha approfittato per ritagliarsi una fetta di ricchezza nazionale in più.
Quindi, in realtà, il mercato non è una creatura autoregolante, perché è fatta di rapporti di forza reali e di condizioni nelle quali si opera tra le diverse aree del mondo. Esso richiede una visione in grado di offrire un quadro di regole adeguate - come tra l'altro ci dimostrano gli ultimi scandali finanziari - e di progettare il futuro. Capisco che, a volte, il progetto, non essendo stato presentato nel modo migliore possibile, si è rivelato un disastro e, proprio per questo motivo, ritengo che occorre avere moderazione e cautela. Mi sembra davvero impossibile, comunque, lasciare la situazione così com'è (lo ha già fatto trapelare il collega Landi, che è persona molto garbata).
Oggi mi accontento che si ragioni sull'esigenza di provvedere, poi, circa la gradazione dell'intervento si deciderà in seguito.
Per quanto riguarda le critiche che il professor De Nicola ha mosso alla Tobin tax, tengo a precisare che le transazioni sono già effettuate da un soggetto, molte volte tramite un intermediario, che potrebbe tranquillamente essere un sostituto di imposta - del resto anche prima c'era un meccanismo di questo tipo - il quale potrebbe semplicemente caricare un elemento di scoraggiamento tendenziale all'eccesso che cresce con il crescere della compulsività delle transazioni. Si sta parlando dell'esigenza di una regolazione di un intervento della politica.
Non conosco lo studio dell'OCSE che il professor De Nicola ha portato con sé e chiederei infatti di lasciarlo agli atti della Commissione. Devo dire che è uno studio un po' strano, perché ho abbastanza presente la crisi del 1992 ed essa non si è fermata al 24 per cento in ottobre, ma è arrivata al 36 con le successive svalutazioni. Quindi, la media del 10 per cento è la media di Trilussa, perché bisogna vedere come hanno funzionato i picchi, che mi pare di ricordare fossero anche più alti. Del resto, l'Italia ha sempre giocato la sua competitività con le svalutazioni quando ce ne era bisogno. L'euro, ad un certo punto, ce lo ha impedito e, secondo me, qualcuno ha un po' perso la testa. Probabilmente, partono da lì almeno alcune delle ragioni che hanno causato le difficoltà attuali. Quindi, le chiedo se il caso dell'Argentina - che nasce dalla scuola di Chicago e dalla quiescenza del gruppo dirigente argentino (a cominciare da Menem) -, e quelli del sud est asiatico, della Russia e dell'Indonesia non rappresentino un campanello d'allarme.
Inoltre, mi ha incuriosito una sua affermazione un po' ardita riferita agli aspetti finanziari intesi come mera circolazione delle merci. La trovo un po' strana perché, nell'ambito della dottrina economica, in tutti questi anni la moneta ha acquisito una sua autonomia. Essa, infatti, ha una sua influenza, in quanto rappresenta non soltanto la regolazione del pagamento delle merci ma anche un ben definito filone dell'economia; lambisce persino la rendita, come ha dimostrato recentemente la vicenda della transazione bancaria. Per di più, i dati Bankitalia ci informano che il 90 per cento delle transazioni finanziarie internazionali non hanno nulla a che fare con i movimenti delle merci e con i servizi reali. Le bolle speculative rappresentano una realtà economica e sono nate da un'autonomizzazione dell'aspetto finanziario rispetto agli elementi produttivi. In questo modo, si è creata una superfetazione di ciò che rappresenta pur sempre un filone economico.
Detto questo la ringrazio perché avevamo bisogno di audire una persona come lei.
Do ora la parola all'avvocato De Nicola per la replica.
ALESSANDRO DE NICOLA. Comincerò con un' «amarcord» dedicato all'onorevole Nesi, una persona di spirito. Nel 1977 o nel 1978 vi fu una storica vignetta di Altan in cui un amico diceva a Cipputi «Pare vi sia un riflusso», e Cipputi rispondeva «Mi devo essere perso il flusso progressista». Io mi sento esattamente come Cipputi quando sento persone sostenere che si sta tornando al pubblico: vorrà dire che mi sono perso il flusso liberista. Il nostro, infatti, è un paese che spende il 48 per cento delle proprie risorse attraverso lo Stato.
Quando espongo le mie ardite posizioni, molto spesso gli interlocutori - ovviamente non voi - mi rispondono come se io stessi rappresentando un pensiero dominante, mentre al contrario, mi sento totalmente minoritario: tutto sommato, si tratta di una cosa che mi diverte molto.
Gli interventi dell'onorevole Nesi e del presidente Grandi hanno manifestato due diversi approcci riguardo la Tobin tax. Un primo approccio intende la Tobin tax come introito fiscale e un secondo come mezzo per la stabilizzazione delle crisi finanziarie di volatilità.
Debbo dire che tra le due interpretazioni preferisco quella che intende utilizzare la Tobin tax come mezzo per ricavare denaro. Infatti, per ciò che concerne la stabilizzazione dei mercati un certo grado di volatilità è benefico. Nel 1992 l'Italia e la Gran Bretagna avevano una loro stabilizzazione finché le loro economie non rifletterono più i valori fondamentali delle monete, ingessate all'interno dello SME.
Nessuno specula contro l'Olanda degli ultimi vent'anni, o contro gli Stati che hanno i fondamentali in buone condizioni. Infatti, le speculazioni rappresentano delle scommesse di profitto su fondamentali che non vanno bene, che sono ingessati. Sotto questo profilo, le crisi dell'Argentina, dell'Italia, della Gran Bretagna sono assolutamente significative. La prossima crisi, per motivi opposti, potrebbe essere quella della Cina perché i fondamentali cinesi ormai non riflettono più il valore del sottovalutato yuan.
Il fatto che Menem abbia operato delle privatizzazioni non rappresenta un elemento sufficiente per farlo divenire un allievo di Milton Friedman. Tutto sommato quelli della Russia, dell'Argentina e dell'Indonesia sono esempi classici, ma il peggio che può capitare è rappresentato dalle privatizzazioni corrotte. Quando classi dirigenti corrotte immettono nel mercato beni statali non prezzati - in questo senso, l'Indonesia di Suarto, l'Argentina di Menem e la Russia di Eltsin avevano le classi politiche più corrotte dell'intero emisfero - ciò, indubitabilmente, crea dei problemi che non si sono avuti, ad esempio, attraverso le privatizzazioni operate dalla signora Thatcher.
La volatilità cattiva può essere aumentata dalla Tobin tax; infatti, restringendosi la liquidità, un movimento singolo acquista maggiore importanza rispetto ad una situazione in cui vi sono transazioni per 1.500 miliardi di dollari. In secondo luogo, negli ultimi vent'anni i costi di transazione - in parole povere i costi dell'operazione - sono diminuiti drammaticamente grazie alla sviluppo della tecnologia; nonostante ciò le crisi finanziarie vi sono sempre state.
Infine, è vero che il 90 per cento delle transazioni finanziarie internazionali non ha nulla a che fare con il movimento merci poiché, come sostenevo anch'io, si tratta di operazioni di hedging, di copertura.
Capisco che si voglia fare il quid sulla commissione bancaria perché, dato che paghiamo già il 27 per cento sui nostri conti correnti bancari, sarebbe come pagare il 27,1 per cento: nessuno se ne accorgerebbe. Il fatto è, però, che il sostituto d'imposta per le transazioni fatte dalle commissioni bancarie è infinitesimale perché tali transazioni avvengono sul
mercato monetario over the counter. Quindi, l'introduzione di un ulteriore elemento di appesantimento, soprattutto in un'economia aperta come quella europea, secondo me avrebbe delle controindicazioni.
Probabilmente, potrebbe funzionare solo per il consumatore che cambia gli euro in dollari per recarsi in vacanza; in tal caso, effettivamente non si accorgerebbe del sostituto d'imposta praticato dalla banca. Ciò, però, non rappresenterebbe un problema economico ma un modo per riscuotere meglio le tasse.
Vengo ad un altro aspetto che mi permette di rispondere all'onorevole Landi di Chiavenna, con il quale sono d'accordo. Anch'io ritengo sia uno scandalo dal punto di vista morale - per chi ha alcuni principi, non necessariamente condivisi da tutti - il fatto che vi siano alcune zone del mondo in cui la povertà è assoluta. Devo, però, riconoscere che, anche in tal caso, io applico, come per molte cose nella mia vita, un approccio relativista, pensando che quanti stanno molto meglio ora rispetto a venti anni fa sono gli oltre due miliardi di persone che vivono in India ed in Cina. Tutto sommato, dunque, costoro rappresentano cinque volte i 400 milioni di uomini che vivono veramente male in Africa ed in altre parti del mondo; ciò significa che le politiche economiche non restano senza conseguenze. Non troverete mai nessun paese, che abbia adottato politiche economiche di un certo stampo, il quale si trovi, oggi, peggio di vent'anni fa; al riguardo, se è gradita, posso fornire alla Commissione la documentazione relativa. Se, infatti, consultate l'indice di libertà economica del mondo, trovate un'impressionante correlazione tra reddito pro capite e libertà economica: il primo quintile, come si suol dire, di più alta libertà economica è anche quello con più alto reddito; l'ultimo è quello con il reddito più disastrato. In mezzo, vi è una progressione perfetta, e gli spostamenti sono quasi sempre correlati al grado di liberalizzazione.
Per le economie povere, è uno scandalo la circostanza che noi non importiamo i prodotti dall'Africa; al riguardo, ho avuto una moto di simpatia per i paesi del terzo mondo presenti al vertice di Cancun. Ciò, non perché volessero proteggere le loro economie dai servizi che intendevano vendere americani ed europei - in tal caso, a mio avviso, fanno male - ma perché è giusta la loro protesta su un altro versante. Le economie ricche, infatti, conoscono sistemi che non comportano costi di transazione; tali sistemi non comportano influenza politica e, quindi, non vi è alcun organismo pubblico che sceglie. Abolire le barriere lascia la scelta al consumatore e, quindi, non vi è alcun politico che decida di attribuire i soldi alla Somalia piuttosto che all'Etiopia a seconda di considerazioni politiche. L'abolizione delle barriere, dunque, è quanto costa meno e produce i benefici maggiori.
Infine, per quanto riguarda le regole del mercato, vengo alla questione circa i casi Cirio, Enron e Parmalat. Il mondo è imperfetto; quanto io sottolineo è che le regole fondamentali, quelle costitutive ed evolutive, attraverso le quali si è evoluto il mercato - inteso come luogo, anche figurato, di scambio tra gli individui -, sono regole generali che, tutto sommato, si sono evolute, e si evolvono, nel mercato, nel corso dei secoli e che sono poche e facilmente identificabili: pacta sunt servanda; non bisogna dare falsa rappresentazione, e via dicendo. Ladri e truffatori vi sono sempre stati; personalmente, sospetto che alcuni scandali dimostrino un fallimento della regolamentazione in quanto tutto si potrà dire salvo che i mercati dove operavano Enron, Cirio, Parmalat non fossero mercati straregolamentati, con autorità di vigilanza, leggi ed ogni genere di armamentario giuridico.
La risposta ad uno scandalo che colpisce il mercato, forse, non deve essere quella secondo la quale occorrerebbe maggiore regolamentazione. Infatti, ogni volta che succede un'evenienza del genere, aggiungiamo un quid di regolamentazione e,
ahimé, avviene sempre qualche altro caso analogo. Forse - ma al riguardo non oso dare suggerimenti di alcun tipo perché, oggi, l'argomento all'ordine del giorno è la Tobin tax -, è proprio l'attitudine mentale rispetto alle imperfezioni, agli scandali, ai collassi che si verificano nella vita economica che dovrebbe essere diversa. Non bisognerebbe più pensare che, se solo vi fosse una maggiore regolamentazione, e se solo fossimo tutti un po' più onesti, le situazioni migliorerebbero. Purtroppo, l'esperienza, se non la teoria, insegna che non sempre è così.
PRESIDENTE. Ringrazio ancora l'avvocato De Nicola per la sua presenza e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 17,50.