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Seduta del 31/5/2005


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Esame testimoniale di Giorgio Giovannini.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame testimoniale del signor Giorgio Giovannini, al quale facciamo presente che è ascoltato come testimone con l'obbligo di dire la verità e di rispondere alle domande del presidente e dei commissari.
Lei, signor Giovannini, è una delle persone più citate in tutta questa vicenda e quindi l'interesse ad ascoltarla è forte per la Commissione, e riguarda molteplici aspetti. Dopo aver preso atto che questa è una testimonianza assoggettata alle norme penali per quanto riguarda le responsabilità per falsa testimonianza o reticenza, può dare alla Commissione le sue generalità: luogo e data di nascita, residenza attuale e attività lavorativa, se la svolge.

GIORGIO GIOVANNINI. Mi chiamo Giorgio Giovannini, sono nato il 24 novembre 1941 a Serramazzoni, in provincia di Modena.

PRESIDENTE. Attualmente, dove risiede?

GIORGIO GIOVANNINI. A Carpi, in via della Liberazione 7. Svolgo attività di consulenza nel settore della ceramica e dei mosaici.

PRESIDENTE. In passato, quali sono state le sue attività lavorative? Oggi, lei fa il consulente nel settore della ceramica. In passato, quali sono stati i suoi interessi lavorativi?

GIORGIO GIOVANNINI. Avevo una ditta di import-export, la Gibex. La ditta si occupava di trading, soprattutto con i paesi dell'est e con i paesi arabi.

PRESIDENTE. Che significa trading?

GIORGIO GIOVANNINI. Commercio.

PRESIDENTE. In tutti i settori?

GIORGIO GIOVANNINI. Commerciavo con i paesi dell'est, dapprima ceramica e materiali da costruzione, e poi, vivendo a Carpi, che è un centro della maglieria e del tessile, prodotti tessili.

PRESIDENTE. In che anni ha lavorato con la Gibex?

GIORGIO GIOVANNINI. Dal 1973 fino al 1990 ho lavorato con la Gibex che era di mia proprietà.


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PRESIDENTE. Dopo il 1990?

GIORGIO GIOVANNINI. Dopo il 1990, gli affari non andavano più bene, ho effettuato un concordato preventivo e praticamente mi sono ritirato.

PRESIDENTE. E non ha fatto più niente?

GIORGIO GIOVANNINI. Più niente. Adesso sto svolgendo questi lavori di consulenza.

PRESIDENTE. In riferimento alle sue varie attività - le riferisco quanto risulta dagli atti, da note informative e da procedimenti penali che vedono una frequenza assoluta di riferimenti alla sua persona, non solo come persona, ma soprattutto per le sue attività - lei è indicato come un legittimo (parliamo per ora di liceità, poi parleremo d'altro), ma qualcuno dice non legittimo (essendo lei un testimone, le faccio presente che nel momento in cui si dichiarasse non legittimo consumerebbe un atto di riconoscimento di illegittimità, dal quale si può astenere avvalendosi della facoltà di non rispondere) trafficante d'armi o commerciante d'armi.
Lei ha mai legittimamente commerciato armi?

GIORGIO GIOVANNINI. Vorrei parlare del periodo antecedente alla rivoluzione in Somalia, perché si sta parlando della Somalia.

PRESIDENTE. No, noi stiamo parlando di lei e non della Somalia. Poi torneremo sull'argomento, però vorrei dirle un'altra cosa. Lei è già stato sentito varie volte.

GIORGIO GIOVANNINI. Non varie volte, ma una volta, alla Digos.

PRESIDENTE. In quella occasione, il 20 febbraio 2001, diversamente da quanto lei ha detto adesso (per cui dopo il concordato della Gibex, lei si sarebbe dedicato al riposo), lei ha dichiarato di aver cambiato attività. Lei dice: ho cambiato attività. Leggo, infatti: «Nel 1991 la società Gibex è stata chiusa per problemi legati alla guerra in Jugoslavia, dove io avevo le maggiori commesse; quindi, ho cambiato attività e ho iniziato a svolgere un commercio di maglioni in cachemire con la Mongolia. In questa circostanza ho istituito una nuova società, la Italian Trade Company Srl».

GIORGIO GIOVANNINI. È di mia moglie e di mio genero.

PRESIDENTE. Quindi, lei non c'entra con questa società?

GIORGIO GIOVANNINI. No. Lavoravo come sto facendo adesso.

PRESIDENTE. La Trade esiste adesso?

GIORGIO GIOVANNINI. No, e' in stand by.

PRESIDENTE. Allora, mi faccia capire. Nel 1990 fa il concordato preventivo e la Gibex cessa l'attività, quindi cessano tutte le attività che svolgeva relativamente a piastrelle, ferro, cemento, mobili e altro, tutto quello che capitava. La società chiude e nasce immediatamente la Italian Trade?

GIORGIO GIOVANNINI. No, dopo tre anni.

PRESIDENTE. Dunque, per tre anni non fa nulla e poi costituisce questa Italian Trade Company?

GIORGIO GIOVANNINI. Non io ma mia moglie.

PRESIDENTE. E lei che cosa faceva, lavorava con loro?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.


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PRESIDENTE. Dunque, lei lavorava con loro ed effettuavate l'importazione di maglioni di cachemire dalla Mongolia. Fin quando avete svolto questa attività?

GIORGIO GIOVANNINI. Per tre o quattro anni.

PRESIDENTE. Cioè, fino al 1997-1998, dopo di che è entrato in quiescenza totale?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì. Abbiamo chiuso.

PRESIDENTE. Quindi, da sette o otto anni, lei non fa niente.

GIORGIO GIOVANNINI. No. Faccio il consulente. Due anni fa ho ripreso la mia attività di consulente per una fabbrica di ceramiche a Fiorano di Sassuolo.

PRESIDENTE. Torniamo alla Gibex, e quindi al periodo precedente.
In questo periodo della sua vita lei svolgeva un legittimo commercio di armi?

GIORGIO GIOVANNINI. Io non ho mai fatto commercio di armi. Sono stato presente a conclusioni di contratti (per questioni di lingua, perché parlo il serbo-croato perfettamente per avervi lavorato per trent'anni) in Somalia, chiamato dal presidente Siad Barre che mi aveva praticamente affidato il generale Osman Aneghel, del CID (e tra l'altro, dopo la rivoluzione, dopo tanti anni di amicizia, l'ho mantenuto io a Carpi, per due anni).

PRESIDENTE. In che anni siamo?

GIORGIO GIOVANNINI. Nel periodo in cui è scoppiata la rivoluzione: nel 1990-1991.

PRESIDENTE. Fino al 1990-1991, fin quando cade Siad Barre. E da quando?

GIORGIO GIOVANNINI. Come, da quando?

PRESIDENTE. Da quando (mi riferisco alle attività)?

GIORGIO GIOVANNINI. Tra il 1988 e il 1990-1991.

PRESIDENTE. In quel periodo di che cosa si è interessato?

GIORGIO GIOVANNINI. Il presidente mi chiamò e mi disse, dato che avevo rapporti con la Jugoslavia, e loro avevano tutto l'armamento dell'est, che avevano bisogno di munizionamento. Mi chiamò, e c'era l'ambasciatore.

PRESIDENTE. Chi aveva bisogno di munizionamento?

GIORGIO GIOVANNINI. Siad Barre. Dunque, ero presente, durante la presidenza di Siad Barre, quando parlò con l'ambasciatore, e poi mi recai tre o quattro volte con il generale Osman Aneghel, e sottoscrivevo quello che lui...

PRESIDENTE. In questi casi, lei faceva da interprete?

GIORGIO GIOVANNINI. In questi casi io facevo solo ed esclusivamente l'interprete. Praticamente, ero l'uomo di fiducia - chiamiamolo così - di Siad Barre, tant'è che mi aveva nominato console onorario per la Jugoslavia e per l'Ungheria.

PRESIDENTE. Scusi, ma per andare a parlare di munizioni, sia pure come interprete, da chi doveva acquistarle, mi pare non proprio nel pieno rispetto delle leggi...

GIORGIO GIOVANNINI. No, era tutto legale.

PRESIDENTE. Era tutto legale?

GIORGIO GIOVANNINI. Erano compiute dai due Governi.

PRESIDENTE. Insomma, erano contrattazioni alla luce del sole?


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GIORGIO GIOVANNINI. Sì. C'era la direzione a Belgrado (che credo esista ancora), dove passava praticamente tutto: l'Sdecreto del Presidente della Repubblica.

PRESIDENTE. E quante volte è andato in Jugoslavia per fare queste operazioni?

GIORGIO GIOVANNINI. Ero costantemente in Jugoslavia, perché avevo gli uffici a Zagabria, e veniva Aneghel.

PRESIDENTE. E quante volte se ne è interessato?

GIORGIO GIOVANNINI. Sarò andato con Aneghel tre o quattro volte. Tra l'altro, Aneghel veniva in Jugoslavia e in Ungheria anche perché aveva due cognate che studiavano a Zagabria.

PRESIDENTE. E invece attività di altro tipo, parallele rispetto alle armi, lei non ne ha mai realizzate, in Somalia e altrove?

GIORGIO GIOVANNINI. Gli davo il tondino di ferro, le mattonelle, piscine, in Somalia. Ho un'azienda in Somalia, che sto ricostruendo adesso.

PRESIDENTE. Chi trasportava le munizioni?

GIORGIO GIOVANNINI. Direttamente loro.

PRESIDENTE. Chi?

GIORGIO GIOVANNINI. Penso i governi jugoslavi.

PRESIDENTE. Quand'è caduto il regime di Siad Barre, non ha avuto niente a che spartire con le armi?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Ma allora, o noi abbiamo una serie di testimonianze una più falsa dell'altra, oppure lei ci deve chiarire qualcosa: o no?

GIORGIO GIOVANNINI. Senz'altro. L'ultima era una nave - c'era già il generale Aneghel a casa mia, a Carpi, in Italia - che arrivava giù. Mi chiesero se riuscivo a fermare questa nave.

PRESIDENTE. Da dove veniva questa nave?

GIORGIO GIOVANNINI. Dalla Jugoslavia. E io non avevo possibilità.

PRESIDENTE. Perché bisognava fermare questa nave? Le armi non servivano più?

GIORGIO GIOVANNINI. No, perché era di Siad Barre.

PRESIDENTE. Mi spieghi bene.

GIORGIO GIOVANNINI. C'era stata l'ultima fornitura di armi per Siad Barre, che arrivava dopo la caduta. Mi fu chiesto dal figlio di Siad Barre se riuscivo a far dirottare questa nave.

PRESIDENTE. Verso dove?

GIORGIO GIOVANNINI. Mi disse solo questo. Gli dissi che non avevo alcun titolo e nessuna possibilità al riguardo.

PRESIDENTE. Quindi, questa nave arrivò?

GIORGIO GIOVANNINI. Senz'altro.

PRESIDENTE. E che cosa accadde a questa nave?

GIORGIO GIOVANNINI. Penso che la nave sia stata presa dagli insorti, dai rivoluzionari (il paese era nelle loro mani).

PRESIDENTE. Le risulta che per effetto della caduta di Siad Barre vi erano grandissime quantità di armi e munizioni sulle quali si avventavano i signori della guerra, quelli che poi sarebbero diventati i confliggenti (mi riferisco ad Aidid, ad Ali Mahdi e agli altri)?


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GIORGIO GIOVANNINI. Secondo me, ce n'erano a bizzeffe.

PRESIDENTE. Chi governava questo traffico? Qualcuno dice che lo governava lei.

GIORGIO GIOVANNINI. No, assolutamente no.

PRESIDENTE. E chi lo governava?

GIORGIO GIOVANNINI. Posso riferirle quello che io ho fatto per il governo somalo, con riferimento alle munizioni. Di armi ne avevano a bizzeffe, perché quando andarono via i russi, lasciarono tante armi. Mancavano loro solo le munizioni.

PRESIDENTE. Abbiamo sentito un testimone che lei conosce sicuramente molto bene (anche perché mi pare di ricordare che avesse un terreno vicino a quello che era stato regalato a lei in Somalia), e nella sua testimonianza - ha testimoniato in maniera ripetuta, e non soltanto a noi, per dire che non si tratta dell'ultima sortita, ma che già in passato aveva fatto questa stessa dichiarazione, sia pure senza evidenziare il suo nominativo (era stato sentito da un importante giornalista italiano, Maurizio Torrealta, al quale aveva fatto presente quale fosse la situazione post Siad Barre rispetto alle armi, con riferimento a tutta l'ira di Dio di armi che residuarono dalla caduta di Siad Barre e di cui si volevano impossessare i signori della guerra) - il riferimento alla sua importante opera di intermediazione o di controllo è preciso e puntuale.
Smentisce questa dichiarazione?

GIORGIO GIOVANNINI. Senz'altro, perché se si riferisce a quella nave lì io non c'entro.

PRESIDENTE. Non parlo della nave, ma parlo delle armi che venivano concentrate in determinate località di Mogadiscio e della Somalia.

GIORGIO GIOVANNINI. Assolutamente, assolutamente.
Conoscevo benissimo Aidid, conoscevo e conosco bene Osman Ato. Conosco bene tutti quei signori, per il semplice fatto che quando ero giù era tutta gente che girava intorno alla presidenza.

PRESIDENTE. Chi controllava il traffico di armi? Lei sa se Marocchino controllasse il traffico di armi?

GIORGIO GIOVANNINI. Non conosco Marocchino. Ne ho sentito parlare, però, in quegli anni in cui ero in contatto con questa gente, non era un personaggio nominato.

PRESIDENTE. Insomma, vorrei capire una cosa. Noi abbiamo tutti la certezza, che è diventata quasi storica, e mi pare che i dati dei quali lei sta parlando lo confermino, che la Somalia fosse non soltanto un luogo di concentrazione di armi provenienti dal regime di Siad Barre, ma anche un crocevia del traffico di armi.

GIORGIO GIOVANNINI. Non me ne sono mai accorto.

PRESIDENTE. Dunque, lei, tra tutti, è tra quelli che non si sono accorti di quello che accadeva in Somalia. Ma lei è uno di quelli che è vissuto in Somalia...

GIORGIO GIOVANNINI. No. Io andavo in Somalia a farmi le vacanze.

PRESIDENTE. Ci dica da quando comincia ad andare in Somalia, e quali sono state le sue presenze in Somalia.

GIORGIO GIOVANNINI. Ho cominciato ad andare in Somalia tra la fine del 1984 e l'inizio del 1985. Mi pare che la prima volta fu a dicembre del 1984.

PRESIDENTE. Andò per vacanza?

GIORGIO GIOVANNINI. Conobbi la figlia di Siad Barre, Suban, che aveva studiato


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qui a Roma, e suo marito che allora era ministro dell'interno. Mi invitarono.

PRESIDENTE. A che titolo? Lei conosceva la figlia di Siad Barre per motivi di studio?

GIORGIO GIOVANNINI. No, per amicizia.

PRESIDENTE. Come l'ha conosciuta? L'ha conosciuta in Italia?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì, presso amici.

PRESIDENTE. Quali amici?

GIORGIO GIOVANNINI. La conobbi ad un matrimonio. Loro avevano un appartamento a Roma. Dopo, vennero a casa mia.

PRESIDENTE. Quali sono stati i periodi consistenti di permanenza in Somalia?

GIORGIO GIOVANNINI. Al massimo, stavo giù venti giorni e poi tornavo su. Avevo il mio lavoro.

PRESIDENTE. Insomma, in un anno quante volte ci andava: quattro, cinque volte?

GIORGIO GIOVANNINI. Anche quattro o cinque volte.

PRESIDENTE. Ed era ospite di Siad Barre?

GIORGIO GIOVANNINI. No, avevo una casa che mi era stata data, e ce l'ho ancora, nel centro di Mogadiscio.

PRESIDENTE. A nord o a sud?

GIORGIO GIOVANNINI. Vicino al Talè, nella parte sud.

PRESIDENTE. Nella parte di Aidid?

GIORGIO GIOVANNINI. È così attualmente. C'era il Talè.

PRESIDENTE. Non so cosa sia il Talè.

GIORGIO GIOVANNINI. Era un hotel.

PRESIDENTE. Insomma, era la zona più vicino ad Aidid che ad Ali Mahdi, o sbaglio?

GIORGIO GIOVANNINI. In mezzo.

PRESIDENTE. Quali erano le ragioni di queste permanenze o di questi viaggi, tre o quattro volte all'anno?

GIORGIO GIOVANNINI. All'inizio, vi andavo a caccia o a pesca, e a fare le vacanze. Poi, hanno cominciato a chiedermi se lavoravo. Allora, sono andato giù per vendere tondini di ferro, piscine e altro. Poi, ad un certo momento, il presidente mi disse: perché non metti su una fattoria come fanno tutti gli italiani? E mi diede un appezzamento di terra che possiedo ancora oggi. Cominciai a piantare. Poi, un giorno, mi chiese un piacere, dal momento che parlavo lo slavo. Aveva, infatti, un problema con l'ambasciatore jugoslavo. Gli dissi che l'avrei fatto volentieri.
Chiamò l'ambasciatore. C'era una controversia: la Jugoslavia aveva venduto alla Somalia dei pescherecci (in quell'occasione seppi come era andata) che non andavano. Questi pescherecci erano stati pagati in parte, con un anticipo, come da contratto. Poi doveva essere pagato il resto, senonché questi pescherecci non erano mai andati perché erano fatti per l'Adriatico, con i motori che invece di andare avanti andavano indietro.

PRESIDENTE. Questi sarebbero i famosi pescherecci della Shifco?

GIORGIO GIOVANNINI. No. La Somalia aveva comprato questi pescherecci dalla Jugoslavia ben prima. Erano tre pescherecci, ma non erano grandi.


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PRESIDENTE. Insomma, sorse questo contenzioso.

GIORGIO GIOVANNINI. L'ambasciatore non era disponibile. Si rifiutava di parlare in inglese con Siad Barre, perché voleva che questo contratto fosse onorato con il pagamento. Ma queste navi erano in porto e non potevano operare. Lì cominciò a chiamarmi per parlare serbo.

PRESIDENTE. Da lì seppe che parlava serbo?

GIORGIO GIOVANNINI. No, lo sapeva già. Mi chiamò proprio per questo.

PRESIDENTE. Il fatto delle munizioni avvenne dopo?

GIORGIO GIOVANNINI. Avvenne lì, in questo contesto.
Mi disse: parla con l'ambasciatore perché l'ambasciatore sta mettendo i bastoni tra le ruote tra me e il governo jugoslavo per le munizioni, a causa dei pescherecci. Mi disse ancora: puoi andarti ad interessarti, per sapere qualcosa, perché il ministero della pesca non pagherà i pescherecci? Gli dissi che esisteva una direzione degli affari per tutta la Jugoslavia e che potevo andare lì ad interessarmi di questa vicenda.

PRESIDENTE. Oggi, che proprietà ha in Somalia?

GIORGIO GIOVANNINI. Ho un terreno di quattro chilometri per tre che sto rimettendo a posto perché è stato completamente distrutto, e non c'è rimasto più niente.

PRESIDENTE. Dove si trova?

GIORGIO GIOVANNINI. A Balad, a settanta chilometri da Mogadiscio, sul fiume. È una zona in cui vi sono soprattutto Abgal e Gerer.

PRESIDENTE. Questo è il solo terreno che ha, o ha anche qualche altra cosa? Ha ancora il terreno dove coltivava i pompelmi?

GIORGIO GIOVANNINI. È quello lì.

PRESIDENTE. Ha la casa sempre sullo stesso terreno?

GIORGIO GIOVANNINI. No. Lì non esistono case.

PRESIDENTE. Ha un altro terreno dov'è la casa?

GIORGIO GIOVANNINI. No. Ho una casa che mi è stata data in usufrutto in città, vicino all'hotel Talè, che è stato distrutto.

PRESIDENTE. Quindi, lei ha ancora interessi economici in Somalia.

GIORGIO GIOVANNINI. Ho questo interesse.

PRESIDENTE. E lei, in relazione a questo interesse che ha ancora in Somalia, mantiene rapporti con la Somalia e con le autorità somale, quali che siano? Se ho ben capito, lei ha rapporti con gli Abgal, perché il terreno sta nella zona degli Abgal.

GIORGIO GIOVANNINI. No. Ho rapporti con tutti e mi sono sempre trovato bene con tutti. Sono andato giù anche adesso, in dicembre, per le feste di Natale. Sono stato per un fine settimana. Non sono andato a Mogadiscio, ma a Chisimaio, dove ho degli amici.

PRESIDENTE. Quindi lei va via dalla Somalia quando cade Siad Barre, nel 1991?

GIORGIO GIOVANNINI. Sono tornato in Somalia un anno dopo, perché fui chiamato da Aidid, che mi chiese se io potevo parlare con l'allora ministro Colombo.


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PRESIDENTE. Era ministro degli esteri?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. Che voleva da Colombo?

GIORGIO GIOVANNINI. Voleva incontrarlo.

PRESIDENTE. E la ragione di questa richiesta di incontro?

GIORGIO GIOVANNINI. Non me l'ha detta.

PRESIDENTE. Dove voleva incontrarlo? In Italia?

GIORGIO GIOVANNINI. No, giù. E so anche che mandò un emissario con una lettera e che questa lettera venne portata al ministro Colombo. E penso che ci sia stato un incontro.

PRESIDENTE. Lei pensa che ci sia stato un incontro in Somalia?

GIORGIO GIOVANNINI. Penso.

PRESIDENTE. La ragione dell'incontro, però, non la sa. E quando sarebbe avvenuto ciò?

GIORGIO GIOVANNINI. Nel 1992, penso.

PRESIDENTE. Dunque, nel 1992 lei viene chiamato da Aidid, e va giù per questa ragione.

GIORGIO GIOVANNINI. Ero in Kenya. Mi ha mandato un aereo, e sono andato là.

PRESIDENTE. E dopo questo incontro con Aidid lei è più stato in Somalia, successivamente?

GIORGIO GIOVANNINI. Ci sono andato un'altra volta e ci sono stato quaranta giorni.

PRESIDENTE. In che anno?

GIORGIO GIOVANNINI. Intorno al 2000. Sono andato a Mogadiscio e ho fatto preparare delle richieste di interessamento, da parte di questi signori della guerra, per il Senato.

PRESIDENTE. E il Senato che c'entra?

GIORGIO GIOVANNINI. Chiedevano aiuto.

PRESIDENTE. Lei ha raccolto queste lettere?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì, e le ho spedite qui al Vicepresidente del Senato, che allora era Calderoli.

PRESIDENTE. Allora è stato dopo il 2000, perché Calderoli era Vicepresidente del Senato dal 2001.

GIORGIO GIOVANNINI. Sì, all'incirca quattro o cinque anni fa. In ogni modo, ho le copie a casa.

PRESIDENTE. Solo a Calderoli o ad altri?

GIORGIO GIOVANNINI. A Calderoli.

PRESIDENTE. Quindi, non al Senato, ma al Vicepresidente del Senato Calderoli.

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. Lei ha chiuso le buste delle lettere, o erano già chiuse? Che cosa chiedevano? E poi, chi chiedeva? Aidid?

GIORGIO GIOVANNINI. No, Aidid era già morto.

PRESIDENTE. C'è il figlio.

GIORGIO GIOVANNINI. Non lo conosco. C'era Cagnare (c'era già il governo di transizione, che era a Gibuti), c'era il


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primo ministro, che al tempo di Siad Barre era sindaco, Hassan, poi Osman Ato e altri. Erano cinque o sei.

PRESIDENTE. Che volevano?

GIORGIO GIOVANNINI. Italia, dacci una mano. Ci avete abbandonato.
Era sempre la solita storia: ci avete abbandonato, avete fatto questo, siamo d'accordo; se ci mettete le mani voialtri, possiamo venire ad un accordo.

PRESIDENTE. Al di là di questi che mi pare siano stati i soli rapporti, lei si è recato in Somalia per altre ragioni, oltre a questa della lettera per Calderoli?

GIORGIO GIOVANNINI. Sono stato quella volta lì. Poi sono stato a Baidoa.

PRESIDENTE. Quando?

GIORGIO GIOVANNINI. Penso nel 1998, per vacanze. Poi sono andato a Chisimaio, l'anno scorso, in agosto.
Per quello che ricordo io, dal 1992-1993 non sono più andato, se non per queste ragioni.

PRESIDENTE. Non essere andati non significa però non avere dei rapporti.
Con le autorità, claniche o altro,...

GIORGIO GIOVANNINI. ...sono ancora in contatto.

PRESIDENTE. Quindi lei ha sempre mantenuto i contatti?

GIORGIO GIOVANNINI. Senz'altro.

PRESIDENTE. Con chi ha mantenuto i contatti? Con Ali Mahdi, o con Aidid?

GIORGIO GIOVANNINI. Aidid è morto.
Con Osman Ato, uno della famiglia dei Saad. È quello che ha litigato con Aidid. E le dico anche il motivo. Nel periodo di Siad Barre, Osman Ato era in galera. Io sentivo sempre parlare di questo Osman Ato. Una sera che c'era un party, e c'erano anche quelli dell'ambasciata italiana, dissi al generale Osman Aneghel: parlate sempre di questo Osman Ato, faccelo conoscere!
Allora, lo mandò a prendere in galera, gli fece fare una doccia, lo portò a cena e lo riportò dopo in galera. E tutti dissero che ero stato io a farlo venire a cena...

PRESIDENTE. E a che serviva questo incontro?

GIORGIO GIOVANNINI. A niente. Si figuri lei come si poté parlare in un party in cui c'erano settanta o ottanta persone... Perciò, quando fu rilasciato, Osman Ato si mostrò amichevole.

PRESIDENTE. E dopo Osman Ato divenne potente?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì, diventò il braccio destro di Aidid.

PRESIDENTE. Poi ha preso il posto di Aidid?

GIORGIO GIOVANNINI. No, hanno litigato e uno è andato da una parte e l'altro dall'altra.

PRESIDENTE. Chi ha vinto?

GIORGIO GIOVANNINI. Non si sa.

PRESIDENTE. Osman Ato ha un territorio su cui esercita la sua influenza?

GIORGIO GIOVANNINI. Osman Ato è uno dei due capi degli Aber Ghedir. Sono lui e il figlio di Aidid.

PRESIDENTE. Vanno d'accordo?

GIORGIO GIOVANNINI. No. Va più d'accordo con il presidente fatto a Gibuti, Hassan, che con il figlio di Aidid, sicuramente.

PRESIDENTE. E come si colloca Ali Mahdi in questo scenario?


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GIORGIO GIOVANNINI. Ho conosciuto Ali Mahdi all'inizio. Lui faceva l'albergatore. L'ho conosciuto lì, poi l'ho visto in Italia. Mi sembra che avesse una figlia a Milano.

PRESIDENTE. Cosa sa della sua crescita? Sa se poi ha assunto il controllo di alcuni territori, in particolare a Mogadiscio nord?

GIORGIO GIOVANNINI. Questo senz'altro.

PRESIDENTE. Non ha mai avuto rapporti con Ali Mahdi?

GIORGIO GIOVANNINI. L'ho conosciuto. E l'ho visto qui in Italia.

PRESIDENTE. In quale occasione?

GIORGIO GIOVANNINI. Era venuto su.

PRESIDENTE. Per parlare con lei?

GIORGIO GIOVANNINI. No. Mi chiamò. Era a Milano, e poi andava a Bergamo, per sua figlia.
In ogni modo, della parte Abgal conoscevo bene il colonnello che si chiamava Gas Gas e il generale Gilao.

PRESIDENTE. Conosce Gafo? Gilao era con Ali Mahdi.

GIORGIO GIOVANNINI. Dopo, sì. Lo conoscevo bene perché era sempre con il generale Osman Aneghel, al quale era sottoposto.

PRESIDENTE. E Osman Aneghel che rapporti aveva con Ali Mahdi?

GIORGIO GIOVANNINI. Con tutti. Infatti, e questo è il motivo per cui ero sempre telefonicamente in contatto con lui, quando c'era Aidid, a Nairobi, lo misi in contatto con il generale Osman. Aidid voleva proporre al generale Osman, che era sempre stato antitribale, di diventare di nuovo il capo della polizia in Somalia, anche se era della parte contraria.
Perciò, il generale Osman partì da casa mia, andò a Nairobi, ebbe l'incontro con il generale Aidid, mi telefonò la sera dicendomi che l'incontro era andato benissimo. E andò giù con sua moglie per restarvi, dopo essere stato due anni da me. Mi disse: tutto è andato bene; probabilmente partirà anche una lettera alle Nazioni Unite per informarle di questa vicenda.
Due giorni dopo è morto.

PRESIDENTE. Mi pare di capire che lei con Aidid avesse dei rapporti e che avesse avuto rapporti anche con Siad Barre. Questi rapporti si sono poi trasferiti al figlio di Siad Barre?

GIORGIO GIOVANNINI. No, il figlio di Siad Barre automaticamente ...

PRESIDENTE. Si è escluso, è uscito.

GIORGIO GIOVANNINI. Della famiglia di Siad Barre l'unica persona che era rimasta attiva in questi movimenti di guerriglia è stato Morgan, che era il genero di Siad Barre.

PRESIDENTE. Uno dei signori della guerra.

GIORGIO GIOVANNINI. Poveretto.

PRESIDENTE. Perché «poveretto»?

GIORGIO GIOVANNINI. Ha fatto delle figure ...

PRESIDENTE. Perché? Lei non passava le armi a Morgan?

GIORGIO GIOVANNINI. No, garantito. Se le dico così, è così.

PRESIDENTE. Vorrei capire una cosa. Siad Barre si era riferito a lei, poi Aidid si riferisce a lei, Ali Mahdi viene in Italia e cerca di parlare con lei, Osman Ato, che poi è diventato un capo importante, si


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riferisce a lei. Questa convergenza di attenzione nei suoi confronti da che cosa era determinata? Dal fascino particolare, che certamente lei ha, oppure c'era un motivo diverso?

GIORGIO GIOVANNINI. Non c'era nessun motivo.

PRESIDENTE. Lei sta dicendo che dal 1992-1993 in poi i suoi rapporti con la Somalia sono di tipo turistico, qui invece ci sono delle attenzioni forti: Aidid non è uno che perde tempo e sappiamo anche che ha lottato molto per avere la supremazia in Somalia o, quanto meno, a Mogadiscio; Ali Mahdi ha fatto la stessa cosa, anche se poi si è un po' «afflosciato». Insomma, erano i personaggi più importanti o tra i più importanti nell'ambito degli scontri clanici e gli scontri clanici si fanno con le armi, o no?

GIORGIO GIOVANNINI. Senz'altro.

PRESIDENTE. Non dico sul piano dell'attività illecita, ma di quella lecita, lei è stato in qualche modo parte di questo tipo di operazioni oppure noi dobbiamo ritenere che qui vi sia stata una montagna di cose non vere?

GIORGIO GIOVANNINI. Assolutamente no.

PRESIDENTE. Ne prendiamo atto, non possiamo fare altro. Ad esempio, quando lei fu sentito dalla Digos dichiarò: «Quando è scoppiata la rivoluzione contro Siad Barre ricordo che il predetto generale Osman mi chiese di telefonare ad Aidid, che entrambi conoscevamo, lui perché erano colleghi e io per la comune frequentazione di party e cene, al fine di aprire un discorso volto a sondare la disponibilità di Aidid...». Si intende il padre?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. «...a gestire un nuovo governo che superasse i rancori tribali. Il generale Aneghel era in pratica l'unica persona del governo uscente cui era riconosciuta una certa credibilità». Perché Aidid era identificato come la persona che poteva fare questo?

GIORGIO GIOVANNINI. Non Aidid, ma Osman Aneghel.

PRESIDENTE. No, lei dice: «il predetto generale Osman mi chiese di telefonare ad Aidid (...), al fine di aprire un discorso volto a sondare la disponibilità di Aidid a gestire un nuovo governo».

GIORGIO GIOVANNINI. Infatti, l'incontro che fecero fu proprio per creare questo governo. Per quello che mi diceva Osman, non si poteva cercare di mettere in piedi un governo solo con persone delle tribù che avevano fatto la rivoluzione. Quindi, dovevano trovare una persona o alcune persone della tribù perdente. Osman Aneghel era uno della tribù perdente; praticamente, era un terzo cugino del Presidente. Per questo motivo lui mi chiese ed io feci questo contatto, e mi diede lui il numero, perché Aidid in quel periodo era sempre a Nairobi, come lo sono stati fino adesso.

PRESIDENTE. Conosce un certo Renato Brodi?

GIORGIO GIOVANNINI. Parodi.

PRESIDENTE. Chi è?

GIORGIO GIOVANNINI. Renato Parodi era un sangue misto, un ragazzo che aveva più o meno l'età di mio figlio, che mi aiutava quando ero giù.

PRESIDENTE. Che significa «sangue misto»?

GIORGIO GIOVANNINI. Figlio di un italiano e di una somala. L'ho detto per dire ...


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PRESIDENTE. Come lo conosce bene. Quindi, era una persona alle sue dipendenze? Chi era?

GIORGIO GIOVANNINI. No, veniva a casa nostra quando andavamo al mare, quando avevo bisogno di guidare una macchina, a Mogadiscio. Parlava benissimo l'italiano.

PRESIDENTE. Questo Parodi è rintracciabile?

GIORGIO GIOVANNINI. Non lo so.

PRESIDENTE. Un somalo di nome Fana lo ha mai sentito?

GIORGIO GIOVANNINI. Altro che!

PRESIDENTE. Chi è?

GIORGIO GIOVANNINI. Faceva parte del CID - addirittura era diventato ispettore - e fu quello che venne con me in Italia e vi rimase quando partimmo l'ultima volta per la rivoluzione. È stato a casa mia, perché con la rivoluzione non poteva tornare a casa, ed ora penso stia facendo l'autista di camion da qualche parte. In ogni modo, penso di poterlo rintracciare.

PRESIDENTE. La prego di prenderne nota, anche per quanto riguarda Parodi, nel caso riuscisse.

GIORGIO GIOVANNINI. Ho sentito parlare di Renato cinque o sei anni fa e mi hanno detto che era finito male, non so per quel motivo. Con Fana però penso di riuscire.

PRESIDENTE. Se ce lo rintraccia, ci fa una cortesia.

GIORGIO GIOVANNINI. Se lo rintraccio, gli devo dire di telefonare qui?

PRESIDENTE. Sì, alla Commissione. Con Mohamed Sheik Osman, ex ministro delle finanze con Siad Barre, lei che tipo di rapporto aveva?

GIORGIO GIOVANNINI. Nessuno, era molto antipatico.

PRESIDENTE. Lei sa dove sta adesso?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Le risulta che sia in Italia e che abiti in un castello nei pressi di Roma?

GIORGIO GIOVANNINI. No. So che aveva la figlia qui a Roma.

PRESIDENTE. È stato lui che l'ha introdotta in Somalia?

GIORGIO GIOVANNINI. No, assolutamente.

PRESIDENTE. Lui era un trafficante d'armi?

GIORGIO GIOVANNINI. Non lo so.

PRESIDENTE. Non le risulta che fosse un trafficante d'armi?

GIORGIO GIOVANNINI. Non mi risulta.

PRESIDENTE. Che rapporti ha avuto con lui?

GIORGIO GIOVANNINI. Con lui ho avuto solo dei rapporti per il semplice fatto che quando mi doveva mandare dei soldi era ...

PRESIDENTE. In Italia o in Somalia?

GIORGIO GIOVANNINI. Per le mie esportazioni dall'Italia.

PRESIDENTE. Lei faceva esportazioni per lui?


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GIORGIO GIOVANNINI. Non per lui. Tutto passava ...

PRESIDENTE. Dal ministro delle finanze.

GIORGIO GIOVANNINI. Per l'importazione, e quindi la banca doveva ricevere ...

PRESIDENTE. E lui faceva ostruzionismo?

GIORGIO GIOVANNINI. Perché voleva la «busta».

PRESIDENTE. E lei gliela dava?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Per questo eravate in cattivi rapporti?

GIORGIO GIOVANNINI. Poi un'altra cosa ...

PRESIDENTE. Delle armi si interessava lui?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Stava parlando di un'altra cosa.

GIORGIO GIOVANNINI. Io avevo venduto in Kuwait della merce - marmo - ad un kuwaitiano per 220 mila dollari. Questo kuwaitiano aveva una fattoria ad Afgoi e, quindi, mi fece il sequestro di questa fattoria.

PRESIDENTE. In che anno?

GIORGIO GIOVANNINI. Non mi ricordo.

PRESIDENTE. Prima di Siad Barre o c'era Siad Barre?

GIORGIO GIOVANNINI. Durante Siad Barre.

PRESIDENTE. Quindi, comandava Siad Barre.

GIORGIO GIOVANNINI. Lui che allora era una persona molto influente e potente fece cacciare in galera il mio uomo, il direttore di questa fattoria di 120 ettari, e si appropriò della mia fattoria.

PRESIDENTE. Nel 1994 lei dove stava? In Italia?

GIORGIO GIOVANNINI. Penso di sì.

PRESIDENTE. Il 20 marzo del 1994 muoiono i nostri due giornalisti, per i quali la Commissione sta operando.

GIORGIO GIOVANNINI. L'ho saputo come tutti gli italiani.

PRESIDENTE. Dalla televisione?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. Lei stava in Italia?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì, io stavo in Italia.

PRESIDENTE. Dove?

GIORGIO GIOVANNINI. In questo momento proprio ...

PRESIDENTE. Ricorda di avere svolto qualche attività per capire che cosa fosse successo?

GIORGIO GIOVANNINI. Venne a casa mia quel famoso giornalista ...

PRESIDENTE. Torrealta?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì, Torrealta, e mi chiese se ...

PRESIDENTE. Dopo quanto tempo dall'omicidio? Pochi giorni?

GIORGIO GIOVANNINI. Non pochi giorni, era passato già un po' di tempo.


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PRESIDENTE. Nell'anno 1994?

GIORGIO GIOVANNINI. Penso di sì.

PRESIDENTE. Era estate o inverno? Dove l'ha raggiunta? A Carpi?

GIORGIO GIOVANNINI. A Carpi. È venuto a casa mia e mi ha detto di questa cosa, mi ha chiesto se sapevo qualcosa ed io gli ho detto che sinceramente ...

PRESIDENTE. Perché venne da lei?

GIORGIO GIOVANNINI. Probabilmente perché ...

PRESIDENTE. Per le voci che circolavano?

GIORGIO GIOVANNINI. Le voci che circolavano, è chiaro.

PRESIDENTE. Per le voci che circolavano intorno a lei come trafficante di armi. Le chiese se lei era un trafficante di armi?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. E lei gli rispose che non era vero?

GIORGIO GIOVANNINI. Gli dissi quello che ho detto a lei adesso.

PRESIDENTE. Lui le disse da chi aveva saputo che lei poteva essere un trafficante di armi?

GIORGIO GIOVANNINI. Da voci di mercato. Poi tornò, perché mi chiese una cosa ...

CARMEN MOTTA. Lei ha parlato di voci di mercato, signor Giovannini, ma di quale mercato? Da dove poteva averlo appreso?

GIORGIO GIOVANNINI. Si era cominciato ad interessato di questa cosa e probabilmente ... Roma è piena di somali, ad esempio.

PRESIDENTE. Ma la voce di mercato è una cosa, la voce dei somali è un'altra.

GIORGIO GIOVANNINI. Voci sentite, la metta così.

CARMEN MOTTA. Mi perdoni, signor Giovannini, ma il problema è il seguente. Al di là del tecnicismo, voci di mercato o meno, se una voce di questo genere circola, i casi sono due: o ci sono persone che non hanno conoscenze dirette, ma dicono: «ho sentito dire, mi sembra», oppure c'è qualcuno che sa, che conosce molto bene e che racconta appositamente in giro magari che lei svolgeva quest'attività, perché queste cose non arrivano mai in maniera totalmente indifferente ai giornalisti. Ci spieghi un po', secondo lei, qual era questo ambiente di mercato dove erano potute maturare queste voci. A noi interessa molto questo passaggio con il giornalista Torrealta.

PRESIDENTE. Lei è simpaticissimo, noi pensiamo di lei tutte le cose possibili, però deve considerare che questo non è un salotto.

GIORGIO GIOVANNINI. È chiaro.

PRESIDENTE. Allora deve parlare vicino al microfono.

GIORGIO GIOVANNINI. Sto mancando di rispetto?

PRESIDENTE. No, lei si sta divertendo.

GIORGIO GIOVANNINI. Non mi sto divertendo, sto cercando di rispondere a quello che mi chiedete, perché ad un certo momento ...

PRESIDENTE. Chiarisca la sua posizione, parlando al microfono.


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GIORGIO GIOVANNINI. Quando venne Torrealta, che mi riferì di queste voci, gli dissi: «Assolutamente no», e gli spiegai, come dissi quando venni chiamato alla Digos, perché potevano essere nate delle voci. Mi disse addirittura: «Guarda che ti hanno visto passare il confine». Io passavo tutte le settimane il confine con la Jugoslavia avendo lì una fabbrica di cristallo e gli uffici. «Con il generale Osman Aneghel?», «Ma senz'altro». Queste cose sono effettivamente esistite. Addirittura dissi a Torrealta: «Se posso, ti do una mano, però è difficile in questo momento, perché è troppo fresca la situazione». Addirittura lui mi ha chiesto se conoscevo un certo Mugne e gli ho detto che lo conoscevo, perché era continuamente alla Presidenza. «Ma sai qualcosa di questi pescherecci?». Ho detto: «So che ha fregato i pescherecci», e li ha fregati per il semplice fatto che li ha ancora in mano.
Ad un certo momento lo chiamai e mi chiese se potevo arrivare ad un determinato conto corrente, perché questo Mugne ... poi avevano fatto questa società con la Ghisa di Reggio Emilia, e da Carpi a Reggio Emilia sono 28 chilometri ...

PRESIDENTE. L'onorevole Motta è di Parma.

GIORGIO GIOVANNINI. Addirittura lo chiamai io e gli dissi che era il figlio del padrone della Ghisa che aveva aperto questo conto. È finita lì, e poi non mi sono più interessato di chiedere, a parte che ho sentito una cosa ...

PRESIDENTE. Quando avviene questo incontro con Torrealta?

GIORGIO GIOVANNINI. Ho avuto due o tre incontri con Torrealta ed è sempre venuto lui a casa mia.

PRESIDENTE. Ma io vorrei che lei facesse un po' mente locale, naturalmente senza inventarsi niente. Noi vorremmo soltanto delle indicazioni dal punto di vista dei tempi.

GIORGIO GIOVANNINI. Non era sicuramente inverno.

PRESIDENTE. La prima volta?

GIORGIO GIOVANNINI. E anche la seconda e la terza volta; sempre nel giro di due, tre o quattro mesi al massimo, l'ho visto tre volte. Di sicuro non era inverno.

PRESIDENTE. Venne con una telecamera?

GIORGIO GIOVANNINI. Venne con due persone la prima volta. Io non lo conoscevo, disse: «Io sono giornalista e il collega pure».

PRESIDENTE. Due italiani?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. Non c'era nessuno di colore con lui?

GIORGIO GIOVANNINI. No, mai. Venne con queste due persone.

PRESIDENTE. Dove l'ha intervistata? In casa sua?

GIORGIO GIOVANNINI. In casa mia. L'ultima volta l'ho chiamato io, perché mi aveva lasciato il numero nel caso fossi riuscito a sapere qualcosa.

PRESIDENTE. Lei dice di non aver fatto altre indagini, però ricorda di avere chiesto qualcosa ad Aidid su questa vicenda?

GIORGIO GIOVANNINI. No, io ho chiesto qualcosa quando sono stato a Mogadiscio.

PRESIDENTE. Quando?

GIORGIO GIOVANNINI. Le posso comunicare poi le date precise perché ho le famose lettere.


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PRESIDENTE. Quando vi fu la questione delle lettere, quindi, nel 2001?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. Con chi parlò?

GIORGIO GIOVANNINI. Con la gente, tra l'altro dell'albergo, dove venivano a dormire tutti quelli del nuovo governo. Un vecchietto, che tra l'altro prima era un poliziotto, faceva il guardiano all'hotel, ma era un sergente - penso - della polizia ai vecchi tempi, mi disse che erano stati gli islamici a fare quel lavoro.

PRESIDENTE. Le devo fare una contestazione, sempre in relazione all'audizione del 20 febbraio alla Digos. Anzitutto, il 20 febbraio 2001 Calderoli non poteva essere Vicepresidente del Senato, perché le elezioni si sono svolte a maggio del 2001.

GIORGIO GIOVANNINI. Non so se lì hanno scritto 2001.

PRESIDENTE. Questo lo ha detto lei, il verbale è del 20 febbraio. Lei dichiarò: «Sull'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin non ho alcuna cognizione diretta. Come detto, io mancavo dalla Somalia da almeno due anni», nel 1994. «Ricordo che chiesi al generale Aidid per telefono notizie su questo omicidio».

GIORGIO GIOVANNINI. Per telefono, non l'ho incontrato. Mi disse che non sapeva niente.

PRESIDENTE. No, non le disse solo questo. Che cosa le disse?

GIORGIO GIOVANNINI. Non ricordo.

PRESIDENTE. «Non mi fornì alcuna indicazione, ma mi disse che prima o poi l'autore sarebbe stato scoperto».

GIORGIO GIOVANNINI. Lo dicono tutti.

PRESIDENTE. È una frase fatta. Lei poi ha saputo qualche altra cosa da Aidid?

GIORGIO GIOVANNINI. No, perché non ho più avuto né la possibilità né ...

PRESIDENTE. «Un altro cittadino somalo, tale Nur, che faceva il sorvegliante alla mia fattoria, mi ha detto, in occasione di una sua venuta in Italia per salutarmi prima di trasferirsi negli USA, che non aveva notizie precise in merito, ma che a suo parere potevano essere anche coinvolti i fondamentalisti islamici».

GIORGIO GIOVANNINI. Ho avuto la stessa indicazione da quell'ispettore di polizia.

PRESIDENTE. Quando fece questa telefonata ad Aidid? Subito dopo l'omicidio?

GIORGIO GIOVANNINI. Non mi ricordo se ...

PRESIDENTE. Lei ha detto che il 20 marzo ha appreso, come tutti gli italiani, che i due giornalisti erano stati uccisi.

GIORGIO GIOVANNINI. Dopo che ebbi l'incontro con Torrealta, perché quest'ultimo mi aveva chiesto se potevo dargli una mano, se potevo dire qualcosa.

PRESIDENTE. Invece con Nur quando ha parlato?

GIORGIO GIOVANNINI. Con Nur ho parlato più o meno nello stesso periodo.

PRESIDENTE. Ci ha parlato di persona in questo caso?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Sempre per telefono?

GIORGIO GIOVANNINI. Sempre per telefono, perché lui era al Cairo, e adesso è in America con la famiglia.


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PRESIDENTE. Chi è questo Nur?

GIORGIO GIOVANNINI. Nur era il direttore della mia azienda, quello che badava a tutta la roba. Dopo stette un po' in Italia, poi portò la famiglia al Cairo.

PRESIDENTE. È questa persona: Mohamed Yusuf Nur?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. Che è nato nel 1950 a Mogadiscio?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. Lei lo ha mai avuto ospite a casa in Italia?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. Anche Hussein Ahmed Osman è stato a casa sua più volte?

GIORGIO GIOVANNINI. È il generale Osman: lui e sua moglie sono stati miei ospiti per due anni.

CARMEN MOTTA. Signor Giovannini, mi perdoni, lei tiene questo generale ospite a casa sua per due anni. Ovviamente, lo fa per amicizia?

GIORGIO GIOVANNINI. È chiaro. Il generale Osman Aneghel è stato a casa mia per due anni finché non è tornato giù all'incontro con Aidid, lui e sua moglie.

CARMEN MOTTA. Lei ha fatto una ricostruzione dei suoi rapporti con le autorità somale prima della rivoluzione, come lei ha detto, ma anche dopo. Quindi, lei ha conosciuto il prima e il dopo. Come mai? La fiducia che hanno mantenuto nei suoi confronti a che cosa l'attribuisce? Al fatto che ogni volta che le è stato chiesto aiuto da parte di queste persone lei si è sempre prestato, al fatto che lei era una persona, al di là delle intermediazioni, comunque affidabile oppure al fatto che lei conosceva persone importanti in Italia, del Governo italiano, che potevano essere state utili ai governi somali?

GIORGIO GIOVANNINI. Per prima cosa, ero amico del generale Osman, che era una persona che godeva fiducia in pratica da tutte le tribù. Il mio interesse, come ho detto prima, è che ho un'azienda e, se riesco a metterla a posto, in vecchiaia me la spasso.

CARMEN MOTTA. Quindi, lei mi sta dicendo che riscuoteva fiducia presso le autorità somale ed era una persona per loro affidabile, perché aveva questo legame personale con Osman, che riscuoteva la fiducia di tutte le tribù. Si può dire che era una specie di fiducia che veniva confermata da un somalo?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì, penso fosse così, perché nei periodi in cui ero lì certamente questa gente non poteva avere tutta questa conoscenza nei miei confronti.

CARMEN MOTTA. Quindi, ovviamente Osman ha parlato bene di lei.

GIORGIO GIOVANNINI. È chiaro.

CARMEN MOTTA. Quindi, lei attribuisce solo a questo fatto la fiducia ed il rapporto privilegiato che le autorità somale avevano con lei. Non lo può imputare assolutamente a conoscenze che lei aveva in Italia ed alla possibilità di mettere in diretto contatto le autorità somale con sue conoscenze, secondo me di alto livello, in Italia? Non stiamo parlando di industriali, ma di conoscenze politiche.

GIORGIO GIOVANNINI. No, assolutamente, per il semplice fatto che l'unica persona che io ho conosciuto è stato un generale del Sismi, che è venuto da Osman alcune volte, e addirittura so che il Sismi ...

PRESIDENTE. Si chiamava Rajola Pescarini?


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GIORGIO GIOVANNINI. Sì. L'ho conosciuto in Italia.

CARMEN MOTTA. Quando?

GIORGIO GIOVANNINI. Due mesi dopo la rivoluzione.

CARMEN MOTTA. Stiamo parlando di un dirigente importantissimo dei nostri Servizi. Come mai l'ha conosciuto?

GIORGIO GIOVANNINI. L'ho conosciuto perché quando arrivò in Italia il generale Osman tutti i documenti glieli fecero questi signori.

PRESIDENTE. Del Sismi?

CARMEN MOTTA. Cioè Rajola Pescarini?

GIORGIO GIOVANNINI. Penso lui, lo ricevette lui. Io venni a prendere Osman che era arrivato a Roma ...

PRESIDENTE. Spieghi bene questo aspetto. Siamo a due mesi dopo la caduta di Siad Barre; è esatto?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. Perché viene in Italia il generale Osman?

GIORGIO GIOVANNINI. Mi chiama da Nairobi: «Giorgio, non so dove andare. Mi puoi ospitare a casa tua per un po' di tempo?». «Senz'altro». «Arrivo a Roma. Mi puoi venire a prendere?». «Senz'altro». Sono venuto a Roma e sono andato a prenderlo quando lui mi ha detto che era partito da Nairobi. Lui si era fermato non ricordo più in quale hotel, che probabilmente avevano prenotato quei signori. È stato tre o quattro giorni e poi sono tornato a prenderlo e l'ho portato a casa mia.

PRESIDENTE. In questi tre-quattro giorni lei ha conosciuto Rajola Pescarini?

GIORGIO GIOVANNINI. Io ho conosciuto la prima volta Rajola.

PRESIDENTE. Come l'ha conosciuto? Chi l'ha portata da Rajola Pescarini?

GIORGIO GIOVANNINI. È venuto lui in hotel.

PRESIDENTE. E lei era presente all'incontro?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. Come si è presentato Rajola Pescarini e a chi si è presentato? A lei o ad Osman?

GIORGIO GIOVANNINI. Erano amici

CARMEN MOTTA. Si conoscevano, quindi?

GIORGIO GIOVANNINI. Perdinci!

PRESIDENTE. Si davano del tu?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. Quindi, era un rapporto molto forte.

GIORGIO GIOVANNINI. Quella fu la prima volta.

PRESIDENTE. Fu presente al colloquio?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. Di che cosa parlarono?

GIORGIO GIOVANNINI. In pratica, di niente, perché probabilmente avevano avuto tempo di parlare anche prima. Un'altra volta ho visto Rajola a casa mia: venne su e portò dei documenti, penso fosse il certificato di residenza per lui e per la moglie. Poi l'ho visto un'altra volta a Roma; ero con Osman, eravamo venuti a trovare proprio la figlia di Siad Barre, che era qua, che venne a salutare Osman.


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PRESIDENTE. Quindi, Rajola Pescarini era vicino a Siad Barre sostanzialmente? Comunque, i rapporti che c'erano con questo Osman e la fraternità dimostrano che ...

GIORGIO GIOVANNINI. Con Osman sicuramente.

PRESIDENTE. Ma Osman era Siad Barre.

GIORGIO GIOVANNINI. Praticamente.

PRESIDENTE. Quindi, il rapporto nasce da lì. Lei ha fatto anche un'altra dichiarazione: «A Carpi», non a Roma, «ho conosciuto il colonnello Rajola, che era venuto dal generale Aneghel e so che il Servizio aveva aiutato economicamente il generale somalo». Quindi, ha conosciuto Rajola a Carpi e non a Roma, come ha detto poco fa?

GIORGIO GIOVANNINI. A Carpi l'ho conosciuto meglio.

PRESIDENTE. Precisiamo: quindi, non l'ha conosciuto a Carpi.

GIORGIO GIOVANNINI. Io l'ho visto a Roma e a casa mia.

PRESIDENTE. Quindi, è venuto anche a casa sua a Carpi?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì, quando portò su quei documenti.

PRESIDENTE. «So che il Servizio aveva aiutato economicamente il generale somalo». Che significa che aveva aiutato economicamente Osman?

GIORGIO GIOVANNINI. Gli passavano senz'altro qualcosa per vivere.

PRESIDENTE. Soldi? A che titolo glieli davano?

GIORGIO GIOVANNINI. Non l'ho mai chiesto.

PRESIDENTE. C'è un altro particolare: «In precedenza io lo avevo visto ad una festa in Somalia. In quell'occasione dell'incontro tra Osman e Rajola avevano parlato del modo di ...

GIORGIO GIOVANNINI. Non l'avevo conosciuto.

PRESIDENTE. Non è vero, lei ricorda male. «Avevano parlato del modo di impostare e pianificare i rapporti con il generale Aidid. Alla discussione intervenni anch'io. Rajola diceva che era meglio prendere contatti con Ali Mahdi, mentre il generale Osman diceva di non essere d'accordo poiché con quest'ultimo», cioè con Ali Mahdi, «non si poteva ragionare avendo fatto sino ad allora l'albergatore».

GIORGIO GIOVANNINI. Questo discorso lo fecero a Roma, la terza volta.

PRESIDENTE. Allora qui è sbagliato.

GIORGIO GIOVANNINI. A Roma, non a casa mia.

PRESIDENTE. «In precedenza l'avevo visto ad una festa in Somalia. In quell'occasione», in Somalia, «dell'incontro tra Osman e Rajola avevano parlato...».

GIORGIO GIOVANNINI. È tutto sbagliato, per un semplice fatto: come fanno a parlare Rajola e...

PRESIDENTE. Certo, perché per parlare di Aidid bisognava che il regime fosse già caduto, ma poteva anche essere un regime che stava per cadere e, quindi, preparava un passaggio morbido attraverso Aidid. Potrebbe anche essere questo.
La domanda è la seguente: lei in Somalia ha mai visto Rajola Pescarini, da solo o in compagnia di qualcuno?

GIORGIO GIOVANNINI. No. Ho visto e conoscevo - non ricordo più i nomi - tutti quelli dell'ambasciata.


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PRESIDENTE. Con i politici del tempo - mi riferisco, in particolare, a Bettino Craxi e a Pillitteri, che sono due nomi che vengono spesso collegati alla sua persona - lei che tipo di rapporti ha avuto?

GIORGIO GIOVANNINI. Non li ho mai conosciuti. Io non ho mai conosciuto né Craxi né Pillitteri.

PRESIDENTE. C'erano emissari di Craxi o di Pillitteri che la contattavano?

GIORGIO GIOVANNINI. Mai, sono sempre stato completamente fuori dalla politica.

PRESIDENTE. Oltre a Rajola Pescarini, ha conosciuto qualcun altro del Sismi?

GIORGIO GIOVANNINI. C'erano due ragazzi, che erano giù, gli ultimi due ...

PRESIDENTE. Tedesco?

GIORGIO GIOVANNINI. Non ricordo.

ELETTRA DEIANA. Alfredo.

GIORGIO GIOVANNINI. Forse.

PRESIDENTE. Lei che rapporti aveva con questi ragazzi?

GIORGIO GIOVANNINI. Nessuno. Si trovavano sempre a casa di Osman la sera, una o due volte alla settimana, a questi party, perché non c'era altro da fare.

PRESIDENTE. Con personalità dell'esercito italiano ha avuti rapporti?

GIORGIO GIOVANNINI. Mai.

PRESIDENTE. Nemmeno con riferimento alla missione Restore hope?

GIORGIO GIOVANNINI. No, assolutamente.

PRESIDENTE. Quante volte ha incontrato Mugne?

GIORGIO GIOVANNINI. Tutte le volte che andavo alla Presidenza c'era Mugne che girava.

PRESIDENTE. Alla Presidenza di Siad Barre?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. Mugne si accreditava come uomo di Bettino Craxi?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. Ed anche come uomo di Pillitteri?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. In che senso si accreditava come uomo di Bettino Craxi?

GIORGIO GIOVANNINI. Da quello che ho sentito, le navi che erano state date ...

PRESIDENTE. Della Shifco?

GIORGIO GIOVANNINI. Ma prima non si chiamava Shifco.

PRESIDENTE. Lo so, si chiamava. in un altro modo.

GIORGIO GIOVANNINI. Le navi erano state date appunto con l'aiuto di Craxi, da quello che ho sentito.

PRESIDENTE. E per questa ragione poi le ha prese Mugne e le ha tenute?

GIORGIO GIOVANNINI. Dopo la rivoluzione lui si è preso le navi. Ho visto Mugne di corsa, in agosto, a Nairobi, e addirittura ha fatto finta di non vedermi.

PRESIDENTE. Lei non ha mai sentito qualcuno che riteneva che questi pescherecci, invece di essere utilizzati per la pesca o oltre ad essere utilizzati per la pesca, servissero anche al trasporto di armi, in particolare talvolta anche dall'Italia verso la Somalia?


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GIORGIO GIOVANNINI. No, non ho mai sentito parlare di questo, tranne quello che poi si è sentito per televisione su quel peschereccio, che non so se fosse uno di quei tre, che fu sequestrato.

PRESIDENTE. Lei sa, quindi, che fu sequestrato un peschereccio?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. Sa da chi fu sequestrato?

GIORGIO GIOVANNINI. Fu sequestrato dall'ugas di Bosaso: lo hanno detto in televisione. In ogni modo, penso che l'ugas di Bosaso sia ancora vivo, faceva parte del governo transitorio.

PRESIDENTE. Lei ha avuto rapporti di lavoro con Mugne?

GIORGIO GIOVANNINI. Mai.

PRESIDENTE. Sa che cos'è il CEFA?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. È il Centro europeo di formazione agraria, che ha sede a Bologna. Lei ha mai lavorato con il CEFA?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Mai sentito nominare? Lei sa che anche il CEFA è indicato come fonte di traffico di armi?

GIORGIO GIOVANNINI. Ho avuto un incontro tre anni fa con Bersani, che mi pare fosse un nostro senatore.

PRESIDENTE. Era presidente del CEFA?

GIORGIO GIOVANNINI. Penso di sì.

PRESIDENTE. Quando ha parlato con Bersani?

GIORGIO GIOVANNINI. Tre o quattro anni fa.

PRESIDENTE. Di che cosa avete parlato?

GIORGIO GIOVANNINI. Della Somalia, per una scuola, per cui mi chiedeva se mi potevo interessare.

PRESIDENTE. Ha mai sentito nominare padre Elio Sommavilla, un sacerdote che abbiamo accertato essere ancora tale?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Ha mai conosciuto Yusuf Mohamed Ismail, dell'SSDF, detto Beri Beri?

GIORGIO GIOVANNINI. Non potrei garantire ...

PRESIDENTE. Il sultano di Bosaso, Mussa Bogor, lo ha mai conosciuto?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. Chi era questo sultano? A chi era legato, dal punto di vista dei clan di Mogadiscio? Era in collegamento con Aidid, con Ali Mahdi o con chi?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Non era con Aidid?

GIORGIO GIOVANNINI. Sicuramente no.

PRESIDENTE. Lei sa che la nave fu sequestrata a Bosaso?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì, questo senz'altro.

PRESIDENTE. Lei ha detto un attimo fa che lui era praticamente l'autorità ...


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GIORGIO GIOVANNINI. Lui a Bosaso era l'autorità in quel momento, ma dato che a Bosaso ci sono i Darood, che sono della famiglia contraria ...

PRESIDENTE. Contraria a chi?

GIORGIO GIOVANNINI. Con gli Abgal non è che andassero ...

PRESIDENTE. Contraria agli Abgal. Perché?

GIORGIO GIOVANNINI. Agli Haber Gidir; sono più portati verso gli Abgal.

PRESIDENTE. Invece il sultano di Bosaso era verso gli Abgal?

GIORGIO GIOVANNINI. Certamente, eventualmente ...

PRESIDENTE. Più collegato con loro che con gli Haber Gidir.

GIORGIO GIOVANNINI. Secondo me, ma sono mie opinioni.

PRESIDENTE. Ha mai conosciuto Aldo Anghessa?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Ha mai conosciuto Francesco Corneli?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Garelli lo ha conosciuto invece?

GIORGIO GIOVANNINI. Che cosa faceva Garelli?

PRESIDENTE. Faceva il trafficante d'armi.

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Non l'ha mai conosciuto?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Franco Giorgi, un altro del settore?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Non l'ha mai conosciuto?

GIORGIO GIOVANNINI. No, mai.

PRESIDENTE. Renzo Pozzo?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Vito Panati?

GIORGIO GIOVANNINI. Neanche.

PRESIDENTE. Bearzi Pietro?

GIORGIO GIOVANNINI. Neanche.

PRESIDENTE. Giampiero Sebri?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Vediamo se conosce qualcuna di queste persone (Vengono mostrate al teste delle fotografie).
Lei ha mai sentito parlare di un certo Gelle?

GIORGIO GIOVANNINI. Era un ufficiale di sicuro, Omar Gelle. Può darsi anche che lo abbia visto ...

PRESIDENTE. Era una persona anziana o giovane?

GIORGIO GIOVANNINI. Sicuramente una persona anziana.

PRESIDENTE. Conosce questa persona?

GIORGIO GIOVANNINI. Mi sembra.

PRESIDENTE. L'ufficio mostra al teste i documenti A, B e C, che ritraggono molte


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persone di colore. In nessuna di esse il teste riconosce persone di sua frequentazione.

GIORGIO GIOVANNINI. No, assolutamente. Questo assomiglia a qualcuno.

PRESIDENTE. L'ufficio mostra al teste la foto segnaletica di un documento che successivamente sarà indicato ed il teste dichiara che gli sembra di aver conosciuto la persona ritratta.

GIORGIO GIOVANNINI. Assomiglia a Mugne, senza i baffi.

PRESIDENTE. Dove l'ha conosciuto? In Somalia o in Italia?

GIORGIO GIOVANNINI. Non lo so. È una fisionomia che mi è nota, ma mi posso confondere.

PRESIDENTE. Il teste, sia pure senza saperne indicare il nome, ha riconosciuto in questa foto persona da lui contattata o comunque vista.
Conosce questa persona?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. E quest'altra?

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Mostrato al teste il documento T, non riconosce alcuna persona. Mostrata al teste la foto segnaletica riguardante Ahmed Ali Rage, detto Gelle, dichiara di non conoscerlo.
Propongo di procedere in seduta segreta. Non essendovi obiezioni, dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno.

(La Commissione procede in seduta segreta).

PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno.
Do la parola all'onorevole Deiana.

ELETTRA DEIANA. Signor Giovannini, relativamente ai suo rapporti con i somali - non se questa domanda le sia già stata posta -, secondo una nota del Sisde del 25 maggio 1992 lei avrebbe comunicato presso il commissariato della Polizia di Stato di Carpi la cessione, a titolo gratuito, di un suo appartamento al cittadino somalo Hussein Ahmed Osman.

GIORGIO GIOVANNINI. Non si trattava di un mio appartamento; ho preso un appartamento in affitto. Prima l'ho ospitato in una casa di campagna e poi, dato che era lontano e non aveva la macchina, gli ho preso un appartamento in affitto nel centro di Carpi.

ELETTRA DEIANA. Poi ha curato l'ospitalità in Italia, sempre presso la sua abitazione, di Mohamed Yusuf Nur.

GIORGIO GIOVANNINI. C'era anche Fana. Erano in due.

ELETTRA DEIANA. Tutto ciò per l'amicizia che la legava a questi personaggi?

GIORGIO GIOVANNINI. Nur era il direttore dell'azienda e Fana era il capo guardia che mi avevano dato giù per la casa e per l'azienda. Quando siamo giunti in Italia ho detto loro che potevano venire a trascorrere il Natale con me; poi non sono più riusciti a tornare giù, perché il 29 o il 30 dicembre è scoppiata la rivoluzione.

ELETTRA DEIANA. Lei quindi aveva degli obblighi di amicizia nei loro confronti.

GIORGIO GIOVANNINI. No, ma non sarebbe stato bello dire loro di andarsene via. Fana è riuscito poi ad avere i documenti; penso sia ancora in Italia e fa il camionista. Invece Nur, che aveva famiglia...

ELETTRA DEIANA. Lei ha ancora rapporti con Fana?


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GIORGIO GIOVANNINI. Ogni tanto mi chiama.

ELETTRA DEIANA. Quando Torrealta è venuto da lei - non so se ne abbiate già parlato - le ha detto attraverso quali contatti il suo nome fosse venuto...

GIORGIO GIOVANNINI. No.

ELETTRA DEIANA. E lei non ha avvertito la curiosità di capire come mai questo giornalista...

GIORGIO GIOVANNINI. Mi ha detto che era un giornalista del TG3 e che era venuto per sapere se avessi seguito la questione di Ilaria Alpi. Ho risposto di sì, che aveva vissuto là, eccetera eccetera...

ELETTRA DEIANA. Aveva vissuto là... Ma che notizie aveva su di lei? Molti italiani hanno vissuto là.

GIORGIO GIOVANNINI. Ma io non ho vissuto là, per prima cosa.

ELETTRA DEIANA. Appunto. A parte le sue vicende...

GIORGIO GIOVANNINI. Mi ha chiesto se fossi a conoscenza di qualche notizia per contribuire a risolvere questa vicenda.

ELETTRA DEIANA. Così, vagamente?

GIORGIO GIOVANNINI. Così. È venuto tre volte; una volta l'ho addirittura chiamato io per dargli il numero di quel conto, perché lui pensava di risalire alla faccenda delle navi...

ELETTRA DEIANA. Della Shifco. Ma in genere un giornalista, per accreditarsi presso un interlocutore nuovo - per la dimestichezza che ho con il mondo del giornalismo - esibisce riferimenti, personaggi in comune, conoscenze... Se si presenta un giornalista da me e mi chiede qualcosa senza dirmi da che parte venga, è difficile che io mi faccia...

GIORGIO GIOVANNINI. Mi ha fatto vedere i tesserini. Non c'è stato alcun problema nell'accettare questo discorso.

ELETTRA DEIANA. Ma Torrealta aveva qualche precisa domanda da porle oppure genericamente le ha chiesto che cosa sapesse?

GIORGIO GIOVANNINI. Mi ha chiesto: che cosa sa?

ELETTRA DEIANA. Torrealta sapeva che lei non aveva vissuto in quel periodo in Somalia?

GIORGIO GIOVANNINI. Non lo so. Bisognerebbe chiederglielo.

PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Motta.

CARMEN MOTTA. Signor Giovannini, si è fatto un'idea, oppure l'ha chiesto a Torrealta, su chi può aver fatto il suo nome al giornalista?

GIORGIO GIOVANNINI. Mi pare che mi abbia detto che un somalo, un tizio che vive da quelle parti, mi aveva visto passare il confine a Trieste con il generale Osman.

CARMEN MOTTA. Mi perdoni se sono un po' insistente, ma lei ha detto che un tizio l'aveva vista passare il confine con Osman...

GIORGIO GIOVANNINI. Lui mi ha detto così. Sa, le voci...

CARMEN MOTTA. Quando Torrealta le ha detto così, non le è venuta la curiosità di chiedergli «un tizio, chi?». Non è che uno passa il confine e ci sono file di somali che casualmente sono lì e dicono «forse mi sembra di riconoscere il signor Giovannini».

GIORGIO GIOVANNINI. Ma conoscevano bene il generale Osman Aneghel. Era molto conosciuto.


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CARMEN MOTTA. Ma sarebbe come dire che al confine stazionavano, non con tanta casualità, persone che osservavano attentamente chi entrava e chi usciva. O no?

GIORGIO GIOVANNINI. Detta così, sì. Penso che quella persona lavorasse a Trieste; doveva essere un commerciante somalo, qualcosa del genere. Dovrebbe essere così. Quando venne la prima volta aveva con sé uno che doveva essere di quelle parti, di Trieste o di Treviso.

CARMEN MOTTA. Non è che per caso si trattava di un giornalista?

GIORGIO GIOVANNINI. Non lo so. Aveva una specie di barba, un pizzetto; questo lo ricordo.

CARMEN MOTTA. Era basso e grosso?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. Si chiamava Grimaldi?

GIORGIO GIOVANNINI. Non lo so.

ELETTRA DEIANA. Lei si ricorda di questo viaggio al confine con il generale Osman?

GIORGIO GIOVANNINI. Ne ho fatti tanti...

ELETTRA DEIANA. E perché andava al di là del confine?

CARMEN MOTTA. Può ripeterlo cortesemente per la collega?

GIORGIO GIOVANNINI. Sono andato tre o quattro volte con il generale a Belgrado per le traduzioni dei contratti che stipulava con il governo iugoslavo, e poi...

ELETTRA DEIANA. Chi li faceva i contratti? Lei?

GIORGIO GIOVANNINI. No, il generale.

ELETTRA DEIANA. Che contratti stipulava?

GIORGIO GIOVANNINI. Per importazioni di munizionamento. Poi il generale Osman aveva due sorelle della moglie all'università di Zagabria; quando veniva in Italia passava di là e andava a Belgrado.

CARMEN MOTTA. Il signore con il pizzetto, un po' tarchiato, che era con il dottor Torrealta la prima volta, ha assistito soltanto al vostro colloquio o le ha anche rivolto delle domande?

GIORGIO GIOVANNINI. Ha assistito solo al colloquio.

CARMEN MOTTA. Perché lei ha chiesto a Torrealta di non riprenderla?

GIORGIO GIOVANNINI. Che motivo c'era?

CARMEN MOTTA. Glielo chiedo.

GIORGIO GIOVANNINI. Non vedevo alcun motivo per cui lui mi dovesse riprendere. Non capisco.

CARMEN MOTTA. Sa perché glielo chiedo? Perché io non avrei parlato di fronte a degli estranei. Lei ha parlato alla presenza di un signore che adesso sta dicendo di non sapere neanche chi fosse.

GIORGIO GIOVANNINI. È così. Torrealta mi chiese se poteva registrare l'incontro, ma ho rifiutato. C'era questo signore e penso che fuori ci fosse anche l'autista, che anzi è addirittura venuto dentro. C'era questo signore...

CARMEN MOTTA. C'era soltanto questo signore o anche un'altra persona?

GIORGIO GIOVANNINI. C'era un'altra persona, che è uscita ed è rimasta fuori.


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CARMEN MOTTA. Ce la può descrivere sommariamente? Era somalo o era un bianco?

GIORGIO GIOVANNINI. Era un bianco.

ELETTRA DEIANA. Era italiano?

GIORGIO GIOVANNINI. Sicuramente.

PRESIDENTE. Era piccolo, di statura bassa?

GIORGIO GIOVANNINI. Di statura bassa era quello con il pizzetto; secondo me era l'autista.

CARMEN MOTTA. Poteva essere una persona non troppo alta, minuta?

GIORGIO GIOVANNINI. Forse. Grasso non era di sicuro.

CARMEN MOTTA. Era rosso di capelli?

GIORGIO GIOVANNINI. Non lo ricordo. Ricordo che era in camicia.

CARMEN MOTTA. L'accento era veneto?

GIORGIO GIOVANNINI. Mi pare di sì.

ELETTRA DEIANA. Facciamogli vedere la fotografia.

PRESIDENTE. La stiamo cercando.
Nella prima intervista, che poi non era tale perché non doveva essere registrata, parlaste dell'omicidio di Ilaria Alpi?

GIORGIO GIOVANNINI. Lui mi chiese appunto se sapevo qualcosa, se potevo dargli una mano in ordine all'omicidio di Ilaria Alpi, perché voci che aveva sentito in giro avevano indicato Giovannini Giorgio... Tanto è vero che mi sono anche un po'..., perché hanno fatto il mio nome, ma ho lasciato correre.

CARMEN MOTTA. E negli altri due incontri di cosa avete parlato?

GIORGIO GIOVANNINI. Mi ha chiesto se riuscivo ad avere qualche informazione che potesse contribuire ad arrivare...

CARMEN MOTTA. Avete avuto un primo incontro e il dottor Torrealta le ha chiesto se sapesse qualcosa. Lei ha detto che se fosse riuscito a sapere qualcosa glielo avrebbe fatto sapere. Quindi si è incontrato di nuovo con Torrealta: era da solo?

GIORGIO GIOVANNINI. In casa è venuto da solo.

CARMEN MOTTA. Ha registrato?

GIORGIO GIOVANNINI. Non lo ricordo. Se lo ha fatto, lo ha fatto di nascosto.

CARMEN MOTTA. E di che cosa avete parlato? Cosa gli ha riferito lei?

GIORGIO GIOVANNINI. Mi ha chiesto se riuscivo a sapere qualcosa di quei pescherecci.

CARMEN MOTTA. Le ha chiesto notizie dei pescherecci?

GIORGIO GIOVANNINI. Mi ha chiesto se conoscevo Mugne, e ho risposto che lo conoscevo senz'altro, ma nell'ambito della residenza. La terza volta l'ho chiamato io, dicendo che la ditta dei pescherecci di Mugne non si chiamava più con il nome precedente ma si chiamava Shifco e che era stato aperto un conto corrente presso la Banca commerciale italiana a Reggio Emilia dal figlio del presidente della Ghisa. Addirittura sono riuscito ad avere il numero del conto corrente e gli ho dato un bigliettino con scritto tutto quanto.

CARMEN MOTTA. La terza volta è venuto da solo?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.


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CARMEN MOTTA. Come ha fatto ad avere questo numero di conto corrente?

GIORGIO GIOVANNINI. Avevo un amico in banca e gliel'ho chiesto.

CARMEN MOTTA. Un amico, chi?

GIORGIO GIOVANNINI. Un amico nella banca. Lavorava nella stessa banca di cui ero cliente.

CARMEN MOTTA. E lei era cliente? Si trattava di un amico che lavorava in una banca di cui lei era cliente e che le ha...

GIORGIO GIOVANNINI. Mi ha detto del cambiamento della Ghisa in quest'altra società.

CARMEN MOTTA. Capisco il cambiamento del nome, ma il numero di conto corrente...

GIORGIO GIOVANNINI. Non il numero, il nome dell'intestatario del conto corrente, che non era più la società iniziale ma l'altra, dove era...

CARMEN MOTTA. Signor Giovannini, mi scusi, le ripeto la domanda, in quanto questo è un elemento che va precisato bene: lei sta parlando del cambiamento del nome o sta parlando del numero di conto corrente? Sono due cose diverse.

GIORGIO GIOVANNINI. Il nome di sicuro, ma penso anche il conto corrente.

CARMEN MOTTA. Intende il numero?

GIORGIO GIOVANNINI. Penso. So che avevo questo bigliettino e che l'ho dato a Torrealta.

CARMEN MOTTA. È un po' strano che lei possa aver avuto un numero di conto corrente perché, fino a prova contraria, questi numeri sono abbastanza riservati.

GIORGIO GIOVANNINI. Lei sa che sugli assegni è riportato il numero di conto corrente.

CARMEN MOTTA. Allora ci spieghi bene com'è la storia.

GIORGIO GIOVANNINI. Le spiego: non è difficile risalire con il nome ad un numero di conto corrente.

CARMEN MOTTA. Ho capito, ma perché lei ha dato questo numero di conto corrente?

GIORGIO GIOVANNINI. Perché mi era stato chiesto se avevo informazioni su queste cose. Quando ho ricevuto quest'informazione l'ho chiamato e gli ho detto: ho questa informazione, toh, prendi.

PRESIDENTE. Le disse che avrebbe mandato in onda questo servizio?

GIORGIO GIOVANNINI. Mi chiese se volevo andare io, ma io risposi di no.

PRESIDENTE. Ma le disse che l'intervista che le ha fatto l'avrebbe mandata in onda in un servizio televisivo?

GIORGIO GIOVANNINI. No, assolutamente.

PRESIDENTE. Vorrei fare una puntualizzazione: ritengo che il 20 marzo sia una data che anche lei ricorda...

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Non la ricorda? Non è stata una cosa che l'ha colpita?

GIORGIO GIOVANNINI. Mi ha colpito, però se mi parla del 20 marzo non...

PRESIDENTE. Capisco che il 20 marzo non l'ha colpita, però poi è arrivato Torrealta e ha fatto riferimento all'omicidio di questi due giovani e il contesto era abbastanza puntuale da poterselo ricordare. A proposito della prima intervista, lei ha


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detto che dovrebbe essere stata fatta in estate; l'estate comincia a giugno e finisce a settembre.

GIORGIO GIOVANNINI. No, può essere stato benissimo prima. Era bel tempo.

PRESIDENTE. Era bel tempo, ma anche a maggio è bel tempo.

GIORGIO GIOVANNINI. Può anche essere stato maggio, ma non lo posso dire di preciso.

PRESIDENTE. Non dopo dieci giorni.

GIORGIO GIOVANNINI. No.

PRESIDENTE. Era passato almeno un mese dall'omicidio.

GIORGIO GIOVANNINI. Sicuramente.

PRESIDENTE. Non c'è qualcosa che lei riesce a collegare a questa prima intervista che ci possa consentire di avere una data più precisa? Per esempio, sua moglie stava o non stava a casa?

GIORGIO GIOVANNINI. Mia moglie non c'era.

PRESIDENTE. Lei ha figli?

GIORGIO GIOVANNINI. Sì.

PRESIDENTE. C'erano i figli?

GIORGIO GIOVANNINI. No, erano fuori di casa.

PRESIDENTE. Era solo lei. Aveva qualche dipendente in particolare che in quel periodo stava in casa e potrebbe ricordare?

GIORGIO GIOVANNINI. Cerco di ricordare.

PRESIDENTE. Lei ha detto che la persona bassa e grossa, di cui abbiamo detto prima (stiamo aspettando la fotografia per mostrargliela), che stava insieme al dottor Torrealta, non ha parlato mai, mentre l'altro sì, tanto che ha detto che parlava veneto.

GIORGIO GIOVANNINI. No, lui ha parlato.

PRESIDENTE. Lui chi?

GIORGIO GIOVANNINI. Quello basso e grosso.

PRESIDENTE. E che cosa ha detto?

GIORGIO GIOVANNINI. Niente.

PRESIDENTE. Uno se parla dice qualcosa.

GIORGIO GIOVANNINI. Si è messo a sedere, ricordo che ha detto qualcosa tipo «dottore, lo faccio aspettare...»

PRESIDENTE. Com'era Torrealta? Ce lo può descrivere?

GIORGIO GIOVANNINI. Stempiato.

PRESIDENTE. Alto o basso?

GIORGIO GIOVANNINI. Alto, sicuramente più alto di me.

CARMEN MOTTA. Ricorda se il signore che parlava con accento veneto aveva i baffi?

GIORGIO GIOVANNINI. Penso di sì. Non era coperto completamente. Il pizzetto lo ricordo.

PRESIDENTE. Il pizzetto è preciso. È l'altro che non riusciamo a collocare in maniera definita. È stato lui ad accompagnare queste persone con cui avete parlato prima...


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GIORGIO GIOVANNINI. Secondo me era l'autista.

PRESIDENTE. Anch'io posso fare l'autista!

GIORGIO GIOVANNINI. Ma stava fuori e si è messo a sedere in macchina. Era un bianco.

PRESIDENTE. È tornato fuori perché era giusto che stesse fuori.
Signor Giovannini, ora i consulenti della Commissione le mostreranno il documento 230.0, contenente un'intervista ad un somalo, affinché lei possa procedere ad un eventuale riconoscimento.
Intanto la ringrazio e - in considerazione di concomitanti impegni di Assemblea - dichiaro concluso l'esame testimoniale.

La seduta termina alle 16.

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