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Seduta del 13/1/2005


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Esame testimoniale di Alfredo Tedesco.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame testimoniale di Alfredo Tedesco. Nel momento in cui ritenesse di dover fare dichiarazioni che non intende siano oggetto di divulgazione - come potrà accadere da parte della Commissione - ci avvertirà, io disporrò la disattivazione del circuito audiovisivo interno e procederemo in seduta segreta.
Devo anche avvertirla che lei è ascoltato in questa sede come testimone. Questo significa che non soltanto dovrà rispondere alle domande del presidente e dei commissari, ma ha anche l'obbligo di dire la verità.
La prego di fornire le sue generalità.

ALFREDO TEDESCO. Sono Alfredo Tedesco, nato a Roma il 12 agosto 1950 e residente a Ronciglione, in provincia di Viterbo, Via San Martino, 35.

PRESIDENTE. Attualmente è in servizio?

ALFREDO TEDESCO. No, sono in pensione.

PRESIDENTE. Qual era l'attività che svolgeva prima di andare in pensione?

ALFREDO TEDESCO. L'ultimo incarico era un'attività informativa in territorio nazionale.

PRESIDENTE. Attualmente svolge ancora, dall'esterno, attività informativa?

ALFREDO TEDESCO. No.

PRESIDENTE. Innanzitutto le devo dire una cosa. Noi abbiamo ascoltato ieri il generale Rajola Pescarini, che credo sia stato il suo dirigente per molto tempo.

ALFREDO TEDESCO. Sì, il mio diretto superiore.

PRESIDENTE. Naturalmente lei sa che intorno ai fatti dei quali si sta interessando la Commissione la struttura alla quale lei al tempo apparteneva ha svolto un ruolo importante di acquisizione d'informazioni e noi disponiamo di tutti i dispacci che sono stati da voi diramati alle varie autorità dello Stato.
L'audizione del generale Rajola Pescarini si è sostanzialmente risolta in nulla, perché egli ha dichiarato, come è sembrato anche ovvio alla Commissione, che non essendo stato sul posto, se non per brevissimi tratti di tempo - e con riferimento ai tempi che interessano i fatti di cui ci stiamo interessando, marzo del 1994, essendosi protratta la sua presenza


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per qualche giorno, fino al 16 marzo - tutto quello che ha ruotato intorno all'informazione ed all'acquisizione di dati relativi all'uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin non lo ha visto partecipe diretto e, quindi, praticamente ha sistematicamente rinviato alla sua persona come a colui dal quale non si potesse prescindere, avendo lei materialmente operato.
Le faccio questa premessa perché le voglio dire che noi attribuiamo grandissima importanza alla sua deposizione, augurandoci che anche alcune difficoltà o alcuni impedimenti che dovessero essere stati presenti nel passato, anche in relazione ad altre audizioni che lei ha effettuato presso l'autorità giudiziaria e quella di polizia, siano venuti meno e, quindi, si possano chiarire definitivamente certe cose, anche perché la Commissione, come lei sa, di fronte all'eventuale segreto d'ufficio che dovesse essere opposto, valuterà di volta in volta se lei se ne potrà avvalere o meno.
Vorrei sapere una cosa della quale ci ha parlato il generale Rajola Pescarini ieri. Ci ha parlato di una struttura parallela che si sarebbe interessata di questa come di altre vicende all'interno del Sismi. Ci ha fatto riferimento alla coesistenza di interessamenti anche a questa vicenda da parte di una divisione diversa da quella che lo stesso Luca Rajola Pescarini al tempo dirigeva e nell'ambito della quale anche lei era inserito. Le chiedo intanto se può darci una spiegazione di quest'affermazione, che la Commissione ha appreso con una certa sorpresa.

ALFREDO TEDESCO. Non so se era riferito a questo argomento.

PRESIDENTE. Sì, anche a questo.

ALFREDO TEDESCO. Perlomeno nel periodo in cui io ero in Somalia l'unico intervento di un'altra divisione è stato limitato ad una visita del direttore del Servizio, il generale Pucci. Vi era l'avvocato Duale, che non era fonte della seconda divisione, ma di un altro reparto del Servizio.

PRESIDENTE. Che significa questa struttura? Così è stata qualificata, non da noi, perché sembrerebbe quasi un linguaggio giornalistico un po' denigratorio. Il generale Rajola Pescarini ha parlato proprio di struttura parallela. Il parallelismo in genere significa anche alternatività. Che significa? Può approfondire?

ALFREDO TEDESCO. Non so a che cosa si riferisse il generale Rajola Pescarini.

PRESIDENTE. Praticamente ha detto in maniera più amplificata quello che lei ha detto in pillola, cioè che c'era una divisione diversa da quella competente, la quale servendosi di fonti che non erano quelle della divisione competente faceva il suo percorso autonomo.

ALFREDO TEDESCO. Almeno sul terreno questo non mi risulta. Io riferivo ed avevo rapporti esclusivamente con la seconda divisione. Solo in un'occasione, durante questa visita, l'avvocato Duale, non so per quale motivo, era lì e comunque lavorava per un'altra divisione del Servizio, non un altro Servizio.

PRESIDENTE. Perché la vostra divisione non era gradita?

ALFREDO TEDESCO. No.

PRESIDENTE. C'erano le correnti di pensiero?

ALFREDO TEDESCO. Assolutamente no.

PRESIDENTE. C'erano le cordate?

ALFREDO TEDESCO. Assolutamente no.

PRESIDENTE. Noi dobbiamo saperla questa cosa.

ALFREDO TEDESCO. Le sto spiegando. Evidentemente l'altra divisione, che si avvaleva della collaborazione dell'avvocato


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Duale, aveva ritenuto utile, in occasione della visita del capo del servizio, di mettersi in evidenza anch'essa.

PRESIDENTE. Lei, che è un uomo che è appartenuto alle istituzioni e credo sia anche una persona abituata a pesare le parole, per tre volte ha fatto riferimento al fatto che l'avvocato Duale era una fonte dell'altra divisione.

ALFREDO TEDESCO. Nostra non era, della seconda.

PRESIDENTE. Allora, cominciamo con il dire che noi apprendiamo per la seconda volta, dopo averlo saputo ieri da Rajola Pescarini, che Duale era una fonte. Che significa che Duale era una fonte? Lei sa che è un avvocato e soprattutto, per quello che ci interessa, ha avuto un ruolo determinante in tutte le vicende che hanno interessato i rapporti tra Italia e Somalia, con riferimento al problema delle vittime dei militari italiani, con riferimento al problema di Ilaria Alpi e alla difesa di Hashi Omar Hassan, oggi detenuto in esecuzione di pena, ed uno dei compiti della Commissione è anche quello di stabilire se sia una sentenza giusta quella con la quale è stato condannato. Quindi, è un personaggio intorno al quale hanno ruotato e continuano a ruotare parecchie cose.
Anche noi abbiamo potuto ascoltare l'avvocato Duale ed abbiamo bisogno di alcuni approfondimenti. Che significato ha il fatto che l'avvocato Duale sia stato la fonte di una divisione diversa dalla vostra? In una struttura che comunque è un servizio dello Stato, come è possibile che la divisione competente, cioè la vostra, possa assistere passivamente al fatto che ci sia una fonte che non collabora con voi, ma con un'altra divisione?

ALFREDO TEDESCO. L'avvocato Duale non era sul posto, comunque. L'avvocato Duale venne dall'Italia per quell'occasione. Posso presumere che, siccome tra le varie visite che doveva compiere il direttore del Servizio c'era anche quella al generale Aidid, forse Duale era vicino al generale Aidid come etnia o perché si conoscevano ed avevano pensato che la sua presenza potesse facilitare l'incontro.

PRESIDENTE. Questo con riferimento all'occorrenza specifica, ma per quanto riguarda la qualificazione come fonte?

ALFREDO TEDESCO. Se era lì per questo... Non credo che sia occasionalmente ...

PRESIDENTE. ... stato presente?

ALFREDO TEDESCO. Sì.

PRESIDENTE. Che significa che fosse una vostra fonte?

ALFREDO TEDESCO. «Fonte» può essere anche un collaboratore, una fonte si può definire in tanti modi, ma comunque non era della seconda divisione e non era fisso sul posto. Gli unici ad operare sul posto erano uomini della seconda divisione, che era poi quella competente per l'estero.

PRESIDENTE. Questa non è una risposta alla mia domanda, perché la mia domanda è un'altra. Lei conferma che era una fonte, e del resto credo che ormai sia divenuto un dato acquisito. Mi pare che ormai possiamo dire che «era» una fonte, perché è stata svelata: siccome Rajola Pescarini ieri ha detto che era una fonte, ovviamente non è più fonte coperta. Su questo non c'è dubbio, quindi il 203 qui non conta e lei può parlare a ruota libera e può dire tutto quello ...

ALFREDO TEDESCO. Non so più di questo, perché io ho visto l'avvocato Duale in quell'occasione e l'ho rivisto al processo quando era difensore del somalo.

PRESIDENTE. Lei ha detto che l'avvocato Duale non era una fonte della vostra divisione, ma era una fonte dell'altra divisione, una fonte che però non stava sul posto ...


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ALFREDO TEDESCO. No.

PRESIDENTE. Ma è comunque una fonte importante, se è stato fonte, perché è una fonte che va e viene dalla Somalia, è una fonte che ha tutti i contatti con i somali presenti in Italia, è una fonte che partecipa a tutte le operazioni della commissione Gallo, tanto per intenderci. È una fonte che è presente fortemente nella vicenda Ilaria Alpi e, quindi, è una fonte che poteva sapere tante cose.
Attraverso rapporti che noi presumiamo dovrebbero essere normali tra divisioni dello stesso ufficio ...

ALFREDO TEDESCO. Sì, nello spirito di collaborazione.

PRESIDENTE. Quali sono le notizie che da parte dell'avvocato Duale sono state conferite ai vostri Servizi, divisione uno, due, tre, dieci, quindici, quello che volete?

ALFREDO TEDESCO. Posso precisare che quando ci siamo recati dal generale Aidid c'era il capo servizio, Rajola Pescarini, un mio collega, Fortunato Massitti, ed io. Arrivati sul posto abbiamo trovato l'avvocato Duale lì. Noi non sapevamo di trovarlo lì; sapevamo che era a Mogadiscio ...

PRESIDENTE. «Noi», cioè la sua divisione?

ALFREDO TEDESCO. La seconda divisione. Sapevamo che era a Mogadiscio, ma non ha organizzato per noi la visita. Noi siamo andati lì e lui era lì. Forse avrà parlato prima ad Aidid, avrà anticipato la visita, questo non lo so.

PRESIDENTE. Tra l'altro, io appartengo al libero foro, per cui sono legittimato un po' più degli altri a fare questa domanda. Un avvocato del libero foro, come è l'avvocato Duale, che difende l'imputato del processo per l'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e che è una fonte dei Servizi è una cosa di una tale gravità e di una tale importanza che noi non possiamo farla passare sotto silenzio. Qualcuno ce lo deve dire, siccome la fonte ormai è scoperta, e se lei non è in grado di dircelo: ci può dire cortesemente a chi ci dobbiamo rivolgere per sapere come sia possibile in un paese civile che un avvocato, uomo dei Servizi, possa svolgere il suo ruolo di avvocato del libero foro? Non è una responsabilità vostra ...

ALFREDO TEDESCO. Anche perché più di tanto non posso dire.

PRESIDENTE. Non è una responsabilità vostra, però noi ci siamo trovati l'avvocato Duale anche nelle nostre audizioni a tutelare gli interessi del condannato, nei confronti del quale la Commissione sta dedicando la sua opera per capire se sia stato condannato giustamente o meno e non abbiamo preso nessuna posizione, quindi non abbiamo nessun preconcetto. Però poi ci troviamo l'avvocato Duale e adesso sappiamo, per avercelo detto Rajola Pescarini, che l'avvocato Duale è un avvocato inserito nei Servizi.

ALFREDO TEDESCO. Perlomeno collaborava occasionalmente, magari forniva notizie sugli ambienti somali in Italia.

PRESIDENTE. Non è in grado di rispondere?

ALFREDO TEDESCO. No.

PRESIDENTE. A chi dobbiamo chiedere?

ALFREDO TEDESCO. Sicuramente a qualcuno molto più in alto.

PRESIDENTE. Chi potrebbe essere più in alto di lei?

ALFREDO TEDESCO. Al Servizio, penso.

PRESIDENTE. Dell'epoca?

ALFREDO TEDESCO. Anche quello attuale. Credo che ci siano documenti.


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PRESIDENTE. Prendiamo atto di questa sua dichiarazione. Comunque, lei nella vicenda che ci interessa come ha visto comparire l'avvocato Duale? Solo in quella circostanza e basta?

ALFREDO TEDESCO. Sì, solo in quella circostanza. Solo durante la visita del direttore del Servizio.

PRESIDENTE. Il generale Rajola Pescarini ci ha detto che lui rimase particolarmente infastidito di questa situazione, ha manifestato un particolare fastidio per questo parallelismo. Ci spiega bene perché? Lei condivide questo giudizio, innanzitutto?

ALFREDO TEDESCO. Penso di sì. Penso sia stato contrariato da questa cosa, perché le operazioni all'estero dipendevano esclusivamente da lui e trovare una persona lì, che non era fonte della seconda divisione, la divisione di Rajola, in occasione poi della visita del capo del Servizio, poteva magari mettere in ombra in un certo modo, nel senso che noi non eravamo in grado... Penso che fosse questo il motivo del suo disappunto.

PRESIDENTE. Lei ha detto che il disappunto proveniva dal fatto di avere trovato lì una fonte che non era la vostra.

ALFREDO TEDESCO. Una persona.

PRESIDENTE. Perché ha parlato adesso di fonte?

ALFREDO TEDESCO. Comunque non doveva essere lì.

PRESIDENTE. Un somalo che fa l'avvocato in Italia e, quindi, ha una sua rappresentatività, può essere anche un momento di collegamento elegante. Non è necessariamente una situazione che può far valutare quella presenza come la presenza di una fonte. Quindi, a voi risultava già che era una fonte?

ALFREDO TEDESCO. Forse a Rajola poteva risultare. A me personalmente, no. So che collaborava anche in Italia - in Italia per altre cose, con un'altra divisione - e lo trovammo lì. Sapevamo che era arrivato a Mogadiscio, però non sapevamo poi di trovarlo lì.

PRESIDENTE. Quindi, ci dobbiamo rivolgere ai vertici del Servizio di oggi, che sono in grado di poter dare una risposta ai nostri interrogativi. Lei quando è andato in Somalia?

ALFREDO TEDESCO. Sono stato due volte in Somalia. Parliamo dell'ultima missione. La prima volta sono andato nell'ottobre del 1992 con l'ambasciatore Augelli.

PRESIDENTE. Quanto tempo c'è rimasto?

ALFREDO TEDESCO. Praticamente fino al 1995.

PRESIDENTE. Da allora in poi è rimasto sempre lì?

ALFREDO TEDESCO. Sono rientrato per brevi periodi.

PRESIDENTE. Ma di stanza era a Mogadiscio?

ALFREDO TEDESCO. Sì.

PRESIDENTE. Quindi, da ottobre del 1992 fino a quando?

ALFREDO TEDESCO. Fino al 1995, non so se fosse maggio o giugno, quando c'è stato il ripiegamento totale.

PRESIDENTE. È sempre stato a Mogadiscio o è andato anche in altri posti della Somalia?

ALFREDO TEDESCO. Come sede, sempre a Mogadiscio, però mi spostavo, andavo anche a Balad, ma sempre nell'area centrale e, comunque, quella di pertinenza del contingente italiano.


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PRESIDENTE. Quindi, ad esempio, a Bosaso non è andato?

ALFREDO TEDESCO. No.

PRESIDENTE. A Chisimaio non è andato?

ALFREDO TEDESCO. A Chisimaio sì.

PRESIDENTE. Non è lontano?

ALFREDO TEDESCO. No.

PRESIDENTE. Quanto è distante da Mogadiscio?

ALFREDO TEDESCO. Saranno più di cento chilometri.

PRESIDENTE. A Merca è andato?

ALFREDO TEDESCO. Sì.

PRESIDENTE. Quanto è distante Merca da Mogadiscio?

ALFREDO TEDESCO. Saranno una novantina di chilometri.

PRESIDENTE. Mentre per Bosaso è molto di più?

ALFREDO TEDESCO. Bosaso è ad oltre 1.500 chilometri.

PRESIDENTE. Da Mogadiscio?

ALFREDO TEDESCO. Sì.

PRESIDENTE. Dove stavate di stanza, come uffici?

ALFREDO TEDESCO. Ci sono state diverse metamorfosi. All'inizio eravamo ospiti, con l'ambasciatore Augelli. I militari italiani ancora non c'erano e l'unico edificio che operava lì era quello della cooperazione italiana e, quindi, l'ambasciatore Augelli, il mio collega ed io ed anche i giornalisti eravamo tutti in un villino in questo compound. Questo nella prima fase.

PRESIDENTE. Poi invece?

ALFREDO TEDESCO. Nel frattempo eravamo in contatto anche con i militari italiani, il primo gruppo di militari italiani a Nairobi, e pilotavamo l'arrivo del primo gruppo del contingente. Il nostro compito - ci sono state varie fasi e, quindi, vari incarichi - era di facilitare l'arrivo del contingente italiano e di trovare una sede adatta ad ospitare il comando, che fu individuata nell'ex ambasciata italiana, che era occupata a quel tempo dai somali. Quindi, con la mediazione di alcuni agenti di polizia, di ufficiali della polizia somala che conoscevamo, fu liberato questo compound dell'ambasciata. Il nostro contingente è arrivato al porto nuovo e noi lo abbiamo pilotato fino all'ambasciata.Successivamente, è iniziata un'attività informativa a favore del contingente, chiaramente i primi tempi su depositi di armi, ed anche di guida per le prime pattuglie del contingente che si muovevano a Mogadiscio. Infatti, il mio collega ed io eravamo stati scelti ed inviati a Mogadiscio perché entrambi eravamo già stati in Somalia precedentemente, io per tre anni ed il mio collega per quattro e, quindi, conoscevamo il posto, ma soprattutto conoscevamo ufficiali superiori della polizia somala. Io provengo da un reparto tecnico e, tra le altre cose, facevamo anche assistenza tecnica.

PRESIDENTE. Reparto tecnico è una parola così ...

ALFREDO TEDESCO. Tecnico radio.

PRESIDENTE. Il tecnico è ingegnere, informatico, molte cose. È un linguaggio tipico dei Servizi.

ALFREDO TEDESCO. Provengo dalle trasmissioni.


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PRESIDENTE. Le trasmissioni sono una cosa ben precisa.

ALFREDO TEDESCO. Come molti provengono ...

PRESIDENTE. È la deformazione professionale. Tutto è tecnico, anche il parlamentare è un tecnico.

ALFREDO TEDESCO. Poi è cominciato il supporto informativo, noi venivamo informati di determinati ...

PRESIDENTE. A me fa piacere che lei dia questa risposta perché invece, per quello che avevamo capito ieri, lei era andato giù per fare il supporter della sicurezza dell'ambasciatore Augelli.

ALFREDO TEDESCO. L'ambasciatore Augelli aveva i carabinieri di scorta.

PRESIDENTE. Quindi, non è vero che lei è andato là per fare il supporto di sicurezza?

ALFREDO TEDESCO. Diciamo supporto ai carabinieri della sicurezza. È diverso. Supporto sempre informativo.

PRESIDENTE. Mi pare di poter capire - vediamo se sintetizzo bene - che lei è andato in Somalia per fare il suo lavoro, quello di uomo del Servizio informativo militare e che questi ruoli hanno avuto un'evoluzione in relazione alle esigenze man mano evidenziate.

ALFREDO TEDESCO. L'evolversi della situazione.

PRESIDENTE. Fino a quando c'è stato l'ambasciatore con i carabinieri ha fatto servizio informativo, che poi rifluiva in quella direzione ...

ALFREDO TEDESCO. Anche di collegamento.

PRESIDENTE. Man mano che il contingente si è collocato, il servizio era veramente quello di pertinenza della sua funzione. Io però prima volevo sapere una cosa un po' più piccolina: dove stavate come uffici?

ALFREDO TEDESCO. Il primo ufficio fu questo edificio, quando c'era l'ambasciatore Augelli.

PRESIDENTE. La villetta?

ALFREDO TEDESCO. Sì. Dopo l'arrivo dei militari, il comando si stabilì all'ex ambasciata vicino all'hotel Hamana, noi prendemmo in affitto un villino che confinava con il muro di cinta dell'ambasciata ed eravamo lì.

PRESIDENTE. Quindi, quella zona la conoscevate come nessun altro?

ALFREDO TEDESCO. Io ho abitato lì.

PRESIDENTE. Ci ha addirittura abitato. Poi siete rimasti sempre lì?

ALFREDO TEDESCO. No, poi ci siamo ancora spostati ...

PRESIDENTE. Dopo quanto tempo?

ALFREDO TEDESCO. Dopo quasi un anno, ci siamo spostati a sud di Mogadiscio, alla sede dell'ex ambasciata americana.

PRESIDENTE. Quando sono stati uccisi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin dove stavate?

ALFREDO TEDESCO. Eravamo nella sede dell'ex ambasciata americana, al quarto chilometro.

PRESIDENTE. Quindi, eravate a quattro chilometri di distanza. Però lei aveva addirittura abitato in quella zona. Quest'hotel Hamana che cos'era?

ALFREDO TEDESCO. Non era un hotel, in realtà. Era adibito ad hotel, ma era un'abitazione privata.


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PRESIDENTE. Di chi era?

ALFREDO TEDESCO. Di un somalo.

PRESIDENTE. Quella era zona di Ali Mahdi?

ALFREDO TEDESCO. Sì, era la zona nord, quella dove era Ali Mahdi.

PRESIDENTE. E Ali Mahdi aveva qualche collegamento con questo albergo o no?

ALFREDO TEDESCO. No, erano business che facevano i somali, si inventano di tutto. Avevano affittato questa casa vicino all'ambasciata, frequentata da italiani, giornalisti. Avevano installato un satellitare, i giornalisti potevano comunicare.

PRESIDENTE. Quindi, niente di sospetto?

ALFREDO TEDESCO. No, ce n'erano diversi che facevano questo lavoro.

PRESIDENTE. Lei chi aveva a sua disposizione, come personale?

ALFREDO TEDESCO. Io dipendevo dal comandante Giusti.

PRESIDENTE. Che era il comandante capo centro?

ALFREDO TEDESCO. Inizialmente, quando eravamo Fortunato ed io ...

PRESIDENTE. Giusti stava lì da voi?

ALFREDO TEDESCO. Sì, tutti insieme. Quando eravamo solo Fortunato Massitti ed io, la responsabilità dell'ufficio era la mia.

PRESIDENTE. Fino a quando siete stati insieme lei e Massitti?

ALFREDO TEDESCO. Massitti è stato sei o sette mesi, ma Gianni è venuto prima.

PRESIDENTE. A partire dall'ottobre di cui ha parlato lei?

ALFREDO TEDESCO. Sì. I primi due mesi io sono stato solo, poi sono tornato in Italia e siamo ritornati insieme con Massitti. Dopo qualche mese, vi fu una mia richiesta: scrissi un messaggio al dottor Rajola, poiché avevo dei problemi con il contingente ed ho ritenuto opportuno che il capo centro fosse un livello più alto per facilitare i contatti con il generale. Scrissi questo, condivisero la mia richiesta e venne il comandante Giusti.

PRESIDENTE. Facciamo riferimento al periodo che ci interessa, marzo 1994. Nel marzo del 1994 c'era Giusti?

ALFREDO TEDESCO. No, in quel periodo lui era partito da pochi giorni. Quando successe il fatto di Ilaria Alpi ero solo io.

PRESIDENTE. Giusti quando era partito?

ALFREDO TEDESCO. Credo il 16.

PRESIDENTE. Insieme a Rajola?

ALFREDO TEDESCO. Credo... sì.

PRESIDENTE. Quindi, è rimasto lei?

ALFREDO TEDESCO. Ero solo.

PRESIDENTE. È rimasto solo anche dopo?

ALFREDO TEDESCO. No, dopo sono venuti altri, è tornato Giusti.

PRESIDENTE. Giusti è tornato subito?

ALFREDO TEDESCO. Sì. Giusti credo lo abbiano fatto rientrare anche prima a causa di questa cosa, e venne un altro collega, Luigi Catalani.


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PRESIDENTE. Giusti dopo quanto tempo è tornato rispetto alla morte di Ilaria Alpi?

ALFREDO TEDESCO. Non lo ricordo.

PRESIDENTE. Poco tempo?

ALFREDO TEDESCO. Penso una settimana.

PRESIDENTE. Siamo in quest'ordine di idee. Quindi, è stato assente nel periodo in cui è successo il fatto.

ALFREDO TEDESCO. Lui non c'era, ero solo. Chiaramente ero solo anche perché in quel periodo purtroppo si poteva uscire poco, perché la copertura che avevo, l'uniforme che indossavo non serviva più perché i militari non giravano e, quindi, non uscivo.

PRESIDENTE. Perché uscire era pericoloso?

ALFREDO TEDESCO. Molto. Noi avevamo due Land Rover e quando uscivamo siamo stati aggrediti più di una volta.

PRESIDENTE. Da chi?

ALFREDO TEDESCO. Da somali. Una volta, mentre attraversavamo un mercato, sono stato accoltellato, però avevo il giubbetto antiproiettile e siamo riusciti a fuggire. Un'altra volta siamo stati fatti segno di colpi d'arma da fuoco nei pressi del teatro nazionale, ci fu un conflitto a fuoco.

PRESIDENTE. In che periodo è accaduto questo?

ALFREDO TEDESCO. C'era ancora Massitti, quindi nei primi otto mesi.

PRESIDENTE. Del 1993?

ALFREDO TEDESCO. Sì.

PRESIDENTE. Entrambi questi episodi avvennero allora, anche l'accoltellamento?

ALFREDO TEDESCO. Sì, erano i primi momenti, quando c'erano ancora molte bande armate. Chiaramente dopo, con il pattugliamento militare, non dico che tutto si è risolto, ma si è ridimensionato, però diciamo che il periodo più brutto è stato ...

PRESIDENTE. E poi questa situazione di pericolo si è ripristinata in tutta la sua forza in quei giorni di cui stiamo parlando noi?

ALFREDO TEDESCO. Diciamo dall'inizio del 1994, perché a Mogadiscio nord e poi anche a Mogadiscio sud erano state istituite delle corti islamiche e, quindi, non erano più le bande che giravano, ma c'erano queste tecniche, delle vere e proprie macchine con mitragliatrice da 12 millimetri, che giravano per Mogadiscio.

PRESIDENTE. Chi le mandava?

ALFREDO TEDESCO. Le corti islamiche.

PRESIDENTE. Questo nel 1993-1994?

ALFREDO TEDESCO. Sì, diciamo che forti sono cominciate nel 1994, perché inizialmente Ali Mahdi aveva fatto queste corti islamiche perché ...

PRESIDENTE. Ne parliamo dopo, intanto volevo sapere soltanto quando.

ALFREDO TEDESCO. Sì, in quel periodo.

PRESIDENTE. Nel 1993 c'erano ma non operavano?

ALFREDO TEDESCO. Non c'erano o perlomeno erano controllate politicamente.

PRESIDENTE. Erano controllate politicamente e da voi ...

ALFREDO TEDESCO. No.


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PRESIDENTE. No, dico: lei ha detto prima che la presenza del contingente aveva determinato il ridimensionamento di queste bande e, quindi, di questi pericoli ai quali si andava incontro. Controllavate anche queste cose?

ALFREDO TEDESCO. No, in quel periodo è iniziato il ripiegamento. Tutti i check point militari sono stati tolti, i militari erano ripiegati tra il porto vecchio, il porto nuovo e l'aeroporto, e si stavano preparando ad andare via. La sede della nostra ambasciata era stata ceduta alla polizia somala; anche per evitare che venisse distrutto quel poco che era rimasto, fu ceduta temporaneamente come sede della polizia e tutti quanti eravamo ripiegati. Anche noi eravamo alla vecchia sede dell'ambasciata americana. A Mogadiscio non c'erano più check point e, quindi, se ne approfittavano tutti quanti.

PRESIDENTE. Per quanto riguarda l'acquisizione delle informazioni, come eravate organizzati, come riunivate attorno a voi fonti rispetto alle quali valutavate quale potesse essere il grado di attendibilità e quindi di utilizzazione nell'esercizio delle vostre attività?

ALFREDO TEDESCO. Il nostro incarico era essenzialmente di supporto al contingente italiano.

PRESIDENTE. Quindi, su Bosaso non avete fatto praticamente niente.

ALFREDO TEDESCO. No.

PRESIDENTE. Non vi siete mai interessati di nulla?

ALFREDO TEDESCO. No.

PRESIDENTE. Avevate delle fonti informative, a Bosaso?

ALFREDO TEDESCO. No, fonti informative no. Solo una volta mi sono occupato di Bosaso. Ci fu il sequestro di una nave italiana. L'equipaggio - o perlomeno il comandante e qualcuno dell'equipaggio - era italiano. L'unità di crisi del Ministero degli esteri ci chiese se potevamo fare dei contatti con i connazionali sequestrati sulla nave. E infatti organizzammo un collegamento radio con il comandante della nave; praticamente, facevamo da ponte con l'unità di crisi della Farnesina.

PRESIDENTE. Che era successo?

ALFREDO TEDESCO. Era stata sequestrata una nave.

PRESIDENTE. Che nave?

ALFREDO TEDESCO. Credo fosse uno dei pescherecci della Shifco, o qualcosa del genere. Ripeto, ce ne siamo interessati in quanto alcuni uomini dell'equipaggio - il comandante e un altro uomo - erano italiani, altrimenti non sarebbe stato di nostra competenza. Fummo attivati dall'unità di crisi del Ministero degli esteri.

PRESIDENTE. Comunque, non avevate fonti informative a Bosaso.

ALFREDO TEDESCO. No, assolutamente.

PRESIDENTE. Nessun collegamento?

ALFREDO TEDESCO. Potevamo anche avere delle notizie, che arrivavano da Bosaso saltuariamente. C'era gente - commercianti - che magari si muovevano, giravano, però una fonte come tale, cioè fissa, non ce l'avevamo.

PRESIDENTE. Veniamo al sistema di ingaggio delle fonti.

ALFREDO TEDESCO. Nell'area di Mogadiscio - nella zona centrale, anche a Balad, che era quella più interessante - man mano era stata formata una rete di persone che potevano essere utili, consapevoli o inconsapevoli (non è detto che tutti sapessero di collaborare con noi). Ad esempio, avevamo qualcuno in aeroporto, al porto, presso le stazioni radio della


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polizia e alcuni - anzi, molti di questi - erano ex ufficiali della polizia, o erano ancora in servizio nella polizia riformata, e li conoscevamo da prima. Poi, c'erano commercianti, gente comune che magari andava alla moschea, alla preghiera del venerdì e sentiva come stavano le cose.
Inizialmente, eravamo noi a contattare loro, quando uscire era ancora possibile. Poi, quando ci sono stati problemi ad uscire - eravamo all'ambasciata americana -, se c'erano cose particolari, ci contattavano loro.

PRESIDENTE. Il livello di pericolo era tale che non potevate uscire?

ALFREDO TEDESCO. Assolutamente.

PRESIDENTE. Chi valutava l'attendibilità delle fonti?

ALFREDO TEDESCO. Le spiego la procedura. Le fonti, innanzitutto, dovevano sempre essere autorizzate, altrimenti non erano riconosciute.

PRESIDENTE. Che significa «autorizzate»?

ALFREDO TEDESCO. Significa che io dovevo comunicare il nominativo, il campo in cui la persona poteva essere impiegata...

PRESIDENTE. A chi lo doveva comunicare?

ALFREDO TEDESCO. Alla centrale.

PRESIDENTE. A Roma?

ALFREDO TEDESCO. Sì. E la centrale la valutava, in quanto io non potevo valutare l'affidabilità di una persona: magari era qualcuno che vendeva fumo! Insomma, c'era un accertamento sulla fonte. Una volta autorizzata, la fonte...

PRESIDENTE. Quindi, l'accertamento veniva fatto a livello centrale.

ALFREDO TEDESCO. Sì, per le fonti.

PRESIDENTE. Lei ha detto che se non si era sul posto, non si poteva certamente avere il polso della situazione. Che tecniche si utilizzavano, a livello centrale, per valutare l'attendibilità e per autorizzare - diciamo così - la periferia?

ALFREDO TEDESCO. La valutazione veniva fatta sulla persona. La centrale poteva dirmi: «Guarda, questo è un criminale; è stato arrestato in Francia per tre volte, perché vendeva, eccetera». Parliamo di affidabilità. Poi, se era utile o meno, lo stabilivamo noi sul posto.

PRESIDENTE. Non solo se era utile, anche se era attendibile: mi riferisco ad un'attendibilità di status. È così?

ALFREDO TEDESCO. Quella veniva col tempo.

PRESIDENTE. Ho capito. Dicevate a voi stessi: se questo è un truffatore, stiamo attenti.

ALFREDO TEDESCO. Esatto. Se quella persona aveva fatto delle cose - ce ne erano tanti, e credo che ce ne siano ancora, che girano per il mondo...

PRESIDENTE. Invece, nella logica del pentitismo, un soggetto più è delinquente, più è un utile informatore.

ALFREDO TEDESCO. Sì, ma sempre delinquente è!

PRESIDENTE. Siamo d'accordo. Insomma, veniva individuato un soggetto che poteva divenire fonte, si mandava il nome alla centrale, la centrale faceva gli accertamenti e dava l'autorizzazione.

ALFREDO TEDESCO. Poi, veniva valutata sul posto. Dopo uno o due mesi, se non dava notizie o se...

PRESIDENTE. Queste fonti erano pagate?


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ALFREDO TEDESCO. Sì, ma erano pagate a rendimento.

PRESIDENTE. Alla fine - semplifico, dato che non siamo del mestiere, almeno io non lo sono - alla fine, nella sua attività operativa, lei disponeva di un elenco di persone sulle quali poteva fare un affidamento graduato a seconda del livello di attendibilità. Esatto?

ALFREDO TEDESCO. Non erano solo fonti. C'erano fonti, c'erano persone utili e c'erano delle persone inconsapevoli: «persona conosciuta», questo era il termine.

PRESIDENTE. Anche Rajola Pescarini, infatti, ha parlato di persone conosciute, persone utili e fonti. Quindi, lei si muoveva sulla base di questo parterre, per così dire.

ALFREDO TEDESCO. Sì. E solo la fonte veniva pagata, a rendimento.

PRESIDENTE. Sempre per semplificare, ci può indicare da chi era composto l'elenco di fonti delle quali lei disponeva, a Mogadiscio? Qualcuno lo ha già detto Rajola Pescarini.

ALFREDO TEDESCO. Qualcuno glielo posso dire anch'io. C'erano degli ufficiali della polizia somala, che sono venuti...

PRESIDENTE. Può scrivere i nomi?

ALFREDO TEDESCO. Sì (Scrive).

PRESIDENTE. Allora, si dà atto a verbale che il teste sta scrivendo i nomi delle fonti...

ALFREDO TEDESCO. No, queste non erano fonti; queste non erano pagate. Erano dei collaboratori occasionali.

PRESIDENTE. Allora, diamo atto il teste che sta scrivendo i nomi degli informatori dei quali si avvaleva in Somalia al tempo dei fatti. Questi sono i più importanti?

ALFREDO TEDESCO. Sì.

PRESIDENTE. La prego, cortesemente, di porre una firma sotto l'elenco.
I nomi contenuti nell'elenco che lei consegna alla Commissione - in un foglio di cui diamo atto a verbale, a sua firma - sono stati utilizzati con riferimento alla vicenda Alpi?

ALFREDO TEDESCO. Per le indagini?

PRESIDENTE. Sì.

ALFREDO TEDESCO. Vorrei precisare. L'unico organismo autorizzato a svolgere indagini in Somalia, in quel periodo, erano le Nazioni Unite, quindi ufficialmente...

PRESIDENTE. Finalmente l'abbiamo saputo! Si riferisce ad Unosom?

ALFREDO TEDESCO. Sì.

PRESIDENTE. Quindi Unosom era l'unico organismo deputato a fare le indagini, esatto?

ALFREDO TEDESCO. Ufficialmente.

PRESIDENTE. Dunque, alla domanda su chi potesse fare le indagini, lei risponde che poteva farlo solo Unosom.

ALFREDO TEDESCO. Sì, tramite l'ufficio G2.

PRESIDENTE. Unosom aveva anche dei compiti - diciamo così - giudiziari? Aveva la competenza (lo dico tra virgolette) a fare i processi in merito ai fatti che si verificavano in Somalia?

ALFREDO TEDESCO. No. Come tutti i militari, come i militari italiani, i carabinieri, eccetera, potevano arrestare in flagranza di reato, ma l'arrestato doveva essere immediatamente consegnato all'autorità somala, che poteva tenerlo in detenzione, fare il processo, liberarlo o condannarlo.


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PRESIDENTE. Unosom poteva - o doveva - fare tutte le indagini necessarie?

ALFREDO TEDESCO. Doveva, a maggior ragione quando era coinvolto un internazionale.

PRESIDENTE. Il che significa che è vero che Unosom non aveva giurisdizioni, ma anche che le indagini doveva farle!

ALFREDO TEDESCO. Le dirò di più: solo loro potevano farlo.

PRESIDENTE. Vezzalini e Salvati erano gli uomini competenti?

ALFREDO TEDESCO. Esatto. Vezzalini era il capo dell'ufficio G2 delle Nazioni Unite, l'ufficio informativo.

PRESIDENTE. L'ufficio informativo era investigativo, in realtà. Esatto?

ALFREDO TEDESCO. Sì, investigativo. Lui proprio usciva fuori, aveva uomini a disposizione, andava fuori a pattugliare il territorio. Poteva indagare, certo.

MAURO BULGARELLI. Avrebbe dovuto.

PRESIDENTE. Certo, avrebbe dovuto, visto che poi non l'ha fatto. Scusate, mi pare che questo sia un punto molto importante. Unosom - vediamo se me lo conferma - era competente tanto più in quanto era coinvolto un personaggio...

ALFREDO TEDESCO. Un internazionale. In quel caso, purtroppo, era un italiano.

PRESIDENTE. E quindi aveva il dovere di svolgere indagini. Aveva il dovere anche di arrestare e comunque era l'elemento di collegamento, a conclusione delle indagini, rispetto alla polizia somala o all'autorità giudiziaria somala. È esatta questa ricostruzione?

ALFREDO TEDESCO. Sì. Poteva avvalersi anche della polizia somala, in quanto in determinate circostanze c'erano state proteste da parte dei somali perché militari non musulmani avevano fatto irruzione in case dove, magari, c'erano le donne: si lamentavano perché loro non erano musulmani e allora magari, per queste cose, si avvalevano anche della polizia somala, che era stata istituita anche per questo, per collaborare con le forze NATO, per queste cose più delicate...

ELETTRA DEIANA. Con le forze della NATO?

ALFREDO TEDESCO. Mi correggo, delle Nazioni Unite.

PRESIDENTE. Diciamo dell'Unosom.

ALFREDO TEDESCO. Esatto. Quindi, dovevano anche collaborare con loro.
Però, ripeto - questo ci tengo a dirlo -, Unosom non gradiva interferenze da parte di chicchessia, perché comunque il contingente italiano e tutto quello che ruotava intorno al contingente italiano era inquadrato nell'ambito delle Nazioni Unite. E l'ufficio che poteva svolgere - anzi, che aveva il compito di svolgere - queste indagini era quello del colonnello Vezzalini. Il quale era un italiano, ma poteva essere di qualunque altra nazionalità: poteva essere un pakistano, un americano o un inglese.

PRESIDENTE. La parola all'onorevole Bulgarelli.

MAURO BULGARELLI. Grazie, presidente. Intervengo per formulare due domande, una da parte mia, l'altra per conto dell'onorevole Schmidt, che mi ha incaricato al riguardo.
Dottor Tedesco, vorrei tornare a quanto lei ci ha detto riguardo alla venuta in Somalia dell'avvocato Duale, assieme al vostro capo servizio. L'avvocato Duale è arrivato insieme al generale Pucci, esatto?

ALFREDO TEDESCO. Sì.


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PRESIDENTE. Chi c'era oltre a Duale e al generale Pucci, in arrivo dall'Italia?

ALFREDO TEDESCO. Non ho visto l'arrivo dell'aereo, quindi non le so dire chi ci fosse. Ho incontrato l'avvocato Duale; e ho saputo che era lì quando l'ho incontrato...

MAURO BULGARELLI. Forse non ha visto l'arrivo dell'aereo, però sicuramente non può esserle sfuggito il fatto - almeno, così ci ha detto ieri il generale Rajola Pescarini - che con loro c'era anche il generale Grignolo.

ALFREDO TEDESCO. Se Rajola, ieri, ha detto che c'era, lui lo ha visto, ha assistito all'arrivo dell'aereo, ha riaccompagnato il generale quando è partito, quindi sa benissimo chi è arrivato, chi è partito, eccetera. Io no. Il mio compito - e quello del mio collega - è stato quello di scortare il direttore del servizio e Rajola dalla sede della cooperazione, dove alloggiavamo, a piedi, fino all'abitazione di Aidid, che era distante circa un chilometro.

MAURO BULGARELLI. E lì, avete trovato l'avvocato Duale.

ALFREDO TEDESCO. Io non sono entrato, però ho visto Duale, che era fuori.

MAURO BULGARELLI. Era fuori?

ALFREDO TEDESCO. Sì, non ha partecipato all'incontro, era fuori.

MAURO BULGARELLI. So di chiederle qualcosa di cui può non essere al corrente: quali erano i termini dell'incontro?

ALFREDO TEDESCO. Posso dire che, comunque, qualsiasi incontro avvenuto in Somalia era mirato soltanto a una cosa: cercare di salvare qualche vita umana tra il contingente; quindi, avere incontri con Aidid poteva servire a questo. Aidid era la forza cattiva, tra virgolette, e quindi gli incontri erano per questo. Io non ho partecipato, comunque.

MAURO BULGARELLI. La divisione rispetto alla quale, probabilmente, Duale era collaboratore o fonte o informatore...

ALFREDO TEDESCO. O semplicemente conosceva il direttore di quella divisione.

MAURO BULGARELLI. Quella divisione del Sismi di cosa si occupava in maniera specifica?

ALFREDO TEDESCO. Se non vado errato, e se come penso, si occupava comunque di cose all'interno del territorio nazionale.

MAURO BULGARELLI. Che tipo di cose?

ALFREDO TEDESCO. Questo io non...

PRESIDENTE. Armi?

ALFREDO TEDESCO. Armi? No.

PRESIDENTE. Come, no? Ce lo ha detto Rajola Pescarini.

ALFREDO TEDESCO. Allora, evidentemente, torniamo al discorso che ho fatto prima: lui è generale, io no.

MAURO BULGARELLI. Va bene, però, anche se vi sono varie divisioni, si chiama Sismi. All'interno, voi dei diversi settori, vi salutate tra di voi, se vi incontrate nei corridoi?

ALFREDO TEDESCO. Non solo, ma lavoriamo moltissimo. Anche i messaggi, una volta arrivati...

MAURO BULGARELLI. Allora, quanto meno - senza entrare nello specifico...

PRESIDENTE. Scusatemi, non fate colloqui. Procediamo per domande e risposte, per favore.


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Per agevolare il compito, dottor Tedesco, vorrei farle una domanda: lei che qualifica ha?

ALFREDO TEDESCO. Io avevo la qualifica di segretario: è un quinto livello. Abbiamo delle qualifiche così: si chiama «segretario».

PRESIDENTE. Rajola Pescarini, ieri, ci ha comunicato che la divisione che operava parallelamente si interessava di armi e di questioni economiche, cioè di rapporti che andavano dalla cooperazione a mille altre cose, tra Italia ed estero in generale e in particolare per la Somalia. Armi e questioni economiche: se non lo sa, glielo diciamo noi, anche se non siamo del Sismi.
Prego, onorevole Bulgarelli.

MAURO BULGARELLI. Data la sua esperienza sul territorio somalo, cosa ci può dire sul traffico di armi e di rifiuti tossici (altra cosa di cui si è parlato tantissimo), in relazione sia agli italiani presenti - e quindi Marocchino - sia alle navi Shifco?
A questa domanda unisco la riflessione dell'onorevole Schmidt; lui è della maggioranza, io dell'opposizione, però condivido profondamente la domanda che le pongo a nome del collega.
Parlando di Ilaria Alpi, l'onorevole Schmidt osserva: Ilaria è una giornalista televisiva, quindi le notizie devono comunque essere supportate dalle immagini (per un giornalista televisivo, soprattutto per il tipo di lavoro che faceva Ilaria, non è sufficiente la notizia). Le riprese effettuate a Bosaso da parte di Miran Hrovatin - che era l'occhio di Ilaria Alpi - sono tutte concentrate sul porto, sulla nave Shifco e sullo scarico di casse, con riprese insistenti su alcuni dettagli (ad esempio, su casse di olivo d'oliva). Questo è il solo materiale - oltre all'intervista al sultano di Bosaso -, quindi non c'è dubbio, a giudizio dell'onorevole Schmidt, che il servizio che Ilaria Alpi stava preparando potesse riguardare l'attività delle navi e la cooperazione.
Cosa nascondono quelle casse? Forse, come Sismi ci potete aiutare a sapere se nascondevano - com'è probabile - armi o quant'altro. Altrimenti, non si capisce tutto ciò che vi è stato detto al riguardo.
Alla domanda dell'onorevole Schmidt aggiungo una mia richiesta: le chiedo di parlarci anche delle aziende italiane che operavano in Somalia, sia quelle legate alla cooperazione sia le altre (infatti, mi risulta che vi fossero anche altre aziende, in quel periodo). Quali erano le presenze italiane più visibili?

ALFREDO TEDESCO. Mi dispiace, ma a questa domanda non so che cosa rispondere. Se vogliamo stare nel campo delle ipotesi, come ha detto lei, in quelle casse ci poteva essere di tutto. Io non ho visto né le casse né le fotografie e non so assolutamente nulla. Solo per quanto riguarda la nave, ripeto, l'unico contatto che ho avuto è stato per tentare - o per favorire - la mediazione per la liberazione dei due italiani che facevano parte dell'equipaggio.

MAURO BULGARELLI. E sulla Shifco in generale, il Sismi - o meglio, la sua divisione - che cosa dice?

ALFREDO TEDESCO. Io non so nulla della Shifco. So che erano delle navi che erano state donate - credo tramite la cooperazione - dal Governo italiano, dei pescherecci. Onestamente, le posso dire una cosa: ho visto un'ambulanza, donata come ambulanza, che trasportava i kalashnikov. Ebbe un incidente, a Mogadiscio, e dentro, invece del malato, c'erano i fucili! Poi, che cosa trasportassero le navi non lo so. Erano state donate per incrementare la pesca.

PRESIDENTE. La parola all'onorevole Deiana.

ELETTRA DEIANA. Grazie, presidente.
Vorrei tornare sul ruolo di Unosom, che per noi è di particolare importanza. Lei ha chiarito, da un punto di vista istituzionale, l'obbligo che Unosom aveva di svolgere le indagini sull'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.


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ALFREDO TEDESCO. Era l'ente...

ELETTRA DEIANA. L'ente preposto, per accordi internazionali. È esatto?

ALFREDO TEDESCO. Sì.

ELETTRA DEIANA. C'è una serie di sue note autografe, da cui appare evidente che lei voleva trasmettere - immagino alle competenti autorità italiane, alle gerarchie italiane - la comunicazione che Unosom non stava svolgendo adeguatamente i suoi compiti.

ALFREDO TEDESCO. Io questo non l'ho detto. Ho detto che Unosom...

ELETTRA DEIANA. Come, no? C'è una sua nota in cui si dice: «Appare evidente la volontà di Unosom di minimizzare sulle cause che avrebbero portato all'uccisione della giornalista italiana e del suo operatore». E aggiunge: «Unosom continua a battere la pista della tentata rapina e della casualità dell'episodio, trascurando» - sono parole scritte da lei - «i chiari particolari che indicherebbero il contrario».
Sempre da lei, è scritto: «Anche da Roma è giunto a Scialoja esplicito divieto di trattare l'argomento e di avanzare ipotesi sui probabili mandanti, ricordando che tale compito spetta solo ad Unosom» - si tratterebbe quindi di un divieto da Roma per smorzare, evidentemente, l'impegno e la voglia di Scialoja di fare qualche chiarezza - «al termine degli accertamenti in corso».
Queste due frasi - quella relativa a Scialoja e quella relativa alla tendenza di Unosom di minimizzare le cause - non vengono ritrasmesse. E l'informativa che deriva da questa sua nota viene riformulata nel senso che si edulcora l'atteggiamento di Unosom, cioè l'orientamento a trascurare alcuni indizi.
Le chiedo, innanzitutto, in che modo possa avvenire un fatto del genere; in secondo luogo, se sa da quale autorità arrivi a Scialoja esplicito divieto e, infine, se ha un'idea del perché l'indagine di Unosom si riduca ad un'operazione meramente burocratica, come risulta da ciò che ci hanno detto gli ufficiali italiani: sostanzialmente, ci hanno ripetuto che i due giornalisti sono stati uccisi in quel modo.

ALFREDO TEDESCO. Spero di aver capito la domanda.

ELETTRA DEIANA. Gliela ripeto, se vuole.

ALFREDO TEDESCO. No, no.

PRESIDENTE. Sembra quasi che sia sorto un conflitto di competenze, rispetto a chi dovesse intervenire. Tant'è che voi vi rizelate e dite: «Noi non possiamo fare perché abbiamo determinati compiti di intelligence e non altro». D'altra parte, però, sottolineate che c'è qualcuno che mette i bastoni tra le ruote.

ALFREDO TEDESCO. Il discorso è questo: per quanto riguarda l'ambasciatore, chiaramente, per il fatto di aver ricevuto il divieto, i motivi possono essere tanti. Intanto, non so la persona da cui lo ha avuto. Con l'ambasciatore ci vedevamo praticamente tutti i giorni.

ELETTRA DEIANA. Quindi è Scialoja che le ha detto di aver ricevuto il divieto.

ALFREDO TEDESCO. Non così. Bisogna un po' interpretare il discorso. Già le Nazioni Unite - quindi, Unosom - avevano fatto presente la loro esclusiva competenza. In secondo luogo, l'ambasciatore - che si muove in giro e va dicendo che le corti islamiche... - se trapelava, in quell'occasione...

PRESIDENTE. Dica, continui la frase: «che le corti islamiche...»

ALFREDO TEDESCO. Che le corti islamiche potevano essere coinvolte nell'uccisione dei giornalisti...


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ELETTRA DEIANA. Avrebbe creato problemi.

ALFREDO TEDESCO. Magari avrebbero ammazzato qualcun altro! In quei momenti bisognava essere molto cauti. Le stesse Nazioni Unite non è detto che, siccome ufficialmente nei comunicati prediligevano la banda dei rapinatori, poi magari non avevano... semplicemente, magari, non era il momento opportuno per divulgare una cosa del genere. E sicuramente sarebbe stato controproducente, comunque, se ognuno avesse fatto indagini per conto suo. Si sarebbero allertati i responsabili.

ELETTRA DEIANA. Questo è chiaro. Lei, però, ha la volontà di far sapere questo fatto alle autorità italiane. Allora, un conto sono le giuste precauzioni affinché nessuno si metta a fare indagini a spron battuto, fuori dalle regole, un conto è che i responsabili di Unosom adottino uno stile di cautela...

ALFREDO TEDESCO. L'ambasciatore incontrava i responsabili di Unosom.

ELETTRA DEIANA. Per cortesia, mi lasci formulare la domanda. Una cosa è che Unosom adotti uno stile di cautela, altra cosa è che Unosom sostanzialmente insabbi, nasconda, manipoli gli elementi, gli indizi che potevano portare a più precisi accertamenti! E non soltanto nell'apparenza esterna, per tenere sotto controllo la situazione, ma nei fatti riduce tutto ad un episodio di bande, di casualità, come lei mette in evidenza. Allora, che cos'è che fa effettivamente Unosom?

ALFREDO TEDESCO. Una cosa, sicuramente: cerca di non divulgare notizie all'esterno delle varie organizzazioni che possano complicare quella già difficile situazione politica e militare che c'era. Però, non è detto che esistano dei documenti - non lo so se ci sono -, cioè non è detto che Unosom non abbia fatto delle informative riservate. Questo mio messaggio, comunque dovevo mandarlo perché è quello che...

ELETTRA DEIANA. Che appariva a lei.

ALFREDO TEDESCO. Che appariva ufficialmente.

ELETTRA DEIANA. Ovvero, appariva che Unosom cercava di accreditare l'ipotesi di un omicidio fortuito?

ALFREDO TEDESCO. Appariva che Unosom dava l'impressione di seguire una pista anziché un'altra.

ELETTRA DEIANA. Cioè, quella dell'omicidio fortuito!

ALFREDO TEDESCO. E sì.

ELETTRA DEIANA. Mentre a lei risultava, da sue fonti, che la dinamica poteva essere stata un'altra .

ALFREDO TEDESCO. Sì, dalle fonti che avevo sentito nei giorni...

PRESIDENTE. Va bene, poi ne parliamo.

ELETTRA DEIANA. Da quelle fonti lì, quelle che ha indicato?

ALFREDO TEDESCO. Sì.

ELETTRA DEIANA. Quindi, si trattava di fonti, di persone conosciute?

ALFREDO TEDESCO. Non solo da quelle: è stato un coro unanime.

PRESIDENTE. Dopo, lo vedremo. Adesso vorrei aggiungere, all'osservazione contenuta nella domanda fatta dall'onorevole Deiana, un'altra osservazione: sta di fatto che noi abbiamo accertato - e questo è un dato pacifico, è una delle cose che la Commissione ha accertato per sicure - dall'audizione del colonnello Vezzalini e


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del capitano Salvati che loro non hanno fatto assolutamente niente. E questo è un dato certo.
A fronte ed oltre i comunicati che ufficialmente a lei risultavano - e dei quali doverosamente lei ha dato informazione agli organi competenti -, c'è anche questo particolare: quella della rapina o della banda occasionale non è soltanto una strategia per occultare quello che in realtà facevano, come lei cercava di dire prima, ma è esattamente la fotografia della situazione operativa. Loro ci hanno detto, infatti, non soltanto che non hanno fatto niente, ma che non dovevano fare niente perché le cose riguardavano altri, a cominciare dai responsabili del Sismi, e facendo riferimento alla persona di Tedesco e ad altri.

ALFREDO TEDESCO. Presidente, lei pensa che io potevo fare qualcosa?

PRESIDENTE. No, io penso che non ha fatto niente nessuno!

ALFREDO TEDESCO. No, le spiego. Io non ero accreditato come agente del Sismi presso le Nazioni Unite. Per le Nazioni Unite, ero un soldatino, che stava lì...

PRESIDENTE. Voi avete certamente dato un contributo, nessuno lo contesta...

ALFREDO TEDESCO. Abbiamo fatto il nostro dovere, niente di più.

PRESIDENTE. ... ma noi della Commissione parlamentare d'inchiesta siamo increduli di fronte alla constatazione sistematica che ogni volta che ci sarebbe stato il modo di poter fare molto poco per poter dare un contributo all'accertamento questo non è accaduto, si tratti di servizi di informazione militare, di Unosom, di militari in genere o del contingente: non ha fatto niente nessuno! Poi, ognuno dà la sua giustificazione e noi poi valuteremo dove la giustificazione è esatta e dove non è esatta. Oggi, però, abbiamo il dovere di dirle - di fronte alla rilevazione che lei ha fatto in ordine alle competenze di Unosom - che è un bel pensare quello che lei ha cercato di esprimere (non la sto rimproverando, s'intende), quando ha detto: «Può darsi che dicevano che fosse rapina, ma in realtà, dal punto di vista concreto, andavano per la pista giusta»; ma non è così.

ALFREDO TEDESCO. Io ho rappresentato l'impressione esterna al mio ufficio.

PRESIDENTE. Esatto, ma non è così, perché abbiamo un dato certo: non hanno fatto assolutamente niente. Quindi, la dichiarazione è esattamente corrispondente a quella che era la realtà delle cose.
A proposito dei collegamenti tra Unosom, compiti investigativi, anche con potere di arresto, e trasmissione degli atti - come avviene in un paese civile - all'autorità giudiziaria, i somali avevano dei tribunali?

ALFREDO TEDESCO. Sì, c'era il tribunale somalo.

PRESIDENTE. Era un tribunale islamico?

ALFREDO TEDESCO. No, c'era un tribunale. Era stata istituita la polizia e chiaramente, il tribunale, il carcere. Però era gestito da loro.

PRESIDENTE. Da chi?

ALFREDO TEDESCO. Dai somali.

PRESIDENTE. Non dalla corte islamica, dunque.

ALFREDO TEDESCO. No, la corte islamica è un'altra cosa.

PRESIDENTE. La parola all'onorevole Deiana.

ELETTRA DEIANA. Grazie, presidente.
Dottor Tedesco, lei ha lasciato tracce dei suoi rapporti col territorio, delle sue conoscenze e dell'utilizzo da lei fatto delle sue fonti (ci sono una serie di notizie, di


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cui noi disponiamo, che ci sono pervenute grazie alle sue informative). Al di là dei meccanismi di opportunità politica nel modo di gestire le indagini, al di là di considerazioni di ordine istituzionale, si è fatto un'idea del perché Unosom - nonostante l'esistenza di segni che lei e le sue fonti ritenevate importanti, sull'eventuale altra matrice dell'omicidio - abbia bloccato (non esiste altra parola) le indagini?

ALFREDO TEDESCO. Non lo so.

ELETTRA DEIANA. Cosa poteva spingere un organismo internazionale a non fare nulla?

ALFREDO TEDESCO. Le ripeto, io non so se non ha fatto nulla, se ha fatto o non ha fatto.

ELETTRA DEIANA. Non se lo è chiesto, neanche dopo?

ALFREDO TEDESCO. Per me, poteva anche aver fatto, non so.

ELETTRA DEIANA. E no, non ha fatto, visto che non è uscito nulla!

ALFREDO TEDESCO. Chiaramente, non ci forniva il resoconto di quello che faceva. Adesso apprendo che non l'ha fatto.

ELETTRA DEIANA. D'accordo, ma le chiedo se lei si è fatto una sua idea, non attraverso le informative dell'Unosom, bensì come cittadino italiano che ha avuto un ruolo in quel periodo e in quel territorio.

ALFREDO TEDESCO. No, assolutamente. Si riferisce sempre ad Unosom, quando dice «Perché non ha fatto»?

ELETTRA DEIANA. Sì, mi chiedo perché da Unosom non sia venuto nessun elemento di chiarezza sul delitto.

PRESIDENTE. C'erano delle ragioni di ostilità nei confronti degli italiani, da parte di Unosom?

ALFREDO TEDESCO. No. Da parte di Unosom, assolutamente...

ELETTRA DEIANA. C'erano delle ragioni di opportunità?

ALFREDO TEDESCO. Io non posso rispondere a questo. Adesso, lei mi dice che Unosom non ha fatto e io ne prendo atto, non ha fatto. Per me, continuo a dire che l'organismo...

PRESIDENTE. Mi scusi, che Vezzalini non avesse fatto niente mi pare che risultasse anche a lei. Che Salvati si fosse chiuso dentro l'ex ambasciata, mandando avanti i somali a vedere quel che era successo, mi pare che...

ALFREDO TEDESCO. Presidente, chiedo di procedere in seduta segreta.

PRESIDENTE. Sta bene, non essendovi obiezioni, dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno.

(La Commissione procede in seduta segreta).

PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno.
Prego, onorevole Deiana.

ELETTRA DEIANA. Io insisto sulla natura delle segnalazioni o delle interpretazioni che Unosom ufficialmente dà. Indagare per cercare una banda di manigoldi, che hanno ammazzato i due italiani, o indagare per cercare un gruppo politico - perché le sue segnalazioni vanno in tal senso - fondamentalista, che ha ammazzato i due per altri motivi, dal punto di vista operativo, dal punto di vista della sicurezza degli ufficiali e dei militari di Unosom impegnati sul territorio, è la stessa cosa!


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ALFREDO TEDESCO. No, signora, scusi, non è la stessa cosa: se Unosom ammetteva ufficialmente che i due giornalisti erano stati uccisi...

ELETTRA DEIANA. Va bene, ma si potevano fare indagini mascherate.

ALFREDO TEDESCO. Quello che ho pensato io era che ufficialmente dava una notizia, però...

ELETTRA DEIANA. Invece noi abbiamo appurato che non hanno fatto nulla.

ALFREDO TEDESCO. Non lo so.

ELETTRA DEIANA. Allora il problema della sicurezza non c'entra, perché loro potevano fare indagini «mascherate», fingendo di cercare banditi comuni.

ALFREDO TEDESCO. Il mio messaggio era questo.

ELETTRA DEIANA. Torno alla domanda iniziale: a posteriori, lei si è fatto un'idea del perché l'Unosom ha fatto blocco...

ALFREDO TEDESCO. No, onorevole, non mi sono fatto alcuna idea.

PRESIDENTE. Conosceva Ilaria Alpi?

ALFREDO TEDESCO. Di vista, come un po' tutti i giornalisti. Gli unici due che conoscevo, perché c'erano dall'inizio, sono Benni e Alberizzi. Gli altri rimanevano poco. Ora ne vedo qualcuno in televisione, come corrispondente in qualche parte del mondo.

PRESIDENTE. Aveva rapporti di conoscenza istituzionale con Alberizzi e Benni?

ALFREDO TEDESCO. No.

PRESIDENTE. Propongo di procedere in seduta segreta. Non essendovi obiezioni, dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno.

(La Commissione procede in seduta segreta).

PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno.
Quando ha conosciuto Ilaria Alpi e quando l'ha incontrata?

ALFREDO TEDESCO. La vedevo, come vedevo gli altri giornalisti, quando andavamo alla sede della nostra ambasciata o all'hotel Hamana, dove però sono stato una sola volta.

PRESIDENTE. Nelle tre o quattro occasioni in cui Ilaria è venuta in Somalia, lei l'ha incontrata?

ALFREDO TEDESCO. No, mai. L'ho intravista, ma non ho mai parlato con lei.

PRESIDENTE. La tenevate d'occhio?

ALFREDO TEDESCO. Sì, a tutela, come tutti gli italiani, anche se non facevano parte del contingente.

PRESIDENTE. Sapeva di che cosa si interessasse Ilaria e quali fossero gli obiettivi del suo lavoro in Somalia?

ALFREDO TEDESCO. No. Come tutti i giornalisti, cercava notizie e quando queste arrivavano, partiva. Noi però non conoscevamo i loro movimenti, che non comunicavano né all'ambasciatore, né, tantomeno, a noi.

PRESIDENTE. Data la situazione del periodo in cui si è verificato l'ultimo viaggio di Ilaria, in cui la pericolosità era molto cresciuta per il fatto che il contingente era in via di smobilitazione e le bande - una delle quali poi avrebbe ucciso i due giornalisti - tornavano a spadroneggiare e comunque a rioccupare il territorio,


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c'erano particolari attenzioni e cautele diramate anche ai giornalisti, e segnatamente ad Ilaria Alpi?

ALFREDO TEDESCO. Proprio per le scritte anti italiane apparse sui muri, per certi discorsi fatti nelle moschee e per le bande armate dei tribunali islamici, consigliammo all'ambasciatore di far trasferire tutti i giornalisti dall'hotel Hamana alla sede dell'ex ambasciata o ad un albergo che si trovava al IV chilometro, cioè nella parte più tranquilla e comunque più vicina alle forze delle Nazioni Unite.

PRESIDENTE. Queste comunicazioni le avete fatte all'ambasciatore?

ALFREDO TEDESCO. No, siamo andati a prendere i giornalisti - d'accordo con l'ambasciatore - e li abbiamo portati a Mogadiscio sud.

PRESIDENTE. Cioè al Sahafi?

ALFREDO TEDESCO. Sì, qualcuno. Loro hanno deciso di andare al Sahafi. C'era la possibilità di portarli dentro il compound delle Nazioni Unite, ma loro non vollero perché al Sahafi erano più liberi di muoversi, mentre nel compound erano necessari un passi per entrare ed uno per uscire, ad una certa ora non si poteva più uscire, e così via.

PRESIDENTE. Il Sahafi era a Mogadiscio sud, mentre l'hotel Hamana era a nord. Quindi, i problemi di sicurezza erano a nord e non a sud?

ALFREDO TEDESCO. Inizialmente la parte più tranquilla della città era quella nord. Quando poi nella parte nord iniziarono ad operare le corti islamiche e le milizie islamiche, la parte più sicura era quella sud, dove c'era meno fanatismo e dove c'erano l'ex ambasciata americana e l'aeroporto che era controllato. Anche per i giornalisti era più facile perché dall'aeroporto non dovevano fare un trasferimento. Addirittura era stata costruita una strada interna, lungo il mare, che collegava l'ex ambasciata americana all'aeroporto e successivamente anche al porto nuovo. Ciò per facilitare gli spostamenti in sicurezza.
In quell'occasione apprendemmo che Ilaria non era con i giornalisti.

PRESIDENTE. Quindi, voi vi siete preoccupati materialmente di trasferire i giornalisti a Mogadiscio sud, che in quel momento era la zona più sicura. Avete proposto il compound, ma loro hanno scelto l'hotel Sahafi. Questo è il giorno in cui avete appreso che Ilaria Alpi non c'era?

ALFREDO TEDESCO. Sì. Quando i giornalisti si sono spostati, Ilaria non c'era e qualcuno di loro, non ricordo chi...

PRESIDENTE. Quindi, il giorno in cui voi avete concentrato i giornalisti a Mogadiscio sud, avete avuto la notizia che Ilaria non c'era?

ALFREDO TEDESCO. Era andata a nord, a Bosaso.

PRESIDENTE. Non ricorda chi glielo ha detto?

ALFREDO TEDESCO. No. I giornalisti dissero anche che inizialmente erano in contatto con Ilaria a Bosaso, ma che da tre o quattro giorni non sapevano più nulla e che l'ultima volta che l'avevano sentita, aveva detto di avere avuto delle minacce.

PRESIDENTE. Lei quindi ha appreso da persone che non sa indicare che i giornalisti sapevano che Ilaria Alpi era a Bosaso?

ALFREDO TEDESCO. Sì. Erano in collegamento.

PRESIDENTE. E ha appreso anche che erano in collegamento con Ilaria Alpi a Bosaso, ma che da tre o quattro giorni non avevano sue notizie?

ELETTRA DEIANA. Ha saputo anche che aveva avuto delle minacce.


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PRESIDENTE. Una cosa per volta. Quindi, lei scrive questo dispaccio: «Si è appreso che due giornalisti attesi per il giorno 16 marzo a Bosaso non hanno ancora segnalato il loro arrivo alla sede Unosom di Mogadiscio» - il dispaccio è del 18 marzo - «Sono in corso ricerche per stabilire le cause del ritardo. Riserva ulteriori notizie». Poi fa un altro comunicato: «Si è appreso che la giornalista Ilaria Alpi, recatasi con l'operatore non italiano con volo Unosom a Bosaso per effettuare un servizio ha preso contatto con la sede Unosom di Mogadiscio. La stessa ha preannunciato il suo rientro a Mogadiscio per domani con volo Unosom». Anche questo dispaccio è del 18 marzo, quindi nella stessa giornata lei ha appreso la notizia per la quale fa il dispaccio riservato e ha appreso che il problema si è risolto, nel senso che è stata rintracciata.

ALFREDO TEDESCO. Esatto.

PRESIDENTE. In questa stessa circostanza lei ha appreso che a Bosaso Ilaria Alpi aveva avuto delle minacce?

ALFREDO TEDESCO. Durante la riunione con i giornalisti.

PRESIDENTE. Quando, in quale riunione, in quale momento? Sempre il giorno 18?

ALFREDO TEDESCO. Non ricordo il giorno.

PRESIDENTE. Il giorno del dispaccio?

ALFREDO TEDESCO. Sì. Una volta rientrati i giornalisti a Mogadiscio sud, vi è stata una riunione in cui l'ambasciatore chiedeva cosa volessero fare. In questo contesto venne fuori quella notizia.

PRESIDENTE. Che cosa venne fuori?

ALFREDO TEDESCO. Che Ilaria mancava ed era andata a Bosaso.

PRESIDENTE. E per quanto riguarda la minaccia?

ALFREDO TEDESCO. Sempre in questo contesto, i suoi colleghi hanno detto che non la sentivano da tre o quattro giorni e che l'ultima volta che l'avevano sentita, Ilaria aveva detto che aveva avuto delle minacce.

PRESIDENTE. Chi l'aveva minacciata?

ALFREDO TEDESCO. Non so.

PRESIDENTE. Ha sentito parlare di un «sequestro» di cui Ilaria Alpi sarebbe stata vittima, sempre a Bosaso?

ALFREDO TEDESCO. L'ho sentito, ma dopo.

PRESIDENTE. C'è una sua nota del 21 marzo, il giorno dopo l'uccisione di Ilaria, in cui scrive - poi lo cancella, non si capisce perché...

ALFREDO TEDESCO. Io?

PRESIDENTE. Non so chi lo abbia cancellato.

ALFREDO TEDESCO. Io non l'ho cancellato.

PRESIDENTE. Finalmente sappiamo che lei non l'ha cancellato. Il dispaccio è del seguente tenore: «La giornalista italiana avrebbe ricevuto minacce di morte anche a Bosaso il giorno 16 ultimo scorso».

ALFREDO TEDESCO. Era andata a Bosaso.

PRESIDENTE. Questa è la notizia che lei riferisce indicando il «16 ultimo scorso» come giorno in cui avrebbe ricevuto la minaccia di cui viene a conoscenza il 18, il giorno della concentrazione dei giornalisti. Poi c'è una lettera.


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ALFREDO TEDESCO. Come ho già detto, non ricordo le date precise.

PRESIDENTE. Lei scrive il 21, riferisce la minaccia al 16...

ALFREDO TEDESCO. Per quanto riguarda le date, si può fare affidamento sui documenti ma non sulla mia memoria.

PRESIDENTE. Le leggo l'informativa indirizzata al Ministero della giustizia, al Ministero dell'interno e, per conoscenza, alla Direzione generale affari penitenziari.

ALFREDO TEDESCO. Affari politici.

PRESIDENTE. Secondo me la «p» indica penitenziari. «Per opportuna informazione degli uffici in indirizzo, nonché per gli eventuali seguiti di competenza» - la lettera è del 22 marzo 1994, a firma dell'ambasciatore Sessa - «(...) Ilaria Alpi, nel corso di un recentissimo viaggio a Bosaso, sarebbe stata trattenuta per breve tempo da esponenti di una fazione locale. Si fa riserva di ulteriori informazioni al riguardo». Noi non conosciamo la fonte di questa notizia.

ALFREDO TEDESCO. Ho saputo di questo fatto in un secondo tempo.

PRESIDENTE. Che notizie ha avuto intorno a questo sequestro?

ALFREDO TEDESCO. Non lo sapevo.

PRESIDENTE. Però sapeva che in quel periodo c'era stato il sequestro della nave Schifco.

ALFREDO TEDESCO. Sì.

PRESIDENTE. Ha mai accertato o ha avuto motivo di ritenere che ci potesse essere un collegamento tra queste minacce rivolte ad Ilaria Alpi e la vicenda dei pescherecci Schifco?

ALFREDO TEDESCO. No.

PRESIDENTE. A proposito di questi pescherecci lei sa che vi è una fiorente letteratura soprattutto sulla loro anomala utilizzazione non tanto per la pesca e per il trasporto del pescato, quanto per il traffico di armi. Che cosa può dire sui risultati delle operazioni di intelligence su questo punto?

ALFREDO TEDESCO. Non mi sento di escludere che il peschereccio che andava nello Yemen a caricare il pescato al ritorno portasse anche una cassetta di munizioni. Penso che non trasportasse mezzi blindati, però per un paese in guerra il munizionamento è oro ed è possibile che ciò sia avvenuto, ma non ne ho le prove; se le avessi avute lo avrei scritto.

PRESIDENTE. Noi abbiamo appreso dal generale Rajola che in quel periodo c'erano rapporti ufficiali e legali tra Italia e Somalia per la fornitura di armi, come c'erano rapporti ufficiali, che avrebbero dovuto essere anche legali, sul secondo settore, quello cioè della cooperazione nelle attività economiche. Sappiamo che questi due momenti di forte interesse (armi e cooperazione) legavano sul piano della liceità il Governo italiano e quello somalo (non so se vi fosse un vero e proprio governo).
Quando parliamo delle Schifco come delle navi della cooperazione utilizzate anche ad altri fini, lo facciamo con riferimento ad attività illegali. La notizia che questi pescherecci, con riferimento a forniture italiane, possano essere stati utilizzati per il traffico di armi, è fantasiosa?

ALFREDO TEDESCO. Conoscendo la situazione in Somalia in quel periodo, posso non escludere che sia accaduto.

PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di traffici di armi a partire dal porto di Talamone?

ALFREDO TEDESCO. No.

PRESIDENTE. Va bene, grazie. Propongo di rinviare il seguito dell'esame di


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Alfredo Tedesco alla seduta già prevista per martedì 20 gennaio 2005. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

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