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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame testimoniale di Gabriella Simoni. Avverto che la Commissione è collegata telefonicamente con il testimone.
(Il collegamento telefonico viene attivato).
Dottoressa Gabriella Simoni, mi sente?
GABRIELLA SIMONI. Sì, la sento.
PRESIDENTE. Sono presenti i commissari e i consulenti. Sto parlando al microfono, che consente alla Commissione di ascoltare tutto quello che dico. Quando lei risponderà alle domande, metteremo in viva voce e, attraverso il microfono, le sue risposte si sentiranno nella sala.
GABRIELLA SIMONI. Mi chiamo Gabriella Simoni, sono nata il 2 settembre 1959 a Firenze. Faccio la giornalista e lavoro a Mediaset.
PRESIDENTE. Non dica Mediaset, perché altrimenti...
GABRIELLA SIMONI. Non lo devo dire?
PRESIDENTE. Ormai l'ha detto...
Lei naturalmente rimane sotto giuramento, che ha già prestato la volta scorsa; le generalità le ha già fornite, anche se le ha ribadite un attimo fa.
Abbiamo bisogno di farle alcune domande. La prima è questa. Non so se nel tempo lei abbia potuto ulteriormente riflettere, ma è in grado di ricordare con esattezza quando siete arrivati a Mogadiscio? Il 18 o il 19 di marzo? O ancora prima?
GABRIELLA SIMONI. No, noi siamo arrivati il giorno prima, il 19.
PRESIDENTE. Quindi, siete arrivati il giorno prima dei fatti. Qual era la situazione che avete trovato a Mogadiscio? Notaste differenze rispetto all'ultima volta che vi eravate recati lì?
GABRIELLA SIMONI. La situazione a Mogadiscio cambiava sempre, ed era uno dei motivi per cui, appena arrivati, si cercava subito di capire quali erano i nuovi equilibri, chi comandava e dove. Poiché era in corso una guerra per clan, la situazione cambiava continuamente. La grande differenza rispetto alle volte precedenti consisteva in questo senso di smobilitazione. Non si vedevano quasi più in giro per la città i soldati delle forze internazionali e c'era una situazione di abbandono.
PRESIDENTE. Disordine o abbandono?
GABRIELLA SIMONI. Disordine sicuramente, però non si vedeva grande caos per le strade; si avvertiva una grande tensione e quindi, come sempre quando c'è tensione, la situazione appariva anche più desertica e le strade erano quasi vuote (quando si arrivava a Mogadiscio e c'era molta gente per le strade, i mercati erano aperti, le donne andavano in giro, si capiva che la situazione era abbastanza tranquilla; quando invece si vedevano le strade semideserte, si percepiva una grande tensione). Inoltre, appena erano andate via le truppe, e quelle rimaste stavano chiuse nel compound dell'ONU. Quindi, si percepiva che la situazione non era tranquilla e che poteva succedere qualcosa da un momento all'altro.
PRESIDENTE. Ma non avete assistito a tumulti oppure a risse o a cose di questo genere?
PRESIDENTE. Che cosa vi era stato rappresentato dai militari prima di arrivare a Mogadiscio? Che situazione vi era stata prefigurata?
GABRIELLA SIMONI. Avevamo incontrato i militari a Mombasa, perché eravamo arrivati a Nairobi da Mombasa con un aereo C 130 dell'aeronautica militare. I militari che stavano a Mombasa, che erano un gruppo abbastanza piccolo con cui eravamo stati a cena la sera prima di partire (eravamo partiti all'alba), ci avevano chiesto cosa andavamo a fare lì, considerato che il momento era molto pericoloso, e ci avevano consigliato di non andare. Ci dissero di fare attenzione, perché il momento era molto pericoloso per gli italiani.
PRESIDENTE. Perché per gli italiani? Vi dissero perché era un momento particolarmente pericoloso per gli italiani?
GABRIELLA SIMONI. Lo era perché gli italiani stavano andando via in quel momento. Tutto questo non era ufficiale, né si trattava di un avvertimento specifico (quello che ogni tanto i militari si danno), ma era detto tra le righe durante una cena. Lei sa meglio di me che quando ci si muove in situazioni di questo tipo, che sono difficilissime da definire, c'è una informazione ufficiale, come c'è in questo momento riguardo all'Iraq. In questo momento, il Governo italiano e chiunque si occupi di Iraq ha una posizione ufficiale e parla ufficialmente ai giornalisti rispetto alla possibilità di andare a lavorare in Iraq, mentre in quel caso non era così. Ci consigliavano di fare attenzione, ci dicevano che vi era grande tensione e che i soldati italiani erano andati via un giorno prima (spesso ci avvertono dei rischi, perché si tratta di posti pericolosi e i militari hanno una percezione della sicurezza
che è diversa da quella che abbiamo noi giornalisti che spesso ci muoviamo proprio quando ci dicono che la situazione è caotica.
PRESIDENTE. Hanno fatto riferimento anche ad una esigenza di particolare attenzione per voi, non solo come italiani, ma come giornalisti?
PRESIDENTE. Quali giornalisti avete incontrato - sia italiani che stranieri - a Mogadiscio?
GABRIELLA SIMONI. Prima della morte di Ilaria e Miran, abbiamo incontrato Carmen Lasorella, che era a casa di Marocchino.
PRESIDENTE. C'era anche Paradisi?
GABRIELLA SIMONI. Sì, c'era anche Romolo Paradisi, che in quel momento era il cameraman; loro stavano andando via, mentre noi eravamo appena arrivati e ci saremmo fermati qualche giorno (almeno questa era la nostra intenzione, poi le cose sono cambiate). Incontrammo Romolo Paradisi sulla nave Garibaldi, invece credo che Carmen Lasorella rientrò in modo diverso - credo ripartì prima (magari aveva degli altri impegni) - perché non la incontrammo di nuovo.
PRESIDENTE. Quindi, il 19 voi incontraste sia Carmen Lasorella che Paradisi. Incontraste altre persone a casa di Marocchino?
GABRIELLA SIMONI. C'era qualcun altro, ma non ricordo in questo momento.
PRESIDENTE. C'erano giornalisti stranieri?
GABRIELLA SIMONI. Il giorno dopo, quando io e Porzio siamo andati a prendere gli oggetti personali di Miran e di Ilaria, abbiamo incontrato i colleghi della televisione svizzera, di APTN, i colleghi tedeschi e tutti quelli che erano al Sahafi hotel; mentre sul luogo dell'assassinio ho visto un cameraman che lavorava come freelance (spesso lavorava per l'ABC, emittente degli Stati Uniti).
PRESIDENTE. Avete incontrato Remigio Benni?
GABRIELLA SIMONI. In quel momento, Benni era a Nairobi con Vladimiro Odinzoff, collega di la Repubblica, e tornò, credo il 20 (però nel pomeriggio, più tardi). Di questo, però, non sono sicura. Sicuramente, egli non era a Mogadiscio in quel momento, anche perché noi usammo il telefono satellitare dell'ANSA - e credo ci siano anche i tracciati - che Remigio Benni lasciava all'Hamana hotel, che era un po' la sua sede a Mogadiscio, la sua base logistica. Aveva un satellitare che tutti i colleghi che passavano a Mogadiscio - all'epoca i satellitari non erano così diffusi - usavano, indicando ovviamente l'ora in cui avevano telefonato (l'ANSA era d'accordo con tutti i giornali di mettere in conto le telefonate che ognuno dei loro giornalisti faceva).
PRESIDENTE. Avete incontrato Cervone?
GABRIELLA SIMONI. No. Credo che fossero già andati via con gli italiani, perché gli italiani avevano lasciato Mogadiscio proprio il giorno prima.
GABRIELLA SIMONI. Questo ufficialmente non lo so. Secondo le notizie che giravano, gli equilibri con i somali erano abbastanza complicati, per cui avevano paura che potessero usare il momento ufficiale della partenza da Mogadiscio per qualche azione. Per questo, avevano anticipato la partenza. Però, si tratta di notizie che giravano tra noi giornalisti.
PRESIDENTE. Le risulta che uno o due giorni prima, a ridosso del 19, Giancarlo Marocchino fece presente ai giornalisti italiani che era venuto a conoscenza del pericolo di attentati contro i cittadini italiani?
GABRIELLA SIMONI. Non so se abbia parlato specificamente di attentati; mi risulta che lui avesse avvertito che era un momento pericoloso. Questo lo ha detto anche a noi.
GABRIELLA SIMONI. Quella sera a cena c'erano anche Lasorella e Paradisi. Devo dire che quella era una situazione diversa, ce lo avevano detto gli italiani. Marocchino, che tutti consultavano una volta arrivati a Mogadiscio, vivendo stabilmente lì, avendo una moglie somala e una serie di contatti, era quello che più aveva chiaro come si muovevano gli equilibri. Questa volta tutti ci avevano avvertito di questa pericolosità. Questo è il motivo per cui non siamo andati al Sahafi.
PRESIDENTE. Ha detto un attimo fa che Giancarlo Marocchino avvertì, oltre a lei e a Porzio, anche Carmen Lasorella. Avvertì anche Paradisi?
GABRIELLA SIMONI. Sì, non fu un avvertimento specifico, come dicevo prima. Stavamo parlando della situazione e lui disse che in quel momento Mogadiscio era particolarmente pericolosa e che dovevamo fare attenzione.
PRESIDENTE. Cioè, lei ha detto che quando Marocchino fece questa raccomandazione c'eravate lei, Carmen Lasorella, Porzio e Paradisi, ma la mia domanda è dove eravate quando Marocchino vi disse ciò.
GABRIELLA SIMONI. A casa di Marocchino.
GABRIELLA SIMONI. Mi sembra che fossimo a cena. Comunque, sedevamo a tavola: questo è sicuro.
PRESIDENTE. Ricorda se fosse un'occasione nella quale si festeggiava un compleanno?
GABRIELLA SIMONI. Sedevamo a tavola, questo è sicuro, ma non ricordo se si trattava di un compleanno.
PRESIDENTE. Senta, mi scusi se insisto, lei è sicura che siate arrivati il 19 e non il 18? Infatti, a noi risulta invece che questa informativa di Marocchino sia stata effettuata (può darsi che siano sbagliate le nostre coordinate) il 18, cioè, il giorno precedente.
GABRIELLA SIMONI. Per quanto riguarda la data indicata, ricordo che eravamo arrivati il giorno prima, però, se lo ritenete utile, posso fare una verifica e farvi sapere in tempi strettissimi il giorno esatto. Tuttavia, ricordo che eravamo arrivati il giorno prima, che avevamo dormito lì una notte e, il giorno dopo, dopo avere speso la mattina a fare una serie di cose, alle ore 14 successe quello che è successo. Ricordo che la sera prima c'erano Carmen e Romolo, che non c'erano il giorno dopo. Infatti, noi, cioè, Porzio, io, Ilaria e Miran eravamo gli unici quattro giornalisti italiani presenti a Mogadiscio nel momento in cui si verificò l'incidente. Questo è quanto ricordo.
Ritengo che Marocchino abbia ripetuto la medesima raccomandazione più volte in quei giorni, quindi, potrebbe avere fatto ciò anche durante un pranzo o una cena, cioè, in un'occasione in cui noi non eravamo presenti, ma in cui erano sicuramente presenti Carmen e Romolo, che erano già lì.
PRESIDENTE. Mi scusi, ma se lei ricorda che questa comunicazione venne effettuata la sera, (cioè, sabato rispetto alla domenica), il 19 Carmen Lasorella era già partita!
GABRIELLA SIMONI. Allora, questa cosa deve essere avvenuta a pranzo.
PRESIDENTE. Comunque, sarebbe utile può farci sapere con più precisione il giorno in questione sarebbe utile.
GABRIELLA SIMONI. Senz'altro. Infatti, proprio al fine di evitare che, passando gli anni, dimenticassimo dei passaggi importanti, io e Porzio abbiamo scritto quanto avvenne. Tuttavia, fin d'ora le confermo che ricordo visivamente un tavolo, al quale sedeva anche un'altra persona (non so se si trattasse di un regista o altro) e che poi partirono. Quindi, è presumibile che ciò fosse avvenuto nel pomeriggio perché, in quei luoghi, non ci si muoveva liberamente di sera.
Comunque, in questo contesto, parlando della situazione, loro ci raccontarono cosa avevano fatto in quei giorni. Ci dissero che la situazione era molto pericolosa e difficile e che non era il caso di muoversi.
PRESIDENTE. Non era il caso di muoversi, però, la mattina del 20 marzo, ve ne siete andati, lei e Porzio, alla volta dell'hotel Hamana.
GABRIELLA SIMONI. Eravamo anche andati, senza scorta, in cerca di un ospedale dove ci avevano detto esservi dei casi di colera. Per questo motivo eravamo stati pesantemente redarguiti da Marocchino.
PRESIDENTE. Eravate stati pesantemente redarguiti da Marocchino ma ciò non vi ha trattenuto dal fatto di andare all'hotel Hamana senza alcuna cautela?
GABRIELLA SIMONI. È così perché, comunque, eravamo abbastanza abituati al fatto di ricevere degli avvertimenti in questo senso. Però, noi all'Hamana ci siamo andati dopo che ci ha chiamato Marocchino, cioè, dopo avere sentito via radio che era successo qualcosa presso quell'hotel: noi eravamo a casa di Marocchino in quel momento.
PRESIDENTE. Scusi, ma allora quando siete andati all'hotel Hamana?
GABRIELLA SIMONI. Noi siamo all'Hamana dopo avere sentito via radio che era successo qualcosa. C'eravamo passati anche la mattina mentre eravamo alla ricerca di un ospedale dove erano stati segnalati dei casi di colera. Marocchino ci aveva detto di non uscire, che non era il caso, vista la situazione difficile; ci aveva ripetuto più volte di rimanere lì e di non andare in albergo. Quando poi siamo rientrati a casa di Marocchino, via radio, abbiamo sentito che stava succedendo qualcosa. Allora, siamo partiti da casa di Marocchino con una macchina.
PRESIDENTE. Chi c'era a casa di Marocchino?
GABRIELLA SIMONI. C'era una vecchia combattente somala, chiamata comandante Medina, la quale ci stava raccontando degli anni in cui c'erano gli italiani...
PRESIDENTE. C'era anche Marocchino?
GABRIELLA SIMONI. No, lui non c'era. C'era però la moglie di Marocchino e questa somala, di cui ho detto, che chiamavano comandante Medina.
PRESIDENTE. Lei sa dove fosse Marocchino?
GABRIELLA SIMONI. Era al porto.
PRESIDENTE. Quindi, dobbiamo collocare il vostro spostamento all'hotel Hamana dopo la comunicazione dell'uccisione, quindi, in sostanza, dopo le ore 15 di quel 20 marzo. Va bene.
Lei e Porzio, come andaste all'hotel Hamana?
GABRIELLA SIMONI. Con una macchina, se non sbaglio si trattava di una Panda bianca, che era a casa di Marocchino, guidata da un autista che abitualmente
Marocchino utilizzava. Prima di giungere all'hotel, però, passammo a casa di un tale, non so bene dove (ma sempre sul tragitto tra la casa di Marocchino e l'hotel Hamana), per prendere e portare con noi un uomo armato.
PRESIDENTE. Mi scusi, avete avvertito Marocchino del fatto che stavate andando verso l'hotel Hamana oppure è stata una vostra decisione?
GABRIELLA SIMONI. Era tutto un gridare in maniera assolutamente sconclusionata da una parte all'altra della radio. Ho capito che Ilaria era stata ferita dopodiché Marocchino ha gridato «venite qui». Subito dopo ha anche parlato con l'autista a cui deve aver detto di passare a prendere l'uomo armato che è venuto con noi. Siamo quindi saliti in macchina e siamo passati a prendere questo signore: sembrava un inferno!
PRESIDENTE. Allora, quando siete saliti in macchina guidava un autista di Marocchino?
PRESIDENTE. Era armato che lei sappia?
GABRIELLA SIMONI. Non lo so, comunque non credo perché altrimenti non saremmo andati a prendere un uomo armato nel tragitto.
PRESIDENTE. Dove siete andati a prendere questo uomo?
GABRIELLA SIMONI. Sulla strada tra la casa di Marocchino e l'hotel Hamana?
PRESIDENTE. Quest'uomo era armato?
PRESIDENTE. Quindi, quando siete andati all'hotel Hamana eravate in quattro? Perché però vi siete recati all'hotel Hamana? Avevate avuto notizia dell'accaduto?
GABRIELLA SIMONI. Sì. Via radio Marocchino ci aveva detto che Ilaria era stata ferita e quindi ho capito che era successo qualcosa di grave alla mia collega. Per questo motivo, mi precipitai immediatamente per vedere cosa era successo.
PRESIDENTE. Che cosa avete fatto una volta giunti lì? Siete entrati all'interno dell'hotel Hamana?
GABRIELLA SIMONI. Assolutamente no, perché non appena arrivati sul posto abbiamo visto un assembramento di persone dalla parte opposta della strada e lì c'era la macchina di Marocchino già aperta dietro con persone che stavano spostando i corpi. Noi abbiamo cercato di fare qualcosa, di aiutare, di capire....
PRESIDENTE. Ma che situazione trovaste sul posto?
GABRIELLA SIMONI. Vedemmo la macchina...
PRESIDENTE. Quella in cui erano stati uccisi Ilaria e Miran?
GABRIELLA SIMONI. Sì, e in quel momento stavano portando fuori il corpo di Miran mentre Ilaria era ancora sul sedile di dietro. C'era una folla impressionante, con gente che si accalcava, che spingeva, che urlava. Solo per cercare di portare fuori i corpi...
PRESIDENTE. Dove lasciaste la vostra macchina?
GABRIELLA SIMONI. Dall'altra parte della strada.
PRESIDENTE. Cioè, verso l'hotel Hamana?
GABRIELLA SIMONI. Sì, ma poi quella macchina non l'ho più vista. Noi poi siamo saliti sulla jeep di Marocchino in direzione del porto vecchio.
PRESIDENTE. Ricorda di avere visto una Land Rover azzurra?
GABRIELLA SIMONI. Ho dei ricordi veramente da shock di quella situazione. Ricordo la gente, la macchina di Marocchino, il pick up contro il muro, la gente che gridava e basta....
Però, pensando meglio, c'era una macchina, non so se si trattava di una Toyota azzurra, dietro le altre e sopra di questa stava un cineoperatore che filmava.
PRESIDENTE. Torniamo ancora a parlare - si tratta di una puntualizzazione importante - dei famosi taccuini che sono stati rinvenuti all'hotel Sahafi: può dirci in dettaglio come sono andate le cose?
GABRIELLA SIMONI. Io e Porzio siamo entrati nelle due camere. Giovanni ha cercato di smontare tutta l'attrezzatura tecnica facendosi aiutare dai colleghi dell'APTN mentre io sono andata nella camera di Ilaria. Ho subito pensato che Ilaria era figlia unica e che i suoi genitori avrebbero sicuramente voluto avere le sue cose. Poiché c'era un gran caos con valigie, vestiti e via dicendo ovunque, ho pensato di prendere la borsa di Ilaria, uno zainetto della marca Mandarina duck e di metterci dentro tutte le cose che potevano servire.
PRESIDENTE. Però, a noi interessano particolarmente i taccuini: quanti ne ha trovati?
GABRIELLA SIMONI. Ricordo di averne trovati 5, di cui 3 scritti.
PRESIDENTE. Riesce a descriverceli uno per uno?
GABRIELLA SIMONI. Due erano pieni, uno semipieno, mentre gli altri sembravano vuoti. Quelli pieni contenevano una serie di informazioni che in codice noi chiamiamo time code.
PRESIDENTE. Quindi, lei conferma di avere rinvenuto 5 taccuini all'hotel Sahafi, tre scritti e due non scritti?
GABRIELLA SIMONI. Sì, a prima vista non scritti.
PRESIDENTE. Come si presentavano questi taccuini: che forma avevano?
GABRIELLA SIMONI. Erano tutti uguali, avevano una clip a forma di molla, erano verticali e di formato stretto. C'era poi una sorta di riga rossa o gialla a metà della copertina del taccuino che erano di colore marrone o blu.
PRESIDENTE. Erano di colori diversi?
PRESIDENTE. Quindi, erano cinque taccuini della stessa forma, ma di colore diverso, due che, all'apparenza, non erano scritti e tre che erano scritti, due completamente e uno in parte: è esatto?
PRESIDENTE. Cosa ne è stato di questi cinque taccuini?
GABRIELLA SIMONI. Li ho messi via, nella Mandarina. Ho messo dentro lo zainetto tutto quello che ho pensato potesse servire ai genitori, così come anche un orecchino, e altri vestiti sparsi che ho trovato in giro per la camera.
PRESIDENTE. Dottoressa, a noi interessano in particolare i taccuini. Le chiedo se dei tre taccuini scritti lei ha potuto notare il contenuto?
GABRIELLA SIMONI. Erano quasi tutti time code. Non ho avuto il tempo di leggerli attentamente, però, ho guardato cosa contenevano, soprattutto dando
un'occhiata all'ultima pagina, perché in quel momento ho pensato di potere trovare almeno un nome che potesse significare qualcosa: ero addolorata e infuriata. Invece, si trattava di taccuini che contenevano quasi tutti time code e sono sicura di questo perché se anche era una cosa che io non faccio mai (mentre ritengo che in questo mestiere sia giusto fare così) invece Ilaria, puntualmente, su ogni immagine che prendeva aveva scritto un codice. Poiché infatti sui nastri sono scritti dei numeri per ritrovare più velocemente le immagini, vi era scritto, per esempio, che a tre minuti, cinque secondi e 78 centesimi, vi era una faccia di donna con bambino e così via.
PRESIDENTE. Lei ha detto che erano quasi tutti time code: perché, c'era anche qualche parte scritta?
GABRIELLA SIMONI. Ovviamente, c'erano anche delle informazioni e delle parti scritte, però, ho dato solo una scorsa veloce. Per esempio, ho visto un paio di numeri, uno pezzo scritto relativo ad un'associazione di donne islamiche: c'erano insomma un po' di appunti ma, soprattutto, time code.
PRESIDENTE. Ha poi ricevuto un taccuino anche da Marocchino o sbaglio?
GABRIELLA SIMONI. Non ricordo se Marocchino mi avesse dato anche un taccuino. Mi consegnò, comunque, delle cose che aveva trovato nella macchina di Ilaria. Però, anche questo particolare, se volete, lo posso recuperare.
GABRIELLA SIMONI. Perché sia io, sia Giovanni Porzio, appena tornati in Italia, abbiamo scritto tutto quello che ci ricordavamo.
PRESIDENTE. Allora, questa è la seconda cosa che si deve annotare.
PRESIDENTE. Questi taccuini, da lei messi dentro la Mandarina duck, li tenne lei sino all'arrivo sulla nave Garibaldi?
GABRIELLA SIMONI. Sì, ho sempre tenuto lo zainetto con me.
GABRIELLA SIMONI. Consegnai lo zainetto ad un ufficiale della Garibaldi, di cui non so dire il nome. A dire la verità, io non volevo consegnare la borsa, ma l'ufficiale mi disse che dovevo farlo perché bisognava fare l'inventario del contenuto, anzi, mi invitò a seguirlo per verificare lo svolgimento dell'operazione. Tuttavia, ero sotto shock e il personale della Croce Rossa presente non reputò in quel momento che fosse opportuno proseguire con altre attività. Così venne chiamato Giovanni Porzio, il quale assistette all'apertura della Mandarina duck, al controllo del contenuto e all'apposizione del sigillo sullo zainetto medesimo.
PRESIDENTE. Quindi, queste notizie le ha apprese da Porzio? Ricorda se dopo avere assistito a quella operazione Porzio le indicò qualche anomalia? Porzio sapeva che lei aveva recuperato cinque taccuini?
GABRIELLA SIMONI. Assolutamente no, non avevamo avuto neanche il tempo per scambiarci delle informazioni.
PRESIDENTE. Insomma, che cosa le ha riferito Porzio di questa operazione?
GABRIELLA SIMONI. Lui venne chiamato ad aprire una serie di cose, perché c'erano anche una serie di bagagli, una borsa con le cassette di Miran e via dicendo. L'unica cosa che abbiamo fatto non appena arrivati sulla Garibaldi, con Romolo Paradisi che era lì, abbiamo preso l'ultima cassetta che ancora dentro la telecamera di Miran e l'abbiamo guardata velocemente per capire se c'era qualcosa che poteva in qualche modo spiegare ciò che era successo.
PRESIDENTE. Avete trovato qualcosa di interessante?
GABRIELLA SIMONI. No, assolutamente no, perlomeno nulla che, a prima vista, potesse fornirci qualche indicazione, nulla da cui potessimo percepire chiaramente che avessero filmato qualcosa che non dovevano filmare (qualcuno che minacciava oppure una postazione militare).
PRESIDENTE. Ho capito. A noi risulta che il 23 maggio 1994 Giovanni Porzio inviò al colonnello Muto, l'allora capo di stato maggiore del comando della brigata Legnano, una copia del rapporto fatto pervenire al Tg3, su loro richiesta. Conosce questo particolare?
PRESIDENTE. Porzio le ha mai detto da chi gli fu richiesta - e per quale ragione - questa documentazione? Non avete mai parlato di tale aspetto?
GABRIELLA SIMONI. No, perché - per quanto possa sembrarvi strano - questa è una vicenda della quale non parliamo volentieri, per quello che era accaduto a loro e per quello che è accaduto dopo. Però, se ritenete, posso sempre chiederlo a lui. Porzio, in questo momento, è in Iraq; la comunicazione è molto difficile, ma posso rintracciarlo in qualche modo e domandargli questa cosa, così da fornirvi le informazioni che avete richiesto.
PRESIDENTE. Questa è la terza annotazione che lei dovrà fare, dunque.
GABRIELLA SIMONI. Provvedo immediatamente a prenderne appunto, presidente. Ricapitolando, la prima questione riguarda la certezza del 19 a Mogadiscio.
PRESIDENTE. Esatto. Le chiediamo di verificare, cioè, se si trattava del 18 o del 19.
GABRIELLA SIMONI. La seconda questione riguardava l'auto?
PRESIDENTE. Riguardava il taccuino di Marocchino: le chiediamo se lei abbia ricevuto da Marocchino un taccuino e - in caso affermativo - se abbiate svolto controlli, o abbiate effettuato lo stesso riscontro.
GABRIELLA SIMONI. No, posso già rispondere in senso negativo, perché si è trattato di una circostanza concitatissima, c'era già l'elicottero che stava venendo a prenderci, ci dicevano di evacuare...
PRESIDENTE. Capisco. Quanto alla terza questione, l'abbiamo appena ricordata, a proposito del rapporto del Tg3 richiesto dal colonnello Muto. Al riguardo, dovrebbe chiedere informazioni a Porzio.
GABRIELLA SIMONI. Porzio, ad ogni modo, non ha mai fatto un rapporto. Abbiamo piuttosto realizzato una memoria, se possiamo definirla così.
PRESIDENTE. Noi l'abbiamo qui: «All'attenzione del colonnello Muto. Urgente. Le trasmetto copia [...]».
GABRIELLA SIMONI. Non metto in dubbio assolutamente questo, presidente.
PRESIDENTE. « Le trasmetto copia del rapporto che ho inviato, su richiesta, alla redazione del Tg3. [...]». Il colonnello Muto, quindi, aveva chiesto la copia a Porzio, il quale, cortesemente, ha provveduto a trasmettergliela. Vorremmo, dunque, sapere per quale motivo sia stata avanzata tale richiesta.
GABRIELLA SIMONI. Posso riferire una sola cosa a proposito dei taccuini, che mi colpì, presidente. Voi saprete che il caso di Ilaria Alpi nacque dal fatto che io denunciai l'arrivo a Roma di un numero inferiore di taccuini rispetto a quelli che io ricordavo di aver messo via.
PRESIDENTE. Esatto, continui pure.
GABRIELLA SIMONI. Il numero di taccuini risultante dall'elenco stilato sulla
Garibaldi - fu la prima cosa che andammo a verificare, ovviamente -, dagli ufficiali della stessa, era identico al numero che fornivo io. Seguì una ricerca sulle tratte compiute dal C 130 per capire in che punto fosse stato tolto il sigillo dalla borsa. A seguito della mia consegna, infatti, la borsa, sulla Garibaldi, venne sigillata con un sigillo di piombo. Ribadisco che gli ufficiali avevano riportato lo stesso numero di taccuini denunciato da me (questo è un elemento che - ripeto - siamo andati a verificare immediatamente). La borsa, però, arrivò aperta a Ciampino, anzi a casa dei signori Alpi. Da quel momento, cominciammo un percorso a ritroso per capire dove questa borsa fosse stata aperta.
PRESIDENTE. Mi scusi, dottoressa, nell'inventario che fu fatto sulla Garibaldi, e che abbiamo qui, è scritto, in riferimento ai taccuini: «cinque block notes, di cui due con appunti e tre non scritti».
GABRIELLA SIMONI. Per la ragione che uno era scritto appena, conteneva poche righe, scarsi appunti.
GABRIELLA SIMONI. Probabilmente, essendo scritto pochissimo, a prima vista poteva apparire vuoto. Vi ricordo che erano cinque, di cui tre scritti, uno, però, molto poco, come le ho detto prima.
PRESIDENTE. No, lei prima ha parlato di tre taccuini scritti e due vuoti, aggiungendo che uno dei tre era non pieno.
GABRIELLA SIMONI. Non pieno, esatto. Ricordo che era scritto pochissimo, però, ripeto, sto procedendo a memoria. Capisco che sia difficile da comprendere, ma è una vicenda che è stata terrificante. Ogni volta che ne sento parlare sto male.
PRESIDENTE. La capisco, dottoressa. Ad ogni modo, non avete mai cercato di compiere approfondimenti attorno a questa particolarità alla quale sto facendo riferimento ora - intendo, cioè, il fatto che, nell'inventario, si parli di tre taccuini non scritti in luogo dei due di cui lei aveva riferito (riconfermando la stessa versione oggi) -, per capire se si trattasse di una anomalia, o se fosse stato inventariato «tre non scritti» per qualche ragione, per qualche errore?
GABRIELLA SIMONI. No, perché tutto si concentrò, in una prima fase, sul fatto che mancassero dei taccuini.
PRESIDENTE. Lei dice che il vostro interesse era di rinvenirne cinque, ovvero lo stesso numero di taccuini che avevate trovato, è così?
GABRIELLA SIMONI. Esatto. È chiaro che se ne arrivavano solo tre, due o uno - dal momento che dentro alla borsa ne avevamo messi cinque, e che quei cinque erano stati chiusi lì -, voleva dire che qualcuno aveva aperto la borsa e li aveva sottratti.
PRESIDENTE. Lei sa che successivamente i sigilli apposti ai bagagli furono violati? Lei ha saputo questa circostanza e, in caso affermativo, da chi?
GABRIELLA SIMONI. Sì, l'ho saputa. Quando lessi che i taccuini arrivati alla famiglia erano due piuttosto che tre - al momento non ricordo - io contattai i familiari, che non avevo chiamato per circa sei-sette mesi dal momento che sono poche le cose da dire in certe circostanze. Invece, mi sembrò importante comunicare il fatto che i taccuini messi via da me erano in numero diverso da quelli che, secondo quanto riportato dai giornali, erano tornati alla famiglia. Da lì tutto ha avuto inizio e, soprattutto, a partire da quel momento abbiamo cercato di capire come era stata aperta la borsa.
PRESIDENTE. Avete dunque capito dove, quando e da chi? Chi vi ha detto che erano stati rotti i sigilli? Non ricorda?
GABRIELLA SIMONI. La famiglia mi disse che le borse erano arrivate a casa aperte.
PRESIDENTE. Ma da chi erano state aperte, e per quale ragione, non sa dirlo?
GABRIELLA SIMONI. Noi siamo riusciti a ricostruire - attraverso i militari che quel giorno erano sul volo, nonché attraverso una serie di testimonianze rese - che i sigilli erano stati aperti a Roma, all'aeroporto di Ciampino.
PRESIDENTE. E la ragione per la quale sarebbero stati aperti non l'ha mai saputa?
GABRIELLA SIMONI. Non le conosco. So che in quel momento, nella stanza in cui arrivarono i bagagli c'erano l'allora presidente della RAI, Locatelli, un paio di colleghi del Tg3.
PRESIDENTE. Questo lo sappiamo. I signori Alpi le hanno mai mostrato qualche taccuino?
GABRIELLA SIMONI. Intende dire successivamente?
GABRIELLA SIMONI. No, non li ho più rivisti.
PRESIDENTE. Non so il «dopo» che lei ha usato a che cosa si riferisca, ad ogni modo, in nessuna occasione i signori Alpi le hanno mostrato taccuini di qualche genere?
GABRIELLA SIMONI. No, a meno che non sia stato in occasione della prima volta che sono andata a casa dei signori Alpi. Non mi sembra, però, che ciò sia avvenuto.
PRESIDENTE. Lei, però, in una dichiarazione resa al pubblico ministero che, all'epoca, procedeva alle indagini - parlo del 3 maggio 1996, ed il pubblico ministero era il dottor Pititto -, identificò un taccuino pervenuto ai signori Alpi come un taccuino che le era stato consegnato da Marocchino. Si ricorda questa circostanza? Per tale motivo, prima le ho chiesto se Marocchino le avesse consegnato mai un taccuino.
GABRIELLA SIMONI. Quando lei mi parla di fatti sui quali ho testimoniato circa dieci anni fa, mi torna alla mente tutta una serie di cose. Il problema è che su questa vicenda è calata in me una sorta di cortina; non ho più ripercorso quei giorni. Adesso, ripensando a quei fatti, posso ritenere probabile che i taccuini da me trovati nella stanza fossero quattro e che l'altro me lo avesse dato Marocchino: io so che alla fine ne ho messi via cinque. Se ho così dichiarato a Pititto, ne prendo atto: all'epoca, ricordavo sicuramente meglio di oggi.
PRESIDENTE. Quindi, potrebbe essere che fossero non cinque i taccuini da lei rinvenuti al Sahafi ma quattro, e che siano divenuti cinque in conseguenza della consegna dell'ultimo taccuino da parte di Marocchino. Esatto?
GABRIELLA SIMONI. Sì, ma anche questo devo averlo scritto... Capisco che per voi possa sembrare strano, ma non tutti nella vita trascorrono interamente il loro tempo a ripensare ad un fatto simile, anche perché è una vicenda costata moltissimo, come ho spiegato più volte; inoltre, è diventata tutt'altro, non aveva più importanza ciò che davvero avevo visto, sentito o vissuto in quei giorni. Era tutt'altro, ormai. Quindi, ci avevo messo una pietra sopra. Adesso, recupererò le cose che scrivemmo in quei giorni, e che sicuramente erano più fresche di oggi, a dieci anni da quegli eventi.
PRESIDENTE. Lei sa che alcuni di questi taccuini sono andati persi?
GABRIELLA SIMONI. So che sicuramente ne sono arrivati meno.
PRESIDENTE. Non ha mai saputo dove siano finiti? Ha cercato di capirlo?
GABRIELLA SIMONI. Sì, ho cercato di capirlo, ma era una delle cose su cui sembrava ci fosse un «segreto di Stato», seppure non in senso letterale. Cioè, come ho rilevato in più di una occasione, in questa vicenda, alla fine, esistevano tanti motivi perché ognuno dicesse una piccola bugia, per cui tutto diveniva difficile da decifrare.
PRESIDENTE. Ma su questo problema, cioè sulla mancanza dei due taccuini, con chi si è confrontata? Glielo domando perché lei afferma di avere incontrato degli ostacoli, o comunque del silenzio, delle barriere, delle saracinesche chiuse, che impedivano di addivenire al punto decisivo. Con chi si è confrontata?
GABRIELLA SIMONI. Al riguardo, l'unica cosa che ho fatto è stata quella di avvertire la famiglia. In quel momento, ritenevo, infatti, che i familiari fossero gli unici che dovessero capire qualcosa in più, sempre che io potessi essere utile. Come lei sa, questa vicenda è diventata oggetto di indagine giornalistica e non. Molti di coloro che si sono occupati dell'inchiesta su Ilaria Alpi partivano da un presupposto che era utile a suffragare la tesi che sostenevano. Costoro non avevano mai l'intenzione di prendere in considerazione tutte le ipotesi...
PRESIDENTE. Capisco, ma cosa si frapponeva alla possibilità di svolgere accertamenti sui taccuini mancanti? Lei stessa dice di aver ravvisato una difformità nel loro numero, tra quelli da lei messi via e quelli restituiti alla famiglia.
GABRIELLA SIMONI. Denunciai questo fatto ai genitori di Ilaria e partì il caso «Ilaria Alpi». Tutte le volte in cui parlavamo con i militari, che avevano fatto il viaggio da Mombasa, ci veniva però risposto che sarebbe stato meglio non parlarne; quando, poi, domandavamo ai giornalisti che si erano occupati del caso se, a prendere quei taccuini, potessero essere stati i giornalisti della RAI, ci veniva risposto che, se fosse stato così, i giornalisti RAI ce lo avrebbero detto...
In altri termini, era sempre tutto molto complicato. Poiché per me, invece, in questa vicenda non doveva esserci una fine piuttosto che un'altra, ma l'obiettivo era quello di capire se esistesse un motivo alla base della morte assurda di Miran e di Ilaria, tale circostanza, come lei può immaginare, alla fine procurò delle tensioni fortissime, alcune delle quali risultano agli atti. Ci sono state, infatti, anche delle liti tra me e alcuni colleghi, in occasione di testimonianze rese presso precedenti Commissioni parlamentari.
PRESIDENTE. Lei ha ricordo di un militare che fu al seguito delle salme di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in tutto il viaggio, da Mogadiscio a Ciampino? Se lo ricorda? Si ricorda come si chiamava?
GABRIELLA SIMONI. No, aveva un nome...
GABRIELLA SIMONI. Sì, esattamente. Me lo ricordo fisicamente.
PRESIDENTE. Lei, in altra circostanza, ha riferito di aver raccomandato a qualcuno di consegnare la Mandarina duck ai genitori di Alpi: era questa persona?
PRESIDENTE. Quindi, a Luigi Comito fece questa raccomandazione.
GABRIELLA SIMONI. Se non sbaglio, gli ho fatto anche una telefonata, dopo aver scoperto che...
PRESIDENTE. E cosa gli ha detto?
GABRIELLA SIMONI. Gli ho chiesto perché avesse lasciato la borsa che gli avevo pregato di non «mollare» a nessuno.
PRESIDENTE. E lui cosa ha risposto?
GABRIELLA SIMONI. Mi ha risposto dicendomi che, quando a Luxor salirono i rappresentanti della Farnesina, non poté rifiutarsi di dar loro la borsa.
GABRIELLA SIMONI. Mi sono molto arrabbiata con lui, per questo...
PRESIDENTE. Lei conosceva Casamenti?
GABRIELLA SIMONI. Valentino? Certo.
PRESIDENTE. Dove lo ha conosciuto?
PRESIDENTE. Che cosa faceva Casamenti?
GABRIELLA SIMONI. Lavorava alla cooperazione di Mogadiscio, più esattamente alla sede della cooperazione - non dico abbandonata ma quasi, visto che erano solo in due -, dove stavano lui ed un chirurgo, che si chiamava Franco Roberti. Ospitavano i giornalisti italiani prima dell'arrivo delle truppe americane, tra la fine del novembre e l'inizio del dicembre 1992.
PRESIDENTE. Lei ha già riferito di un racconto fatto da Casamenti a proposito dell'incontro con Ilaria, dei giorni che Ilaria trascorse a Bosaso prima di ripartire alla volta di Mogadiscio - dove è successo quanto sappiamo - e anche di una intervista rilasciata ad Ilaria Alpi dal sultano di Bosaso.
Può ricordare con maggior precisione possibile cosa disse Casamenti a proposito dell'intervista rilasciata ad Ilaria dal sultano di Bosaso?
GABRIELLA SIMONI. Se non sbaglio, fu lui ad averle procurato il contatto con il sultano.
PRESIDENTE. Le disse anche se l'aveva accompagnata lui dal sultano?
GABRIELLA SIMONI. Questo non lo ricordo, però Valentino è rintracciabile, può riferirglielo lui direttamente.
PRESIDENTE. Le chiedo - poiché ottenere un incontro col sultano di Bosaso non ha era facile e poteva non essere cosa tutti i giorni - se, dal colloquio (o dai colloqui) che lei aveva avuto con Casamenti, avesse avuto l'impressione, o la convinzione o la consapevolezza che qualcuno si fosse fatto carico di mettere in contatto Ilaria Alpi con il sultano di Bosaso e magari di accompagnarla da questi per effettuare questa intervista? Ha qualche ricordo in proposito?
GABRIELLA SIMONI. No, non ricordo. Mi pare - con ragionevole incertezza - che fosse stato lui a procurare quell'appuntamento.
PRESIDENTE. Questo risulta anche noi....
GABRIELLA SIMONI. Potrebbe anche averla accompagnata lui.
La cosa che lui mi disse è che Ilaria sarebbe dovuta rientrare prima, però il volo era saltato, e che lei, tuttavia, era abbastanza serena perché c'era un giorno di sciopero in RAI e quindi non avrebbe perso nessun servizio, non avrebbe «bucato nessun satellite», come diciamo noi in gergo, non avrebbe avuto nessun ritardo. Ilaria andò a fare questa intervista ed il sultano rese tutta una serie di dichiarazioni, lasciando intendere di conoscere delle cose...
PRESIDENTE. Ma Casamenti le riferì se Ilaria Alpi fosse soddisfatta o meno di questa intervista, di come fosse andata, se - giornalisticamente - avesse una sua importanza? Ricorda se Casamenti le riferì qualcosa a riguardo?
GABRIELLA SIMONI. Con Casamenti abbiamo parlato solo di questa intervista e
di come era Ilaria quando si trovava a Bosaso. Lui ci aveva detto due cose, sostanzialmente: in primo luogo che Ilaria era soddisfatta dell'intervista, perché era un bel servizio giornalistico; il problema però è che si trattava di un'intervista un po' «alla somala»...
PRESIDENTE. Diceva e non diceva...
GABRIELLA SIMONI. Dava la sensazione di conoscere grandi segreti e chissà quali grandi verità...
PRESIDENTE. Lei sa se Casamenti fosse presente a questa intervista?
GABRIELLA SIMONI. Potrebbe essere, non lo escludo, ma non ne sono certa. Se vuole, provvederò a verificare anche questo.
PRESIDENTE. Se lei fosse in grado di farlo, sarebbe utile.
GABRIELLA SIMONI. Lo sono. Si tratta di persone con le quali sono rimasta in contatto, a parte Porzio, per evidenti motivi.
PRESIDENTE. Avete cercato di capire chi fosse presente a questa intervista?
GABRIELLA SIMONI. Più che altro, all'inizio, dopo aver scoperto che non c'erano i tre taccuini, ci siamo concentrati sul viaggio del C 130 fino a Roma. E su Roma, per quanto mi riguarda, rimane ancora questo punto interrogativo, perché non si capisce bene chi, come e perché abbia preso i taccuini, né il motivo per cui, quando li ha presi, il rappresentante di non so cosa non lo abbia detto. Questa era una delle cose che ci sfuggiva. Poi, abbiamo lavorato sui movimenti della Shifco, chiedendo i libri della Lloyds. Voi saprete che la Lloyds, società con sede a Londra, certifica i movimenti di tutte le navi...
GABRIELLA SIMONI. Abbiamo, dunque, cercato di verificare se quanto era riportato nel libro di bordo della Shifco - dopo un paio d'anni, Giovanni Porzio personalmente andò a Gibuti per prendere quel libro e verificare quali fossero i movimenti della nave - corrispondesse a quello che sembrava emergere. E la terza cosa su cui abbiamo cercato di lavorare è capire se a Bosaso c'erano situazioni che avrebbero potuto provocare ciò che è successo.
PRESIDENTE. Cosa avete accertato?
GABRIELLA SIMONI. Nulla, altrimenti l'avremmo detto. Quello che siamo riusciti a capire è che sembrava ci fosse una serie di concause che, sommandosi, avrebbero potuto portare a questo evento: la rabbia nei confronti degli italiani, la necessità di colpire qualcuno, il fatto che Ilaria Alpi avesse avuto una discussione con Ali Mahdi nel viaggio precedente, di cui mi aveva a parlato Luigi Catti, che di solito lavorava con Ilaria Alpi e quella volta non c'era, sostituito da Hrovatin. Il riferimento a Bosaso, alla Shifco, su cui in tanti avevano comunque iscritto, e altri eventi, uniti insieme, avrebbero potuto portare a tale epilogo.
PRESIDENTE. Ora le leggo una dichiarazione che ha fatto Petrucci alla Commissione sulla cooperazione, in data 26 luglio del 1995, che dice: «A questo proposito voglio riferire un particolare che mi ha raccontato un collega di Panorama, Giovanni Porzio, nello scorso mese di febbraio. L'intervista della Alpi e di Hrovatin al sultano ebbe dall'inizio alla fine un testimone italiano, un cooperante di una ONG presente a Bosaso, che dovrebbe essere Africa 70. Non c'erano molti italiani a Bosaso e non dovrebbe essere difficile risalire alla persona in questione. Ho idea di chi potrebbe essere, ma non avendo Porzio fatto il nome né dell'ONG né del cooperante che lui ha incontrato a Milano, la ricerca dovrebbe essere facile. Sì può quindi chiedere a questo signore, cioè a Giovanni Porzio, che cosa ha effettivamente detto il sultano.».
Porzio non le ha mai fatto il nome di questo cooperante?
GABRIELLA SIMONI. L'unico cooperante presente era Valentino e potrebbe esser stato lui. È facile da accertare perché posso chiederlo. Probabilmente, Giovanni, parlando con il signor Petrucci, ha accennato all'episodio senza fare il nome, ma non perché fosse un segreto. Da un certo momento in poi, nessuno ha più voluto essere coinvolto in questa vicenda.
PRESIDENTE. Un'ultima domanda. Lei sa che la Alpi e Miran arrivarono a Mogadiscio e da Mogadiscio andarono all'hotel Sahafi, per poi andare all'hotel Hamana e che poi successe quello che successe. Lei sa chi andò a prendere Ilaria e Miran all'aeroporto per portarli all'hotel Sahafi?
PRESIDENTE. Dove alloggiava lei?
GABRIELLA SIMONI. Ho dormito una notte sola a Mogadiscio, da Marocchino.
PRESIDENTE. Non ha mai riflettuto su questa circostanza?
GABRIELLA SIMONI. A Mogadiscio di quei giorni, con i telefoni che non funzionavano, era difficile avvertire l'autista dell'arrivo di un aereo. Il tragitto dall'aeroporto all'hotel era veramente breve, per cui potrebbero aver utilizzato qualunque macchina.
PRESIDENTE. Come siete arrivati da Marocchino?
GABRIELLA SIMONI. In questo modo: ci è venuto a prendere lui direttamente, oppure abbiamo preso una macchina e ci siamo fatti portare da qualche parte.
PRESIDENTE. Siete arrivati con un volo di linea?
GABRIELLA SIMONI. No, non c'erano. Siamo arrivati con un C 130 italiano.
PRESIDENTE. Qual era la procedura di sbarco? Come uscivate dall'aeroporto?
GABRIELLA SIMONI. Si scendeva dall'aereo, poi c'erano dei militari italiani. Quando non c'erano i militari italiani si trovava spesso qualche autista.
PRESIDENTE. Quel giorno cosa è successo?
GABRIELLA SIMONI. I militari non ci hanno accompagnati.
PRESIDENTE. Come vi siete mossi?Avete preso un taxi.
GABRIELLA SIMONI. Non c'erano taxi. O abbiamo trovato qualcuno o abbiamo avvertito qualcuno, ma non ricordo. Comunque posso cercare di recuperare questi dati.
PRESIDENTE. Anche questo fatto ha importante. Tornando ai taccuini, che sono quelli poi che mancano e che sono scomparsi, che lei ha riferito pieni di time code, a chi potevano interessare? Che tipo di utilizzo consentivano quei dati e chi poteva essere interessato ad averli?
GABRIELLA SIMONI. I taccuini sono stati presi o sono spariti.
PRESIDENTE. Sono spariti. Abbiamo già fatto una informativa per furto.
GABRIELLA SIMONI. A Ciampino non c'era tempo di vedere cosa contenevano i taccuini. Presumo che qualcuno abbia pensato di prendere i taccuini dove c'erano gli appunti di Ilaria, appunti di una persona che era stata uccisa insieme ad un collega Mogadiscio, forse qualcuno che fa il nostro stesso mestiere.
PRESIDENTE. La prima risposta che mi deve dare è questa: un time code a cosa serve?
GABRIELLA SIMONI. Serve a capire quali sono le immagini filmate. Ma se un taccuino è chiuso non si può sapere se ci sono dei time code o se c'è scritto altro.
PRESIDENTE. Ma metta conto che si trovino questi taccuini che contengono time code (io personalmente, li butterei, ma qualcun altro potrebbe essere interessato). A cosa servono?
GABRIELLA SIMONI. Il time code serve a poco se si hanno le cassette, è come se fosse un indice.
PRESIDENTE. È soltanto un modo di ricerca più veloce.
GABRIELLA SIMONI. Sì. Secondo me i taccuini sono stati rubati più per quello c'era scritto che per i time code. Chi li ha presi non ha avuto tempo per sfogliarli, c'erano comunque molti altri dati interessanti.
PRESIDENTE. Prego, onorevole Motta.
CARMEN MOTTA. Le farei due domande veloci, se mi sente, dottoressa Simoni.
CARMEN MOTTA. Lei prima ha parlato di una visita sua e di Porzio all'hotel Hamana, ma non nella mattina del 20 marzo. Lei e Porzio avete riferito in corte d'assise, nel marzo del 1999, di essere andati là per telefonare la mattina del 20, pensando di poter usare il satellitare di Remigio Benni, dopo aver visitato un ospedale e prima dell'omicidio. Lei e Porzio avete riferito così alla nostra Commissione nel maggio 2004. Il suo ricordo non è preciso?
GABRIELLA SIMONI. Non è un ricordo preciso. I particolari spesso affiorano dopo. Io ricordavo l'ospedale. È vero, siamo passati all'hotel Hamana e Marocchino ci ha detto di non muoverci finché non arrivava la scorta.
PRESIDENTE. Lei allora conferma o no il fatto che avete preso la macchina guidata da un'autista di Marocchino e avete preso un uomo di scorta?
GABRIELLA SIMONI. Confermo che sono salita sulla macchina di Marocchino. Quella mattina, quando abbiamo deciso di vedere l'ospedale, siamo prima passati all'hotel Hamana per telefonare e Marocchino ci disse di non muoverci senza scorta perché era ancora più pericoloso di sempre. Con questa macchina, da soli, prima di andare in ospedale siamo passati là per telefonare.
CARMEN MOTTA. Lei ha incontrato Marocchino quella mattina?
GABRIELLA SIMONI. Dormivo da lui.
CARMEN MOTTA. Glielo chiedo per ricostruire il senso logico. La mattina del 20 marzo lei si è recata all'hotel Hamana per telefonare con il satellitare. A che ora?
CARMEN MOTTA. Come andò all'ospedale? Con una macchina con la scorta?
GABRIELLA SIMONI. Io e Porzio siamo partiti da casa di Marocchino con una Panda per andare all'ospedale e come siamo rientrati ci è stato detto di non muoverci senza scorta. Erano le 10 di mattina.
CARMEN MOTTA. Siete andati all'hotel Hamana, poi in ospedale, da soli, siete rientrati, siete andati a casa di Marocchino e vi è stato detto di non muovervi più. Chi le ha detto di non muovervi più?
GABRIELLA SIMONI. Questa cosa ci è stata detta dall'autista, dalla moglie di Marocchino e mi pare che lui sia andato via subito. Siamo usciti da soli, siamo rientrati, Marocchino è andato al porto, poi siamo rimasti là e siamo passati a prendere l'uomo di scorta.
CARMEN MOTTA. Lei ha pranzato a casa di Marocchino?
GABRIELLA SIMONI. Forse abbiamo mangiato qualcosa.
CARMEN MOTTA. Vi siete fermati per mangiare dopodiché lei ha ricevuto la telefonata da Marocchino che le ha riferito l'episodio. È tornata poi con la macchina di scorta all'hotel Hamana per telefonare al TG3 e a Studio aperto.
GABRIELLA SIMONI. Sono tornata all'hotel Hamana perché c'era Ilaria. Siamo andati al porto, abbiamo preso i corpi di Ilaria e Miran, li abbiamo messi sulla macchina di Marocchino. Siamo andati al porto, è arrivato l'elicottero della Garibaldi, con un medico, che ci ha detto che erano morti tutti e due.
CARMEN MOTTA. A questo punto, lei è tornata all'hotel Hamana per avvisare dell'omicidio.
PRESIDENTE. Mi pare che ci sia una confusione enorme. Lei la mattina va all'hotel Hamana.
GABRIELLA SIMONI. Non mi ricordo se sono prima andata all'ospedale.
PRESIDENTE. Non fa niente. Come colloca nel tempo l'ospedale e l'hotel Hamana?
GABRIELLA SIMONI. Verso le 8 e le 9.
PRESIDENTE. L'hotel e l'ospedale erano vicini?
GABRIELLA SIMONI. Un paio di chilometri.
PRESIDENTE. Come siete andati?
GABRIELLA SIMONI. Con la macchina, da soli.
PRESIDENTE. Poi siete tornati. Qui c'è l'avvertimento.
GABRIELLA SIMONI. O la moglie o Marocchino via radio.
PRESIDENTE. Poi siete tornati all'hotel Hamana. Avevate la macchina con la scorta e siete ripassati all'hotel. Che ora era?
GABRIELLA SIMONI. Erano le 14, quando Ilaria è stata uccisa.
PRESIDENTE. Ilaria è stata uccisa alle ore 15.
Quel giorno, quante volte è stata all'hotel Hamana, due o tre volte?
GABRIELLA SIMONI. Due. No, scusi, tre. In realtà, vado la mattina all'hotel Hamana, senza scorta, torno là quando muore Ilaria, vado al porto vecchio e ritorno di nuovo là per telefonare.
PRESIDENTE. Fino a quando non avete saputo della loro morte, siete rimasti lì?
PRESIDENTE. Allora vi viene detto di non muovervi più senza scorta. Dopo aver saputo dell'uccisione, prendete la scorta e andate.
GABRIELLA SIMONI. Ce lo ha chiesto Marocchino. Ci ha chiesto di passare a prendere l'uomo di scorta per raggiungerlo.
GABRIELLA SIMONI. È complicato. Non è facile ricordare. Si tratta di un tragitto breve tra il porto vecchio e l'hotel Hamana. È ovvio che nel momento in cui si vive la situazione, può sembrare una follia...
PRESIDENTE. Perché avete fatto la follia la mattina presto?
GABRIELLA SIMONI. Sapesse quante follie faccio nel mio lavoro...
CARMEN MOTTA. Capisco che lei faccia fatica dopo tanto tempo a ricordare gli orari. Sempre nel processo in corte d'assise, il dottor Porzio dice di essersi recato all'hotel Hamana verso mezzogiorno. Lei si ricorda nella prima parte della mattinata di essere andata là, mentre l'orario sembra un po' spostato. Forse vi siete mossi da soli senza scorta. Lei stamattina ha fatto una precisazione in tal senso. La conferma?
GABRIELLA SIMONI. Sono sicura che è andata così.
GABRIELLA SIMONI. Capisco che è complicato, ma se mi rileggessi le dichiarazioni che ho fatto....
CARMEN MOTTA. Le chiedo di chiarire meglio il fatto che Benni sarebbe stato a Mogadiscio il 20 pomeriggio.
GABRIELLA SIMONI. Questa è un'informazione che mi ha riferito Carmen Lasorella quando l'ho incontrata.
CARMEN MOTTA. Lei lo ha visto?
CARMEN MOTTA. In realtà Remigio Benni non era a Mogadiscio.
GABRIELLA SIMONI. Infatti, non l'ho visto. Mi hanno detto che sarebbe tornato a Mogadiscio il 20.
CARMEN MOTTA. Il fatto è che prima ha usato una formulazione che mi ha fuorviato.
GABRIELLA SIMONI. Le uniche persone che ho visto a Mogadiscio sono le uniche che ho citato. Non ho mai visto né Remigio né Vladimiro. Sapevo che erano in zona e che dovevano rientrare, ma poi il 20 marzo sono partita.
PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande la ringrazio. Non l'abbiamo fatta scomodare per venire a Roma e siamo quindi stati bravi anche noi. Grazie.
GABRIELLA SIMONI. Vi ringrazio. A chi dovrò comunicare le eventuali informazioni che potrò recuperare?
PRESIDENTE. Alla segreteria della Commissione, grazie. Dichiaro concluso l'esame testimoniale.
La seduta termina alle 12.
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