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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame testimoniale del signor Alfredo Tedesco, che già è stato avvertito dell'obbligo di dire la verità e di rispondere alle nostre domande.
ALFREDO TEDESCO. Permette, presidente?
ALFREDO TEDESCO. Vorrei, se possibile, rivolgere una domanda in merito alla composizione della Commissione.
ALFREDO TEDESCO. Ho saputo giovedì scorso, quando sono stato ascoltato per la prima volta, che sono presenti in aula dei giornalisti. Chiedo, allora, se sia possibile sapere a che titolo siano presenti in aula dei giornalisti.
PRESIDENTE. I giornalisti presenti in questo momento sono la dottoressa Purarelli e la dottoressa Carazzolo, che per noi non sono giornalisti, ma consulenti tecnici della Commissione e come tali presenti in questa sede.
ALFREDO TEDESCO. Mi riferivo ai giornalisti di Famiglia Cristiana, nello specifico.
PRESIDENTE. Noi non facciamo distinzione di testate. È la professionalità che viene presa in considerazione.
ALFREDO TEDESCO. Indubbiamente. Però durante la sospensione, la volta scorsa, un signore, che non so se ora sia presente in aula, si è presentato appunto come giornalista di Famiglia Cristiana.
PRESIDENTE. Certo restano giornalisti di Famiglia Cristiana, anche se sono consulenti.
ALFREDO TEDESCO. Comunque, sono consulenti.
PRESIDENTE. Sono consulenti tecnici della Commissione, ai quali va la nostra considerazione e il nostro ringraziamento.
ALFREDO TEDESCO. Quindi, quando noi segretiamo...
PRESIDENTE. I consulenti tecnici sono tenuti al segreto, per cui nel momento in cui dovessimo accertare - e non lo abbiamo mai accertato, non per nostra omissione ma perché non è accaduto - che il segreto è stato violato, è chiaro che essendo stato fatto un giuramento al momento dell'assunzione dell'incarico, l'incarico stesso sarebbe revocato. Stia tranquillo che è tutto regolare.
ALFREDO TEDESCO. La ringrazio, signor presidente.
PRESIDENTE. È giusto che lei faccia le sue osservazioni. Non so di che tipo di incontro si sia trattato, ma sarà sicuramente stato un incontro da convenevoli.
ALFREDO TEDESCO. Gentilmente si è presentato.
PRESIDENTE. Da persone di buona educazione.
ALFREDO TEDESCO. Certamente. La ringrazio.
PRESIDENTE. Veniamo, ora, alla dinamica dei fatti immediatamente dopo l'uccisione dei nostri due connazionali. Lei il giorno dell'omicidio dove si trovava?
ALFREDO TEDESCO. Io ero al Porto Nuovo, insieme ai carabinieri. C'erano i militari che si imbarcavano e anche io ero lì.
PRESIDENTE. Cosa stavate facendo?
ALFREDO TEDESCO. Niente. Come ho detto, i militari si imbarcavano e io seguivo l'evolversi di queste operazioni.
PRESIDENTE. Come è venuto a sapere della uccisione dei due giornalisti?
ALFREDO TEDESCO. Mentre eravamo lì è arrivata una comunicazione via radio.
ALFREDO TEDESCO. Giancarlo Marocchino, che parlava con un ufficiale,
credo, addetto alla logistica. Non so il grado, ma forse era colonnello, Cannarsa?
PRESIDENTE. Colonnello Cannarsa, sì. L'abbiamo sentito poc'anzi. Forse l'avrà anche incrociato in corridoio.
ALFREDO TEDESCO. Siamo tutti un po' ingrassati! Non l'ho riconosciuto.
PRESIDENTE. Marocchino via radio chiama Cannarsa?
PRESIDENTE. E perché c'era questo contatto?
ALFREDO TEDESCO. Presumo perché Cannarsa era addetto alla logistica, quindi aveva la frequenza di Marocchino magari perché questi si occupava anche di logistica per il contingente, nel senso, non so, di carburante o, comunque, aveva delle apparecchiature per il movimento terra. Quindi era logico che si rivolgesse all'ufficiale con cui aveva più rapporti.
PRESIDENTE. Capisco che si rivolga all'ufficiale con cui aveva più rapporti, come dice lei, ma credo che le frequenze radio dell'esercito...
ALFREDO TEDESCO. No, no, quella era una frequenza radio di Giancarlo, che comunque aveva...
ALFREDO TEDESCO. Non erano frequenze militari.
PRESIDENTE. Lo chiama per nome, quindi eravate molto amici con Giancarlo Marocchino.
ALFREDO TEDESCO. Lo conoscevo, certo. L'altra volta ho detto che sono stato in Somalia due volte, anche prima della guerra.
PRESIDENTE. Sì, va bene; poi parleremo di Marocchino. Quindi, la frequenza radio era quella di Marocchino, non dell'esercito.
ALFREDO TEDESCO. No, assolutamente.
PRESIDENTE. Ho capito. Marocchino parlò con Cannarsa, e Cannarsa cosa le disse?
ALFREDO TEDESCO. Giancarlo disse che erano stati attaccati degli italiani nella vicinanza dell'ex ambasciata. Fu una comunicazione di pochi secondi, perché immediatamente il maggiore - allora maggiore, oggi non so il grado - dei carabinieri Tunzi ordinò ai suoi militari di scaricare dai mezzi (due VM, due camion) gli zaini che erano pronti per essere imbarcati, fece salire i militari dell'arma e io salii con loro. Uscimmo non ricordo esattamente se con due o tre mezzi, comunque ci dirigemmo dal Porto Nuovo verso la sede dell'ex ambasciata.
PRESIDENTE. Chi è che si recò verso l'ambasciata? Chi eravate?
ALFREDO TEDESCO. Erano, praticamente, i carabinieri. Adesso non ricordo quanti. Erano due o tre mezzi, quindi saranno state, non so, una decina di persone.
PRESIDENTE. Una decina di persone. E con questi carabinieri c'era anche lei. Anche lei è andato sul posto insieme a loro.
ALFREDO TEDESCO. Sì, sono salito sul primo mezzo.
PRESIDENTE. Quindi, fino a quel momento la notizia era che c'era stato un agguato, che era accaduto nei pressi dell'ambasciata italiana...
ALFREDO TEDESCO. Fu molto concitato, chiaramente.
PRESIDENTE. Aveva dato altre notizie Marocchino assieme a quella dell'attentato?
ALFREDO TEDESCO. Quando noi lasciammo il Porto Nuovo era solo la notizia di questo attentato. Poi, se ha dato altre specifiche per radio, noi non le abbiamo sentite, perché eravamo già usciti.
PRESIDENTE. Allora: siete arrivati sul posto. Cosa avete visto?
ALFREDO TEDESCO. Noi ci siamo avviati verso l'ambasciata. Arrivati ad un incrocio, a sinistra si andava verso la nostra ambasciata, a destra al Porto Vecchio, dritti nella parte nord della città. L'autiere era pronto a girare verso l'ambasciata, quando un poliziotto somalo, all'incrocio, ci fece segno di dirigerci verso il Porto Vecchio, che era presidiato dalle truppe pakistane. Arrivati all'interno del Porto Vecchio...
PRESIDENTE. Quindi, praticamente, non siete andati sul posto.
PRESIDENTE. Il poliziotto somalo che vi ha dato questa indicazione, per la verità non molto provvida, perché forse sarebbe stato più opportuno vedere prima possibile come stessero le cose, chi era?
ALFREDO TEDESCO. Un poliziotto somalo addetto al traffico.
PRESIDENTE. Poliziotto come sono poliziotti i somali, cioè un po' improvvisato, diciamo.
ALFREDO TEDESCO. Erano ex poliziotti che erano stati riassunti.
ALFREDO TEDESCO. Stavano dalla parte di Ali Mahdi. Le Nazioni Unite stavano riformando il corpo di polizia.
PRESIDENTE. Quindi, aveva un'affidabilità sotto questo profilo?
PRESIDENTE. È un'indicazione abbastanza poco logica per chi fa il poliziotto, perché, se ci fosse stata la cautela di andare sul posto per fare rilievi, rilevazioni, sentire persone da parte della stessa polizia somala, lo avrei capito, ma siccome abbiamo accertato - non so se sia vero - che nessuno si è preoccupato di fare quello che accade sempre quando si verificano nei paesi civili episodi di questo genere, cioè andare sul posto, prendere misurazioni, cercare di parlare con testimoni oculari, se ci sono, e via dicendo, questa è stata un'operazione, almeno secondo noi, abbastanza improvvida.
ALFREDO TEDESCO. Se ritiene opportuno, posso spiegarlo. I carabinieri, anche se da noi vengono impiegati in operazioni di polizia, lì erano comunque inquadrati nella Forza armata e qualsiasi Forza armata non poteva fare controlli, rilievi, come viene fatto in Italia. Questo era un compito che spettava alla polizia somala. Del resto, la nostra ambasciata - l'ex ambasciata - in quel periodo era occupata da poliziotti, cioè l'ambasciata era stata ceduta ...
ALFREDO TEDESCO. ... alla polizia somala, più che altro per tutelare le strutture.
PRESIDENTE. Marocchino vi aveva detto via radio che l'attentato era stato consumato ai danni di due cittadini italiani?
PRESIDENTE. Giustamente lei dice: non ci saremmo nemmeno mossi. O forse magari vi sareste mossi lo stesso.
ALFREDO TEDESCO. No, perché c'era l'ordine comunque di non uscire e, quindi, il maggiore Tunzi praticamente contravvenne.
PRESIDENTE. Trattandosi di cittadini italiani, se magari eravate in dieci, una delle tre auto poteva andare verso il posto e le altre andare al porto vecchio, come vi era stato indicato.
ALFREDO TEDESCO. Penso che in quel momento dividendo quella piccola forza che eravamo, oltretutto credo gli unici militari che girassero per Mogadiscio, sarebbe stato possibile anche qualche attentato e comunque il poliziotto disse che gli italiani erano stati portati al porto vecchio e non sapevamo ancora se erano vivi o morti.
PRESIDENTE. Mi vorrei appellare anche alla sua esperienza. Essendo stato ed essendo - non so se lo sia ancora, in maniera indiretta ...
ALFREDO TEDESCO. Mi piacerebbe.
PRESIDENTE. ... un uomo di intelligence, guarda anche al di sopra del fatto specifico oggetto di accertamento per capirne le ragioni e per prospettarne le possibili conseguenze. Noi abbiamo fatto una raccolta incredibile di dichiarazioni che hanno consentito di accertare che non ha fatto niente nessuno. Non ha fatto niente Unosom, perché ci hanno fatto credere che Unosom non avesse nessun potere di fare queste investigazioni, perché il compito di Vezzalini e Salvati era quello di fare intelligence presso la stessa Unosom, nonostante avessero avuto l'ordine da parte del capo di Unosom di fare le investigazioni. Abbiamo appreso appunto da Vezzalini che, per carità, non c'era nemmeno il mimino delle competenze per poter andare avanti. Abbiamo appreso la stessa cosa da Salvati. Tunzi ci ha detto qualcosa di più, ma niente di esaltante. La polizia somala non ha fatto assolutamente niente, ma questa era forse tra le cose più prevedibili. Si tratta di quattro, cinque, sei o sette autorità; i militari neanche a parlarne, perché loro pensavano al contingente che doveva andare via.
Noi cittadini italiani la pensiamo un po' diversamente. Dovendo provvedere al pagamento di tutto questo armamentario di persone - Sismi, Sisde, esercito o chi si vuole - crediamo che se muoiono due cittadini italiani in Somalia qualcuno pensi di poter fare qualcosa.
È successo e nessuno si è interessato dell'uccisione di questi due ragazzi. Questa è la verità dei fatti: nessuno si è preoccupato minimamente non dico di fare qualcosa per loro, perché non era più possibile fare niente, ma quanto meno per stabilire chi li avesse uccisi. Le domando: come è possibile? Secondo lei, da uomo di intelligence dell'analisi dei quadri retrospettivi e di prospettiva, come è possibile che si siano concentrate tutte queste omissioni, alcune delle quali penalmente rilevanti, rispetto a questo episodio?
ALFREDO TEDESCO. Questo episodio è accaduto in un contesto particolare. In quei giorni era stato tolto da parte dei contingenti internazionali ogni tipo di controllo sulla città. Praticamente la città era affidata alla polizia somala. Quindi, non c'era nessuna possibilità di intervenire, perlomeno dal punto di vista delle indagini. Magari prima, in un altro momento, in un altro periodo, sicuramente i carabinieri, anche se non ufficialmente, perché non potevano farlo, avrebbero svolto le indagini. Il periodo in cui è successo molto probabilmente contribuisce anche ...
PRESIDENTE. Signor Tedesco, siccome noi abbiamo molta fiducia in quello che lei ci potrà dire, io devo fare un'altra osservazione, cioè che questo atteggiamento di inerzia del primo momento, che certamente è il più importante, è un atteggiamento di inerzia di dieci anni. Già l'onorevole Deiana la volta scorsa aveva ricordato quel vostro documento da cui risulta che a Scialoja era stato imposto di non parlare più della questione, e ne riparleremo dopo. Scialoja è raggiunto da questa disposizione ...
PRESIDENTE. C'è una contestualità tra il non fare niente - e nessuno ha fatto niente trincerandosi poi, forse anche in maniera corretta, ma non condivisibile dal punto di vista più generale, dietro la teoria delle competenze - ed alcuni segnali (non più di questo, per la verità) da cui risulta che c'era un interesse, che non si capisce da dove provenisse, a non fare niente, per cui c'era il braccio esecutivo che era esattamente coordinato con la mente.
Nella sua capacità di analisi, maturata in tanti anni di esperienza, ha potuto cogliere qualche segnale per cui effettivamente non bisognava indagare e chi se ne importa dei due morti italiani?
ALFREDO TEDESCO. Assolutamente no, presidente. Per noi era prioritaria la vita di chiunque lì, e in particolare quella dei nostri connazionali. In quel momento non era materialmente possibile, visto quello che stava succedendo in città, effettuare nessuna indagine. Veramente non era possibile. Il fatto stesso che noi prontamente - non dico i carabinieri, che hanno ricevuto l'ordine dal maggiore Tunzi, ma io potevo anche non andarci e forse sono stato il primo a salire su quel camion per uscire -, la volontà di fare... Chiaramente, se fossimo stati avvertiti durante il conflitto a fuoco, saremmo intervenuti, ma quando siamo arrivati sul posto non c'era più nessuno. Semmai occorre chiedersi perché la polizia somala, che stava a dieci metri dal luogo in cui c'è stato il conflitto a fuoco, non è intervenuta, non è uscita.
PRESIDENTE. Lei che risposta si dà?
ELETTRA DEIANA. C'erano anche militari Unosom.
ALFREDO TEDESCO. Non so se c'erano i militari dell'Unosom.
PRESIDENTE. Sì, c'erano. Salvati stava dentro l'ex ambasciata insieme alla polizia, con gente al seguito, e quando ha sentito la raffica di mitra ha mandato i pakistani a vedere che cosa era successo.
ELETTRA DEIANA. No, i somali. I somali non erano inquadrati in Unosom; i pakistani erano Unosom.
PRESIDENTE. Va bene, comunque non c'è andato lui.
ALFREDO TEDESCO. Apprendo adesso che c'era personale italiano nell'ambasciata.
PRESIDENTE. Salvati lo ha dichiarato in questa sede.
ALFREDO TEDESCO. Ci credo, per carità.
PRESIDENTE. Lei ha detto che, se meraviglia deve esprimere, è per la polizia somala, poiché le competenze dirette ed immediate avrebbero dovuto essere della polizia somala. Siccome nessuno si è mosso - Unosom o altri - e non si è mossa nemmeno la polizia somala, lei si è mai interrogato o, se preferisce, non pensa sia il caso di interrogarsi e magari di tentare di dare una spiegazione, una sua opinione sulle ragioni per le quali la polizia somala, ad esempio, non è intervenuta?
ALFREDO TEDESCO. Io mi meraviglio non tanto del mancato intervento sul momento, quanto magari delle indagini che dovevano essere svolte dopo. Comunque, per il mancato intervento della polizia somala sul momento, conoscendo la polizia somala ed il posto in cui era chiamata ad operare... Se si chiede ad un somalo se il fondamentalismo islamico può aver colpito, quello dice che il fondamentalismo islamico non esiste. Il somalo purtroppo fermava il ladruncolo che rubava la frutta al mercato, ma più di tanto la polizia somala non faceva.
PRESIDENTE. Quindi, non c'è una spiegazione a questa somma di omissioni?
ALFREDO TEDESCO. La spiegazione può essere inserita in un contesto più ampio.
PRESIDENTE. La spiegazione di allora, ma la spiegazione di ciò che avviene immediatamente dopo, nel quale si inquadra l'inquietante episodio che riguarda l'ordine impartito a Scialoja, siccome parte dal Sismi la notizia relativa a Scialoja che riceve l'ordine di non parlare ...
ALFREDO TEDESCO. Non è che Scialoja riceva l'ordine di non parlare.
PRESIDENTE. Le indicazioni, poi lo vedremo meglio. Come si spiega questo? Voi avete osservato questo fenomeno? Non soltanto per molta parte, anzi per tutta la parte italiana avete dovuto prendere atto che nessuno ha fatto niente e, ad esempio, non è vero che Unosom non avesse le competenze per fare ...
ALFREDO TEDESCO. Assolutamente.
PRESIDENTE. Al di là di questo, avete colto qualche segnale, avete capito per quale ragione, successivamente alla consumazione del fatto, nessuno si è preoccupato di niente, di sentire una persona, di ricercare? Poi verremo ad alcuni aspetti specifici, ma intanto vediamo sul piano generale.
ALFREDO TEDESCO. Sul piano generale, le indagini ufficiali dovevano essere condotte da Unosom, però non per questo noi o lo stesso ambasciatore Scialoja non ci siamo più occupati della cosa. Dire di non interessarsi si riferisce al fatto di non interessarsi ufficialmente, cioè non far capire ad Unosom che noi potevamo in qualche modo ostacolare le indagini di sua pertinenza, però l'ambasciatore aveva continui contatti con le Nazioni Unite; noi, dal canto nostro, vedevamo delle persone ed eravamo convinti che Unosom stesse indagando, perché Unosom non rendeva conto a noi delle indagini che faceva. Poi il tempo ha dimostrato invece che magari indagini accurate non sono state fatte.
PRESIDENTE. Praticamente non riusciamo ad ottenere nulla.
ALFREDO TEDESCO. Mi dispiace, ma non so che cosa ...
ELETTRA DEIANA. È chiaro il contesto di diplomazia, ma sul piano ufficioso voi che cosa avete appurato?
ALFREDO TEDESCO. Nei giorni successivi abbiamo attivato le fonti ed anche altre persone. Ad esempio, c'è stata anche una persona che ho incontrato per caso alle Nazioni Unite un paio di giorni dopo, che non era una fonte, ma era semplicemente una persona che avevo visto alcune volte in alcune occasioni e mi ha praticamente confermato quello che invece alcune fonti, alcune persone di nostra fiducia avevano detto.
ALFREDO TEDESCO. Cioè che l'omicidio di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin era dovuto appunto a questa situazione, con queste bande che giravano, i fondamentalisti e cose del genere, e devo dire che, perlomeno per quanto mi risulta, altre indicazioni contrarie ... tranne che da parte della polizia somala, perché la polizia somala non lo ha mai ammesso, non ha mai ammesso nemmeno che fossero bande. Hanno detto: «Stiamo indagando, stiamo vedendo, stiamo facendo», però in realtà non si sono mai sbilanciati.
PRESIDENTE. Avete avuto rapporti con la polizia somala dopo l'uccisione della ragazza?
ALFREDO TEDESCO. Continuamente, presidente.
PRESIDENTE. A che fine? Per sollecitare?
ALFREDO TEDESCO. Anche ad alto livello. Certo, per sapere delle indagini. «Stiamo indagando, stiamo vedendo»: queste erano le risposte evasive.
PRESIDENTE. Avete potuto accertare se svolgevano effettivamente delle attività, se sentivano persone, se cercavano in effetti di stabilire qualcosa?
ALFREDO TEDESCO. Questo chiaramente non potevamo saperlo, però i contatti erano a livello del comandante della polizia.
PRESIDENTE. La volta scorsa lei ci ha fatto i nomi di alcune persone con lui era in contatto, Gilao e via dicendo. Queste persone, che lei ha qualificato anche come particolarmente affidabili ...
ALFREDO TEDESCO. Sempre ben disposte verso gli italiani, affidabili.
PRESIDENTE. Queste persone che cosa vi dicevano?
ALFREDO TEDESCO. Appunto che stavano indagando e che comunque per loro non si trattava di fondamentalismo.
PRESIDENTE. Quindi, erano anche loro inquadrati nella logica generale.
Prego, onorevole Motta.
CARMEN MOTTA. Dottor Tedesco, lei ha detto prima che avete parlato con alcune persone immediatamente dopo, fonti e non fonti, persone a voi note, ed ha precisato che queste persone avrebbero detto che sarebbero state queste bande di fondamentalisti, in questa guerra tra bande. Con quale motivazione chi vi ha riferito questo avrebbe sostenuto che la causa era questa guerra fra bande e, oltretutto, bande di fondamentalisti? Qual era il motivo per cui queste bande avrebbero dovuto colpire queste due persone? Qualcuna delle persone con cui avete parlato ha accennato a questo, ha spiegato? Altrimenti non si capisce bene.
ALFREDO TEDESCO. Innanzitutto, le persone che noi contattavamo erano persone che vivevano lì, erano somali e, quindi, tra di loro si conoscevano tutti, riuscivano a distinguere le etnie, qualsiasi cosa. Per quanto riguarda le bande di fondamentalisti, non so come spiegarglielo, qualsiasi straniero era un nemico per loro.
CARMEN MOTTA. In una situazione come quella in cui erano la Somalia e Mogadiscio in quel momento, circa la presenza di stranieri, che poi erano anche già conosciuti, come Ilaria Alpi, avevano già fatto dei servizi, avevano frequentato ambienti, lei sta dando un'informazione molto precisa, dottor Tedesco. Lei dice: in sostanza, queste persone ci hanno detto che la motivazione che avrebbe scatenato l'assassinio di queste due persone era il fatto che alcuni uomini appartenenti a bande di fondamentalisti hanno individuato queste due persone come degli obiettivi nemici da eliminare. Nemici semplicemente perché stranieri, nemici perché avevano offeso in qualche modo i principi della sharia, nemici perché si erano permessi di andare ad indagare o comunque ad interrogare, a parlare o nemici perché Ilaria Alpi si era interessata della condizione femminile in Somalia? Le varianti possono essere molte, dottor Tedesco.
Noi abbiamo bisogno di capire perché il fondamentalismo presente in Somalia, bande o meno, in quel momento specifico aveva individuato questi due soggetti. Solo perché erano stranieri o perché, oltre ad essere stranieri ed italiani, c'era dell'altro? Altrimenti qualunque persona straniera in ambiti di quel genere può diventare un obiettivo, perché invisa per mille e una ragioni. Noi abbiamo bisogno di capire perché. Tenga presente che non era molto noto che in Somalia in quel tempo fosse già presente un fondamentalismo islamico attivo.
PRESIDENTE. A livello di formazione era forte.
CARMEN MOTTA. Intendo dire in Italia. Che là ci fosse, d'accordo.
ALFREDO TEDESCO. Rispondo subito alla domanda: solo perché erano stranieri, non perché italiani, non perché fosse Ilaria Alpi. Poi Ilaria Alpi sicuramente sarà stata conosciuta in ambienti ben migliori. Sappiamo che era portata per i bambini, per le donne somale, ma quella è gentaglia. Quindi, in quanto stranieri: potevano essere tedeschi, potevano essere pakistani.
CARMEN MOTTA. Li hanno presi a caso?
ALFREDO TEDESCO. Segnali in questo senso erano stati dati anche da noi diverso tempo prima. Erano apparse scritte anti-italiane sui muri, avevano divelto le tombe dei sacerdoti nella chiesa, la gente prendeva un pugno di terra e ci diceva: andate via, questa è la mia terra.
ELETTRA DEIANA. Lei sta allargando moltissimo il campo della casualità, le ultime affermazioni che ha fatto praticamente allargano a dismisura il campo della casualità. Le informative che lei dà in quel periodo, i testi che sono trasmessi e portano la sua firma autografa contengono degli elementi un po' meno generici.
ALFREDO TEDESCO. Ho risposto alla domanda.
ELETTRA DEIANA. Per esempio, in una sua nota lei fa sapere che la giornalista sarebbe stata seguita fin dal suo rientro da Bosaso da una delle due vetture usate per l'attentato.
ALFREDO TEDESCO. Questa è successiva alla morte di Ilaria.
ELETTRA DEIANA. Certo che è successivo, ma dà notizie, informazioni che lei ha raccolto sul delitto.
ALFREDO TEDESCO. Sì, ma il fatto che sia stata seguita non esclude la casualità. Non è che ci fosse traffico a Mogadiscio, la macchina passa ...
ELETTRA DEIANA. Quindi, è casuale ...
PRESIDENTE. Scusate, facciamo un po' di ordine. Dobbiamo concludere il capitolo dell'omicidio, poi passiamo al fondamentalismo e a tutte le cose che sono di vostro interesse, altrimenti non si capisce più niente. Dopo la risposta generica all'onorevole Motta, ci riserviamo di ritornarci, tenuto conto anche delle rilevazioni che sono state fatte adesso dall'onorevole Deiana. Di cosa stavamo parlando?
ALFREDO TEDESCO. Di quando siamo andati al porto vecchio.
PRESIDENTE. Quindi, lei circa una valutazione sulla serie di omissioni ed anche sulla mancanza di intervento sostanziale della polizia somala non ci sa dire più di quello che ha detto? Lasciamo da parte gli italiani, perché sembra che ogni volta che vengono fuori gli italiani ci sono problemi. Come interpretava lei il fatto, di cui ha preso atto, cioè che lei andava presso la polizia somala e anche il capo della polizia le diceva «stiamo indagando», ma in realtà non stavano facendo niente? A che cosa attribuiva questo atteggiamento poco attivo, per non dire inattivo? Da chi dipendeva? Da qualcuno che comandava e che diceva che non doveva essere fatta l'indagine oppure questi proprio non facevano niente dalla mattina alla sera? Oppure si trattava di un caso sul quale non bisognava concentrare l'attenzione perché era meglio che cadesse nel dimenticatoio? C'erano ragioni istituzionali, tra virgolette? Siamo nella zona di Ali Mahdi, quella era la polizia di Ali Mahdi. Ad esempio, avete capito che Ali Mahdi era la persona che dava l'indicazione alla polizia di non muoversi, di farvi vedere che si muoveva mentre in realtà non si muoveva? Che ragionamenti avete fatto?
ALFREDO TEDESCO. Io penso che la polizia abbia tentato anche di indagare, anzi questo non indagare della polizia potrebbe rafforzare quanto poi riferito
dalle fonti, cioè che non erano bande normali, sulle quali magari la polizia poteva intervenire con più facilità, ma proprio bande di fondamentalisti e ciò rientrava nel discorso che anche i poliziotti erano musulmani e per indagare su quelle forze religiose che prendevano sempre più piede in quel periodo credo non contasse nulla nemmeno Ali Mahdi, a Mogadiscio nord.
Ali Mahdi all'inizio aveva favorito l'istituzione di queste corti islamiche, poi gli sono sfuggite di mano.
PRESIDENTE. Noi abbiamo atteso proprio poco fa all'audizione di un magistrato della procura di Reggio Calabria, il quale non soltanto ci ha detto, ma ha mostrato documenti da quali risulta invece che Ali Mahdi era ben potente, ben capace di governare affari di estrema importanza, almeno secondo questi documenti; poi approfondiremo. Quindi, Ali Mahdi era bene in sella.
ALFREDO TEDESCO. Forse per altre cose, ma in campo religioso ...
PRESIDENTE. Invece, per il resto?
ALFREDO TEDESCO. Ali Mahdi ha fatto una carriera enorme, quindi qualche capacità l'aveva. Da direttore di hotel è diventato presidente.
PRESIDENTE. In buona sostanza, nessun tipo di valutazione.
Quali sono state le notizie che lei nell'immediato, nel contesto, ha avuto, ha potuto raccogliere? Quindi, lei sul posto non c'è andato mai? O c'è andato dopo?
ALFREDO TEDESCO. All'ambasciata mai.
PRESIDENTE. Quindi, siete andati al porto vecchio?
ALFREDO TEDESCO. Io sono andato al porto vecchio dove, quando siamo entrati, abbiamo visto la macchina di Giancarlo Marocchino, un fuoristrada. Aveva i portelloni posteriori aperti e sul pianale c'erano i corpi dei due giornalisti. Il maggiore Tunzi scese dal mezzo insieme a tutti noi, toccò Ilaria al collo e disse che era morta. Immediatamente, sempre con le radio, cercarono di contattare la nave per mandare i corpi. Io tentai di interrogare o comunque di chiedere alle persone presenti , che poi per lo più erano uomini di Giancarlo Marocchino.
PRESIDENTE. C'era il colonnello Cannarsa?
ALFREDO TEDESCO. No, il colonnello Cannarsa non è uscito. Siamo usciti solamente i carabinieri ed io. Quando ho visto che non c'era più nulla da fare ho chiesto ad un ufficiale della polizia somala se poteva accompagnarmi con la sua macchina all'ex ambasciata americana, a Mogadiscio sud, per poter poi scrivere un messaggio a Roma per avvertire.
PRESIDENTE. Ci fu qualcuno che si preoccupò di andare a recuperare gli effetti personali di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin in albergo?
PRESIDENTE. Non ne ha mai sentito parlare?
ALFREDO TEDESCO. Sì, ho sentito di questi taccuini, ma in effetti non lo so, perché io ho lasciato praticamente il porto vecchio cinque minuti dopo esserci arrivato, quando mi hanno detto che era morta.
PRESIDENTE. Questa è la notizia della morte. Sulle causali, su chi aveva attuato quest'agguato, nel contesto, lei che cosa riuscì a sapere e, se sì, da chi?
ALFREDO TEDESCO. Nei giorni successivi chiaramente ...
PRESIDENTE. Quel giorno non seppe niente? Marocchino che disse?
ALFREDO TEDESCO. Con Marocchino in quel momento non ho parlato e poi comunque Marocchino disse, in un secondo tempo, che lui non aveva assistito, che lo avevano avvertito ed era arrivato dopo, non si è capito.
PRESIDENTE. Che significa che non si è capito?
ALFREDO TEDESCO. Lui non era presente lì.
PRESIDENTE. Non si è capito se era presente?
ALFREDO TEDESCO. No, lui era con la macchina in giro. Un suo uomo l'ha avvertito ed è venuto dopo. Io non ho capito bene chi l'ha avvertito, comunque non era sul posto. È arrivato in un secondo momento.
PRESIDENTE. Però lei dopo ha fatto una serie di informative.
ALFREDO TEDESCO. Sì, ho sentito delle persone.
PRESIDENTE. Chi erano le persone che ha sentito? Erano fonti, a conoscenza?
ALFREDO TEDESCO. Sì, erano persone che noi utilizzavamo. Qualcuno era fonte, qualcuno era un collaboratore occasionale. Anche se erano persone di livello basso, non erano ufficiali della polizia, eccetera, comunque vivevano in città, frequentavano le moschee, conoscevano la parte della città dove è successo il fatto.
PRESIDENTE. Che cosa le dissero, sinteticamente?
ALFREDO TEDESCO. Che questi giornalisti erano stati intercettati in qualche modo da una di queste bande, anche se loro non le chiamavano così, da questo gruppo armato fondamentalista che li aveva seguiti fino all'albergo e che, all'uscita dall'albergo, sono stati... In particolare, segnalarono un'autovettura di colore verde e questo venne anche confermato da un'altra persona, che non era una nostra fonte, una donna somala molto attiva nel sociale, molto conosciuta, anche dai militari italiani.
PRESIDENTE. Come si chiamava? Non era Starlin?
ALFREDO TEDESCO. Esatto, Starlin.
PRESIDENTE. Che cosa le disse Starlin?
ALFREDO TEDESCO. La incontrai per caso all'Unosom e appunto disse che era successa questa cosa terribile. Io credo che conoscesse anche Ilaria.
ALFREDO TEDESCO. Sì, perché l'ho vista molto accorata. Anche lei disse dei fondamentalisti, che erano stati loro.
PRESIDENTE. Disse perché potevano essere stati loro?
ALFREDO TEDESCO. Io non chiesi nemmeno il perché.
ALFREDO TEDESCO. Era implicito. Era Ilaria purtroppo quel giorno.
PRESIDENTE. Tra le varie notizie che avete ricevuto ce n'è stata anche una che dava due degli aggressori come feriti. Ricorda questa notizia?
ALFREDO TEDESCO. Due aggressori feriti?
PRESIDENTE. Che sarebbero stati ricoverati presso un ospedale di Mogadiscio. Lei ha ricevuto questa informazione? Ha mai sentito niente di questo?
ALFREDO TEDESCO. Onestamente non ricordo.
PRESIDENTE. Noi abbiamo sentito Tunzi, il quale ci ha riferito che, per quello che riguarda questo aspetto, cioè entrare negli ospedali per poter trovare queste due persone ferite, che erano due degli aggressori e quindi sarebbe stato particolarmente interessante sul piano dell'accertamento, l'incarico sarebbe stato dato o se lo sarebbe preso proprio lei.
PRESIDENTE. Sì, lei si sarebbe preso l'incarico di andare presso gli ospedali per trovare queste due persone ferite.
ALFREDO TEDESCO. Assolutamente no.
PRESIDENTE. Non risponde a verità? C'è anche il suo appunto del 21 marzo. «In detta località essi sarebbero stati oggetto di minacce (...) Due degli attentatori Mourosad sarebbero stati feriti a seguito dell'intervento della polizia somala e sarebbero ricoverati nel quartiere Bermuda a Mogadiscio nord»: questa è un'informazione sua.
ALFREDO TEDESCO. Non lo ricordo.
PRESIDENTE. Adesso che glielo abbiamo ricordato?
ALFREDO TEDESCO. Non sono stato negli ospedali a vedere.
PRESIDENTE. Ma ricorda di aver preso questo incarico?
ALFREDO TEDESCO. Non ricordo, però evidentemente non lo ricordo perché ho una lacuna.
PRESIDENTE. Però non è andato negli ospedali per cercare?
ELETTRA DEIANA. Lei non c'è andato, ma non ha segnalato questa notizia a nessuno, per esempio, all'Unosom, in modo che ci andassero loro?
ALFREDO TEDESCO. Mi sembra di aver capito che venisse da Unosom. Io ho detto che non lo ricordo, però mi sembra che il presidente abbia detto che era Vezzalini a dirmelo. Quindi, se era Vezzalini, era di Unosom.
ELETTRA DEIANA. Vezzalini dà questa notizia? Chi dà questa notizia al signor Tedesco? È Unosom che gliela dà?
PRESIDENTE. «In detta località (...) Due degli attentatori (...)». Non dice niente.
ELETTRA DEIANA. Questa notizia da chi esce?
PRESIDENTE. La seconda divisione che spedisce alla terza.
ELETTRA DEIANA. La seconda divisione è lui, è Tedesco. È l'altra divisione?
ALFREDO TEDESCO. C'è anche un messaggio in cui io scrivo alla seconda divisione dei due feriti?
PRESIDENTE. Noi abbiamo solo questo.
ELETTRA DEIANA. Allora è l'altra divisione sua concorrente.
ALFREDO TEDESCO. Per questo non lo ricordo, perché è un appunto scritto da Roma a Roma, cioè da seconda a terza divisione, ma non è detto che quella notizia gliel'abbia data io, quello non è un mio messaggio. Non voglio mettere in dubbio quello che è scritto.
ELETTRA DEIANA. Non ho capito la dinamica.
PRESIDENTE. Mi pare che lì ci stesse solo lei, o sbaglio?
ALFREDO TEDESCO. Ma questo non vuol dire. Le notizie non le ricevevano solo da me. Può essere una notizia Unosom.
ELETTRA DEIANA. La notizia, quindi, è di Roma? È di Roma, quella notizia lì?
PRESIDENTE. È la seconda divisione, che scrive alla terza divisione di Roma.
ELETTRA DEIANA. E lei, dottore, di che divisione era?
ALFREDO TEDESCO. La seconda, onorevole.
ELETTRA DEIANA. È lei, dunque, che scrive.
ALFREDO TEDESCO. Io ero in Somalia.
ELETTRA DEIANA. Lo so che lei era in Somalia, ma che c'entra?
ALFREDO TEDESCO. La seconda divisione è la mia direzione, a Roma. E scrive a un'altra divisione del servizio...
ELETTRA DEIANA. Che stava in Somalia.
ALFREDO TEDESCO. Che stava a Roma.
ELETTRA DEIANA. Quindi è una notizia...
ELETTRA DEIANA. ... tra due divisioni, in Roma.
ELETTRA DEIANA. E non si capisce quale sia la fonte somala, quale sia la matrice somala.
ALFREDO TEDESCO. No. Per questo, dicevo, non mi ricordo di aver dato questa cosa. L'ho presa per buona...
ELETTRA DEIANA. E allora perché, signor presidente, lei ha attribuito questa comunicazione al dottor Tedesco?
PRESIDENTE. Ho letto «seconda divisione» e ho pensato che fosse sua.
ALFREDO TEDESCO. No, presidente.
PRESIDENTE. Non solo pensavo che fosse sua, ma siccome sappiamo che in Somalia ci stava solo lui, visto che si trattava di una notizia che passava dalla seconda alla terza divisione...
ELETTRA DEIANA. Quindi, non è chiaro come nasca questa comunicazione.
ALFREDO TEDESCO. Ritengo di poterlo spiegare.
ALFREDO TEDESCO. Non come nasce, ma quali potrebbero essere le vie. Potrebbe essere da Unosom; potrebbe essere da un contatto diretto tra Roma e un ufficiale della polizia somala. Lo presumo, non lo sto dicendo con certezza.
ELETTRA DEIANA. Potrebbe essere un contatto tra Roma e gli altri personaggi del Sismi che stavano in Somalia?
ALFREDO TEDESCO. No. In Somalia c'ero solo io, onorevole.
ELETTRA DEIANA. Ma lei ha le fonti dell'altra divisione di cui ci ha dato notizia?
ALFREDO TEDESCO. No, assolutamente no.
PRESIDENTE. Onorevole Deiana, si riferisce alla struttura parallela?
PRESIDENTE. Ma non è la terza divisione, quella parallela; è l'ottava.
ALFREDO TEDESCO. Vi spiego. La seconda è la divisione operativa; la terza è la...
ELETTRA DEIANA. Sì, ma ci ha anche detto che c'era una divisione che si occupava degli affari. Giusto?
ALFREDO TEDESCO. No, io non l'ho detto. Ho detto che quel giorno c'era una fonte - che non era la nostra...
PRESIDENTE. Dottore, l'onorevole Deiana sta dicendo un'altra cosa. La volta scorsa, lei ci ha detto dell'ottava divisione, che si interessava...
ALFREDO TEDESCO. No, non ho detto «ottava»; io non ho detto il nome della divisione.
PRESIDENTE. Sarebbe la divisione che si interessava borderline, per così dire, delle questioni per cui, si è detto, c'è stato del disappunto, eccetera. E questa era l'ottava.
ALFREDO TEDESCO. Io non ho detto che era l'ottava.
PRESIDENTE. Allora, ce l'ha detta Rajola.
ALFREDO TEDESCO. Io non lo so chi lo ha detto. Io ho detto che c'era una persona, che non era fonte della seconda divisione, che era presente lì. Loro chiedono: a che titolo? Non lo so, a che titolo fosse lì...
PRESIDENTE. E questa è una cosa. L'onorevole Deiana, invece, le chiedeva se questa divisione - che fece trovare la presenza di questa persona di cui abbiamo più volte detto - potesse essere in contatto con la Somalia ed avere, per tale tramite, delle notizie.
ALFREDO TEDESCO. No. Comunque, questa è della seconda divisione, parte dalla seconda divisione. Quindi, chi l'ha acquisita è la seconda divisione. E lo scrive alla terza, che è la divisione stati, cioè situazioni.
PRESIDENTE. Però, vorrei precisare che la notizia relativa al fatto che il dottor Tedesco avesse assunto l'incarico di andare a cercare negli ospedali i due aggressori che erano stati feriti è una notizia che in questa sede Tunzi ha dato alla Commissione. Gli è stato chiesto, appunto, perché non fosse andato e lui ha dichiarato...
ALFREDO TEDESCO. Dei carabinieri?
PRESIDENTE. Tunzi. Ce n'è solo uno.
ALFREDO TEDESCO. Non Vezzalini, quindi. Tunzi.
PRESIDENTE. No, non Vezzalini, Tunzi. E Tunzi, come stavo dicendo, ha dichiarato che l'incarico se l'era assunto lei. Se vuole, possiamo trovare il verbale.
ALFREDO TEDESCO. No, per carità. Però io non ricordo questo particolare.
PRESIDENTE. Pertanto, abbiamo individuato questo documento, dal quale risulta una conferma di quelle parole.
ELETTRA DEIANA. Però, a me interessa sapere come viene quel documento a Roma.
ALFREDO TEDESCO. Questo può spiegarvelo qualcuno della divisione. Io non lo ricordo perché non è partito da me, quindi dovrebbe esserci il seguito del messaggio. Non è che me li ricordi tutti, però, insomma, un particolare così magari me lo sarei ricordato.
CARMEN MOTTA. Dottor Tedesco, lei ha detto che quella nota - quella che le ha presentato il presidente - potrebbe essere una comunicazione interna.
ALFREDO TEDESCO. Quella è una comunicazione interna.
CARMEN MOTTA. Benissimo, è una comunicazione interna. Allora, io mi chiedo: sanno che lei è in Somalia, ma lei non viene avvisato di questo particolare?
ALFREDO TEDESCO. No, assolutamente no.
CARMEN MOTTA. Io non capisco, mi perdoni. Ci aiuti a capire. Due uffici si comunicano che sono stati ricoverati presso un ospedale dei feriti, che erano presenti all'agguato. Sanno che lei è lì, sul posto. Lei, però, non viene informato. Allora, desumo che questo fatto importantissimo non viene considerato come tale: se qualcuno fosse andato a cercare questi feriti, che erano stati presenti all'agguato, forse avremmo avuto una testimonianza diretta molto importante!
Per favore, mi chiarisca: com'è che questa informazione non le viene data e non le viene chiesto di andare a verificare presso gli ospedali se vi fossero quei due feriti e, eventualmente, anche qualcun altro? Io non riesco a darmi nessuna risposta logica. Lei che ci stava a fare, mi scusi, in Somalia, se non la informavano di un fatto del genere?
ALFREDO TEDESCO. Intanto, credo che lì sia scritto: «Si presume»; non c'è nessuna certezza, credo. Può darsi che da accertamenti successivi sia venuto fuori che non era così. Questa può essere una delle possibilità. Non so, potremmo leggere che cosa c'è scritto esattamente.
PRESIDENTE. Mi scusi, dottor Tedesco, evidentemente ricorda male perché io ho una sua nota manoscritta, nella quale lei dichiara: «Viene riferito che alcuni poliziotti somali avrebbero aperto il fuoco contro la vettura degli attentatori in fuga, e che sono stati gli stessi poliziotti a prestare i primi soccorsi. Questa mattina le due salme partivano per l'Italia, eccetera». Questa è un'affermazione sua, dottor Tedesco.
ALFREDO TEDESCO. Sì, ma non parlo di feriti, di ospedale, e via dicendo.
PRESIDENTE. Però, lei dichiara di sapere che due poliziotti hanno ferito due degli aggressori.
ALFREDO TEDESCO. No, che hanno aperto il fuoco contro la vettura, non dico che ci sono stati dei feriti.
PRESIDENTE. Ha ragione: «Viene riferito che alcuni poliziotti somali avrebbero aperto il fuoco contro la vettura degli attentatori in fuga, e che sono stati gli stessi poliziotti a prestare i primi soccorsi».
ALFREDO TEDESCO. Sì, è riferito sempre dai poliziotti.
PRESIDENTE. Però, la notizia che c'era stata questa risposta al fuoco, da parte della polizia, lei l'aveva avuta.
ALFREDO TEDESCO. Questo proviene dalle persone che ho incontrato nei giorni successivi. È detto...
PRESIDENTE. Non si ricorda chi è che le ha dato questa notizia?
ALFREDO TEDESCO. I poliziotti. È detto dai poliziotti che, devo dire la verità, una mano sul fuoco, se hanno sparato veramente o meno...
PRESIDENTE. Non ce la metterebbe.
PRESIDENTE. Onorevole Motta, ha altre domande da fare?
CARMEN MOTTA. No, comunque non ho capito lo stesso.
PRESIDENTE. Diciamo che c'è un frammento da cui risulta che, sia pure non con riferimento al fatto che vi sia stato il ferimento di due degli aggressori, tuttavia c'è questo passaggio autografo del dottor Tedesco da cui risulta che, quanto meno la risposta della polizia ci sarebbe stata, tenuto presente che la notizia di fondo fa riferimento al ferimento di due degli aggressori da parte della polizia.
CARMEN MOTTA. Quindi, da questo si deduce, presidente, che due uffici di Roma si trasmettono questa informazione.
PRESIDENTE. Esatto, è la stessa notizia.
CARMEN MOTTA. Sì, e resta qui, a Roma.
PRESIDENTE. No, arriva a Roma.
CARMEN MOTTA. Sono d'accordo, ma voglio dire che non è stata utilizzata.
PRESIDENTE. Loro la conoscono, però.
ALFREDO TEDESCO. Può essere anche venuta fuori dai carabinieri. Quando Tunzi dice che l'ha detto a me, può averlo scritto (andare a Roma). Non è che i carabinieri, se uno si tiene le sue cartuccelle, perché se così fosse... magari l'informativa viene proprio dai carabinieri. È possibile anche questo. Noi non avevamo un rapporto diretto con il maggiore Tunzi. Non è che il maggiore Tunzi potesse dire a me: tu vai all'ospedale, eccetera. Noi eravamo completamente indipendenti. Non avevo dipendenza gerarchica dal maggiore Tunzi.
CARMEN MOTTA. Va bene, ma quel che non si capisce è perché nessuno - ripeto, nessuno -, che sia stata vera oppure no la notizia dei feriti, sia andato all'ospedale a verificarla. Mi scusi, dottor Tedesco, ma il problema è questo. Vera o non vera che fosse l'informazione, se non si verifica, nessuno potrà mai appurarla! Atteso il fatto che la polizia somala, come lei dice ripetutamente, era abbastanza inattendibile. Insomma, nessuno ha verificato! Girano informazioni, arrivano notizie, gli uffici di Roma se le passano, ma nessuno dice a chi è presente sul campo, in Somalia, di verificare. Mi scusi, continuo a non capire. Prendo atto di quello che lei dice, dottore, per l'amor di Dio, però continuo a non capire.
ELETTRA DEIANA. Dottor Tedesco, le è possibile fornirci - con uno sforzo di memoria, consultando i suoi appunti - i nominativi delle fonti che erano sul posto?
ALFREDO TEDESCO. Onorevole, io non ho appunti.
ELETTRA DEIANA. Ha la memoria. Essendo un uomo dei servizi, dovrebbe avere più memoria degli altri.
ALFREDO TEDESCO. Per i nomi delle fonti, credo che dovrete rivolgervi ad altre persone. Io non posso fare questi nomi.
ELETTRA DEIANA. Dunque, non può fare i nomi.
ALFREDO TEDESCO. Non posso, per un semplice motivo: questa gente vive lì, quindi se in via riservata ve li volete far fornire dall'ufficio, va bene, ma...
ELETTRA DEIANA. Non so se possiamo chiederli noi.
PRESIDENTE. Scusatemi, non ho capito la questione. Potete spiegarmi?
ELETTRA DEIANA. Ho chiesto i nomi delle fonti.
PRESIDENTE. Le ha già date, le fonti.
ELETTRA DEIANA. Mi riferisco ad altre. Ad esempio, la persona che gli avrebbe confermato, di cui non ci ha dato il nome.
PRESIDENTE. È somala questa persona?
ALFREDO TEDESCO. Sono tutti somali. Le nostre fonti erano esclusivamente somale.
ELETTRA DEIANA. Insomma, si può arrivare a queste persone.
ALFREDO TEDESCO. Credo di sì, se lo chiedete in via ufficiale all'ufficio e se non vi sono motivi di riservatezza, cosa che non posso sapere.
ELETTRA DEIANA. Non so se è il momento per chiederglielo, ma vorrei ritornare sulle minacce di morte che la giornalista avrebbe ricevuto a Bosaso. C'è un'informativa al riguardo?
ELETTRA DEIANA. Nella precedente audizione, lei ci ha dato una notizia di cui non avevamo conoscenza, ovvero che nel corso di una riunione organizzata il 18 marzo 1994 da non so quale autorità militare - immagino Unosom o, comunque, annessi e connessi - per comunicare ai giornalisti che era il caso di prendere precauzioni onde evitare di essere coinvolti in vicende come quelle che si sono verificate per i due italiani, in quell'occasione qualcuno dei giornalisti (lei così ci ha detto) avrebbe detto che sapeva di minacce nei confronti di Ilaria Alpi, a Bosaso. Può illustrare meglio questo passaggio?
ALFREDO TEDESCO. Visto che avevamo ricevuto notizia secondo cui potevano esserci degli attentati a danno di italiani - e gli unici italiani che correvano questo rischio, in quanto presenti in città erano i giornalisti - provvedemmo affinché tutti i giornalisti lasciassero l'albergo di Mogadiscio nord per spostarsi a Mogadiscio sud. Questa riunione, cui mi riferivo, non era una riunione formale. Una volta che tutti i giornalisti erano arrivati nel compound...
ELETTRA DEIANA. Chi l'aveva indetta?
ALFREDO TEDESCO. Nessuno l'aveva indetta, onorevole. Questa gente è arrivata lì e ha chiesto: «Che facciamo adesso? Dove andiamo?» e noi gli abbiamo consigliato di...
ELETTRA DEIANA. Per «noi» chi intende?
ALFREDO TEDESCO. Eravamo presenti anche noi, ma c'era anche l'ambasciatore.
ELETTRA DEIANA. Insomma, le autorità italiane.
ELETTRA DEIANA. E dunque, in via informale vi siete assunti questa responsabilità.
ALFREDO TEDESCO. Pensavamo che era meglio che loro stessero nel compound, all'interno del compound. Però, i giornalisti hanno preferito andare in albergo - anche perché era abbastanza sicuro -, per avere libertà di movimento. In tutto quel contesto, ci siamo contati: quanti siamo? Chi manca? E qualcuno disse che mancava Ilaria. Io ho appreso in quel momento che Ilaria non era presente. Qualcuno disse: «È andata fuori»...
ALFREDO TEDESCO. Lì erano dieci, quindici persone che parlavano, erano giornalisti.
ELETTRA DEIANA. Avevano dei nomi?
ALFREDO TEDESCO. Guardi, i nomi dei giornalisti io magari non li so nemmeno.
ELETTRA DEIANA. Ma non è possibile che lei non li sapesse?
ALFREDO TEDESCO. Non li so i nomi, veramente; l'ho detto anche l'altra volta. Due nomi soli, ricordo, di giornalisti ...
ALFREDO TEDESCO. ...e Alberizzi. Poi, se non me li ricorda il presidente, non me li ricordo nemmeno.
PRESIDENTE. Non senza ragione.
ALFREDO TEDESCO. Perché erano i più simpatici! No, scherzo, erano simpatici tutti. Comunque, in quel contesto venne fuori che Ilaria era andata a Bosaso. I giornalisti si sentivano, fra di loro; poi, c'è stato un periodo di silenzio: Ilaria per qualche giorno non aveva comunicato e, appunto, venne fuori che c'era stata fuori questa minaccia.
ELETTRA DEIANA. In che senso venne fuori? Un giornalista, un collega di Ilaria Alpi lo disse.
ALFREDO TEDESCO. Sì, sicuramente da loro è venuta.
ELETTRA DEIANA. Oltre a dire che era assente, che non si sapevano notizie.
ALFREDO TEDESCO. Sì, esatto. Lì, parlavano un po' tutti quanti, è difficile dire chi fosse. Non è che ci fosse un giornalista, ce n'erano diversi. E venne fuori questa notizia.
ELETTRA DEIANA. Si ricorda, per lo meno, il sesso di quel giornalista? Era una giornalista o un giornalista?
PRESIDENTE. Come fa? È difficile...
ELETTRA DEIANA. Così, per lo meno, andiamo per approssimazioni successive.
ALFREDO TEDESCO. Onorevole, io lo do addirittura per esclusione di altre cose, di averlo saputo dai giornalisti. Sicuramente l'ho saputo dai giornalisti, ma, come le ho detto, lì ognuno diceva la sua...
ELETTRA DEIANA. Mi sembra strano che un uomo dei servizi, di fronte ad una notizia così precisa...
ALFREDO TEDESCO. Ma non è così precisa.
ELETTRA DEIANA. Oddio, che due giornalisti siano andati a Bosaso e abbiano ricevuto minacce mi sembra una notizia precisa!
ALFREDO TEDESCO. Adesso, senza offendere i giornalisti - io voglio bene ai giornalisti -, debbo dire che a volte qualcuno si riteneva minacciato solo perché gli avevano detto «Brutta bianca!». Quante volte sono venuti a dirmi: «Sono stato minacciato», però poi...
ELETTRA DEIANA. Però, non mi sembra che i due fossero così tremebondi da impressionarsi solo perché qualcuno avesse detto loro qualcosa.
ALFREDO TEDESCO. Col senno del poi...
ELETTRA DEIANA. Almeno, lei non fu preoccupato da questa notizia.
ALFREDO TEDESCO. Me ne preoccupai tanto da segnalarlo. E poi cercai, tramite l'ufficio delle Nazioni Unite, l'ufficio Unosom, che era l'unico ufficio presente a Bosaso... forse non lo sapete - l'unico ufficio internazionale presente a Bosaso era un piccolo ufficio con tre o quattro dipendenti delle Nazioni Unite.
ELETTRA DEIANA. E lei si mise in contatto.
ALFREDO TEDESCO. Non io personalmente, ma l'ufficio delle Nazioni Unite.
ELETTRA DEIANA. Mi faccia capire: lei segnalò questa informazione all'Unosom di Mogadiscio?
ALFREDO TEDESCO. Sì, ne parlammo.
ELETTRA DEIANA. Si ricorda a quale ufficiale fece questa segnalazione?
ALFREDO TEDESCO. A chi aveva la possibilità di comunicare con Bosaso. Non ci fu una segnalazione ufficiale, anche perché non è che io potessi fare segnalazioni ufficiali. Mi avrebbero chiesto a che titolo; ed io che gli rispondevo?
ELETTRA DEIANA. Poteva farla agli italiani in via ufficiosa.
ALFREDO TEDESCO. E io l'ho fatta agli italiani in via ufficiosa.
ELETTRA DEIANA. Agli italiani?
ALFREDO TEDESCO. Gli italiani non potevano comunicare con Bosaso. Era una frequenza...
ELETTRA DEIANA. Intendo dire agli italiani di Unosom.
ALFREDO TEDESCO. Uno, ce n'era, di italiano di Unosom: era Vezzalini. Ne abbiamo sicuramente parlato, anche con lui. Magari lui mi ha suggerito...
ELETTRA DEIANA. Insomma, lei non è in grado di dirci se e chi - dell'Unosom di Mogadiscio - si sia messo in contatto con l'Unosom di Bosaso per avere informazioni: a me è questo che interessa.
ALFREDO TEDESCO. Si sono messi in contatto. E dissero, appunto, che Ilaria aveva preso contatto con loro e che con l'aereo dell'Unosom sarebbe ritornata.
PRESIDENTE. La dichiarazione resa dal dottor Tedesco è la seguente: «Ho saputo solo in un secondo tempo e ho saputo anche dai colleghi giornalisti che aveva perduto l'aereo e c'è stato un momento in cui non sapevano dove fosse e che aveva appunto avuto delle minacce, ma che poi si è risolto tutto quanto. Ma a livello di minacce non intendo minacce: lì purtroppo magari erano minacce fatte così, dalla gente della strada. Ne ho ricevute tante anch'io».
ELETTRA DEIANA. Chi è che ha fatto queste affermazioni?
ALFREDO TEDESCO. Sono io, nella precedente deposizione.
ELETTRA DEIANA. Soltanto che si dà il piccolo particolare che poi la giornalista è stata uccisa.
ALFREDO TEDESCO. L'ho detto anch'io.
ELETTRA DEIANA. Sì, sono strane informative, queste: si dice e non si dice. Sono buone per tutte le piste e per tutte le interpretazioni ex post.
PRESIDENTE. Dottor Tedesco, ha mai sentito parlare di un certo Comerio?
ALFREDO TEDESCO. No. Mai sentito.
ELETTRA DEIANA. Non le risulta che sia stato in Somalia, questo Comerio?
ALFREDO TEDESCO. È la prima volta che lo sento nominare.
PRESIDENTE. Siamo più informati noi dei servizi.
ALFREDO TEDESCO. Io sono pensionato!
PRESIDENTE. Per la verità, ci è stato detto che i servizi lo ritenevano un personaggio un po' stravagante.
ALFREDO TEDESCO. Io non sono «i servizi».
ELETTRA DEIANA. Vorrei ritornare su questa informativa e sulle minacce. Potevano anche essere minacce di poco conto, dal punto di vista delle possibili conseguenze, però se la notizia è arrivata a Mogadiscio - e qualcuno ne ha parlato - vuol dire che Ilaria Alpi ha mantenuto dei contatti durante il suo soggiorno a Bosaso. Può anche darsi, dunque, che abbia dato altre comunicazioni. Allora, siccome stiamo cercando di ricostruire in maniera precisa i suoi movimenti e le sue esperienze, vorrei capire se lei ricorda qualcosa.
ELETTRA DEIANA. È stato soltanto un flash, questo?
ALFREDO TEDESCO. Sì. Ripeto, io non sapevo nemmeno che era a Bosaso.
ELETTRA DEIANA. C'è una sua informativa - credo che sia una lettera al Ministero degli affari esteri - in cui lei parla di sequestro, addirittura. È esatto?
ALFREDO TEDESCO. No, no. Io non ho mai parlato di sequestro.
ELETTRA DEIANA. E di chi è, allora, questa informativa?
ALFREDO TEDESCO. Non lo so di chi sia.
ELETTRA DEIANA. C'è una lettera del Ministero in cui si parla di una possibilità di sequestro ai danni di Ilaria Alpi. Di questo non ha saputo niente?
ALFREDO TEDESCO. No, onorevole. Confermo quel che ho detto l'altra volta: l'ho saputo in un secondo tempo, del sequestro.
ELETTRA DEIANA. In un secondo tempo, sarebbe a dire?
ALFREDO TEDESCO. Fuori da ogni tempo utile. Non ero nemmeno in Somalia. Non lo sapevo del sequestro.
PRESIDENTE. Dottor Tedesco, a proposito di dichiarazioni rese in passato, ce n'è una che ha reso di fronte alla DIGOS, esattamente il 30 dicembre 1999, dove lei parlò di un santone vicino al tribunale islamico, che possedeva degli armati che operavano anche atti di banditismo.
Questa affermazione era basata su esperienze passate, ovvero c'erano state situazioni precedenti a quella che ci interessa in questo momento, cioè l'uccisione dei due giornalisti italiani, in cui questo santone aveva fatto scorribande o aveva utilizzato i suoi armati?
ALFREDO TEDESCO. Le scorribande erano all'ordine del giorno, erano continue.
PRESIDENTE. Con un po' di pedanteria burocratica, credo sia necessario che la Commissione esamini le sue informative.
La prima che ci interessa è del 20 marzo: «Alle ore 15,10, davanti all'albergo Hamana, in Mogadiscio nord, Alpi e Hrovatin sono stati uccisi a colpi di mitra da sei somali a bordo di un'autovettura Land Rover celeste. L'auto della giornalista sarebbe stata seguita fin da Mogadiscio sud. L'azione sembrerebbe mirata alla persona. I corpi recuperati dalla polizia, eccetera».
Ebbene, in questa informativa vi sono alcune indicazioni: sei somali a bordo di un fuoristrada, il tipo di autovettura - la Land Rover celeste - e il fatto che la giornalista sarebbe stata seguita da Mogadiscio sud, vale a dire dall'hotel Sahafi, dove alloggiavano.
Queste notizie - che sono del 20 marzo - da chi le avevate avute?
ALFREDO TEDESCO. Queste notizie vengono, come appunto dicevo, da...
ALFREDO TEDESCO. No, no. La polizia queste notizie non ce le dava.
PRESIDENTE. Vengono da questa fonte, di cui non può fare il nome?
ALFREDO TEDESCO. Da tante fonti, non era una sola.
PRESIDENTE. C'era una bella precisione, dal punto di vista dei dati: sei somali, l'auto celeste, provenivano da Mogadiscio sud.
ALFREDO TEDESCO. Questo hanno detto. Il fatto che la seguivano da Mogadiscio sud non significa dall'hotel di Mogadiscio sud.
PRESIDENTE. Poteva essere anche prima.
ALFREDO TEDESCO. Poteva essere dopo, perché tra Mogadiscio sud e Mogadiscio nord c'era una fascia di circa un chilometro, forse meno, che non era di nessuno, dove spesso succedevano le cose e dove più facilmente, magari, potevano trovarsi queste vetture. Poi, c'è da dire una cosa: i somali - è incredibile, bisogna saperlo -, da sempre, dalla macchina individuano l'appartenenza, eccetera. Se sono stati così precisi, evidentemente tra di loro parlavano.
PRESIDENTE. Ma siccome la notizia che sarebbero stati seguiti da Mogadiscio sud è stata sempre collegata al momento dell'uscita dei due giornalisti dall'hotel Sahafi, almeno per quello che è oggi il suo ricordo, non ci fu un riferimento specifico al fatto che fossero seguiti?
ALFREDO TEDESCO. No, non è che stavano sotto l'albergo.
PRESIDENTE. Quindi, Mogadiscio sud come zona.
ALFREDO TEDESCO. Mogadiscio sud come zona, certo.
PRESIDENTE. E lei precisa che, tra le altre cose, molto più frequentemente le scorribande si verificavano in quella zona di nessuno...
PRESIDENTE. E quindi da lì, normalmente, partiva tutto.
ALFREDO TEDESCO. Anche noi siamo stati attaccati in quella zona.
PRESIDENTE. Abbiamo un'altra notizia, da seconda a terza divisione: «Una fonte riferisce che l'uccisione sia da considerare una vendetta da parte di un gruppo di somali che ha sparato. Sembra che alla base della rivendicazione del gruppo vi fosse un debito di denaro preteso dai due giornalisti. In realtà, pare che il debito non era stato contratto dalle due vittime, ma da una terza persona, non nota, o da militare del contingente che stava per lasciare la Somalia»...
ALFREDO TEDESCO. Questo non l'ho scritto io.
PRESIDENTE. «Il gruppo, al momento dell'arresto della macchina e prima di aprire il fuoco, avrebbe chiesto se essi erano in possesso dei soldi per saldare il debito. A seguito di una risposta negativa, sono stati falciati senza pietà. Secondo la fonte, per i somali ha poca importanza se i due non erano i reali debitori, perché il debito era comunque stato contratto da due bianchi italiani, da cui la vendetta di uccidere i primi due malcapitati».
ALFREDO TEDESCO. Io non ho scritto questo.
PRESIDENTE. Sì, ho capito. A parte il fatto che tutto ci risulta, meno che siano stati prima fermati, gli siano stati chiesti i soldi, e così via, da dove potevano provenire queste notizie?
ELETTRA DEIANA. Presidente, questa informativa è del Sismi?
PRESIDENTE. Sempre del Sismi, certo, da seconda a terza divisione. Come può essersi verificato? Nella vita tutto è possibile, però credo che tra le cose incredibili che abbiamo sentito, questa...
ALFREDO TEDESCO. Questa è incredibile veramente!
PRESIDENTE. ... è veramente incredibile.
ALFREDO TEDESCO. Lo dico anch'io, che conosco l'ambiente.
PRESIDENTE. L'incredibilità è anche depistaggio, ha capito?
ELETTRA DEIANA. Com'è possibile?
ALFREDO TEDESCO. L'onorevole si chiede come sia possibile ma...
PRESIDENTE. L'onorevole Deiana - la cui opinione è da me condivisa - sta facendo un'esclamazione di sorpresa, non tanto per i contenuti ma in quanto si chiede come possano uscire queste notizie. Evidentemente - siamo al 21 marzo 1994, il giorno dopo - già cominciano certe operazioni. Ecco perché prima facevo riferimento a certe inerzie, tutte concentratesi in quel periodo, che poi hanno un seguito in tutto quel che è successo successivamente. Chi può aver dato una notizia del genere?
ALFREDO TEDESCO. Posso tentare di spiegare. Chiaramente, non è oro colato, ma faccio delle ipotesi.
ELETTRA DEIANA. Mi scusi, lei apprende adesso queste notizie?
ALFREDO TEDESCO. Non l'ho scritto io, quel documento.
ELETTRA DEIANA. Vorrei sapere se lei ha appreso adesso dell'esistenza di questa informativa.
ALFREDO TEDESCO. Sì, l'ho sentita adesso.
PRESIDENTE. Comunque, le posso dire che l'informativa da seconda a terza divisione porta un'annotazione finale: «21 marzo 1994, da A/6 in ambito somalo». Che significa?
ELETTRA DEIANA. È un soggetto che sta in ambito somalo? È qualcuno che sta sul posto?
PRESIDENTE. Non solo qualcuno che sta in ambito somalo, ma che si chiama «A/6». Che significa?
ALFREDO TEDESCO. Non so chi sia questo «A/6», però...
PRESIDENTE. Mi scusi, intanto ci dica una cosa: «A/6» che cosa significa?
ALFREDO TEDESCO. È una persona. Questo dice che è una persona...
ELETTRA DEIANA. Cioè, questo codice ci dice che si tratta di una persona.
ALFREDO TEDESCO. Sì, che è una persona in ambito somalo, quindi...
ELETTRA DEIANA. Che agisce in ambito somalo?
ALFREDO TEDESCO. È un somalo. Continuo. Vuol dire che non è occasionale, il contatto con questa persona...
ELETTRA DEIANA. Quindi, è una fonte, è una persona conosciuta ai servizi?
ALFREDO TEDESCO. È una persona conosciuta.
ELETTRA DEIANA. Ho capito. Chi è, però, la persona italiana che agisce con A/6?
ALFREDO TEDESCO. Non so chi è la persona italiana. Quel documento è firmato, ci sarà una firma!
PRESIDENTE. Scusate, colleghi, lasciamolo spiegare bene, poi interveniamo altrimenti - tra l'altro - non si verbalizza. Prego, dottor Tedesco.
ALFREDO TEDESCO. Premesso che io non so chi ha scritto questo documento...
PRESIDENTE. Va bene, siamo d'accordo.
ALFREDO TEDESCO. Premesso che non so chi sia «A/6»...
PRESIDENTE. Premesso che siamo da divisione seconda a terza, quindi in ambito italiano...
PRESIDENTE. Tutto ciò premesso, mentre per l'altra nota non riuscivamo a capire da dove venisse - e non siamo ancora riusciti a capirlo - ovvero se sia Unosom o chi altri...
ALFREDO TEDESCO. Io le posso spiegare queste due righe.
PRESIDENTE. No, scusi. Ho presente il verbale, quindi a questo mi riferisco. L'ultima riga, l'ultima annotazione di questo documento è: «21 marzo 1994, da A/6 in ambito somalo»; sotto, c'è scritto «continuo/3». Allora, 21 marzo 1994, si capisce, è la data; «da A/6» è un codice che indica una persona?
ALFREDO TEDESCO. Sì, un codice che indica una persona.
PRESIDENTE. Che significa «in ambito somalo»?
ALFREDO TEDESCO. Vuol dire non necessariamente in Somalia; può essere anche in Italia, però in ambiente somalo.
ELETTRA DEIANA. Nella comunità somala, insomma.
ALFREDO TEDESCO. Non necessariamente in Somalia. Significa in ambito somalo, ma non necessariamente in Somalia.
PRESIDENTE. Ad esempio, potrebbe essere Duale?
ALFREDO TEDESCO. Potrebbe essere un somalo che sta in Italia, che sta in America, che sta a Gibuti...
PRESIDENTE. Che cosa vuol dire «Continuo/3»?
ALFREDO TEDESCO. «Continuo/3» vuol dire che lo posso contattare quando voglio. Il 3 significa scarsa attendibilità.
PRESIDENTE. Ecco. Però, se queste cose ce le diceste prime, faremmo perdere meno tempo a voi ed anche a noi. La sua sigla qual era?
ALFREDO TEDESCO. Avevo un nome e un cognome: «007» sta solo nei film!
PRESIDENTE. Colleghi, secondo me con il dottor Tedesco dobbiamo lavorare a lungo. Adesso, vorrei chiudere il capitolo dei due feriti.
Il colonnello Tunzi ha dichiarato: «Invece, nell'immediatezza del fatto, il giorno precedente, Marocchino insistette nel dire che uno degli assalitori era stato ferito e quindi bisognava cercare negli ospedali per individuarlo. Di questo si occupò Alfredo, perché conosceva la realtà, sapeva dove erano dislocati gli ospedali, e via dicendo. Alla mia domanda fatta ad Alfredo, che rividi insieme al tenente Orsini il giorno successivo, "Avete trovato il ferito?", lui rispose di no».
Lo stesso Tunzi, nel seguito della sua relazione, dichiara, sempre con riferimento all'individuazione di quelle due persone e al giro per gli ospedali: «Io non potevo dare questo incarico» - gli era stato chiesto se tale incarico potesse da lui essere affidato a qualcun altro dei suoi - «però mi sono fidato di quello che mi ha detto Alfredo: io vado negli ospedali».
Questi sono i dati a nostra disposizione. La risposta che lei ci ha già dato rimane la stessa, ovvero che lei non è andato negli ospedali?
ALFREDO TEDESCO. Io insieme al tenente Orsini ci stavo tutti i giorni, perché era il capo scorta dell'ambasciatore. Praticamente, ci mancava poco che dormivo con lui, quindi è possibile che mi abbia visto insieme a Orsini. Ma per quanto riguarda questa cosa dell'ospedale, ripeto, non prendevo ordini dal maggiore Tunzi.
PRESIDENTE. Leggo ancora, sempre nel documento dalla seconda alla terza divisione del 21 marzo 1994: «Secondo alcuni testimoni, gli aggressori hanno operato utilizzando due autovetture. Una ha seguito il mezzo dei giornalisti dall'uscita del porto nuovo, ove si erano recati per alcune riprese. La seconda era ferma presso l'hotel Hamana, in attesa del mezzo dei giornalisti. Nei pressi dell'albergo la vettura veniva bloccata da quella che li seguiva, nel punto dove sostava il secondo veicolo dal quale sono scesi quattro uomini, mentre due restavano a bordo. Le vetture degli attentatori erano due Land Rover, una celeste e l'altra bianca. Due somali dei predetti quattro tenevano a bada l'uomo di scorta e l'autista, mentre gli altri due aprivano il fuoco contro la giornalista e l'operatore, finendoli con colpi di mitra alla nuca. Gli aggressori sarebbero stati in totale dieci, di cui otto di etnia mourosad e due abgal, probabilmente pagati da un gruppo fondamentalista per compiere l'assassinio. I due giornalisti erano rientrati da Bosaso, dove si erano recati per un servizio sul fondamentalismo islamico locale. In detta località, sarebbero stati oggetto di minacce» - ecco il punto - «Il materiale fotografico sarebbe stato successivamente rinvenuto a bordo del mezzo dei giornalisti. Due dei mourosad sarebbero stati feriti a seguito di intervento della polizia somala e sarebbero ricoverati nel quartiere Bermuda, a Mogadiscio. Viene ipotizzata la matrice islamica. L'azione non aveva come obiettivo specifico gli italiani, ma era diretta ad ostacolare iniziative tese a realizzare servizi sul fondamentalismo».
Questa nota - torniamo alla fonte - è del 21 marzo, da seconda a terza divisione. È quella che porta, tra l'altro, quell'annotazione finale, ma non sappiamo da dove viene.
Adesso che le abbiamo tutti i contenuti della notizia, che ci può dire?
ALFREDO TEDESCO. Secondo quello che ho potuto sentire, è un insieme di notizie apprese da parti diverse. Una parte...
PRESIDENTE. Assemblate da chi?
ALFREDO TEDESCO. Una parte è anche mia.
PRESIDENTE. Qual è la sua parte?
ALFREDO TEDESCO. Quella dei quattro uomini che sono scesi, dei sei. Quella potrebbe essere la mia che si ricollega con le altre. Per quanto riguarda la frase in cui si dice che hanno sparato alla nuca, col mitra, tutte quelle cose lì vengono da altre parti. Cioè, credo che diverse notizie riguardanti lo stesso argomento provenienti da persone diverse abbiano formato quella informativa.
PRESIDENTE. Va bene, però le pongo - e mi pongo, vediamo di risolverlo insieme - lo stesso interrogativo. Proprio perché lei mi parla di un assemblaggio, abbiamo una serie di cose l'una appresso all'altra, che poi non si capisce come possano concludersi con il riferimento, per esempio, al fatto che a Bosaso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, si sarebbero recati per effettuare un servizio sul fondamentalismo islamico locale, che fa il paio con la conclusione per cui viene ipotizzata la matrice islamica, che non aveva come obiettivo specifico gli italiani, ma era diretta ad ostacolare iniziative tese a realizzare servizi sul fondamentalismo.
Lei si riconosce in questa ricostruzione oppure no?
PRESIDENTE. Quindi, se non proviene da lei, da chi potrebbe provenire?
ALFREDO TEDESCO. La presenza di campi dei fondamentalisti islamici lungo la costa a nord ovest di Bosaso, tra Bosaso e Gibuti, era nota. Adesso, il fatto che lei fosse andata a Bosaso... noi non sapevamo...
PRESIDENTE. Sino ad un attimo fa lei, anche rispondendo ad una domanda dell'onorevole Deiana, ha detto che non sapevate nemmeno che fosse andata a Bosaso.
ALFREDO TEDESCO. Questo sto dicendo.
PRESIDENTE. Così come ci può essere il depistaggio della nota che ci ha fatto sorridere, ci potrebbe anche essere il depistaggio della pista islamica; la Commissione deve porsi tutti i problemi, non so se rendo l'idea. Quindi, il 20 marzo si prova con la storia dei soldi; il 21 marzo si prova con quest'altra operazione, assemblando dati che possano essere basati su determinati elementi concreti, come quello che, in effetti, a Bosaso c'erano andati, quindi mettere il cappello sulla questione e chiudere ogni discorso. Non so se lei capisce il mio ragionamento.
ALFREDO TEDESCO. Sì, sì. Io stavo dicendo che l'unica certezza è che il servizio già conosceva l'esistenza di questi campi nell'area di Bosaso. È vero che non sapevamo che Ilaria fosse a Bosaso, e non sapevamo nemmeno che cosa era andata a fare lì. Che cosa è andata a fare a Bosaso? È andata nei campi, non è andata nei campi? Il fatto che avesse ricevuto delle minacce, eccetera... Comunque, come ripeto, c'è la possibilità di altre persone che abbiano riferito in merito, mentre noi non avevamo...
PRESIDENTE. Ho capito. Senta, questo è soltanto frutto della mia ignoranza: «Una ha seguito il mezzo dei giornalisti dall'uscita del Porto Nuovo (...)»: il Porto Nuovo è dalla parte del Sahafi, tanto per intenderci?
ALFREDO TEDESCO. Non è proprio così, ma è a cavallo di quella fascia di cui parlavamo prima.
PRESIDENTE. Quindi, viene fuori anche questa notizia dell'uscita dal Porto Nuovo, dove sarebbero state fatte delle riprese da parte di Ilaria e Miran. Questa è notizia sua o no?
ALFREDO TEDESCO. Questo non me lo ricordo, comunque è facile da vedere, perché se hanno fatto riprese al porto qualcuno, magari, ha detto «sì, li ho visti, stavano facendo ripresa al porto».
PRESIDENTE. Sempre 21 marzo, questa è autografa: «La moglie di Ali Mahdi, Nurta, durante un incontro avvenuto presso la nuova sede del centro» - frase depennata (adesso vedremo) - «avrebbe espresso l'opinione che il duplice omicidio avrebbe matrice religiosa e sarebbe parte di un più ampio piano di destabilizzazione condotto da fondamentalisti islamici che potrebbero reiterare il gesto nei confronti degli occidentali. La giornalista sarebbe stata seguita fin dal suo rientro da Bosaso, il 17 ultimo scorso, da una delle due vetture usate per l'attentato. Questo particolare è stato confermato anche da alcuni colleghi della vittima, che avevano parlato con Ilaria prima della sua morte. Anche la signora Nurta ha confermato che gli attentatori erano di Mogadiscio nord, aggiungendo che molti sarebbero i somali al soldo dei fondamentalisti o del Somaliland con il compito di vanificare i tentativi di riappacificazione a Mogadiscio».
ALFREDO TEDESCO. Sì, questo l'ho scritto io.
PRESIDENTE. Quindi, è una notizia che lei ha avuto direttamente dalla moglie di Ali Mahdi.
ALFREDO TEDESCO. Sì, perché io la conoscevo personalmente, ma da prima che il marito fosse presidente. Dirigeva un albergo e durante la mia prima missione li ho conosciuti così, dirigevano un albergo a Mogadiscio.
PRESIDENTE. Sulla base di che cosa faceva queste affermazioni la moglie di Ali Mahdi? Le dava elementi concreti di possibile riscontro?
PRESIDENTE. Faceva una riflessione a voce alta.
ALFREDO TEDESCO. Sì, in quanto moglie del presidente riferiva, parlava in quanto moglie del presidente.
PRESIDENTE. A lei sarà venuto il dubbio che tutto poteva fare meno che creare situazioni che potessero coinvolgere il marito in questa vicenda e che, quindi, poteva essere anche questa una operazione di depistaggio? Se lo è posto il problema?
ALFREDO TEDESCO. Sì. Le mogli somale difendono i mariti (le italiane no). Ho pensato anche questo, però c'era anche da dire, come ho detto prima, che Ali Mahdi per quanto riguarda i motivi religiosi, eccetera, in quel momento era...
ALFREDO TEDESCO. Quindi è possibile, è credibile, perché sapevamo anche da altre parti che il potere, perlomeno quello religioso, che poi è politico, era stato preso...
PRESIDENTE. Mi scusi, non so se l'ho chiesto a lei o al generale Rajola: il fatto che il duplice omicidio si fosse verificato in una zona di sicura pertinenza del controllo di Ali Mahdi - questa, forse, è una regola della criminalità, ma qui non è che sia una cosa diversa - non implicava necessariamente non dico l'autorizzazione - nei settori criminali ci vuole l'autorizzazione -, ma almeno la tolleranza, la connivenza, la conoscenza che si sarebbe verificato quel fatto, tenuto conto che questa banda di aggressori noi la troviamo ferma davanti all'hotel Hamana e pronta a smettere di prendere il tè per uccidere i due ragazzi? Secondo le sue conoscenze, senza il consenso di Ali Mahdi si poteva fare questa operazione, in quella zona?
ALFREDO TEDESCO. Fatto da gruppi fondamentalisti, sì. Loro spadroneggiavano e non chiedevano autorizzazioni a nessuno.
PRESIDENTE. Questo significa che se non fossero stati fondamentalisti, invece, ci sarebbe voluta l'autorizzazione di Ali Mahdi?
ALFREDO TEDESCO. No, non ho detto questo.
PRESIDENTE. Che significa, allora?
ALFREDO TEDESCO. Lei mi ha chiesto se potevano farlo senza autorizzazione ed io le ho risposto che essendo fondamentalisti sì, perché non avevano nessuna paura. Se erano bande normali, intanto non facevano l'attentato a due passi dal posto dove c'erano 50-60 poliziotti, che non era dato per scontato che non sarebbero intervenuti. Quindi, se hanno fatto quella azione in un posto così... potevano anche farla un chilometro prima, nella zona di nessuno, quando è uscita dal porto sud, dove proprio non c'era nessuno. Invece no, l'hanno fatto in un punto dove, evidentemente, loro potevano muoversi. E poi, un'altra cosa: mentre le bande criminali - perché giravano anche le bande criminali - erano ben legate al settore, cioè c'era la banda del sud e la banda del nord e si guardavano bene dallo sconfinare, gli unici gruppi armati che potevano anche essere misti, legati dallo spirito religioso, erano proprio queste bande qua; mentre altre bande normali o erano abgal o erano habar gidir o erano migiurtini ma comunque ognuno operava in un settore,
questa gente qui girava indisturbata da una parte all'altra, senza timore di essere fermata da nessuno, perché tra loro, ripeto, si conoscevano, si conoscono.
PRESIDENTE. Ma questi fondamentalisti da che parte stavano? Potevano essere in quel momento soci, in qualche modo, del gruppo di Aidid o no?
ALFREDO TEDESCO. Assolutamente no. Bisogna anche dire una cosa: non è detto che quelli che hanno sparato contro la nostra connazionale o che facevano parte del gruppo erano dei fedeli islamici che andavano a pregare tutte le mattina; chi apparteneva a queste bande riceveva la razione di droga giornaliera, riceveva le sigarette, riceveva le munizioni per le armi, quindi si dicevano fondamentalisti. Dicevano «sono fondamentalista: ho il fucile, quindi mi aggrego a queste bande », non è che lo facessero per fede religiosa o per altro.
PRESIDENTE. Sempre una nota manoscritta sua, del 21 marzo, da Mogadiscio a seconda divisione, da seconda divisione a terza sezione: «Fonte normalmente attendibile riferisce che l'attentato alla giornalista sia da attribuirsi a gruppi fondamentalisti e sarebbe stato mirato alla persona.» - l'abbiamo già vista, ma la vediamo adesso in questo contesto - «Le cause dell'uccisione sarebbero da attribuire ad un servizio iniziato alcuni giorni fa» - qui torna la notizia di prima - «a Bosaso e continuato a Mogadiscio sul crescente fenomeno del fondamentalismo islamico in Somalia. La giornalista italiana avrebbe ricevuto minacce di morte a Bosaso anche il giorno 16 (...)». Questa notizia di un servizio sul fondamentalismo che inizia a Bosaso e che termina a Mogadiscio lei la riferisce a questa fonte di cui non vuole fare il nome?
ALFREDO TEDESCO. L'ha detto prima. Questa cosa viene fuori dalla moglie di Ali Mahdi.
ALFREDO TEDESCO. Se lei vede, è esattamente la stessa cosa. Oltretutto, lei era migiurtina, quindi...
PRESIDENTE. «Fonte normalmente attendibile».
ALFREDO TEDESCO. Ma «fonte» non significa fonte, perché quando c'è una fonte specifica viene...
PRESIDENTE. Ma «normalmente» significa che l'avete utilizzata più volte.
ALFREDO TEDESCO. Sì, che la conoscevo, la sentivo, eccetera.
PRESIDENTE. Quindi era una fonte.
ALFREDO TEDESCO. No, una persona è fonte quando viene pagata. Quella è la fonte.
PRESIDENTE. Lei ha detto che voi pagavate a rendimento.
ALFREDO TEDESCO. Ma il modo di dire è lo stesso, anche perché la centrale sa benissimo quali sono le fonti ufficiali.
ELETTRA DEIANA. Una persona informata.
PRESIDENTE. Va bene: persona informata, normalmente attendibile.
ALFREDO TEDESCO. Che poteva aver avuto anche notizie dal nord.
PRESIDENTE. Ma quando una persona è normalmente attendibile il Sismi la mette tra le fonti, o no?
ALFREDO TEDESCO. Non si può dire...
PRESIDENTE. Abbiamo detto: utili, conoscenze e fonti.
ALFREDO TEDESCO. Persone utili, collaboratori occasionali e fonti.
PRESIDENTE. Ma i collaboratori occasionali possono essere attendibili o non attendibili. Le persone utili anche.
ALFREDO TEDESCO. E anche le fonti.
PRESIDENTE. Anche le fonti possano essere non attendibili.
PRESIDENTE. Comunque, avrete un criterio.
ALFREDO TEDESCO. Certo, se uno mi dice cinque cose, di cui quattro e mezza sono attendibili...
PRESIDENTE. Lo mette nelle fonti.
ALFREDO TEDESCO. No, non lo metto nelle fonti.
PRESIDENTE. Ci vuole cinque su cinque!
ALFREDO TEDESCO. No, lo giudico una persona attendibile. Se con il tempo vedo che dà indicazioni scarse o comunque imprecise, non è attendibile.
PRESIDENTE. Quindi, «normalmente attendibile» significa...
ALFREDO TEDESCO. Significa che è una persona di cui c'era da fidarsi, attendibile.
PRESIDENTE. E la stessa fonte «normalmente attendibile» è quella alla quale si riferisce, sempre nella stessa nota, il fatto dei poliziotti somali che avrebbero sparato contro gli attentatori, che sarebbero, questa volta, i poliziotti di Ali Mahdi. O sbaglio?
PRESIDENTE. Va bene. Qui noi abbiamo - lo abbiamo già chiesto a Rajola e lo chiediamo anche a lei - il documento, scritto da lei, in cui tutta la parte relativa al fenomeno del fondamentalismo islamico in Somalia, alla sua crescita ed al fatto che la giornalista italiana avrebbe ricevuto minacce di morte, eccetera, risulta cancellata. La cancellatura è di duplice modalità: mentre tutto quello che riguarda il fondamentalismo viene cassato con un tratto di penna quasi verticale, comunque obliquo, la frase «la giornalista italiana avrebbe ricevuto minacce di morte anche a Bosaso, il giorno 16 ultimo scorso» è invece cancellata con un tratto orizzontale. Che significano queste cancellature?
ALFREDO TEDESCO. Come si può vedere, noi lavoravamo in una situazione precaria; scrivevamo i messaggi a mano e li mandavamo con un fax e, chiaramente, non erano presentabili. Questo documento faceva vari giri, se la centrale riteneva opportuno inoltrarlo ai vari uffici, quindi diciamo che veniva passato in bella; e siccome noi avevamo un referente a Roma, questi messaggi arrivavano sul tavolo di una persona che valutava lo scritto e, magari, non avrà ritenuto opportuno mettere quello, forse perché non era stato segnalato con una certa sicurezza, magari non era stato riscontrato da altre fonti in altre zone, sempre nell'area. Non so perché è stato cancellato, comunque a Roma facevano queste proiezioni.
PRESIDENTE. Innanzitutto, preciso che la motivazione che lei ha dato forse non vale in questo caso, perché qui si parla di fonte normalmente attendibile, quindi lei dice che la fonte è da prendere in considerazione.
PRESIDENTE. Che la cassazione possa essere avvenuta per il fatto che la fonte non fosse attendibile forse in questo caso non vale. Io le chiedo, innanzitutto: questo documento lei lo ha mandato senza queste correzioni?
PRESIDENTE. Quindi questi sono tratti di penna, cancellazioni che sono state fatte a Roma. Esatto?
PRESIDENTE. Tutte e due quelle che ho indicato?
ALFREDO TEDESCO. Sì, sì. Per quanto in emergenza, non potevo mandarlo addirittura con delle cancellature. Oltretutto, si legge la notizia, quindi mi avrebbero chiesto il perché.
PRESIDENTE. Poi, qui c'è una cosa forse riferibile a lei: «Secondo alcuni testimoni somali l'attentato sarebbe stato eseguito da un commando ben addestrato e, secondo quanto riferito, l'azione era stata pianificata in precedenza»; questa sotto è sicuramente la sua calligrafia. La dizione viene cambiata nella seguente: «Secondo alcuni testimoni somali l'attentato sarebbe stato eseguito da un commando ben addestrato, lasciando presumere una azione pianificata», cioè c'è una forte attenuazione. È calligrafia sua questa sopra?
PRESIDENTE. Quindi, qualcuno ha cambiato.
ALFREDO TEDESCO. Ha attenuato leggermente, però il significato è lo stesso.
PRESIDENTE. Non esattamente. Ma perché la forma doveva essere modificata, a che fine? Per farla diventare più scorrevole nella trasmissione?
ALFREDO TEDESCO. Sì, certo. Non volevano nascondere nulla.
PRESIDENTE. Intanto, questo viene cancellato. E questo che significa: se è stato cancellato, non è transitato?
ALFREDO TEDESCO. Non so se questa è una cancellazione... perché sono state fatte anche cancellazioni... Se avessero cancellato tutto, non ci sarebbero state poi...
PRESIDENTE. Questa non è calligrafia sua?
PRESIDENTE. Diamo atto che il dottor Tedesco dichiara che le interpolazioni nella parte oggetto di cancellazione attraverso la linea obliqua, esattamente le parole «viene anche ipotizzata quella relativa», non sono di sua mano.
ALFREDO TEDESCO. Se avessero annullato tutto, non avrebbero fatto le correzioni, a meno che non le abbiano fatte in un secondo tempo.
PRESIDENTE. Una nota del 22 marzo, sempre autografa sua: «Fonte riferisce circa la presenza di connazionali e la circostanza che dopo una riunione con Scialoja, in cui viene rappresentato che azioni come quella contro la Alpi potrebbero essere organizzate contro il personale delle ONG, solo tre appartenenti alle ONG lasciano il paese». Ecco qui: «Dopo una riunione tenutasi ieri mattina dall'ambasciatore Scialoja con i responsabili delle ONG italiane presenti in Somalia, solo tre connazionali avrebbero deciso di partire contemporaneamente. I tre italiani che lavorano per l'Intersos sono Rinaldi, Faini, Trudi. Ai restanti connazionali è stato fatto presente che azioni come quella condotta nei confronti di Ilaria Alpi potrebbero essere organizzate anche in futuro e che il personale della ONG potrebbe
essere potenziale obiettivo» (sembra di leggere le cose di qualche mese fa in Iraq): che consistenza aveva?
ALFREDO TEDESCO. Praticamente, rientra nel quadro di insicurezza che si era creato in città.
PRESIDENTE. Perché le ONG in particolare?
ALFREDO TEDESCO. Intanto perché le ONG erano internazionali, poi perché erano loro che giravano. Il loro compito istituzionale era quello di andare nei villaggi a verificare i pozzi, l'acqua... e non sempre era possibile essere scortati, quindi erano quelli più soggetti ad eventuali attacchi da parte di queste bande armate.
PRESIDENTE. Nota 22 marzo 1994, numero 197, sempre autografa: «Rimane ancora incerta la situazione nella zona di Chisimaio dopo il netto rifiuto di Jess ad incontrare il generale Morgan ed ancora resta da concordare luogo e data per la conferenza di riappacificazione. Nella zona continuano sporadici scontri (...). In città, intanto, la situazione si fa ogni giorno più critica, a causa del sempre crescente banditismo e della presenza sempre più numerosa di gruppi di fondamentalisti islamici, che tendono a ritardare la riappacificazione del paese. La polizia somala appare ancora inadeguata ad arginare tali fenomeni ed i restanti contingenti sono ormai degli spettatori e null'altro. Unosom ha aperto un'inchiesta sulla morte della giornalista italiana e del suo operatore, ma nessuna dichiarazione è stata fatta sui mandanti e sugli esecutori dell'attentato. È stato anche insinuato che la giornalista sia morta per il ritardo nei soccorsi, cosa assolutamente inesatta poiché i due sono morti sul colpo, a causa delle gravissime ferite riportate. I militari italiani sono giunti sul posto muovendo con due mezzi del Porto Nuovo esattamente 15 minuti dopo l'attentato e non dopo 90 minuti, come riportato da una rivista francese». Da chi era stato insinuato che la giornalista fosse morta a causa del ritardo dei soccorsi?
ALFREDO TEDESCO. Da una rivista francese.
PRESIDENTE. Quindi entrambe le notizie, sia questa sia quella riguardante il ritardo dei soccorsi, vengono dalla rivista francese.
PRESIDENTE. Nota 198, anche questa autografa, del 23 marzo 1994: «Appare evidente la volontà di Unosom di minimizzare sulle cause che avrebbero portato all'uccisione della giornalista italiana e del suo operatore. Unosom continua a battere la pista della tentata rapina e della casualità dell'episodio, trascurando chiari particolari che indicano il contrario. Anche da Roma è giunto a Scialoja esplicito divieto di trattare l'argomento e di avanzare ipotesi sui probabili mandanti, ricordando che tale compito spetta solo ad Unosom al termine dell'accertamento in corso».
Anzitutto le domando, per quello che riguarda la questione di Scialoja, di cui abbiamo parlato, e con particolare riferimento alla puntualizzazione «è giunto a Scialoja esplicito divieto», che significa «esplicito divieto»? Da chi proviene questo divieto? Lei dice di sapere che fu un esplicito divieto.
PRESIDENTE. Da chi fu esplicitato il divieto nei confronti di Scialoja? Lei la notizia da chi la sa, da Scialoja?
ALFREDO TEDESCO. Da Scialoja, parlando.
PRESIDENTE. E Scialoja chi le ha detto che gli aveva dato l'esplicito divieto?
ALFREDO TEDESCO. No, non mi ha detto chi. Io non è che ricordo esattamente, però è chiaro che viene fuori da un discorso con Scialoja. Io non è che vado a leggere i documenti di Scialoja, però parlando in un contesto così, cioè si diceva
che le Nazioni unite tendevano ad accreditare - è il discorso che facevamo - che era una questione politica, l'ambasciatore dice «Anche a me hanno detto (...)», ma non nel senso di disinteressarsi, «esplicitamente» vuol dire che spetta alle Nazioni unite il compito e non devono esserci intralci.
PRESIDENTE. Una questione di regolamento di competenze.
ALFREDO TEDESCO. Non devono esserci intralci. Però questo non vuol dire, ripeto, che siccome ci pensavano le Nazioni Unite noi ce ne siamo disinteressati.
PRESIDENTE. Ma qui si dice che «anche da Roma è giunto a Scialoja esplicito divieto di trattare l'argomento e di avanzare ipotesi sui probabili mandanti».
ALFREDO TEDESCO. Certo, per quel motivo che ho detto.
PRESIDENTE. Sugli esecutori no, sui mandanti sì.
ALFREDO TEDESCO. Sui mandanti, sugli esecutori...
ELETTRA DEIANA. In questi giorni lei ha incontrato, per caso o per volontà, Luca Rajola Pescarini?
ELETTRA DEIANA. E vi siete scambiati informazioni, notizie, orientamenti?
ALFREDO TEDESCO. Assolutamente no. Con il generale Rajola ci vediamo praticamente ogni settimana. Ero stato anche invitato con le mie figlie sulla sua barca, ma non sono andato. Sono stato a cena a casa sua quattro giorni fa.
PRESIDENTE. Però io vi avevo posto...
ALFREDO TEDESCO. Era già programmata la cena.
PRESIDENTE. Io però vi avevo posto il divieto di incontro fino a quando non fosse terminata la sua audizione. Questa è una cosa che mi dispiace.
ALFREDO TEDESCO. Con i colleghi. Non era presente Rajola.
PRESIDENTE. Non era presente, è vero. Ha ragione.
ALFREDO TEDESCO. Io non ho visto gli altri colleghi.
PRESIDENTE. Però mi sembrava logico che non dovesse parlare...
ELETTRA DEIANA. Le spiego perché le ho fatto questa domanda, signor Tedesco: perché nella precedente audizione lei era molto più chiaro nelle sue esternazioni. Oggi riesco a seguirla molto meno.
ALFREDO TEDESCO. Mi scusi se non sono chiaro. Sicuramente dipende da me.
ELETTRA DEIANA. Non è una questione di linguaggio, è una questione di memoria. L'altra volta mi aveva colpito perché era molto vivido nella memoria.
ALFREDO TEDESCO. Mi sembra che fino adesso...
ELETTRA DEIANA. Le ho comunicato una sensazione e basta.
PRESIDENTE. Comunque, non è certamente il meglio della vita avere fatto questo incontro. Voi siete persone molto avvertite, avete avuto una grossissima esperienza investigativa, istituzionale e di responsabilità, il fatto che io abbia detto in assenza di Rajola Pescarini che non ci dovessero essere rapporti di alcun genere con le altre persone implicitamente comportava che questo riguardasse anche Rajola Pescarini, al quale peraltro avevo detto che non doveva avere rapporti con nessuno, a cominciare dalle persone che quella sera erano presenti, quando lei non lo era. Quindi, noi lo prendiamo come un
atteggiamento, un comportamento che non piace alla Commissione. Non piace affatto.
ALFREDO TEDESCO. I colleghi che erano presenti quel giorno non li ho sentiti nemmeno per telefono.
PRESIDENTE. È una cosa molto spiacevole questa.
ALFREDO TEDESCO. La cena a casa di Rajola era programmata da tempo.
PRESIDENTE. Si «sprogramma», guardi. Io, quando devo ottemperare ad un obbligo non giuridico ma deontologico, sto più attento di quando sono obbligato a fare qualche cosa. Tra l'altro, questo è anche un obbligo giuridico; certamente noi prendiamo atto che non avete parlato, ma ci faccia anche dire che non crediamo che non lo abbiate fatto e se aveste parlato, e se dovesse essere vera la sensazione che ha avuto un commissario - che, per la verità, sotto certi profili condivido anche io - questo significa che è un qualcosa su cui bisognerà approfondire. Che nessuno passi per fesso, tanto per parlarci chiaro!
ALFREDO TEDESCO. Mi permette? Presidente, lei ha fatto...
PRESIDENTE. No, voi avete fatto.
ALFREDO TEDESCO. Alla domanda dell'onorevole io potevo pure rispondere di non averlo visto.
PRESIDENTE. No, non poteva farlo. Sapeva benissimo che non poteva farlo. Perché se l'onorevole Deiana le ha fatto quella domanda vuol dire che ha il suo «piccolo Sismi» e l'ha saputo!
ALFREDO TEDESCO. Quello parallelo! Volevo dire che quando lei ha detto di non vederci erano presenti tre persone: due non sono state ascoltate, quindi quando lei mi ha detto di non parlare con quelle persone io con loro... ma l'onorevole, col suo «piccolo Sismi»...
PRESIDENTE. Ma lei pensa che sia logico che avendo deposto il suo capo, generale Rajola Pescarini, e dovendo poi deporre lei, lei si consulti con il suo capo prima di tornare a rendere dichiarazioni davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta? A me, francamente, sembra che appartenga alla logica elementare...
ALFREDO TEDESCO. Forse, se fossi imputato di qualche cosa potrei anche... ma io non ho nulla da nascondere.
PRESIDENTE. Secondo lei ha fatto bene?
ALFREDO TEDESCO. Io non ho fatto bene. Solo che non accetto di essere trattato in questo modo. Non accetto assolutamente di essere trattato in questo modo.
PRESIDENTE. Lei abbassi la voce!
ALFREDO TEDESCO. La voce l'avete alzata voi.
PRESIDENTE. No, noi abbiamo alzato il tono dei nostri rilievi.
ALFREDO TEDESCO. Io sono qui e ho detto la verità. Ho giurato di dire la verità e dico la verità.
PRESIDENTE. Nessuno le sta dicendo niente!
ALFREDO TEDESCO. No, voi mi state dando...
PRESIDENTE. Nessuno le sta dicendo niente. Nessuno le sta dicendo che dice la verità o no. Se ha detto la verità è una cosa che stabiliremo dopo, come stabiliremo dopo se Rajola Pescarini ha detto la verità. Intanto c'è una circostanza di fatto che non l'autorizza assolutamente ad alzare la voce o a ritenersi in qualche modo attinto da qualche elemento che non le fa piacere. C'è una circostanza di fatto, che è emersa durante i lavori della Commissione, secondo cui lei e il generale Rajola Pescarini vi siete incontrati nelle more di
questa audizione: noi ne prendiamo atto e poi faremo le nostre valutazioni. Non c'è altro da aggiungere o da dire. Quindi nessuno sta insinuando nulla nei suoi confronti. Abbiamo certamente un motivo, per questa circostanza di fatto, di poter insinuare, ma non lo facciamo, perché faremo le nostre valutazioni al termine del suo esame testimoniale. Tutto qua.
ALFREDO TEDESCO. Io ripeto che non ho avuto nessun divieto di incontrarmi con il generale Rajola.
PRESIDENTE. Va bene, d'accordo.
ALFREDO TEDESCO. Lei mi ha vietato di incontrare le persone...
ALFREDO TEDESCO. Faccia parlare anche me. Avete parlato solo voi, mi faccia parlare.
ALFREDO TEDESCO. Io ho avuto il divieto di incontrare le persone che erano presenti qui in quella occasione ed io quelle persone non le ho contattate nemmeno per telefono. Tanto è vero che Fortunato Massitti ha chiesto a lei quando poteva contattarmi e lei gli ha dato la risposta che gli ha dato. E noi non ci siamo sentiti. Se quel giorno fosse stato presente anche Rajola, le assicuro che io non avrei contattato nemmeno Rajola. Questo è quanto. E le dirò di più: fu durante quella sera a cena, già programmata, che Rajola invitò me e le mie figlie sulla barca domenica e proprio per evitare ulteriori cose io non ho accettato. Ma quella sera ci siamo visti - lei, giustamente, può credere o meno che abbiamo parlato di altre cose; è giusto che abbiate dei dubbi - però io non ho contravvenuto a nessuna sua disposizione, che era riferita ad altre persone, che io non ho contattato.
PRESIDENTE. Bene, la ringrazio della dichiarazione. Stabiliremo poi noi se l'incontro che lei ha avuto con il generale Rajola Pescarini nelle more della sua testimonianza possa avere rilevanza penale o meno.
PRESIDENTE. Torniamo alla sua nota relativa all'atteggiamento di Scialoja. Anzitutto, lei sa Scialoja in quel momento, quando riceve l'esplicito divieto di trattare l'argomento e di avanzare ipotesi sui probabili mandanti, che attività stesse compiendo? Il divieto di trattare l'argomento è generale, quello di avanzare ipotesi sui probabili mandanti è specifico; le domando: quale pista stava seguendo o quale tipo di accertamenti stava effettuando Scialoja in quel momento, per cui c'era la preoccupazione di doverlo bloccare?
ALFREDO TEDESCO. L'ambasciatore non stava effettuando, perché non è compito dell'ambasciatore, alcuna indagine. L'ambasciatore poteva incontrare delle persone. Sicuramente contattava i vertici Unosom. Quindi è in quel contesto che gli viene detto di non avanzare ipotesi, chiaramente parlando con le autorità delle Nazioni unite. Questo era il senso di quel discorso, fosse espresso male, scritto male.
PRESIDENTE. Sui probabili mandanti?
ALFREDO TEDESCO. Probabili mandanti, certo.
PRESIDENTE. Quindi, evidentemente, si stava interessando dei mandanti e stava lavorando in direzione della loro individuazione.
ALFREDO TEDESCO. Siccome le persone che hanno ucciso Ilaria non è che fossero... erano dei banditi con il paramento del fondamentalismo, sicuramente ci sarà stato un mandante o qualcuno che gli ha detto «uccidete il primo bianco che vedete». Era riferito a questo contesto.
PRESIDENTE. Ne prendiamo atto. Però questa frase, che lei manda in tutta la sua compiutezza alla seconda divisione, risulta tra quelle che sono state cancellate. «Anche da Roma è giunto a Scialoja l'esplicito divieto di trattare l'argomento e di avanzare ipotesi sui probabili mandanti, ricordando che tale compito spetta solo a Unosom al termine di accertamenti in corso»: come lei vede - e lo preciso perché resti a verbale - anche questa parte risulta cancellata con tratti di penna obliqui.
C'è poi anche un'altra cancellazione. Lei scrive: «Appare evidente la volontà di Unosom di minimizzare sulle reali cause che avrebbero portato all'uccisione della giornalista italiana e del suo operatore»; le prime due righe («Appare evidente la volontà di Unosom di minimizzare sulle reali cause che avrebbero portato all'uccisione») risultano questa volta cancellate con un tratto di penna orizzontale. Do atto che le notizie che lei ha spedito a Roma sono complete.
Ci sono poi delle integrazioni: «Sta orientando le indagini sulla tesi (...)»: questa non è calligafia sua (ormai ho imparato a conoscerla)...
PRESIDENTE. «...non trascurando tuttavia (...)», ecco poi alcuni tratti di penna, che risultano nella stessa pagina che stiamo esaminando: risultano caratterizzati da una scrittura diversa, con frasi diverse, che, anche se non cambiano il senso, rendono più fluente l'italiano.
Tutte queste cose hanno lo stesso significato di cui abbiamo detto prima a proposito dell'altra sua nota? Cioè, che significa il cassarle?
ALFREDO TEDESCO. Sono state correzioni apportate...
PRESIDENTE. Queste non sono correzioni, sono cancellazioni.
ALFREDO TEDESCO. Sì, cancellazioni apportate dalla centrale.
PRESIDENTE. Sta di fatto che, poi, queste cancellazioni le troviamo produttive di effetto, perché se questa sua lettera non fosse stata mantenuta presso gli uffici che ce l'hanno consegnata, certamente non avremmo mai saputo di questo fatto. Cioè: primo, che Unosom tenta di minimizzare; secondo, che anche da Roma è giunto a Scialoja l'ordine di fermarsi.
ALFREDO TEDESCO. Infatti, le minute sono state tenute. Io penso che se avessero voluto nascondere, le avrebbero fatte sparire.
PRESIDENTE. Certo, ma bisognava anche immaginare che qualcuno le chiedesse. Perché c'è anche da considerare che quando l'autorità giudiziaria ebbe a fare richiesta di documentazione al Sismi per quanto riguardava le attività svolte o comunque le informazioni assunte, fu abbastanza generica e, comunque, poi si concluse nel senso che «il servizio non ha svolto specifici accertamenti sull'evento in questione; non è quindi in possesso di elementi idonei a chiarire la dinamica e il movente del medesimo». Mentre, invece, documenti ce n'erano, e non pochi, che l'autorità giudiziaria non ha ricevuto, tra i quali quelli di cui oggi è venuta in possesso la Commissione parlamentare d'inchiesta e sui quali ci stiamo, appunto, soffermando.
Vediamo, per la provenienza, queste due note: 23 marzo 1994 e 25 marzo 1994, rispettivamente 18670 e 7605.
18670: «Unosom sta orientando le indagini sulla tesi della tentata rapina e della casualità dell'episodio, non trascurando tuttavia particolari che indicherebbero il contrario. Notizia...» non si capisce da dove viene... «da Mogadiscio...»: che significa questo?
PRESIDENTE. Da seconda divisione?
ALFREDO TEDESCO. Da seconda divisione a terza divisione. Quello è il protocollo.
ALFREDO TEDESCO. Da Mogadiscio.
PRESIDENTE. «Da Mogadiscio comunico», quindi è lei.
PRESIDENTE. Allora diamo atto che la 18670, del 23 marzo 1994, è redatta sulla base di indicazioni provenienti dal testimone.
ALFREDO TEDESCO. Non avete quella scritta da me?
PRESIDENTE. No, non l'abbiamo. Appunto per questo lo chiediamo.
Passiamo alla 7605. «Il recente episodio criminoso che ha visto coinvolti in Somalia operatori italiani dell'informazione ha suscitato vasta eco all'interno della colonia di quel paese di Roma. In merito sono stati acquisiti diversi documenti che escluderebbero la responsabilità dei fondamentalisti islamici. Gli autori dell'omicidio sarebbero da ricercare nei guerriglieri della tribù mourosad operante nel nord di Mogadiscio e soltanto in parte fedele al presidente ad interim Ali Mahdi. Mohamed Scheik Osman, ex ministro delle finanze di Siad Barre, che controlla l'altra fazione delle tribù e è escluso dalle trattative di pace in corso a Nairobi, avrebbe commissionato il delitto per compromettere i negoziati. Per quanto di competenza, significando che, come è noto, le notizie stampa indicano invece, quale probabili autori dell'eccidio, integralisti islamici somali». Non dice altro; non dice da dove proviene questa notizia, che certamente, però, proviene da Mogadiscio. C'è la conferma del dato che lei ha sempre sottolineato.
ALFREDO TEDESCO. Sì, però può essere fatto come messaggio... Una situazione: in genere, andavano molti in alto queste situazioni qui.
PRESIDENTE. Che significa «molto in alto»? Ci faccia capire.
ALFREDO TEDESCO. Al direttore del Servizio. Quando è alla divisione scrivono «a divisione», qui si dice «situazione»; quindi, rapportavano un certo tipo di situazione a persone più in alto, non ad un altro ufficio.
PRESIDENTE. Cioè siamo a livelli politici?
ALFREDO TEDESCO. A livello di direttore, di vicedirettore.
PRESIDENTE. Le voglio fare un'altra domanda. L'ho già fatta al generale Rajola e la faccio anche a lei. Come vede, qui ci sono queste annotazioni. Chi fa queste annotazioni? Il Servizio? «Seconda divisione, 28 marzo, annotata».
ALFREDO TEDESCO. Sono delle valutazioni che può aver fatto anche chi ha ricevuto la lettera.
PRESIDENTE. «No» che significa?
ALFREDO TEDESCO. Questo dice: «È possibile».
PRESIDENTE. Cioè è possibile che gli autori dell'omicidio siano da ricercarsi nei guerrieri della tribù Mourosad, operante nel nord di Mogadiscio, e solo in parte fedele al presidente?
ALFREDO TEDESCO. È possibile, credo siano delle valutazioni ...
ALFREDO TEDESCO. No, l'appunto mai poteva partire così.
PRESIDENTE. E questa valutazione di possibilità?
ALFREDO TEDESCO. Era sicuramente di chi ha ricevuto la lettera.
PRESIDENTE. Ma lei condivide questa valutazione di possibilità?
ALFREDO TEDESCO. È una valutazione politica. Può essere.
PRESIDENTE. Il fatto che si escluderebbe la responsabilità dei fondamentalisti islamici, invece, non lo condivide?
PRESIDENTE. L'esclusione, quindi, non è condivisa. Mohamed Sheik Osman, ex ministro delle finanze di Siad Barre, che avrebbe commissionato il delitto: ha mai sentito dire di questo che lui fosse il mandante dell'omicidio?
ALFREDO TEDESCO. No. Questo è un appunto con delle valutazioni della persona che lo riceve.
PRESIDENTE. Poi c'è una nota della divisione, 20107 del 29 marzo 1994, in cui si dà conto delle notizie relative all'arresto di due somali Mourosad per l'uccisione di Ilaria Alpi e del suo operatore. Non so se questa sia la sua o no: da seconda divisione a stato maggiore Sismi, da Mogadiscio comunicano ... quindi, è lei.
ALFREDO TEDESCO. Comunque questo è un appunto.
PRESIDENTE. «Le notizie diffuse circa l'arresto di due somali Mourosad per l'uccisione di Ilaria Alpi e del suo operatore sono destituite di fondamento». Avevate raccolte queste notizie?
ALFREDO TEDESCO. Ogni tanto andavamo alla polizia e ci dicevano: abbiamo arrestato due. Poi dopo verificavano, ma in questo caso non era vero.
PRESIDENTE. «La polizia somala ha interrogato come sospette due persone che viaggiavano a bordo di autovettura uguale per marca e colore a quella degli attentatori. Al momento, pertanto, non vi sono elementi atti a chiarire la matrice e l'identità dei somali». Queste sono notizie che vengono dalla polizia?
PRESIDENTE. «Scontri si sono verificati a Mogadiscio tra Haberghedir vicini ad Osman Ato e Haberghedir fedeli ad Aidid».
ALFREDO TEDESCO. Osman Ato ed Aidid erano in opposizione.
PRESIDENTE. «Continua la pressione degli Awadle intorno al perimetro (...)». Quindi, questo viene dalla polizia.
ALFREDO TEDESCO. C'erano anche scontri etnici.
PRESIDENTE. Vi è poi la nota 217 del 5 aprile 1994: «Si invia in allegato un rapporto Unosom relativo alla uccisione della giornalista in oggetto e del suo operatore, avvenuta a Mogadiscio il 20 marzo».
ALFREDO TEDESCO. Questo è il comunicato ufficiale UNIC che era stato emesso in data 20 marzo, ma più che altro credo che quello racconti lo stesso giorno ... Comunicherà l'avvenuta uccisione dei giornalisti.
PRESIDENTE. Da ultimo, la 231. Questa è sua: Mogadiscio, 11 aprile 1994. Si fa il punto della situazione e si dice che a Merca i miliziani SNA, che non si sarebbero dimostrati ostili nei confronti dei connazionali, avrebbero causato disordini all'ingresso del porto dove si era diffusa la notizia tra loro che tale Sommavilla Elio, da tempo residente in Somalia, si trovava nell'area portuale. Chi era questo Sommavilla?
ALFREDO TEDESCO. Sommavilla era un italiano che viveva lì in Somalia.
PRESIDENTE. Perché avrebbe creato tutto questo trambusto?
ALFREDO TEDESCO. Erano anche problemi di interesse. Lui aveva dei macchinari sul porto, quelli avevano occupato il porto e non gli ridavano i macchinari.
PRESIDENTE. «Un portavoce della SNA ...» Che cos'è la SNA?
ALFREDO TEDESCO. È un movimento di liberazione somalo, Somali national alliance, alleanza nazionale somala.
PRESIDENTE. ... «avrebbe comunicato ad Unosom che i militari Benadir SNA avrebbero individuato i responsabili dell'uccisione dei due giornalisti italiani del TG3».
ALFREDO TEDESCO. Queste erano tutte quelle cose ...
ALFREDO TEDESCO. No, infatti si dice: loro hanno riferito, però sono quelle cose ...
PRESIDENTE. «Le tre persone sarebbero attivamente ricercate e, in caso di arresto, saranno processate dal tribunale islamico degli Irab». Che cos'è il tribunale islamico degli Irab?
ALFREDO TEDESCO. Chiaramente quando hanno cominciato a capire che tutti gli indizi erano contro di loro, hanno fatto una dichiarazione ed hanno detto: noi li cerchiamo e, se li troviamo, siamo noi stessi a giudicarli e a condannarli.
PRESIDENTE. Possiamo interrompere qui.
ALFREDO TEDESCO. Presidente, vorrei chiedere scusa, perché prima ho alzato la voce, però vi prego, potete dirmi tutto, che scrivo male, che ho una pessima calligrafia e che non ricordo, ma non mi dite che volutamente nascondo le cose, perché io non ho nulla da nascondere volutamente a questa Commissione. Non l'ho avuta adesso e non l'ho avuta mai. Io sono stato in Somalia, ho lavorato per lo Stato italiano, non ho lavorato per qualcun altro, e vi posso assicurare che la morte della giornalista, come poteva essere di qualsiasi connazionale, com'è stato per i soldati, com'è stato per il mio collega, ed io stesso sono stato ferito ... Per favore, potete dirmi tutto, ma non che io voglia nascondere le cose, perché io non nascondo nulla.
PRESIDENTE. Le voglio dire soltanto una cosa. Noi non abbiamo detto che lei abbia nascosto qualcosa ...
ALFREDO TEDESCO. L'atteggiamento dell'onorevole. Adesso non ne voglio parlare perché non è presente.
PRESIDENTE. Ognuno ha il suo atteggiamento. Lei ha avuto l'atteggiamento che ha avuto e ne prendiamo atto.
ALFREDO TEDESCO. Io ho avuto questa impressione.
PRESIDENTE. Rispetto alla sua rilevazione io faccio presente che noi non abbiamo formulato nessuna valutazione del genere che lei adesso ha indicato come oggetto di lamentela. Noi abbiamo preso atto che nelle more della sua testimonianza, non audizione, c'è stato questo incontro.
ALFREDO TEDESCO. Non l'ho nascosto.
PRESIDENTE. Siccome noi abbiamo già ascoltato il generale Rajola Pescarini e dovevamo ascoltare lei, che era il suo dipendente, è una circostanza che la Commissione certamente non poteva apprendere con piacere.
ALFREDO TEDESCO. Però lei è convinto, presidente ... Lei è la Commissione, lei è il presidente della Commissione.
PRESIDENTE. Io non sono la Commissione.
ALFREDO TEDESCO. Io mi sono attenuto scrupolosamente a quello che mi ha detto lei.
PRESIDENTE. Non si tratta di attenersi scrupolosamente alle indicazioni, è un problema logico. Se si deve essere sentiti dopo il proprio ex capo, è evidente che vi sono ragioni di buon senso che indicano che sia opportuno tenersi distanti. Lei la pensa diversamente.
ALFREDO TEDESCO. Sono passati dieci anni, lei pensa che non abbiamo avuto occasione di parlarne?
PRESIDENTE. Ma se uno fa determinate dichiarazioni nell'ambito di una testimonianza, che magari non ha mai fatto perché è la prima volta, come forse è accaduto proprio con l'audizione del generale Rajola, è evidente che vi è l'esigenza di capire le ragioni. In ogni caso, tenga presente che io non sono la Commissione, io sono il presidente della Commissione. Il presidente della Commissione, quando sarà il momento, proporrà la questione alla Commissione, la quale, a maggioranza - in genere decide all'unanimità, ma talvolta pure a maggioranza -, stabilirà quello che deve essere fatto. Nessun sospetto viene sollevato.
ALFREDO TEDESCO. Le dico che dovevo vedere il generale Rajola anche questa sera.
PRESIDENTE. Mi pare evidente che ..
ALFREDO TEDESCO. Prometto solennemente che non lo vedrò.
PRESIDENTE. Propongo di rinviare il seguito dell'esame testimoniale di Alfredo Tedesco alla seduta già convocata per le ore 20 e di rimandare a data da destinarsi gli esami testimoniali di appartenenti ai Servizi di informazione e sicurezza, previsti per la medesima seduta. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
Dichiaro conclusa la seduta.
La seduta termina alle 14.20.
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