Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 10,35.
(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui temi relativi all'imposizione sulle transazioni valutarie, l'audizione di rappresentanti dell'Ufficio italiano dei cambi (UIC). Do il benvenuto al dottor Santini, presidente dell'UIC, e al dottor Gargioli, che lo accompagna, e li ringrazio per aver accettato l'invito a rispondere alle nostre domande in relazione alla cosiddetta Tobin tax.
Do la parola al dottor Santini per la sua relazione introduttiva.
CARLO SANTINI, Direttore generale dell'Ufficio italiano dei cambi. Ho preparato una breve memoria, che lascerò alla Commissione, utile ad inquadrare il contesto storico nel quale originariamente l'economista Tobin formulò la sua proposta. Il contesto è quello degli anni successivi alla caduta del sistema monetario di Bretton Woods, ossia l'inizio degli anni '70, e quindi del passaggio da un regime di cambi fissi ad uno di cambi fluttuanti.
I sostenitori di questo secondo regime di cambio ritenevano che esso avrebbe liberato la politica monetaria dei paesi membri del sistema dal vincolo esterno; il tasso di cambio si sarebbe liberamente determinato sul mercato in funzione dei differenziali di inflazione e la posizione competitiva dei paesi sarebbe rimasta sostanzialmente invariata.
Sappiamo che l'evoluzione dei rapporti di cambio fu molto diversa da quanto ipotizzato. Sui mercati dei cambi si registrarono fluttuazioni di grande ampiezza, assolutamente inattese, perché irruppero nel sistema i movimenti di capitali che negli anni '50 e '60 avevano giocato un ruolo minore. La velocità di spostamento dei flussi finanziari fu incentivata sia dalle liberalizzazioni che dalla tecnologia informatica di trasmissione dei dati.
Di conseguenza, divenne sempre più complesso capire e individuare le determinanti del tasso di cambio. Un'altra preoccupazione che si diffuse fu quella che l'eccessiva variabilità dei tassi di cambio avrebbe nuociuto al regolare sviluppo del commercio internazionale, che, come sappiamo, dalla fine della seconda guerra mondiale aveva costituito una delle caratteristiche dominanti della ripresa dell'attività economica nell'Europa occidentale, negli Stati Uniti e in Giappone. Fu proprio in quel contesto che James Tobin avanzò la proposta di introdurre una tassa sulle transazioni valutarie. La nuova imposta,
secondo il suo ideatore, avrebbe scoraggiato le operazioni speculative di brevissimo termine, ridotto la volatilità sul mercato dei cambi e garantito un ambiente favorevole alla prosecuzione della crescita del commercio mondiale.
La finalità della proposta non era quella di ottenere un gettito fiscale. Al limite, in caso di pieno successo, l'imposta avrebbe indotto i mercati a limitare le transazioni speculative, eliminando la stessa base imponibile. La proposta suscitò un certo dibattito, più vivace nel mondo accademico che non fra le autorità di politica economica e fiscale, ma perse di interesse perché le innovazioni sui mercati finanziari e monetari introdussero sistemi di copertura dal rischio di cambio che annullarono in gran parte gli effetti negativi della volatilità del tasso di cambio. In effetti, nonostante questo clima di incertezza dei cambi, i commerci continuarono a progredire senza ostacoli.
Ci fu un lungo periodo di silenzio intorno a questa proposta, fino a quando le crisi finanziarie e valutarie, che negli anni '90 avevano interessato un numero emergente di paesi, hanno riportato all'attenzione degli studiosi, dei governi, delle banche centrali, delle autorità di vigilanza e degli organismi della cooperazione internazionale, il problema della prevenzione delle crisi piuttosto che quello della loro gestione, che diventava più complesso, data la dimensione delle crisi stesse.
Da allora, il dibattito, piuttosto intenso, ha ruotato intorno a questi temi. In primo luogo, l'esigenza di condurre in ciascun paese politiche economiche sane. In secondo luogo, l'introduzione di regole di trasparenza a carico degli operatori privati e pubblici. In terzo luogo, il rafforzamento della normativa di vigilanza a tutela della stabilità degli intermediari bancari e non bancari, nonché del corretto funzionamento dei mercati finanziari. In quarto luogo, l'opportunità di regolare nel tempo il processo di liberalizzazione dei movimenti di capitali nei paesi dove questo ancora non era completato, in funzione del rafforzamento delle garanzie di stabilità offerto da appropriate norme di vigilanza e da autorevoli ed efficienti autorità di vigilanza. Infine, l'individuazione del regime di cambio più appropriato, avendo nel frattempo guadagnato terreno il convincimento che non esiste un regime di cambio buono per tutti i paesi e per ogni tempo. Quindi anche la scelta del regime di cambio va fatta in funzione delle situazioni contingenti nelle quali di volta in volta ciascun paese si trova.
Nell'ambito di questo dibattito, che è tuttora in corso e che mira alla costruzione della nuova architettura del sistema monetario internazionale, è tornata di una qualche attualità la proposta di una imposta sulle transazioni valutarie, ripresa dall'idea originaria di Tobin, ma nel nuovo contesto le finalità dell'imposta sarebbero diverse da quelle previste dalla proposta originaria. Non si tratterebbe più di un meccanismo per contenere le fluttuazioni dei cambi a beneficio del commercio mondiale (che, come ho accennato, non avverte questa esigenza), bensì, nella visione di alcuni, di un'imposta che, riducendo la convenienza ad effettuare transazioni finanziarie e speculative di brevissimo periodo, riduca anche la probabilità di acute crisi finanziarie. Nella visione di altri, si tratterebbe di una imposta in grado di produrre un gettito da destinare alle esigenze più pressanti dei paesi più poveri ed indebitati.
Le due visioni sono in qualche misura in contraddizione logica, perché quanto più l'imposta scoraggia le transazioni, tanto più si riduce la base imponibile. La ripresa di questa idea ha suscitato un dibattito e sono state avanzate una serie di obiezioni. Tra queste, ricordo la teoria secondo cui la prevenzione delle crisi è meglio assicurata dagli interventi di politica economica e di vigilanza ai quali ho fatto prima cenno. Inoltre, per la sua stessa natura, l'imposta dovrebbe essere applicata uniformemente almeno in tutti i centri finanziari di qualche rilievo, per evitare fenomeni di delocalizzazione e di svantaggio competitivo per i sistemi bancari e finanziari che ne fossero colpiti. I controlli contro l'evasione da questa imposta eventuale dovrebbero essere complessi
e quindi costosi. La complessità e il costo aumenterebbero (al pari della probabilità della inefficacia dei controlli stessi) in proporzione della numerosità delle esenzioni. Sarebbe infatti più agevole classificare come esenti transazioni che in realtà non lo sono. Infine, alcuni sostengono che le esigenze della politica a favore dei paesi più poveri vanno affrontate con altri strumenti, incluso ovviamente il ricorso alla fiscalità generale.
L'istituto che dirigo non ha esperienze passate né competenze attuali nel settore fiscale. La pregressa esperienza nel settore dei controlli valutari e delle autorizzazioni alle transazioni con l'estero induce peraltro a ritenere che l'operatività dei mercati monetari internazionali, nonché la vastità della rete mondiale degli intermediari, rendono ardua l'applicazione di norme del tipo di quella oggetto della presente audizione. Per certi aspetti, i risultati dello scudo fiscale ne sono la controprova, dal momento che, ex post, si è potuto riscontrare come, nonostante i divieti, tanti siano stati i capitali trasferiti all'estero.
Questo scetticismo è rafforzato dalle conoscenze dei mercati dei cambi, sui quali si incontrano transazioni alla cui base vi sono operazioni di regolamento di scambi di merci, di copertura da rischi di cambio, di finanziamento di investimenti sia diretti che di portafoglio, così come transazioni di carattere tipicamente speculativo e quindi disgiunte da qualsivoglia operazione sottostante.
Vorrei completare il mio intervento illustrando alcuni concetti di natura più tecnica e valutaria e presentando alcuni dati statistici più vicini alle esperienze e le competenze dell'istituto. La tassa di cui si discute si potrebbe applicare a tre diverse categorie di operazioni, così come sono definite dal testo unico delle norme di legge in materia valutaria, il decreto n. 148 del 1988: le operazioni con l'estero, che si dividono in operazioni correnti (scambi di merci) e operazioni di natura finanziaria; le operazioni valutarie, relative all'effettivo regolamento delle operazioni con l'estero di cui al punto precedente; le operazioni in cambi, relative alla trasformazione di una valuta in un'altra, a pronti, a termine o tramite un'opzione.
Queste tre tipologie di transazione rappresentano diversi insiemi di operazioni finanziarie, a cui corrisponderebbero in linea ipotetica stime del gettito molto differenti. Il mercato mondiale dei cambi e degli strumenti derivati è monitorato dalla Banca dei regolamenti internazionali attraverso un'indagine che viene condotta ogni tre anni. Questa indagine, che ha carattere campionario, coinvolge 48 banche centrali nazionali. I dati più recenti si riferiscono all'indagine svolta nell'aprile del 2001 ed indicano che il turn over giornaliero, ossia il volume degli scambi giornalieri sul mercato dei cambi in Italia, è stato pari a circa 17 miliardi di dollari, che rappresenta circa l'1 per cento del totale mondiale. Nella graduatoria dei mercati dei cambi mondiali l'Italia occupa il quattordicesimo posto. Il mercato degli strumenti derivati era di dimensioni molto più limitate e il turn over giornaliero per l'Italia era pari a 670 milioni di dollari.
Un altro universo di riferimento per l'applicazione di una ipotetica tassa sulle transazioni finanziarie sarebbe quello delle operazioni valutarie. Quelle collegate ad operazioni correnti, ossia lo scambio di merci, sono distinguibili da quelle relative alle transazioni di natura finanziaria, ossia gli investimenti di portafoglio per gli acquisti di titoli emessi dagli altri paesi. Nell'ottica della proposta normativa in esame si possono quantificare le operazioni valutarie e finanziarie poste in essere con controparti residenti nei paesi esterni all'area dell'euro separatamente dalle altre transazioni di bilancia dei pagamenti. Nel 2002 questi flussi lordi totali - capitali italiani ed esteri, crediti e debiti, con riferimento agli investimenti di portafoglio - ammontavano a circa 30 mila miliardi di euro.
A prescindere dall'universo delle operazioni finanziarie prescelto come base per l'applicazione dell'aliquota, a qualsivoglia aumento del grado di selettività nella identificazione delle operazioni oggetto di tassazione è collegato un significativo incremento dei costi di controllo.
Ad esempio, una caratteristica delle operazioni in cambi è quella di non mostrare alcun collegamento evidente con la tipologia di operazioni sottostanti ad essa. L'operatore che si trova in una sala operativa di cambi non sa la ragione per cui compra e vende valuta. L'individuazione di particolari sottocategorie di operazioni diventerebbe molto complessa e quindi anche molto costosa.
Le difficoltà che si incontrerebbero nell'applicare una tassa sulle transazioni finanziarie con criteri di selettività sarebbero in qualche modo comparabili a quelle che si incontrarono in Italia nel 1973, quando fu introdotto un doppio mercato dei cambi, con una sezione riservata alle transazioni correnti, con cambi oscillanti entro margini prestabiliti, e una riservata alle negoziazioni e transazioni finanziarie, con cambi liberamente fluttuanti. Questa suddivisione in due mercati venne abbandonata nel giro di circa un anno, anche a causa dell'estrema difficoltà incontrata nel mantenere distinte le due categorie di operazioni. Quando infatti i cambi nei due mercati erano abbastanza simili non vi era alcun problema, ma quando i cambi si differenziavano, vi era l'ovvio tentativo di passare tutte le transazioni sul mercato dei cambi più favorevole ed il controllo si rivelava praticamente impossibile.
L'esperienza maturata dall'Ufficio italiano dei cambi, prima nell'attività dei controlli valutari, e, negli anni più recenti, nella gestione delle segnalazioni statistiche di bilancia dei pagamenti, consente di osservare come l'introduzione di un'imposta su tutte le transazioni finanziarie avrebbe di per sé un costo non indifferente per gli intermediari finanziari che dovessero prevederne il calcolo e la riscossione: l'impatto più immediato si avrebbe a livello di sistemi di elaborazione dati.
CARLO SANTINI, Direttore generale dell'Ufficio italiano dei cambi. Ma l'introduzione della tassa comporterebbe anche, presso gli intermediari finanziari, la realizzazione di procedure di controllo tanto più complesse e costose quanto maggiore fosse il grado di diversificazione e selettività dell'imposta stessa.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Santini per la sua esposizione e do la parola ai colleghi per eventuali domande.
ALFIERO GRANDI. Ringrazio anch'io il dottor Santini. Nelle proposte di legge presentate (che hanno subito una evoluzione rispetto all'idea originaria), con riferimento alla Tobin tax sono formulate due ipotesi: la prima fa riferimento a Spahn e prevede di riprendere l'idea del 1973, distinguendo tra il momento «normale» e quello di crisi finanziaria con due aliquote, una normalmente molto bassa ed una molto più alta di vero e proprio salvataggio a fronte di crisi molto forti; la seconda ipotesi prevede una aliquota unica e molto bassa, e potrebbe rappresentare una replica alla difficoltà esposta di un sistema di controlli eccessivo, rispondendo non tanto al tentativo di esaminare ex ante la natura dell'operazione effettuata, quanto presupponendo che un'operazione di investimenti abbia bisogno di un periodo non breve tra l'investimento e la sua eventuale smobilizzazione e che in ogni caso anche nell'ambito finanziario - ricordo il caso Argentina - è necessario scoraggiare il capitale vagante.
La previsione di un meccanismo di tassazione molto basso su ogni transazione ha, conseguentemente, carattere di scoraggiamento. Sono state realizzate tabelle da cui si evince che a fronte di un'aliquota dello 0,1 per cento si determina un prelievo dello 0,2 nel caso di un solo movimento in un anno, che sale tuttavia sino al 50 per cento in caso di movimenti giornalieri, divenendo dunque più consistente mano a mano che la compulsività della volatilità diventa l'elemento dominante. Una tassazione di questo tipo (considero la situazione soltanto dal punto di vista tecnico dell'applicazione, dal momento che la valutazione circa la sua applicazione rappresenta
una scelta politica), incentrata sulla frequenza delle transazioni, assolverebbe ad una funzione di scoraggiamento oltre a risolvere la preoccupazione circa i costi elevati necessari per attivare i necessari controlli.
Un'altra questione che desidero sollevare si riallaccia al richiamo del dottor Santini alla Banca dei regolamenti internazionali. Durante un'audizione è stato affermato che l'orientamento attuale è quello di andare oltre il controllo a campione in funzione di un ampliamento dell'indagine che arrivi a coprire la grande maggioranza delle banche centrali. Sottolineo peraltro come, dal momento che tra le 48 banche centrali attualmente coinvolte sono comprese tutte le piazze finanziarie di qualche valore, ciò andrebbe tenuto presente in relazione alla percentuale delle transazioni complessivamente effettuate. In merito, se non ricordo male, il professor Bellofiore nel corso dell'audizione ha affermato che esse corrispondono da sole a più del 90 per cento delle transazioni, anche se rimane difficile individuare la percentuale rappresentata dai «paradisi» fiscali.
Poiché l'orientamento della Banca dei regolamenti non è tanto quello di realizzare un controllo a campione, quanto quello di svolgere una funzione di vera e propria regolamentazione dei processi dei flussi finanziari e dal momento che anche il paese finanziariamente più importante, gli Stati Uniti, ha da tempo assunto un orientamento di controllo, in particolare dopo gli avvenimenti dell'11 settembre, non si ritiene che l'acquisizione dei dati, la possibilità di fornire dati in tempo reale sia fondamentale?
Se l'obiettivo è quello di una Banca dei regolamenti che svolga funzioni di osservatorio sui movimenti finanziari internazionali, tenuto conto anche degli obiettivi di lotta al terrorismo, appare evidente la contraddittorietà con tale finalità della previsione di controlli ogni tre anni, tanto più alla luce della possibilità di utilizzare l'informatica per movimentare in un attimo capitali particolarmente consistenti.
Per quanto riguarda il rapporto tra scambi finanziari e scambi di merci, vorrei ricordare che il governatore della Banca d'Italia (nelle «Considerazioni finali» presentate in uno degli ultimi anni) ha illustrato una tesi secondo la quale i movimenti di capitale finanziario sarebbero circa 70 volte superiori alla realtà degli scambi non solo delle merci ma dell'economia reale nel suo complesso, per di più con una progressione esponenziale della finanziarizzazione degli scambi, fattore all'origine delle bolle speculative. Sarebbe interessante avere dati in proposito, ancora prima di una valutazione, per capire se vi sia corrispondenza con quanto scritto.
Infine, considerato che se nell'area euro la moneta tenesse non si avrebbero più problemi, questa potrebbe essere l'occasione per ripensare il futuro dell'Istituto italiano cambi, per andare oltre le sue attuali competenze in materia di transazioni e costituirlo quale punto di riferimento, una sorta di osservatorio cui potrebbe essere affidata l'applicazione di eventuali normative sulla tassazione delle transazioni.
GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Voglio innanzitutto ringraziare il dottor Santini per l'apprezzata relazione, che ha posto l'accento su una serie di problematiche, di dubbi e di perplessità riguardo all'opportunità di applicare quella che viene chiamata Tobin tax e che, inoltre, mi ha offerto, in quanto relatore dei provvedimenti in materia per la Commissione esteri, spunti molto interessanti.
Ritengo che l'eventuale applicazione di una tassa sulle transazioni finanziarie di natura speculativa potrebbe - lei lo ha detto e proprio su questo vorrei centrare il mio intervento - ridurre addirittura la capacità di sostegno verso le economie dei paesi poveri ed in via di sviluppo, i quali si trovano al centro di una serie di problematiche imponenti, dal punto di vista delle politiche internazionali, quali la lotta al terrorismo, lo sviluppo economico, la razionalizzazione del fenomeno dei flussi migratori.
Mi hanno colpito, in particolare, alcune sue affermazioni. Lei ha detto che si è passati, dall'originaria finalità della Tobin tax, individuata in un contenimento della fluttuazione dei cambi e nel conseguente stimolo del commercio internazionale, ad una eventuale applicazione dell'imposta sulle transazioni finanziarie di natura più speculativa, per alcuni al fine di evitare crisi acute di natura finanziaria e per altri al fine di produrre un gettito da destinare ai paesi poveri. Ha anche aggiunto, peraltro, che le perplessità circa questa eventuale nuova finalità risiedono nel fatto che la previsione di un'imposta che colpisca le transazioni finanziarie speculative finirebbe con lo scoraggiarle, riducendo così progressivamente la base imponibile. Peraltro, vi sarebbero difficoltà a garantire un'applicazione uniforme dell'eventuale imposta in tutte le realtà e in tutti i paesi di maggiore importanza, con il rischio quindi di delocalizzare le operazioni di transazione finanziaria. Ha inoltre affermato che altri potrebbero essere gli strumenti e le iniziative che, se correttamente applicati, potrebbero migliorare le condizioni economiche dei paesi poveri e di quelli in via di sviluppo.
Ricordo, a tale proposito, il dibattito politico, avvenuto nella scorsa legislatura, anche con l'onorevole Benvenuto, che allora presiedeva questa Commissione, quando, esaminando il testo Draghi sulla corporate governance, abbiamo discusso di trasparenza dei mercati e di una loro regolazione «liberale». All'epoca, nonostante quella potesse forse essere la sede in cui occuparsene, non si parlò mai dell'eventuale Tobin tax (lascio a considerazioni future le mie valutazioni circa le motivazioni politiche alla base del dibattito sull'applicazione della Tobin tax).
Condivido molte delle sue considerazioni, anche di natura critica sull'eventuale applicazione di questa imposta che, in linea di principio, potrebbe essere apprezzabile se consentisse di scoraggiare tutte le operazioni fortemente speculative. L'onorevole Grandi ha giustamente ricordato che molte di queste operazioni di transazione e di speculazione valutaria e non solo, oggi, sono alla base anche di flussi finanziari che poi vanno purtroppo ad incanalarsi nell'alimentazione di fenomeni di terrorismo. Attualmente i movimenti volti a destabilizzare il quadro politico mondiale hanno una capacità economica e finanziaria enorme e muovono una gran quantità di denaro. Però, dottor Santini, lei ha fatto presente che il tentativo di diversificare le transazioni risulterebbe complicato e costoso per gli stessi operatori finanziari e produrrebbe un'attività di controllo che comporterebbe un rallentamento dei processi, senza peraltro produrre vantaggi particolari.
Vorrei quindi chiederle quali ritiene potrebbero essere gli strumenti per cercare effettivamente di favorire lo sviluppo e l'economia dei paesi poveri, senza andare ad incidere sulla dinamicità dei mercati economici finanziari. Cosa possono fare il mercato, la comunità internazionale, le grandi organizzazioni internazionali per i paesi poveri e per quelli in via di sviluppo? Questi hanno infatti necessità di sostegni che consistano non solo in sussidi e in aiuti a pioggia, come fino ad oggi è avvenuto, ma anche in attività che mirino a creare migliori condizioni di vita, di crescita economica, culturale e democratica in questi paesi.
PRESIDENTE. Sarà certamente utile una risposta a tali considerazioni, anche se la domanda posta dall'onorevole Landi di Chiavenna si riferisce più alla precedente attività del dottor Santini, quella di alto funzionario della Banca d'Italia, che non alla sua attuale posizione istituzionale.
GIORGIO BENVENUTO. Riconosco che molte delle osservazioni fatte ci dimostrano come non sia facile affrontare questo problema. L'ansia alla base di queste proposte è determinata dalla crescente inadeguatezza che mostriamo di fronte a fenomeni di carattere speculativo - nei cui confronti la tradizionale vigilanza, così come l'abbiamo conosciuta, si dimostra inefficace - e dall'impotenza di fronte alla crescente divaricazione tra la situazione dei paesi più sviluppati e quella dei paesi
del terzo mondo, con le conseguenti crescita a dismisura dell'impoverimento ed esplosione dell'immigrazione.
I processi di liberalizzazione di mercato vengono affrontati senza l'adeguata vigilanza e nella totale incapacità di individuare regole e forse occorre pensare a qualcosa che impedisca fenomeni di speculazione, che sono alla base dell'impoverimento di paesi anche ricchi. Basti pensare all'America latina, in particolare alle vicende del Brasile e dell'Argentina, e agli effetti di quest'ultima sui risparmiatori italiani, per rimanere allarmati.
Dal momento che immagino che la proposta non possa venire solo da un paese, l'Europa è in grado di svolgere un ruolo, di costruire una proposta su questa materia? L'Unione europea, oltre ad avere l'euro, è in grado di formulare una proposta?
Ho constatato che anche altre proposte - non voglio fare un rilievo negativo, poiché sono sempre pronto a recepire nuove proposte - come la detax, illustrata in occasione di vertici internazionali europei, non sembrano fornire risposte significative.
Altra vicenda alla quale desidero fare riferimento è quella relativa al cosiddetto rientro dei capitali dall'estero, in merito alla quale abbiamo presentato un'interrogazione alcuni giorni fa. Tale operazione fu pensata (richiamo, in proposito, la scheda tecnica sul provvedimento e ciò che dissero al riguardo i rappresentanti della Banca d'Italia e, in questa sede, il sottosegretario Tanzi) nel presupposto che i capitali in questione sarebbero rientrati, regolarizzati, nel nostro paese. In questo senso, mi ha colpito la notizia, proveniente dalle banche ticinesi, secondo la quale i capitali in questione sarebbero dapprima rientrati in Italia per la regolarizzazione per poi essere trasferiti nuovamente all'estero. Il Governo italiano non è in grado di confermare o meno la veridicità di tali affermazioni.
Vi è poi una questione di carattere più generale, vale a dire la palese mancanza di tutela per i risparmiatori dal momento che gli speculatori, i quali, come nel caso della vicenda Cirio, operano a livello internazionale, si trovano in una zona franca. È possibile che si debba rimanere impotenti di fronte a tali fenomeni? Possibile che la grande capacità di vigilanza tradizionalmente mostrata - ricordo per esempio l'egregia azione svolta in materia di riciclaggio del denaro - non possa contribuire a fornire una risposta adeguata? Il finanziamento del terrorismo, la speculazione, le irregolarità sembrano contraddistinguere questa fase dell'economia e dei processi di globalizzazione.
Noi abbiamo presentato una risoluzione, che ha avuto l'appoggio ed il consenso del Governo - nella persona del sottosegretario Armosino - sul problema delle holding industriali. Tale risoluzione è stata approvata. Al ministero sostengono che le difficoltà della sua attuazione dipendono da problemi dell'Ufficio italiano cambi. Approfitto pertanto della sua presenza, direttore, per sollecitarla affinché tale risoluzione, su cui il Governo ha espresso il proprio consenso, possa avere attuazione.
CARLO SANTINI, Direttore generale dell'Ufficio italiano dei cambi. Svolgerò alcune brevi riflessioni personali sulle questioni sollevate.
Sul piano specifico, le mie considerazioni in relazione a tale imposta si richiamano al mio intervento introduttivo. Se si tenta di diversificare fra transazioni, la mia impressione è che i costi del controllo siano altissimi ed il rischio di non riuscire a controllare sia altrettanto elevato. In proposito, ho fatto riferimento alla vecchia esperienza italiana - analoga a quella del Belgio - del doppio mercato dei cambi, poi abbandonata.
Un'aliquota unica, molto bassa, applicata a tutte le transazioni, è certamente di più facile attuazione. Essa presenta, in ogni caso, un costo, che - presumo - non sarebbero le banche a sostenere: lo traslerebbero sui loro clienti. Pertanto, sarebbero ugualmente colpiti, sia pure con un'aliquota molto bassa, non solo gli speculatori,
ma anche gli operatori ordinari, quali gli importatori e gli esportatori di merci.
Altro punto molto importante è la diffusione dell'imposta. Soprattutto per le operazioni di tipo speculativo, qualora nell'area di applicazione dell'imposta non fossero inclusi anche pochi centri off-shore particolarmente efficienti (e ce ne sono), tutte le transazioni connotate da una caratteristica speculativa si trasferirebbero su tali centri, rendendo vana l'imposta.
Riguardo alla Banca dei regolamenti internazionali forse non mi sono espresso con sufficiente chiarezza. L'indagine cui ho fatto riferimento, condotta con cadenza triennale, ha una funzione meramente conoscitiva. La Banca dei regolamenti internazionali non dispone di alcun potere di controllo. Tale indagine copre 46 o 48 Banche centrali, ma - ha ragione lei, onorevole Grandi - tutte le Banche centrali chiave e, quindi, tutte le piazze finanziarie che svolgono un ruolo determinante nel mondo. Si può affermare, pertanto, che, pur essendo campionaria e parziale, in realtà l'indagine offre un quadro molto preciso della situazione.
Lo ripeto, essa svolge una funzione meramente conoscitiva, cerca cioè di dare un'idea della dimensione di tali mercati (è effettuata con cadenza triennale perché i fenomeni esposti - sempre che non intervenga qualche evento eccezionale - non variano con molta frequenza). Dalle informazioni che da essa si ricavano le autorità dei singoli paesi possono trarre indicazioni utili per i loro interventi, ma ciò non rappresenta la finalità dell'indagine.
Non ricordo, in questo momento, le cifre, ma è assolutamente vero che le transazioni slegate dal commercio, quelle sui cambi, che possono collegarsi all'attività meramente finanziaria, sono un multiplo elevatissimo delle transazioni commerciali.
L'Ufficio italiano dei cambi deriva le sue attuali funzioni da una riforma, completata nel 1998, alla vigilia dell'inserimento dell'Italia nell'area dell'euro e della Banca d'Italia nel Sistema europeo delle banche centrali. Non spetta a me affermare se quelle funzioni possano essere variate.
Come ho già ricordato, nel dibattito relativo a questa tassa e nei molti scritti e studi che sono stati pubblicati si scontrano due posizioni in contraddizione logica: frenare l'attività speculativa e raccogliere gettito per sostenere i paesi in via di sviluppo. Le due funzioni sono in conflitto perché, se l'efficienza dell'imposta fosse massima, progressivamente si registrerebbe una diminuzione fino all'azzeramento delle operazioni speculative, con il conseguente annullamento della base imponibile e registrazione di un gettito tendente a zero. È necessario chiarire quale finalità si intenda raggiungere, altrimenti si rischia di essere contraddittori.
Il presidente La Malfa lo ha già ricordato, da tempo l'approccio ai problemi dei paesi in via di sviluppo è mutato. Nel corso dell'estate ho letto una serie di documenti della Banca mondiale, dato che nei giorni scorsi dovevo preparare un intervento su questi temi, ed ho riscontrato che il raffronto tra la relazione annuale della Banca mondiale presentata negli anni cinquanta e nei primi anni sessanta e l'ultima evidenzia due «mondi» completamente diversi con una diversa evoluzione della analisi teorica sui problemi dello sviluppo. Allora la Banca mondiale centrava la propria attività sul finanziamento di singoli progetti, ritenendo che la quantità di capitale diretta alla costruzione di una diga o una strada o una acciaieria fosse determinante nel processo di sviluppo; oggi, invece, si afferma che occorre preliminarmente intervenire su quanto viene chiamato, in senso generico, capitale umano.
In una relazione di una agenzia delle Nazioni unite specializzata sul mondo arabo, alcuni economisti arabi sostenevano che l'arretratezza in termini di tasso di sviluppo dimostrata dal mondo arabo avesse a che fare con le condizioni di scarsa democrazia dello stesso. Un'area che discrimina il 50 per cento della popolazione, quella di sesso femminile, su istruzione, diritti civili e politici, non può
catturare le opportunità di sviluppo offerte. Allo stesso modo, la tecnologia informatica non può aiutare lo sviluppo in paesi africani con un tasso di analfabetismo della popolazione adulta che, in alcuni casi, raggiunge il 50 per cento.
È cambiata completamente la «filosofia» della Banca mondiale e dei Governi: attualmente si considera che gli interventi debbano essere mirati su settori come l'istruzione, la sanità, il rispetto delle regole e la prevalenza dello stato di diritto rispetto alla corruzione. Pochi giorni fa si è conclusa in Messico una riunione del cosiddetto gruppo dei venti, dieci ministri finanziari dei paesi industriali e dieci dei paesi emergenti accompagnati dai rispettivi governatori delle Banche centrali, i quali hanno lavorato intorno a quella che ho definito la nuova architettura del sistema finanziario internazionale, cioè una definizione congiunta, non imposta dai paesi forti ma elaborata insieme con i paesi emergenti, di regole di comportamento, di trasparenza e di vigilanza. Si tratta di mettere in atto, in un arco di tempo anche medio, una azione di prevenzione che penso sia umanamente impossibile considerare assoluta. Questa è la direzione in cui si lavora.
Per quanto riguarda le holding, come ho già detto durante una precedente audizione in Commissione, vi è una norma nel testo unico che prevede che esse segnalino all'Ufficio italiano dei cambi le eventuali operazioni sospette di riciclaggio di denaro «sporco» che passano tramite loro; le holding, al momento in cui vengono costituite, hanno il solo obbligo di dichiarare di essersi costituite e che i propri amministratori siano fit and pro, che non abbiano pendenze penali e non siano commisti in attività mafiose. Ho anche detto che questo obbligo deriva da una norma e finché essa esiste dovrà essere applicata. Quando il Parlamento l'avrà abrogata, essa non sarà più applicata. Da parte dell'Ufficio italiano dei cambi non vi è alcuna resistenza.
NERIO NESI. Vorrei esprimere considerazioni più modeste rispetto al discorso molto «alto» svolto dal direttore generale dell'Ufficio italiano dei cambi.
In primo luogo vorrei sottolineare che non è mia intenzione frenare le speculazioni, ma tassarle. Trovo immorale che in un paese che ha disperatamente bisogno di mezzi finanziari, come vediamo in questi giorni, in cui tutto viene tassato, la grande speculazione finanziaria non paghi neanche un euro di tasse.
La mia domanda comunque è di livello più «basso». Il trasferimento dei capitali all'estero realizzato dalle singole banche è ancora comunicato all'Ufficio italiano dei cambi. Tale comunicazione riguarda il solo dato quantitativo relativo al denaro inviato all'estero o anche il nominativo del soggetto per incarico del quale il trasferimento è stato realizzato?
Inoltre, su ogni transazione di qualsiasi genere, quindi anche sulle transazioni Italia-estero ed estero-Italia, la banca applica una commissione. Mi rendo conto della difficoltà, ma penso che la strada meno difficile da seguire potrebbe essere quella di considerare la banca debitore di imposta: la banca applica una commissione aggiungendo ad essa un certo valore di cui è responsabile e che successivamente versa allo Stato. Secondo lei ciò è concepibile?
CARLO SANTINI, Direttore generale dell'Ufficio italiano dei cambi. Le segnalazioni statistiche che l'Ufficio cambi riceve sulle transazioni, sia commerciali sia finanziarie, non sono nominative. La legge che regola queste transazioni è la n. 148 del 1988, che prevede che le informazioni trasmesse all'Ufficio cambi siano conservate in modo anonimo. Quindi, conserviamo e registriamo nei nostri archivi il valore delle transazioni, ma non i nominativi.
NERIO NESI. Anche se li avete ricevuti?
CARLO SANTINI, Direttore generale dell'Ufficio italiano dei cambi. Certo, essi vengono cancellati subito. Credo, infine, che, dal momento che oggi, come in passato, le banche o le stesse imprese sono
sostituti di imposta in molte circostanze, lo potrebbero essere anche a questo fine. Su un piano meramente tecnico, ciò è perfettamente fattibile, trattandosi di una fattispecie che si riscontra frequentemente: penso, ad esempio, all'Ufficio italiano cambi che, quando mi versa lo stipendio, trattiene direttamente l'imposta sul reddito, ovvero alla banca che, degli interessi che maturano sul mio deposito, trattiene il 27,5 per cento, che passa direttamente al Ministero delle finanze. Immagino, quindi, che l'eventuale estensione della fattispecie non rappresenti una novità.
NERIO NESI. Questo è molto importante.
PRESIDENTE. Ringraziando il dottor Santini per la sua partecipazione e per la memoria che ha illustrato, invito le Commissioni, in relazione alle questioni più generali sollevate dall'onorevole Landi di Chiavenna relativamente ai nuovi orientamenti della Banca mondiale sui temi dello sviluppo economico, a riflettere sull'opportunità di ampliare la nostra indagine, ascoltando, per esempio, il direttore esecutivo della stessa Banca mondiale, che potrebbe fornirci al riguardo informazioni molto utili.
Dichiaro, infine, conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 11,15.