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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame testimoniale del generale Carmine Fiore. Il circuito di collegamento con la sala stampa è aperto, ma faccio presente fin da questo momento che, laddove il generale ritenesse di rilasciare dichiarazioni che, in qualche modo, consiglino la segretezza della sua deposizione, basterà solamente che lo faccia presente alla Commissione, la quale deciderà se procedere in seduta segreta.
Innanzitutto, generale Fiore, le vogliamo porgere le nostre scuse per i disguidi che hanno interessato la sua deposizione, ma, come avrà notato, si è trattato di una settimana molto particolare per i nostri lavori parlamentari. Quindi, siccome secondo i nostri regolamenti lo svolgimento di riunioni delle Commissioni non è compatibile con l'operatività dell'Assemblea, questo ci ha, purtroppo, costretto ai disguidi dei quali lei, in qualche modo, è stato vittima; ciò, comunque, si è verificato assolutamente al di fuori di qualsiasi nostra intenzione o volontà, quindi siamo qui oggi per ascoltarla e per rinnovarle il nostro stesso disappunto nei confronti dei disagi che abbiamo procurato.
Generale, la avverto che lei è ascoltato con le forme della testimonianza, a differenza di quanto accade presso altre Commissioni parlamentari d'inchiesta, poiché il nostro atto istitutivo ci consente soltanto l'acquisizione di deposizioni testimoniali. Il che significa - lo ricordo soltanto per doveri d'ufficio - che ella ha l'obbligo di dire la verità e di rispondere alle domande che le vengono rivolte.
Le chiedo, intanto, di indicare le sue generalità, dove abita e che lavoro svolge.
CARMINE FIORE. Mi chiamo Carmine Fiore, nato ad Ercolano, in provincia di Napoli, il 1o giugno 1941. Risiedo a Roma in via Cerva n. 90 e sono ufficiale in ausiliaria dell'Esercito.
PRESIDENTE. Generale, noi ci interessiamo, come lei sa, della vicenda legata all'uccisione di due giornalisti italiani - Ilaria Alpi e Miran Hrovatin - verificatasi, come certamente ricorda, il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio, nel giorno in cui il contingente italiano, da lei comandato, aveva smobilitato o stava smobilitando.
Qual era, con precisione, la sua funzione, il suo ruolo all'epoca dei fatti che qui ci interessano?
CARMINE FIORE. Ero il comandante del contingente, di cui ho assunto il comando lunedì 6 settembre 1993, sostituendo con la mia brigata Legnano la brigata Folgore che era stata in Somalia fin dal dicembre del 1992.
PRESIDENTE. Cosa significa essere a capo di un contingente dal punto di vista
delle funzioni che competono al comando da lei rivestito ed anche delle articolazioni interne? Le dico subito che noi abbiamo raccolto molte dichiarazioni di esponenti dell'esercito che ci hanno fatto un po' il quadro della situazione, però credo che lei sia la persona giusta per darci tutte le indicazioni che ci occorrono. Noi abbiamo davanti alla nostra attenzione la vicenda che si è verificata - della quale le ho fatto menzione in precedenza - e cioè l'uccisione di questi due giornalisti nel territorio di Mogadiscio. Tutto ciò, nell'ambito di un particolare contesto che vedeva la presenza del contingente italiano - sia pure in fase di smobilitazione -, di Unosom e di non so chi relativamente alle presenze indigene concernenti la tutela della sicurezza, dell'ordine pubblico e così via.
Noi ci siamo sempre domandati chi, secondo le competenze, doveva o poteva intervenire in una occasione come quella che ci interessa. Quali erano le competenze del reparto da lei comandato, di Unosom e quali, se vi fossero, le competenze di organismi locali che, in qualche modo, presidiavano il territorio?
CARMINE FIORE. Intanto, rispondo per la parte militare. L'organizzazione militare, come è noto, è una struttura spiccatamente gerarchica e il comandante è la persona che sintetizza i poteri e le responsabilità. Quindi, ero comandante di tutti gli uomini italiani con le stellette presenti sul territorio somalo, nei confronti dei quali avevo il potere di esprimere le mie volontà - ovviamente, nei limiti della legge -, nonché le responsabilità connesse a questo esercizio del comando.
Nella fattispecie, in Somalia non era stato applicato il codice militare di guerra, vigeva il codice militare di pace, quindi la mia autorità era riferita soltanto ai militari. In Somalia, a rappresentare l'autorità italiana nella sua completezza - cioè a 360 gradi -, vi era l'ambasciatore Scialoja; ovviamente, nel quadro dei buoni rapporti tra poteri istituzionali, l'ambasciatore Scialoja mi ha rappresentato alcune esigenze a cui, da buon italiano, ho aderito. In ogni caso, i campi e le competenze erano prettamente divisi: io avevo competenze, responsabilità e poteri soltanto sui militari, mentre l'ambasciatore Scialoja aveva una responsabilità a 360 gradi.
In Somalia, per sostituire la classe dirigente che, oramai, era completamente dissolta, è arrivata l'ONU. Per riepilogare, nel 1992 si è trattato di una missione multinazionale guidata, per loro iniziativa, dagli americani. Gli americani si sono fatti propugnatori di questa missione coinvolgendo altri paesi tra cui l'Italia, per cui in tutto la missione è durata dal dicembre al 4 maggio - se non sbaglio - del 1993. Il 4 maggio del 1993 - su questa data, però, non sono preciso - alla coalizione multinazionale è subentrata un'operazione internazionale a guida ONU. L'ONU era presente in Somalia, sostanzialmente, con due articolazioni: una militare, che faceva capo al generale turco Bir (parlo del periodo in cui ero presente, poiché successivamente è subentrato un malese) ed una complessiva facente capo all'ammiraglio americano in pensione Howe. Questa organizzazione si chiamava Unosom e, al proprio interno, aveva dei dipartimenti che, in un certo senso, sostituivano i ministeri che non c'erano più. Fra i vari dipartimenti ricordo, ad esempio, quelli che si occupavano della giustizia, della polizia e così via.
PRESIDENTE. All'interno di Unosom?
CARMINE FIORE. Sì. Si trattava di quella che noi chiamavamo la componente civile di Unosom, mentre la componente militare faceva capo al generale Bir dal quale noi, ovviamente, dipendevamo nei limiti del mandato e delle regole d'ingaggio definite in sede internazionale.
PRESIDENTE. Facciamo un ragionamento fondato sulla concretezza. Rispetto alla uccisione di due cittadini italiani in territorio di Mogadiscio, secondo le leggi, i regolamenti e le regole d'ingaggio da lei poc'anzi ricordate, il contingente italiano da lei comandato quali doveri aveva e quali poteri era in grado di esercitare?
CARMINE FIORE. Come componente di Unosom il contingente del nostro paese, al di là della situazione in cui si trovava, non aveva nessun dovere, tranne quello di preoccuparsi - come farebbe un qualsiasi buon italiano - di una vicenda che aveva interessato dei compatrioti.
PRESIDENTE. Vi sono due punti di vista che interessano, in particolar modo, questa sede. Mi riferisco agli interventi aventi come fine i soccorsi e a quelli aventi l'obiettivo di circoscrivere l'accaduto e cercare di individuare i responsabili verso i quali, se individuati, indirizzare le conseguenti azioni. Quali di questi interventi rientrava non nei doveri, ma - da quello che mi è parso di capire - nelle regole di buona amministrazione?
CARMINE FIORE. Una risposta a questa domanda non può prescindere dalla situazione contingente in cui eravamo; è chiaro, infatti, che il nostro agire era condizionato da una serie di fattori. Detto ciò, vorrei rubarvi solo un minuto per dire che, fin dalla fine del 1993 (a seguito della visita natalizia dell'ex ministro Fabbri in Somalia), il paese si era assunto l'impegno di lasciare quei territori come, d'altronde, stavano facendo anche altri paesi di maggior spessore. Infatti, siamo andati via in compagnia degli americani, dei tedeschi, dei coreani e di militari di altri paesi di una certa importanza, mentre i francesi, ad esempio, erano già tornati a casa. Ovviamente, smantellare un contingente che presidia un settore largo circa 200 chilometri e lungo 350 chilometri non è facile e non si può fare in poco tempo. Noi eravamo stanziati sulla costa, nei pressi di Mogadiscio, fino al confine con l'Etiopia da dove abbiamo cominciato a ripiegare.
Il 20 marzo 1994 eravamo tutti sulle navi meno un piccolo gruppo rimasto a terra per caricare l'ultima imbarcazione. Proprio per la coincidenza del ripiegamento delle nostre truppe e di quelle americane, coreane e tedesche abbiamo avuto dei problemi al porto. La partenza era prevista per la sera di domenica 20 marzo, ma a causa di un piccolo contrattempo siamo andati via la sera del 21 marzo. Quindi, il giorno 20 marzo, data in cui si verificò l'evento, a terra vi erano un nucleo di persone impegnate a caricare l'ultima nave e due distaccamenti operativi degli incursori che la stavano proteggendo. Infatti, le operazioni di carico si stavano svolgendo nello stesso luogo in cui il 15 settembre dell'anno precedente furono uccisi i soldati Visioli e Righetti. Quindi, per proteggere il personale addetto al carico della nave avevo disposto l'impiego dei due distaccamenti operativi di cui sopra: uno sul ponte più alto della nave e l'altro sulla collina dalla quale vennero ammazzati i nostri due soldati. Insieme a questi, soltanto per una mera coincidenza - fortunata nella fattispecie - era presente il nucleo dei carabinieri di scorta all'ambasciatore.
PRESIDENTE. Quindi, questi carabinieri non erano di pertinenza del contingente?
CARMINE FIORE. Erano sempre di pertinenza del contingente, però il loro compito...
PRESIDENTE. Avrebbero smobilitato con voi questi carabinieri?
CARMINE FIORE. No, sarebbero rimasti in Somalia a proteggere l'ambasciatore. Al proposito, devo precisare un altro evento; fino a quando non siamo andati via da Mogadiscio abbandonando così la Somalia, abbiamo sempre destinato un gruppo - composto, mi pare, da dodici carabinieri - a protezione dell'ambasciatore. Quest'ultimo, assieme alla cellula del Sismi, era stato sistemato affianco alla nostra ambasciata; infatti, attaccate al muro di cinta, vi erano due o tre villette che servivano a questo scopo. Quando siamo andati via, siccome l'ambasciatore è rimasto in Somalia, si è posto un problema di sicurezza. Alla fine si è deciso di dislocarlo all'interno del compound, del complesso immobiliare all'interno del quale vi era il comando Unosom, soluzione ottima dal punto di vista della sicurezza
ed economica in termini di impiego del personale. Ci siamo fatti consegnare un'area dove abbiamo sistemato i moduli abitativi in modo da consentire un'adeguata sistemazione dell'ambasciatore, del consigliere d'ambasciata, del personale del Sismi e della cooperazione che ivi sarebbero dovuti andare ad operare.
Abbiamo, quindi, organizzato questo piccolo villaggio all'interno del quale vi era questo nucleo dei carabinieri che avrebbe fatto la guardia all'ambasciatore. Siccome questo personale doveva rimanere in Somalia per altri cinque o sei mesi l'abbiamo mandato in licenza; successivamente, in previsione della nostra partenza, il personale è tornato così da permettere all'allora maggiore Tunzi di recuperare uomini utili alla protezione dell'ambasciatore.
Come dicevo in precedenza, il nucleo dei carabinieri si trovava lì per puro caso e se ciò non fosse avvenuto noi non avremmo avuto nessun uomo da mandare nella zona dell'eccidio, a meno che non si fosse deciso di mandare via i due distaccamenti operativi.
PRESIDENTE. Mi pare di capire che, in quel momento, per quanto riguarda il contingente strettamente considerato, non vi era nessuna previsione normativa, regolamentare, di legge o altro che imponesse di intervenire.
PRESIDENTE. Quali funzioni avevano i carabinieri dislocati per la sicurezza dell'ambasciatore? Avevano anche funzioni di polizia giudiziaria?
CARMINE FIORE. No, avevano soltanto il compito di proteggere l'ambasciatore.
PRESIDENTE. Quindi, nessuno di voi doveva intervenire. Chi sarebbe dovuto intervenire?
CARMINE FIORE. La zona in cui è successo l'evento fa parte di un settore forse di competenza dell'Unosom, ma non ricordo bene.
PRESIDENTE. Infatti, noi abbiamo esaminato bene tutta la normativa che riguardava i compiti, i ruoli di Unosom. Tra l'altro - lo dico per semplificare poiché adesso, comunque, non c'è bisogno di entrare nei particolari - era contemplato anche il compito di intervenire per eventuali aggressioni nei confronti di italiani, di individuare gli eventuali responsabili ed, eventualmente, anche di arrestarli.
Noi abbiamo ascoltato tutti coloro che facevano parte di Unosom - il colonnello Vezzalini e l'allora capitano Salvati - e, per dirla in maniera molto sintetica, abbiamo tratto una conclusione abbastanza insoddisfacente, nel senso che, praticamente, nessuno di loro è intervenuto. Anzi, l'allora capitano Salvati si trovava all'interno dell'ex ambasciata italiana e avendo sentito due mitragliate - l'una di seguito all'altra - mandò un somalo o un pakistano (o, comunque, un uomo di colore) affinché potesse vedere ciò che era accaduto; quindi, non vi è stato intervento di niente e di nessuno.
Lei come valuta questa circostanza?
CARMINE FIORE. Noi siamo andati via il giorno dopo, quindi, sinceramente, non so cosa abbiano potuto fare successivamente.
PRESIDENTE. Lei sa meglio di me che, se non si interviene subito in determinate situazioni come quelle di cui ci stiamo interessando, è un po' difficile poi poter recuperare, persino il giorno dopo. Era evidente che l'intervento sarebbe dovuto avvenire immediatamente e, naturalmente, sviluppando attività investigative e via dicendo si sarebbe potuto fare qualcosa.
Da parte di Unosom e dei responsabili che noi abbiamo ascoltato ci è stata data sicurezza sulla circostanza che non si è fatto assolutamente nulla, per cui quest'ultimo è da considerare un dato acquisito agli atti della Commissione. Siccome noi chiediamo anche valutazioni a chi aveva il polso della situazione - e, comunque, le consapevolezze e le esperienze che a noi, certamente, mancano - le chiediamo se, a
suo avviso, Unosom funzionava o meno e se le risulta un fatto eccezionale che nessuno si sia interessato a questa vicenda. Come giudica tutto questo?
CARMINE FIORE. Il fatto che Unosom non abbia funzionato in questa vicenda per me non è una sorpresa perché Unosom non ha mai funzionato. Questo è anche uno dei motivi per cui quando, a dicembre, venne il ministro Fabbri gli consigliai di ripiegare a meno che l'Italia non fosse stata messa in condizione di incidere sul comando Unosom in maniera significativa assumendone la direzione: infatti, in quella situazione non era possibile operare.
Ho avuto l'occasione di parlare due o tre volte con l'ammiraglio Howe e mi sono reso conto che Unosom da quella situazione non sarebbe riuscita a cavare un ragno dal buco. Purtroppo, voglio dire che vi sono delle differenze di ordine culturale, oltre che antropologico, fra la direzione di Unosom e la realtà contingente, a causa delle quali non si poteva, assolutamente, sortire alcun effetto. Per spiegarmi meglio debbo dire che durante il mio primo incontro con l'ammiraglio Howe - giunto in Somalia un paio di mesi prima di me -, siccome i principali contendenti erano Aidid e Ali Mahdi, ho chiesto se per caso li avessero riuniti attorno ad un tavolo. Infatti, ho raccontato all'ammiraglio che mio nonno, da buon contadino, diceva che quando due persone litigano se si riesce a fargli mettere i piedi attorno ad un tavolo è già stato risolto metà del problema. Lui, comunque, mi ha detto che non l'aveva mai fatto e ciò mi è sembrata una cosa assurda. Ecco, come, purtroppo, andavano le cose ad Unosom; tra l'altro, il pachiderma costituito dai numerosi dipartimenti che avrebbero dovuto interessarsi di tante altre cose era di un'inefficienza spaventosa.
Sono stati questi i motivi che mi hanno indotto a consigliare al ministro Fabbri di ripiegare: eravamo verso la fine di dicembre. O l'Italia chiedeva di avere una capacità forte nell'ambito di Unosom, o era meglio ripiegare! L'Italia era il terzo contingente e non aveva nell'ambito di Unosom un ruolo idoneo ad incidere sulle politiche e sulle strategie.
Indubbiamente, intervenire subito avrebbe potuto sortire effetti, ma attraverso un'attività investigativa adeguata, da svolgere in Somalia nei giorni successivi, si poteva benissimo rendere chiara la situazione.
PRESIDENTE. Ho capito. Lei, al di là del fatto che il giorno dopo partì con il contingente italiano, riuscì, in qualche modo, a capire cosa fosse successo?
CARMINE FIORE. Nell'immediatezza dell'evento formulai un'ipotesi che ancora oggi confermo: per me sono stati i fondamentalisti islamici.
PRESIDENTE. Lei ha rilasciato questa dichiarazione, se non attraverso un comunicato stampa, credo attraverso una conferenza stampa: in ogni caso, non è importante ricordare con precisione l'occasione in cui ella ha espresso il suo pensiero. Lei, generale Fiore, dichiarò che la responsabilità era da attribuire a questa matrice di integralisti islamici. Oggi, nell'immaginario collettivo, l'ipotesi gode di un certo fascino e anche se noi abbiamo approfondito questo tema non mi pronuncio - anche se poi le potrò fornire ulteriori indicazioni - perché vorrei che ella ci spiegasse i motivi che l'hanno spinta a fare questa affermazione. Tra l'altro, si tratta di dichiarazioni che risultano anche da atti ufficiali, da informative del Sismi e così via, che noi abbiamo acquisito e che, magari, in seguito esamineremo insieme. Ci spiega, quindi, le ragioni della sua posizione?
CARMINE FIORE. Io ho fatto questa affermazione che, purtroppo, in quel momento confermava un mio grosso timore relativo ai giorni precedenti. Nei giorni precedenti, infatti, ho avvisato personalmente gli ultimi due gruppi di giornalisti arrivati in Somalia; in genere, invece, quando i giornalisti arrivavano in Somalia venivano ricevuti dall'addetto stampa che
raccontava loro cosa era successo e cosa avevamo intenzione di fare. Invece, con gli ultimi due gruppi arrivati in Somalia - credo di aver portato con me l'elenco dei nomi - ho parlato personalmente. Ho detto: «Guardate, fatemi una cortesia: è in previsione un attentato contro occidentali (con rapimenti, omicidi e così via), quindi non andate in giro poiché si tratta di momenti estremamente pericolosi. Offro a tutti quanti - cosa che in precedenza non era mai stata fatta - la possibilità di dormire presso di noi»; alcuni giornalisti hanno accettato questa possibilità, mentre altri non lo hanno fatto. Ricordo di aver lasciato per le donne un modulo abitativo più confortevole e per gli uomini delle tende. Un modulo abitativo era comprensivo di due camere: in una si è sistemata la giornalista Marina Rini e nell'altra la giornalista del TG3 che non c'è più Laura Ceccolini. Un giorno ero seduto sui gradini esterni al modulo e suggerii ad Ilaria di rimanere anche lei a dormire presso di noi in compagnia di Marina Rini o di Laura Ceccolini, ma lei mi disse che non c'era nessun problema e che sarebbe andata a dormire fuori.
PRESIDENTE. A che periodo si riferiscono questi fatti?
CARMINE FIORE. Al periodo in cui sono arrivati con l'aereo dall'Italia: il 13 o il 14, comunque sono in grado di verificare. Prima che partissero per le loro destinazioni ho raggruppato questi giornalisti...
PRESIDENTE. Ma c'era anche Ilaria Alpi?
CARMINE FIORE. Sì, c'era anche lei.
PRESIDENTE. Quando sono arrivati dove? All'aeroporto di Mogadiscio?
CARMINE FIORE. Sì, in quel momento eravamo tutti all'aeroporto di Mogadiscio poiché nell'ambito di quel disimpegno di cui ho parlato in precedenza, il 10 marzo abbiamo lasciato l'ambasciata, l'ultimo presidio somalo. Veramente l'ultimo presidio è stato il 12 o il 13 - date che potrei controllare sul diario degli avvenimenti - quando abbiamo lasciato l'ospedale di Johar, mentre - come ripeto - il 10, il giorno precedente, abbiamo lasciato l'ambasciata. Quindi, in quel momento siamo tutti ripiegati all'aeroporto che si trova nelle vicinanze della riva del mare e da lì, grazie all'utilizzo dei mezzi navali della Marina, ci siamo imbarcati. Quando arrivarono gli ultimi due gruppi di giornalisti ho parlato con tutti dando loro la possibilità...
PRESIDENTE. Scusi, generale, mi perdoni se la interrompo, ma desidererei capire meglio. Gli ultimi due gruppi di giornalisti da dove arrivarono? Da chi erano formati?
CARMINE FIORE. Gli ultimi due gruppi di giornalisti arrivarono dall'Italia.
PRESIDENTE. E c'era anche Ilaria Alpi?
PRESIDENTE. Quindi, lei quel giorno...
CARMINE FIORE. Io ho l'elenco di tutti i giornalisti presenti in quel momento in Somalia. Di questi qualcuno potrà, verosimilmente, riferire.
PRESIDENTE. Francesco Fornari, Renato Pera, Paradisi Romolo, Lasorella Carmen, Lo Sardo Pietro, Di Bella Renato, Spirito Salvatore, De Michelis Davide, Ceccolini Laura del TG4, Romano Cervone, Maurizi Mauro, Alpi Ilaria del TG3, il cui arrivo è datato 11 marzo 1994.
CARMINE FIORE. Tra l'altro, mi ricordo anche l'episodio di Ugolini e del suo operatore, di cui non conosco il nome, perché erano alloggiati in una tenda il cui montante si era sgonfiato e non sapevano come fare; si tratta di piccole cose che,
però, rimangono impresse. Comunque, Marcello Ugolini potrebbe essere ascoltato per avere conferma di questa...
PRESIDENTE. Per riprendere l'elenco cito Miran Hrovatin, Gagliani Gian Andrea, Ricucci Amedeo, Rini Marina, arrivata anche lei l'11 marzo assieme a Gagliani e Ricucci. Vi erano poi Porzio e Simoni arrivati, invece, il 15 marzo...
CARMINE FIORE. Porzio e Simoni non sapevo neanche che fossero in Somalia perché fecero un altro giro: arrivarono a Nairobi o a Mombasa e da lì...
PRESIDENTE. Quindi, generale, l'11 marzo del 1994 lei incontrò all'aeroporto questo secondo gruppo di giornalisti formato da: Alpi, Hrovatin, Gagliani, Ricucci, Rini e Ciriello. Cosa disse loro?
CARMINE FIORE. Dissi che era pericoloso andare in giro perché i fondamentalisti islamici avevano intenzione di compiere un atto clamoroso contro gli occidentali.
PRESIDENTE. Questa, generale, fu l'occasione nella quale offrì loro ospitalità?
PRESIDENTE. Alcuni vennero, ad eccezione però di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin?
CARMINE FIORE. Mi ricordo perfettamente che vennero Marina Rini assieme a Laura Ceccolini e Ciriello (che, purtroppo, non ci sono più). Tra l'altro, come detto, mi ricordo distintamente di Ugolini e del suo operatore. Questi giornalisti me li ricordo molto bene perché, al di là del generico incontro, controllai le loro sistemazioni.
PRESIDENTE. Ricorda qualche particolare di questo incontro all'aeroporto con Ilaria Alpi? Disse qualcosa, manifestò qualche opinione o fece qualche rimostranza quando lei gli rappresentò il pericolo proveniente dai fondamentalisti che avevano intenzione di compiere un attentato nei confronti degli occidentali?
CARMINE FIORE. No, era di una serenità estrema.
PRESIDENTE. Quindi, non vi è stata nessuna interlocuzione - diciamo così - né da parte di Ilaria Alpi né da parte di Miran Hrovatin. Lei già in quell'occasione disse loro che vi era un pericolo proveniente dai fondamentalisti islamici?
PRESIDENTE. Quindi, lei era in possesso di notizie che, evidentemente, la autorizzavano a fare queste affermazioni. Ci può far capire il percorso di queste notizie, magari mettendo anche in luce le fonti informative utilizzate per la sua attività? Tra queste fonti ce n'erano alcune che l'hanno indotta a fare quella precisa diagnosi?
CARMINE FIORE. Signor presidente, le chiederei di procedere in seduta segreta.
PRESIDENTE. Sta bene. Propongo di procedere in seduta segreta. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
Dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno.
(La Commissione procede in seduta segreta).
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno.
CARMINE FIORE. Io sono arrivato in Somalia il 6 settembre; ho preso la brigata Bergamo il 4 settembre, sabato mattina. La domenica sono arrivato in Somalia e lunedì ho preso il contingente. Ero stato in Somalia nei giorni precedenti,
a cavallo di Ferragosto; tra l'altro, il nostro paese aveva preso l'impegno di lasciare la responsabilità operativa di Mogadiscio nel momento in cui sarei arrivato dall'Italia. Per problematiche, purtroppo, non imputabili a nessuno non avevamo ancora lasciato tale responsabilità, tanto che quando arrivammo il generale Buscemi - che presiedeva la cerimonia - mi chiese se me la sentivo di assumere comunque il comando in una situazione non corrispondente alle aspettative; gli dissi che non ci sarebbero stati problemi, quindi rimasi lì.
Dal 6 al 15, facendo a braccio di ferro con Unosom, abbiamo lasciato il settore operativo e siamo andati via da Mogadiscio, per cui il comando si è trasferito a Balad. A Mogadiscio, però, anche se non avevamo più la responsabilità operativa, abbiamo comunque lasciato una nostra presenza all'interno dell'ambasciata italiana; ciò, infatti, ci avrebbe consentito di portare avanti le attività umanitarie avviate a Mogadiscio poiché vi erano decine e decine di scuole che vivevano del nostro apporto ed altre iniziative che abbisognavano della nostra continuità. La presenza a Mogadiscio, inoltre, ci serviva per mantenere nella città l'intera, fondamentale rete di informazioni: infatti, il cuore pulsante della Somalia è Mogadiscio. Se noi, quindi, avessimo tagliato il cordone ombelicale che ci legava a questa città, anche dal punto di vista informativo - informazione, come si sa, significa sicurezza - saremmo rimasti ciechi. Invece, la nostra ambasciata a Mogadiscio e i distaccamenti operativi, che giravano per le scuole a portare aiuti ascoltando e parlando con i direttori delle scuole, rappresentavano fondamentali antenne informative.
PRESIDENTE. Il Sismi le segnalava queste preoccupazioni nei confronti del fondamentalismo islamico?
CARMINE FIORE. Noi con il Sismi avevamo questo sistema: quando potevamo disporre di informazioni gliele passavamo subito per vedere se loro ce le confermavano. Nella gran parte dei casi abbiamo agito sempre in sintonia, non c'è mai stato nessun problema.
PRESIDENTE. Però, il Sismi già sapeva qualcosa circa lo svilupparsi del fondamentalismo islamico o siete stati voi a fornirgli informazioni su questo problema?
CARMINE FIORE. In genere le notizie immediate le acquisivamo noi; poi, dopo qualche ora o giorno, venivano confermate dal Sismi.
PRESIDENTE. Quindi, la valutazione intorno all'importanza del fondamentalismo era vostra?
PRESIDENTE. Ci può dare indicazioni relative al percorso informativo e alle fonti: tra, l'altro, se ci vorrà fornire anche dei nomi noi siamo pronti a raccogliere tutte le sue indicazioni, eventualmente passando in seduta segreta. Quindi, qual è stato il percorso informativo che l'ha portata a fare questa affermazione rilasciata l'11 marzo, in aeroporto, alla presenza di Ilaria Alpi?
CARMINE FIORE. Veramente non si può parlare dell'11 marzo poiché questa preoccupazione già era presente dalla metà di febbraio e nacque nel 1994 quando percepimmo la nascita di attività di cellule islamiche che, inizialmente, operavano in maniera abbastanza soft. Cito un episodio affinché possiate comprendere meglio cosa intendo dire. Noi portavamo l'acqua minerale ai somali che, purtroppo, non potevano contare sull'acqua corrente; ovviamente, qualche volta, ci arrivava acqua frizzante, anche se noi ci adoperavamo affinché potesse arrivare acqua naturale.
Comunque, portando l'acqua minerale, accadeva che un somalo, dopo aver bevuto tre o quattro bottiglie di acqua minerale, perdeva sostanzialmente le difese immunitarie acquisite per il fatto stesso di bere sempre l'acqua sporca del fiume. Finite le
bottiglie di acqua minerale che avevamo dato loro, i somali tornavano a bere l'acqua del fiume, e a questo punto si verificavano i fenomeni che tutti possono immaginare. Questi signori andavano in giro a dire che, in realtà, gli italiani non volevano aiutare i somali, ma li volevano avvelenare tramite l'acqua minerale.
Nell'ambito del gruppo fondamentalista avevamo dei buoni sentori; a tale proposito racconto l'episodio della cattedrale che ho già citato altre volte. Noi non eravamo responsabili operativi del settore di Mogadiscio, in quanto lo avevamo lasciato in precedenza, mantenevamo comunque delle antenne informative. Una nostra fonte ci disse che si voleva far saltare la cattedrale italiana, una costruzione molto bella che aveva il tetto crollato già al momento in cui la visitai la prima volta. Sulla facciata principale vi erano due campanili, l'informatore ci disse che volevano farli saltare. Quella notte vi furono delle esplosioni nella cattedrale, anche se saltò soltanto uno dei due campanili. Dopo alcuni giorni la stessa fonte ci disse che avrebbero fatto saltare anche il campanile rimasto ed effettivamente così accadde.
Questa stessa fonte ci disse poi che vi era la volontà di rapire o uccidere alcuni occidentali. Vorrei dire ora perché questo attentato a mio avviso aveva una sua logica. Signor presidente, gradirei passare in seduta segreta.
PRESIDENTE. Sta bene. Propongo di procedere in seduta segreta. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
Dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno.
(La Commissione procede in seduta segreta).
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno.
Al di là del collegamento tra Aidid e settori del fondamentalismo islamico, di cui anche noi qualche traccia l'abbiamo raccolta, almeno per quanto riguarda il fondamentalismo in sé come fenomeno montante, tale da poter suscitare un certo tipo di preoccupazioni - perché non basta essere fondamentalisti in quanto occorre anche essere dei terroristi -, nelle audizioni di ieri, ascoltando Giancarlo Marocchino, ma anche ascoltando una persona che oggi collabora con la Commissione e molte altre testimonianze, ci è stato riferito che di questo fondamentalismo sostanzialmente non vi era traccia. Si parla di qualcosa di assimilabile, ma soltanto sul piano quasi del folclore piuttosto che sul piano di una organizzazione che sottostà necessariamente ad un integralismo di tipo islamico. Siamo molto interessati alle sue affermazioni su questo punto, tuttavia, a fronte delle sue dichiarazioni - che noi abbiamo preso in considerazione ab origine, tenendo conto appunto del comunicato, che era, come accertiamo meglio oggi, addirittura il riflesso di una convinzione più profonda che lei aveva esplicitato, per quello che c'interessa, l'11 marzo in aeroporto a Mogadiscio - noi non abbiamo elementi di riscontro. Come ci può aiutare sul punto?
RAFFAELLO DE BRASI. Presidente, posso integrare la sua domanda?
RAFFAELLO DE BRASI. Ieri il signor Marocchino ha detto che ha costruito gli arredi della corte islamica nell'ottobre del 1994, quindi lui ha sostenuto che solamente dopo la partenza dei militari italiani vi è stato un vero e proprio dispiegamento di carattere più organizzativo di quello che viene chiamato fondamentalismo islamico. Ha detto, così come abbiamo appreso raccogliendo anche altre testimonianze, che cosa si intenda per fondamentalismo islamico; andrebbe precisato meglio, ed è questa la domanda aggiuntiva che vorrei fare a Carmine Fiore. Che cosa era per lei il fondamentalismo
islamico in quella situazione? In tutte le audizioni ci è sembrato che vi fosse una certa sovrapposizione tra l'elemento banditesco, i famosi morian, che si ammantavano di un riferimento religioso, ed il fondamentalismo, senza che vi fossero degli evidenti segnali dell'attività di questi fondamentalisti islamici, in particolar modo in termini di applicazione della sharia. In che modo si articolava concretamente la loro azione?
PRESIDENTE. Per dirla tutta possiamo ulteriormente ampliare il tema. Il massimo che abbiamo potuto raccogliere è la presenza di un certo personaggio, qualificato come una sorta di santone, il quale andava organizzando in quel periodo delle bande di delinquenti che si vestivano dei panni dell'integralismo islamico per ottenere una sorta di copertura alle loro azioni banditesche. Questo è il quadro delle consapevolezze di cui siamo in possesso, ma certamente, proprio perché lei ha operato in quei luoghi, nessuno meglio di lei può chiarirci lo stato delle cose nella Somalia di quel periodo.
CARMINE FIORE. In una situazione così degradata non vi è dubbio che gli interessi banditeschi erano abbastanza intrecciati con gli interessi dei fondamentalisti. Io riferisco soltanto un quadro informativo che ci ha portato a prospettare un'ipotesi che, sfortunatamente, si è verificata. Se ad un certo punto ho una serie di indizi che inducono a ritenere probabile un evento che poi, purtroppo, si verifica, io devo ritenere confermate le ipotesi che ho avanzato. Se poi con il passare del tempo altre persone hanno altri elementi, penso a Giancarlo Marocchino rimasto in Somalia anche in seguito, la cosa non mi riguarda perché la mia valutazione si ferma a quel dato momento. In quel momento, una serie di episodi, verificatisi nei mesi precedenti, mi avevano portato a prospettare uno scenario estremamente preoccupante. Questo scenario l'ho esposto ai giornalisti che consideravo l'anello debole e, purtroppo, esso si è realizzato. A questo punto, penso fosse abbastanza naturale prospettare questa ipotesi, e d'altronde, se non lo avessi fatto io, forse non l'avrebbe prospettata nessuno.
Questa convinzione è corroborata anche da altri indizi che per brevità non ho riferito. Noi avevamo avuto notizie che i fondamentalisti islamici si erano muniti di razzi contraerei e avevano l'intenzione di compiere un altro atto clamoroso contro velivoli occidentali in arrivo. Questa informazione l'abbiamo scambiata, oltre che con il Sismi, che ce l'ha confermata, con gli americani, con i tedeschi e con i coreani. Poiché questi contingenti erano in partenza in quel periodo, ovviamente, ci è sembrato opportuno avvisarli del pericolo. Tra l'altro quando abbiamo avvisato i tedeschi li abbiamo messi in difficoltà, anche perché questa informazione l'abbiamo avuta solo negli ultimi giorni. In conseguenza di ciò abbiamo preso dei provvedimenti ed i nostri due velivoli, che normalmente erano basati sull'aeroporto di Mogadiscio, li abbiamo rischierati a Mombasa. Abbiamo messo in difficoltà i tedeschi perché essi avevano programmato il rientro con gli aerei che dovevano atterrare a Mogadiscio. Quando abbiamo comunicato loro che era pericoloso atterrare perché c'era la possibilità che gli aerei venissero abbattuti, viste le loro difficoltà, abbiamo offerto loro tutta la collaborazione possibile, tanto che li abbiamo portati da Mogadiscio a Mombasa con le nostre navi. Anche gli americani quando sono venuti a conoscenza di questa informazione hanno limitato al massimo il movimento dei loro velivoli sull'aeroporto di Mogadiscio. Era un'informazione abbastanza consolidata, come diciamo noi, perché in genere in questi casi si valutano due elementi: la prima è la fonte, se sia attendibile o meno; la seconda è la notizia in sé e per sé, se sia verosimile o meno. Quando questi due elementi hanno una valutazione positiva allora quella notizia diventa informazione, assumendo una dignità diversa.
PRESIDENTE. L'onorevole De Brasi ha fatto riferimento, discorsivamente, perché per noi rappresenta un dato acquisito sul
quale ci confrontiamo, alle corti islamiche, dal punto di vista istituzionale. Le risulta che in quel periodo esistessero corti islamiche, paracorti islamiche o comunque gruppi che si interessavano dell'applicazione della legge islamica e della utilizzazione di uomini o di squadre per la realizzazione di questi obiettivi?
CARMINE FIORE. Di corti islamiche no, ma di scuole coraniche sì. A Mogadiscio vi erano molte scuole che ricevevano il nostro aiuto e negli ultimi tempi abbiamo percepito delle diffidenze e delle difficoltà nell'aprire altre scuole proprio perché le aprivano i fondamentalisti. Alcune di queste addirittura erano foraggiate dal contingente dell'Arabia Saudita presente sul posto. Con questo contingente abbiamo avuto un paio di scontri. Organizzativamente, se un contingente è responsabile di un settore, militari di un altro contingente prima di entrare in quel settore devono chiedere il permesso. Un paio di volte abbiamo trovato una compagnia di questi arabi entrati nel nostro settore per portare degli aiuti a questi soggetti. Per garbo gli abbiamo chiesto di avvisarci preventivamente sottolineando che non avevamo niente in contrario se loro portavano degli aiuti nel nostro territorio. Sono entrati una seconda volta senza fornire alcun avviso. Alla terza volta ho dato ordine di non farli passare. L'educazione e, nel caso nostro la deontologia militare, impongono determinate regole.
Sono tutte cose queste che danno sentore che qualcosa sta crescendo e che portano a formulare quelle ipotesi. Ripeto, ipotesi cresciuta nei primi mesi del 1994, formulata chiaramente quando sono arrivati i giornalisti e, ahimè, confermata ed espressa pubblicamente nel pomeriggio del 20 marzo, quando ero sulla nave Garibaldi.
PRESIDENTE. Questi arabi quindi fornivano aiuti concreti alla fazione fondamentalista, ma di squadre di persone che in gruppo si interessano di dare attuazione a questo embrione di fondamentalismo nella città di Mogadiscio può dirci qualcosa?
CARMINE FIORE. Nel nostro settore, e anche a Mogadiscio, il loro sforzo in quel periodo era concentrato sulle scuole coraniche, vi erano però delle squadre che attuavano interventi operativi come quelli che ho raccontato prima: la scuola, l'acquisizione di mezzi di contraerea per abbattere qualche velivolo prima che noi ce ne andassimo.
DOMENICO TUCCILLO. Ho seguito con interesse la sua ricostruzione. Una domanda mi sorge spontanea: quando lei opera questa ricostruzione, secondo cui con questo atto si intendeva dare un segnale «politico» su più fronti, si è chiesto come mai non è stato accompagnato da una rivendicazione o da una manifestazione di volontà che riconducesse ad una logica questo evento, evitando di lasciarlo alla casualità e alla libertà d'interpretazione?
CARMINE FIORE. Sulla rivendicazione c'è tutta una strategia secondo cui qualche volta si può fare e qualche volta può essere utile non farla. La rivendicazione si può fare quando uno vuole affermare con prepotenza la propria presenza, ma quando siamo di fronte ad una presenza nascente forse la rivendicazione non è opportuna. La rivendicazione deve portare un vantaggio, se porta solo uno svantaggio non è più opportuna. Io credo che in quel momento una rivendicazione avrebbe portato soltanto svantaggio. Non mi ancoro su questa ipotesi, ma ho il dovere di prospettarla, perché se non l'avessi prospettata io probabilmente non l'avrebbe fatto nessuno. Sono l'unico detentore di informazioni che io passo a chi deve poi decidere.
Quando si verificò l'evento non ero a Mogadiscio in quanto ero andato a salutare il contingente indiano, che si trovava in una città sita a circa 200 chilometri dal mare. Sono andato a salutare il contingente indiano perché, quando questo contingente arrivò in Somalia, nel loro paese si verificò un'alluvione e con una spontaneità caratteristica di noi italiani organizzammo una colletta. Ho portato i soldi raccolti al collega indiano che ovviamente
li ha poi mandati al proprio paese. Abbiamo poi ricevuto una lettera di ringraziamenti da parte del presidente indiano. Questo collega indiano mi ha chiesto però di andare a porgere un saluto ai suoi uomini ed io ho sempre rinviato la visita perché non ho mai avuto tempo di recarmi presso di loro. L'ultimo giorno di nostra permanenza mi è sembrato il giorno buono, anche perché avevo ricevuto un nuovo pressante invito da parte del collega indiano. Infatti, verso le 11 del mattino con un paio di collaboratori e la scorta ci siamo recati dagli indiani in elicottero. Quando si è verificato l'evento io ero ancora in volo. Nel momento in cui sono arrivato sulla nave la prima cosa che ho fatto è stata quella di andare a vedere le salme. Non ho visto il corpo di Miran Hrovatin perché era già stato ricoperto, ma mi hanno comunicato che aveva un foro di proiettile che aveva trapassato la tempia da parte a parte. Ho visto Ilaria che aveva un foro sulla testa.
Credo - vorrei pregare tutti quanti di mettersi nei miei panni - che in quel momento la mia convinzione venisse ulteriormente confermata da quanto accaduto. Se questi nostri poveri italiani fossero stati colpiti da una moltitudine di colpi si sarebbe potuto pensare ad un'altra cosa, ma un solo colpo alla testa ritengo porti chiunque a pensare che la cosa fosse voluta.
GIULIO SCHMIDT. La dichiarazione che lei fece sul fondamentalismo islamico immediatamente riportata dall'agenzia ANSA scatenò una serie di interpretazioni sulla vera motivazione per cui avrebbe rilasciato quella dichiarazione. La prima domanda che le rivolgo è se lei ha consapevolezza che comunque quella dichiarazione ha prodotto a catena una serie di dubbi, sospetti di depistaggio e di altra natura.
La seconda domanda che le rivolgo è la seguente: al di là delle informative che lei puntualmente ha ricordato, le risulta - noi lo abbiamo saputo nel corso di un'altra audizione - che comunque girassero nei mercati e fossero tranquillamente disponibili videocassette che mostravano la violenza della sharia, tanto è vero che fu fatta testimonianza della visione di una di queste cassette?
CARMINE FIORE. Per quanto riguarda i sospetti e le ripercussioni che ha avuto la mia esposizione, non posso che esprimere il mio dispiacere, ma essendo un pubblico ufficiale credo di avere il dovere di dire tutto, anche se quanto dico ha ripercussioni o genera sospetti venendo interpretato come un tentativo di depistaggio. Lo devo dire anche perché, come comandante del contingente, in quel momento potevo dirlo soltanto io. Certo, di fronte ad un'autorità inquirente lo può dire qualunque soldato, ma in quel momento come espressione ufficiale del contingente potevo essere soltanto io a dirlo. Probabilmente, se non lo avessi segnalato, questo filone non sarebbe stato esplorato; se poi è vero o non è vero, è fondato o meno, lo dovrà accertare chi ha indagato sulla vicenda, comunque per me l'ipotesi è fondata.
Per quanto riguarda la seconda domanda, ho avuto, in tempi successivi, una videocassetta che mostra alcune cose veramente ripugnanti. Sinceramente ne avevo sentito parlare, ma questa cassetta non l'avevo mai vista e l'ho avuta dopo un paio di anni; onestamente non so se si riferisse a periodi in cui ero in Somalia o a periodi successivi. Credo, comunque, si riferisse a periodi successivi perché, se fosse successo ciò che ho visto nella cassetta, cioè persone seppellite con la testa fuori con gente che gli tirava le pietre, credo che noi l'avremmo saputo sul momento. Noi abbiamo sempre saputo di un'attività soft che partiva dalle scuole, ma non di videocassette di quel tipo, anche perché credo che ciò sarebbe stato in contraddizione con la politica che Unosom, sia pure con l'efficienza relativa di cui ho parlato prima, portava avanti. Unosom aveva portato avanti il discorso di istituire dei distretti regionali e in seguito di istituire la polizia e la magistratura somala. Vi furono delle difficoltà, naturalmente, perché se noi non avessimo dato alla polizia somala le armi e le uniformi
non avrebbero mai potuto attrezzarsi, e lo stesso discorso vale anche per la magistratura.
PRESIDENTE. Ma allora esistevano una polizia e una magistratura somala?
PRESIDENTE. Come è possibile allora che di questa storia non si sia interessato nessuno? Quando lei venne a sapere della uccisione dei giornalisti, quali iniziative avete preso? Avete avvertito Unosom, che mi sembrerebbe il destinatario più diretto, in quanto se addirittura aveva il compito di creare e consolidare una polizia ed una magistratura somala è evidente che fosse la prima cosa che veniva in mente? Che iniziative ha assunto, una volta venuto a conoscenza dell'uccisione dei due giornalisti italiani?
CARMINE FIORE. La polizia e la magistratura somala esistevano. La polizia somala era stata costituita dall'ONU mettendo insieme una specie di consiglio composto da cinque persone di una certa importanza, ovviamente appartenenti alle varie etnie.
PRESIDENTE. Scusate, ma io questa cosa la apprendo per la prima volta, perché noi abbiamo chiesto la stessa cosa al colonnello Vezzalini e al capitano Salvati e loro ci hanno risposto che non esisteva assolutamente niente. Prosegua, generale Fiore.
CARMINE FIORE. In virtù di questa volontà abbiamo addestrato, preparato e impiegato personale somalo nella polizia. Allo stesso tempo esisteva anche una magistratura somala, anche se con dei limiti. Che esistesse la polizia somala lo dimostra il fatto che noi abbiamo addestrato la gente e l'abbiamo impiegata sui posti di blocco, prima insieme a noi e poi anche da soli. Quando noi siamo andati via da Mogadiscio abbiamo ceduto la sorveglianza dell'ambasciata italiana al comando della polizia somala, nella persona, non propriamente raccomandabile, del generale Gilao, ma quello offriva il convento.
DOMENICO TUCCILLO. A chi rispondeva questa polizia somala?
CARMINE FIORE. A Unosom. Anche la magistratura rispondeva all'Unosom, al dipartimento di giustizia dell'organizzazione dell'ONU. Questo che sto dicendo è corroborato anche da un altro fatto. Purtroppo saprete anche voi che il 9 dicembre del 1993 in un poliambulatorio di fronte alla nostra ambasciata è stata uccisa Maria Cristina Luinetti, l'infermiera volontaria. Noi abbiamo catturato l'uomo che ha ucciso questa donna e lo abbiamo consegnato alla magistratura somala e per far funzionare questa magistratura noi abbiamo realizzato anche il carcere di Belet Uen, l'ultimo paese prima dell'Etiopia all'interno della porzione di territorio che dovevamo controllare. Ogni volta che veniva preso un bandito somalo, noi lo portavamo nel carcere di Mogadiscio; vi erano però dei problemi enormi nel trasferire la gente da Belet Uen verso la parte meridionale della Somalia e, per tale motivo, abbiamo ripristinato un carcere a Belet Uen in modo che almeno ai due lati di questo nostro settore vi fosse un carcere.
PRESIDENTE. Questa è una sconvolgente affermazione che per la prima volta emerge agli atti della Commissione.
Ritorniamo a cosa ha fatto lei materialmente dal momento in cui ha saputo che Ilaria Alpi e Miran Hrovatin erano stati uccisi.
CARMINE FIORE. La prima preoccupazione che hanno avuto i miei collaboratori, e hanno agito benissimo, perché io non avrei fatto di meglio, è stata quella di cercare di recuperarli e di far giungere sul posto un soccorso di carattere sanitario. Inizialmente, non si sapeva neanche se erano morti. Ho delle fotografie che posso lasciare alla Commissione e che comunque vi mostro anche ora (Mostra alcune fotografie). Questo riquadro colorato è la nostra
ex ambasciata e in profondità si vede porto vecchio. A Mogadiscio esistevano due porti, porto vecchio e porto nuovo; il porto vecchio era stato abbandonato per un problema di fondali. Nella foto si vede porto vecchio e si vede questo molo che chiude il porto; sul limite di questo molo avevamo realizzato una zona di atterraggio elicotteri ed era sempre il posto in cui atterrava il nostro elicottero quando si doveva andare a Mogadiscio. A parte l'aeroporto vero e proprio, non vi è stato alcun altro posto di Mogadiscio in cui sia atterrato un elicottero italiano.
La prima preoccupazione dei miei collaboratori è stata quella di recuperare i cadaveri. La situazione in cui ci trovavamo è quella che ho descritto prima e il modo più rapido era quella di portarli nel porto vecchio. Marocchino, che era lì presente, ha dato la sua disponibilità, come sempre nei riguardi degli italiani, a portarli a porto vecchio, dove un nostro elicottero li ha recuperati.
PRESIDENTE. L'elicottero non poteva atterrare sul luogo dell'omicidio?
CARMINE FIORE. No, nei giorni precedenti, quando vi sono stati alcuni attacchi all'ambasciata, avevamo studiato l'ipotesi di una evacuazione a mezzo elicottero dell'ambasciata e facendo alcuni sorvoli abbiamo visto che ciò non era possibile. L'unica possibilità di atterraggio era rappresentata da una strada molto lunga a doppia carreggiata con al centro dei lampioni della luce dietro il Ministero delle poste.
Noi saremmo potuti atterrare in questo posto solamente abbattendo i lampioni della luce. In quel momento, però, non li abbiamo voluti abbattere per non insospettire nessuno circa le nostre intenzioni. In ogni caso, i nostri genieri avevano già operato le ricognizioni e, nell'ipotesi in cui l'operazione si fosse resa necessaria, potevamo procedere agli abbattimenti per atterrare proprio lì: ciò, però, non si è realizzato in mancanza di necessità. Quindi, lo ripeto, non era possibile atterrare in quella zona per i motivi che le ho appena evidenziato.
PRESIDENTE. Mi scusi per la parentesi e torniamo al discorso concernente le iniziative.
CARMINE FIORE. La prima preoccupazione è stata quella di recuperare le salme. Abbiamo già visto come la cosa si è svolta: Marocchino ha preso questi signori e li ha portati sul molo di porto vecchio. La distanza tra il luogo dell'evento e il molo non era superiore al chilometro. Il maggiore Tunzi, che aveva con sé cinque o sei carabinieri, attraverso una lodevole iniziativa...
PRESIDENTE. Chi avvertì il maggiore Tunzi?
CARMINE FIORE. Tunzi era affianco al tenente colonnello Cannarsa, un ufficiale che si interessava di far completare il caricamento delle navi e di distribuire gli ultimi aiuti umanitari di cui, al momento, potevamo disporre. Infatti, vi era ancora del materiale umanitario (viveri e così via) che era inutile caricare sulle navi per portarlo in Italia. Il colonnello Cannarsa era la persona che, a Mogadiscio, si occupava di queste cose, quindi aveva dato appuntamento ad alcuni somali per consegnargli questa roba.
PRESIDENTE. Chi ha avvertito Cannarsa dell'omicidio?
CARMINE FIORE. Cannarsa, che era collegato alla rete radio dell'ONG, ha sentito delle notizie sull'accaduto ed ha avvisato Tunzi. A proposito dell'aeroporto ho un'altra planimetria...
PRESIDENTE. Lei, generale, che disposizioni ha dato?
CARMINE FIORE. Io non ho dato nessuna disposizione perché ci hanno pensato i miei collaboratori, del cui operato sono chiamato a rispondere.
PRESIDENTE. Rispetto a questa struttura di polizia interna ad Unosom - per il momento lasciamo stare la magistratura
- sono state fatte comunicazioni, è stata rappresentata la commissione di questo omicidio? Lei sa se Tunzi, o chi per lui, ha effettuato questa comunicazione?
CARMINE FIORE. Quando è successo questo episodio nelle vicinanze della nostra ambasciata, all'interno della stessa c'era il capitano Salvati che ivi si era recato proprio per controllare la polizia somala. Il capitano Salvati, nel momento in cui ha sentito i primi scoppi, ha mandato una persona a vedere cosa era successo; in seguito, quando ha saputo che si trattava di italiani, si è preoccupato di prendere parte anche lui alla cosa recandosi, assieme alle salme, a porto vecchio.
Presidente, questa è una più ampia planimetria di Mogadiscio che dà l'idea, anche in termini proporzionali, della distanza relativa tra il luogo dell'evento, il porto vecchio, il porto nuovo e l'aeroporto (Mostra una planimetria).
Il maggiore Tunzi, assieme ai carabinieri, è arrivato per recuperare le salme, che Marocchino aveva già portato via. Quindi, nel momento in cui è arrivato sotto il bivio dell'ambasciata, un poliziotto somalo lì presente gli ha comunicato che Marocchino con i corpi si stava dirigendo verso il porto vecchio. Tunzi allora si è diretto verso il porto vecchio dove ha raggiunto la macchina di Marocchino; quindi, le macchine di Marocchino e Tunzi erano posizionate una appresso all'altra.
Il porto era presidiato da nigeriani che non volevano far entrare Marocchino, ma il maggiore Tunzi è sceso dalla macchina e si è fatto riconoscere permettendo così l'apertura della sbarra. Tunzi ha raggiunto Marocchino: la distanza tra il luogo dell'evento e il porto vecchio è di un chilometro, quindi, ad una velocità di 30 chilometri all'ora, ci vogliono due minuti per coprirla interamente. Se Tunzi raggiunse Marocchino vuol dire che, se fosse arrivato uno o due minuti in anticipo, sarebbe riuscito a recuperare i corpi prima di Marocchino. Dico questo poiché c'è qualcuno che sostiene che i carabinieri non si sono recati sul posto o che non hanno fatto niente. Lo ripeto: la distanza tra il luogo dell'evento e il porto vecchio è di un chilometro e, se si va piano, alla velocità di 30 chilometri all'ora, può essere coperta in due minuti. Quindi, se Tunzi raggiunse questa macchina a porto vecchio, vuole dire che lo stesso, al massimo, arrivò due minuti dopo: questa è la prima iniziativa. Ovviamente, a porto vecchio è arrivato un elicottero con un medico per operare i primi soccorsi, dopodiché, vista l'impossibilità di apportare un aiuto poiché ormai i soggetti erano deceduti, gli stessi sono stati portati sulla nave Garibaldi.
La seconda preoccupazione - espressa dall'ambasciatore italiano - è stata quella di recuperare altri italiani presenti a Mogadiscio e facenti parte delle organizzazioni non governative. A tal fine, ci siamo dati un appuntamento: verso le sei di pomeriggio gli elicotteri sono affluiti un'altra volta a porto vecchio assieme al duo formato da Gabriella Simoni e Giovanni Porzio. Questi ultimi - tali eventi, comunque, credo siano conosciuti da tutti - erano arrivati al porto assieme a Marocchino con il quale sono andati a prendere i bagagli.
PRESIDENTE. Lei ha fatto una battuta che intendo coltivare per un attimo. Abbiamo appreso che Gilao non è un personaggio qualsiasi, ma l'uomo della polizia somala incaricato da Unosom di porsi a capo della stessa.
La sua battuta non so se si riferisse all'efficienza o alla professionalità di questo personaggio: si trattava di un uomo legato ad Ali Mahdi?
CARMINE FIORE. I miei dubbi non erano legati alla efficienza e professionalità del personaggio, ma riguardavano altri settori. Il signor Gilao, infatti, è un uomo per tutte le stagioni, nel senso che è stato poliziotto anche quando c'era il Presidente Siad Barre.
PRESIDENTE. Quindi, i dubbi riguardano la sua attendibilità?
CARMINE FIORE. Lui faceva capo soprattutto ad Ali Mahdi, anche se il suo
ruolo di dipendente dell'ONU avrebbe dovuto connotarlo come una persona al di sopra delle parti; in ogni caso, lo ripeto, so che faceva capo soprattutto ad Ali Mahdi. Comunque, il fatto che fosse stato in qualche modo legato anche a Siad Barre non contribuiva - anche se può risultare antipatico sostenerlo - a renderlo simpatico al sottoscritto. Purtroppo, egli ricopriva un ruolo istituzionale, tanto che gli ho dovuto cedere - ci sono delle fotografie che lo testimoniano - le chiavi dell'ambasciata. Quando siamo andati via a Mogadiscio era in corso un'epidemia di colera, quindi abbiamo dato due ambulanze alla polizia somala per consentire i necessari movimenti. Dissi al generale Gilao: «Mi raccomando, in Italia questi soccorsi sono gratuiti». La mia preoccupazione riguardava l'utilizzo di queste macchine donate da noi.
PRESIDENTE. Generale, abbiamo accertato che Unosom non ha fatto niente, né ha fatto qualcosa per il tramite di Gilao, quindi nulla sappiamo attorno a chi ha consumato questo duplice omicidio e via dicendo.
Vorrei una spiegazione di questa assoluta assenza di attività, che rappresenta un dato certo acquisito grazie ai lavori della nostra Commissione; noi abbiamo accertato che nessuno ha fatto niente. Gilao, comunque, essendo il capo della polizia era in grado di fare qualcosa; tra l'altro anche Salvati e Vezzalini, trovandosi in loco, avrebbero potuto dare disposizioni o, quantomeno, fare da tramite per disposizioni superiori. Lei, che ha vissuto quei momenti, che spiegazione dà di questa totale abulia istituzionale?
CARMINE FIORE. Certo, non si tratta di una valutazione positiva, anche perché alle persone che lei ha elencato aggiungerei l'ambasciatore italiano rimasto in Somalia. Il contingente non c'era più, erano presenti solo quei 10-15 italiani delle organizzazioni non governative, quindi credo che la maggiore preoccupazione dell'ambasciatore italiano era cercare di fare in modo che Unosom - presente nello stesso compound, nello stesso complesso - potesse, in qualche modo...
PRESIDENTE. Generale, lei sa che nella vita esistono i retropensieri, le dietrologie che, però, qualche volta colgono nel segno.
Questa abulia istituzionale, alla quale lei aggiunge anche l'operato - o l'inattività - dell'ambasciatore, può essere frutto di incuria, di menefreghismo, di tante ragioni. In ogni caso, vi è anche chi tende a pensare che questa abulia istituzionale sia stata intenzionale al fine di coprire un qualcosa (che può esistere o meno), la cui ricerca porta a situazioni dalle quali non si riesce più ad uscire.
In questo momento la sua non è una testimonianza; come spiega lei questa generalizzata abulia istituzionale riguardante persone che ricoprivano tutti i gradi della gerarchia di Unosom, dall'ambasciatore all'ultimo ufficiale di polizia giudiziaria? C'era qualcosa che doveva essere coperto, occultato? Qual è la ragione per la quale si è ritenuto di non fare nulla?
CARMINE FIORE. Purtroppo, non glielo so dire, posso solo dare un giudizio sull'evento. Credo che in quel momento avevamo la possibilità - vista, soprattutto, la presenza dell'ambasciatore - di poter, in qualche modo, incidere sui successivi accertamenti. Il motivo per cui tutto ciò non è stato fatto non glielo so dire.
GIULIO SCHMIDT. Generale, mi permetta di tornare a parlare della riunione che lei tenne assieme al secondo contingente di giornalisti comprendente, tra gli altri, anche Ilaria Alpi. Lei spiegò ai giornalisti presenti - compresa Ilaria Alpi - le ragioni che la portavano a metterli in allarme? Lei raccontò quello che successe alla cattedrale per motivare il suo pensiero nei confronti dei giornalisti? Se lo ricorda?
CARMINE FIORE. Mi pare di non aver raccontato specificamente questi episodi, però ho prospettato quello scenario informandoli della presenza di fondamentalisti
islamici che intendevano portare a compimento un atto clamoroso e del fatto che proprio loro rappresentavano l'anello debole della catena; gli ho detto di non andare in giro e di farsi ospitare presso di noi.
Credo che i giornalisti avrebbero dovuto capire la gravità della situazione, intanto perché, come tali, fungono da recettori degli umori. Infatti, la sensazione di cui parlo era abbastanza diffusa, nota, tanto che Porzio e Simoni - arrivati in Somalia per conto loro attraverso Mombasa - hanno saputo degli accadimenti tramite nostri militari dell'Aeronautica mandati a Mombasa. Anche a Mombasa si parlava di questo scenario, quindi si trattava di notizie abbastanza diffuse.
Non credo di aver raccontato loro la storia della cattedrale, ma non è mai successo che il comandante di un contingente andasse a parlare con dei giornalisti appena arrivati; non è mai successo che dei giornalisti mangiassero o dormissero presso di noi.
GIULIO SCHMIDT. Anche questa eccezionalità è interessante.
Lei, generale, nel momento in cui incontrò questi giornalisti parlando di un pericolo fondamentalista stava dando, a mio avviso, una notizia giornalistica di grande rilievo. Qualche giornalista, a sua memoria, le rivolse delle domande su cosa stesse succedendo e, soprattutto, qualcuno - uno o due giorni dopo - scrisse qualcosa sul fondamentalismo islamico e su questo pericolo?
CARMINE FIORE. No, mi pare che nessuno abbia mai parlato o raccontato di questa mia preoccupazione.
GIULIO SCHMIDT. Le fecero delle domande? Ilaria Alpi - che, comunque, aveva già esperienza riguardo alla Somalia - non le rivolse qualche domanda più approfondita?
CARMINE FIORE. Di domande specifiche non ne ho memoria; ebbi solo la percezione che, forse, i giornalisti considerassero il mio messaggio troppo catastrofico, pessimistico.
PRESIDENTE. Ha mai riferito a Marocchino del pericolo circa l'uccisione di due giornalisti?
CARMINE FIORE. Personalmente no, comunque Marocchino era un personaggio...
PRESIDENTE. Di Marocchino parleremo più tardi, mi interessava di più approfondire questo argomento.
CARMINE FIORE. Con Marocchino ci scambiavamo informazioni.
PRESIDENTE. Lei sa se Marocchino, successivamente, ha avuto anch'egli l'occasione di esplicitare ai giornalisti questa sua preoccupazione?
CARMINE FIORE. Mi pare di sì, però l'ho letto su qualche resoconto.
CARMINE FIORE. Sì, è plausibile anche perché debbo dire che Marocchino aveva un affetto particolare per gli italiani. Credo che abbia passato tante informazioni anche ai giornalisti, soprattutto nell'intento di salvaguardarne l'incolumità: da questo punto di vista non c'è niente da dire.
GIULIO SCHMIDT. Scusi generale, lei ha fatto un accenno a delle risorse, dei materiali che era inutile portare in Italia, quindi qualcuno, tipo Cannarsa, doveva occuparsi del loro smistamento. Le risulta che un container, comprendente materiale da consegnare a dei personaggi somali, fosse stato affidato a Marocchino?
CARMINE FIORE. No, credo che in questo Marocchino non sia mai stato coinvolto.
PRESIDENTE. Scusi, onorevole Schmidt, ma così rischiamo di uscire fuori dal seminato.
GIULIO SCHMIDT. Signor presidente, il testimone però ha fatto un riferimento al materiale umanitario.
PRESIDENTE. Il capitolo di Marocchino lo dobbiamo esaminare successivamente, quindi la sua domanda la rinvierei.
CARMINE FIORE. Volevo solo precisare la politica che seguivamo riguardo agli aiuti umanitari: io non ho mai voluto intermediari, anche perché il messaggio che doveva arrivare ai somali era che quella roba gliela consegnava un italiano; se l'avessi data ad una qualsiasi persona il messaggio sarebbe stato distorto.
PRESIDENTE. Va bene, ne continueremo a parlare più tardi.
RAFFAELLO DE BRASI. Signor presidente, debbo chiedere al generale due o tre cose. Può darci la sua valutazione circa i rapporti tra questo fondamentalismo nascente e Aidid e Ali Mahdi?
CARMINE FIORE. Credo che, fondamentalmente, per dirla in parole povere, a nessuno dei due fregasse - scusate il termine - del problema in termini ideologici. Lo ripeto: Aidid prima ha avuto i soldi, mentre Ali Mahdi l'ha visto, successivamente, come un ostacolo. Nessuno dei due aveva grandi convinzioni di ordine culturale, ideologico e così via: si tratta di persone molto più pratiche, quindi credo che non vi fosse nessuna affinità di ordine ideologico-culturale.
RAFFAELLO DE BRASI. La questione del finanziamento di Aidid l'ha saputa, suppongo, tramite le sue fonti informative. Quindi, quando lei parla di questo si riferisce ad una raccolta di fondi di paesi stranieri (lei ha fatto cenno, per esempio, all'Arabia Saudita per quanto riguarda il rapporto con le scuole coraniche) o tra la popolazione?
CARMINE FIORE. La popolazione no, perché non c'erano soldi che, quindi, arrivavano da fuori.
RAFFAELLO DE BRASI. Lei ha avuto informazioni su qualche particolare personalità di spicco all'interno di questo crescente movimento? Noi abbiamo un nome, lei ne ha altri?
CARMINE FIORE. No, purtroppo no.
RAFFAELLO DE BRASI. Lei ci ha parlato di alcuni avvenimenti (per esempio, quello della cattedrale) e delle scuole coraniche. Ha avuto informazioni circa la formazione di bande o, comunque, gruppi armati di fondamentalisti islamici che scorrazzavano, presenti - e quindi visibili - nel territorio?
CARMINE FIORE. Circa il fatto che si stessero formando sì, mentre sulla visibilità no, perché per loro non era possibile; infatti, i contingenti di Unosom non avrebbero dovuto consentire ai somali di girare armati.
RAFFAELLO DE BRASI. Noi, invece, sappiamo che tutto ciò avveniva e che questi gruppi giravano armati. Addirittura, ci hanno riferito circa l'esistenza di confini per il superamento dei quali bisognava pagare: si tratta di una realtà abbastanza acquisita. Comunque, lei non ha conoscenza di tutto ciò.
PRESIDENTE. Di che cosa non ha conoscenza?
RAFFAELLO DE BRASI. Di bande armate - presenti e visibili nel territorio - riferite al fondamentalismo islamico.
PRESIDENTE. Scusate, ma questa è una questione importante. In precedenza, avevamo capito - o almeno, io avevo capito - che questo movimento crescente
o, comunque, emergente - usiamo una formula più cauta - registrasse, da una parte, una sorta di trasformazione delle scuole coraniche in un qualcosa di diverso e, dall'altra, delle bande, delle squadre, le quali, in qualche modo - le abbiamo riferito la definizione di Marocchino -, si vestivano dei panni dell'Islam per attribuire una sorta di nobiltà alla loro attività che, comunque, rimaneva banditesca. Mi sembrava di aver capito questo dalle sue precedenti dichiarazioni.
CARMINE FIORE. Ma non in maniera visibile come, credo...
PRESIDENTE. Sì, però mi sembrava che la risposta all'onorevole De Brasi, così come indicata, rappresentasse una negazione di questo fenomeno.
Quindi, le chiedo se lei conferma o meno i fenomeni della trasformazione in itinere delle scuole coraniche e della presenza di squadre armate, pur se non visibili per le ragioni che ci ha rappresentato.
CARMINE FIORE. Sì, confermo di aver detto quelle cose.
RAFFAELLO DE BRASI. Anche perché chi ha ucciso Ilaria Alpi girava armato...
CARMINE FIORE. Teoricamente, non potevano girare nella maniera da lei descritta. Nell'ambito del nostro settore nessuno poteva girare armato e tutte le persone che lo facevano venivano da noi fermate e le armi sequestrate: a meno che non fossero in possesso di autorizzazione rilasciata da Unosom. Lo ripeto, nessuno poteva girare armato per ordine di Unosom; se poi la realtà si è discostata dalla teoria, questo è un altro discorso. In ogni caso, nel nostro settore nessuno girava armato.
RAFFAELLO DE BRASI. La ringrazio.
Lei prima ha parlato di sue affidabili fonti facendo anche riferimento, per esempio, all'episodio della cattedrale. La fonte relativa all'episodio appena citato è la stessa riferita alle successive minacce?
RAFFAELLO DE BRASI. Signor presidente, le chiederei di procedere in seduta segreta.
PRESIDENTE. Sta bene. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
Dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno.
(La Commissione procede in seduta segreta).
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno.
Propongo di sospendere l'esame testimoniale del generale Fiore per consentire la conclusione di quello di Giancarlo Marocchino, che ci ha comunicato di essere nell'impossibilità di trattenersi ulteriormente. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
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