![]() |
La seduta comincia alle 15.25.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame della proposta di relazione finale.
Comunico che sono state presentate due relazioni di minoranza a firma, rispettivamente, del deputato Bulgarelli e dei deputati De Brasi, Motta, Mariani, Pinotti, Deiana, Bindi e Tuccillo. Le relazioni sono pubblicate in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegati).
Comunico, inoltre, che non sono state presentate proposte di modifica al testo della proposta di relazione finale da me predisposta in qualità di relatore, per la presentazione delle quali il termine, previsto inizialmente alle ore 11, era stato fissato alle ore 18 di ieri, mercoledì 22 febbraio.
Ricordo che, per la votazione finale della relazione, l'articolo 10, comma 2, del regolamento interno prescrive la presenza della maggioranza dei componenti della Commissione. Le relazioni di minoranza saranno poste in votazione solo qualora dovesse essere respinta la relazione presentata dal relatore.
Rinviando ad una più approfondita illustrazione delle conclusioni pervenute da parte della Commissione al libretto che correda la relazione presentata, mi limiterò, come relatore, ad una sintesi delle stesse.
Sulla base delle risultanze acquisite agli atti, è stato possibile accertare la dinamica dei fatti soprattutto attraverso l'analisi effettuata attraverso il reperimento da parte della polizia scientifica italiana dell'auto sulla quale trovarono la morte i giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. È stato possibile chiarire definitivamente la dinamica dei fatti (ricordo che, nell'ambito dei processi che si erano svolti, talvolta era emersa la medesima conclusione) ed escludere che Ilaria Alpi fosse stata attinta da un colpo di arma da fuoco sparato a contatto con una parte del capo. È stato invece accertato che il colpo che attinse i due giornalisti partì da un kalashnikov - ricordo che si parlava anche di un'arma corta - ad una distanza non inferiore a 5,20 metri. La raffica di kalashnikov fece seguito all'esplosione di colpi d'arma da fuoco da parte dell'uomo della scorta di Ilaria Alpi, e si trattò quindi di una risposta, naturalmente violenta e assassina, della quale ormai tutti siamo a conoscenza.
Per quanto concerne l'individuazione di possibili causali, secondo l'approfondito lavoro svolto in Commissione - al di là di ciò che, sul piano della cosiddetta malacooperazione, era stato già riscontrato dalle autorità giudiziarie via via interessatesi alla vicenda - nulla, in generale, è stato possibile accertare circa la possibile riconducibilità del fatto a problematiche inerenti al traffico di rifiuti illeciti o radioattivi o a quello di armi, salvo alcune precisazioni. È emerso che il traffico di armi era caratterizzato dal più ampio e libero mercato e che, quindi, non era attinto da alcuna necessità di segretezze, mentre relativamente al traffico di rifiuti tossici, nocivi e radioattivi sono stati totalmente smentiti i dati evidenziati anche
dalle ultime rilevazioni effettuate in loco, compresa quella sulla famosa strada Garoe-Bosaso, che sarebbe stata costruita previo interramento di rifiuti radioattivi da parte di persone mai specificate.
Al di là di comunque di ciò che si può pensare sul piano generale, certamente non è emerso un solo elemento probatorio dal quale sia risultato che da parte di Ilaria Alpi vi fosse stata la consapevolezza di fatti per i quali sarebbe stato preferibile toglierla di torno piuttosto che rischiare che li divulgasse.
L'ultimo settore al quale intendo riferirmi è quello relativo alle responsabilità. La Commissione ha potuto evidenziare ed enucleare non poche responsabilità anche di organi istituzionali, anche se, come risulta dal testo delle conclusioni da me personalmente scritte, non può ignorarsi che, sin dalle prime battute, quasi tutte le autorità avevano inquadrato il duplice assassinio in un contesto di operazioni di carattere più o meno banditesco, a giustificazione di alcune smagliature riscontrate, talune molto gravi. Ci siamo preoccupati di rappresentare all'autorità giudiziaria - e se ne dà conto nella relazione - quali siano state le carenze, le omissioni, talvolta anche le intenzionalità, sulle quali poi l'autorità giudiziaria dirà quello che riterrà opportuno sulla base di ulteriori approfondimenti.
La vicenda omicidiaria si inquadra in modo totalmente diverso da quello che per dodici anni si è voluto descrivere e si è approfonditamente indagato senza ottenere alcun elemento probatorio, per l'elementare ragione che il duplice omicidio è definibile anche come occasionale, pure se di certo si tratta di omicidio intenzionale che matura in una situazione nella quale siamo certi che, proprio nella settimana che si sarebbe conclusa con la tragica domenica dell'uccisione dei due giornalisti, era stata, a vario titolo e in vari ambienti, preannunciata la consumazione di attentati nei confronti di occidentali e addirittura di giornalisti. Ciò a cagione di un contesto che si andava sempre più deteriorando sul piano sia dell'ordine pubblico, sia dell'ostilità nei confronti degli italiani, sia del riaccendersi delle guerre tra le varie tribù che interessavano in particolare la città di Mogadiscio, divisa - com'è noto - nella parte nord ed in quella sud, rispondente la prima al controllo del generale Aidid, la seconda al controllo di Ali Mahdi, che abbiamo sentito in questa sede.
Accanto a questi accertamenti, è stato possibile identificare possibili composizioni del commando assassino attraverso delle testimonianze, tra le quali in particolare una oggi attinta dal programma di protezione. Non è però possibile, per quanto riguarda la Commissione, affermare che quelle dichiarazioni siano suscettibili di piena utilizzazione, per l'elementare ragione che non è stato possibile raggiungere il riscontro in maniera puntuale per le condizioni della Somalia, che hanno impedito di svolgere missioni concrete ed effettive in quel paese.
Credo che questa proposta di relazione non sia, come da più parti viene detto, una rielaborazione maliziosa e parziale dei dati di cui dispone la Commissione, in base ad un lavoro di grande rilievo e di approfondimento che è stato effettuato, ma che si tratti di ciò che obiettivamente appartiene al novero dei risultati che - mi appello al voto dei commissari - possano ritenersi sufficientemente tranquillizzanti.
Non essendo questa la sede più opportuna, non intendo riferirmi alle implicazioni di carattere politico e preciso che ciò cui ho fatto riferimento ha riguardo esclusivamente alle valenze tecniche alle quali ci siamo affidati per tutto il tempo del lavoro svolto. Certamente però non sfugge a nessuno - e non sfuggirà di certo nel seguito dell'interessamento che sarà dedicato a questa inchiesta - che molti dei risultati e delle indicazioni che hanno fatto parte di una sorta di letteratura che, talvolta, è entrata anche nei meandri delle istituzioni sono stati decisamente smentiti.
La relazione che sottopongo alla votazione della Commissione si fa anche carico di capire per quale ragione si possa essere verificato questo misunderstanding intorno alle modalità di svolgimento dei fatti, alle causali ed ai responsabili. Senza tema di
smentita, perché abbiamo subito in Commissione l'onta della possibilità del turbamento delle attività svolte per due anni e perché si tratta di dati acquisiti attraverso documenti, testimonianze e quant'altro, le ragioni del misunderstanding consistono sicuramente in un'operazione a vastissimo raggio che ha alla testa una parte del giornalismo italiano che ha trovato in alcune istituzioni delle propaggini con le quali, in qualche modo, collegarsi. Ci siamo fatti carico di queste propaggini e, in particolare, di ciò che è accaduto sinergicamente tra questi settori dell'informazione e la questura di Udine, segnatamente da parte di alcuni funzionari della DIGOS di quella questura, che sono stati già denunziati all'autorità giudiziaria e per i quali vi è un procedimento penale in corso, per le ragioni che risultano puntualmente agli atti e che sono illustrate nella relazione della Commissione.
Come già deliberato ieri in ufficio di presidenza, al termine dei nostri lavori mi premurerò di investire una pluralità di autorità giudiziarie, le quali avranno il compito di riprendere il percorso dal punto in cui lo abbiamo lasciato, avendo l'orgoglio di poter dire che è un punto fortemente costruttivo, senza la pretesa di avere risolto ogni cosa, ma con la certezza di aver fatto molto di più di quanto compiuto in questi dodici anni, a causa degli inquinamenti che da più parti sono pervenuti.
Voglio infine ringraziare - lo faccio ora, perché dopo potrei non sentirmi di farlo - tutti i componenti della Commissione, di opposizione e di maggioranza, per il grande lavoro compiuto insieme. Mi spiace però dover constatare che, nonostante ci sia stata sempre consonanza tra maggioranza e opposizione rispetto a tutti i temi cui, fino a questo momento, ho fatto riferimento, ad un certo punto, per ragioni che non conosco, si è verificata una spaccatura, della quale prendo atto, nella certezza che procederemo nel migliore dei modi per la conclusione del nostro lavoro.
Passiamo ora alla discussione generale sulla proposta di relazione finale.
Do la parola all'onorevole De Brasi per l'illustrazione della relazione di minoranza presentata dai gruppi dei Democratici di Sinistra, della Margherita e di Rifondazione comunista.
RAFFAELLO DE BRASI. Signor presidente, onorevoli colleghi, la relazione di minoranza che abbiamo presentato si compone di tre parti: le conclusioni, che differiscono in maniera sostanziale da quelle che il presidente ha descritto illustrando la sua proposta di relazione finale, le quali ci spingono a votare contro la stessa; un documento analitico che ripercorre la relazione presentata in quelli che riteniamo siano i punti più deboli, le contraddizioni e le forzature della relazione stessa; infine alcuni allegati di carattere documentale che sostengono le nostre conclusioni.
Ricordo che il 17 febbraio scorso abbiamo ricevuto dal presidente una bozza di relazione, che egli, nella sua perfetta autonomia e legittimità, ha deciso in seguito di modificare per due volte. Gli allegati che presentiamo sono gli stessi presenti nella prima stesura della relazione, che poi sono stati in qualche modo stralciati.
Tutto ciò in parte si collega al ragionamento che abbiamo fatto già ieri sulla questione delle segretazioni: riteniamo che ci siano molte intercettazioni, in particolar modo quelle su Marocchino, che potevano essere dissegretate e che, attraverso omissis, si poteva anche rendere pubblica l'audizione del teste somalo. Questo non è stato consentito ieri con un voto a maggioranza, di cui abbiamo preso atto. Non so se ne discuteremo ancora, ma sta di fatto che l'opinione pubblica ed il Parlamento stesso non potranno utilizzare preziosi dati frutto anche del nostro lavoro.
Tengo a ringraziare tutti i commissari e il presidente per il lavoro che abbiamo svolto insieme, che è stato lungo e faticoso. Nella nostra relazione sottolineiamo quanto di buono abbiamo fatto insieme e gli aspetti che condividiamo.
Lo stupore dimostrato dal presidente è stato un po' anche nostro, in quanto, ad
un certo punto, è intervenuto qualcosa che ha prodotto un cambiamento di rotta. Ritengo che tra le conclusioni e la prima bozza di relazione esista uno iato, tanto che, addirittura, abbiamo preso una parte consistente della prima bozza per allegarla alla nostra. Ciò vuol dire che su quella, per gran parte, eravamo d'accordo. Poi però il presidente ha deciso di chiudere il caso proponendo una sua verità che, a nostro parere, non ha riscontri e non ha prove. Riteniamo che questa verità sia frutto di un'interpretazione, pur abile e con una sua coerenza interna, ma che, come cerchiamo di dimostrare nella nostra relazione, non regge e, secondo me, non reggerà nelle sedi che saranno poi deputate ad affrontare questo tema, in particolar modo quella giudiziaria, date le evidenti forzature nelle conclusioni tratte dal presidente.
In questa relazione non abbiamo sposato una verità ma affermiamo che il caso rimane aperto per quanto riguarda l'individuazione degli esecutori, sottolineando l'aspetto, pur contenuto nella vostra relazione, attinente all'inesistenza di riscontri esterni ai nominativi fatti dal testimone proposto da Marocchino. Naturalmente non condividiamo il fatto che, ad un certo punto, sia la vicenda di Bosaso, sia quella di Marocchino spariscano dal contesto conclusivo della nostra Commissione. Dato che gli esecutori non si conoscono e che non è la prima volta che vengono fatti nomi del commando omicida (anche in precedenza infatti ne sono stati fatti tantissimi), per noi questo è un aspetto che rimane aperto.
Rimane poi aperta la questione relativa alle causali. Ricordo che la Commissione aveva come primo obiettivo quello di chiarire la dinamica dei fatti e, in secondo luogo, di verificare se esistessero connessioni tra i traffici illegali e l'omicidio. È vero, come ha detto il presidente - e noi lo ribadiamo nella nostra relazione - che non ci sono stati riscontri in merito al secondo obiettivo. Preciso quindi che nessuno si è inventato che sia esistito un complotto o un centro di depistaggio, in quanto era proprio uno dei compiti istitutivi della Commissione ricercare la verità sulle ipotesi di connessione tra i traffici e l'omicidio. Riteniamo quindi che, sulle causali, ci siano molte cose da chiarire e che la motivazione proposta dal presidente, ancorché sempre esistita nello scenario di lavoro della nostra Commissione, al pari delle altre, non abbia quei riscontri e quelle prove che, invece, il presidente dice di avere trovato. È proprio qui fondamentalmente la differenza che ci porta ad esprimere il nostro voto contrario.
Vorrei infine a sottolineare due osservazioni presenti nella nostra relazione. La prima riguarda l'ipotesi che sia esistito un centro giornalistico di depistaggio parte di un complotto della sinistra. Questa, signor presidente, almeno per noi, è chiaramente una pura invenzione. Riteniamo inoltre che sia molto grave avere espresso non tanto critiche o prese di distanza dai giornali e giornalisti, che svolgono il proprio lavoro con i metodi e gli strumenti di cui dispongono, e non certo con i poteri della nostra Commissione o della magistratura (ci sono giornalisti e testate che fanno bene il loro lavoro ed altri che lo fanno male, e li si può naturalmente criticare), quanto affermazioni che, a nostro parere, denigrano di fatto o comunque giudicano molto pesantemente, al limite della calunnia, la professionalità di certi giornalisti.
La seconda questione riguarda le esigenze di rispetto per la memoria di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin. Nelle conclusioni si afferma che sono stati uccisi due eroi del giornalismo italiano. Devo constatare, così come è indicato nella nostra relazione, che durante i lavori di questa Commissione, purtroppo, si sono fatti altri tipi di affermazioni che hanno gettato una luce non positiva sul lavoro svolto dai due giornalisti uccisi. Da questo punto di vista, abbiamo espresso solidarietà alle due famiglie e la ribadiamo in questa sede, augurandoci naturalmente, insieme al presidente, che il frutto del nostro lavoro, così faticoso, che alla fine ci ha diviso, possa essere utile al prosieguo del lavoro della
magistratura, che ha aperto un procedimento cui la nostra azione darà un nuovo dinamismo.
Associandomi al ringraziamento del presidente per il lavoro svolto nei confronti di tutti i componenti della Commissione e di tutti i consulenti, che non hanno avuto una vita facile, presi nell'ambito della dialettica politica, alle volte, portata al conflitto, per le ragioni che ho illustrato, preannuncio il nostro voto contrario alla relazione del presidente. Resta, da parte nostra, il rammarico di non essere riusciti a concordare su una conclusione unitaria: per molti versi le premesse c'erano, ma ad un certo punto si è prodotta una divaricazione che non riteniamo essere nostra responsabilità.
PRESIDENTE. Non essendovi altre richieste di intervento, passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Do la parola all'onorevole Ranieli.
MICHELE RANIELI. Ho seguito i lavori di questa Commissione come rappresentante del gruppo dell'UDC e vi ho partecipato con interesse, dando il mio contributo affinché si potesse fare chiarezza su una delle tragedie più significative che hanno colpito il giornalismo italiano. Ho voluto farlo anche perché ho seguito dall'esterno alcune fasi del processo che vedeva imputato un ragazzo somalo, e quel processo non mi ha mai convinto; essendo un operatore del diritto, ritenevo dal punto di vista intuitivo che quel processo meritasse un maggiore approfondimento e che dal punto di vista istruttorio esso presentasse lacune significative e quasi insanabili.
Ripeto, ho seguito i lavori con molto interesse, sia dal punto di vista professionale, sia come persona impegnata di fronte ai fermenti nazionali ed internazionali, soprattutto quando è a rischio la vita del cittadino; dunque, come cittadino libero ho voluto dare il mio modesto contributo. Ho partecipato ai lavori svoltisi nella caserma Cadorna, rendendomi conto di persona che, man mano che l'inchiesta della Commissione entrava nel merito dei fatti, emergevano episodi e circostanze significativi in riferimento sia alle cosiddette lacune istruttorie (mi riferisco per esempio alla mancata autopsia, a suo tempo, sui corpi dei due giovani uccisi), sia alle negligenze verificatesi durante l'istruttoria (mi riferisco a quanto detto in ordine alla sparizione dei block notes, delle macchine fotografiche, nonché di tutta una serie di documenti, dai quali potevano emergere frammenti di verità).
Con pazienza certosina questa Commissione, anche grazie alla collaborazione di operatori del settore e di un gruppo significativo di consulenti che hanno collaborato con noi alla ricerca della verità, è riuscita a rinvenire anche l'autovettura oggetto dell'attentato in Somalia.
Dalle autopsie, dalle perizie balistiche e da quelle tecniche che hanno fatto emergere le traiettorie dei colpi inflitti in direzione dell'autovettura, abbiamo potuto accertare senza ombra di dubbio la dinamica dell'evento delittuoso e le informazioni sui mezzi che hanno portato alla morte di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin. È emerso con assoluta certezza che si trattava non di colpi di arma corta o di colpi a bruciapelo, cioè a distanza ravvicinata, ma di colpi di kalashnikov sparati da una distanza non inferiore a 5 metri. Allo stesso modo, è emersa con certezza la dinamica di una reazione del commando rispetto a chi aveva sparato per primo, e quindi alla guardia che accompagnava la macchina della nostra giornalista. Già questo di per sé fa cadere tutta una serie di ipotesi, di illazioni e di strumentalizzazioni che hanno seminato per circa dieci anni dubbi e perplessità, provocando certamente maggiore dolore alle famiglie delle vittime e maggiori preoccupazioni circa la sicurezza del sistema paese; inoltre hanno fatto apparire l'incapacità degli organi inquirenti italiani, nel senso che è apparso lo scenario di una connivenza degli organi che operavano per impedire l'accertamento della verità o comunque una loro connessione o concussione.
In verità, abbiamo anche acclarato che, seppure fenomeni degenerativi nel settore della cooperazione internazionale persistevano,
così come persistevano sistemi di traffici illeciti di armi e sistemi di traffici e di interramento di rifiuti tossici e nocivi, tuttavia tali fattori inquietanti (che per certi aspetti persistono tuttora), non costituivano i fattori causali di quel duplice efferato omicidio. Emerge infatti chiaramente che l'omicidio maturò in un contesto che nulla aveva a che fare con i traffici illeciti di armi, con i rifiuti tossici e nocivi e con la malacooperazione. Sapevamo bene - e lo abbiamo accertato - che era facile trafficare in armi in Somalia in quel momento, così come sapevamo bene che in quel momento, come d'altronde ancora oggi, giravano le cosiddette navi dei veleni; sapevamo bene anche che la cooperazione, pur avendo svolto significativi compiti d'eccellenza nell'interesse della crescita e del recupero di risorse umane e di alcuni territori, ha provocato fatti di cosiddetta malacooperazione. Però, ripeto, né dai block notes, né dalle fotografie, né dalle interviste, né dalle telefonate fatte da Ilaria Alpi mezz'ora, un quarto d'ora, dieci minuti prima dell'efferato delitto, emergono elementi che possano far collegare il duplice omicidio a questi traffici, a cui più volte si è fatto invece riferimento.
Sappiamo invece - e ciò è emerso chiaramente - che si è trattato di un fatto accidentale, maturato in un contesto dove non c'era sicurezza per nessuno, dove mancava un esercito e dove quindi si erano venuti a determinare dei vuoti; un contesto che peraltro era stato già fatto presente ai giornalisti e ai civili italiani operanti in quel tempo in Somalia. Anche Marocchino, che abbiamo ascoltato - e che ci ha fatto capire che per sopravvivere in quel territorio ed in quella situazione, oltre che essere fortunati, bisognava saper vivere -, aveva avvisato i suoi conoscenti italiani che era pericoloso muoversi e spostarsi da una postazione all'altra, nell'ambito di un territorio dove le bande e i gruppi rivali la facevano da padroni e dove peraltro l'Islam deviato aveva già cominciato a mettere radici. Basti pensare alle famose corti islamiche, che operavano come tribunali veri e propri, per punire o per assolvere chi non si atteneva a quel tipo di regole: ciò in un contesto di totale ed assoluta insicurezza, com'era allora il territorio della Somalia.
Abbiamo potuto verificare quante azioni di depistaggio ci siano state, alcune delle quali per certi aspetti in buona fede. Per esempio, la relazione della postazione Sismi in Somalia fin dall'inizio aveva dato un input per individuare gli autori ed i fattori causali che avevano portato all'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ma quel documento è stato stranamente sottovalutato e finanche occultato a Roma. I proverbi antichi, che si basano sull'esperienza e sulla saggezza delle persone che hanno vissuto nei secoli, sono sempre di grande attualità. Io spesso dico che «aria netta non ha paura dei tuoni» (è un detto volgare). Ebbene, probabilmente molti non avevano l'«aria netta» e quindi avevano paura dei tuoni; ritenendo che quel duplice efferato omicidio potesse essere davvero maturato nel sistema della malacooperazione, nel sistema del traffico illecito di sostanze tossiche e nocive e nel sistema del traffico delle armi, ci si guardava bene, anche negligentemente, dal mandare risposte.
Diciamolo chiaramente: non c'è stata procura, inquirente od organo dello Stato che abbia perseguito con attenzione la ricerca della verità. Non tutti però, ripeto, lo hanno fatto in malafede; tuttavia, alcuni episodi eclatanti maturati nella questura di Udine non possono certamente essere considerati atteggiamenti assunti in buona fede. Allo stesso modo, talune notizie giornalistiche ed iniziative di tipo culturale non possono non evidenziare che a volte si specula su fatti che riguardano la memoria e la tutela dell'immagine di un cittadino e della sua famiglia, indipendentemente da come si siano svolti i fatti. Non tutti hanno avuto rispetto né di Ilaria Alpi, né di Miran Hrovatin, né del dramma che le loro famiglie hanno subito. Tuttavia, la pazienza certosina dimostrata da questa Commissione e la capacità investigativa di alcuni nostri collaboratori, i quali sono stati certamente di una preziosità estrema, mi portano a dire che la Commissione
stessa - al di là del fatto che possa concludere i propri lavori con più di una relazione - ha operato spogliandosi da preconcetti e da pregiudizi.
Credo che tutti noi abbiamo lavorato per dare un contributo alla ricerca della verità. Abbiamo avuto più volte la necessità di assumere comportamenti di responsabilità, anche gravi, nel momento in cui abbiamo dovuto assumere alcune iniziative istruttorie e trasmettere atti alle varie procure della Repubblica nei confronti di chi ha tentato di creare infiltrazioni all'interno di questa Commissione, operando sia dall'interno sia dall'esterno di essa, persone che noi abbiamo individuato, sconfessato e denunciato. Di tutto ciò bisogna dare atto al presidente Taormina e, per quanto mi riguarda, ne do atto anche a tutti coloro che in questa Commissione hanno operato con buona fede e con senso di responsabilità, nessuno escluso. Voglio ringraziare davvero anche la fortuna, perché credo che tutto sommato questa Commissione sia stata fortunata, riuscendo a raggiungere un risultato significativo rispetto a tante altre Commissioni d'inchiesta che invece non ci sono riuscite.
Per questi motivi, a nome del gruppo dell'UDC, oltre che a titolo personale, approvo, sostengo e condivido la responsabilità dei risultati raggiunti, con il presidente Taormina e con la maggioranza di questa Commissione. Mi rincresce che per lasciare una finestra aperta - perché poi alla fine per certi aspetti la relazione di minoranza significa questo; peraltro lo presumo, perché dico con grande lealtà che non ho potuto ancora leggerla - non si possa registrare l'unanimità. Ho certamente apprezzato l'apporto del vicepresidente della Commissione, quando ha illustrato la sua relazione, ma anche in altre occasioni dei nostri lavori. È stata un'illustrazione pacata. Egli ha condiviso tre quarti - ma non voglio quantificare, non essendo l'uomo dei pesi e delle misure - dello straordinario lavoro compiuto da questa Commissione. Ci siamo però differenziati, e questo mi rincresce, per alcune virgole o per alcuni punti e virgola. Mentre noi abbiamo voluto ed inteso, allo stato, chiudere il caso perché riteniamo in coscienza di aver raggiunto la serenità e la certezza, per quanto riguarda l'omicidio delle due persone in questione, di un fatto accidentale ed estemporaneo, senza alcuna programmazione né premeditazione, la minoranza ha invece preferito lasciare uno spiraglio, una porta aperta, perché non si sa mai, nel mondo tutto può succedere...
Ringrazio comunque tutti, esprimendo apprezzamento e preannunciando il voto favorevole del mio gruppo sulla relazione di maggioranza.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Ranieli, per la compiutezza dell'intervento e per le valutazioni che ha voluto riservare soprattutto al contributo della Commissione. Mi associo alle osservazioni svolte con riferimento all'intervento dell'onorevole De Brasi, che anch'io ho trovato particolarmente equilibrato e responsabile.
La parola all'onorevole Deiana.
ELETTRA DEIANA. Riferendomi all'illustrazione della nostra memoria da parte del collega De Brasi, vorrei sottolineare che la nostra posizione non è accidentalmente differente o differente solo per virgole o punti e virgole, come ha detto l'onorevole Ranieli. Si tratta invece di un'impostazione diversa del giudizio finale che noi diamo dei lavori della nostra Commissione: un giudizio finale che ovviamente si basa in grandissima parte, anzi nella quasi totalità, su materiale da noi acquisito attraverso il lavoro della Commissione. Proprio sulla base di tale materiale, degli approfondimenti, dei contributi e delle novità anche significative emerse a seguito dei lavori della Commissione, noi giungiamo ad un giudizio finale radicalmente diverso. Noi pensiamo - lo voglio sottolineare con forza - che l'ipotesi costitutiva di questa Commissione, cioè la connessione delle piste dei traffici di armi, della malacooperazione e della questione dei rifiuti tossici e nocivi con l'omicidio di cui sono state vittime i due giornalisti italiani, resti un problema aperto.
Non è una questione di poco conto e non è assolutamente una vocazione nostra a lasciare aperta una breccia, una finestra. Si tratta di un giudizio ponderato, che noi abbiamo espresso. Noi pensiamo che, sulla base di tutto il materiale raccolto e di tutti gli approfondimenti compiuti, la Commissione non sia assolutamente in grado di porre la parola «fine» o di esprimere una parola definitiva su questa «domanda», che il Parlamento ci ha consegnato: è esistita una connessione tra quel complesso mondo di traffici e malaffare ed eventuali informazioni di cui era venuta in possesso Ilaria Alpi e l'agguato che è costato la vita a lei e a Hrovatin? Questo è il quesito che ci è stato consegnato: ad esso noi pensiamo di non essere in grado di fornire una risposta negativa. Ovviamente questo non significa affatto - su questo voglio essere molto chiara - che la tesi, su cui si è sviluppata larga parte del giornalismo d'inchiesta sulla vicenda in questi dieci anni (mi riferisco all'insieme delle inchieste, con tutte le connessioni e le ipotesi sostenute), sia vera. Tuttavia, le ipotesi mosse da quel tipo di giornalismo d'inchiesta continuano ad interrogarci, restando ancora tutte sul tappeto, non avendo avuto riscontri in termini di ricadute operative. Tuttavia, tali ipotesi non hanno ricevuto neanche smentite.
Vorrei sottolineare un aspetto che mi sta particolarmente a cuore: sono entrata a partecipare ai lavori di questa Commissione non soltanto senza alcuna ipotesi preconcetta, ma anche senza un particolare coinvolgimento nell'ipotesi dell'«esecuzione», ma a seguito di quanto abbiamo rilevato e messo insieme sono cresciuti in me i dubbi su una possibile connessione tra le due questioni che prima ricordavo. Le zone d'ombra e gli elementi non chiariti, dal punto di vista dei fatti e dello sviluppo di quelle giornate fatali per i due giornalisti, così come una serie di incertezze che restano, mi fanno dichiarare con grande forza che non può esser messa la parola «fine» a questa vicenda, in quanto ciò vorrebbe dire venir meno agli impegni assunti come Commissione.
Nello stesso tempo voglio mettere in risalto un altro aspetto, che politicamente mi sta a cuore. L'ipotesi che ha mosso il presidente Taormina e che rappresenta l'elemento di fondo che ispira la sua relazione conclusiva - cioè l'ipotesi dell'omicidio casuale, maturato in quel clima particolare degli ultimi giorni della presenza del contingente italiano a Mogadiscio - non solo è assolutamente legittima, ma fa parte del dibattito e della riflessione che hanno accompagnato l'intera vicenda. Ciò non è in discussione. Si tratta però di un'ipotesi, che appunto avrei lasciato tra le diverse possibili. Personalmente avrei predisposto una relazione finale contenente le varie possibilità delineate in base a quanto abbiamo potuto verificare.
Ciò che ritengo criticabile, per come sono andati avanti i lavori della Commissione, è il disinvolto passaggio da una tesi all'altra, mai adeguatamente giustificato nel momento in cui la tesi veniva abbandonata. Siamo passati da una prima fase, in cui la Commissione ha lavorato molto accanitamente sulla tesi dell'«esecuzione», a tutto un lungo e defatigante periodo in cui si è lavorato sulla tesi dell'omicidio maturato nell'ambiente del nascente fondamentalismo, per arrivare all'ipotesi finale, che poggia molto anche sul contributo di un personaggio chiacchierato, per utilizzare un termine eufemistico, sul quale non abbiamo avuto alcuna possibilità di riscontro effettivo e le cui intercettazioni e deposizioni restano segretate.
Dunque la Commissione consegna un'ipotesi che non potrà essere neanche adeguatamente verificata nelle sue pezze d'appoggio, visto che si è avvalsa di persona sotto protezione; si tratta di una tesi costruita in maniera superficiale, sulla base di escamotage pubblicitari. È un'impostazione del lavoro finale, ma non solo, direi del lavoro di indagine o meglio di utilizzazione delle indagini, che il presidente Tormina ha costantemente seguito, sempre teso a creare il caso e a offrire al pubblico una soluzione eclatante. Si tratta di un metodo, di una concezione, di un'utilizzazione della Commissione a fini che io non approvo e che ritengo lontani
dallo spirito, dai compiti e dagli obblighi di una Commissione parlamentare d'inchiesta.
Arriviamo - e concludo, presidente - alla fase finale: accanto a questa conclusione eclatante (poiché da una parte è banale e dall'altra vede la presunzione di dire «chiudiamo la vicenda con la parola fine», che è qualcosa che assume un valore emblematico e pubblicitario piuttosto forte), cui si perviene con una scelta unilaterale e predeterminata da un metodo e da una concezione pregressa, c'è il tentativo di creare il monstrum della cospirazione della sinistra, del complotto tra famiglia, sinistra e giornalisti, su cui non voglio neppure spendere una parola, perché si commenta da sé.
Il mio voto contrario si inquadra nella necessità di chiarire che è dettato da un giudizio di radicale diversità rispetto non al materiale raccolto dalla Commissione, che è preziosissimo, ma alla soluzione, interpretazione e ipotesi finale con cui il presidente Taormina intende concludere i lavori della Commissione d'inchiesta.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Deiana.
Se non fossimo in sede di dichiarazione di voto direi che esiste una contraddizione tra la premessa e la conclusione del suo intervento: lei, da una parte, riconosce che il contributo dei «giornalisti» o di «certi giornalisti» potrebbe essere non corrispondente alla verità, dall'altra riconosce anche che quella contenuta nella relazione è un'ipotesi «legittima», che ha accompagnato il nostro dibattito per lungo tempo: credo siano punti importanti. È importante anche sottolineare che, laddove si fa riferimento al salto da una tesi all'altra, si tratta soltanto di aver approfondito una causale e di aver verificato l'impossibilità di poterla coltivare. Mi riferisco per tutte alla questione Islam, che abbiamo approfondito moltissimo, ma su cui - è giusto dirlo - non abbiamo trovato un elemento che consentisse di andare al di là della possibilità di dipingere la situazione (Commenti del deputato Deiana)... Va bene, ma guardi che non si tratta di una cosa che ha dell'incredibile: i dati tecnici sono lì e li giudicherà il magistrato. Noi li abbiamo già giudicati, mettendovi, sotto questo profilo, la parola «fine».
Do la parola all'onorevole Schmidt.
GIULIO SCHMIDT. La ringrazio, presidente, per la sua aspra e onesta determinazione nella conduzione di questa Commissione; vorrei anche ringraziare tutti i funzionari e tutti i consulenti - in particolare il commissario Di Marco - che ci hanno consentito di arrivare a questi risultati. Vorrei ringraziare anche i colleghi, perché - è stato più volte ripetuto e lo condivido - il lavoro in Commissione si è sviluppato con grande rispetto reciproco e, seppure le conclusioni sono distanti e diverse perché maturate in un contesto finale di cui si possono anche immaginare i risvolti politici, certamente senza il lavoro comune non saremmo arrivati a risultati di tale rilevanza.
Qual è il motivo di tale grande rilevanza? Ritengo che le conclusioni, supportate dalle analisi e dalle riflessioni altrettanto dettagliate dei nostri consulenti, pongano una parola definitiva su questa vicenda: si può dire che il mistero sul delitto Alpi e Hrovatin si è improvvisamente schiarito! Certamente, non si è schiarito dalla sera alla mattina, e ciò va evidenziato. La verità è emersa nel corso dei nostri lavori. Tutti ricorderanno come la Commissione, partita per la verifica di alcune tesi e teoremi, soltanto ad un certo punto si è resa conto che qualcosa di strano stava per emergere dalle sue indagini.
Seppure esiste una certa somiglianza tra le conclusioni cui arrivò la magistratura in prima istanza e quelle contenute nella nostra relazione, posso dire anche che, se fondata è la consapevolezza di ciò che è accaduto in questa Commissione, non altrettanto fondata (e forse provvisoria), certamente anzi troppo affrettata, fu quella cui arrivò la magistratura; come pochi erano i riscontri allora, così numerosissimi sono quelli che oggi la Commissione può offrire per arrivare ad una simile risultanza.
Per quanto riguarda il nostro lavoro, vorrei rimanesse agli atti che esso non si è basato solo sulla verifica di atti e documenti, essendo stato praticamente setacciato tutto ciò che era disponibile, anche in termini di confronti personali (a tale proposito ricordo le quasi duecento audizioni svolte): manca all'appello una sola persona. Ciò va rilevato per dimostrare il lavoro serio da noi svolto.
PRESIDENTE. Onorevole Schmidt, lei, come qualcun altro ha già detto, «non mi fa tenere»! Comunico, infatti, alla Commissione che proprio oggi abbiamo avuto la notizia che Gelle è stato trovato in Olanda (Commenti del deputato Motta)!
GIULIO SCHMIDT. Presidente, questa è una grandissima soddisfazione, e lo sarebbe ancora di più se potessimo sentirlo!
PRESIDENTE. Chi ha impedito la proroga della nostra Commissione ha sulla coscienza il fatto che non sentiremo Gelle!
GIULIO SCHMIDT. Per questa ragione, come lei ricorderà, mi ero battuto, immaginando che un lavoro serio, impostato su quel ritrovamento, prima o poi avrebbe dato dei risultati. Onore, quindi, a chi alla fine ha portato a questo risultato. Il ritrovamento di Gelle potrà comunque essere molto utile alla magistratura dopo la consegna degli atti della Commissione.
Al di là di questo, la sua irreperibilità ha comunque rappresentato un elemento di certezza, per quanto ci riguarda, sulla problematicità e sull'aspetto inquietante di tutta una determinata fase processuale. Possiamo dire che su questo la Commissione ha fatto un lavoro, a mio avviso, assolutamente ligio e rispettoso di qualsiasi fantasia, nel senso che ha lavorato su elementi concreti; e se nella relazione conclusiva sono evidenziati aspetti inquietanti e sono denunciate responsabilità, probabilmente altrettanto inquietanti, da parte di soggetti rappresentanti le istituzioni, tutto ciò è convalidato da atti e riscontri oggettivi.
La Commissione ha il merito di aver trovato la macchina su cui i due giornalisti sono stati uccisi, che ha permesso di ricostruire, senza ombra di dubbio, la dinamica dell'attentato e che, soprattutto, ha vanificato l'ipotesi dell'esecuzione. Allo stesso tempo la relazione conclusiva dà atto dell'intenzionalità e non casualità dell'omicidio. Non sono d'accordo con la collega Deiana che parla di una nostra «presa di posizione» sulla casualità. Forse non intendeva dire questo. La relazione è molto chiara e dice espressamente che quel delitto è maturato in un contesto di preordinazione: è importante sottolinearlo! La ricostruzione, direi quasi «minuto per minuto», di ogni passo di Ilaria Alpia da quando è arrivata a Mogadiscio fino alle ore 15 locali del 20 marzo, ha rappresentato concretamente, al di là di qualsiasi interpretazione, il senso e la direzione della sua presenza in Somalia in quel periodo. In sostanza, ha rappresentato chiaramente la casualità dell'arrivo a Bosaso e dello spostamento dall'hotel Sahafi all'hotel Hamana. L'assoluta tranquillità più volte espressa dalla giornalista anche ai genitori per quanto riguardava la sua permanenza a Mogadiscio e nello stesso tempo la tranquillità con cui non ha seguito una raccomandazione di sicurezza, esposta con tanta determinazione e chiarezza dal generale Fiore, sta a significare che Ilaria Alpi era in Somalia per fare il suo dovere di giornalista, cui si deve rendere onore.
Questa relazione conclusiva non è un oltraggio nei confronti di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e non lo è nei confronti della famiglia, poiché dà atto dell'estrema serietà con cui si opera nel mondo dell'informazione e con cui i due giornalisti, al di là del contesto di assoluta pericolosità in cui si viveva in quei giorni in Somalia, hanno svolto il loro lavoro, tracciando percorsi di indagine e di analisi più sociologici che di inchiesta (così come giustificato dalla stampa dal 1994 ad oggi). Certamente dà atto di una morte professionale nei confronti della quale vi è un grandissimo rispetto da parte mia e di tutta la Commissione, e nulla può togliere
al fatto che questo rispetto sia stato comunque rispettato (uso appositamente il gioco di parole perché mi sembra doveroso dirlo).
Ci inchiniamo di fronte al senso di responsabilità di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin ed ammiriamo ciò che hanno fatto: se la ragione della morte, sia pur preordinata per altre ragioni, è comunque quella di un sacrificio sul campo, non ha importanza se tale sacrificio abbia dietro le quinte una motivazione piuttosto che un'altra. Il fatto importante è che due persone sono morte nell'esercizio della loro professione.
Ricordo alcuni passi importanti di questi nostri due anni vissuti insieme: innanzitutto, il ritrovamento della macchina, che è l'assoluta novità di cui la Commissione deve andare fiera, ed il ritrovamento di un teste sottoposto a protezione. Vorrei ricordare che quella notte, presidente (eravamo lei ed io e forse c'era anche l'onorevole Bindi), dopo ore interminabili di resistenza da parte del teste, soltanto dopo la mezzanotte, quando già la Commissione aveva concluso i lavori e stavamo andando a casa, un elemento nuovo e importante aprì il fronte della testimonianza, su cui fino a quel momento era assolutamente impossibile penetrare: la garanzia del programma di protezione. Questo è già un elemento fondante della credibilità del teste, al di là di tutte le osservazioni fattuali, non immaginate o ipotetiche, che su tale credibilità sono contenute nelle conclusioni da lei stesso formulate e che condivido pienamente. Nella valutazione di un teste, l'esperienza di chi opera in questo settore deve orientarsi anche verso gli aspetti psicologici, che sono molto importanti: non è un mistero che psicologia e valutazione della colpevolezza o dell'innocenza rappresentino una branca di studio.
Mi stupisco della richiesta - e lo dico con grande rispetto per chi l'ha avanzata, ma non posso non stupirmene - di dissegretare gli atti e tutto ciò che riguarda quel teste. Non posso credere che, al fine di mantenere in piedi un teorema così a lungo alimentato e sostenuto, si possa pensare di mettere a rischio sia la vita di una persona e della sua famiglia sia, dal punto di vista istituzionale, un percorso di analisi da parte della magistratura di responsabilità legate a questa stessa fonte.
Ricordo, inoltre, la serietà con cui è stata svelata pian piano, senza preordinazione e pregiudizio, l'infondatezza dell'operato di alcuni funzionari della DIGOS di Udine. Quelle informative sono state il punto fondante di un filone di giudizio. La serietà con cui siamo riusciti a mettere in contraddizione, a verificare e riscontrare la connivenza tra il mondo dell'informazione e l'operato non della questura di Udine ma di alcuni funzionari della stessa, come bene è detto nella relazione, rappresenta un momento di elevatezza di senso di analisi, indagine e responsabilità da parte di questa Commissione che è stato condiviso da tutti noi. Di ciò ne vado, e possiamo andarne, fieri.
Quindi, il mistero a mio avviso si chiude con una grandissima amarezza nel vedere due operatori dell'informazione cadere sul campo e sul fatto che i momenti, i giorni e le ore, di violenza di quel 20 marzo hanno prodotto quel sacrificio; si chiude anche con lo sconcerto della casualità nell'ambito della preordinatezza. Di ciò occorre tenere conto alla fine di tutto il percorso.
Concludo dicendo che è stato un grande lavoro, con un grande risultato di chiarezza, onestà e lealtà nei confronti dei fatti, delle motivazioni, delle cose e, soprattutto, delle persone, che sono state travolte in modo forzato all'interno di quel percorso e di quella ricostruzione immaginaria. La mente umana - vale la pena ricordarlo - è sempre portata a costruire. Il giallo rappresenta un'essenza della nostra sensibilità e il mistero è qualcosa di assolutamente fascinoso nell'immaginare chissà quali trame. Quindi, nulla, dal punto di vista umano, può essere rimproverato: potrebbe esserlo invece la speculazione che su queste suggestioni è stata fatta per dodici anni. E questo, anche in qualità di professionista dell'informazione, a mio avviso non è giustificabile. Un capitolo della relazione conclusiva evidenzia
giustamente la denuncia di verità che questa Commissione, sia pure soltanto da parte della sua maggioranza, ha il coraggio di fare.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Schmidt.
Intervengo soltanto per svolgere alcune considerazioni, che mi ero ripromesso di fare più tardi. Lei ha interpretato esattamente il mio stato d'animo e la mia convinzione, basata naturalmente non su isterie istintive ma su fatti e atti compiuti da noi tutti insieme. Abbiamo messo in fila determinati passaggi, come il fatto di aver accertato che, prima del 20 marzo, era stata preannunciata - non in una ma in ben due occasioni - l'uccisione di due giornalisti o di giornalisti, ed abbiamo posto in luce il fatto che, secondo le risultanze, addirittura dalla sera precedente l'uccisione era stato compiuto l'appostamento da parte del commando e che, al di là della «quasi vacanza» di cui ha parlato la madre nella nota telefonata, i due giornalisti erano lì per lavorare e avevano già in parte svolto il lavoro: credo dunque che vi siano tutte le condizioni per dire quello che lei ha detto. Sono meravigliato del fatto che l'opposizione (me ne dispaccio non sul piano politico perché non mi interessa, ma su quello della verità e del sentimento personale), di fronte alla serietà ed all'obiettività con cui abbiamo ricostruito l'intenzionalità criminosa, al di là della sentenza della Corte di cassazione... Comunque anch'io, come lei, mi inchino di fronte alla memoria di questi due eroi del giornalismo italiano, e vorrei che questo rimanesse agli atti.
Do la parola all'onorevole Motta (Commenti del deputato Bindi). Onorevole Bindi, mi dispiace dover interloquire, ma le dico che ciò sta scritto anche in relazione (Commenti del deputato Bindi). Non è assolutamente possibile parlare, allora. Procediamo.
CARMEN MOTTA. Signor presidente, cercherò di rispettare, innanzitutto, il tempo che lei ci ha messo a disposizione - dieci minuti -, ma non so se riuscirò a dire tutto ciò che vorrei. Molte delle cose che ho sentito finora, anche dai suoi commenti tra un intervento e l'altro, non solo non le condivido, ma rafforzano anche in me la convinzione che abbiamo fatto bene a presentare la nostra memoria, visto che si danno per accertati e consolidati fatti e circostanze che ci sono stati «rappresentati»...
PRESIDENTE. Parla a titolo personale o in qualità di capogruppo?
CARMEN MOTTA. Parlo come capogruppo, presidente. Ciò non significa che se un altro collega del gruppo intenda intervenire non possa farlo.
PRESIDENTE. Poiché ho notato qualche discrasia, volevo sapere a che titolo parlava!
CARMEN MOTTA. Nessuna discrasia. Non abboccherò alle sue provocazioni, presidente. Se non mi interrompe, però, presidente, altrimenti (Commenti).... Come ha fatto con gli altri, però! Il collega Schmidt ha parlato venti minuti! Ma è lo stesso, non è un problema, presidente. Va bene, rassereniamoci!
Dicevo che quanto ho ascoltato ha rafforzato le mie convinzioni: molte delle cose che sono state dette le abbiamo apprese da testimonianze, ma su talune di queste non abbiamo in alcun modo potuto effettuare riscontri ulteriori. Cito per tutti il fatto della macchina che sarebbe stata in agguato dal giorno prima. Qualcuno dice questo e qualcun altro dice che il fatto non è certo. Lei lo ha assunto come un dato incontrovertibile, ma tale non è. E questo è solo un esempio.
Se il caso è chiuso o meno credo che lo dirà la magistratura: questo è il vero punto che teniamo a sottolineare, non perché vogliamo affidarci soltanto alla magistratura, in qualche modo svilendo il ruolo e il compito da noi svolto, ma perché, come si dice nella delibera istitutiva della Commissione, dovevamo tentare di chiarire alcuni punti nodali della vicenda e dovevamo farlo con un mandato
preciso che ci consentisse di arrivare il più possibile vicino alla verità. Non era tra i nostri compiti, ad esempio, consegnare i colpevoli, ma sicuramente lo era quello di cercare di individuare chi potesse avere ordito l'omicidio.
La volontà di arrivare ad un risultato, presidente e colleghi, è sempre stato un nostro profondo intendimento: lo dimostra la presenza assidua - e sottolineo assidua - solo dell'opposizione in questa Commissione. Dirò di più, presidente, e glielo dico con grande dispiacere, come lei anche diceva prima di essere dispiaciuto: è un'opportunità persa, perché... Desideravo avere un po' di attenzione, presidente, come tutti gli altri... È lo stesso, anche se non ascolta, presidente! È lo stesso! È un'opportunità persa, perché noi fin dall'inizio insieme abbiamo detto non di voler raggiungere una verità a tutti i costi, ma che il nostro impegno era quello di arrivare alla verità, rimanendo il più possibile aderenti ai fatti e ai riscontri che avremmo potuto compiere.
Signor presidente, noi fino all'ultimo - ne è testimonianza la nostra presenza in Commissione anche in momenti di particolare tensione - abbiamo pensato che si potesse trovare un punto di mediazione attraverso cui pervenire ad un esito unitario. Abbiamo coltivato questa speranza nonostante il verificarsi di fatti, nel corso di quest'ultimo anno, che hanno reso molto difficile il raggiungimento del nostro obiettivo. Tutto ciò non è stato causato dal nostro comportamento; tengo infatti a sottolineare che noi non abbiamo mai rilasciato interviste che, in qualche modo, potessero anticipare le conclusioni o i parziali risultati raggiunti dalla Commissione. Inoltre, non abbiamo mai fomentato la polemica, ma abbiamo risposto sempre alle sollecitazioni. È stato questo il nostro atteggiamento, riscontrabile, tra l'altro, dai nostri comportamenti e dagli atti che abbiamo lasciato a futura memoria.
Signor presidente, come ultima osservazione voglio dire che per la Commissione avrebbe rappresentato un grande punto di forza l'esaltazione di due dei risultati ottenuti che, a mio parere, rivestono grande importanza. In primo luogo, si è chiarito che tutta la Commissione, attraverso il lavoro svolto e le posizioni assunte, non ha guardato in faccia a nessuno. Si è lavorato in modo unitario - lo abbiamo dimostrato - anche in presenza di difficili passaggi nei confronti di mondi istituzionali e non solo. In secondo luogo, attraverso il reperimento della macchina, si è aperta la possibilità di ricostruire la dinamica dell'omicidio. Si tratta di fatti particolarmente importanti che hanno contribuito a fare chiarezza riguardo ad una parte delle vicende che hanno riguardato la morte dei due giornalisti; in ogni caso, credo sarebbe stato altrettanto utile mettere in ordine i fatti che avevamo appreso attraverso le audizioni, constatandone i limiti. Infatti, relativamente ad alcuni elementi (mandanti, traffici, esecutori) abbiamo svolto una gran mole di lavoro, anche se non ci siamo trovati nelle condizioni di dare una risposta definitiva. Se si fosse lavorato nel modo che ho poc'anzi descritto avremmo potuto concludere unitariamente il nostro lavoro; invece si è voluto chiudere il caso a tutti i costi, e lo si è fatto legittimamente, poiché la maggioranza sostiene che i risultati sono quelli indicati. Voglio però rappresentare ancora due o tre questioni non per spirito di polemica, in quanto abbiamo avuto a disposizione due anni di tempo durante i quali, probabilmente, è stato fatto tutto quanto era possibile fare.
Signor presidente, riguardo alla strada Garoe-Bosaso, ai rifiuti, alle armi, ci siamo avvalsi non del nostro lavoro, ma dell'opera e dei riscontri svolti da altri che, tra l'altro, abbiamo audito. Ad esempio, per quanto riguarda le armi abbiamo fatto tesoro di tutto quanto ci è stato detto: è certo che vi fosse un mercato libero, ma proprio per questo ogni appartenente a quella terra faceva esattamente quello che voleva, non essendoci limiti di sorta. Ci è stato anche detto che si trattava di un mercato non soltanto interno ma anche esterno; quindi tutta questa materia - sulla quale, sicuramente, si poteva maggiormente indagare - ha un limite che io riconosco, signor presidente. Anche lei ha
sostenuto che per noi era un problema poterci recare in Somalia, e di conseguenza non abbiamo potuto operare sul campo e svolgere di persona attività di indagine. Si è trattato di un limite oggettivo, lo riconosco, che non ci permette di chiudere definitivamente una questione; in altri campi abbiamo potuto fare ed attivare indagini molto più raffinate ed accurate, che sicuramente ci hanno fatto ottenere dei riscontri senz'altro più attendibili.
Signor presidente, noi non siamo animati dalla volontà di proporre a tutti i costi un altro teorema, ma intendiamo sottolineare che il caso non è chiuso perché, oggettivamente, vi sono questioni non ancora del tutto chiarite. Se me lo permette, vorrei sottolineare altre due cose, sperando di non offendere i suoi sentimenti; per questo motivo mi esprimerò nel modo più pacato possibile. Essendo una persona che tiene moltissimo alla coerenza, sono d'accordo con il collega Schmidt quando sostiene che la memoria va sempre rispettata: non si può tener conto di questo solamente il giorno in cui si concludono i lavori della Commissione. Purtroppo, a volte, sono state dette frasi - forse involontarie o dettate dalle animose discussioni politiche - che hanno ferito questa memoria. Mi dispiace, ma non condivido il pensiero di coloro che sostengono che si sia trattato di due persone recatesi in vacanza: non sono andate in vacanza, ma sono state inviate in quei luoghi a svolgere il loro compito di giornalisti; possono aver agito bene o male - al riguardo, ogni giudizio è lecito -, ma stiamo parlando di professionisti che hanno tentato di svolgere al meglio il loro lavoro.
PRESIDENTE. Fra poco potrà riprendere il suo ragionamento, in ogni caso è bene precisare, affinché rimanga agli atti, che quando si è sostenuta l'affermazione secondo cui per Ilaria Alpi era stata quasi una vacanza non si è fatto altro che ripetere una frase detta ai magistrati dai genitori della giornalista. Alla dottoressa Gemma è stato consegnato il comunicato stampa dell'ANSA, da cui risultava che Ilaria, parlando al telefono, aveva sostenuto che, in quella occasione, si era trattato quasi di una vacanza.
CARMEN MOTTA. Signor presidente, lei sa che sulla questione noi avevamo chiesto di svolgere un intervento che lei non ci ha consentito. Ognuno resta della propria idea. Tra l'altro, so che in aula non ci si può parlare tra colleghi, ma per il rapporto che abbiamo sempre avuto non accetto - mi dispiace doverlo dire - che il gruppo al quale appartengo sia additato come una componente che non mostra attenzione nei confronti della vita e della salvaguardia delle persone. Non lo accetto assolutamente! Ieri ho fatto una proposta di mediazione che possiamo ridiscutere oggi poiché l'intera Commissione dovrebbe assumerla attraverso un'apposita deliberazione. Non mi sentirei di esporre nessuno ad un pericolo di vita, nella maniera più assoluta, e il discorso vale anche per i nostri collaboratori - italiani o di altra nazionalità - che lavorano assieme alla magistratura del nostro paese. La tutela della persona viene sempre garantita, quindi da questo punto di vista non accetto sottolineature.
Signor presidente, la terza proroga per rintracciare Gelle ci ha visti d'accordo, comunque l'attività istruttoria consistente nell'audizione del soggetto si sarebbe dovuta compiere entro la data fissata per lo scioglimento delle Camere. La richiesta di proroga, non accettata, a cui fa riferimento lei, riguardava solo e unicamente la consegna della relazione. A Camere sciolte noi non avremmo potuto svolgere alcuna ulteriore indagine istruttoria di stretta competenza della Commissione, quindi non vi è stata la volontà di rendere impossibile l'audizione di Gelle. Abbiamo audito il sultano di Bosaso, i giornalisti: insomma, abbiamo fatto fino alla fine tutto ciò che vi era da fare.
La ringrazio per il tempo in più che mi ha concesso - poiché penso di aver superato i dieci minuti a mia disposizione - e le ribadisco che noi abbiamo sempre avuto la volontà di arrivare ad un risultato,
anche se a me, ancora oggi, resta la sensazione di un'opportunità mancata: infatti, questo risultato l'avremmo potuto raggiungere insieme, in quanto vi erano tutte le necessarie condizioni. In ogni caso, se valutazioni politiche o di altra natura non hanno consentito di procedere in questa direzione, poiché si è voluto accreditare una tesi per alcuni aspetti difficilmente acclarabile da prove inconfutabili, credo si tratti di un'occasione persa non per i parlamentari che hanno lavorato in questa Commissione, ma per il Parlamento italiano. Eravamo partiti seguendo una determinata linea e potevamo concludere i nostri lavori in coerenza con essa: di questo sono e resto convinta.
Colgo l'occasione per ringraziare tutti i colleghi, i nostri consulenti e il personale della Camera che ci ha assistito sempre, anche in momenti di particolare tensione e, forse, concitazione dovute al nostro lavoro. Per questo ringrazio tutti rinnovando sinceramente la mia stima per il lavoro che collettivamente abbiamo comunque portato avanti.
PRESIDENTE. Onorevole Motta, lei non mi ha ringraziato, invece io la ringrazio...
CARMEN MOTTA. Io l'ho ringraziata, signor presidente.
PRESIDENTE. Non me ne sono accorto.
CARMEN MOTTA. Io l'ho ringraziata.
PRESIDENTE. In ogni caso, la ringrazio per il forte ed insistito contributo che ha dato seguendo i lavori: il suo impegno si è dimostrato essenziale ai fini dell'approfondimento che abbiamo operato.
La parola all'onorevole Fragalà.
VINCENZO FRAGALÀ. Caro presidente, cari colleghi, salto a piè pari gli apprezzamenti per i risultati ottenuti e i complimenti, gli attestati di stima nei confronti di tutti i componenti della Commissione, dei funzionari che ci hanno così brillantemente seguito e dei consulenti che hanno svolto un lavoro assolutamente efficace.
Vorrei subito far presente - desidererei che su questo l'amica e collega Rosy Bindi mi fornisse una serie di chiarimenti - che, a mio parere, riguardo alla conclusione dei lavori della Commissione non vi è veramente materia del contendere. Se, sulla base dei distinguo che ho ascoltato fino a questo momento, volessimo divaricare l'attività della Commissione - che, scevra da ogni condizionamento ideologico, è stata fortemente, motivatamente voluta e sostenuta da tutti i suoi componenti (senza far riferimento, lo ripeto, a colori politici ed appartenenze partitiche) -, personalmente non saprei proprio come fare.
Debbo dire, con assoluta lealtà, che ho voluto far parte di questa Commissione perché fin dal 1994 ho subissato di interrogazioni, ordini del giorno e mozioni tutti i ministri ed i governi che si sono succeduti nel tempo fino al 2002. Tutti questi atti sono stati ispirati dalla volontà di indagare relativamente all'assassinio dei due sventurati giornalisti; tale volontà era direttamente originata dai genitori di Ilaria Alpi - Giorgio e Luciana - e da tutti coloro che si erano occupati di questa vicenda. Sono il deputato che ha portato avanti una guerra guerreggiata - ammetto che in questo ho sbagliato - nei confronti di Vecchione e a difesa di Pititto poiché ero convinto che il sostituto procuratore appena citato fosse stato esautorato dall'indagine a causa di una dietrologia legata a chi sa quale complotto e per il fatto che egli stava per mettere le mani sulle famose fonti di Udine di cui, sin dall'epoca, si parlava sostenendone l'attendibilità.
Sono tra coloro - lo dico con assoluta onestà intellettuale - che hanno segnalato alla Commissione l'opportunità di assumere come consulenti i tre giornalisti di Famiglia Cristiana. Sono tra quelle persone che hanno ricevuto questi giornalisti numerose volte e hanno parlato con loro: ho creduto alle loro tesi e alla loro assoluta buona fede. Mi sembrava fosse assolutamente fuori dal mondo non dar credito a chi appariva così appassionato ad
un giornalismo di inchiesta teso a scoprire la verità. Sono stato, peraltro, convinto, all'inizio dei lavori di questa Commissione, che le investigazioni della procura di Roma, dirette dal pubblico ministero Ionta, fossero state depistate, inquinate. Ero convinto che Ionta avesse sbagliato e sono stato uno di quelli che, quando i genitori di Ilaria Alpi si recarono al Consiglio superiore della magistratura ad attaccare personalmente il vicepresidente Verde per difendere Pititto, ha presentato un'interpellanza urgente estremamente puntigliosa.
Il mio approccio ai lavori della Commissione - posso ammetterlo liberamente - era quello di chi avesse una tesi da dimostrare, cioè la tesi del complotto, la tesi del traffico d'armi, del traffico di rifiuti, della Shifco e della cooperazione strumentale all'arricchimento personale di coloro che la gestivano. Ero assolutamente convinto che la limitatezza, l'inadeguatezza delle indagini giudiziarie potesse essere colmata dall'attività della Commissione, nel senso che questa sarebbe arrivata a quella verità da me intravista fin dal 1994 e coincidente con i dati forniti da tutte le fonti che ho citato fino a questo momento. Quando, poi, si è presentato in questa sede il dottor Ionta, e ci ha detto che si sarebbe trattato di un tentativo di sequestro fallito, dimostrando perché questa sua tesi fosse giudiziariamente e sul piano probatorio fondata, io, naturalmente, da persona che non doveva certamente per motivi politici, ideologici o di interesse personale, sostenere una determinata tesi, non sono rimasto impermeabile alle sue parole: piuttosto, mi sono chiesto se per caso costui avesse ragione e Pititto, mio amico personale, avesse torto. Da allora, ho cominciato ad approfondire tutti i temi, autoimponendomi non più un cannocchiale messo al contrario ma uno strumento visivo che mi consentisse di guardare con assoluta nitidezza tutti i particolari della vicenda.
Cari colleghi, quando - con il proseguire del nostro lavoro - abbiamo colmato i vuoti dell'inchiesta giudiziaria, con la rimozione del cadavere, le autopsie, il ritrovamento delle automobili, la perizia balistica, la perizia che - servendosi di un gabinetto scientifico unico in Europa, quello della polizia scientifica di Roma - ha consentito di ricostruire in modo assolutamente perfetto tutta la dinamica dell'agguato, ho cominciato a prendere atto e poi ho compreso definitivamente che una serie di tesi, cara collega e amica Motta, cioè quelle di cui io per primo ero stato fiero sostenitore - gli atti parlamentari parlano chiaro, al riguardo - non avevano alcun riscontro, mentre la tesi che mi inquietò, quella del dottor Ionta, del tentativo di sequestro andato male, conclusosi con la morte dei giornalisti, iniziava a trovare riscontri ineludibili.
Se dunque la frattura che ci divide scaturisce dal fatto - come ho sentito dire negli interventi dei colleghi e degli amici - che noi avremmo dovuto tenere in piedi, nella relazione, le tesi o le ipotesi di lavoro prive di riscontri o addirittura accompagnate da riscontri negativi (mi riferisco, cioè, al contenuto di quel famoso «Rapporto Shermarke», fondato e nutrito dal falso più scientifico, bollato di falsità da varie sentenze sul piano giudiziario), allora, rispondo che quelle tesi non potranno trovare ingresso o addirittura rimanere sul piano delle ipotesi di una Commissione di inchiesta come la nostra! Vorrei ricordare quanto scrisse, in data 20 marzo 1994, la divisione Interpol della direzione centrale della polizia criminale presso il Dipartimento della pubblica sicurezza, secondo cui l'ipotesi più probabile indicava che «i banditi non erano interessati al furto dell'automezzo ma al rapimento dei due giornalisti occidentali per i quali avrebbero poi chiesto un riscatto». E scrisse questo, richiamando tutte le prove fattuali, perché il fallito tentativo di sequestro, di cui anche il dottor Ionta ha parlato, è l'unica ipotesi credibile!
Cari colleghi, se non vogliamo fare un'offesa alla nostra intelligenza ma soprattutto alla corretta informazione che debbono avere il Parlamento e l'intera opinione pubblica, non possiamo rimanere innamorati di una tesi che io medesimo ho
sostenuto per anni nella convinzione che la fonte di Udine fosse reale ed affidabile, che i poliziotti di Udine fossero professionalmente attrezzati e assolutamente in buona fede: nessuno poteva immaginare che si mettessero in bocca dichiarazioni assolutamente infondate o che, addirittura, per un certo giornalismo militante, un certo «giornalismo spazzatura», si alimentassero - pagando - le cosiddette «fonti», per suffragare una tesi a dispetto di un'altra.
Di fronte a chi sostiene - come si fa anche in memorie presentate dall'avvocato dei signori Alpi, legate a quel famoso rapporto -, che la povera Ilaria, prima di morire, si fosse recata a casa o in un immobile, un magazzino, di Marocchino, e - sempre secondo la tesi recepita nella memoria dell'avvocato - fosse stata uccisa alle ore 12,30 (cosa che ha fatto indignare la stessa Luciana Alpi, certa che la figlia fosse morta due ore dopo e dunque incredula che si potessero sostenere ipotesi del genere, giacché Ilaria le aveva telefonato proprio alle 12,30), oppure di fronte alla continua aggressione a questo povero operaio (che - una volta visto - ho immaginato sopra una gru a muovere pesi), per anni indicato come il terminale di tutti i traffici, di tutti gli atti illeciti, di tutte le vicende malavitose legate alla Somalia e all'Italia, ebbene, dinanzi a tutto ciò, cari colleghi, credo che sia doveroso rispettare assolutamente la verità! Se così non fosse, questo lavoro, questa attività di inchiesta così efficace, motivata, quotidiana, non sarebbero serviti a nulla, anzi avrebbero aggravato la situazione.
Non possiamo far finta che questi due anni siano passati invano, che tutte le ipotesi giacciano sempre sul tappeto, dimenticando di non aver trovato alcun riscontro positivo alle ipotesi del traffico d'armi o di rifiuti, e a quella secondo la quale il sultano di Bosaso avrebbe rivelato chissà quali segreti nell'intervista rilasciata ad Ilaria Alpi. Abbiamo fatto centinaia di domande a questo signore, ma costui ci ha sempre risposto di aver raccontato ad Ilaria soltanto ciò che diceva la gente, cioè il sentito dire da strada. Riguardo al caso Mugne, poi, ci ha detto sostanzialmente che lo scandalo non è in Italia: l'Italia aveva, attraverso la cooperazione, donato navi alla Somalia, ma in Somalia una persona se ne era impossessata, usandole in proprio. Pertanto, non era possibile sostenere che, dietro la vicenda delle navi, potesse esserci un interesse ad occultare qualcosa, addirittura arrivando all'omicidio di due giornalisti (Commenti)!
Prima di concludere, vorrei dunque porre una domanda, anche all'amica onorevole Bindi che parlerà dopo di me. Desidero sapere: per quale ragione e per quale motivo la Commissione dovrebbe concludere i propri lavori fingendo che non sia accaduto nulla, che non vi siano stati riscontri negativi a tutte le tesi e alle ipotesi di lavoro che erano sul tappeto, e perché, invece, rispetto alla tesi di Ionta, quella giudiziaria, quella che io ho avversato per dieci anni - sono pronto a riconoscerlo -, cioè la tesi che si sia trattato di un fallito tentativo di sequestro, dovremmo occultare la polvere sotto il tappeto, come fanno le massaie poco diligenti, sostenere la tesi dell'esecuzione, dire che è stata usata l'arma corta e non il kalashnikov, e negare che vi sia stata una reazione da parte degli assalitori al somalo che fungeva da scorta e che aveva sparato per primo?
Perché non dobbiamo dare atto che, all'uscita dall'albergo, i due giornalisti si sono diretti in una zona off limits per tutti gli occidentali? Tutti gli italiani, infatti, si erano già ritirati, erano tutti imbarcati, erano tutti sulla nave Garibaldi e al porto rimanevano soltanto alcune attività italiane, proprio per l'imbarco. Non ritengo questa ipotesi né adeguata né congrua alla dignità del lavoro da noi svolto. Per quale motivo non dovremmo dare atto di risultati ineccepibili, che si fondano su due elementi probatori, come direbbe una sentenza, in questo caso della corte d'assise? Mi riferisco alla prova generica, cioè alla prova dei fatti, delle perizie balistiche, della riesumazione della salma, e alla prova autoptica. Tali elementi vanno tutti in direzione del fallito tentativo di sequestro e dell'omicidio avvenuto in quel contesto.
Vi è poi la prova specifica, cioè la prova di decine, centinaia di testimonianze e di audizioni, tutte svolte sotto giuramento.
Ma adesso, addirittura, si cita la possibilità indicata dallo stesso Gelle, il quale - lo ricordo - è colui che si è inventato la tesi che accusa il povero somalo che sta in galera (il suo avvocato gli manda 50 euro al mese). Ebbene, perché tutto questo non dovrebbe emergere nell'ambito di un lavoro così importante ed efficace svolto dalla Commissione? Chiedo scusa, presidente e colleghi, se ho ecceduto rispetto al tempo a mia disposizione.
PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Bindi.
ROSY BINDI. Signor presidente, mi riconosco pienamente nell'intervento del vicepresidente De Brasi, al quale, attraverso l'esposizione della nostra memoria scritta, abbiamo affidato l'espressione delle considerazioni di tutta l'opposizione. Svolgerò dunque soltanto alcune precisazioni, perché desidero che restino agli atti a nome del mio gruppo, ovviamente, non solo la condivisione della memoria dell'opposizione, ma anche, e con maggiore chiarezza, le motivazioni del nostro voto contrario alla relazione da lei presentata.
Non cadrò nelle provocazioni dell'onorevole Fragalà, anche se non le ignorerò, per un atteggiamento di cortesia. Onorevole Fragalà, evidentemente il suo intervento prova troppo. Personalmente, non la sceglierei come difensore: il suo intervento prova troppo, e sarebbe molto pericoloso se affidato nelle mani di un giudice terzo che dovesse decidere.
Al contrario di lei, onorevole, in questa Commissione non ho mai sposato alcuna tesi e ho mantenuto un atteggiamento molto laico, anche nei confronti di qualche ipotesi che, ogni tanto, è emersa man mano che venivano meno gli elementi che potevano provare la tesi che a lei piaceva così tanto. Mi riferisco alla pista islamica e ai tanti altri tentativi di trovare una verità.
Proprio per questo motivo, ossia perché non ho mai abbracciato una tesi iniziale, non ho bisogno di abbracciarne una finale, caro onorevole Fragalà. Questo è il punto centrale: la differenza profonda fra la nostra memoria scritta e la relazione di maggioranza risiede proprio nel fatto che, in realtà, ciò che si distanza dall'ottimo lavoro svolto da questa Commissione è la forzatura delle vostre conclusioni.
Noi abbiamo apprezzato il lavoro di questa Commissione e riconosciamo l'ottimo contributo fornito da tutti, a partire dal presidente sino ad arrivare al consulente, per così dire, più «problematico», compresi coloro di cui ho personalmente chiesto la sostituzione. Ripeto, riconosciamo l'ottimo contributo fornito da tutti: questo è agli atti della Commissione ed è anche agli atti relativi alle riunioni dell'ufficio di presidenza.
Dunque, proprio perché ritengo che tutti abbiamo ben lavorato e che questa Commissione abbia conseguito risultati di cui non disponevano né questo Parlamento né l'autorità giudiziaria o altre istituzioni del nostro paese, credo allora che, nel rispetto di questo lavoro, non si debbano forzare delle conclusioni che non ci sono.
La differenza tra la nostra memoria e la vostra relazione risiede tutta proprio in questo aspetto. Noi concludiamo affermando che non vi sono elementi che possano provare nessuna delle tesi che fino adesso sono state sostenute, compresa quella della magistratura. La tardiva conversione verso il lavoro della procura di Roma insospettisce molto, onorevole Fragalà, davvero molto (Commenti del presidente Taormina)... Non la insospettisce, presidente? Si vede che tra voi, per il mestiere che svolgete, vi capite meglio. Io sono esterna a questo contesto, sono una libera cittadina. Il lavoro che noi proponiamo dimostra, chiaramente e nettamente, che nessuno aveva fatto sul serio sino a quando è iniziata la nostra attività. Mi pare evidente.
Dunque, non sosteniamo alcuna tesi, né quella presente nei libri né quella avanzata dalle questure in giro per l'Italia o dalle varie procure, compresa quella di Roma. Abbiamo raccolto del materiale
preziosissimo, in relazione al quale, però, per quanto ci riguarda, non siamo in grado di sostenere una determinata tesi, né di escludere in maniera totale nessuna delle altre tesi che sono state avanzate finora. E comunque, come ho già evidenziato in sede di conferenza stampa molto liberamente, tali tesi si sono dimostrate essere in parte delle costruzioni abbastanza ardite e lo abbiamo ampiamente comprovato. Noi, però, non siamo in grado di sostenere che vi sono prove a sostegno di un'altra tesi. La differenza col nostro lavoro è tutta qui. Credo che la nostra memoria sia molto più corretta nei confronti del lavoro svolto dalla Commissione di quanto non siano le forzate conclusioni, soprattutto quelle che ci sono state presentate all'ultimo momento: perché comunque, dato questo clima, anche pre-elettorale, si vuole arrivare a sbandierare una conclusione. Ciò, a maggior ragione, se consideriamo che le conclusioni della Commissione sono state precedute da ripetute interviste, nelle quali ci si scambia reciproche accuse o si usa un linguaggio molto vicino a quello di altri personaggi della nostra politica. Francamente, mi sorge il dubbio che qualcuno abbia dimenticato il proprio ruolo di imparzialità e si sia affidato al clima elettorale.
Sulla scorta di tali motivazioni, ricordo che ho laicamente iniziato questo lavoro e che laicamente lo concludo. E vado molto orgogliosa anche dell'atteggiamento da noi tenuto. Tutti, in occasione delle dichiarazioni di voto finale, vogliamo fare un po' di autobiografia: ricordo che, fino a ieri, ho lavorato per creare le condizioni affinché non si arrivasse ad una memoria di minoranza. Ho sempre sostenuto che, tutti insieme, potevamo giungere ad un'unica relazione, visto che la minoranza ha partecipato ai lavori della Commissione molto più della maggioranza. Verificate chi è stato presente e chi assente. Personalmente, non sono stata tra i più diligenti, ma sicuramente lo sono stata molto più di alcuni membri della maggioranza e inoltre vi sono membri della minoranza che hanno partecipato assicurando la propria presenza ai lavori di questa Commissione.
Sarebbe stato un nostro risultato giungere tutti insieme ad un'unica relazione. Ma questo evidentemente non si è voluto e, negli ultimi mesi, si sono assolutamente forzati tutti gli atteggiamenti, tutte le decisioni, compreso il tentativo di riscrivere tre o quattro volte la relazione. Francamente, la nostra è una posizione assolutamente ineccepibile: noi diamo un contributo alla verità, non voi.
PRESIDENTE. Ringrazio tutti i colleghi per gli interventi svolti.
Prima di passare alla votazione, voglio soltanto aggiungere due dati che nessuno può contestare, e cioè che i lavori della nostra Commissione hanno escluso che l'uccisione di Ilaria Alpi sia stata un'esecuzione. Non è emerso un solo elemento idoneo a dimostrare il collegamento tra l'uccisione dei due giornalisti e conoscenze tali da far preferire la loro eliminazione piuttosto che la divulgazione di tali conoscenze. Credo che nessuno possa discutere tali dati e che questi siano la linea portante di qualsiasi altra possibile conclusione.
Nel momento in cui si intende svolgere un lavoro che deve rispondere a domande dell'opinione pubblica, della gente - e per questo vi è un lavoro commissionato al Parlamento (e dal Parlamento ad una Commissione parlamentare di inchiesta) - non credo si possano creare, come ha ricordato bene l'onorevole Schmidt, le condizioni per ridiscutere sulla questione. Certamente si discutono anche le sentenze passate in giudicato, figuriamoci se non si discuterà su questo, ma di fronte ad un dato preciso ogni altra possibile conclusione sarebbe stata in contrasto con l'obiettività dei nostri lavori.
Del resto, concordo con quanto ha ricordato l'onorevole Fragalà, e perciò lo ringrazio (per la verità, dovremmo ringraziarlo tutti). In effetti, al di là di qualche «puntatina» più o meno venata da esigenze politiche, francamente, sono della stessa opinione: non ho ascoltato delle
vere obiezioni circa l'impianto della nostra relazione.
Con la sua ultima battuta, l'onorevole Bindi ci ricorda di aver tentato fino all'ultimo di non presentare quella che, non a caso, viene indicata non come «relazione» di minoranza (a meno che non dobbiamo farlo in questo momento), bensì come «memoria» della minoranza. Nella tipologia degli atti parlamentari non è una terminologia molto ricorrente...
ROSY BINDI. La chiami come vuole!
PRESIDENTE. Circa la stessa osservazione dell'onorevole Bindi, come dicevo, secondo la quale avrebbe fatto di tutto per presentare un'unica relazione, noi non abbiamo avuto mai sentore di questo. Abbiamo avuto sentore, piuttosto, di una relazione preparata in maniera non rispondente ai risultati dell'inchiesta. Era doveroso, invece, seguire la direzione che la relazione ha poi potuto prendere....
ROSY BINDI. Chi ha cambiato tre volte la relazione?
PRESIDENTE. Onorevole Bindi, sto facendo le mie dichiarazioni di voto...
ROSY BINDI. E no, presidente, questo è il veleno della coda...
PRESIDENTE. Sto concludendo...
CARMEN MOTTA. Allora abbiamo diritto di replica!
ROBERTA PINOTTI. Se lei riprende la parola, abbiamo diritto di replica.
PRESIDENTE. Ho tentato di riepilogare quanto detto per evidenziare che non ho ascoltato voci sostanzialmente discordi dalla relazione proposta (Commenti).
Ricordo ai colleghi che, successivamente alla votazione della relazione presentata, dovremo esaminare la proposta deliberata nella riunione di ieri dall'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, relativa al regime di segretazione degli atti e alle attività del cosiddetto «ufficio stralcio», di cui la Commissione si occuperà sino a non oltre il 31 agosto. Tali disposizioni dovranno essere deliberate dalla Commissione.
CARMEN MOTTA. Signor presidente, le chiedo di indicare i tempi dei nostri lavori, proprio perché, successivamente, dobbiamo passare alla votazione della delibera dell'ufficio di presidenza...
PRESIDENTE. Non credo saranno necessari più di dieci minuti. Dobbiamo porre in votazione le deliberazioni che l'ufficio di presidenza ha assunto nella seduta di ieri, quando voi avete voltato le spalle e ve ne siete andati (Commenti del deputato Pinotti). Io faccio solo da notaio: se n'è andato soltanto chi non gradiva più stare in quest'aula.
Preciso che dovremmo dichiarare dissegretati gli atti (ovviamente per la parte in cui sono segreti) contenuti nella relazione. Occorre dunque approvare prima la relazione e poi passare all'esame della delibera dell'ufficio di presidenza relativa a tale questione.
Prima di passare alla votazione chiedo che la presidenza sia autorizzata a procedere al coordinamento finale del testo approvato.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
Indico, quindi, la votazione nominale sulla proposta di relazione finale da me presentata, il cui testo sarà pubblicato in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Invito i segretari della Commissione, onorevoli Ranieli e Tuccillo, a procedere all'appello dei commissari.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
Presenti e votanti 18
Maggioranza 10
Hanno votato sì 11
Hanno votato no 7
(La Commissione approva).
Hanno votato sì: Bertucci, Cannella, Fragalà, Galvagno, Lisi, Lussana, Palma, Pittelli, Ranieli, Schmidt e Taormina.
Hanno votato no: Bindi, De Brasi, Deiana, Mariani, Motta, Pinotti e Tuccillo.
Avverto che la relazione approvata dalla Commissione, nonché le relazioni di minoranza, saranno trasmesse alla Presidenza della Camera.
![]() |