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Seduta del 12/1/2005


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Esame testimoniale di Luca Rajola Pescarini.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame testimoniale del generale Luca Rajola Pescarini, al quale faccio presente che viene ascoltato in questa sede nella qualità di testimone, diversamente da quanto accade normalmente dinanzi alle Commissioni parlamentari d'inchiesta. Ciò perché il nostro atto istitutivo prevede la possibilità di essere ascoltati in questa qualità, con la conseguenza dell'obbligo di rispondere e di dire la verità. Laddove il generale dovesse ritenere necessario segretare le sue dichiarazioni, interverremo in questo senso di volta in volta.
Generale, le chiedo anzitutto di declinare le sue generalità e di illustrarci la sua situazione attuale, anche dal punto di vista dei rapporti con la pubblica amministrazione.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Mi chiamo Luca Rajola Pescarini e sono nato a Napoli l'8 febbraio 1936. Sono in quiescenza per limiti di età da gennaio 2001.

PRESIDENTE. Svolge qualche attività lavorativa?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Subito dopo il gennaio 2001, sono stato per un anno con le Nazioni Unite, che mi avevano richiesto, come project manager, per la direzione di un progetto che riguardava la ricostituzione in Somalia delle forze di polizia e del sistema giudiziario. Quando è terminato questo progetto, sono rientrato in Italia. Attualmente svolgo attività non remunerate, cioè attività di volontariato.

PRESIDENTE. Sempre nel settore della pubblica amministrazione?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Assolutamente no.

PRESIDENTE. Lei è stato inquadrato nell'ambito della Presidenza del Consiglio?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì. In base alla legge n. 801, siamo transitati nei ruoli organici della Presidenza del Consiglio.

PRESIDENTE. Provenienti da dove?


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LUCA RAJOLA PESCARINI. Dall'esercito. Sono andato in pensione come dirigente generale della Presidenza del Consiglio.

PRESIDENTE. In che periodo è stato presso la Presidenza del Consiglio?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Dal 1980 a gennaio 2001.

PRESIDENTE. Che incarichi ha ricoperto in questo periodo?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sono stato sempre in forza, e poi sono stato responsabile, della divisione ricerche all'estero del Servizio informazioni e sicurezza militare. Successivamente sono diventato capo del reparto da cui dipendeva la ricerca all'estero, cioè la ricerca umana, Humint, la ricerca elettronica, Sigint.
La ricerca all'estero, compito deputato per legge al Servizio informazioni e sicurezza militare, si svolge su due grandi linee, una delle quali è la ricerca umana che viene svolta attraverso agenti che episodicamente vanno all'estero e soprattutto attraverso la rete dei centri che sono collocati all'estero. Questa ricerca parte sulla base di input che ogni anno il Governo dà al Servizio informazioni e sicurezza e che vengono affinati all'interno del Servizio come obiettivi di ricerca, i quali sono trasmessi ai centri e agli agenti che operano sul terreno.
Il ricavato di questa ricerca umana si integra con la ricerca elettronica, fatta attraverso la captazione di tutti i segnali e le telecomunicazioni. Il risultato di tutto questo, più ciò che si acquisisce attraverso i mezzi di pubblica informazione o gli scambi di informazioni con i servizi collegati, passa alla divisione situazioni, che emette i documenti ufficiali del Servizio.
Io ero responsabile di questa organizzazione complessa.

PRESIDENTE. Qual è stato il suo rapporto con la Somalia?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Il mio rapporto con la Somalia è iniziato nel 1967, quando non ero ancora al Servizio informazioni e sicurezza, ma lo stato maggiore dell'Esercito, per alcune mie caratteristiche o specializzazioni, mi ritenne idoneo a fare l'istruttore delle forze di polizia della Somalia. Nel 1967, nel paese vi era ancora l'unico esempio di cosiddetta democrazia parlamentare in Somalia, durato circa dieci anni: si trattava di un sistema multipartitico, che è caduto quando nelle ultime elezioni, prima dell'avvento della dittatura di Barre, contava ben 86 contrassegni di lista; è crollato per una forma di implosione. La Somalia ha avuto un periodo precoloniale nel quale lo Stato si reggeva sull'organizzazione tribale, che è rimasta alla base della società somala; su questo si è sovrapposto il sistema coloniale che lasciava, per alcune cose fondamentali, che la vita dei somali si svolgesse come si era sempre svolta. Ciò anche perché il controllo coloniale sulla Somalia è stato, da parte nostra, piuttosto breve e limitato. Noi siamo arrivati in Somalia circa 110 anni fa, alla fine dell'ottocento, quando il paese fu acquistato dal sultano di Zanzibar e dalla compagnia Filonardi che dopo un anno, non potendo gestire la situazione, lo passò al Governo italiano che lo acquisì, come aveva già fatto con l'Eritrea, attraverso la Rubattino. Iniziarono così le nostre disavventure con la Somalia.
All'inizio il controllo era affidato ad una sorta di bande mercenarie reclutate dalla compagnia Filonardi; dopo un anno, con il passaggio al Governo italiano, ci fu l'intervento della Marina prima e dell'Esercito italiano poi, che però non riuscirono a radicarsi sul territorio. Il controllo massimo che abbiamo avuto è stato quello sulla regione del Benadir, a cavallo di Mogadiscio. Infatti, appena ci si allontanava verso Uarshek, cioè a 50 chilometri a nord o a sud, c'erano conflitti con le bande somale, tant'è vero che i primi caduti italiani, che risalgono alla fine dell'ottocento (ricordo il tenente di vascello Sorrentino), sono stati assaliti da queste bande appena messo piede a


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terra. Questo è un discorso che ritorna: parlando di Somalia, emerge che i primi caduti sono stati a Uarshek e a Merca, nomi che ricorrono ancora oggi.

PRESIDENTE. Veniamo ai tempi nostri. Lei nel 1967 è andato in Somalia e vi è rimasto ininterrottamente?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, sono rimasto in Somalia per due anni. Il mio compito era quello di addestrare e organizzare i reparti mobili della polizia. La Somalia ha sempre avuto un contenzioso storico con l'Etiopia e, subito dopo l'indipendenza, nel 1964, ha avuto l'ennesimo conflitto che si è risolto con una specie di armistizio, per il quale è stato fatto l'accordo di Khartum del 1964 in base al quale nella fascia confinaria (per 20 chilometri da una parte e dall'altra) non dovevano esserci reparti militari e potevano agire solamente forze di polizia; vi erano in particolare dei reparti mobili che avevano compiti di polizia militare e quindi non solo quello di mantenere la presenza dello Stato ma anche quello di aiutare i nomadi che operavano in questa fascia.

PRESIDENTE. Quando è andato in Somalia quale appartenente al Sismi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Molto dopo. Tornato in Italia, sono rientrato nell'Esercito fino a che sono stato cooptato al Sismi nel 1970.

PRESIDENTE. Quindi è andato in Somalia in quest'epoca come appartenente al Sismi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, sono tornato in Somalia nel 1979-1980.

PRESIDENTE. Ci è rimasto ininterrottamente?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, sono rimasto per due anni; dopo di che sono andato in Arabia Saudita.

PRESIDENTE. Non è più tornato in Somalia?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Ci sono tornato dieci anni dopo.

PRESIDENTE. Quando esattamente?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Quando c'è stata l'operazione Restore Hope, cioè nel 1993.

PRESIDENTE. Siamo sicuri che sia stato nel 1993?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Quando è iniziata l'operazione.

PRESIDENTE. A noi interessa accendere i riflettori soprattutto su questo periodo. Lei è andato in Somalia nel 1993 come appartenente al Sismi: con quali funzioni? In quale veste? Con quali finalità?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Ero il rappresentante del Sismi accreditato presso il servizio somalo, con il quale avevamo un rapporto di collaborazione.

PRESIDENTE. Che compiti aveva? Questa sua posizione resta anche nell'epoca in cui si colloca l'uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin? A marzo 1994, lei dove stava?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Ero responsabile della II divisione del Sismi che si interessava della ricerca all'estero, in tutto il mondo. Quindi, non mi interessavo della Somalia in particolare.

PRESIDENTE. Si interessava anche della Somalia.

LUCA RAJOLA PESCARINI. La Somalia rientrava nel vasto mondo e nelle aree di crisi. In quel periodo, la nostra priorità non era la Somalia ma era l'ex Jugoslavia (io ero in Bosnia). Quando è iniziata l'operazione Restore Hope, cioè alla fine del 1992, io da Sarajevo sono tornato a


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Roma e da Roma sono ripartito, perché, come lei ricorderà, il discorso bosniaco, l'uccisione dei musulmani, la violenza sulle donne musulmane avevano creato un grossissimo problema nel mondo islamico. C'era stata una conferenza in Arabia Saudita alla quale ero stato invitato, perché i regimi arabi filo occidentali, in particolare i sauditi, custodi dei luoghi santi e dell'Islam, volevano mandare un messaggio in cui pretendevano o volevano che il mondo occidentale e la NATO facessero un intervento deciso contro i serbi per porre termine alle violenze che avvenivano in Bosnia.
Rientrato dall'Arabia Saudita, appena arrivato a Roma, seppi che si stava preparando l'operazione italiana in Somalia. Vorrei premettere che l'operazione delle Nazioni Unite nacque dopo un battage preparatorio durato mesi: c'erano state le visite di Sofia Loren, di Imam (la famosa modella somala), di Audrey Hepburn, con fotografie ai bambini somali rifugiati nei campi e così via. Intendo dire che c'era stata, come per altre operazioni militari, una grossa preparazione psicologica. Mi domandai perché si preparasse questa operazione in Somalia, operazione alla quale noi non eravamo stati ancora interessati: lo capii parlando con i sauditi e soprattutto leggendo un giornale saudita, Arab news, che parlava della spedizione che sarebbe avvenuta in Somalia e dava la spiegazioni, la prima delle quali riportava alla precedente guerra del Golfo, di Bush padre. Nel mondo anglosassone, che è molto più pragmatico del nostro, a seconda della partecipazione agli interventi viene fissato il budget di fine anno e nella partecipazione alla prima guerra del Golfo il budget grosso era andato all'aviazione e all'esercito, mentre i marines erano rimasti esclusi. Quindi, andava fatta un'operazione condotta dai marines. C'era poi il fatto che Bush padre voleva chiudere in bellezza il suo periodo ed inoltre bisognava dare un contentino ai paesi islamici con un intervento benefico in un paese islamico, cioè la Somalia, perché chiaramente non poteva essere la Bosnia.
Questa operazione veniva considerata facile, dal punto di vista americano, perché gli americani, negli ultimi dieci anni del regime di Barre, quando il paese da socialista scientifico era diventato filo occidentale, avevano fatto un accordo di cooperazione con l'esercito somalo, che aveva avuto materiale d'armamento americano e 40 milioni di dollari all'anno per l'uso della base di Berbera e soprattutto avevano fatto operazioni congiunte. Gli americani quindi credevano che si sarebbe trattato di un'operazione facile e ritenevano di avere già la mappatura completa del paese.
L'ultima considerazione - appresa sempre dal giornale saudita - era che l'intervento era l'applicazione di uno studio elaborato all'accademia americana di West Point da un ufficiale dei marines (che poi ho trovato a Mogadiscio). In quell'epoca, insieme alla crisi somala e a quella dei Balcani, vi era una crisi in Liberia (finita solamente due anni fa) e la teoria prodotta da questo studio era che gli americani dovessero fare il primo tipo di intervento militare; poi, sarebbero intervenuti altri paesi o comunque si sarebbe restaurata la democrazia, dopo una breve partecipazione militare. Questa teoria - che poi è quella che hanno tentato di applicare, non so con quanto successo, in altre zone e in altre aree - ha avuto contrasti all'interno degli Stati Uniti, perché si è temuto che applicandola all'estero, le forze armate americane avrebbero esportato le situazioni interne.

PRESIDENTE. Vorrei capire in che periodo sia stato fisicamente in Somalia e se vi sia tornato.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Appena rientrato dall'Arabia Saudita, fui convocato alla direzione del Servizio dall'allora direttore, generale Pucci, che mi disse che il contingente si stava preparando a partire.

PRESIDENTE. Il direttore del Sismi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì. Naturalmente il direttore del Servizio era in


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contatto con il ministro della difesa. Mi disse che si stava preparando la spedizione italiana in Somalia, dove l'Italia aveva mandato un rappresentante diplomatico, l'ambasciatore Augelli, il quale, partito tre o quattro mesi prima, aveva chiesto al Servizio due persone che gli servivano come staff e per i collegamenti con l'Italia. Io avevo designato due miei collaboratori che erano già stati in Somalia: il maresciallo dell'esercito Tedesco e il maresciallo dei carabinieri Massitti Fortunato. I due sono partiti insieme all'ambasciatore Augelli e hanno costituito il primo nucleo italiano.

PRESIDENTE. In che anno?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Alla fine del 1992.

PRESIDENTE. Lei si è occupato soltanto dell'organizzazione. Massitti e Tedesco erano comunque alle sue dipendenze?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì.

PRESIDENTE. Dirette o indirette?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Dipendevano dalla divisione che io dirigevo.

PRESIDENTE. Quindi, dipendenze dirette.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, non dirette, perché la divisione era organizzata su sezioni, una delle quali era la sezione Africa, dalla quale dipendevano i due marescialli.

PRESIDENTE. Chi era il direttore di sezione?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Credo che fosse il colonnello Greco.

PRESIDENTE. Alla fine del 1992, queste persone, su sua indicazione, si sono recate in Somalia: per fare che cosa?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Erano di supporto all'ambasciatore Augelli. Quando questi si muoveva, viaggiavano insieme a lui; avevano un mezzo di collegamento, un telefono satellitare, di cui si serviva anche l'ambasciatore. Erano lo staff di Augello.

PRESIDENTE. È normale che dipendenti del Sismi siano d'ausilio all'ambasciatore?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Può avvenire, nel senso che il Ministero degli esteri ci chiede spesso questo tipo di supporto.

PRESIDENTE. Si trattava, quindi, di un supporto per la sicurezza dell'ambasciatore e per le attività che questi avrebbe fatto e non di una vera e propria attività di intelligence che si andava a sviluppare attraverso queste persone presso l'ambasciatore o presso l'ambasciata?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Chiaramente, come tutti gli elementi del Servizio che vanno all'estero, ci inviavano qualche rapporto sulla situazione, per permetterci di avere contezza di quello che succedeva.

PRESIDENTE. Andavano genericamente a tutela dell'ambasciatore, però, in realtà, erano anche elementi di collegamento con il Servizio per tutte le informazioni che avessero appreso.

LUCA RAJOLA PESCARINI. A differenza di quello che succede in Inghilterra, dove ogni cittadino inglese all'estero è un referente dell'intelligence, in Italia questa cultura non c'è. Però, è chiaro che un uomo del Servizio che va all'estero è un referente.

PRESIDENTE. Tedesco e Massitti fino a quando sono rimasti in Somalia, cioè a Mogadiscio?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Nella prima fase si parlava soltanto di Mogadiscio. Massitti è rimasto per circa un anno e Tedesco fino alla fine dell'operazione Restore Hope, cioè fino al 1995.


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PRESIDENTE. Quindi, dalla fine del 1992 al 1995 Tedesco è rimasto in Somalia, mentre Massitti è andato via alla fine del 1993.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sto ricostruendo a memoria.

PRESIDENTE. Sì, con tutte le approssimazioni immaginabili.
Lei, personalmente, quando è stato in Somalia?

LUCA RAJOLA PESCARINI. A dicembre 1992, il direttore del Servizio mi chiamò e mi disse che il contingente italiano stava per partire. Il contingente americano era appena sbarcato: c'era stato uno spettacolo quasi hollywoodiano dei marines che sbarcavano sulla spiaggia di Mogadiscio con le facce dipinte di nero, mentre i giornalisti riprendevano la scena. Arrivati a Mogadiscio, gli americani si erano insediati nel settore sud (il responsabile dell'operazione era l'ammiraglio Howe) e avevano collocato il comando e lo staff nel compound della Conoco, una compagnia petrolifera americana, il cui rappresentante era Osman Ato, il grande finanziatore di Aidid, il quale conviveva con questo gruppo. Quindi, la Conoco e gli americani, nella fase iniziale erano supportati e supportavano Aidid.
Appena appresa la notizia della partenza del contingente italiano, Aidid fece delle dichiarazioni pesantissime anti italiane. Devo premettere che la presenza italiana non era gradita ai somali, perché eravamo la potenza coloniale...

PRESIDENTE. Parliamo della fine del 1992?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì. La presenza italiana non era gradita anche perché noi italiani eravamo stati accusati di avere supportato Siad Barre fino all'ultimo e Ali Mahdi e Aidid erano gli oppositori del regime, pur essendo stati prima col regime. In particolare non eravamo graditi ad Aidid che aveva un contenzioso per le forniture, gli appalti e le percentuali, contenzioso aperto a Milano, con Pillitteri, per la somma di 4 o 5 miliardi. Quindi c'era anche una ragione personale.

PRESIDENTE. Approfondiamo questo punto. Cosa riguardava il contenzioso?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Riguardava forniture fatte all'epoca di Siad Barre alla Somalia.

PRESIDENTE. Forniture italiane?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì.

PRESIDENTE. Forniture di imprese, oppure provenienti dalle Partecipazioni statali?

LUCA RAJOLA PESCARINI. All'epoca erano state fatte tante forniture attraverso la cooperazione ed anche di carattere militare. La Somalia passò dal regime socialista scientifico al capitalismo quando i sovietici, che stavano in Somalia, fecero un'opzione e rinunciarono alla Somalia, dopo la guerra di Ogaden, per passare all'Etiopia. Nell'ambito di questo passaggio attuato da Siad Barre, vi è stato un interregno di un anno nel quale Carter, allora Presidente degli Stati Uniti, ha fatto ben 17 dichiarazioni chiedendo di venire dalla sua parte, però gli aiuti non sono arrivati. I somali quindi si sono trovati sospesi tra i mancati aiuti sovietici e il non arrivo degli aiuti occidentali. Noi italiani siamo rientrati in quel periodo.

PRESIDENTE. In che senso?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Abbiamo ripreso un ruolo consistente soprattutto nel discorso della cooperazione.

PRESIDENTE. Temporalmente come colloca questo anno di interregno?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Stiamo parlando dell'inizio degli anni ottanta.


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L'Italia era sempre stata presente, però è rientrata come avanguardia occidentale in questo periodo di difficoltà di rapporti.

PRESIDENTE. Lei già era nel Servizio?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì.

PRESIDENTE. Che cosa veniva mandato? Le forniture delle quali stiamo parlando e che hanno prodotto il disappunto di Aidid sono avvenute in quell'anno di interregno?

LUCA RAJOLA PESCARINI. In quell'anno sono iniziate.

PRESIDENTE. E quando sono finite?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sono finite quando è finito il regime di Siad Barre.

PRESIDENTE. In che cosa consistevano queste forniture?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Forme di assistenza che riguardavano la vita civile, come la costruzione dell'università, lo zuccherificio ed altre forme di attività economica.

PRESIDENTE. Chi provvedeva?

LUCA RAJOLA PESCARINI. La cooperazione.

PRESIDENTE. Il Ministero degli esteri?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, la cooperazione, con dei programmi di Governo.

PRESIDENTE. Questo nel campo della solidarietà civile, pagata a caro prezzo. E l'altro settore?

LUCA RAJOLA PESCARINI. L'altro settore era quello militare. C'era stato un dono dell'Arabia Saudita che si era tradotto in forniture italiane che avevano compreso tutti gli automezzi dell'esercito somalo (che erano della Fiat), una fornitura di blindo (6614 e 6616) prodotte dalla Fiat, che non erano state acquistate da nessuno per cui giacevano nello stabilimento di Merano ed erano state vendute ai somali, sempre con il finanziamento saudita. Per quanto riguarda l'aeronautica, sono stati acquistati tre 222, anche questi non comperati da nessuno, più un certo numero di Siai Marchetti (piccoli aerei monomotore) e due o tre aerei Piaggio anfibi. Tutte queste forniture italiane sono state pagate con fondi forniti dall'Arabia Saudita.

PRESIDENTE. Ci sono interventi anche in altri settori?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No.

PRESIDENTE. Questo tipo di forniture, militari o civili, come avveniva? Lei ha detto che l'Arabia Saudita pagava per le forniture militari. Anche le civili?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No. Qui c'erano fondi italiani.

PRESIDENTE. Avevate la possibilità di monitorare queste forniture nel settore militare e in quello civile? Sapevate che cosa succedesse? Sapevate se intorno a queste forniture ruotassero interessi non perfettamente legali? Da dove venivano le armi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Dall'Italia. Era un rapporto Governo-Governo. Era tutto ufficiale; non c'erano triangolazioni o intermediazioni.

PRESIDENTE. E il Governo italiano prendeva i soldi dall'Arabia Saudita.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì.

PRESIDENTE. Chi faceva le contrattazioni? Avvenivano a livello della Presidenza del Consiglio o del Ministero della difesa?


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LUCA RAJOLA PESCARINI. Avvenivano a livello governativo.

PRESIDENTE. Queste attività, che avevano necessità di essere decise ai vertici, da chi materialmente erano svolte? Quali erano i livelli della pubblica amministrazione che entravano nelle contrattazioni?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Erano i livelli massimi, ai quali non potevamo accedere, tant'è vero che il contenzioso era tra Aidid, che asseriva di aver fatto da mediatore, e Milano.

PRESIDENTE. Nell'epoca che lei sta descrivendo con sufficiente chiarezza per le esigenze della Commissione, avete avuto consapevolezze di modalità di gestione - mi riferisco al settore militare - non corrette?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No.

PRESIDENTE. Il Sismi non ha avuto nemmeno una voce dalla quale risultasse che poteva esserci qualcosa di non chiaro? Non mi riferisco soltanto a possibili tangenti italiane, ma anche somale.

LUCA RAJOLA PESCARINI. La controparte somala sicuramente ha avuto dei ritorni. Infatti, il problema del contenzioso con le parti italiane nasceva dal fatto che Aidid non era soddisfatto dei ritorni.

PRESIDENTE. Poi torneremo ad Aidid. Per quello che le risulta, nell'esercizio delle sue funzioni, in quegli anni, in cui era già operativo al Sismi, con responsabilità anche della Somalia, lei non ha avuto mai consapevolezza della esistenza di situazioni concrete di illegalità dalla parte italiana o dalla parte somala. Se le immaginava per la parte somala....

LUCA RAJOLA PESCARINI. E me le potevo immaginare per la parte italiana.

PRESIDENTE. Ecco!

LUCA RAJOLA PESCARINI. Ma non ho avuto prove provate, questo è il discorso. Se avessi avuto prove provate, le avrei denunziate.

PRESIDENTE. Il concetto di prova provata, però, cambia molto a seconda se discutiamo in un'aula di tribunale oppure con le agenzie Sismi, per esempio, che, essendo un organismo il quale, giustamente, deve intervenire quanto prima possibile, deve dare corpo anche alle ombre.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Certo.

PRESIDENTE. Allora, non dal punto di vista probatorio in senso stretto, come ho detto, ma dal punto di vista dell'intelligence, quindi anche del «corpo alle ombre», di percezioni di tangenti dall'una e dall'altra parte - ma ci interessa soprattutto l'Italia - voi ne avete mai avute, avete avuto occasione di segnalarne? Avete avuto modo di aver qualche consapevolezza?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sensazioni chiaramente sì. Prove no. Anche perché non abbiamo mai cercato prove di questo genere.

PRESIDENTE. Agli atti del vostro ufficio si conservano ancora i dispacci degli anni ottanta, ad esempio, che lei sappia?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Per dieci anni il Sismi è obbligato a mantenere le carte, dopo no. Io avevo proposto di costituire un archivio stralcio storico, in modo che si conservasse tutto, ma chiaramente non è stato fatto.

PRESIDENTE. E chi li conserva gli atti...! Questo è il settore militare. Per il settore cooperazione? Qui non c'entra l'Arabia Saudita.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, è un fatto italiano. Che la gestione della cooperazione italiana sia stata una cosa scandalosa,


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è appurato; tanto appurato che ci sono tre diplomatici che sono stati condannati. Tre ambasciatori.

PRESIDENTE. Poi, però, i reati sono stati prescritti.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Però in primo grado sono stati condannati.

PRESIDENTE. Sì, sono stati condannati. Poi sono stati prescritti.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Gli scandali della cooperazione erano noti a tutti. Noi non ci interessavamo direttamente della cooperazione, perché non ci interessiamo di cose italiane, ma io me ne sono interessato di riflesso, perché ogni volta che sequestravano uno degli italiani che lavoravano in queste zone, per esempio nel Tana Beles - che è stato molto più scandaloso del discorso somalo - poi ci preoccupavamo di andarli a recuperare dai vari guerriglieri. Quindi sapevamo quali erano le condizioni in cui si operava e sapevamo, di riflesso, quali erano i progetti che venivano portati avanti; ma non era una tematica nostra specifica.

PRESIDENTE. Tra gli scandali che ci sono stati attorno alla cooperazione, certamente quello della cooperazione in Somalia è stato tra i più eclatanti.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Certamente.

PRESIDENTE. Allora, cosa succedeva in Somalia? Chi gestiva quest'attività scandalosa nei vari settori? Lei ha parlato di ospedali, ha parlato di università, forse possiamo parlare anche di strade; gliene ricordo una, la Garoe-Bosaso. Non ci dica che non sa niente di queste cose, perché anche se ce lo dicesse non ci crederemmo, quindi ci deve dire tutto. Cosa succedeva in Somalia in questi anni?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Succedeva quello che abbiamo detto per il discorso delle forniture militari. Lei sa che c'era un grosso budget che andava consumato entro l'anno, per cui si propinavano progetti che non avevano nessuna validità e nessuna corrispondenza con il territorio, purché si spendesse. Come veniva fatto tutto questo? Si presentavano dei progetti che dovevano essere approvati dal governo locale somalo, il quale chiaramente si affrettava a farlo. Si facevano queste commissioni, che si riunivano una o due volte l'anno; si presentava questa serie di progetti e chiaramente i somali avevano tutto l'interesse ad approvarli, perché comunque avevano delle ricadute positive.

PRESIDENTE. Ma per approvarli volevano soldi.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Io non ho mai assistito ai pagamenti, ma chiaramente...

PRESIDENTE. Volevano soldi.

LUCA RAJOLA PESCARINI. L'alibi qual era? Che comunque era gente che lavorava, sia pure ad un progetto inutile. Devo dirle, presidente, che questo non è stato solamente un problema italiano, perché gli inglesi hanno fatto uno zuccherificio che non ha mai funzionato, i tedeschi anche loro... Voglio dire che lo scandalo della cooperazione con i paesi del terzo mondo è uno scandalo generale. Noi c'entriamo per la nostra parte e io le posso dire per quello che riguardava la Somalia, questo sì.

PRESIDENTE. Allora me lo dica. Le operazioni anomale - diciamo così per usare una forma elegante - a che livelli intervenivano, sia per quel che riguarda la Somalia, sia per quanto riguarda il nostro paese? Anche qui siamo ai soliti vertici di cui abbiamo parlato?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Passavano dal Dipartimento cooperazione del Ministero degli esteri e in Somalia c'era la controparte, che approvava tutto questo.


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PRESIDENTE. Ma in Somalia c'era qualche operatore italiano, qualche impresa, industria italiana o personaggio che aveva un ruolo di tramite, che in qualche modo gestiva tutte queste operazioni, comprese quelle anomale?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Tutti i grossi operatori avevano riferimenti qua. In Somalia il più grosso era Murri per le strade, ma tutti gli altri, come quelli che hanno fatto la strada di Bosaso, quelli che hanno fatto il campus universitario, erano operatori italiani che andavano in Somalia per una certa esigenza e poi i loro interessi erano in Italia e in altre parti del mondo.

PRESIDENTE. Ho capito. Di persone o organizzazioni «imprenditoriali» (lo dico tra virgolette) o di intermediazione rispetto ai rapporti tra imprenditori italiani in Somalia lei ha avuto modo di conoscere o addirittura di constatarne la presenza o no?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, francamente non mi interessavo.

PRESIDENTE. Va bene, andiamo avanti. In questo quadro di forniture di armi e di cooperazione, arriviamo al dopo Siad Barre.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Arriviamo al dopo Siad Barre.

PRESIDENTE. E qui si impernia il conflitto tra Aidid e Pillitteri. Esatto?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì.

PRESIDENTE. Mi spieghi bene cosa riguardava questo conflitto, perché interessasse Pillitteri e non altri.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Perché Pillitteri era il presidente della Camera di commercio italo-somala, all'epoca, nonché sindaco di Milano; quindi le trattative erano avvenute, all'epoca di Siad Barre, tra la Camera di commercio italo-somala a Milano e le controparti somale. Secondo quello che io ho letto - non so poi come si sia risolta al tribunale di Milano - Aidid, che aveva procurato l'intermediazione, voleva un congruo riconoscimento.

PRESIDENTE. Aveva procurato l'intermediazione perché i progetti italiani venissero approvati in Somalia?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Perché i progetti italiani venissero approvati in Somalia.

PRESIDENTE. Perfetto.

LUCA RAJOLA PESCARINI. E quindi voleva un certo riconoscimento.

PRESIDENTE. Insomma, soldi. Invece?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Invece, secondo lui, i soldi ricevuti erano stati molto al di sotto del pattuito.

PRESIDENTE. Per questa ragione sviluppò un'iniziativa giudiziaria a Milano?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì. Che poi non so come si sia conclusa. Qualcuno mi ha detto che hanno fatto una transazione.

PRESIDENTE. Tutto questo per dire che cosa?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Che tra i tanti motivi di anti-italianità si inseriva pure, in particolare, questa questione di Aidid contro gli italiani che non gli avevano dato i soldi che lui voleva.

PRESIDENTE. Benissimo.

LUCA RAJOLA PESCARINI. In più, si sommava il discorso delle Nazioni Unite, che, per regola, sono sempre state contrarie ad avere paesi ex coloniali dove si vanno a fare operazioni di peace keeping o altro. In più si inseriva l'opposizione degli americani, che non ci volevano, e qua si allaccia un altro discorso. Noi, quando


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siamo andati in Somalia, siamo andati in perfetta buona fede, perché pensavamo di doverla aiutare a ricostituirsi come Stato autonomo e unitario; le Nazioni Unite - all'epoca c'era Boutros Ghali, che come lei sa era minoritario nell'ambito del suo gruppo e voleva acquistare benevolenza nell'ambito dell'Organizzazione delle Nazioni Unite - avevano un progetto che avrebbe mantenuto per dieci anni la Somalia sotto tutela, con cinquemila dipendenti delle Nazioni Unite, quindi non erano per il discorso nostro di rimettere i somali in piedi e farli camminare da soli. I paesi anglosassoni e in particolare gli Stati Uniti volevano una Somalia parcellizzata. Perché? Nella storia, la Somalia è quella che ha dato sempre problemi al Kenya e all'Etiopia ed io ho letto sull'Economist, all'epoca, che il loro progetto era quello di costituire gli Emirati della Somalia, il che è un assurdo, perché un paese povero non può vivere di emirati. Quindi, noi avevamo una concezione assolutamente diversa da quella degli altri. A un certo punto, credo che ci sia stata una qualche pressione del Governo italiano per far partecipare il nostro contingente, quando, peraltro, gli altri erano già sbarcati. A questo punto si inseriscono le minacce di Aidid, che esplicitamente aveva fatto proclami e dichiarazioni del tipo «se gli italiani metteranno piede in Somalia, spareremo loro addosso».

PRESIDENTE. Questo quando avviene?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Siamo sempre alla fine del 1992.

PRESIDENTE. Questo è il periodo nel quale parte l'ambasciatore Augelli...

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, Augelli era già partito, era là da tre mesi. È il periodo in cui parto io.

PRESIDENTE. Forse anche la ragione...

LUCA RAJOLA PESCARINI. È la ragione per la quale sono partito.

PRESIDENTE. Ecco. Quando parte lei?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Io partii a fine anno.

PRESIDENTE. Fine anno 1992.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì.

PRESIDENTE. Adesso mi interessa stabilire i tempi, per non perdere poi tempo per la ricostruzione. Fino a quando è rimasto, lei, in Somalia?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sono rimasto venti giorni.

PRESIDENTE. Quindi: venti giorni a fine 1992. È più tornato in Somalia?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì.

PRESIDENTE. Quando?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Posso essere preciso se controllo la cronistoria che ho con me.

PRESIDENTE. Prego. Si dà atto che il testimone è autorizzato a consultare i documenti in suo possesso al fine di rispondere alle domande del caso.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sono tornato dal 5 al 7 aprile 1993.

PRESIDENTE. Tre giorni.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Se vogliamo essere proprio precisi, la prima missione, quella con Augelli per parlare con Aidid e convincerlo a non sparare sugli italiani, è durata ventidue giorni, dal 15 dicembre 1992 al 5 gennaio 1993. La seconda missione, dal 5 aprile 1993 al 7 aprile 1993, perché il Ministero degli esteri ci chiese di andare giù con un aereo a prendere Ali Mahdi, allora presidente, che stava male per portarlo in Italia a farlo curare. Aidid, ovviamente, aveva minacciato che ci avrebbe sparato mentre portavamo Ali Mahdi in aeroporto, cosa che


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non avvenne. Poi ho fatto una terza missione, di sei giorni, dall'8 luglio 1993 al 13 luglio 1993, per recuperare il famoso check point Pasta. E poi, alla fine, l'ultima missione, dal 14 marzo 1994 al 16 marzo 1994, tre giorni per recuperare i miei e chiudere...

PRESIDENTE. Cioè per recuperare gli uomini del Sismi che stavano giù?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Per recuperare quelli e per assistere alla chiusura del contingente che tornava.

PRESIDENTE. Quindi, il 16 marzo lei parte definitivamente dalla Somalia e non ci torna più. O ci è tornato dopo?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sono tornato esattamente un anno dopo, quando c'era appena stato l'episodio di Carmen Lasorella e la morte di Palmisano, perché il Governo italiano aveva rimandato giù un altro contingente di mille e passa uomini, che dovevano coprire la partenza, assieme agli americani, dei pakistani, quindi lo sgancio definitivo dalla Somalia. E anche in quella occasione dovevo andare giù a coprire questa operazione.

PRESIDENTE. Tutti questi viaggi, anche di pochi giorni, sono documentabili in qualche modo?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Certamente. Ci sono i piani di volo, sono stati interrogati gli equipaggi degli aerei e, comunque, ...

PRESIDENTE. Sono stati interrogati da chi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Dal giudice Ionta. Non solo; ma agli atti del giudice Ionta ci stanno i visti di ingresso e di uscita da tutti gli aeroporti, i documenti degli alberghi...

PRESIDENTE. Quindi c'è tutta la ricostruzione.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Anche perché, presidente, io non facevo nessuna missione - neanche da Roma a Napoli, per dire - senza prima fare una informativa scritta, una all'andata e una al ritorno. Quindi tutto quello che ho fatto come servizio è tutto agli atti.

PRESIDENTE. Ho capito. Quindi, questa notizia iniziale, trasmessa alla Presidenza del Consiglio a firma dell'ammiraglio Battelli, secondo cui lei sarebbe stato, invece, nel 1994 in Somalia per dodici giorni, dal 12 marzo al 23 marzo, non corrisponde alla realtà?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Questa notizia io l'ho appresa leggendo Famiglia Cristiana. Ovviamente, avendo appreso questo sono andato dall'ammiraglio Battelli, il quale, poi, ha smentito se stesso ed ha corretto, perché qualcuno al suo stato maggiore ha preso la nota di partenza e l'arrivo in Italia senza tener conto che c'è un appunto mio in mezzo in cui spiegavo che, per quelle che erano le caratteristiche dell'aereo e perché prendevo contatto con altri collegati lungo la strada, io mi ero fermato a Nairobi, Addis Abeba, Asmara, Luxor, Roma.

PRESIDENTE. Quindi, diciamo che se noi volessimo andare alla ricerca, per sapere i fatti suoi fino in fondo, dei documenti di viaggio relativi all'ultima trasferta, troveremmo effettivamente 12 marzo e 23 marzo.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Certo.

PRESIDENTE. E il 23 marzo da dove parte, lei, per l'Italia?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Io parto da Luxor, perché l'aereo aveva fatto scalo a Luxor. Luxor-Roma.

PRESIDENTE. Quindi la sua presenza a Mogadiscio, tanto per intenderci...

LUCA RAJOLA PESCARINI. Finisce il 16.


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PRESIDENTE. E dove si reca il 16?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Noi partimmo la sera, con un G 222, alla volta di Nairobi. Da Nairobi ad Addis Abeba. Da Addis Abeba ad Asmara. Da Asmara a Luxor. Da Luxor a Roma.

PRESIDENTE. Tutto in questi giorni.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Ed è tutto dimostrato.

PRESIDENTE. È tutto ricostruibile.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Lo stesso ammiraglio Battelli ha mandato un'informativa per correggere se stesso.

PRESIDENTE. Il 1o agosto 2000 scrive alla procura di Roma: «Successive e più approfondite verifiche, svolte a seguito dell'avvenuta pubblicazione sul periodico Famiglia Cristiana, n. 29 del 22 luglio 2000, di una lettera al direttore intitolata «Le due verità dell'uomo del Sismi», nella quale vengono messe in risalto alcune contraddizioni con quanto deposto al riguardo dallo stesso, allora colonnello, Rajola il 24 marzo 1999 nel procedimento contro Hashi Omar Hassan, hanno peraltro fatto constatare la parziale inesattezza di quanto comunicato all'autorità giudiziaria inquirente circa la permanenza dell'interessato a Mogadiscio. Dalle suddette verifiche, svolte presso l'archivio della competente articolazione di servizio, è infatti emerso che il colonnello Rajola nel corso della suddetta missione in Somalia ha compiuto i movimenti riepilogati nello specchio allegato 5, dal contenuto del quale risulta che la effettiva missione a Mogadiscio è durata solamente dal 14 al 16 marzo 1994. Nei restanti periodi collegati alla medesima missione egli, viceversa, ha sostato nelle altre località indicate nel rapporto». Con precisione: «12 marzo 1994, partenza da Roma per Nairobi. 13 marzo, incontri in Nairobi con esponenti somali. 14 marzo, partenza da Nairobi per Mogadiscio. 15 marzo, incontri in Mogadiscio con esponenti somali. 16 marzo, partenza da Mogadiscio per Nairobi. 17 marzo, incontri con esponenti somali presenti in Nairobi, rientro in Italia del colonnello Giusti e del segretario Cattalini. 18 marzo, partenza da Nairobi per Addis Abeba. 19 marzo, incontri ad Addis Abeba. 20 marzo, partenza da Addis Abeba per Asmara. 21 marzo, incontri ad Asmara. 22 marzo, partenza da Asmara. 23 marzo. Partenza da Luxor per Roma».
Vorrei però capire se lei abbia consapevolezza che l'autorità giudiziaria sia stata supportata, per questa ricostruzione, dalla documentazione dimostrativa dei viaggi indicati.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Io so che il dottor Ionta ha avuto i piani di volo dell'aereo, le copie dei passaporti con i visti di ingresso e di uscita e le ricevute degli alberghi dove siamo stati.

PRESIDENTE. Quindi non ci sono i documenti di viaggio. Ecco, la spiegazione sarebbe data dal fatto che con una circolare del 20 febbraio 1999 sarebbe stata autorizzata la distruzione di documenti relativi a missioni in tempi brevi.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Questo non lo sapevo. Comunque mi risulta, presidente, che la Digos ha interrogato anche l'equipaggio dell'aereo.

PRESIDENTE. Cercheremo di ricostruire questa cosa.
Informazione Digos 4 dicembre 2000, con dichiarazioni rese da piloti dell'aeronautica militare circa il viaggio di rientro di Luca Rajola dalla Somalia: «L'organismo militare di supporto (...) conferma le dichiarazioni e i documenti allegati da Rajola circa il suo viaggio di ritorno a tappe da Mogadiscio». Dice: «Leggendo le carte, posso dire che siamo stati a Mogadiscio solo il 14 e il 16 aprile 1994» (aprile: si tratterà sicuramente di marzo; deve essere un errore di battitura, visto che nelle righe successive vengono riportate correttamente le date del 14 e 16 marzo) «per lasciare Rajola e riprenderlo e poi siamo tornati in altri Stati del Corno


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d'Africa. Non mi pare che durante il viaggio avessimo appreso della morte di Ilaria Alpi (..)». «Nei rapporti di volo presenti negli allegati il nome di Rajola non compare mai» - questa è la nota Digos -«, nemmeno nella sezione dedicata ai passeggeri traspotati». Voi viaggiate con delle regole particolari, ad esempio per non far comparire i nomi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Per non far comparire i nomi.

PRESIDENTE. Mi sembrava di ricordare bene. Quindi, praticamente, noi abbiamo, a dimostrazione, sicuramente ineccepibile, della sua partenza da Mogadiscio il 16 marzo, la correzione effettuata dall'ammiraglio Battelli, basata sulle ricevute dei ristoranti ma non su materiale relativo ai documenti di volo.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Avevano anche le fotocopie dei passaporti con i visti di ingresso e di uscita dai vari posti.

PRESIDENTE. Se ci sono i passaporti, lo accerteremo.
Praticamente, dal 16 marzo in poi lei non sta più in Somalia. Adesso a me interessa capire, al di là della sua presenza o meno, chi era di stanza a Mogadiscio per il Sismi, dove si trovavano gli uffici del Sismi e come operavano.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì. Quando io sono rientrato, dopo il colloquio con Aidid...

PRESIDENTE. Ormai parliamo del 1993-94.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì. Nella prima fase il contingente italiano era concentrato nella città di Mogadiscio e comandante del contingente era il generale Rossi, che poi è morto. A un certo punto il comando ONU, e per esso gli americani, imposero che il contingente italiano uscisse da Mogadiscio.

PRESIDENTE. Il contingente militare, non il Sismi.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, il Sismi non esisteva. Non esiste ufficialmente. Imposero che il contingente uscisse da Mogadiscio per un discorso simbolico, politico, perché Mogadiscio era la capitale dove si muoveva tutto quanto. Loro volevano che il contingente italiano fosse dislocato fuori, e in particolare avevano scelto un'area che, come dissi a Augelli e come dissi a Rossi, era la più pericolosa di tutte, perché era un'area di 350 per 250 chilometri a cavallo della cosiddetta Strada imperiale, che è un punto di congiunzione fra due tribù avverse, quindi pericoloso da controllare. Non solo: questa Strada imperiale, sia pure dissestata, è la via d'accesso dall'Etiopia e per l'Etiopia ed è quella da cui entrava di tutto, difficilissima da controllare. La mia era una valutazione tecnica; chiaramente, la valutazione politica fu un'altra e quindi il contingente fu portato fuori e dislocato su questa strada. Fino a che eravamo all'interno di Mogadiscio, il nucleo o centro Sismi era costituito da un capo centro, un ufficiale - il colonnello Greco, attuale generale -, più i due che ho detto prima, cioè Tedesco e Massitti, che convivevano, perché a quell'epoca sia Augelli che Rossi praticamente convivevano, si conviveva in una sola palazzina, dove, più o meno, c'erano tutti. Una volta che il contingente fu dislocato fuori Mogadiscio, avemmo la necessità di creare un altro nucleo, perché siccome a Mogadiscio rimanevano comunque la nostra rappresentanza diplomatica e il comando italiano, mentre il contingente veniva dislocato con epicentro a Balad, avemmo necessità di creare un centro minore, che fosse a Balad. Quindi, avevamo tre uomini a Mogadiscio e tre uomini a Balad. Questi erano gli uomini.

PRESIDENTE. Chi erano questi uomini?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Hanno ruotato, così come ruotava il contingente,


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perché il logorio psicologico era notevole. Capo centro è stato Greco per un certo periodo, poi è stato sostituito da un ufficiale di marina, il capitano di vascello Giusti. Questi sono stati i due capi. Per il personale, c'era una certa rotazione fra i segretari...

PRESIDENTE. Tedesco era sempre presente a Mogadiscio?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Tedesco è rimasto sempre presente, perché era il più valido che avevo. Ecco perché è rimasto là.
I mezzi che avevamo. Per i collegamenti con Roma avevamo un fax cripto per mandare i messaggi con immediatezza; una radio, perché in emergenza, se non funzionava il fax cripto, si poteva uscire in radio, sia pure con qualche difficoltà; e avevamo anche un telefono satellitare. Questi erano i mezzi di collegamento. Come mezzi di locomozione avevamo due vecchie campagnole, per una certa fase. Poi, le due campagnole furono distrutte, una da un colpo di mortaio (e i miei si salvarono perché avendo sentito il colpo in partenza erano schizzati tempestivamente fuori), e la seconda al check point Obelisco, perché fu presa in mezzo al fuoco di mitragliatrici. Anche in questo caso gli uomini si salvarono per un pelo, però perdemmo le due macchine; quindi ci muovevamo con i mezzi del contingente.

PRESIDENTE. A Bosaso avevate rappresentanze, collegamenti, unità, rapporti?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, a Bosaso non avevamo niente, perché era fuori dell'area del contingente. Lei immagini: coprire con cinque o sei uomini 350 per 250 chilometri... non era una cosa semplice; quindi, il nostro obiettivo principale era la sicurezza e la protezione del contingente. Bosaso, che è lontana migliaia di chilometro, era decisamente fuori area.

PRESIDENTE. Avevate degli informatori a Bosaso?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No.

PRESIDENTE. In quei tre giorni, dal 14 al 16 marzo, in cui le è stato a Mogadiscio, cosa ha fatto? È rimasto a Mogadiscio?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sono rimasto a Mogadiscio. Chiaramente, ho contattato un po' quelli che erano i nostri contatti locali, anche perché dovevamo spiegare che ce ne stavamo andando. Abbiamo predisposto per spostare il centro, perché il centro era allocato, assieme al contingente militare, vicino al generale Fiore. Tutti erano sistemati in questi container, detti container abitativi. Con il ripiegamento del contingente, il nostro container rimaneva abbandonato fuori area, quindi bisognava provvedere a trasportarlo vicino a quello dell'ambasciatore Scialoja, che era sistemato nell'ex zona dove c'era l'ambasciata americana, perché poi rimaneva protetto dai pakistani, eccetera. Quindi, dovemmo predisporre il materiale da riportare in Italia e il trasporto di questo container abitativo da una zona all'altra. Adesso può sembrare facile da dire, ma non era una cosa facile da realizzare, perché per esempio, dovemmo aspettare per avere la scorta di una blindo, una scorta armata, eccetera, perché sulla via più breve per portare questo container dal Porto Vecchio, dove stava, fino all'ambasciata americana, che era quella della zona del IV chilometro, c'erano combattimenti in corso. Quindi, dovemmo aspettare il momento giusto, fare non i dieci chilometri ma 27 chilometri, passando per la zona del porto, l'aeroporto, prendere la strada di Afgoi e fare un lungo giro. Questo perché, francamente, io ero andato per riportare via tutti i nostri uomini.

PRESIDENTE. Dove alloggiava lei a Mogadiscio?

LUCA RAJOLA PESCARINI. In un container, assieme ai miei uomini.

PRESIDENTE. Lei sapeva della presenza di Ilaria alpi a Mogadiscio, o comunque in Somalia, in quel periodo?


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LUCA RAJOLA PESCARINI. No, perché io non contattavo e non conoscevo giornalisti. Conoscevo qualcuno, come Remigio Benni, perché ci eravamo incontrati qualche volta; ma lei sa che noi non dobbiamo avere contatti con i giornalisti per legge, né utilizzarli. E, soprattutto, non mi interessava, perché le notizie che io volevo erano dai somali e di fonte somala.

PRESIDENTE. Quindi, fino a quando è stato in Somalia lei non ha mai saputo nulla della presenza di Ilaria Alpi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No. Io ho saputo della sua esistenza solamente dopo quello che è successo.

PRESIDENTE. Chi era «l'avvocato»? ha mai sentito parlare di una persona che veniva chiamata «avvocato»?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Italiano?

PRESIDENTE. Sì.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No.

PRESIDENTE. Che si sarebbe trovato a Bosaso.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Assolutamente no.

PRESIDENTE. Le denominazioni che compaiono, come Alfa, Beta, erano nomi in codice che voi utilizzavate per i vostri informatori?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No. Informatori... Noi abbiamo una lista di quelle che sono le fonti.

PRESIDENTE. A Mogadiscio avevate informatori?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Certamente. Ma, per esattezza, noi abbiamo delle fonti: per arrivare a livello di fonte io pretendevo che ci fossero tre livelli, cioè le persone conosciute, le persone utili, che poi diventavano fonti, perché mi serviva per controllare quello che fa la gente in giro.

PRESIDENTE. Chi sceglieva gli informatori?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Si passava attraverso questa selezione: una persona conosciuta può diventare persona utile; una persona utile può diventare fonte. C'è un certo tipo di prove da superare prima di diventare fonte.

PRESIDENTE. E come si stabiliva?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sulla base della produzione e sul tipo di persona che si aveva. Poi, ogni nota informativa deve avere qualificazione della fonte e qualificazione della notizia. Per ognuno c'è una scheda, quindi non è che....

PRESIDENTE. Lei ha parlato di conosciuti, utili e fonti. A Mogadiscio avevate conosciuti, utili e fonti?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Certamente.

PRESIDENTE. Quindi, sulla base di queste selezioni che facevate, diciamo che li passavate di grado, a seconda del risultato della loro attività di informazione.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Anche della qualificazione per dare certe notizie.

PRESIDENTE. Domando: possiamo sapere quali erano le fonti conosciute, utili o attendibili nel 1994?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Certamente.

PRESIDENTE. E dove lo sappiamo?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Il servizio dovrebbe avere agli atti gli elenchi delle fonti, che è una cosa che non dovrebbe


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essere mai distrutta. Comunque, le mie fonti a Mogadiscio erano in prevalenza ex ufficiali della polizia somala, che erano quelli che avevano studiato in Italia, si erano preparati in Italia, avevamo avuto rapporti di colleganza, erano venuti in Italia per fare corsi. E, soprattutto, io facevo leva su una cosa: loro speravano che la Somalia si rimettesse in piedi e che l'Italia riprendesse buoni rapporti, perché temevano che sarebbe successo quello che è successo, cioè che gli italofoni sarebbero stati marginalizzati e quelli di cultura occidentale sarebbero stati scavalcati dagli islamici. È esattamente quello che si è verificato, però loro questo lo sapevano, quindi la loro collaborazione era una collaborazione affettiva, sì, ma anche interessata.

PRESIDENTE. Poi riprenderemo questo argomento degli islamici, intanto le faccio una domanda, forse ingenua. Lei è in grado di far sapere alla Commissione, siccome ha fatto riferimento a persone che si sono formate in Italia, i nomi di fonti o conosciute o utili o attendibili? Lei ha qui le carte oppure...

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, queste sono le poche carte che riguardano i miei movimenti. Come lei sa, noi non siamo autorizzati a portar fuori carte.

PRESIDENTE. Ce ne è qualcheduno in particolare di cui ha ricordo per essere stato con lui in particolari rapporti, per aver avuto qualche informazione veramente importante o altro? Ci servono nomi e cognomi, e magari anche una mano per trovarli.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Guardi, la persona più valida a Mogadiscio...

PRESIDENTE. Prima che prosegua, le chiedo se vuole segretare questa dichiarazione, se è in grado di fornirci delle indicazioni importanti.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Le posso indicare alcuni nomi e forse è meglio segretare, altrimenti domani li troviamo sui giornali.

PRESIDENTE. Benissimo. Non essendovi obiezioni, dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno.

(La Commissione procede in seduta segreta).

PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno e convoco l'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi.

La seduta, sospesa alle 17,45, è ripresa alle 19,15.

Sui lavori della Commissione.

PRESIDENTE. Comunico che nella riunione testé conclusasi l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha deliberato di revocare dall'incarico di consulente della Commissione il dottor Roberto Di Nunzio.
Della deliberazione è stato deciso di non dare comunicazione alla stampa, almeno fino a quando non saremo in grado di acquisire ulteriori elementi, attraverso i quali stabilire il da farsi. Questo significa che anche per chi è presente in Commissione c'è l'obbligo della segretezza ad ogni fine.

Si riprende l'esame testimoniale di Luca Rajola Pescarini.

PRESIDENTE. Riprendiamo l'esame testimoniale del generale Luca Rajola Pescarini, al quale chiediamo scusa per la pazienza che ha dimostrato in questa tremenda giornata; ci creda, generale, oggi ci è capitato di tutto e di più!

LUCA RAJOLA PESCARINI. Ci sono abituato, presidente.

PRESIDENTE. Vorrei tornare su alcune questioni che emergono dai documenti del Sismi che abbiamo acquisito ed esaminato. Abbiamo accertato - almeno,


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secondo le risultanze ufficiali - che il 16 marzo lei è partito da Mogadiscio. In ogni caso, sarà stato sicuramente informato che il 18 marzo il vostro servizio - mi riferisco in particolare a Tedesco - si pose l'esigenza di accertare dove si trovasse Ilaria Alpi. Lei è stato messo al corrente di questa situazione?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, non ero ancora rientrato a Roma, quindi ho letto dopo, in tempi successivi, le note che mandava Tedesco.

PRESIDENTE. E ha chiesto informazioni, ha fatto approfondimenti al riguardo? Ha cercato di capire per quale ragione vi fosse stata l'esigenza di conoscere dove stesse Ilaria Alpi? Ciò significava che, almeno in quel momento, la giornalista non era reperibile.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, di questo non ho avuto notizie.

PRESIDENTE. Dunque, la notizia che il 18 marzo voi intendevate conoscere dove si trovasse Ilaria Alpi è stata da lei appresa dai documenti di Tedesco e sulla stessa non è stata svolta alcuna attività, né da lei né dalla divisione della quale lei era alla testa.
Ha mai avuto notizia di una sorta di sequestro (per usare una formula alquanto pesante) di cui sarebbe stata in qualche modo vittima Ilaria Alpi, a Bosaso?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, non ho avuto nessuna notizia al riguardo, né del viaggio a Bosaso: sono tutte notizie che ho appreso dopo.

PRESIDENTE. Che intende per «dopo»?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Quando sono tornato a Roma.

PRESIDENTE. Tedesco è un funzionario di rilievo, un funzionario importante? È un funzionario di esperienza?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Tedesco è un maresciallo delle trasmissioni ed è un uomo che ha esperienza pratica. Era il migliore degli uomini che avevo a Mogadiscio, perché aveva fatto il periodo più lungo di permanenza sul posto ed è una persona di buonsenso. Quindi, per me era una persona estremamente affidabile.

PRESIDENTE. Anche attendibile?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì.

PRESIDENTE. Già in questa prima informativa di Tedesco vi sono molte notizie riguardanti la dinamica dell'uccisione di Ilaria Alpi. Ad esempio, ve ne è una del 21 marzo 1994 che contiene una descrizione dei fatti abbastanza approfondita, con l'indicazione dei risultati di alcune testimonianze raccolte sul posto. Si fa riferimento a materiale fotografico che sarebbe stato possibile poi recuperare.
Ancora, c'è un comunicato dello stesso giorno dell'omicidio - il 20 marzo - dove si danno queste indicazioni: «Per quanto sinora noto, la vettura sulla quale viaggiava la giornalista sarebbe stata seguita sin da Mogadiscio sud. L'azione sembrerebbe mirata alla persona» eccetera.
A parte i contenuti, che sono sicuramente di interesse investigativo, con riferimento alla dinamica dei fatti, le chiedo per quale motivo queste informative non sono state trasmesse all'autorità giudiziaria perché potesse approfondire, posto che - come lei ha detto poco fa - voi non siete un organo di investigazione per cui, nel momento in cui ha termine l'attività di intelligence e comincia quella di investigazione, si incontra il limite di competenza. Tale limite, però, non significa che gli atti non debbano essere trasmessi all'autorità giudiziaria; e questi atti risultano non trasmessi.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Questa non era responsabilità della seconda divisione. La seconda divisione recepisce le notizie. Poi, come le ho già detto, le notizie vengono trasmesse all'organo di situazione e l'organo di situazione fa una sua valutazione, confrontandola con notizie che


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arrivano ad altre fonti. Infine, le comunica alla direzione del servizio, l'unica ad essere autorizzata a trasmetterle all'autorità giudiziaria.

PRESIDENTE. Però, per fare un esempio, in esito alla richiesta che vi viene rivolta dal dottor De Gasperis - il quale, all'epoca, aveva in carico il processo -, voi rispondete con lettera del 30 novembre 1994: «In esito a quanto richiesto con la nota in riferimento, comunico che il Sismi non ha svolto specifici accertamenti sull'evento in questione e non è quindi in possesso di elementi idonei a chiarire la dinamica e il movente medesimo».
Queste informative contengono indicazioni importanti, tra cui l'indicazione - sulla quale la Commissione sta concentrando da tempo la sua attenzione - che Ilaria Alpi sarebbe stata seguita fin da quando uscì dall'hotel Sahafi, dove alloggiava insieme a Miran Hrovatin; questo, oltre ad essere un tema importante d'indagine, per interpretare complessivamente il fatto delittuoso, era già un dato di un certo interesse, oltre a quelli che le ho ricordato in precedenza. Invece, voi rispondete - poi mi dirà chi è l'autore della risposta - di non essere in possesso di elementi idonei a chiarire la dinamica e il movente medesimo e non trasmettete nessuno degli atti che avete a disposizione: perché?
Il documento è del 29 dicembre 1994 ed è a firma Sergio Siracusa. Lei ha fatto prima una distinzione, a proposito delle divisioni e delle sezioni. Ci può dire, in base al documento che le ho letto, a quale di queste è attribuibile?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Questa è la seconda divisione, cioè la mia divisione, che trasmette alla terza divisione - cioè a quella che fa la situazione -, la quale riceve non solamente le notizie dalla seconda divisione, ma anche le intercettazioni (ovvero, la Sigint) e le informazioni dai collegati e dagli addetti militari: e, dalla sommatoria di tutte queste informative, chi fa la situazione, cioè l'analisi della notizia, del fatto, è la terza divisione. La terza divisione è quella che trasmette - anche noi avevamo trasmesso d'iniziativa - allo stato maggiore del Sismi e al capo reparto da cui dipende la seconda divisione, cioè alla direzione del servizio; la nostra responsabilità finiva quando noi trasmettevamo queste informazioni.

PRESIDENTE. Quindi, chi è che non ha trasmesso?

LUCA RAJOLA PESCARINI. La direzione del servizio.

PRESIDENTE. La direzione del servizio: sarebbe a dire Sergio Siracusa?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Il direttore del servizio, che la riceveva dal reparto e dalla terza divisione, che è l'organo di situazione.

PRESIDENTE. Mi scusi, ma per quanto si voglia indicare nei capi i responsabili - come è giusto che sia, sul piano generale - però se al direttore del Sismi di allora, Sergio Siracusa, non viene fornito il materiale di supporto ad una determinata risposta, è chiaro che questi risponderà così come ha risposto.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No.

PRESIDENTE. Quando questa lettera con la quale il generale Siracusa dice che non ha niente da trasmettere viene firmata, viene portata alla sua firma insieme ai materiali di supporto e documentali oppure no?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, dipende: è nelle sua facoltà chiedere tutto quello che è arrivato oppure fidarsi di quel che gli dice il capo di stato maggiore, al quale comunque l'avevamo trasmessa.

PRESIDENTE. Cosa gli avete trasmesso? Il materiale?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, il materiale.


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PRESIDENTE. Quindi, in questa trafila - nella quale il materiale documentale passa dalla seconda alla terza divisione per la trattazione, poi allo stato maggiore -, il capo di stato maggiore dell'epoca, nel trasmettere al direttore del Sismi, non ha trasmesso nulla!

LUCA RAJOLA PESCARINI. Il capo di stato maggiore è quello che siede nella stanza a fianco al direttore del servizio; è quello che materialmente gli ha preparato questa lettera, tra l'altro.

PRESIDENTE. Quindi, aveva i documenti, sotto, ma ha fatto finta che non ci fossero.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Forse non li ha visti o non se li ricordava più...

PRESIDENTE. Non li ha visti? Ma come...

LUCA RAJOLA PESCARINI. È un problema suo. Noi, come ha visto, li abbiamo diramati.

PRESIDENTE. Certo, ha ragione, è un problema suo ma, dal punto di vista della professionalità, è come non averli voluti vedere. Comunque, i documenti c'erano ma non sono stati trasmessi all'autorità giudiziaria.
Che le risulti, sono state fatte indagini da parte vostra - sempre ai livelli di intelligence - per capire se corrispondesse a verità una informativa iniziale secondo la quale due degli aggressori di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sarebbero stati feriti nell'agguato e ricoverati in un ospedale di Mogadiscio? Le risulta questa notizia?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, presidente.

PRESIDENTE. Quindi nulla sa nemmeno intorno alle minacce di morte che Ilaria Alpi avrebbe subito a Bosaso il 16, giorno in cui lei, generale, era ancora a Mogadiscio. Non ha mai saputo nemmeno questo fatto?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No.

PRESIDENTE. Generale (Mostra un documento), la Commissione ha acquisito questo documento. La seconda divisione era la sua, esatto?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì.

PRESIDENTE. Il documento è del 21 marzo 1994 e reca la seguente dichiarazione: «Fonte normalmente attendibile riferisce che l'attentato di ieri contro la giornalista italiana ed il suo operatore è da attribuirsi a gruppi fondamentalisti con obiettivo mirato; e sarebbe stato mirato alla persona. Tra le cause dell'uccisione di Liliana Alpi» - il nome è evidentemente sbagliato - «e del suo operatore viene anche ipotizzata quella relativa ad un servizio, iniziato alcuni giorni fa a Bosaso e continuato a Mogadiscio, sul crescente fenomeno del fondamentalismo islamico in Somalia. La giornalista italiana avrebbe ricevuto minacce di morte anche il giorno 16 ultimo scorso. Secondo alcuni testimoni somali, l'attentato sarebbe stato eseguito da un commando ben addestrato, lasciando presumere un'azione pianificata».
Come vede, nella parte che le ho letto il documento risulta cassato - sia pure se si è lasciato perfettamente visibile quel che c'era scritto -, come a dire che la parte cassata non deve essere presa in considerazione o non deve essere oggetto di informativa. Che significato ha questa cassatura?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Come ho già detto, Tedesco - il quale era anche lui in quella specie di container dove stavano Scialoja e i vari giornalisti -, secondo me, raccoglieva molte informazioni in quel giro.
La disposizione che avevo dato a Tedesco e ai nostri operatori in Somalia era che la priorità della notizia doveva fare premio su qualsiasi cosa: quindi, dovevano scrivermi a mano, nella maniera più veloce possibile, e per qualsiasi notizia di interesse dovevano informare immediatamente il comandante del contingente e


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l'ambasciatore e, subito dopo, mandarla a Roma. Tedesco, seguendo tale disposizione di urgenza, aveva scritto a mano questa nota e l'aveva mandata col fax cripto a Roma. Quando la nota arrivava a Roma, veniva passata alla sezione Africa, che era competente a trattarla. Il direttore della sezione, all'epoca, era il colonnello Alberti, il quale - assieme ai suoi collaboratori - era responsabile della messa in chiaro di questo tipo di messaggio, perché doveva poi andare ad autorità superiori interne (il capo di stato maggiore, il direttore del servizio, la terza divisione, eccetera) e da queste veniva diramato all'autorità politica. Quindi il loro lavoro era un lavoro di rifacitura di queste note. Questa nota va considerata una bozza di lavoro.

PRESIDENTE. Che fine faceva, poi, questa bozza?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Per quelle che erano le mie disposizioni - che non sono state attese - una volta che la bozza di lavoro era stata usata, non andava più archiviata in quanto in archivio, con protocollo, vanno i documenti che debbono essere conservati. La bozza di lavoro, una volta usata, andava distrutta, cosa che non hanno fatto.
Su ogni copia di lavoro io avevo preteso che ci fosse la sigla di chi aveva compilato l'appunto e la sigla di chi l'aveva battuto. Da queste sigle si rileva che chi ha esaminato questo lavoro è stato, appunto, il direttore della sezione, che era Alberti, il quale è stato anche sentito dall'autorità giudiziaria. Mi hanno detto - ma io non li ho visti - che da questa bozza di lavoro sono usciti due appunti diversi, ci sono state due informative.

PRESIDENTE. Sì, due informative. Però, l'informativa relativa a questa parte non esiste.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Agli atti ci dovrebbe essere. Comunque, chi l'ha compilata materialmente è quel colonnello, che si chiama Alberti.

ELETTRA DEIANA. E chi è che l'ha cancellata, quella parte?

LUCA RAJOLA PESCARINI. L'ha cancellata chi ha compilato e chi ha fatto...

PRESIDENTE. Ma che significato ha l'averla cancellata?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Questa non è una cancellatura.

PRESIDENTE. No, infatti è una cassatura.

LUCA RAJOLA PESCARINI. È una cassatura, perché da questa nota hanno fatto due documenti. Dalla nota hanno estrapolato un pezzo e hanno fatto un documento; con il resto, hanno fatto un secondo documento.

PRESIDENTE. Queste sono cancellature: «La giornalista italiana avrebbe ricevuto minacce di morte anche a Bosaso, nel giorno 16 ultimo scorso». Questa parte è cancellata. Per quanto ne sappiamo, di documento ne esiste uno solo.

LUCA RAJOLA PESCARINI. So che sono stati interrogati sia Alberti, che era il direttore di sezione, sia il colonnello - anzi, il generale - Imparato, il quale mi sostituiva, era cioè il mio vice. E avrebbero spiegato all'autorità giudiziaria che da questo documento sono stati fatti due appunti diversi.

PRESIDENTE. Però i due appunti diversi noi non li troviamo! Quello riguardante le altre notizie - gli awadle, e via dicendo - lo conosciamo, mentre la parte relativa al fondamentalismo islamico non risulta oggetto di trasfusione in altro documento informativo.
Infatti, partendo dal presupposto che non abbiamo agli atti un documento che dimostri la duplicazione alla quale lei ha fatto riferimento, le avremmo voluto chiedere - e le chiediamo, perché allo stato degli atti è questa la consapevolezza che abbiamo - se questa è effettivamente una


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cancellatura ai fini di cancellazione e chi è che decide, con riferimento ad una informativa, quale parte debba essere trasformata in informativa ulteriore e quale parte, invece, debba essere eliminata.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Il responsabile è il direttore di sezione.

PRESIDENTE. Lei era il suo capo, però.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, però io non c'ero, quindi ero sostituito dal mio vice e, per quello che ho saputo, loro hanno dichiarato all'autorità giudiziaria che da questo appunto sono stati fatti due documenti. Questa non sarebbe una cancellazione, ma significherebbe che un pezzo è servito per un appunto e l'altro pezzo per un altro appunto.

PRESIDENTE. Va bene, ma ribadisco che alla Commissione risulta soltanto il secondo appunto e non anche il primo.
Non perché vogliamo esprimere l'opinione che nulla è casuale (mi riferisco alla cancellazione dell'informativa sulla provenienza dell'aggressione dal fondamentalismo islamico), vorrei farle rilevare che nella nota del 25 marzo 1994 si legge: «Il recente episodio criminoso, che ha visto coinvolti in Somalia operatori italiani dell'informazione, ha suscitato vasta eco» eccetera. «In merito, sono stati acquisiti i seguenti commenti: si escluderebbe la responsabilità dei fondamentalisti islamici», e così via.
Quindi, la nota del 21 marzo risulta cancellata - lo dico tra virgolette, tenuto conto della sua risposta - per la parte relativa alla provenienza fondamentalista; il 25 marzo, si esclude la responsabilità dei fondamentalisti islamici e si dice che «gli autori dell'omicidio sarebbero da ricercarsi nei guerriglieri della tribù murasad operante nel nord di Mogadiscio e soltanto in parte fedele al presidente ad interim Ali Mahdi. Mohamed Shek Osman, ex ministro delle finanze di Siad Barre, che controlla l'altra fazione della tribù, escluso dalle trattative di pace in corso a Nairobi, avrebbe commissionato il delitto per compromettere i negoziati». Questa è una notizia abbastanza importante.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, questa è la mia sigla, quindi l'ho vista.

PRESIDENTE. Ecco, allora adesso è la sua volta.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Questa nasce dal raggruppamento centri di Roma, che aveva fonti in Italia e quindi, chiaramente, è una voce raccolta fra i somali che stavano in Italia. Mohamed Shek Osman è un ex ufficiale di polizia, proveniente dalla guardia di finanza, che è stato ministro delle finanze di Siad Barre, uomo molto ricco, molto spregiudicato. Adesso ha più di ottant'anni, ha avuto un figlio morto in questi incidenti, ma nulla conferma questa voce.

PRESIDENTE. Da chi viene questa voce?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Questa è una voce del raggruppamento centri CS di Roma, una fonte di Roma.

PRESIDENTE. Una fonte romana?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Una fonte romana, cioè un somalo che vive a Roma.

ELETTRA DEIANA. È una persona somala?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Posso presumere che sia una fonte somala.

PRESIDENTE. E se fosse una fonte somala, chi potrebbe essere?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Francamente, se lo sapessi glielo direi, ma non so quali sono - o quali erano - le fonti.

PRESIDENTE. Chi ha fatto questa nota?


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LUCA RAJOLA PESCARINI. Il raggruppamento centri CS.

PRESIDENTE. Chi è la persona che firma?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Non ricordo chi fosse il comandante del raggruppamento, all'epoca. Potrebbe essere Masina o...

PRESIDENTE. Va bene, lo accerteremo.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Se posso dare una mia impressione, i somali raccontano tutto e il contrario di tutto, per avere delle benemerenze. Adesso, che questo signore molto ricco, molto occidentalizzato abbia organizzato una cosa del genere mi sembra strano. Tutto può darsi, però non ho prove per dire né «sì», né «no». Però, questa è sicuramente una fonte a Roma. E le fonti a Roma raccontano quello che si vuol sentir dire.

PRESIDENTE. Nel documento vi sono delle annotazioni a margine: vediamo se riesco a capire. Vicino alla frase: «Si escluderebbe la responsabilità dei fondamentalisti islamici», vi è la nota a margine «No». Che significa?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Che non è da credere che si possa escludere.

PRESIDENTE. Poi, vicino alla frase: «Gli autori dell'omicidio sarebbero da ricercarsi nei guerriglieri», c'è scritto: «Possibile».

LUCA RAJOLA PESCARINI. Vuol dire che è possibile.

PRESIDENTE. Infine, vicino alla frase: «Mohamed Shek Osman, ex ministro delle finanze ex ministro delle finanze di Siad Barre, che controlla l'altra fazione della tribù, escluso dalle trattative», eccetera, c'è la nota a margine «No»: che significa?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Che non è tanto credibile.

PRESIDENTE. Ovvero, sarebbe a dire che questa notizia non è tanto credibile.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Esatto.

PRESIDENTE. Allora, possiamo verbalizzare che viene mostrato al teste il documento in data 25 marzo 1994, dove a lato di ciascuno dei tre commenti riportati sono indicate le parole, rispettivamente, «No», per il primo, «Possibile», per il secondo e «No» per il terzo. Il teste spiega che non è fondata la notizia dell'esclusione della responsabilità dei fondamentalisti islamici, che è possibile la notizia che riferisce l'attentato a guerriglieri della tribù murasad, a loro volta fedeli al presidente ad interim Ali Mahdi e che, infine, non è fondata la notizia che riferisce a Mohamed Shek Osman il mandato omicidiario.
Leggo ancora: «Per quanto di competenza, significando che come è noto le notizie di stampa indicano invece quali probabili autori dell'eccidio integralisti islamici somali», eccetera. Che significa?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Il raggruppamento centri CS non dovrebbe fare ricerche all'estero, bensì soltanto in Italia o in ambienti stranieri presenti in Italia. Chiaramente, non può avere una conoscenza molto profonda di quello che succede nei paesi esteri...

PRESIDENTE. Quindi, raccoglie notizie dalla stampa.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, come al solito si rifà alla stampa.

PRESIDENTE. Alla stampa somala?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, alla stampa italiana. La stampa somala non esiste.

PRESIDENTE. Alla stampa italiana dell'epoca?


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LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì.

PRESIDENTE. Generale, le chiedo adesso un approfondimento sul fenomeno dell'integralismo islamico in Somalia, paese che lei conosce profondamente. In precedenza, lei ci ha fatto un quadro storico; adesso, le chiediamo un quadro del fenomeno integralista, reso con estrema aderenza alla realtà, sia pure ragionando da uomo di intelligence.
Siamo nel 1994, a tre anni di distanza dalla caduta di Siad Barre. Lei si recava a Mogadiscio, sia pure in maniera episodica, e aveva comunque dei suoi uomini, sul posto, che tastavano il polso della situazione. Allora, vorrei che lei facesse una testimonianza alla Commissione, che è molto interessata anche a tale aspetto, per poter capire quale fosse realmente la situazione.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Presidente, non vorrei allargare troppo il discorso sul fondamentalismo, perché ci sarebbe da scrivere volumi. Comunque, ho cominciato a seguire il fenomeno dei Fratelli musulmani in Egitto, dove ero già dagli anni settanta; il fenomeno dell'integralismo islamico, infatti, nasce in Egitto negli anni venti, ma qua non stiamo facendo la storia del fondamentalismo. Poi, sono stato due anni in Arabia Saudita, quindi ho seguito l'altro aspetto del fondamentalismo...

PRESIDENTE. Il moderatismo.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, i wahabiti non sono proprio moderati. Nel termine «fondamentalismo» noi includiamo tutta una serie di sfaccettature.
Per quel che riguarda la Somalia, fino a che ci siamo stati noi e all'inizio, nei cosiddetti dieci anni della democrazia parlamentare, non era un paese fondamentalista, apparentemente.

PRESIDENTE. A quali dieci anni si riferisce?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Ai dieci anni che vanno dalla fine del mandato AFIS fino agli anni ottanta.
La Somalia era un paese non fondamentalista. Prima di tutto, i somali sono sunniti di rito shafeita - uno strano rito che si ritrova in Malesia, in Indonesia e in Somalia - e quindi sono, anzi erano, relativamente aperti e relativamente moderati. Ma, soprattutto, i nostri contatti erano con la parte urbanizzata, che è chiaramente la più occidentalizzata. Detto questo, però, la Somalia è stata e rimane un paese al 100 per cento musulmano.
Ecco come si sviluppa il fenomeno integralista nella storia della Somalia. All'inizio i somali erano sufiti, sia pure di rito shafeita, e qualche volta mi è capitato di assistere alle loro cerimonie. Poi, siccome i loro contatti - per scambio, per lavoro e per formazione - erano con l'altra parte del mar Rosso, in particolare con l'Arabia Saudita e lo Yemen, i somali che ritornavano erano diventati più integralisti e si erano orientati verso il wahabismo. Tutto questo perché la Somalia aveva un certo substrato, ovvero, la cabila, la tribù tradizionale, le regole, gli anziani e così via. A questo substrato si è frapposto prima ciò che noi avevamo formato con la colonia, poi quel che è avvenuto nei dieci anni di indipendenza: avevano adottato il codice italiano, avevano costumi occidentali, e così via.
Tuttavia, dietro a tutto questo rimaneva il somalo musulmano tradizionale, tant'è vero che - dato che la Somalia non ha avuto lingua scritta fino a venti, venticinque anni fa - per l'adozione dei caratteri della lingua ci fu una lunghissima vertenza, che fu superata allorché Siad Barre impose di scrivere il somalo con i caratteri latini, facendolo così diventare lingua scritta. Su questo punto vi era stata l'opposizione dei cosiddetti «santoni», i leader islamici, i quali volevano che si scrivesse con i caratteri arabi, in quanto sono i caratteri del Corano. Come ho detto, Siad Barre troncò il discorso facendo fucilare, una mattina, diciassette santoni e imponendo così quel tipo di scrittura. In questo


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modo ha contrastato - trattandosi di socialismo scientifico - quel tipo di fondamentalismo.

ELETTRA DEIANA. Quello dei santoni era fondamentalismo?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, loro erano stati ispirati da Mohamed Aden, attualmente cittadino italiano, che vive a Torino. Comunque, Siad Barre ha fatto fucilare diciassette persone e subito dopo ha imposto la lingua scritta con i caratteri latini.
Al fondo, i somali sono rimasti totalmente islamici e totalmente avviati verso questo tipo di integralismo. I famosi condottieri somali - mi riferisco, ad esempio, a Sayed Mohamed - erano in guerra con l'altopiano cristiano: alla base del somalo rimane questo tipo di cultura e di religione. Rispetto al fondamentalismo dei Fratelli musulmani, con i quali pure ho dialogato, che era un tipo di opposizione al modernismo e che apre prospettive che i somali non potranno mai colmare - tra i Fratelli musulmani, che ho conosciuto, c'era gente che veniva dalla Sorbona o da Oxford - , il fondamentalista somalo è a livelli molto più bassi.
I somali non ne parlavano spesso e non ne parlavano troppo, ma qualche volta la sera, vicino al fuoco, raccontavano che secondo loro l'Islam è stato fermato ai Pirenei e alle porte di Vienna e che nel 1980 sarebbe cominciata l'era del risveglio islamico, con la ripresa dell'Islam e così via. Insomma, è un Islam molto più terra terra rispetto a Bin Laden e ai grandi progetti, però è fondamentalmente sentito da tutti i somali.
Quando sono stato in Somalia con le Nazioni Unite...

PRESIDENTE. Quando?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Nel 2001-2002. Ho girato tutta la Somalia e posso dire che vi sono delle zone esclusivamente sotto il controllo di organizzazioni islamiche finanziate dall'Arabia Saudita, dai paesi del Golfo, e così via; una delle basi era a Gibuti. Queste organizzazioni hanno avuto un seguito totale, tant'è vero che, ad esempio, le donne somale, che vestivano in maniera simpatica ed elegante, con una specie di sari, con un velo sul capo, oggi indossano tutte il vestito islamico e sono velate; insomma, c'è un cambio totale di costume.
Tutto questo era stato previsto. Lo avevamo scritto, lo avevamo profetizzato e preventivato.

PRESIDENTE. Sì, gliene do atto.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Ne stiamo parlando sin da quando è caduto Siad Barre. Ed avevamo anche detto ai nostri validi alleati che il fondamentalismo somalo sarebbe stato un elemento di disturbo per i paesi contermini: per l'Etiopia, per il Kenya e per Gibuti, cosa che si sta puntualmente verificando. Infatti, gli attentati in Kenya sono avvenuti - pare - passando per la Somalia.

PRESIDENTE. La ringraziamo di questa panoramica; tuttavia, per andare più al concreto, vorrei sapere, per quelle che sono le sue consapevolezze, all'indomani della caduta di Siad Barre - il momento in cui queste istanze si fanno più forti per la mancanza di controllo generalizzato - quali sono le posizioni dei due grandi clan di Aidid e di Ali Mahdi rispetto al fondamentalismo.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Quando Aidid e Ali Mahdi hanno preso il controllo di Mogadiscio - per un terzo l'uno e per due terzi l'altro -, vi è stato il caos totale: non c'era più legge né ordine, nessuno controllava. La gente veniva rapinata della futa - è il loro abito - e questo poteva capitare a tutti: io a Mogadiscio ho sempre girato senza orologio, vestito come loro, per essere il meno appetibile possibile.

PRESIDENTE. Come a Catania.

LUCA RAJOLA PESCARINI. O come a Napoli - io sono napoletano - adesso. Ad un certo punto, da questo caos generale,


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nel quale non si sopravviveva più, a Mogadiscio nord - zona di Ali Mahdi - è nata la prima corte islamica.

PRESIDENTE. Ecco, siamo arrivati al punto.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Perché le parlo della prima corte islamica? Perché è un fenomeno che mi ha interessato e preoccupato.

PRESIDENTE. In che anno siamo?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Dopo Siad Barre. La prima corte islamica è nata nel novembre 1992.

PRESIDENTE. È l'anno in cui lei va in Somalia.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì. Lo ricordo perché la cosa mi ha interessato ed incuriosito.

PRESIDENTE. Questo fatto che cosa significa? Che, da parte di Ali Mahdi, la corte islamica era ben vista?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No. Ali Mahdi, a differenza di Aidid, era un debole controllore della sua zona. Infatti, Aidid ha contrastato le corti islamiche per almeno un anno, dopo di che sono apparse anche dalla sua parte.

PRESIDENTE. Aidid, lei dice, ha contrastato le corti islamiche: con quale risultato?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Nessuno. La corte islamica è nata anche a Mogadiscio sud, ma in ritardo rispetto alla corte del nord.

PRESIDENTE. Quindi, la prima corte islamica nasce nel nord.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Esatto.

PRESIDENTE. E la diagnosi che lei fa - mi dica se sbaglio - è che la prima corte islamica nasce nel nord di Mogadiscio perché costituisce un supporto al ruolo di dominio di Ali Mahdi. È, insomma, uno strumento di Ali Mahdi.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, non è uno strumento di Ali Mahdi.

ELETTRA DEIANA. Sono gli islamisti che si auto-organizzano. È una specie di contropotere.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Esatto, si sono auto-organizzati. Posso parlare con cognizione di causa in quanto, allorché ho saputo della sua esistenza, ho voluto parlare con il capo della corte islamica.

PRESIDENTE. Un attimo, poi ne parliamo. A proposito del tipo di rapporti con le corti islamiche, lei ha detto che mentre Aidid resiste - e nella sua zona le corti islamiche saranno costituite successivamente -, Ali Mahdi è più debole. Che significa?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Che la corte islamica si è costituita e lui l'ha accettata.

ELETTRA DEIANA. Sono contropoteri, presidente.

PRESIDENTE. Ecco, vorrei accertare se questa accettazione veniva utile anche all'esercizio del potere che, per la sua debolezza, Ali Mahdi non era in grado di esercitare oppure se si trattava di un contropotere, come osservato dall'onorevole Deiana.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Ali Mahdi l'ha accettata.

ELETTRA DEIANA. Nel vuoto generale e nella debolezza dei due successori, che non sanno bene che cosa fare, si inserisce la dinamica del fondamentalismo che sta cercando di mettere radice e di stabilirsi come potere.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Esatto.


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PRESIDENTE. Perfetto. Vorrei capire, però, se alla fine di questo percorso c'è - come dire - un'intesa tra Ali Mahdi e la corte islamica.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Presidente, io sono andato a parlare con Shek Mojaheddin, prima di tutto perché volevo capire di che si trattava e in secondo luogo volevo sapere se egli aveva un orientamento anti-italiano. Shek Mojaheddin - stiamo parlando della prima corte islamica, poi sono nate le altre - era una persona anziana, di relativo buonsenso e relativamente colta: «Il mio popolo» - mi disse - «accetta la sharia, la legge islamica. Non accetta codici penali e codici civili, perché sono al di fuori, e non c'è alcun mezzo per imporli. Siccome qui rubano, violentano e rapinano, abbiamo istituito la sharia. Quando lo Stato rinascerà, ritorneranno i codici di una volta».
D'altra parte, la sharia, anche in epoca coloniale, era rimasta come potere parallelo, non per i delitti, ma per il diritto di famiglia e per la legge del sangue. La sharia, in un certo senso, era rimasta nella cultura somala, mentre non potevano rimanere il codice civile o il codice penale. La Somalia, in venti anni, ha avuto tre codici penali: il codice penale italiano, il codice penale somalo (adattato da quello italiano, male) e il codice penale somalo copiato pari pari da quello sovietico, che prevedeva diciassette casi di pena di morte, tra cui il caso di sabotaggio economico. Ricordo che furono arrestati e condannati per sabotaggio economico - anche se la sentenza poi non fu eseguita - due operai italiani che, nell'albergo di Stato, avevano smontato dei condizionatori che non funzionavano.
La corte islamica come potere aveva le milizie della corte islamica, che erano diventate il contropotere perché erano fatte da individui che, mentre nessuno guadagnava, prendevano all'epoca un dollaro, mille lire al giorno, e quindi erano considerati benestanti.

PRESIDENTE. Da dove venivano?

LUCA RAJOLA PESCARINI. In parte erano ragazzi o ragazzotti e in parte erano ex militari rimasti disoccupati. Questa corte islamica aveva a disposizione un certo numero di macchine, chiaramente finanziate con i soldi di qualcuno che stava fuori, e questa specie di «bravacci» che, quando si muovevano, facevano paura anche alla cosiddetta polizia somala, allo sbando, che era rimasta. Erano il braccio violento della corte islamica.
Shek Mojaheddin poi, a sua volta, fu superato e a Mogadiscio di Ali Mahdi nacquero una o altre due corti; poi qualche mese dopo nacque la corte islamica anche a Mogadiscio sud, Aidid, e la corte di Mogadiscio sud diventò ancora più violenta delle altre. Quindi, era una nobile gara.

PRESIDENTE. Negli anni che ci interessano, 1993 e 1994, a che livello era questo tipo di evoluzione o di involuzione?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Il discorso è sempre quello. Mentre, dalla parte di Aidid, quest'ultimo era un uomo molto duro e molto deciso e, quindi, in un certo senso era il leader, nella parte di Ali Mahdi le corti islamiche, con questi bravacci, erano molto più aggressive rispetto alle altre.

PRESIDENTE. Torniamo al rapporto con Ali Mahdi, che ci interessa in maniera particolare perché, come lei sa, Ilaria Alpi e Miran sono stati uccisi nella zona di Ali Mahdi. Qual è stata l'evoluzione del rapporto, o del non rapporto, tra le corti islamiche o la corte islamica e Ali Mahdi? Da un momento di sicuro contropotere siamo rimasti al contropotere oppure c'è stata un'intesa?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Presidente, io non parlerei di contropotere perché è chiaro che convivevano. Non esisteva una contrapposizione.

PRESIDENTE. Però convivevano per debolezza di Ali Mahdi.


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LUCA RAJOLA PESCARINI. Per la debolezza di Ali Mahdi e per la forza degli altri.

ELETTRA DEIANA. Era la frammentazione dei poteri.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì.

PRESIDENTE. Lei sa se le corti islamiche disponessero anche di un carcere?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì. A quell'epoca si vendeva a Mogadiscio, perché era educativo per il popolo - e l'avevo pure io - una cassetta sulla corte islamica, il giudizio della corte islamica e l'esecuzione delle pene. Inoltre avevano questo carcere dove detenevano quelli che catturavano.

PRESIDENTE. Queste bande avevano anche delle macchine a disposizione?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì.

PRESIDENTE. Erano delle bande praticamente?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì.

PRESIDENTE. Religiosamente impostate, ma erano delle bande.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Presidente, in Somalia erano tutte bande. Quando parlavano dei signori della guerra, io ho sempre detto: questi non sono signori della guerra, sono banditi, anche se adesso sono tutti ministri del nuovo Governo.
Avevano delle macchine, delle ottime macchine. Avevano dei pick-up, avevano macchine migliori degli altri.

PRESIDENTE. Lei ha avuto notizia di un assalto ad un carcere della corte islamica?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Adesso non lo ricordo, francamente.

PRESIDENTE. Nel 1996-1997. Non ne ha avuto notizia?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No.

PRESIDENTE. Fino a quando sono andate avanti queste corti islamiche? Oggi come sono?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Le corti islamiche ci sono ancora.

PRESIDENTE. Sono forti ancora oggi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Adesso la situazione, secondo me, è peggiorata rispetto a prima perché oggi la Somalia non ha più nessun controllo.

PRESIDENTE. Chi dava i soldi a queste corti islamiche?

LUCA RAJOLA PESCARINI. C'erano due forme di finanziamento: una erano le famose associazioni assistenziali, o NGO arabe, e noi appurammo che avevano una centrale a Gibuti che era diretta da un ex colonnello del Servizio saudita e che era una delle tante fonti di finanziamento per queste NGO islamiche che operavano in Somalia.
Ovviamente queste corti islamiche si sono allargate a dismisura. Le ho detto prima che vi sono delle zone, come Belet Uen e Mogadiscio nord, che sono esclusivamente in mano a questa gente, perché fanno proselitismo. Quando una donna ha bisogno di dare da mangiare alla famiglia, e le famiglie in Somalia sopravvivono grazie alle donne, deve andare con il velo in testa, vestita in quel modo, da queste associazioni islamiche che le danno cure e da mangiare, assistono i bambini e aprono le scuole. Quindi, il proselitismo di questi è continuo, perché bisogna dire che, a differenza nostra, fanno le cose seriamente.

ELETTRA DEIANA. Anche la Caritas le fa seriamente.


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LUCA RAJOLA PESCARINI. Fino a un certo punto, onorevole. L'ultimo mercenario bianco catturato in Sudan si chiamava Rolf Steiner e in tribunale ha detto che era pagato dalla Caritas internazionale.

PRESIDENTE. Voi avete scritto più volte - ve ne dobbiamo dare atto -, e il giorno dell'omicidio di Ilaria e Miran c'è stata anche una dichiarazione del generale Fiore, che allora comandava il contingente italiano in Somalia, che appunto aveva rappresentato che la fonte dell'attentato doveva rinvenirsi proprio nel fondamentalismo islamico, anzi c'è un dispaccio che ricordo benissimo, e che ricorderà bene anche lei, in cui è fatta espressamente questa ipotesi, e del resto la segnalazione che abbiamo visto prima è in quella direzione.
Non so lei fino a che punto si sia interessato di quest'aspetto, se se n'è interessato, ma queste corti islamiche e, quindi, queste bande ci fanno venire in mente esattamente quello che accadde vicino all'Hamana, ma può darsi che noi sbagliamo. Quali sono state le ragioni per le quali voi avete ritenuto che Ilaria Alpi e Miran Hrovatin potessero essere stati attinti da un'operazione delle corti islamiche?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Io sono andato in Somalia perché noi avevamo avuto quest'informazione che i fondamentalisti stavano rientrando a Mogadiscio perché si preparavano ad attaccare mentre i contingenti internazionali si ritiravano. Questo perché tre anni prima i fondamentalisti si erano radicati nella zona di Bosaso, dove avevano fatto dei campi, si erano addestrati e si erano preparati.

PRESIDENTE. Si fermi, apro e chiudo una parentesi. Quindi, a voi risulta la costituzione di questi campi di addestramento nell'epoca che ci interessa?

LUCA RAJOLA PESCARINI. A noi risultava; avevamo fatto una mappatura dei campi e abbiamo continuato a farla anche dopo l'11 settembre chiaramente. Non si tratta solamente dei campi: a Bosaso, per la prima volta nella storia del fondamentalismo, i fondamentalisti sono scesi in campo armati, equipaggiati ed addestrati a livello di battaglione di fanteria e c'è stato uno scontro.

PRESIDENTE. Questo nel 1994?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, due anni prima. C'è stato questo scontro fuori Bosaso fra gli uomini che dipendevano dall'attuale Presidente somalo, Abdullahi Yusuf, e il generale Abshir, l'ex capo della polizia, contro questi fondamentalisti, che sono stati sconfitti in campo aperto.
I fondamentalisti sconfitti a Bosaso si sono trasferiti a Merca, e poi tornerò sul discorso di Merca perché è importante. Da Merca si sono ritirati, sono andati nella regione di Ghedo, quindi al confine con l'Etiopia, e poi sono entrati in Ogaden, dove si sono arroccati un'altra volta in quell'enorme regione che era l'Ogaden. Dall'Ogaden successivamente hanno ripreso a rientrare in Somalia e, in particolare, in quel momento la segnalazione che noi avevamo avuto era che stavano rientrando anche a Mogadiscio perché era il momento buono per attaccare i contingenti internazionali. Questo è il motivo per il quale io sono andato.

ELETTRA DEIANA. Quando?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Nel 1994.

PRESIDENTE. La volta in cui poi se ne va via da Mogadiscio il 16 marzo?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Esattamente.

PRESIDENTE. Le risulta un campo di addestramento a Chisimaio?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Il campo di addestramento non era a Chisimaio; i campi di addestramento erano in una zona che è tra Chisimaio e il confine del Kenya, che si chiama Ras Kiamboni, che è una penisola ...


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PRESIDENTE. Però per andarci bisogna andare a Chisimaio?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì. E a Bur Gavo, che è l'unico fiordo che sta fra Chisimaio e la costa del Kenya, è un fiordo profondo tredici chilometri. Noi abbiamo avuto evidenze che là c'erano, ci sono stati anche dopo l'11 settembre, e così via, solo che, come al solito, poi queste notizie passano alla stampa e soprattutto quelli che stavano a Ras Kiamboni - sono boschi di mangrovie - se ne sono andati settanta chilometri all'interno e, quindi, sono difficilmente reperibili. Ma sicuramente c'erano e abbiamo fatto le mappe di questi campi.

PRESIDENTE. Torniamo al discorso di prima.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Prima ho detto di fare un momento di attenzione su Merca perché ...

PRESIDENTE. No, lei stava parlando prima della ragione per la quale nelle informative Sismi risulta il collegamento Alpi-integralismo.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Avevamo avuto notizia che questi stavano rientrando per fare attentati contro occidentali, contro i contingenti che si ritiravano e così via.

PRESIDENTE. Quindi, attentati da parte di integralisti islamici contro gli occidentali e contro i contingenti. Perché contro i contingenti?

LUCA RAJOLA PESCARINI. I contingenti erano chiaramente per loro truppe di occupazione, c'erano i cristiani. Avevo accennato alla questione di Merca perché Merca è un altro punto chiave di tutte queste storie. A Merca c'era un'organizzazione non governativa italiana che era diretta da una dottoressa di Milano che si chiamava Fumagalli. Questa dottoressa faceva molto bene, però Merca è un punto cruciale, perché a Merca, oltre agli Haberghedir, di cui abbiamo parlato prima, il gruppo Aidid eccetera, c'era una tribù, i Bimal, che ci ha dato problemi dall'inizio della nostra occupazione: hanno ammazzato un sottotenente di vascello, hanno sparato contro una nave. Quindi, è un punto focale.
Merca è stata sempre considerata un insediamento integralista. Questa dottoressa Fumagalli è stata uccisa da un gruppo di armati mentre stava facendo la sua opera, ma a Merca era stata anche Annalena Tonelli, che poi è stata uccisa, che in seguito alle minacce subite se ne era dovuta andare in Kenya e da lì era andata poi nel nord della Somalia, dove l'hanno uccisa. Non solo: a sostituire Annalena Tonelli è andata la mia cara amica Starlin Arush, che è stata uccisa a Nairobi.

PRESIDENTE. In che anno?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Due anni fa. È stata uccisa mentre stava tornando a casa. Era in macchina con un'altra donna, le hanno sparato in testa nel quartiere somalo ed è morta.

PRESIDENTE. Perché l'hanno uccisa?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Perché davano fastidio con l'attività di questa organizzazione non governativa italiana che aveva fatto una scuoletta, gestiva una scuola e aveva chiesto il disarmo delle milizie. Per loro rappresentavano un elemento di pericolo perché cattolici o cristiani.

PRESIDENTE. Lei sa che Starlin era anche amica di Ilaria Alpi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Io so che Starlin era amica mia ed io sono in contatto con la sorella Ibo, che adesso ha preso il suo posto, con la famiglia, che è una famiglia veramente per bene che vive a Torino, ed infatti ho detto alla sorella di fare molta attenzione e di ritirarsi ...

PRESIDENTE. Di questo rapporto con Ilaria le aveva parlato Starlin?


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LUCA RAJOLA PESCARINI. No, mai. Sarà stata una delle tante conoscenze. Starlin era una donna molto attiva, si era candidata alla Presidenza della Repubblica somala, che è un po' fuori dalla realtà, aveva fatto la marcia delle donne somale per la pace attraversando tutta Mogadiscio. Era una donna di cultura italiana e, quindi, era completamente diversa da quel contesto. Non voglio dilungarmi troppo, però è uscito un libro in Inghilterra, due mesi fa, che spiega tutto il fondamentalismo come reazione all'occidente che vuole mutare il ruolo della donna nella società islamica. Può essere vero, non può essere vero, però è da tenere in considerazione.

PRESIDENTE. Lei ha parlato prima dell'ostilità nei confronti degli italiani, ricondotta al fatto che si trattava comunque di un invasore. Nel momento del ritiro del contingente italiano, per quelle che sono le notizie che abbiamo appreso nel nostro lavoro, invece la ragione dell'ostilità nei confronti degli italiani sarebbe il fatto che il contingente se ne andava. Ci spieghi.

LUCA RAJOLA PESCARINI. C'erano moltissimi motivi di risentimento contro tutti, perché, per quello che mi ha detto il generale Aidid, in Somalia in quel periodo, a Mogadiscio, c'erano stati tredicimila morti somali. Gli scontri erano continui, c'erano questi elicotteri che volavano notte e giorno, la notte arrivavano i C130 a cannoneggiare e, quindi, era una situazione di estremo disagio anche per la popolazione. Chiaramente eravamo degli occupanti e degli occupanti che sparavano continuamente.

PRESIDENTE. Noi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Noi, i contingenti. Non credo che la popolazione gradisse molto tutto questo. Eravamo degli infedeli, anche se c'erano nel contingente malesi e pakistani, che erano musulmani e che, tutto sommato, trovavano un modus vivendi diverso dal nostro.

PRESIDENTE. Quindi, non è vero che il contingente italiano era visto come una fonte di sicurezza e di controllo dal punto di vista dell'ordine pubblico?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Intanto, noi non eravamo a Mogadiscio, ma eravamo fuori. Per quella che è la mia impressione, non eravamo tanto ben ... Fino a che si pagava eravamo accettati.

PRESIDENTE. Il colonnello Vezzalini ed anche qualcun altro ci ha detto esattamente il contrario.

LUCA RAJOLA PESCARINI. C'è una differenza, presidente. Loro vivevano nel campo, mentre io quando andavo non vivevo nel campo, vestivo come loro e vivevo in mezzo a loro, perché questo era il mio ruolo.

PRESIDENTE. Quindi, riceveva più notizie?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Diciamo che avevo di più il polso della situazione.

PRESIDENTE. Questa è una nota del Sismi del 23 marzo 1994. «Mogadiscio. Oggetto: situazione». Ad un certo punto, tra le varie notizie che vengono date, ne viene data una: «Appare evidente la volontà di Unosom di minimizzare sulle reali cause che avrebbero portato all'uccisione della giornalista italiana e del suo operatore. Unosom sta orientando l'azione sulla tesi della tentata rapina e della casualità dell'episodio non trascurando tuttavia particolari che indicherebbero il contrario. Anche da Roma è giunto a Scialoja esplicito divieto di trattare l'argomento e di avanzare ipotesi sui probabili mandanti ricordando che tale compito spetta solo a Unosom al termine degli accertamenti in corso».
Le frasi che le ho letto per la maggior parte sono cancellate. Anche qui c'è la cancellazione, così come abbiamo visto nell'altro caso. In una parte: «Appare evidente la volontà di Unosom di minimizzare sulle reali cause che avrebbero portato all'uccisione» - in modo che i componenti della Commissione lo sappiano


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- la cancellazione è per orizzontale. Quanto all'invito che sarebbe giunto a Scialoja a fare in modo che l'argomento non venisse trattato e che non si parlasse dei mandanti, invece, è cassato verticalmente.
Se noi dobbiamo discutere nei termini che abbiamo utilizzato prima, dovrei capire ancora una volta che queste sono parti che dovremmo trovare in un altro documento.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, può darsi di no.

PRESIDENTE. E per la seconda volta non lo troviamo, come non troviamo il primo.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, questo ...

PRESIDENTE. Lei si ricorda male. Lei ci deve spiegare però perché viene cancellato e scompare da qualsiasi altra informativa questo fatto riguardante Scialoja. Scialoja è amico vostro?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, è amico mio nel senso che lo conosco ed è un ambasciatore d'Italia. Oltre a questo non c'è nient'altro.

PRESIDENTE. Però Scialoja è in buoni rapporti con il Sismi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No.

PRESIDENTE. Dica.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Questo andrebbe chiesto a chi l'ha fatto materialmente, cioè al direttore di sezione dell'epoca, però posso capire che una cosa che riguardava l'ambasciatore d'Italia è stata ... Non è una notizia questa.

PRESIDENTE. Come non è una notizia? Vi è la notizia secondo la quale a Scialoja sarebbe arrivato - presumo dall'Italia, non certamente dall'estero - il divieto di trattare l'argomento e di darsi da fare per trovare i mandanti. «Anche da Roma è giunto a Scialoja esplicito divieto di trattare l'argomento e di avanzare ipotesi sui probabili mandanti ricordando che tale compito spetta solo a Unosom al termine degli accertamenti in corso». Quindi, vi è questa parte che risulta eliminata e, se non ci fosse questa nota, sarebbe scomparsa da qualsiasi altra informativa ulteriore. Qual è la spiegazione? «Anche da Roma»: chi ha dato da Roma l'ordine a Scialoja?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Qualcuno del ministero.

PRESIDENTE. Del Ministero degli esteri?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Certo. Siccome Tedesco conviveva con Scialoja, queste notizie può averle sapute solo da Scialoja.

PRESIDENTE. Quindi, dobbiamo chiedere a Tedesco, secondo lei.

ELETTRA DEIANA. Lei ci ha fornito un quadro, che io ritengo abbastanza convincente, relativo alle dinamiche di insediamento dei gruppi fondamentalisti in Somalia. Sarebbe interessante capire che cosa c'è dietro la caduta di Siad Barre. La formazione e lo sviluppo del fondamentalismo in quei paesi, soprattutto quelli dove non c'erano culture precedenti - islamiche, sì, ma non integraliste, perché evidentemente c'è una bella differenza -, non sono legati soltanto al fatto che le donne devono portare il velo.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, è il ruolo della donna, non solo il velo.

ELETTRA DEIANA. Sì, c'è il ruolo della donna, però c'è tutto il fallimento dei nazionalismi arabi, è una storia molto complessa. E poi ci sono interessi precisi, nel caso della Somalia anche interessi di controllo della zona da parte americana. È molto complicato.


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LUCA RAJOLA PESCARINI. Per quello che riguarda la caduta di Siad Barre, non è stato un discorso religioso, ma tribale, perché la tribù di Siad Barre, che si chiama Merean e che appartiene ad una tribù più grande che si chiama Darot, nei vent'anni in cui Siad Barre era rimasto al potere praticamente si era impadronita di tutto il paese, di tutti i posti. Quindi, la rivolta è stata su base tribale inizialmente ed i Merean oggi sono in esilio, sono sconfitti.
Sulla mancanza di uno Stato, come in tutta l'Africa, si stanno inserendo i fondamentalisti islamici, perché gli islamici vanno con il Corano da una parte e il kalashnikov e i dollari dall'altra parte.

ELETTRA DEIANA. Rispondono a esigenze identitarie, danno i soldi alle vedove.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Io oramai ho conoscenza delle loro ONG e delle nostre e le assicuro che i loro rappresentanti sono dei fanatici religiosi e vivono da fanatici religiosi. I nostri rappresentanti non sono altrettanto accettabili.

ELETTRA DEIANA. D'accordo, ma l'osservazione che volevo fare è che lei ha una conoscenza molto approfondita di questo aspetto e del modo in cui si sviluppano questi gruppi e la presa sulla popolazione in una zona particolarmente interessante per la Commissione qual è quella di Bosaso. Mi sembra che ci sia un'incongruenza tra la conoscenza che lei ha, che non è una conoscenza letteraria, ma legata ai suoi compiti, che addirittura hanno avuto come esito il monitoraggio dei campi, il controllo degli spostamenti, ed invece l'assoluta inadeguatezza di conoscenze, ma anche di interesse specifico relativo alla sua funzione sulla possibilità che i due italiani abbiano avuto a che fare con quel contesto.
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin avevano passato quasi una settimana, cinque giorni, lì a Bosaso, che lei dice essere un luogo importante per lo sviluppo del fondamentalismo. Un luogo importante significa anche che la popolazione e, quindi, probabilmente molti dei personaggi, a partire dal sultano di Bosaso, erano legati a questa vicenda di insediamento. Poi lei non sa nulla su notizie che vengono anche dal Sismi, cioè sul supposto rischio di morte, forse il sequestro di Ilaria Alpi in quei giorni e comunque l'ostacolo a che ripartisse. Lei non sa assolutamente nulla? Non si è informato?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Noi avevamo dei compiti per settore di competenza. Bosaso era estremamente lontano e non avevamo nessuno. Io le ho parlato di cose a livello generale, cioè che ci sia stata una grossa battaglia ...

ELETTRA DEIANA. Questo lo capisco. Quello che non capisco è il fatto che non abbia sviluppato nessuna attenzione e non abbia cercato di raccogliere notizie relativamente ad un episodio che riguardava due italiani che si sono trovati in una zona di cui lei conosceva le dinamiche, per cui lei poteva anche trovare degli elementi di riscontro alla sua tesi.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, ma io non avevo nessun mezzo per investigare o per sapere notizie da Bosaso, perché in quel momento in Somalia avevano un uomo solo, che era Tedesco, a Mogadiscio.

ELETTRA DEIANA. Ma Tedesco racconta delle cose che sono diverse da quelle che dice lei. Lui dice delle cose che lei nega oppure banalizza.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, non nego. Sto dicendo che quello che lui sapeva lo sapeva da Mogadiscio dove conviveva in questo ...

ELETTRA DEIANA. Ma lei non ha fatto nessun approfondimento con Tedesco?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, perché non avevamo mezzi per Bosaso. Un conto è sapere che ...


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ELETTRA DEIANA. No, lei con Tedesco.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, con Tedesco non abbiamo fatto nessun approfondimento.

ELETTRA DEIANA. Perché non è una prassi dei Servizi fare approfondimenti?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Su questo tema nessuno ci ha chiesto di farlo e non lo abbiamo fatto. Su questo ha indagato la Digos, hanno indagato in tanti che sono deputati a fare ...

ELETTRA DEIANA. Ma voi non siete tenuti a fornire informazioni?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Quando noi acquisiamo informazioni di questo tipo ...

ELETTRA DEIANA. Tedesco le ha acquisite evidentemente.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, ed infatti le abbiamo trasmesse.

PRESIDENTE. Non tutte. Quelle sull'integralismo islamico, che poi non conterà nulla, non ha importanza, non sono state trasmesse alla Digos.

ELETTRA DEIANA. E quelle relative ad un coinvolgimento di Ilaria Alpi in episodi di questo genere sono state cassate, cancellate, non si sa nulla.

PRESIDENTE. C'è anche il fatto abbastanza inquietante di cassare la parte nella quale Scialoja riceve l'ordine di non fare niente. Lei che è stato un uomo di Stato ci dovrebbe dire queste cose.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Io posso rispondere di quello che ho fatto.

PRESIDENTE. Mi scusi, generale, ma questi sono fatti che ricadono proprio nella competenza della sua divisione. Riscontriamo per l'ennesima volta - per carità, con questo non vogliamo che prendere atto e poi trarremo le nostre valutazioni -, come giustamente osservava l'onorevole Deiana, che persino di fronte ad una sua consapevolezza forte, culturale e non soltanto, poi tutto si traduce nel cassare ciò che poteva essere una fonte di un approfondimento nelle sedi che non potevano essere le vostre, perché non rientra nelle vostre competenze, ma sarebbero state sicuramente di altri: magistratura e polizia.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Su ogni foglio c'è la sigla di chi ha ...

PRESIDENTE. C'è la sigla, però un capo dell'ufficio di fronte al Tedesco di turno che fa tutta questa serie di informative, perché Tedesco ha sfornato informative a non finire ... È possibile mai che non vengano in qualche modo assemblate e messe nella condizione di essere ulteriormente elaborate?

ELETTRA DEIANA. Lei appare un po' non responsabile. Posso dirglielo?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Questa è una sua impressione.

ELETTRA DEIANA. È un giudizio, non è un'impressione. Muoiono due italiani, due giornalisti e ciò fa molto rumore sulla stampa. Siamo anche il frutto del rumore che quest'agguato ha determinato.

PRESIDENTE. Con un Vicepresidente del Consiglio il quale dà incarico ...

ELETTRA DEIANA. E lei, che è il capo della divisione e grande conoscitore della realtà somala, ma specificamente anche in relazione alle zone in cui i due sono stati, dice: non ho visto, non ho sentito.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, io le ho detto quello che ho visto e quello che sapevo.

ELETTRA DEIANA. Sul fatto.


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LUCA RAJOLA PESCARINI. Sul fatto noi non abbiamo fatto indagini perché nessuno ci ha detto di farle.

ELETTRA DEIANA. Ma allora perché Tedesco ha mandato tutte quelle informative?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Perché Tedesco stava là e giustamente quello che raccoglieva ce lo trasmetteva, e quello che lui raccoglieva noi lo trasmettevamo agli organi ...

ELETTRA DEIANA. No, non l'avete trasmesso.

PRESIDENTE. Non tutte le informative.

ELETTRA DEIANA. Si perdono per strada.

PRESIDENTE. Va detta un'altra cosa. Lei prima ha parlato del vostro rapporto con Cassini ed anzi della telefonata che fece Cassini per dirle delle sue valutazioni intorno al trasferimento dei somali in Italia vittime di violenze. Quello era un momento nel quale - ormai lo abbiamo accertato e lo sapeva anche lei - a livello istituzionale, con grande correttezza e con grande sensibilità, l'allora Vicepresidente del Consiglio Walter Veltroni aveva officiato Cassini e anche in quel frangente noi dobbiamo registrare, perché ce lo fa registrare lei, che il suo ufficio non fa quello che doveva fare.

ELETTRA DEIANA. Tra l'altro, ci sono dei fatti, delle notizie che si incrociano. Il 22 marzo del 1994, quindi pochi giorni dopo, l'ambasciatore Sessa - mi sembra che ne parlassimo già prima - scrive al Ministero di grazia e giustizia, all'interno, al servizio Interpol, ricostruisce la dinamica dell'agguato, parla del famoso passaggio al check point sorvegliato dall'Unosom, dove appunto i militari Unosom parlano di due macchine, una dei due e l'altra di altri, che forse sono quelli che hanno ammazzato, e poi alla fine Sessa dice che Ilaria Alpi nel corso di un recentissimo viaggio a Bosaso sarebbe stata trattenuta per breve tempo - il sequestro di cui altre informative ci dicono - da esponenti di una fazione locale, che potrebbe essere appunto uno di questi gruppi integralisti. Sono notizie che non si sa bene da chi abbia preso questo Sessa e comunque notizie che dovrebbero essere state sottoposte a grande attenzione da parte vostra, vista la conoscenza e la consapevolezza che avevate del fenomeno.
Dico questo anche perché i Servizi dovrebbero accumulare notizie anche per il futuro e non soltanto in astratto, ma anche contestualizzate. Se due italiani vengono ammazzati, forse per ragioni legate allo sviluppo di questo processo di islamizzazione integralista in Somalia e visti gli interessi italiani in Somalia, storici e attuali, sapere che cosa succede a degli italiani sprovveduti è un dovere delle istituzioni e un dovere vostro specifico. Questo è il mio giudizio.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Onorevole, io ed i miei uomini abbiamo fatto non il nostro dovere, ma molto di più, perché noi abbiamo rischiato la pelle tutti i giorni, ci hanno sparato addosso e abbiamo avuto un morto. Se adesso c'è qualche discrasia o qualche appunto, noi abbiamo fatto tutto che dovevamo fare e anche un po' di più.

PRESIDENTE. Noi abbiamo messo insieme una serie di dati documentali dai quali risulta che qualcuno un giorno ci dovrà dire nel corso dei nostri lavori chi ha bloccato gli accertamenti nei confronti dell'uccisione di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin. Quando io trovo scritto in un documento del Sismi, che considero un Servizio dello Stato e, quindi, un'organizzazione che tutela gli interessi dello Stato, che l'ambasciatore Scialoja riceve l'ordine di non investigare, di non accertare rispetto a chi abbia dato il mandato omicidiario, lei capisce che sono cose troppo importanti perché non abbiano un significato. Noi cerchiamo di capire da voi, che non avete gestito perché abbiamo la consapevolezza


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che da qualche parte veniva l'ordine di non gestire, per sapere chi vi ha dato quest'ordine.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Presidente, questo lo può sapere Tedesco.

PRESIDENTE. Allora cercheremo di sapere da Tedesco chi ha dato l'ordine alle istituzioni italiane sistematicamente di non accertare come siano andate le cose nei confronti di queste due persone.
Un'ultima annotazione, per capire. Il Vicepresidente del Consiglio dà un input politico-istituzionale - perché non è soltanto politico - di accertare come siano andate le cose. Poi magari troviamo un Cassini un po' avventuroso, che probabilmente può aver fatto più male che bene, dal punto di vista dei risultati, ma è possibile nelle vostre istituzioni che, di fronte alla disposizione data da un momento istituzionale così alto e politicamente così importante, si continui a rispondere che non ci sono ragioni per poter approfondire a livello di intelligence, di polizia giudiziaria e di magistratura? Infatti, noi abbiamo trovato l'intelligence che non funziona, la polizia giudiziaria che non ha funzionato, anzi forse ha fatto qualcosa di più, nel senso che ha fatto meno di quello che doveva fare, ed una magistratura che sta nelle stesse condizioni. I tre poteri dello Stato si sono coalizzati verso questo tipo di conclusione. Un vertice istituzionale ha dato una disposizione e, tra l'altro, il Sismi e il Sisde sono inquadrati nella Presidenza del Consiglio. Come è possibile che la Vicepresidenza del Consiglio dia disposizioni ...

ELETTRA DEIANA. E si muove solo Cassini.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, le disposizioni le ha date a Cassini.

PRESIDENTE. Ma Cassini le telefona e lei dice: a me non interessa.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Cassini ha fatto una telefonata amichevole dicendo che stava portando questi in Italia.

PRESIDENTE. Nelle istituzioni non c'è la telefonata amichevole; nelle istituzioni c'è la telefonata.

ELETTRA DEIANA. Per un'operazione così delicata Cassini si è mosso senza coinvolgere il Servizio?

PRESIDENTE. Aveva Washington.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Il Vicepresidente del Consiglio doveva dare la disposizione al direttore del Servizio, che la dava a me. Io non posso agire d'iniziativa...

ELETTRA DEIANA. Ma io sollevo il dubbio che invece Cassini l'abbia informata e le abbia chiesto aiuto, che lei sappia delle cose che non ci dice.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, mi dispiace tanto, perché io non ho detto le bugie neanche quando andavo a scuola e, quindi, sto dicendo esattamente come stanno le cose. Se io dico le cose e non vengo creduto, a questo punto possiamo chiudere. Io non sono nato ieri.

PRESIDENTE. Generale, lei non deve prendere questa posizione.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Questa è un'offesa gratuita che mi sta facendo.

PRESIDENTE. Il deputato sta svolgendo le sue funzioni in piena libertà ed è necessario che lo faccia anche facendo critiche forti, perché questo è il nostro compito. La Commissione parlamentare d'inchiesta da me presieduta ha il compito di accertare le omissioni, le carenze e le responsabilità nell'ambito delle istituzioni dello Stato.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Ma non può mettere in dubbio quello che dico io.

PRESIDENTE. Poi succederà che non accerteremo niente, non ha importanza, però noi dobbiamo percorrere una strada per accertarlo. Il problema è che in effetti


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la telefonata che lei riceve dall'ambasciatore Cassini è una telefonata di investitura che non può essere ridotta alla telefonata all'amico. Che poi non abbia avuto seguito nulla, non per causa sua, ma per causa di chi glielo ha ordinato, lo abbiamo capito perfettamente da tempo perché è il leitmotiv di tutte le nostre audizioni. Prendiamo atto che forse lei non è nella condizione di dircelo.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Mi dispiace, presidente, ma non è che Cassini mi telefona per dire che sta arrivando in Italia e io mi metto in moto. Per fare che cosa? Gli ordini io li prendo dal direttore del servizio!

PRESIDENTE. Però, prima, a proposito della telefonata di Cassini, lei ha detto: «Probabilmente voleva che io potessi essere coinvolto».

LUCA RAJOLA PESCARINI. Ma no, io ricevo ordini dal direttore del servizio!

PRESIDENTE. Ma lei sapeva che Cassini aveva avuto disposizioni dal Vicepresidente del Consiglio.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No!

PRESIDENTE. Come, non lo sapeva?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Assolutamente no!

PRESIDENTE. Era notorio.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No!

PRESIDENTE. Era notorio! La stampa aveva pubblicato la notizia che Veltroni aveva dato disposizioni a Cassini di fare tutto il possibile per stabilire come fossero andate le cose.
Do adesso la parola all'onorevole Bulgarelli.

MAURO BULGARELLI. Grazie, presidente. Generale, vorrei tornare su quanto ci ha raccontato a proposito del fondamentalismo. Lei ha parlato di uno scontro vero e proprio, di una battaglia nella zona di Bosaso. Si riferiva all'attuale Presidente Yusuf?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, ad Abdullahi Yusuf.

MAURO BULGARELLI. Il sultano di Bosaso - precedentemente, in quel momento e dopo - che tipo di posizione assumeva rispetto al fondamentalismo?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sul sultano di Bosaso, onorevole, non posso essere preciso. So che il sultano di Bosaso è una persona generalmente ritenuta poco credibile negli ambienti somali. È un migiurtino, ha fatto il ministro cosiddetto della difesa di questo Governo di transizione ma, tutto sommato, non è considerato estremamente affidabile.

MAURO BULGARELLI. In quel periodo, se non sbaglio, si sono tenute le quattro conferenze per cercare un'unità all'interno dei diversi gruppi integralisti presenti nel mondo arabo: se non sbaglio, l'ultima si è tenuta a Khartoum, prima del lancio di fatto della jihad, verso la fine del novembre 1994.
In quel periodo molti hanno scritto di una presenza di Bin Laden in Somalia. Al riguardo, è in grado di dirci qualcosa?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Bin Laden, una volta andato via dall'Arabia Saudita, si recò in Sudan.

MAURO BULGARELLI. In che periodo?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Agli inizi degli anni novanta.

PRESIDENTE. Se posso integrare la domanda dell'onorevole Bulgarelli, da nostre notizie - di cui le chiediamo conferma - il sultano di Bosaso sarebbe stato persona cui faceva riferimento Bin Laden.


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LUCA RAJOLA PESCARINI. Come dicevo, Bin Laden è andato via dall'Arabia Saudita e si è recato in Sudan, dove è rimasto più o meno per un anno ed ha intrapreso tutta una serie di attività commerciali - che peraltro già aveva e aveva sviluppato, come la costruzione di strade, e così via - dopo di che soprattutto da parte dei sauditi (i quali non gradivano la presenza di Bin Laden in Sudan e gli avevano già ritirato il passaporto saudita) vi è stata una pressione sui sudanesi.
I sudanesi sono suscettibili alle pressioni saudite, perché hanno una fortissima emigrazione in Sudan e per questioni finanziarie. Quindi, Hassan al-Turabi - il Capo di Stato sudanese - invitò Bin Laden ad andarsene via e pare (è accertato) che Bin Laden abbia fatto un passaggio, un soggiorno in Somalia prima di andarsene in Afghanistan.

MAURO BULGARELLI. Sul passaggio di Bin Laden vi è anche un'informativa del Sismi o si tratta soltanto di una voce?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sono voci che probabilmente sono state raccolte e sono state oggetto di qualche situazione fatta dal Sismi a suo tempo.

MAURO BULGARELLI. Quindi, lei non aveva sentore del passaggio di Bin Laden o comunque di una conoscenza diretta delle persone che ha incontrato, come ad esempio lo Shek della prima corte islamica.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No. Guardi, la Somalia è grande due volte l'Italia.

PRESIDENTE. E per quanto riguarda i rapporti di Bin Laden col sultano di Bosaso?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Non ho nessuna prova e nessuna evidenza su questo tipo di rapporto. Dico - come tutti sanno - che il sultano di Bosaso è un uomo sufficientemente venale e poco attendibile. Quindi, può anche darsi che abbia avuto dei rapporti.

MAURO BULGARELLI. Però, considerato che vi è stata battaglia, può darsi che in quel periodo - o almeno nella seconda fase, dopo lo scontro - fosse più sotto il controllo di Yusuf o che, comunque, facesse buon viso a cattiva sorte.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, il Puntland non è mai stato completamente controllato da Abdullahi Yusuf; neanche adesso lo è. Addirittura, hanno sequestrato la moglie di Abdullahi Yusuf, mentre si spostava da una parte all'altra! Insomma, è un paese fuori controllo.

MAURO BULGARELLI. Un'altra questione riguarda i campi di addestramento. Li può collocare meglio, da un punto di vista temporale? Inoltre, vorrei sapere se su questi campi di addestramento vi sia stata una informativa del Sismi chiara, ad esempio rispetto al campo di Marka.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Per quel che ricordo - stiamo parlando di dieci anni fa e va considerato che mediamente vedevo centomila atti all'anno, quindi non posso ricordarli tutti -, sicuramente agli atti del Sismi vi sono le informative che avevamo prodotto allora.
Vi è anche la mappatura dei campi. La regione di Bosaso è semidesertica; in una parte prospiciente al mare vi sono delle montagne alte 3 mila metri, senza strade. Lì, ci avevano detto, sono stati ubicati alcuni di questi campi. Un altro campo - dove sembra che vi fossero degli istruttori arabi -, che pure avevamo segnalato, era nella zona di Ras Hafun, dove erano le vecchie saline italiane. Poi, vi è quella zona di cui ho parlato prima, presso il confine etiopico, nonché quella al confine con il Kenya.

MAURO BULGARELLI. Vorrei farle una domanda relativa al primo gesto ostile antiamericano, che se non sbaglio fu compiuto il 18 novembre 1992 e fece diciotto


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morti, poi rivendicato - ma mai direttamente - dai fondamentalisti. I cicli storici sono assai curiosi: oggi si parla del fondamentalismo islamico e ieri erano i nostri alleati o, quantomeno, erano da noi finanziati in funzione antisovietica, fino al 1989 - in Afghanistan - e poi a seguire. E Bin Laden sicuramente aveva degli affari diretti anche con molti rappresentanti del Governo americano.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, tra la famiglia di Bin Laden e tutto il vertice americano attuale.

MAURO BULGARELLI. Esatto, a partire da Dick Cheney, e così via. Questo è molto chiaro, anche rispetto all'Afghanistan. Dunque, vorrei sapere da lei quando è che avete avuto sentore - naturalmente, come Sismi - del cambio di atteggiamento nei confronti degli americani, che portò anche a gesti di ostilità visibile nei loro confronti, e se vi sia una informativa al riguardo.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Il cambio di atteggiamento è stato dopo i primi sei mesi. Gli americani, quando sono arrivati, si sono sistemati in un compound della Conoco. La Conoco è una compagnia petrolifera americana che operava in Somalia e il cui responsabile era Osman Ato. Questi era il grande finanziatore di Aidid. Quindi, quando gli americani sono arrivati - come nella storia americana - erano sotto l'egida o affiancati a quella compagnia petroliferia e il responsabile era l'ammiraglio Howe, di cui si è tanto parlato, che non era precisamente un amico nostro.

PRESIDENTE. Il capo di Unosom?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, il capo di Unosom.

PRESIDENTE. E non era amico nostro?

LUCA RAJOLA PESCARINI. È quello di Sigonella. Dunque, si è rotto l'idillio fra americani e Aidid quando, ad un certo punto, gli americani hanno imposto ai pakistani di andare ad occupare la stazione radio di Aidid (perché volevano sopprimere tutte le stazioni radio). Il gruppo habar gidir che abitava in quella zona e che presidiava la radio ha compiuto la strage dei pakistani. In quel momento si è rotto l'incanto, poiché gli americani hanno reagito con gli elicotteri, gli aerei e gli altri mezzi.

ELETTRA DEIANA. Hanno reagito all'americana.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, hanno reagito all'americana. Se è per questo, hanno sparato anche su di me, gli americani, con gli elicotteri, quando sono andato a trattare per il check-point Pasta. E lo sapevano. E ci sono stati settanta morti e tre giornalisti uccisi.

MAURO BULGARELLI. Si è parlato di corte islamica; sappiamo che le corti islamiche, in generale, non sono presenti soltanto in Somalia, ma sono state istituite in mezzo mondo. Spesso, svolgono una funzione di governo locale parallelo al governo ufficiale, un po' come è avvenuto con la religione cattolica tra gli italiani: anche i dieci comandamenti hanno avuto la funzione - naturalmente, partendo da un'altra cultura - di regolare la società.

LUCA RAJOLA PESCARINI. È un po' di più del cattolicesimo, perché l'Islam è obbedienza, è la regola.

MAURO BULGARELLI. Però, vi sono pure delle fasce di integralismo cattolico; e il fondamentalismo non è tutta la società islamica. Sono due culture completamente diverse da questo punto di vista, che però hanno convissuto per millenni senza alcun problema.
Tornando alla questione in discussione, in quale momento - le chiedo uno sforzo di memoria da un punto di vista cronologico, temporale - vi è stata l'evoluzione della corte islamica da espressione di una comunità (con riferimento alle regole interne)


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a quella che può essere un'arma impropria nelle mani del fondamentalismo?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Onorevole, non è un'arma impropria, bensì un'arma propria: man mano che Ali Mahdi decadeva e perdeva potere, le corti islamiche crescevano. E crescevano in grazia dei finanziamenti che arrivavano. Il problema è che l'Islam è all'offensiva, è alla conquista territoriale dei paesi, e per questo investono su tale obiettivo.

MAURO BULGARELLI. In quale anno colloca il momento più alto di questo processo?

LUCA RAJOLA PESCARINI. A partire dal 1994-1995, man mano che decadeva quell'altro potere; anche perché era finito l'effetto perverso di Unosom.
Qual è stato l'effetto perverso di Unosom? Che abbiamo riempito la Somalia di dollari: una casa veniva affittata a 25 mila dollari al mese, un uomo della scorta costava cento dollari al giorno; una volta che tutto questo è finito, è stato molto più facile, per quegli altri, entrare con il Corano e con il kalashnikov.

MAURO BULGARELLI. È chiaro: è un'operazione di mercato, da questo punto di vista.
Un'altra domanda: c'erano rapporti tra l'ambasciatore Scialoja e la corte islamica nata a Mogadiscio?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, non credo.

OMISSIS

Questa parte del resoconto stenografico è stata segretata con delibera della Commissione del 2 febbraio 2005.

A proposito del fondamentalismo, vorrei citare un recente episodio. A Mogadiscio vi era una cattedrale cristiana cattolica, che era la copia del duomo di Cefalù e che - come mi hanno spiegato i somali - era stata fatta costruire con il lavoro coatto, all'epoca di Cesare Maria De Vecchi. Monsignor Colombo, che era mio amico, si è fatto seppellire a Mogadiscio: fu ucciso sul sagrato perché il suo vicario stava traducendo i Vangeli in somalo (questo avviene negli ultimi giorni di Siad Barre).
L'ultima volta che sono stato a Mogadiscio sono andato a vedere: hanno scoperchiato le tombe e hanno sparpagliato le ossa - quello che rimaneva - dei poveri morti che vi erano sepolti; in più, hanno fatto saltare la cattedrale con la dinamite.

MAURO BULGARELLI. Quando è stato lì, l'ultima volta?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Nel 2002. Questo è un indizio del fondamentalismo.

MAURO BULGARELLI. La ringrazio, non ho altre domande da fare.

PRESIDENTE. La parola all'onorevole Deiana.

ELETTRA DEIANA. Generale, vorrei che ci dicesse qualcosa di più sui rapporti tra gli italiani e gli americani. Esistevano elementi di ostilità da parte degli americani nei confronti degli italiani?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, esistevano certamente.

ELETTRA DEIANA. Che tipo di ostilità?

LUCA RAJOLA PESCARINI. L'elemento più evidente di questa ostilità si ebbe quando vi furono i morti al famoso check-point Pasta e gli americani imposero al contingente di fare il recupero di forze, il che significava una strage di italiani e di somali. Quello, credo, fu il momento culmine di questo tipo di ostilità. Ma è chiaro che non ci avevano mai voluto perché, come ho detto in premessa, avevamo due concezioni diverse: noi volevamo ricostruire la Somalia e loro...


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ELETTRA DEIANA. Volevano frammentarla: era un'ostilità di tipo politico-strategico rispetto al controllo della zona, esatto?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Certamente.

ELETTRA DEIANA. Quel che vorrei sapere è se ci siano stati atti concreti di ostilità. Come lei saprà, abbiamo appurato che vi sono due rapporti degli ufficiali italiani dell'Unosom. Abbiamo fatto molta fatica a stabilire che effettivamente erano due rapporti e non l'uno la nota funzionale al secondo.
Si tratta - ma non casualmente - di due informative, perché l'una va allo stato maggiore dell'esercito, l'altra ai responsabili dell'Unosom. Quella destinata alle autorità italiane parla di ostilità, di voci raccolte che adombrano una responsabilità anche americana; ma questa parte, invece, risulta espunta dall'informativa diretta all'Unosom. Ovviamente, abbiamo appurato che era necessario fare così per ragioni diplomatiche, è evidente. Lei sa qualcosa di più concreto al riguardo?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, perché io non trattavo con Unosom e non trattavo nemmeno con gli americani.

PRESIDENTE. Questi rapporti, però, vengono trasmessi anche al Sismi.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, ma - è il discorso che abbiamo già fatto - vanno alla divisione che fa la situazione, non a me che devo fare la ricerca sul campo.

PRESIDENTE. Siamo proprio sfortunati, insomma.

ELETTRA DEIANA. È fantastico!

LUCA RAJOLA PESCARINI. Io ho avuto una prova provata dell'ostilità quando mi hanno sparato addosso. E questo lo posso dire.
Ero andato a parlare con Aidid per la restituzione del check-point Pasta, evitando scontri. Devo dire che Aidid aveva accettato questa ipotesi, tenuto conto che il Governo italiano - in quel momento, lui era isolato - avrebbe aiutato la ricostruzione, e così via. Mi aveva dato appuntamento alle dieci del giorno successivo in un certo ufficio, in una casa dove era il suo Governo, in quanto mi avrebbe consegnato una lettera per il Governo italiano. C'era da passare la famigerata linea verde. Ad un certo punto, alle dieci meno un quarto, ho visto due elicotteri in orbita stazionaria sulla zona dove sarei dovuto andare; allora, mi sono fermato e ho aspettato: alle dieci e sette minuti - gli americani sapevano che alle dieci avevamo appuntamento - hanno attaccato quella casa: vi sono stati settanta morti tra il Governo di Aidid.
Mi hanno spiegato, dopo, che era stato un caso. E io devo credere che è stato un caso.

PRESIDENTE. Però, in queste informative - dove, appunto si fa differenza a seconda della destinazione delle informative stesse - si ipotizzano mandati provenienti da personalità americane o ad esse collegate e si fa anche riferimento all'attentato ai danni di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Comunque, voi eravate sicuramente a conoscenza di queste informative - perché risultano trasmesse anche a voi del Sismi - ma anche qui la trafila si ferma.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Non arrivavano a me.

PRESIDENTE. No, a voi sono arrivate, ma non erano di vostra competenza.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Arrivavano alla situazione e allo stato maggiore.
A proposito di americani, un anno dopo vi è stato l'attacco a Carmen Lasorella, in cui è morto il povero Palmisano; io dovevo andare a coprire, un'altra volta, il ripiegamento del contingente italiano e pakistano e riuscimmo a ritirarci senza colpo ferire perché facemmo quello che gli americani non volevano. L'ambasciatore si


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chiamava Simpson e avemmo, come si suol dire, un'accesa discussione. Appena mi vide, lui mi disse: «Io sono qua per tutelare gli interessi della Dole», ovvero della compagnia bananiera, al che gli risposi: «Guardi, io sono qua per tutelare gli interessi del Governo italiano, che non hanno niente a che fare con le banane». Questa fu la premessa. Per cui, voglio dire, un certo frammischiamento fra interessi economici e interessi politici negli altri paesi c'era, mentre noi avevamo un compito diverso.

PRESIDENTE. Ha mai riflettuto - a livello delle sue competenze, che mi sembrano sempre più limitate - su un possibile rapporto tra l'aggressione ai danni di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e il check-point Pasta?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, non credo. L'episodio del check-point Pasta fu dovuto ad un nostro errore: sempre sotto la spinta della pressione americana a recuperare il check-point Pasta, il contingente impiegò la cosiddetta polizia somala abgal, in avanti, e dietro il contingente. Il check-point Pasta era tenuto dagli habar gidir. A quel punto, la reazione fu contro quelli dell'altra tribù e, di conseguenza, coinvolse il contingente.

PRESIDENTE. Sì, ma di morti somali ce ne furono tanti.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Anche morti italiani.

PRESIDENTE. Ma i morti somali venivano messi a carico degli italiani?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Non credo che venissero messi a carico degli italiani in quanto, pur avendo gli elicotteri e i carri armati, non ci fu una reazione decisa e pesante da parte italiana.

PRESIDENTE. E allora, quella non poteva essere una ritorsione nei nostri confronti?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Che nel finale ci fosse un sentimento anti-italiano, questo è certo.

PRESIDENTE. Da parte degli americani e dei somali. Ma gli americani erano già andati via?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Gli americani stavano andando via. Il risentimento iniziale era nei nostri confronti per le ragioni che le ho detto, tant'è vero che ci chiamavano «mafiani», cioè mafiosi italiani.

PRESIDENTE. E il risentimento si aggrava, al momento della partenza?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, al momento della partenza erano aumentato, per il solito discorso delle cattiverie fatte dai militari italiani - che, come ha detto la commissione Gallo, era vero fino ad un certo punto; certamente, qualche cattiveria c'era stata - e per il contenzioso sui danni. So, infatti, che c'era stata una pletora di richieste di danni. Nella nostra ottica, che si fosse uccisa una capra o una gallina, al passaggio di un'autoblindo, era un fatto secondario. Per il somalo, invece - e secondo la diya, la legge del sangue -, bisognava pagare. Però, a quel punto, l'armata si ritirava, lasciandosi dietro una coda di richieste.

PRESIDENTE. Parliamo dell'hotel Hamana: l'ha mai visto, vi è mai stato?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No.

PRESIDENTE. Non sa neanche dove sia?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, so dov'è perché l'ho visto sulle carte, ma non l'ho mai frequentato.

PRESIDENTE. Avete mai avuto notizie attorno a quell'hotel?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No.


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PRESIDENTE. Non sa se fosse veramente e soltanto un hotel oppure qualcos'altro?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No.

PRESIDENTE. Parliamo, adesso, di Giancarlo Marocchino. Cosa sa, al riguardo?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Marocchino...

PRESIDENTE. Lo conosceva?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No. L'avrò intravisto una volta, sul piazzale, mentre trasportava le cose. Ma ai miei uomini, che si avvalevano di Marocchino - come ho saputo poi - per la parte logistica, diedi la direttiva che la ricerca doveva essere fatta fra i somali e negli ambienti somali. Come regola generale, e non solo per la Somalia, non ho mai voluto che i miei si mettessero in contatto con italiani all'estero, perché così sarebbe molto comodo ma, soprattutto, perché gli italiani che sono all'estero stanno lì per motivi loro, che non coincidono con i nostri; a noi interessa sapere quello che succede nel paese, non quello che gli italiani raccontano, di seconda o terza mano.

PRESIDENTE. Lui aveva una struttura non indifferente.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Marocchino aveva una struttura non indifferente perché, all'atto del reimbarco, della partenza, aveva rastrellato tutti i mezzi pesanti che la Salini e le altre ditte avevano lasciato in Somalia.

PRESIDENTE. I vostri uomini, i vostri riferimenti non si sono mai serviti di queste strutture?

LUCA RAJOLA PESCARINI. I miei due uomini, Tedesco e compagni, si servivano di Marocchino come se ne servivano l'ambasciata e il contingente - vi sono le fatture - per approvvigionarsi di nafta o altre cose del genere.

PRESIDENTE. Ha conosciuto Giovanni Porzio?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, l'ho conosciuto perché abbiamo convissuto per un certo periodo nella stessa casa, quando c'era Augelli, i famosi venti giorni...

PRESIDENTE. Porzio ha dichiarato - ma lei lo smentisce, da quel che capisco - che con Marocchino, invece, vi conoscevate.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, dice una cosa che non è esatta.

PRESIDENTE. Le leggo, ora, le dichiarazioni rilasciate da Marocchino al dottor Ionta in data 21 luglio 1999: «Voglio premettere che nell'ambito del contingente Unosom c'erano rapporti piuttosto difficili tra il contingente italiano e quello statunitense. È cosa nota che, anche prima dell'arrivo del nostro contingente, c'era più di qualche perplessità fra gli americani ed anche da parte del generale Aidid sull'opportunità della nostra presenza in Somalia. So che prima dell'arrivo del contingente in Somalia, da Aidid sono andati il generale Rajola»...

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, è vero.

PRESIDENTE. ... «l'avvocato Duale»...

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, non è vero.

PRESIDENTE. ... «un ammiraglio italiano, un generale ed altri militari per parlamentare l'arrivo del nostro contingente in Somalia».

LUCA RAJOLA PESCARINI. Dice una cosa che non è esatta, in quanto io sono andato due notti a parlare con Aidid, da solo, accompagnato da Osman Ato, dopo di che siamo andati con Augelli, con


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l'ambasciatore. Marocchino non l'avevo mai visto né sentito, in quel momento.

PRESIDENTE. Leggo ancora: «Io ho accompagnato personalmente questa delegazione dal generale Aidid, ma non ho assistito ai colloqui».

LUCA RAJOLA PESCARINI. Ecco, se lui poi ha fatto un'altra operazione con Duale, questo lo disconosco assolutamente. E anche questo mi darebbe molto fastidio, perché sarebbe una cosa fatta alle mie spalle.

PRESIDENTE. Sarebbe la struttura parallela che lavora.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Appunto.

PRESIDENTE. Quindi, è vero che esistono i servizi paralleli!

LUCA RAJOLA PESCARINI. Io vorrei che esistessero...

PRESIDENTE. Ebbene, oggi abbiamo appreso per la prima volta, da un esponente autorevole dei servizi...

LUCA RAJOLA PESCARINI. Che qualcuno ha fatto qualche cosa...

PRESIDENTE. ... che esistono i servizi paralleli. Sembrava una cosa giornalistica, invece è la verità.
Leggo ancora: «Poco tempo dopo questa riunione, il contingente italiano è arrivato in Somalia. Voglio dire che gli italiani sono sbarcati nella zona controllata da Ali Mahdi, la zona nord di Mogadiscio, ossia il porto vecchio, mentre gli americani hanno occupato l'aeroporto ed il porto nuovo. Un altro incontro dopo l'arrivo degli italiani, tra i nostri militari e Aidid, è stato fatto successivamente. Anche stavolta era presente l'avvocato Duale, credo Rajola e l'ambasciatore Augelli; dopo questo incontro, l'ostilità di Aidid verso gli italiani è cessata».

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, probabilmente ha assommato altre cose. È vero che il contingente italiano è sbarcato al porto vecchio - che è settore di Ali Mahdi - perché gli americani, che assegnavano le zone, ci hanno fatto sbarcare là. E le dirò di più: quando è sbarcato il San Marco, che aveva le sue regole di ingaggio - che prevedevano che dovevano entrare nelle case dei somali per fare perquisizioni ed ispezioni -, lo abbiamo evitato, perché sarebbe stato farsi sparare addosso. E con un notevole gruppo di ex poliziotti somali in divisa e con i miei due assistenti, abbiamo fatto da filtro, in modo che il San Marco è sbarcato, ha preso terra, non c'è stato il primo incontro con i somali: ci hanno tirato qualche bullone ma, insomma, meglio i bulloni che i colpi di kalashnikov!

PRESIDENTE. Il 24 maggio 1999, davanti alla corte d'assise di Roma, lei ha qualificato Marocchino come «un trafficante». Di che cosa?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Di tutto: Marocchino vendeva dalla pasta alla nafta...

PRESIDENTE. Anche armi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Di questo non ho prove provate, non posso dirlo.

PRESIDENTE. «Di tutto» significa anche le armi, no?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Per quel che risulta a me...

PRESIDENTE. Ecco, a lei che cosa risulta?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Che lui forniva il contingente e l'ambasciata, faceva gli sbarchi per conto di Unosom ed è un uomo che vive facendo commerci.

PRESIDENTE. Le faccio una domanda precisa. In precedenza, lei ha parlato di forniture. Poi, abbiamo capito che le forniture sono forniture di armi.


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LUCA RAJOLA PESCARINI. Anche.

PRESIDENTE. Anche di armi, dunque. Però, prima lei ha distinto tra fatti economici e forniture. Le forniture, ha detto, sono di armi: ora l'ho capito anch'io, il vostro linguaggio! Adesso le domando: le forniture delle quali lei parla con riferimento a Marocchino sono anche traffico di armi, per le sue consapevolezze?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Io non lo posso...

PRESIDENTE. Non lo può dire?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Non posso dire né «sì», né «no».

PRESIDENTE. Che cosa sapevate di Marocchino, al di là del lecito? Non ci interessano le cose nobili, bensì le cose non nobili.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Marocchino, come lei sa, era sposato con una donna del clan di Ali Mahdi e aveva un socio del clan di Aidid, quindi galleggiava tra queste due cose. Era diventato - per una certa fase - molto, molto ricco, comperando le proprietà che i darot, che avevano lasciato Mogadiscio, avevano abbandonato. Quale fosse la fonte delle sue ricchezze... certamente nel periodo Unosom ha guadagnato quel che ha voluto, perché tutti si appoggiavano a lui.

PRESIDENTE. Unosom significa cooperazione?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Anche cooperazione. Imbarchi e sbarchi erano fatti da Marocchino, il quale si era creato quel piccolo porto che si chiama El Maan, che, poi, non è un porto bensì una «baietta» aperta, che si trova a Mogadiscio nord.

PRESIDENTE. Lei, in precedenza, ha fatto il nome di Murri. Che cosa faceva? Era un imprenditore?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Murri era il più grande e il più ricco imprenditore italiano in Somalia prima del collasso del paese.

PRESIDENTE. Sa di traffici di armi da parte di Murri?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Io personalmente non lo so.

PRESIDENTE. Da parte del Sismi, però, ci sono informative che fanno riferimento al traffico, sia per quanto riguarda lui, sia per quanto riguarda Molinari.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Molinari non l'ho mai sentito.

PRESIDENTE. Sia per l'uno che per l'altro, però, vi sono informative in questo senso.
Lei sa che Marocchino è stato espulso dalla Somalia?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Marocchino fu espulso, poi è rientrato.

PRESIDENTE. Perché è stato espulso?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Fu espulso nel periodo del contrasto con gli americani.

PRESIDENTE. No. Non sa per cosa fu espulso? Non è a conoscenza di una perquisizione che è stata fatta a casa, nei locali di Marocchino?

LUCA RAJOLA PESCARINI. La perquisizione era stata fatta prima, all'epoca del generale Rossi.

PRESIDENTE. No, stiamo parlando di quando fu espulso.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Questo non lo ricordo.

PRESIDENTE. Marocchino fu espulso in relazione al rinvenimento - in esito ad


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una perquisizione - di armi di vario genere nella sua abitazione, nel suo compound. Dopo di che, a Roma si aprì un procedimento penale per traffico di armi, che naturalmente - come sempre accade nelle nostre indagini giudiziarie - si concluse con un'archiviazione, donde la riammissione in Somalia di Marocchino. Lei non è a conoscenza di tutte queste cose?

LUCA RAJOLA PESCARINI. So che è stato espulso, so che è rientrato e so che aveva una specie di armata personale di duecento uomini, con i quali forniva anche le scorte ai giornalisti. So che nel suo compound ospitava giornalisti. Tutti facevano riferimento a Marocchino.

PRESIDENTE. «Per quanto riguarda la posizione del cittadino italiano Giancarlo Marocchino, di cui si fa cenno a pagina 8 del rapporto del già citato ufficiale» - questa nota è del servizio informazioni - «pur non disponendo sul suo conto di riferimenti informativi che indichino una sua collusione con i materiali esecutori dell'omicidio, il soggetto è ampiamente noto in atti per essere stato oggetto di indagini avviate dalla procura di Roma, a seguito della sua espulsione dalla Somalia (provvedimento successivamente revocato) su disposizione di Unosom, perché sospettato di aver fornito armi al generale Aidid». È la vostra divisione, questa?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, non è la mia divisione. Questo è del direttore del servizio e non so da chi può averlo appreso; questo è di Pucci, direttore del servizio.

PRESIDENTE. Qui leggo: «Prima divisione».

LUCA RAJOLA PESCARINI. È la prima divisione, quella interna.

PRESIDENTE. Quindi, a lei non è arrivato questo documento.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No.

PRESIDENTE. Ma scusi, non era forse un documento che riguardava l'estero?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, ma queste erano notizie italiane riferite a questa storia. Noi, invece, acquisiamo notizie all'estero, sull'estero.

PRESIDENTE. Qui non risulta da chi.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, ma se è la prima divisione, sono sempre fonti italiane.

PRESIDENTE. Abbiamo trovato agli atti della procura di Asti una intercettazione telefonica effettuata il 20 dicembre 1997, tra Marocchino e tale Claudio Roghi (è un imprenditore artigiano, credo), nella quale Marocchino fa riferimento a contatti con tre uomini dei servizi e dichiara: «Due sono amici miei e uno, adesso, è passato generale, da colonnello è diventato generale». Lei conosce Roghi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, non conosco Roghi. Non so neanche chi possano essere i due.

PRESIDENTE. Il generale chi è?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Non lo so. Sicuramente non sono io.

PRESIDENTE. Perché? In che data lei è diventato generale?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Quando sono andato in pensione. Come sa, la legge 801 ci aveva bloccati.

PRESIDENTE. Agli atti della procura di Asti, esattamente in una dichiarazione resa in data 15 giugno 1999, Marocchino dichiara di aver avuto rapporti con due agenti del Sismi, i cui nomi in codice erano alfa e beta, inviati dal generale Rajola.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Queste sono fantasie, perché noi non abbiamo nomi in codice «alfa» e «beta». Gli uomini


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che stavano in Somalia, che erano quelli che si approvvigionavano da lui - lo so perché in tribunale mi hanno fatto vedere le ricevute per la fornitura di nafta - erano sempre Tedesco, Miccoli o quello che ho detto prima.

PRESIDENTE. Massitti.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, Massitti. Quindi, non c'era nessuna ragione perché si presentassero come «alfa» e «beta».

PRESIDENTE. Conosce Francesco Elmo?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No. Lo conosco nel senso che ho letto le carte e so chi è Francesco Elmo.

PRESIDENTE. Avete fatto qualche approfondimento su questo personaggio?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, presidente, perché gli approfondimenti in Italia non li facevo io. Se questo avesse fatto qualcosa all'estero...

PRESIDENTE. Conosce Mugne?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Di Mugne conoscevo il fratello, che era l'ammiraglio comandante della marina somala, nonché sottocapo di stato maggiore dell'esercito somalo; il quale, poi, è stato in Italia come rifugiato dopo il crollo del sistema, laggiù, poi è morto due o tre anni fa.

PRESIDENTE. Lei parla del fratello. Mugne, però, è vivo. Lo conosce?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, non lo conosco. Però so la storia di Mugne.

PRESIDENTE. Anche dei suoi rapporti con i pescherecci della Shifco?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, con i pescherecci della Shifco, che lui si è portato via e ha usato; credo che li stia ancora usando.

PRESIDENTE. Lei è stato sentito in corte d'assise, nel processo a carico di Hashi Omar Hassan. Il 24 maggio, parlando di Omar Mugne, dichiara: «Craxi direttamente lo aveva delegato per certi affari con la Somalia». Quali affari?

LUCA RAJOLA PESCARINI. La voce corrente è che Mugne - il quale aveva studiato in Italia, a Bologna - era poi andato in Somalia con l'Aquater, o qualche cosa del genere, e faceva da collegamento per questo tipo di transazioni. Però io prove provate di questi fatti...

PRESIDENTE. Che tipo di collegamento?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Era il referente...

PRESIDENTE. Di Craxi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Di questo gruppo di Milano.

PRESIDENTE. Lei ha parlato di Craxi, non del gruppo di Milano.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Pillitteri, Craxi, eccetera.

PRESIDENTE. Quindi, questo gruppo lo avrebbe direttamente delegato. Lei parla di Craxi come persona che direttamente aveva delegato Mugne per questi affari in Somalia. Questi affari sono la cooperazione, esatto?

LUCA RAJOLA PESCARINI. È la cooperazione, sì.

PRESIDENTE. Il fatto che Craxi fosse colui che materialmente e direttamente aveva dato tale incarico a Mugne da dove le risultava?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Queste erano voci di somali, chiaramente. Non avevo assistito all'investitura.


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PRESIDENTE. Ha avuto mai approfondito le modalità con le quali Mugne arriva ai pescherecci?

LUCA RAJOLA PESCARINI. È semplice. Una volta tornato in Somalia, grazie a questi suoi rapporti e al fatto che faceva da ponte con questi ambienti italiani che supportavano Siad Barre, ebbe la delega a gestire, tra le altre cose, tra le tante cose, anche i pescherecci della Shifco, che erano stati fatti con i soldi della cooperazione italiana.
Ma c'è ancora un precedente, perché questa storia dei pescherecci nasce con la cooperazione molto, molto prima, quando il senatore Pieraccini e la Sec di Viareggio, eccetera, incominciarono questo rapporto con i pescherecci della Somalia fornendo - sempre con i soldi della cooperazione - la prima serie. Questi della Shifco sono, credo, la seconda serie. Mugne, incaricato da Siad di gestire questo tipo di attività, quando è crollato il regime si è trasferito con i pescherecci in Yemen ed è rimasto là. E ha continuato a gestirseli in nome proprio.

PRESIDENTE. Voi avete seguito il traffico di armi tra Italia e Somalia? Avete accertato che tipo di traffico - anche nel senso di vendite: per carità, possono esserci sia traffici leciti sia traffici illeciti - vi fosse?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Il traffico di armi, quello grosso, era quello tra Governo e Governo, per la fornitura dei carri, e così via.

PRESIDENTE. Quello legale, diciamo.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, quello legale.

PRESIDENTE. E in termini di traffici?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Traffici illegali, per quello che risulta a me...

PRESIDENTE. Non ne avete trovati.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Io no. Può darsi che la struttura parallela del Sismi - che era quella deputata a questo - li abbia trovati.

PRESIDENTE. Anche per i rifiuti tossici c'era la struttura parallela?

LUCA RAJOLA PESCARINI. I rifiuti tossici erano competenza della struttura parallela. Me lo ha chiesto anche l'altra Commissione, nel 1995, nella quale c'erano l'onorevole Provera e l'onorevole Gritta Grainer; ripeto oggi quello che ho detto allora: cioè che, come mia impressione, fare 8 mila chilometri per andare a portare i rifiuti tossici in Somalia, dove non c'è un porto per sbarcarli, mi sembra un'impresa difficile, quando si sa che si caricano su delle carrette e si affondano al centro del Mediterraneo: è molto più veloce e più facile da fare.
Per quanto io sia stato in Somalia e per quanto l'abbia percorsa, anche con le Nazioni Unite - e lei sa quanto chiacchierino i somali -, nessuno mi ha mai parlato di questa storia.

PRESIDENTE. Ha conosciuto Sommavilla?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Lo conosco di nome. È un ex sacerdote.

PRESIDENTE. Solo di nome?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, solo di nome.

PRESIDENTE. Non sa che cosa facesse o di che cosa si interessasse?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Era uno che faceva più o meno opere buone, come Annalena Tonelli: è uno di quei personaggi dedicati alla Somalia.

PRESIDENTE. «I feriti della SNA ricoverati presso uno dei due ospedali della città» - è Tedesco che parla - «sono curati e assistiti personalmente da personale e medici dell'ONG italiana. Alcuni disordini si sono


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verificati davanti all'ingresso del porto quando si è diffusa la notizia tra i miliziani SNA che tale Sommavilla Elio, da tempo residente in Somalia, era entro l'area portuale. Il Sommavilla sarà evacuato in data odierna». Quindi, Tedesco ha una diversa concezione di Sommavilla.

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, Sommavilla era un po' come la Tonelli, uno di questi personaggi che si erano insabbiati in Somalia.

PRESIDENTE. Ha mai sentito nominare Giorgi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No.

PRESIDENTE. Tra i vari trafficanti di armi. Faduma l'ha conosciuta?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Faduma Aidid?

PRESIDENTE. Sì.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Certo, perché quando morì il generale Aidid noi eravamo scoperti sul settore Adid e volevamo arrivare ad Hussein Aidid, il fratello. Quindi, contattammo questa Faduma, che viveva in Italia. Andammo ad incontrarla insieme ad un mio collaboratore e lei ci chiese il riconoscimento come Presidente della Somalia per il fratello, per lei il riconoscimento come ambasciatrice della Somalia e ottanta milioni per pagare i suoi debiti in albergo. Chiaramente non potemmo aderire a nessuna delle tre richieste e finì praticamente il rapporto con questa Faduma, che è una persona poco attendibile e poco affidabile.

PRESIDENTE. Lei sa di alcune intercettazioni?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, quelle di Asti. L'ho letto in un libro.

PRESIDENTE. «Io ho notato, sai che io leggo i computer perché sono anche un po' (...), quel Duale là sta creando problemi al generale Rajola (...). Sta portando dentro i tribunali Torrealta qua e là. Quello è pazzo, lui vuole mettere trappola con Torrealta e generale Rajola. Allora io ho detto: no, questi signori sono quelli che hanno salvato la Somalia».

LUCA RAJOLA PESCARINI. La ringrazio.

PRESIDENTE. «Ho tutti gli scritti che ho portato per farti vedere. Ho difeso la Folgore, ho difeso il generale Loi». Lei conosce il generale Loi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Lo conosco, perché quando ci fu il check point Pasta andai giù e parlai con il generale Loi.

PRESIDENTE. È solo questa la ragione?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Sì, poi non l'ho più visto né sentito.

PRESIDENTE. Conosce Fiore?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Ci incrociammo quando io arrivavo e lui si stava imbarcando, stava partendo.

PRESIDENTE. Conosce Giovannini?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No.

PRESIDENTE. Sebri?

LUCA RAJOLA PESCARINI. L'ho conosciuto perché l'11 febbraio siamo ancora in tribunale dove lui è stato rinviato a giudizio ed io sono parte civile.

PRESIDENTE. Conosce Bulli?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, ho letto sui giornali in questi giorni.

PRESIDENTE. Non l'ha mai conosciuto?


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LUCA RAJOLA PESCARINI. Mai conosciuto e mai visto. Le mie pessime frequentazioni sono solamente relative a questo caso.

PRESIDENTE. Propongo di procedere in seduta segreta.
(Così rimane stabilito).

Dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno.

(La Commissione procede in seduta segreta).

PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno. Prego, onorevole Bulgarelli.

MAURO BULGARELLI. A proposito del sentore del posto, quando si parla di Marocchino, lei dice che è un trafficante, che non è lo stesso che commerciante. Sono due termini che hanno un valore ed un peso assolutamente diversi, credo, all'interno di qualsiasi linguaggio. Cosa si diceva di Marocchino? Non tanto quello che lei sa direttamente di Marocchino, ma cosa si diceva di lui a Mogadiscio.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Lei ha ragione quando distingue fra commerciante e trafficante. Il commerciante è in Italia, in Africa c'è il trafficante. Lui ha avuto una quantità di problemi, ha avuto una mina sulla strada, ha avuto problemi perché le cose che arrivavano, mandate da Unosom alle Nazioni Unite, non arrivavano tutte, e così via. «Trafficante» è un termine più idoneo a chi sopravvive in quelle circostanze.

MAURO BULGARELLI. Non ha risposto. L'altra domanda è la seguente: le risulta che qualcuno del contingente italiano sia rimasto a lavorare con Marocchino dopo che il contingente si era ritirato?

LUCA RAJOLA PESCARINI. È una voce. Avrebbero aperto una specie di società che produce farmaceutici.

MAURO BULGARELLI. Cosa vuol dire?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Lei sa che in Africa fra i tanti scandali c'è quello dei farmaceutici.

MAURO BULGARELLI. Assolutamente.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Uno dei piccoli scandali è che in Somalia hanno inventato una società, soi-disant, che assembla delle polveri che poi vengono messe sul mercato e sono dei farmaceutici. Mi hanno detto che uno di quelli che cooperano in quest'attività è un ex militare del contingente, ma non so dirle né come si chiami né che cosa faccia, però mi è arrivata voce che hanno avviato quest'attività.

MAURO BULGARELLI. Quindi, l'hanno avviata Marocchino e questa persona probabilmente ex appartenente al contingente italiano.

ELETTRA DEIANA. Sono farmaci veri?

LUCA RAJOLA PESCARINI. A Mogadiscio i farmaci che arrivavano erano delle bottigliette con l'etichetta italiana; in Pakistan inventano i prodotti farmaceutici italiani e poi li vendono là. Questo succede a Mogadiscio e succede purtroppo in tutti questi poveri, disastrati paesi.

MAURO BULGARELLI. È il famoso «balsamo del Perù».

LUCA RAJOLA PESCARINI. Però il balsamo del Perù fa meno male.

PRESIDENTE. Lei ha conosciuto Li Causi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Certamente, era un mio collaboratore. Non era, come è stato detto, un maresciallo dei carabinieri; era un sottufficiale delle trasmissioni ed era alla famosa settima divisione.


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Quando venne fuori la storia del centro Scorpione a Trapani, si cercava qualcuno da mandare a Trapani...

PRESIDENTE. Stava a capo del centro Scorpione?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Capo nominale.

PRESIDENTE. Che significa?

LUCA RAJOLA PESCARINI. C'era un ufficiale in pensione che faceva da capo centro e Li Causi era quello che figurava come capo del centro Scorpione. Questo centro Scorpione andò in auge all'epoca dell'ammiraglio Martini, che ad un certo punto volle convertire il dispositivo di Gladio per attività interne, fra cui il contrasto alla mafia, e su questo poi sorse un problema politico perché noi non potevamo fare questo tipo di attività in Italia, ma questo venne fuori dopo.
Li Causi chiese di andare a Trapani perché era originario di Trapani, però, una volta che venne fuori questa storia, lo scandalo della settima divisione, il povero Li Causi fu additato, vennero fuori storie sui giornali, e così via. Io cercavo disperatamente gente da mandare a Mogadiscio...

PRESIDENTE. Lo chiese lui o ce lo mandaste voi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Un pomeriggio - ancora lo ricordo - lui venne da me e disse: io sono disponibile ad andare a Mogadiscio perché mi trovo in questa situazione, che mi ha creato anche problemi familiari.
Io chiaramente cercavo gente da mandare a Mogadiscio, perché dovevo avvicendare i miei. Ovviamente tutti volevano andare a Bruxelles, a Parigi, ma nessuno voleva andare a Mogadiscio e, quindi, accettai l'offerta del povero Li Causi e lui andò in rinforzo, anche perché il centro si era sdoppiato, aveva tre uomini a Balad e tre a Mogadiscio.

PRESIDENTE. Con quale incarico andò in Somalia? Per fare che cosa?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Era un addetto al centro, come lo era Tedesco e come gli altri che andavano là.

PRESIDENTE. Specificamente che doveva fare?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Contattare le fonti, compilare i rapporti, seguire l'attività del centro, quello che fanno tutti quelli che sono all'estero, sotto la responsabilità di un ufficiale, che era il capo centro.

PRESIDENTE. Chi era il capo centro?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Il capo centro era Giusti.

PRESIDENTE. Chi erano gli altri?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Oltre a Tedesco, c'era Catalani, se non sbaglio. Poi c'era Ivo Conti, che era quello che era sulla macchina assieme a Li Causi quando fu ucciso.

PRESIDENTE. Stava facendo indagini sul traffico di armi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Assolutamente no. Era un sottufficiale marconista; non era un carabiniere, come hanno scritto, niente di tutto questo.

PRESIDENTE. Le risulta che dovesse tornare in Italia per essere sentito dalla procura di Trapani, nei giorni successivi all'omicidio?

LUCA RAJOLA PESCARINI. No, questo non mi risulta.

PRESIDENTE. Lei sa se conoscesse Ilaria Alpi?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Assolutamente non lo so.


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PRESIDENTE. Il giorno in cui si verificò l'uccisione di Li Causi che cosa stava facendo? A quali compiti stava assolvendo?

LUCA RAJOLA PESCARINI. Lui, assieme a questo Ivo Conti, ad un ufficiale e ad un sottufficiale dell'esercito erano andati a Balad per contattare delle fonti. Al ritorno, al tramonto, su questa famosa strada imperiale, erano dietro un camion, uno dei soliti camion di somali carichi fino all'inverosimile. Questo camion fu fermato da un gruppo di armati, probabilmente per rubare, sequestrare o qualcosa del genere. Conti era al posto di guida e Li Causi era in piedi sul parabrezza. Ha preso una palla in testa e c'è rimasto.

PRESIDENTE. Lei sa che ci sono più versioni?

LUCA RAJOLA PESCARINI. So che ci sono più versioni, ma questa è la versione che io so, quello che ha detto Giusti.

PRESIDENTE. C'è qualcuno che invece pensa che si sia trattato di un agguato vero e proprio.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Un agguato a lui?

PRESIDENTE. No, un agguato nell'ambito del quale ...

LUCA RAJOLA PESCARINI. Non credo ad un agguato ad una macchina di militari italiana, perché la macchina italiana seguiva un autocarro carico di roba, con dei somali.
La storia di Li Causi la conosco bene, perché ho avuto l'ingrato compito di andare la notte ad avvisare la moglie e le figlie, che sono ancora disoccupate, se non mi dessi ogni tanto da fare per far fare loro qualcosa, e che ogni tanto mi telefonano quando in televisione viene fuori la storia del padre, il quale, tutto sommato, ci ha rimesso la pelle.

PRESIDENTE. Ci sono delle testimonianze, come quella che proviene da Fiore, dal colonnello Attanasio e dal colonnello Ventaglio - forse lo ha detto pure lui prima - secondo le quali con la collaborazione di Moallin Ismail Mohamed, capitano della polizia somala, sarebbe stato possibile arrestare i responsabili dell'omicidio Li Causi e che il capo centro della Somalia, Giusti, avrebbe bloccato questa operazione, non nel senso di non farla fare, ma nel senso che era una cosa della quale si dovevano interessare loro come centro Sismi. Lei che sa di questo?

LUCA RAJOLA PESCARINI. La storia di questo capitano somalo non la conosco. Sul fatto che Giusti potesse avocare a sé le indagini, assolutamente no. Non era né tenuto né qualificato.

PRESIDENTE. La ringraziamo e le chiediamo ancora scusa per il protrarsi dell'attesa.

LUCA RAJOLA PESCARINI. Non glielo posso dire in arabo, altrimenti mi etichetta fra i fondamentalisti, però gli arabi dicono: «Allah è con i pazienti». Lo diceva Slatin Pasha, che fu arrestato per tredici anni. Io ho letto le sue memorie; lui è sopravvissuto per tredici anni perché aveva una vecchia schiava che gli ripeteva: Allah è con i pazienti.

PRESIDENTE. Se avremo ancora bisogno di lei, la convocheremo. Dichiaro concluso l'esame testimoniale.

La seduta termina alle 21,35.

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