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Seduta del 14/9/2005


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Esame testimoniale di Armando Barucco.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame testimoniale del consigliere Armando Barucco, al quale faccio presente che è ascoltato con le forme della testimonianza e, quindi, con l'obbligo di dire la verità e di rispondere a tutte le nostre domande.
La prego innanzitutto di darci le sue generalità e di dirci quale attività professionale svolge ed ha svolto.

ARMANDO BARUCCO. Sono Armando Barucco, nato a Napoli l'11 giugno 1962, laureato in giurisprudenza. Sono entrato nella carriera diplomatica il 4 marzo 1991 ed ho prestato servizio presso la direzione generale degli affari economici con capo ufficio l'ambasciatore Enrico Augelli, che all'epoca era ministro plenipotenziario.
Dopo un anno e mezzo che lavoravamo insieme, Enrico Augelli fu nominato inviato speciale dell'allora ministro Colombo in Somalia. C'era stato un momento in cui si pensava effettivamente che il processo di pace tra le fazioni somale potesse riprendere e allora il Governo italiano aveva deciso di nominare un inviato speciale per contribuire al processo di pace. Enrico Augelli andò, se non sbaglio, tra agosto e settembre del 1992 a Mogadiscio e, in vari periodi, rimase per tre o quattro mesi. Poi ci fu la decisione per l'intervento delle Nazioni Unite, sotto la guida americana, del dicembre 1992; fu decisa la costituzione della delegazione diplomatica speciale ed Enrico Augelli mi chiamò a lavorare con lui. Ero vice capo della delegazione diplomatica speciale, ma semplicemente perché all'epoca la delegazione diplomatica speciale era composta solo da me e da Enrico Augelli.

PRESIDENTE. Quindi, Augelli ha l'incarico nell'agosto-settembre del 1992. Lei quando va in Somalia?

ARMANDO BARUCCO. Io arrivo in Somalia il 1o febbraio 1993. Avevo comunque continuato a collaborare un po' con lui perché sostanzialmente aveva bisogno di una mano nel periodo in cui faceva su e giù con la Somalia ed aveva queste missioni su tutto il territorio somalo. Era una persona abbastanza particolare; credeva molto nel processo di pace, nel lavoro ed era disposto anche ad affrontare situazioni molto rischiose, perché all'epoca c'erano soltanto cinquecento soldati pakistani che erano asserragliati nell'aeroporto ed Augelli si muoveva su tutto il territorio somalo accompagnato da scorte somale.

PRESIDENTE. Lei quanto tempo si è fermato in Somalia?

ARMANDO BARUCCO. Dal 1o febbraio al 9 settembre 1993, otto mesi.

PRESIDENTE. Perché è andato via? Perché andò via Augelli?

ARMANDO BARUCCO. Augelli fu richiamato il 22-23 giugno, se non sbaglio. Continuò a tenere l'incarico fino a settembre. Io sono stato la persona che è rimasta di più in Somalia.

PRESIDENTE. Quindi, lui concluse il suo incarico nel giugno del 1993?

ARMANDO BARUCCO. No, lui fu richiamato a Roma nel giugno del 1993 e fu sostituito nell'incarico. Restò per due mesi formalmente nell'incarico, ma al suo posto fu nominato, se non sbaglio a fine agosto o inizio settembre, l'ambasciatore Scialoja.

PRESIDENTE. Scialoja quando andò giù?

ARMANDO BARUCCO. Scialoja venne in missione mentre io ero da solo in Somalia. Venne in missione un paio di volte tra luglio ed agosto 1993.

PRESIDENTE. Lei in che mese è partito dalla Somalia verso l'Italia?

ARMANDO BARUCCO. Sono rientrato il 9 settembre 1993.


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PRESIDENTE. Quindi, da giugno a settembre 1993, salvo le due missioni dell'ambasciatore Scialoja, lei praticamente faceva le funzioni dell'ambasciatore?

ARMANDO BARUCCO. Sì, incaricato d'affari.

PRESIDENTE. Senza la presenza di Augelli. È esatto?

ARMANDO BARUCCO. Sì, senza la presenza di Augelli, con il quale però ero continuamente in contatto, naturalmente.

PRESIDENTE. Quindi, lei in concomitanza con la presenza di Scialoja non è mai stato a Mogadiscio?

ARMANDO BARUCCO. No, quando veniva Scialoja veniva insieme ...

PRESIDENTE. Lei a settembre va via e torna definitivamente in Italia. È esatto?

ARMANDO BARUCCO. Sì.

PRESIDENTE. Scialoja era già di stanza come ambasciatore?

ARMANDO BARUCCO. Sì.

PRESIDENTE. Da quanto tempo?

ARMANDO BARUCCO. Era di stanza da dieci giorni. Se non sbaglio arrivò proprio a fine agosto, il 27 o il 28 agosto, ma era già venuto, per una settimana, in un periodo precedente.

PRESIDENTE. Quindi, c'è stato un periodo nel quale lei è stato in ambasciata insieme all'ambasciatore Scialoja.

ARMANDO BARUCCO. Posso fare una precisazione?

PRESIDENTE. Prego.

ARMANDO BARUCCO. Parlare di ambasciata è sempre un po'...

PRESIDENTE. Lo so, si tratta di incaricato d'affari.

ARMANDO BARUCCO. In realtà, si trattava di una delegazione diplomatica speciale.

PRESIDENTE. Dov'erano i vostri uffici?

ARMANDO BARUCCO. In una villa di fronte al comando. L'aveva voluta lì Augelli, in accordo con il comandante del contingente, che all'epoca era il generale Loi, proprio per assicurare il dialogo continuo tra Forze armate e Ministero degli esteri. E c'era un rapporto eccellente tra Loi e Augelli. Era una villa. Non c'era alcuna struttura, in realtà. La struttura era composta dal sottoscritto, dall'ambasciatore Augelli, e da una serie di esperti di cooperazione. Però, ad un certo punto, visto che la situazione si deteriorò moltissimo, soprattutto dopo l'uccisione dei soldati pakistani all'inizio di giugno, decidemmo di far evacuare tutti e di rimanere solo noi, io e Augelli. Poi, Augelli fu richiamato, e io rimasi per qualche giorno. Anch'io fui richiamato per una settimana e poi fui rinviato immediatamente dopo l'episodio del pastificio.

PRESIDENTE. Il checkpoint?

ARMANDO BARUCCO. Sì.

PRESIDENTE. Dove eravate? A Mogadiscio nord o sud?

ARMANDO BARUCCO. Credo a Mogadiscio nord. Noi eravamo davanti alla vecchia sede dell'ambasciata.

PRESIDENTE. Era distante dall'hotel Hamana?

ARMANDO BARUCCO. No, mi sembra che fosse abbastanza vicino.

PRESIDENTE. E allora è Mogadiscio nord, di sicuro. Lei ha conosciuto Alfredo Tedesco?


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ARMANDO BARUCCO. Sì.

PRESIDENTE. Chi era Alfredo Tedesco?

ARMANDO BARUCCO. Era uno degli uomini dei nostri servizi, che accompagnava Enrico Augelli nel corso della missione, e che era di stanza là. In vari periodi anche lui rientrava e veniva rimpiazzato da qualcuno, ma è stata una delle persone che è stata lì più a lungo durante la nostra permanenza in Somalia.

PRESIDENTE. Anche Massetti?

ARMANDO BARUCCO. Fortunato?

PRESIDENTE. Sì. Erano entrambi dello stesso periodo.

ARMANDO BARUCCO. Sì erano le due persone che in assoluto erano state più presenti durante la nostra missione.

PRESIDENTE. Eravate anche in rapporti istituzionali, nel senso che anche a voi davano le notizie e le informazioni che fossero stato il risultato di operazioni di intelligence, per quello che poteva essere fatto?

ARMANDO BARUCCO. Sì, c'era un rapporto di grande collaborazione sia con loro sia con il comandante del nucleo, che se non sbaglio era il comandante Greco. Vivevamo tutti nella stessa casa. Casa e ufficio erano la stessa cosa. Noi stavamo in una stanza, loro stavano in un'altra stanza. Dormivamo tutti nella stessa villa, che era su due o tre piani. Io stesso nella stanza con l'ambasciatore Augelli e nella stanza accanto c'era il colonnello Greco.

PRESIDENTE. Quali erano le informazioni che vi venivano date, per esempio sul tipo di rapporto o atteggiamento dei somali rispetto agli italiani? Che cosa dicevano Tedesco e Massetti? Che notizie avevano?

ARMANDO BARUCCO. Era soprattutto il colonnello Greco, comandante del nucleo che era lì, che era l'interlocutore diretto dell'ambasciatore Augelli.

PRESIDENTE. Quindi, le notizie non venivano tanto da Massetti e Tedesco, quanto da Greco?

ARMANDO BARUCCO. Sì, perché loro erano operativi, mentre il comandante del nucleo rappresentava l'interlocutore. Devo dire però che Augelli, essendo stato in Somalia in un periodo in cui non c'era nessuno, era una persona che aveva i suoi contatti, aveva la sua credibilità e autorevolezza con i somali. E quindi i somali venivano direttamente dall'ambasciatore Augelli. Naturalmente, i servizi erano utilissimi per avere anche la situazione sul terreno e le informazioni, però...

PRESIDENTE. Va bene. Complessivamente, da queste possibili fonti, una operativa e l'altra più elaborativa, quali informazioni avete ricevuto sull'atteggiamento dei somali nei confronti degli italiani, in quel periodo (almeno fino al periodo in cui c'è stato lei, a settembre del 1993)? Era già successo il fatto del checkpoint, e altre cose, o no?

ARMANDO BARUCCO. La situazione nel periodo in cui lavorammo con Augelli era abbastanza difficile, soprattutto all'inizio. C'era tutto un arretrato di rapporti che non erano assolutamente buoni. Vi erano scritte anti-italiane. Vi era un atteggiamento anti-italiano molto forte fino a gennaio-febbraio 1993. Ricordo una delle preoccupazioni principali. L'arrivo del contingente italiano fu accolto da uno dei cosiddetti signori della guerra, Aidid, che rappresentava la fazione più forte, con una fortissima dichiarazione contro l'intervento degli italiani e contro la stessa presenza degli italiani. Il lavoro di Augelli fu quello di riuscire a smussare gli angoli, e di riuscire a trovare i canali giusti. Perciò, alla fine, anche il nostro arrivo fu accolto, e si riuscirono ad instaurare dei rapporti di collaborazione.


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Perciò, in una prima fase i rapporti erano molto difficili, in particolare con il clan degli aber ghedir, cioè con il clan di Aidid.

PRESIDENTE. Lei ricorda di aver partecipato ad una missione per parlare con Aidid, insieme all'ambasciatore Augelli, e all'allora colonnello Rajola Pescarini?

ARMANDO BARUCCO. No, credo che questo sia precedente al mio arrivo.

PRESIDENTE. Lei non ha partecipato a questo incontro?

ARMANDO BARUCCO. No. In particolare, non ho mai conosciuto il colonnello Rajola. L'ho solo visto una volta al Ministero, di sfuggita. Sapevo benissimo quello che faceva. Augelli mi parlava spesso dei suoi incontri. Con Aidid il contatto era continuo. Nel periodo in cui io sono stato lì, Augelli ha incontrato almeno tre o quattro volte Aidid. Alcune volte nelle varie conferenze di pace ad Addis Abeba, altre volte per altre ragioni.

PRESIDENTE. Lei colloca in coincidenza dell'arrivo del contingente italiano, avvenuto tra la fine del 1992 e l'inizio del 1993, questo atteggiamento di ostilità da parte di Aidid. Ha precisato di non aver partecipato a questa missione di cui abbiamo notizia attraverso altre informazioni.

ARMANDO BARUCCO. Lo collocherei a gennaio.

PRESIDENTE. Infatti, è di gennaio.
Dopo, il rapporto tra noi italiani e Aidid, almeno fino a quando lei ha avuto la possibilità di rendersene conto, qual era?

ARMANDO BARUCCO. Il rapporto migliorò progressivamente con tutta una serie di iniziative. Ne ricordo in particolare una, quando facemmo una grossa consegna di beni umanitari, alimenti, medicinali e altro, in particolare ad Adala, Itala, che è leggermente a nord di Mogadiscio, proprio nella zona del clan di Aidid. Vi era una situazione per cui l'aiuto umanitario diventava anche una maniera per costruire anche una nostra credibilità e un rapporto politico.

PRESIDENTE. Però su questo problema di Aidid c'è qualche piccolo particolare da approfondire, perché lei va via a settembre e settembre è anche il mese in cui ci risulta che un altro signore della guerra, che non andava molto d'accordo con Aidid (mi riferisco ad Ali Mahdi), depose praticamente le armi. Le risulta la circostanza che Ali Mahdi depose le armi? Inoltre, non so se l'avesse fatto spontaneamente o se l'avessero convinto i capi del contingente italiano. Vi è infatti una diversità di interpretazione: Ali Mahdi, forse con una punto d'orgoglio, dice oggi che la consegna delle armi fu spontanea, ma con molta probabilità non fu così (fu costretto). Sta di fatto che, maggiormente se fosse stato costretto, la questione ha un certo rilievo.
Lei sa nulla di questa questione della consegna delle armi da parte di Ali Mahdi?

ARMANDO BARUCCO. La vicenda va collegata al processo di pace e all'azione delle Nazioni Unite.
In realtà, ad un certo punto, con l'arrivo dell'ammiraglio Howe, con il passaggio dagli Stati Uniti alle Nazioni Unite, le contraddizioni del processo di pace esplodono, ed esplodono in particolare con l'episodio dell'uccisione dei ventiquattro pakistani. Ma la situazione sul terreno era comunque quella di due clan che avevano prima collaborato per buttare via Siad Barre e poi si erano trovati a scontrarsi. Erano due clan che appartenevano alla stessa famiglia clanica degli hawiye, gli aber ghedir e gli abgal.
Nel momento in cui Aidid è diventato l'obiettivo principale dell'azione delle Nazioni Unite l'altro clan, l'altra coalizione, automaticamente si schiera. È uno degli errori, se poi si può parlare di errori in una situazione così complessa, che alla


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fine potevano essere imputati all'azione delle Nazioni Unite che entrò nella logica della guerra fra clan schierandosi inevitabilmente a favore dell'altro clan che combatteva contro Aidid. Tant'è che fra i maggiori sostenitori dell'azione delle Nazioni Unite vi erano i vari clan fra cui Ali Mahdi, l'attuale presidente della Somalia Abdullah Yusuf e Mohamed Abshir, che all'epoca era il capo di Abdullah Yusuf.

PRESIDENTE. Questa sua spiegazione però non quadra con la consegna delle armi da parte di Ali Mahdi.

ARMANDO BARUCCO. Probabilmente sarà avvenuto dopo. E poi, non so se si possa parlare di una vera e propria consegna delle armi. Infatti, nel periodo che va da febbraio fino a maggio o giugno, vi furono delle situazioni di disarmo delle fazioni.

PRESIDENTE. Aidid però non fu disarmato.

ARMANDO BARUCCO. Si tentò di disarmare anche Aidid, ma non era così facile.

PRESIDENTE. Quindi, se fosse vera la notizia del disarmo di Ali Mahdi, è certamente vera la notizia che Aidid non era disarmato?

ARMANDO BARUCCO. Sì. Alcune operazioni di disarmo riuscirono anche nei confronti di Aidid. Teniamo presente che le operazioni di disarmo erano gestite congiuntamente dal contingente degli Stati Uniti e dagli altri.

PRESIDENTE. Nel settembre del 1993, che tipo di rapporto registrava fra Aidid e Ali Mahdi? Era sempre di forte contrapposizione?

ARMANDO BARUCCO. Assolutamente, di contrapposizione. Probabilmente, lo scontro tra Nazioni Unite e Aidid rappresentava per la parte opposta...

PRESIDENTE. E gli italiani da che parte stavano? Mi riferisco, ad esempio, al Sismi, e a voi dell'ambasciata. Da che parte stavate?

ARMANDO BARUCCO. Fino a che Augelli era là, la posizione italiana era principalmente data da lui. Era un interlocutore ascoltato, autorevole...

PRESIDENTE. Di tutti?

ARMANDO BARUCCO. Di tutti. Augelli non era un ingenuo, perché si rendeva conto perfettamente, come tutti gli altri, che Aidid era probabilmente il principale ostacolo alla pace in Somalia (semplicemente perché la sua era la fazione più forte), perciò ha sempre insistito - tant'è vero che la sua azione verso Aidid, all'inizio, tendeva proprio a riequilibrare una situazione in cui gli italiani sembravano troppo schierati a favore degli abgal - sull'equidistanza.
Quando scoppiò il problema con le Nazioni Unite uno dei motivi per cui era contrario era proprio questo.

PRESIDENTE. Ha mai conosciuto Ali Hashi Dorre?

ARMANDO BARUCCO. Credo di sì, però sono passati 12 anni... Se non sbaglio Hashi Dorre era un personaggio che veniva spesso e che aveva a che fare con Aidid, mi sembra.

PRESIDENTE. Leggo: «Su dichiarazione del dottor Barucco, vice di Augelli in Somalia, la nostra ambasciata ultimamente appoggiava Aidid, con la giustificazione che in caso contrario Aidid avrebbe mosso i civili contro Unosom e che con la morte di centinaia di civili l'opinione mondiale avrebbe fatto ritirare Unosom. Con il ritiro di Unosom si sarebbe tornati nel caos».

ARMANDO BARUCCO. Sono stato un buon profeta.


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PRESIDENTE. Leggo ancora: «Nell'opinione pubblica somala l'immagine dell'Italia risultava quella di accettare compromessi con Aidid, per paura delle sue ritorsioni. Si tenga inoltre in considerazione che nell'ambasciata di Mogadiscio è di casa, dando del tu a tutti i nostri funzionari, da più di un mese, il signor Ali Hashi Dorre. Costui, cugino di Aidid, uomo di sua figlia, l'uomo che ha fatto la causa a Craxi, socio con Osman Ato per la sponsorizzazione di una società italiana ben appoggiata da un non meglio identificato senatore di Bologna, sta cercando, insieme alla disinformazione quotidiana dei nostri diplomatici, di far finanziare dalla cooperazione la centrale elettrica di Mogadiscio, che sembra certo verrebbe appaltata qualora finanziata a questa società italiana».
Lei conosce questa annotazione?

ARMANDO BARUCCO. No, assolutamente no. Queste dichiarazioni possono essere vere nel senso che prima ho detto io, nel senso che uno dei punti fondamentali della nostra presenza in Somalia era mantenere equidistanza tra le fazioni. Le cose che lei vede riportate in maniera così cruenta sono quello che poi è successo in realtà. Infatti, spostando l'azione nei confronti di un clan, è successo che questo clan ha mobilitato i suoi.

PRESIDENTE. E questo fatto che Ali Hashi Dorre fosse di casa, tutti i giorni, all'ambasciata?

ARMANDO BARUCCO. No, assolutamente no.

PRESIDENTE. Non è vero?

ARMANDO BARUCCO. Non è vero. Ali Hashi Dorre era uno dei tantissimi interlocutori che avevamo in Somalia.

PRESIDENTE. Ha conosciuto Ilaria Alpi?

ARMANDO BARUCCO. L'ho vista due o tre volte, in maniera molto superficiale.

PRESIDENTE. Quando?

ARMANDO BARUCCO. Ricordo che fu di passaggio. Non sono sicurissimo se tra febbraio e marzo o tra maggio e giugno del 1993, e poi sicuramente è venuta nel periodo luglio-agosto. Ricordo perfettamente che ad un certo punto gli americani distrussero una casa in cui si pensava che ci fossero dei seguaci di Aidid (poi in realtà si rivelò che non era così), e per ritorsione i somali uccisero un gruppo di giornalisti che stava entrando in quella casa.

PRESIDENTE. Della Reuter?

ARMANDO BARUCCO. Sì, credo. E Ilaria Alpi credo che fosse proprio sulla camionetta che stava per entrare quando i somali chiusero la porta e uccisero i giornalisti.

PRESIDENTE. Ha mai parlato con Ilaria Alpi?

ARMANDO BARUCCO. In maniera molto superficiale.

PRESIDENTE. Quindi, nulla di riferito alla sua attività lavorativa, alle ragioni di interesse per la Somalia? Nulla di questo?

ARMANDO BARUCCO. Non mi sembra, non ricordo. Ero molto legato a Remigio Benni, che era il corrispondente dell'Ansa e con altri giornalisti, ma non con la Alpi.

PRESIDENTE. Lei ha detto prima che non ha mai avuto contatti con Rajola.

ARMANDO BARUCCO. Se non sbaglio, Augelli me lo presentò al Ministero degli esteri, subito prima della mia partenza o durante una delle nostre soste a Roma. Non mi sembra di avere avuto contatti con lui. Noi avevamo i contatti direttamente con le persone a Mogadiscio.


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PRESIDENTE. Ha avuto contatti con altre personalità dei servizi, a parte Tedesco e Massetti di cui abbiamo detto prima?

ARMANDO BARUCCO. Ci fu il sostituto del loro capo, che era un altro funzionario del Sismi, di cui però non ricordo il nome. Era in Somalia, se non sbaglio, dal momento dalla partenza di Greco, verso luglio-agosto.

PRESIDENTE. Conosce l'avvocato Duale?

ARMANDO BARUCCO. No, non mi sembra.

PRESIDENTE. È un avvocato somalo che lavora in Italia.

ARMANDO BARUCCO. In realtà ho avuto pochissimi contatti con i somali italiani. Dopo il rientro dalla Somalia non mi sono più voluto occupare di queste cose.

PRESIDENTE. Ha mai conosciuto Giancarlo Marocchino?

ARMANDO BARUCCO. Sì.

PRESIDENTE. Ci dica chi era e che cosa faceva.

ARMANDO BARUCCO. Era un faccendiere rimasto in Somalia durante il periodo della guerra civile. Aveva contatti e amicizie un po' da tutte le parti e in particolare nelle due fazioni, sia con Ali Mahdi sia con Aidid. Mi sembra di ricordare che era sposato con una sorella o una cugina di Ali Mahdi o di Aidid.

PRESIDENTE. Di Ali Mahdi.

ARMANDO BARUCCO. Però, nel contempo, era considerato, per qualche motivo, più vicino a Aidid. Infatti, intratteneva rapporti soprattutto con il clan di Aidid.

PRESIDENTE. Che tipo di rapporti?

ARMANDO BARUCCO. Aveva un grandissimo deposito. Veniva considerato una specie di faccendiere che procurava ogni tipo di cose di cui poteva aver bisogno Aidid.

PRESIDENTE. Le risulta che Marocchino sia stato partecipe, se non addirittura colui che organizzò un incontro dell'ambasciatore Augelli e di Rajola con Aidid?

ARMANDO BARUCCO. Non mi risulta, però non lo escluderei perché la situazione in cui si trovarono ad operare Augelli e sicuramente anche Rajola era una situazione in cui a Mogadiscio non c'era una presenza occidentale da un anno e mezzo. Erano saltati tutti i riferimenti istituzionali normali. In una situazione in cui l'unico interlocutore era un uomo come Aidid, le fazioni armate, è chiaro che il tipo di contatto che si cerca di avere è quello attraverso le persone che gli sono vicine. È quindi possibilissimo che una cosa del genere sia accaduta.

PRESIDENTE. Le risulta che Marocchino fosse anche un informatore del Sismi e del contingente italiano?

ARMANDO BARUCCO. Non lo escludo. Può essere benissimo perché era una persona molto informata e introdotta con riferimento a tutto quello che succedeva.

PRESIDENTE. Di quale considerazione godeva Marocchino sul posto? Lei ha detto: faccendiere. Nel nostro linguaggio, faccendiere ha anche un significato negativo, di operatore senza scrupoli. Perché lei ha detto faccendiere? Quali sono gli elementi in base ai quali lei, che è una persona seria e responsabile, un servitore dello Stato, dice di un cittadino che è un faccendiere? In che senso era un faccendiere? Prendeva mazzette? Le pagava? Faceva speculazioni sulla cooperazione? Vendeva armi? Interrava rifiuti?


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ARMANDO BARUCCO. Mi scuso, ma avendo una formazione giuridica il termine faccendiere può essere inappropriato, però nel contesto...

PRESIDENTE. Se lei dice factotum è un discorso, ma faccendiere è un'altra cosa.

ARMANDO BARUCCO. Sulla base della mia esperienza posso dire factotum, però il termine faccendiere è venuto fuori dalle letture degli articoli dei giornali e altro.

PRESIDENTE. Era considerato un disonesto, o no?

ARMANDO BARUCCO. Bisogna però ragionare sulla situazione in cui si trovava Marocchino e in cui si trovava Mogadiscio. Il fatto che ci fosse l'unico occidentale che era considerato l'interlocutore di tutte le fazioni in guerra, in una situazione di guerra totale, è chiaro che faceva nascere mille dubbi sul motivo per cui la persona fosse riuscita a restare in quella situazione per un anno e mezzo o due anni. Aggiungo anche che sia gli americani sia noi italiani facemmo un paio di ispezioni nei depositi di Mogadiscio, senza però trovare assolutamente nulla. Lo stesso Marocchino fu arrestato dagli americani e il suo deposito fu messo a soqquadro.

PRESIDENTE. E poi fu fatto rientrare in pompa magna.
Perché faceste quest'ispezione?

ARMANDO BARUCCO. Perché erano arrivate delle notizie sulla presenza di armi nel suo deposito.

PRESIDENTE. Che le armi ci fossero era notorio, perché aveva le scorte armate, per cui non potevano non esserci armi...

ARMANDO BARUCCO. Ci si riferiva alla presenza di armi destinate ad una delle fazioni.

PRESIDENTE. Qual era la notizia?

ARMANDO BARUCCO. La notizia era che, nascoste tra i depositi di Marocchino, vi erano le armi che lui forniva ad Aidid.

PRESIDENTE. Chi aveva dato la notizia?

ARMANDO BARUCCO. Non ricordo. Mi sembra che venne tramite un uomo dei servizi.

PRESIDENTE. Chi fece l'ispezione?

ARMANDO BARUCCO. I militari.

PRESIDENTE. E andò a vuoto?

ARMANDO BARUCCO. Sì.

PRESIDENTE. Lei ha detto che sia Tedesco che Massetti erano gli uomini che garantivano la sicurezza dell'ambasciatore Augelli. È esatto?

ARMANDO BARUCCO. No. Ad un certo punto ci fu assegnata una scorta. Nel periodo precedente, invece, sì.

PRESIDENTE. Chi vi ha assegnato la scorta? Marocchino?

ARMANDO BARUCCO. La scorta era assegnata dal contingente. Erano i carabinieri del Tuscania. Nel periodo precedente, credo che Enrico Augelli fosse accompagnato sempre e comunque da uomini dei servizi.

PRESIDENTE. Ricorda di una missione dell'ambasciatore Augelli, che sarebbe andato insieme a lei in una località a nord della Somalia?

ARMANDO BARUCCO. Sì, lo ricordo perfettamente. Andammo a Bosaso con un G222, con una delegazione, in occasione di una visita di una nave della nostra marina militare a Bosaso, perché si stava studiando il ripristino del porto di Bosaso.

PRESIDENTE. In che epoca siamo?


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ARMANDO BARUCCO. Se non sbaglio, a fine marzo o inizio aprile del 1993. Potrebbe però essere anche maggio.

PRESIDENTE. Che cos'era Bosaso?

ARMANDO BARUCCO. L'importanza di Bosaso e l'importanza del rapporto con i migiurtini era da collegare alle forti contrapposizioni tra Aidid, uomo forte di Mogadiscio, e questa zona, la Migiurtinia.

PRESIDENTE. Massetti era con voi?

ARMANDO BARUCCO. Mi sembra di no. Noi fummo accompagnati sicuramente dal suo capo, Greco.

PRESIDENTE. Ci parli di Bosaso.

ARMANDO BARUCCO. Bosaso era praticamente la capitale dei migiurtini. Tra i movimenti somali più forti si consideravano, da un lato, il clan degli aber ghedir di Aidid, e dall'altro il clan dei migiurtini darod. Tra l'altro, il motivo vero della visita era quello di costruire un legame con il colonnello Abdullahi Yusuf (che ora è il presidente della Somalia), che all'epoca era il capo militare dei migiurtini. Incontrammo principalmente lui. Questo era il vero motivo di tutta la visita a Bosaso.

PRESIDENTE. In quell'occasione avete incontrato il sultano di Bosaso?

ARMANDO BARUCCO. Abbiamo incontrato il sultano di Bosaso almeno in due o tre occasioni. In quell'occasione lui era lì a Bosaso, ma veniva pure a Mogadiscio. Lo incontrammo un paio di volte anche a Mogadiscio.

PRESIDENTE. Che personaggio era questo sultano di Bosaso?

ARMANDO BARUCCO. Ho letto poi alcuni atti della Commissione, però per noi non era un interlocutore affidabile.

PRESIDENTE. Che cosa faceva lui per voi?

ARMANDO BARUCCO. Per noi assolutamente niente.

PRESIDENTE. Non per voi, ma per le vostre informazioni...

ARMANDO BARUCCO. Era un uomo considerato vicino soprattutto a Mohamed Abshir Mussa, che era il presidente dei migiurtini, all'epoca. Era utile perché poteva comunque favorire i contatti con il clan dei migiurtini. Ma se dovessi dire la verità, l'impressione generale della persona non era di grande affidabilità. Oltretutto, avevamo anche qualche dubbio sulla sua posizione all'interno del clan.

PRESIDENTE. Lui, invece, si presentava in maniera molto pomposa, come un magistrato.

ARMANDO BARUCCO. Sì, ma se non sbaglio lui era il marito della sultana, la sorella della vera sultana di Bosaso. Lui era la figura di leader tradizionale che si è trovato in qualche maniera spodestato dai signori della guerra, e quindi cercava comunque di ritagliarsi un ruolo, sfruttando anche il suo vecchio prestigio di leader tradizionale.

PRESIDENTE. Che ruolo esercitava sul porto? Controllava il porto di Bosaso?

ARMANDO BARUCCO. Non glielo so dire. Ricordo però che portammo anche un esperto delle capitanerie di porto, o comunque di riabilitazione di porti perché i migiurtini continuamente ci dicevano che quella di riabilitare il porto era una priorità. Se non sbaglio vi era un problema di dragaggio, perché volevano far entrare delle navi più grandi. Portammo quindi un esperto che però concluse che l'intervento sarebbe costato troppo e che non era possibile. Inoltre vi erano gravi problemi di sicurezza, all'epoca, soprattutto al confine


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con l'altra regione, la vecchia Somalia britannica, dove vi era un altro clan in guerra con i migiurtini.

PRESIDENTE. Lei sa quale tipo di influenza o di gestione faceva capo al sultano di Bosaso? Ha mai sentito parlare del sequestro di una ex nave della cooperazione, che poi è diventata la nave di proprietà di un cittadino...

ARMANDO BARUCCO. Se non sbaglio, si riferisce alla XXI Ottobre e ad altre. Ricordo questa cosa, ma non sono sicuro che si trattasse del sequestro della XXI Ottobre. Mi posso sbagliare perché mi sono occupato del sequestro di una nave italiana, con marinai, al largo di Bosaso. I marinai furono poi portati in alcuni villaggi.

PRESIDENTE. Qui il problema era legato alla pesca. Si parla di sequestro ma in realtà era in atto un'estorsione, un ricatto che poi si sarebbe risolto consentendo l'esercizio della pesca purché al ricatto avesse fatto seguito la consegna di quanto voluto. Conosce questa vicenda?

ARMANDO BARUCCO. Questa vicenda no. Mi sembra di ricordare che, quando mi sono dovuto occupare di questo sequestro, era per un'altra questione, e cioè per il trasporto di bestiame dalla Somalia allo Yemen, tanto che dovemmo fare tutta una serie di azioni per intimorire i sequestratori. In particolare, dovetti fare un intervento presso gli americani (i rapporti all'epoca non erano eccellenti) per ottenere un passaggio dei loro caccia sopra la zona. Non mi sembra di ricordare questo episodio.

PRESIDENTE. Ricorda l'episodio del sequestro dell'ambasciatore Augelli?

ARMANDO BARUCCO. No. Può darsi sia stato in precedenza.

PRESIDENTE. Non ricorda di un sequestro di cui fu vittima l'ambasciatore Augelli insieme ad Alfredo Tedesco?

ARMANDO BARUCCO. Se non stiamo parlando del Somaliland, ma dell'altra regione, Enrico raccontava spesso questa storia. Se non sbaglio... fu in occasione della visita ad Argheisa?

PRESIDENTE. Non lo so.

ARMANDO BARUCCO. Fu in occasione della visita ad Argheisa. Allora no.

PRESIDENTE. E di quand'è?

ARMANDO BARUCCO. Precedente al mio arrivo. Questo è un racconto che Enrico faceva spesso, ridendoci sopra, ma in realtà fu abbastanza rischioso.

PRESIDENTE. Perché avvenne questo sequestro, secondo quanto diceva lui?

ARMANDO BARUCCO. In realtà accadde che, nel tentativo di avviare rapporti con tutti i clan somali, c'era comunque l'idea di mantenere i rapporti anche con il clan degli Isaac (praticamente la vecchia Somaliland), che si era completamente staccato e che tuttora è staccato. Quindi, decisero di compiere questa missione, portando anche degli esperti, ad Argheisa, per parlare con il presidente dell'epoca, che, se non sbaglio, era Abdirahman Tur. In realtà, la visita andò abbastanza bene, però al ritorno la scorta data dal presidente Abdirahman Tur per riportarli all'aeroporto li sequestrò e gli chiese cinque o diecimila dollari per rilasciarli.

PRESIDENTE. Quindi, questa era la motivazione, esclusivamente ricattatoria?

ARMANDO BARUCCO. Assolutamente sì.

PRESIDENTE. Non ha notizia di altre ragioni che stessero dietro questo sequestro che riguardò Augelli, Tedesco...

ARMANDO BARUCCO. Infatti, lo raccontavano insieme.


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PRESIDENTE. ...e un comandante della marina, che pure fu sequestrato? Ricorda come si chiamava?

ARMANDO BARUCCO. No. È precedente al mio arrivo. Era uno dei racconti che si facevano.

PRESIDENTE. Ha mai conosciuto Massimo Alberizzi?

ARMANDO BARUCCO. Sì, del Corriere della Sera. Avevamo anche buoni rapporti.

PRESIDENTE. Vi scambiavate informazioni sulle cose della Somalia?

ARMANDO BARUCCO. Con tutti i giornalisti avevamo un rapporto per cui essi ci chiedevano notizie sulla situazione e noi, naturalmente, fornivamo loro tutte le notizie dello scenario politico e di come stavano andando le cose. Non entravamo troppo nel dettaglio delle cose più delicate e sensibili.

PRESIDENTE. Conosceva Remigio Benni? Ha detto che eravate molto amici.

ARMANDO BARUCCO. Eravamo e siamo molto amici.

PRESIDENTE. Avete anche fatto una trasferta a Bosaso.

ARMANDO BARUCCO. Nella trasferta a Bosaso, di cui abbiamo parlato, anche lui accompagnò Augelli.

PRESIDENTE. Quando siete andati insieme?

ARMANDO BARUCCO. Sì.

PRESIDENTE. È quel viaggio che è servito per le cose di cui abbiamo parlato prima?

ARMANDO BARUCCO. Sì.

PRESIDENTE. C'era un collegamento fra questo viaggio, la presenza di Africa 70 a Bosaso e l'attività di questa ONG? Ha mai conosciuto Casamenti?

ARMANDO BARUCCO. No, non mi sembra... Di nome?

PRESIDENTE. Valentino.

ARMANDO BARUCCO. Assolutamente sì, Valentino Casamenti sì.

PRESIDENTE. Era un po' il factotum? Ora lo possiamo dire, factotum?

ARMANDO BARUCCO. Era uno degli uomini della cooperazione con il quale avevamo più a che fare. In realtà, ciò che è successo per tutte le attività di cooperazione fu che, cercando di ripartire da capo, Augelli impostò una doppia azione: da un vi erano lato donazioni al Pam, all'Unicef, da parte del governo italiano, alle altre organizzazioni multilaterali, dall'altro c'era l'esigenza di mantenere una presenza italiana sul territorio. Si fece sostanzialmente questo: si divise il territorio somalo in cinque o sei regioni e, sulla base dell'esperienza delle ONG italiane, che nel tempo erano già state presenti in Somalia, ogni territorio fu praticamente dato ad una di esse. Probabilmente, la Migiurtinia fu data ad Africa 70. Adesso non ricordo il nome di tutte le ONG.

PRESIDENTE. Ricorda di essere mai stato a Ghedo insieme a Remigio Benni?

ARMANDO BARUCCO. Mi sembra di no.

PRESIDENTE. Avete parlato con Remigio Benni di Ghedo e dell'integralismo islamico che sarebbe stata caratteristica di questa zona?

ARMANDO BARUCCO. Non credo.

PRESIDENTE. Ha mai conosciuto Beri Beri?


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ARMANDO BARUCCO. No.

PRESIDENTE. Lei sa se i macchinari della ditta Salini siano stati portati da qualche parte o portati via e distrutti o altro? Sa se siano stati lasciati nei magazzini di Marocchino?

ARMANDO BARUCCO. Mi sembra di ricordare che in effetti c'era un problema di macchinari - non ricordo se della ditta Salini o di altre ditte - che non si riusciva più a far uscire dalla Somalia. Probabilmente, si riferisce a questi macchinari.

PRESIDENTE. Non sa se fossero stati ricoverati nei magazzini di Marocchino?

ARMANDO BARUCCO. Comunque ricordo questa cosa come collegata a Marocchino, quindi potrebbe essere benissimo...

PRESIDENTE. ...ma non ne ha una cognizione precisa.
Ricorda di fascicoli del Ministero degli esteri che sarebbero stati custoditi per un certo periodo a Mogadiscio, relativi al FAI?

ARMANDO BARUCCO. Sì. Ad un certo punto, se non sbaglio, i somali ci consegnarono un grande ammontare di fascicoli - non dico un container - che non erano relativi al FAI: non riuscivamo nemmeno a capire di che cosa si trattasse. Erano fascicoli personali del personale dell'ambasciata e della cancelleria, c'era un po' di tutto. Se ci fossero o meno fascicoli del FAI non sono assolutamente sicuro. Posso dire che erano in condizioni pietose.

PRESIDENTE. Dov'erano custoditi?

ARMANDO BARUCCO. Erano custoditi in un container che era rimasto affidato ad una delle ONG presenti sul posto, tenendo presente che erano stati procurati, tramite questa ONG italiana presente sul posto...

PRESIDENTE. Questi fascicoli sono andati perduti o sono stati recuperati?

ARMANDO BARUCCO. Non glielo so dire. Ad un certo punto si pose il problema di farli riportare a Roma o meno. Il problema era che dovevamo esaminare i fascicoli per verificare effettivamente se potevano o meno essere riportati.

PRESIDENTE. E Marocchino c'entrava per niente in questa cosa?

ARMANDO BARUCCO. Non mi sembra. Ricordo che il contatto era una ONG italiana lì presente.

PRESIDENTE. Non essendovi altre domande, ringrazio Armando Barucco e dichiaro concluso l'esame testimoniale.

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