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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame testimoniale di Domenico Vulpiani.
Innanzitutto, ho il dovere - ma non è soltanto un dovere, è anche un rammarico - di chiedere scusa al dottor Vulpiani, da parte della Commissione e del suo presidente, in quanto, per una serie interminabile di ragioni lo abbiamo più volte convocato e messo in allerta, ma successivamente abbiamo dovuto purtroppo procedere a sconvocazioni; ciò a cagione del fatto - che forse nessuno conosce - che noi lavoriamo la notte in quanto, salvo che non si venga dichiarati in missione, abbiamo l'obbligo di partecipare ai lavori dell'Assemblea; soprattutto, nei giorni in cui lavora l'Assemblea di Montecitorio, c'è il divieto di tenere le sedute delle Commissioni parlamentari d'inchiesta.
Inoltre, si sono verificate alcune occorrenze - e nessuno meglio del dottor Vulpiani ci può comprendere, per aver dedicato la sua vita alle indagini e alle investigazioni -, delle situazioni di intreccio, l'una susseguente all'altra, che ci hanno costretto, prima di procedere alla sua audizione, a completare determinate indagini.
In conclusione, dottor Vulpiani, le chiediamo scusa; sappiamo dell'importanza del lavoro che lei svolge e che ha sempre svolto, con particolare riferimento al tema che ci interessa, per cui crediamo doveroso dargliene atto.
Detto questo, ho l'obbligo di avvertirla - anche in questo caso so bene che non ve ne è alcun bisogno - che in questo caso, contrariamente a quanto accade spesso presso le Commissioni parlamentari d'inchiesta, lei è sentito, come tutti coloro che l'hanno preceduta, nella veste di testimone e quindi con l'obbligo di dire la verità e di rispondere cortesemente alle domande del presidente e dei singoli commissari.
Intanto, le chiedo di dare le sue generalità e di dichiarare la sua residenza e l'attuale attività lavorativa.
DOMENICO VULPIANI. Presidente, io la ringrazio per le sue non dovute scuse: faccio parte dello Stato e quindi capisco perfettamente tutti i meccanismi; del resto, sono stato contemporaneamente convocato anche dalla Commissione giustizia, per una audizione informale, al fine di fornire chiarimenti tecnici riguardo ad un disegno di legge, che è in preparazione, contro la pedopornografia on line.
PRESIDENTE. Sì, lo abbiamo letto sul giornale.
DOMENICO VULPIANI. Anche quella Commissione si trovava nelle stesse difficoltà. Ciò premesso, sono comunque a disposizione della Commissione in qualunque momento, in qualunque orario, e la ringrazio per il suo discorso di premessa.
Io sono Domenico Vulpiani, sono attualmente dirigente superiore della Polizia di Stato; sono nato il 21 giugno 1952, sono residente a Roma, in via della Dataria al numero 21; attualmente ricopro l'incarico di direttore del servizio di polizia postale e delle comunicazioni.
PRESIDENTE. Dottor Vulpiani, nel 1997, esattamente nel mese di gennaio, lei era il responsabile della DIGOS presso la questura di Roma?
DOMENICO VULPIANI. Sì, ho iniziato il mio incarico di capo della DIGOS di Roma nel marzo 1996 e lo sono stato fino al gennaio 2001, momento in cui sono stato promosso dirigente superiore e mi è stato affidato un altro incarico.
PRESIDENTE. Nella sua veste, lei ebbe ad interessarsi dei fatti per i quali è stata costituita ed opera questa Commissione parlamentare d'inchiesta (mi riferisco all'omicidio di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin). Ciò risulta abbondantemente dagli atti da lei compiuti e dalla struttura di cui lei era a capo.
Le chiedo, innanzitutto, a chi lei affidò le indagini, per capire quale sia stata l'effettività del coinvolgimento. Glielo chiedo in quanto lei era il capo della DIGOS e, come avviene in tutte le situazioni di alta dirigenza, è chiaro che si può affidare un determinato caso ad un determinato funzionario ed essere informati per quanto di ragione oppure si può procedere personalmente, sempre e comunque al compimento degli atti.
DOMENICO VULPIANI. No, sin dal momento in cui siamo stati interessati effettivamente di questo caso - infatti, fino all'arrivo di una certa delega nell'ottobre 1997, non avevamo un interesse su questa indagine se non per attività di routine - ho affidato l'incarico al dottor Lamberto Giannini, all'epoca commissario capo, adesso primo dirigente e attuale dirigente della DIGOS di Roma.
PRESIDENTE. Che significa «affidato»?
DOMENICO VULPIANI. Ci fu un momento, nell'ottobre 1997, in cui ci arrivò, tramite la direzione centrale della polizia di prevenzione (da cui le DIGOS italiane dipendono), una delega della procura di Roma per sentire un testimone che asseritamente aveva assistito ai fatti. Il nome esatto, se ricordo...
PRESIDENTE. Poi ne parliamo, dottore; adesso mi interessa soltanto il fatto storico. Questo, dunque, fu il punto di partenza della DIGOS di Roma.
DOMENICO VULPIANI. Sì, il punto di partenza. Ovviamente, non ricordo esattamente il tenore della telefonata precedente, comunque ci fu conferita la delega, che ricordo esattamente, di sentire quel testimone.
PRESIDENTE. In precedenza, avevate avuto sentore di questa vicenda? Ve ne eravate interessati a qualche titolo?
DOMENICO VULPIANI. No. esisteva un fascicolo presso la DIGOS, nato al momento dell'omicidio di Ilaria Alpi.
PRESIDENTE. Nel marzo 1994, quando furono uccisi i due giornalisti, lei non era alla DIGOS. È così?
DOMENICO VULPIANI. Non ero alla DIGOS. Per quello che so, per quello che ricordo, esisteva un fascicolo; infatti, come lei sa, trattandosi di un omicidio commesso all'estero, è competente la procura di Roma; e la DIGOS di Roma, in genere, viene coinvolta in tutte le vicende che hanno un aspetto più o meno politico o, comunque, un aspetto non chiaramente classificabile.
PRESIDENTE. Ci stava dicendo che lei dette l'incarico al dottor Giannini.
PRESIDENTE. Nel quale, ovviamente, lei riconosceva le doti necessarie per portare avanti questo caso, però sulla base di una delega, di un input intervenuto dalla procura di Roma.
DOMENICO VULPIANI. Sì, firmato dal dottor Ionta e dal procuratore capo.
PRESIDENTE. Al di là di questo atto - e, comunque, anche considerando questo atto - il suo interessamento personale l'ha vista artefice di atti o di attività investigative puntuali, specifiche, concrete oppure questa delega è stata esercitata totalmente, pur sotto il suo controllo, dal dottor Giannini?
DOMENICO VULPIANI. L'attività investigativa concreta, in termini di atti, per la gran parte l'ha svolta il dottor Giannini. Io ho partecipato ad un atto in prima persona; raramente il capo della DIGOS effettua interrogatori o atti in prima persona.
PRESIDENTE. Si riferisce all'interrogatorio dell'ambasciatore Cassini?
DOMENICO VULPIANI. Sì, mi riferisco all'interrogatorio dell'ambasciatore Cassini.
PRESIDENTE. Anche questo argomento, adesso, lo posterghiamo.
DOMENICO VULPIANI. Questi sono i ricordi più vivi che ho di questa vicenda, che riguardano l'arrivo di quel testimone, il quale ci raccontò qualcosa che però, investigativamente, non poteva avere un seguito immediato in quanto ci disse che aveva solo assistito ai fatti.
PRESIDENTE. Il dottor Giannini la teneva informata dell'andamento dell'inchiesta, delle possibili novità, dei rapporti con le altre autorità - se ci sono stati - oppure era totalmente delegato?
DOMENICO VULPIANI. Nella gran parte dei casi, i momenti topici di tutte le indagini passano per il capo della DIGOS. Poi, se si tratta di sentire dieci testimoni, di effettuare un'intercettazione telefonica, fare una richiesta al PM, queste cose le fa direttamente il funzionario, con autonomia di delega; consideri che io avevo dodici funzionari all'epoca, che dipendevano da me...
DOMENICO VULPIANI. ...e ognuno di loro aveva un incarico. Ecco, Giannini aveva un incarico particolare: seguire tutte le indagini delicate, tant'è vero che ha seguito tutte indagini abbastanza note: con lui - e con il mio vice dirigente, che era allora il dottor Belfiore - abbiamo fatto tutte le indagini importanti della DIGOS.
PRESIDENTE. Ci sono stati funzionari della direzione centrale della polizia di prevenzione - ex UCIGOS - con i quali siete stati in contatto e che hanno in qualche modo operato all'interno dell'indagine, o a ridosso o intorno all'indagine?
DOMENICO VULPIANI. Come rapporti di vertice, avevo rapporti innanzitutto con il direttore, all'epoca era il prefetto Ansoino Andreassi, e con il capo servizio, il prefetto Carlo De Stefano, attuale capo dell'UCIGOS. Con loro, parlavo ovviamente di tutti gli aspetti che riguardavano la DIGOS.
PRESIDENTE. Non era Giannini a tenere i rapporti con il dottor Andreassi e con il dottor De Stefano?
DOMENICO VULPIANI. No, i rapporti di vertice li tiene il capo della DIGOS. Poi, con il procuratore capo parla il capo della DIGOS e, ovviamente, i sostituti parlano con i funzionari.
PRESIDENTE. Nei limiti del ricordo, salvo consultare gli atti se saranno necessari approfondimenti, lei ricorda delle attività, delle occorrenze nelle quali il dottor Andreassi o il dottor De Stefano abbiano avuto una parte di rilievo, un ruolo importante?
DOMENICO VULPIANI. Sapevo che avevano in corso un'attività investigativa riguardante il caso Alpi con la DIGOS di Udine, prima dell'arrivo del testimone; un'attività che veniva fatta autonomamente con il contributo della DIGOS di Udine, con la direzione centrale della polizia di prevenzione e con il sostituto procuratore.
PRESIDENTE. Quindi, questo rapporto non è passato per voi.
DOMENICO VULPIANI. Non è passato direttamente con noi. Poi, qualche cosa ci
è stata trasferita, in termini di trasmissione di atti, però adesso non ricordo quanti di questi atti, ma penso che sia avvenuto, probabilmente, anche dopo che abbiamo iniziato.
Noi abbiamo preso in mano la situazione in occasione della prima delega, che è avvenuta nell'ottobre 1997. Precedentemente, avevamo notizie molto estemporanee su quel che avveniva presso la DIGOS di Udine. Il collega della polizia di prevenzione era un commissario capo che aveva rapporti direttamente con Giannini; doveva essere il dottor La Vigna, lo ricordo bene perché quella sera venne con me al Ministero degli esteri.
La delega prevedeva che fossimo noi ad interrogarlo, ma la procura aveva scritto alla direzione centrale della polizia di prevenzione, poi a noi. In effetti, siccome il fatto era accaduto all'estero e c'erano implicazioni all'estero, era ovvio che fosse coinvolta anche la polizia di prevenzione, che ha dei canali con l'estero direttamente. Noi non possiamo interloquire se non con canali istituzionali. Non possiamo chiamare l'FBI direttamente. Per chiamare l'FBI, bisogna passare attraverso la polizia di prevenzione o attraverso l'Interpol. Per noi, il nostro referente, che ha dei canali diretti, è la polizia di prevenzione, che ha dei canali anche informali più diretti rispetto all'Interpol.
Io vengo dalla polizia di prevenzione; prima di diventare capo della DIGOS di Roma sono stato per dieci anni, dal 1987 (anzi dal 1984, perché per tre anni ho fatto il bodyguard) al 1996, all'antiterrorismo: mi occupavo di terrorismo di destra. Insomma, vi erano rapporti continui con la polizia di prevenzione, soprattutto perché si trattava di uno Stato estero.
PRESIDENTE. Uno Stato per modo di dire.
DOMENICO VULPIANI. Infatti, la prima testimonianza ci lasciò un po' sconcertati, perché non avevamo strumenti neanche per poter pensare di andare in Somalia a prelevare quella persona e non avevamo una identificazione certa.
PRESIDENTE. Ecco, questa è una parentesi che apro volentieri. Non dico che siamo rimasti sorpresi, ma comunque abbiamo preso atto con una certa curiosità che non si sia ritenuto di dover compiere in Somalia una sola attività di indagine!
Le faccio questa premessa perché, ad esempio, l'ambasciatore Cassini - che abbiamo sentito recentemente - ha manifestato una certa meraviglia per il fatto che si nutrissero preoccupazioni ad andare in Somalia per capire come stessero le cose, per contattare le persone (le faccio un nome per tutti: un certo Washington, una personalità pubblica che ha avuto un certo ruolo, sul quale poi magari torneremo). L'ambasciatore Cassini ha sottolineato alla Commissione la sua sorpresa e ha dichiarato di non capire per quale ragione non si fossero istituiti i necessari contatti. Le dirò di più: informalmente, lo stesso ambasciatore Cassini si è messo a disposizione della Commissione e altrettanto sollecitamente ha istituito proprio in queste ore il contatto con questo importante perno per alcuni possibili approfondimenti.
Tra l'altro, è vero che il contingente italiano era andato via nel mese di marzo, ma è altrettanto vero che in Somalia erano ancora presenti propaggini dei servizi di sicurezza, soprattutto del Sismi: c'era Rajola Pescarini, il quale aveva un frequente rapporto con la Somalia, che ha mantenuto anche successivamente per molto tempo; c'era, poi, un referente delle Forze armate italiane (mi riferisco a Giancarlo Marocchino, di cui certamente lei avrà sentito parlare). Ecco, le saremmo grati se ci desse una sua valutazione, al di là di quelle che possono essere state le difficoltà, che pure se ci volesse rappresentare le saremmo grati, intorno a questo immobilismo dell'investigazione verso l'estero.
DOMENICO VULPIANI. Per quanto riguarda il mio ufficio, noi non potevamo - come le stavo dicendo - superare i confini del raccordo anulare.
I canali istituzionali sono quelli dell'Interpol, attraverso rogatorie e attraverso
deleghe del magistrato; e sono per noi binari stabiliti. Però, non essendovi un ufficio Interpol che potesse in qualche modo agevolarci in questa indagine, la polizia di prevenzione si è rivolta - lo immagino, in quanto noi siamo intervenuti in un secondo momento - all'ambasciatore Cassini, che era il rappresentante ufficiale del nostro paese.
Probabilmente, se mi avessero chiesto di mandare Giannini in Somalia o di andarci io personalmente, ci saremmo anche andati, ma il problema è che non potevamo, di nostra iniziativa. organizzare e fare una cosa del genere. Anzi, ci siamo domandati come potessimo fare per far arrivare i testimoni in Italia. E difatti avevo pensato, come ipotesi, di far arrivare qualche testimone in Kenya, per poterlo sentire presso la nostra ambasciata. Poi, però, sono passati i mesi di ottobre, novembre, dicembre e gennaio e Hashi Omar Hassan - quello che era stato indicato - è venuto in Italia tra quelli che si sono presentati a rivendicare un'azione di risarcimento per i danni asseritamente subiti. A quel momento, la nostra attività di polizia giudiziaria non poteva discostarsi da certi limiti: noi agiamo da un lato per deleghe, dall'altro sulla base di ordini del nostro Ministero centrale, che ha i rapporti con l'estero.
PRESIDENTE. Lei ci sta dicendo, praticamente, che non sono state fatte indagini in Somalia perché certamente non potevate essere voi della DIGOS di Roma a farle, ma organi superiori avrebbero dovuto prendere determinazioni in proposito e magari incaricarvi di fare questo tipo di attività.
DOMENICO VULPIANI. Sì. In quel momento, come capo della DIGOS, non avevo grandi spazi di manovra.
PRESIDENTE. Ho capito benissimo. Avete rappresentato, per esempio all'autorità giudiziaria, che questa era una strada che si poteva percorrere? Le autorità a voi superiori e quelle competenti ad assumere determinazioni del genere, sono state da voi sollecitate?
Non voglio sottolineare un'inerzia, per carità, ma vorrei capire come si è mossa la cinghia di trasmissione.
DOMENICO VULPIANI. Noi, da un lato abbiamo riferito all'autorità giudiziaria tutto quello che eravamo riusciti a raccogliere, dall'altro abbiamo riferito alla direzione della polizia di prevenzione, da cui prendevamo ordini. Ma non avevamo, come le dicevo, neanche suggerimenti da porre, proprio perché in quel momento le condizioni politiche di quel paese non permettevano alcuna attività in sicurezza.
PRESIDENTE. Però, si sapeva ad esempio che era possibile, in qualche modo, visionare l'automobile coinvolta nell'attentato. Sarebbe stato pure interessante conoscere le caratteristiche dei luoghi nei quali i fatti ebbero a svolgersi; mi riferisco, ad esempio, all'hotel Hamana, sebbene vi fossero delle fotografie.
DOMENICO VULPIANI. Il problema è che non c'era un paese che potesse raccogliere le nostre istanze. Se la polizia interviene all'estero, interviene su rogatoria, interviene con un accredito ufficiale attraverso l'Interpol: questi sono gli accordi internazionali. Ma quello era un paese che non aveva istituzioni, al quale non potevamo rivolgerci.
PRESIDENTE. C'era Marocchino che vi poteva aiutare!
DOMENICO VULPIANI. Ci siamo fatti mandare, attraverso l'UCIGOS, gli indirizzi di Marocchino; penso che Giannini lo abbia sentito al telefono e abbia chiesto che venisse in Italia; però su questo mi riservo di chiedere conferma a Giannini, perché non ricordo esattamente. Ricordo di aver detto a Giannini: sentilo al telefono, parlaci, vediamo se riusciamo a farlo venire in Italia a testimoniare.
Comunque, su mio ordine, abbiamo fatto venire in Italia tutti coloro per cui ciò era possibile: abbiamo sentito non so quanti testi, forse duecento, nel corso dell'inchiesta!
PRESIDENTE. Dottor Vulpiani, è normale che accada quanto lei ha detto a proposito del rapporto tra la DIGOS di Udine e la direzione centrale della polizia di prevenzione, sottolineando che praticamente voi avevate elementi scarsi, mentre il rapporto era intrattenuto tra quei due organi? Da cittadino comune, penso che il rapporto sia tra una DIGOS e l'altra, ma probabilmente sbaglio.
DOMENICO VULPIANI. Non è che non ci fossero rapporti tra noi, però quell'attività era svolta autonomamente da quella DIGOS, che era gelosa della sua indagine. In quel momento loro hanno agito, non ricordo esattamente come, ma io di certo non andavo a chiedere; se loro non chiedevano la mia collaborazione, non potevo essere io a chiedere di fare qualcosa che fino a quel momento non avevamo fatto.
PRESIDENTE. E la direzione centrale della polizia di prevenzione?
DOMENICO VULPIANI. La direzione centrale ha il compito di coordinamento, poi ha fatto intervenire anche noi.
PRESIDENTE. Le faccio una domanda per quelle che sono le sue consapevolezze, tenuto conto del periodo in cui lei, a partire dal gennaio 1997, è stato dirigente della DIGOS: quando intercorrevano questi rapporti tra la direzione centrale e la DIGOS di Udine (dai quali la DIGOS di Roma era esclusa), quando da Udine perveniva alla direzione centrale della polizia di prevenzione una notizia di rilievo o comunque utile per l'indagine, queste informazioni vi venivano girate per ulteriori approfondimenti, per lavorare di conserva con la DIGOS di Udine?
DOMENICO VULPIANI. Sì, penso che alcune informazioni siano state girate, però non ricordo adesso il periodo, se prima o dopo l'indagine, l'ascolto del testimone. Il ricordo fondamentale che ho è relativo all'arrivo di quel testimone. Penso che prima qualche informazione ci sia stata girata, qualche atto ci sia stato girato, però non ne ho la certezza, dovrei vedere.
PRESIDENTE. Però, potrebbe anche essere che ci siano delle carte che sono rimaste nei rapporti tra direzione centrale e DIGOS di Udine.
DOMENICO VULPIANI. Comunque, la direzione centrale, attraverso Udine o attraverso noi, riferiva tutto all'autorità giudiziaria. Il fascicolo processuale è la sintesi di tutte le attività di polizia che sono state svolte.
PRESIDENTE. Sì, ma siccome ce ne erano due di fascicoli processuali, capisce qual è il discorso?
Proprio nei rapporti tra l'autorità giudiziaria e la DIGOS di Roma c'è qualche piccolo problema: abbiamo accertato che presso l'autorità giudiziaria esisteva un fascicolo relativo alla morte di Ilaria Alpi ed un altro fascicolo, sempre relativo alla morte di Ilaria Alpi, nel quale transitavano tutte le corrispondenze che si sostanziavano in notizie, informative importanti - vere o non vere non ha importanza - nei rapporti tra DIGOS di Roma e autorità giudiziaria romana. Sarebbe a dire che molte vostre missive dirette a portare a conoscenza all'autorità giudiziaria circostanze, fatti, accadimenti, nomi di persone fatti da confidenti e via dicendo, invece di andare nel fascicolo numero 1 relativo alla morte di Ilaria Alpi - quello che gestiva, tanto per intenderci, il dottor De Gasperis -, andavano talvolta in un altro fascicolo, che veniva gestito (in assoluta liceità, per carità) da parte di un altro magistrato, il dottor Franco Ionta.
DOMENICO VULPIANI. Noi scrivevamo alla procura, al dottor Ionta. Per noi era il nostro referente, da quel momento.
PRESIDENTE. Esatto, questo conferma il dato in nostro possesso. Il dottor Ionta era intestatario di quel fascicolo in parallelo e in contestualità cronologica rispetto al fascicolo che veniva gestito dal dottor
De Gasperis. Vorrei sapere se lei ha memoria di questa circostanza un po' particolare.
DOMENICO VULPIANI. Io so che i rapporti personali su questo caso - i miei ricordi iniziano da quando sono intervenuto - erano con il dottor Ionta. Prima non ho avuto rapporti con altri magistrati e non sapevo neanche chi fossero i titolari.
PRESIDENTE. Quindi, lei comincia a trattare il caso nel gennaio 1997, non da prima. È esatto?
DOMENICO VULPIANI. No, non da gennaio 1997, ma da ottobre 1997.
PRESIDENTE. Prima di gennaio 1997, lei dove era in servizio?
DOMENICO VULPIANI. Alla DIGOS.
PRESIDENTE. Nel periodo 1995-1996 lei stava alla DIGOS?
DOMENICO VULPIANI. Dal marzo 1996 stavo alla DIGOS; prima, no.
PRESIDENTE. Fin da quell'epoca, già si interessava dell'attentato ai danni dei due giornalisti oppure non se ne interessava proprio?
DOMENICO VULPIANI. No, non avevamo né attività delegate né indagini dirette perché non avevamo alcun elemento cui poterci appigliare. Quando sono arrivato, questa indagine non l'ho neanche presa in considerazione.
PRESIDENTE. Quindi, lei i suoi rapporti li ha avuti sempre e soltanto...
DOMENICO VULPIANI. Con l'UCIGOS (con la polizia di prevenzione) e con Ionta, che io ricordi.
PRESIDENTE. Dottore, lei ha ricordato giustamente un fatto che è documentalmente dimostrato e cioè che la DIGOS di Roma trasmetteva gli atti al pubblico ministero dottor Ionta.
DOMENICO VULPIANI. Dal 1997 in poi, sicuro.
PRESIDENTE. Lei non ha mai saputo dell'esistenza di un altro fascicolo, per esempio trattato dal dottor De Gasperis o dal dottor Pititto?
DOMENICO VULPIANI. No; l'ho saputo sulla stampa, ovviamente, ma non in quel momento. C'è stata una polemica sul fatto che il fascicolo era passato da Pititto a Ionta: la conosco, ma la conosco giornalisticamente, non perché mi riguardasse direttamente.
PRESIDENTE. Avete intrattenuto rapporti con organismi di intelligence? Mi riferisco al Sisde, al Sismi o ad altri servizi di informazione di altre forze.
DOMENICO VULPIANI. Abbiamo avuto un rapporto - li abbiamo sentiti come testimoni - di polizia giudiziaria. I rapporti con i servizi non possiamo averli direttamente, se non tramite la direzione centrale della polizia di prevenzione, che è la nostra porta verso i servizi. Chiaramente, se avevamo bisogno di informazioni in paesi dove non c'era l'Interpol, dovevamo passare per la polizia di prevenzione.
Però, tutte le persone appartenenti ai servizi da noi sentite in qualche modo avevano avuto a che fare con la vicenda dell'omicidio di Ilaria Alpi. E le abbiamo sentite come testi, o su delega del magistrato (penso che nella gran parte dei casi sia così) o su nostra proposta al magistrato, il quale poi ci ha delegato un interrogatorio; oppure, li ha sentiti direttamente, perché molto spesso l'autorità giudiziaria, autonomamente, ha sentito testi di cui noi non abbiamo avuto neanche notizia.
PRESIDENTE. Quindi, voi non avete avuto nessun rapporto diretto né col Sismi né col Sisde.
DOMENICO VULPIANI. No, ne avevamo come polizia giudiziaria: gli notificavamo le citazioni, per essere sentiti da noi o per essere sentiti da altri.
PRESIDENTE. Da un punto di vista delle attività investigative, non avete avuto nessuna interconnessione?
DOMENICO VULPIANI. Per quanto io ricordi, no. In questo caso, sicuramente no.
PRESIDENTE. C'era per esempio una fonte Sisde, a proposito dell'indicazione di alcuni nominativi come mandanti o come esecutori dell'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Lei ricorda se la DIGOS di Roma abbia avuto materiale documentale relativo a questa velina o informativa del Sisde?
DOMENICO VULPIANI. Il fatto specifico non lo ricordo. Dovrei andare a vedere gli atti. Sul piano generale, so che le informative del Sisde o del Sismi che riguardano specifici eventi vanno alla direzione centrale, che le gira alle DIGOS competenti o a tutte le questure.
PRESIDENTE. Quindi, se è accaduto, è accaduto tramite la direzione centrale.
DOMENICO VULPIANI. Sempre tramite la direzione centrale, salvo per emergenze improvvise, se è il caso.
PRESIDENTE. Lei ricorda un certo Sid Ali Mohamed Abdì (o Abdi, a seconda delle preferenze)? Si tratta di persona che fu ascoltata il 17 luglio 1997 dal dottor Ionta. Lei partecipò a questa audizione?
DOMENICO VULPIANI. Non ho mai partecipato, per il caso di Ilaria Alpi, ad audizioni in procura né sono mai stato citato come teste. Ho solo eseguito un atto direttamente, ovvero l'interrogatorio di Cassini e il fermo di polizia giudiziaria di Hashi Omar Hassan; in quel caso, ho partecipato direttamente.
PRESIDENTE. Lei ha seguito le procedure attraverso le quali si è pervenuti all'individuazione e alla presenza, nel territorio dello Stato, di Abdi, ovvero dell'autista di Ilaria Alpi?
DOMENICO VULPIANI. È stato sentito dalla DIGOS la prima volta, per me. Prima era stato sentito, poi lui ha dichiarato in quella circostanza che era stato sentito da Ionta. Però, io non ho partecipato all'interrogatorio in cui è stato sentito da Ionta.
PRESIDENTE. La mia domanda era un po' più ampia. Questo testimone ha la particolarità di essere stato sentito due volte dal dottor Ionta: il 17 e il 19 luglio, dopo che era giunto a Roma. La mia domanda è se lei ha ricordo di come si sia raggiunta questa persona e di come si sia fatto in modo che essa potesse rimanere in Italia per essere sentita due volte.
DOMENICO VULPIANI. Può precisarmi di quali date si tratta?
PRESIDENTE. Per sua memoria, il 17 luglio 1997, negli uffici della procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, dinanzi al dottor Franco Ionta, è presente Sid Ali Mohamed Abdi; è presente per la direzione centrale della polizia di prevenzione il dottor Ivano Marchionne e il vice questore aggiunto...
DOMENICO VULPIANI. Noi non siamo stati coinvolti in questo atto.
PRESIDENTE. Lei non ha mai saputo niente di questa persona? Non ha saputo nulla rispetto alle caratteristiche, ai particolari che le ho ricordato, ovvero, come sia venuto in Italia, chi lo abbia individuato?
PRESIDENTE. Le completo l'informazione. Il secondo interrogatorio è quello del 19 luglio 1997, negli uffici della direzione centrale della polizia di prevenzione, come disposto dal dottor Franco Ionta
(quindi, i verbali sono due: uno fatto davanti al dottor Ionta, l'altro, quello del 19, eseguito per delega del dottor Franco Ionta). Questa volta, l'interrogatorio si svolge davanti al dottor Italo Marchionne e al vice ispettore Malaspina Massimo, in servizio presso la DIGOS di Roma (quindi, è il suo ufficio).
Lei non ha nessun ricordo di questo frangente?
DOMENICO VULPIANI. Di questo frangente non ho ricordi, però probabilmente, se c'era un mio ispettore, evidentemente era stato convocato...
PRESIDENTE. Ricorda, per caso, quale fu il risultato investigativo di queste due audizioni?
DOMENICO VULPIANI. No, non ho un ricordo preciso di che cosa contengano i verbali. Non saprei dire...
PRESIDENTE. Se posso, mi permetterei di sollecitare un poco la sua memoria, dandole un altro elemento, un bullone mnemonico un po' più efficace. Lei sa che Abdi fu sentito il 12 gennaio 1998.
PRESIDENTE. Penso, per un minimo di consapevolezza personale, certamente non pari alla sua, che se avete ascoltato questa persona il 12 gennaio, abbiate sicuramente preso i precedenti per capire che cosa fosse accaduto prima e per poter calibrare il vostro intervento.
DOMENICO VULPIANI. Non credo che avessimo questi precedenti, in quel momento. Quel giorno, non ricordo se abbiamo visto questi precedenti.
PRESIDENTE. Il verbale del 12 gennaio 1998 va avanti fino ad un certo punto e poi...
DOMENICO VULPIANI. Poi viene interrotto perché andiamo a sentire Cassini.
PRESIDENTE. ...e poi succede tutto quello di cui dovremo parlare successivamente. Ebbene, glielo dico io il risultato investigativo di questi atti, un risultato che si è protratto per molta parte dell'audizione che voi avete svolto il 12 gennaio 1998. Il signor Abdi, autista di Ilaria Alpi, ha detto che non sapeva assolutamente niente. Lo ha ribadito ai quattro venti, la prima volta, la seconda volta e per due terzi dell'audizione del 12 gennaio 1998.
DOMENICO VULPIANI. Ha ricostruito i fatti, tutt'al più.
PRESIDENTE. Sì, ha ricostruito i fatti ma ha detto di non essere in grado di poter dare nessuna indicazione dal punto di vista soggettivo. Abdi afferma: «Ribadisco di non aver riferito ad Alberizzi, sia nella circostanza sopra riferita che in altre occasioni, in cui ho avuto modo di incontrarlo, alcunché in merito ai personaggi che potrebbero essere implicati nell'omicidio di cui trattasi, anche perché non sono in possesso di alcuna notizia al riguardo».
Dottor Vulpiani, non voglia cogliere un piglio investigativo o inquisitore nelle mie domande, ma è soltanto l'esigenza di far raccordare tutti gli elementi.
DOMENICO VULPIANI. Ho capito perfettamente.
PRESIDENTE. La stessa cosa è stata detta da Abdi anche nel corso delle dichiarazioni rese, appunto, il 17 luglio, dove ricostruisce alcuni fatti e ricorda alcune persone delle quali, poi, dovremo parlare; tuttavia, per quanto concerne l'indicazione delle persone, dichiara di non essere in grado di dare indicazioni utili. Gli viene proposta la visione di filmati, eccetera, ma lui dichiara: «Non ho mai visto le persone che nel filmato compaiono con la didascalia Ali Mohamed Abdi»; insomma, la negativa è assoluta.
La negativa è assoluta anche nel verbale del 12 gennaio 1998, fino a quando - alle 22.30 della sera -, in esito all'incontro che avete avuto con l'ambasciatore Cassini, cambia il tenore delle dichiarazioni.
Questo spaccato che mi sono permesso di farle consente qualche ulteriore ricordo da parte sua?
DOMENICO VULPIANI. Alì, l'autista della macchina in cui viaggiavano Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, quando lo abbiamo sentito ha ribadito esattamente la stessa versione. Ricordo che disse: «Ribadisco le stesse cose che ho detto». Ci ha ricostruito i fatti.
Facciamo un passo indietro. Noi avevamo ricevuto una delega dell'autorità giudiziaria procedente - il dottor Ionta -, in cui ci si chiedeva di sentire di nuovo Gelle, testimone che in quel momento non era più reperibile, che era stato in carico alla prevenzione. Dovevamo sentirlo come teste e fare un eventuale riconoscimento con Hashi Faudo - o Hashi Omar Hassan, in quanto poteva essere la stessa persona -, sentire come teste, di nuovo, l'autista di Ilaria, e sentirlo come indagato, davanti al difensore d'ufficio. Questa delega mi arriva il pomeriggio del sabato, preceduta da un articolo di giornale...
PRESIDENTE. Di Giovanni Maria Bellu.
DOMENICO VULPIANI. Era un articolo pubblicato su la Repubblica - non ricordo chi fosse il giornalista - nel quale il personaggio diceva: «Ho viaggiato con uno degli assassini di Ilaria Alpi, che fa parte delle dodici persone che sono venute a chiedere i danni».
La delega consisteva nel prendere costoro e portarli in ufficio. Io avevo nell'ufficio questo soggetto e il testimone, quindi in quel momento noi avevamo un probabile appartenente al gruppo che aveva fatto parte dei sette; tutte le ricostruzioni dei testimoni, anche fatte successivamente, parlano di sette persone a bordo del Toyota, due delle quali avevano sparato.
PRESIDENTE. Chi vi aveva detto della presenza di sette persone?
DOMENICO VULPIANI. Erano le ricostruzioni fatte successivamente.
PRESIDENTE. No, dottor Vulpiani, lei sta facendo una ricostruzione in cui forse traspone i piani...
DOMENICO VULPIANI. No, ce l'aveva detto Gelle che erano sette persone, nel verbale dell'ottobre 1997.
PRESIDENTE. Forse non solo Gelle, ma anche l'ambasciatore Cassini, sia pure informalmente.
DOMENICO VULPIANI. No, l'ambasciatore lo abbiamo sentito nel pomeriggio.
PRESIDENTE. Gelle voi lo sentite ad ottobre 1997, però c'era stato un rapporto con l'ambasciatore Cassini.
DOMENICO VULPIANI. No, io non ho mai parlato con Cassini prima di quella sera; io l'ho conosciuto la sera stessa!
L'impasse, abbiamo capito, era dovuta al fatto che Alì aveva paura: si capiva, è una sensazione che non si può scrivere, però si capisce, perché si è davanti ad un testimone che è reticente, che non è pronto...
PRESIDENTE. Però, mi scusi, ma era un testimone sul quale era passata due volte la magistratura, perché il dottor Ionta lo aveva ritenuto attendibile...
DOMENICO VULPIANI. Sì, era attendibile.
PRESIDENTE. Un attimo. Il dottor Ionta ribadisce la sua posizione in esito all'audizione fatta presso la direzione centrale su sua delega, secondo l'atto che abbiamo ricordato. Il signor Abdi, nel corso dell'interrogatorio del 12 gennaio, mantiene la sua posizione.
Quali elementi concreti, di fatto, avevate a disposizione, per poter dire che il signor Abdi non era credibile?
DOMENICO VULPIANI. No, era credibile. Però lui diceva - e ha sostenuto nel verbale - di non conoscere i membri. Li ha riconosciuti sull'aereo. Mentre veniva
con l'aereo, ha riconosciuto un uomo che faceva parte del commando, ha viaggiato con questa persona che faceva parte del commando. Il riconoscimento è avvenuto dopo, a posteriori, non a priori. A priori, quando affermava di non conoscere nessuno, diceva la verità, in quanto non sapeva come si chiamava quell'uomo.
PRESIDENTE. Questo è un altro discorso. Hanno fatto un viaggio insieme.
DOMENICO VULPIANI. Dopo ha capito.
PRESIDENTE. Investigativamente forse vi dovevate porre il problema che la conoscenza derivava dal fatto che avevano viaggiato insieme. Qualcuno li aveva fatti viaggiare insieme.
DOMENICO VULPIANI. Questo è il fatto.
PRESIDENTE. Quindi la cautela investigativa che contraddistingue qualsiasi ottimo investigatore come lei avrebbe dovuto far pensare che quella poteva essere proprio la scintilla dell'inquinamento.
La mia doverosa domanda si ferma ad un solo punto: voi, al di là di questo fatto che riguardava il signor Hashi Omar Hassan, per quanto concerne la posizione di Abdi non avevate se non elementi di conferma della sua assoluta coerenza nelle dichiarazioni. «So tutto di come si sono svolti i fatti, non vi so dire chi è stato». Questa è stata la ricostruzione.
DOMENICO VULPIANI. Questa è la ricostruzione fino a che non ha trovato qualcuno che ha viaggiato insieme a lui. Poi nella seconda parte, quando ha deciso e gli è stato detto che il nostro paese proteggeva i testimoni e che poteva... Il problema era che questi soggetti venivano rispediti in Somalia, ma non volevano tornarci per rischiare su dichiarazioni fatte in Italia. Si tratta di un problema che noi come poliziotti abbiamo capito subito. Noi avevamo la possibilità di avere un probabile membro di un commando e un testimone oculare; non è che l'abbiamo spinto a dirci...
PRESIDENTE. Io non sto dicendo assolutamente questo, sto dicendo un'altra cosa. Anzi, forse la spinta doveva agire in una direzione di ulteriore approfondimento, per la ragione che adesso le dirò. Posto il fatto che avevate una persona in questura che tra l'altro era venuta in Italia perché vittima delle violenze dei militari italiani in Somalia, al di là poi di qualsiasi altra possibile impostazione che si sarebbe potuta dare, sta di fatto che voi avevate nelle vostre mani una persona che aveva fatto quelle dichiarazioni e che le stava ribadendo, al di là di Faudo, al di là di Hashi Omar Hassan, per dirla meglio, lei ha dato disposizioni, per esempio al dottor Giannini o a qualunque altro suo dipendente della DIGOS, di svolgere accertamenti per capire se questo personaggio era o meno attendibile?
DOMENICO VULPIANI. Certo, ma non lo potevamo fare in quel momento; l'abbiamo fatto successivamente. In quel momento avevamo il problema di lasciarlo andare via, e il giorno dopo Hashi Omar Hassan sarebbe ripartito per la Somalia, o di fermarlo. Il fermo di PG si fa per motivi di urgenza e per pericolo di fuga. Non avevamo elementi per poterlo fermare, perché non potevamo collegare che la persona che veniva indicata da Gelle nel verbale dell'ottobre fosse la stessa che...
PRESIDENTE. Dopo vedrà cosa abbiamo accertato noi su Gelle. Fra un attimo glielo diremo.
DOMENICO VULPIANI. Parlai al telefono con Ionta e gli dissi che occorreva sentire Cassini per vedere se fosse in possesso di qualche elemento che ci potesse far dire che si trattava della stessa persona di cui Gelle aveva parlato nel verbale, altrimenti non avevamo elementi per fermarlo e dovevamo lasciarlo andare via. Era necessario che noi sentissimo... Non noi, perché io dissi a Ionta «ci vada
lei, che è anche meglio», e il dottor Ionta disse che ne avrebbe parlato con il dottore Vecchione e che mi avrebbe richiamato dopo due minuti; dopo due minuti esatti mi richiamò per dirmi che il dottor Vecchione aveva detto che dovevo andarci io, che mi avrebbe mandato subito la delega, e così è stato. L'impasse in cui eravamo era dovuto al fatto che c'era il probabile assassino di Ilaria Alpi che poteva tornarsene in Somalia il giorno dopo.
PRESIDENTE. Sì, ma scusi: il probabile assassino di Ilaria Alpi. Che cosa c'entrano le dichiarazioni di Abdi?
DOMENICO VULPIANI. Le dichiarazioni di Abdi... In quel momento noi abbiamo interrotto il verbale per andare a sentire Cassini, per vedere di acquisire elementi in più. Nel momento in cui abbiamo sentito Cassini noi avevamo già gli elementi per poter procedere al fermo.
DOMENICO VULPIANI. Perché a quel punto avevamo almeno una testimonianza...
PRESIDENTE. E di che cosa? Che quello era Faudo?
DOMENICO VULPIANI. Che quello era Faudo e che era lo stesso...
PRESIDENTE. E che c'entra con Abdi? Dottor Vulpiani, voglio capire una cosa: lei è andato da Cassini, gli ha portato la fotografia di Faudo, gliela ha mostrata, e lui ha detto che effettivamente...
DOMENICO VULPIANI. No, è venuto con lui. Cassini ha portato Faudo. La domanda nel verbale di Cassini era questa: «Lei ha elementi per dirci che è la stessa persona»?
PRESIDENTE. Esatto, ma quando lei è andato da Cassini al Ministero degli affari esteri gli ha portato la foto segnaletica che aveva di Hashi Omar Hassan, o sbaglio? Questo risulta dal verbale. Allora, quando lei gliel'ha portata, ha avuto da Cassini la certezza che quello era Hashi Omar Hassan, non che quello era l'assassino o comunque elementi per poter dire che da Abdi potesse emergere qualcosa di diverso rispetto alle tre dichiarazioni rese. Le dico questo perché - penso che lei lo sappia - l'ambasciatore Cassini, in data 6 agosto 1997, aveva reso le sue dichiarazioni al dottor Vecchione: «Dei sette occupanti dell'auto degli aggressori, uno è morto per altre cause e in epoca successiva, gli altri sei vivono normalmente a Mogadiscio nord e almeno tre di loro appartengono allo stesso clan e sottoclan Abgal Harti. Questo testimone mi pare disponibile a fare il nome dei sette - a me peraltro non volle riferirli - purché gli venga garantita la sicurezza personale, e ciò non può verificarsi se non concedendogli il permesso di venire in Italia per un periodo prolungato, dato che la Somalia non gode in questo momento di un'organizzazione giudiziaria e di polizia tale da garantire la sua incolumità». Ed è sceso poi nell'operazione Gelle, tanto per intenderci.
Quando è stato sentito il signor Abdi, il 12 gennaio, noi eravamo in possesso di queste dichiarazioni rilasciate dall'ambasciatore Cassini.
DOMENICO VULPIANI. Io non le avevo.
PRESIDENTE. Dopo l'avete saputo, perché dei sette l'avete saputo, anche se poi vi ha indicato una sola persona, e nessuno ha chiesto al signor Abdi di dare indicazioni su come individuare gli altri sei. Il dottor Giannini ci ha qui riferito che la ragione, che noi comprendiamo e che anzi addirittura apprezziamo, per non aver fatto domande sugli altri sei sarebbe stata quella di evitare pericoli di inquinamento delle dichiarazioni perché magari, facendo i nomi o facendo pressioni in quella direzione, si poteva favorire una dichiarazione calunniosa. Ripeto, è molto apprezzabile come tecnica investigativa, però a me pare che dal punto di vista della fotografia della situazione abbiamo un
Abdi rispetto al quale, almeno in quel momento, non eravamo in grado se non di apprezzare tre dichiarazioni, una uguale all'altra; peraltro questa reiterazione delle dichiarazioni si traduce nell' interrogatorio dell'ambasciatore Cassini presso il Ministero degli affari esteri, e poi a catena è venuto fuori tutto quello che noi sappiamo e su cui ci soffermeremo. Vorremmo che ci spiegasse la situazione.
DOMENICO VULPIANI. L'ambasciatore Cassini, nel verbale che abbiamo redatto al Ministero degli affari esteri, ci ha detto che il testimone Gelle l'aveva incontrato a Mogadiscio, che gli aveva fatto conoscere Faudo, che glielo ha indicato come uno dei membri del commando...
PRESIDENTE. Non è esattamente così.
DOMENICO VULPIANI. Abbiamo il verbale delle dichiarazioni di Cassini.
PRESIDENTE. Il signor Hashi Omar Hassan è stato portato da Gelle all'ambasciatore Cassini nel giardino del suo ufficio in quanto si trattava di una delle 12 persone che si riteneva di poter individuare come vittime della violenza dei militari italiani.
Dottor Vulpiani, noi da lei vogliamo un aiuto. Siamo tutti cresciuti e vaccinati, ma a noi che siamo delle persone non integrate nelle logiche investigative - ma forse stiamo un po' tutti improvvisando - risulta strana una cosa, della quale le chiediamo una spiegazione: come è possibile - con il clamore che c'era in Italia sull'attentato ai danni di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin, con la fame di giustizia più volte manifestata persino da cittadini somali che abbiamo qui sentito, perché si trattava di una vicenda che andava a turbare i rapporti tra Italia e Somalia - che la persona che aveva assassinato i due giornalisti potesse pensare di venire in Italia contrabbandandosi per vittima di una violenza subita dai militari italiani in Somalia? Solo un folle poteva rischiare tanto, vale a dire venire in Italia sapendo che poteva essere un gioco da ragazzi individuarlo - come in effetti è accaduto - come la persona che poteva aver ucciso i due giornalisti. Ci aiuti a risolvere questo nodo investigativo.
DOMENICO VULPIANI. Proprio come poliziotto non amo fare dietrologia. A me le cose le hanno raccontato Cassini, Ali e Gelle. Sono fatti che abbiamo conclamato...
PRESIDENTE. Però in questi fatti c'è questa particolarità!
DOMENICO VULPIANI. Abbiamo fatto un fermo di PG, che non significa...
DOMENICO VULPIANI. Se ventiquattr'ore dopo il magistrato non riteneva sufficienti gli elementi...
PRESIDENTE. Queste sono ragioni formali. Una persona che sapeva di essere solo vittima di violenze certamente veniva in Italia, ma come è possibile che chi sapeva di essere l'assassino dei due italiani per i quali veniva chiesta giustizia in maniera sistematica e pressante venisse in Italia a correre questo rischio? Si tratta di interpretare i cinque punti, che andavano interpretati anche alla luce dell'impossibilità logica - poi nelle cose ci può essere anche l'illogicità - che chi aveva commesso un attentato ai danni di due cittadini italiani venisse in Italia. Come spiega questo? Non vede la possibilità, rivisitando la situazione, che ci possa essere stata qualche pressione, la volontà di risolvere il caso (non da parte sua, per carità), di trovare un modo per uscire dalla vicenda? Non è una contestazione, è uno sfogo del presidente della Commissione.
DOMENICO VULPIANI. Presidente, io la capisco perfettamente, perché è ovvio che ci si domanda come si fa a mettersi nelle fauci del leone, però bisogna tener conto che questi soggetti non ragionano in termini occidentali, ma pensano come cittadini di paesi in guerra. Se per una
vicenda avvenuta quattro anni prima nessuno lo ha cercato, probabilmente pensa di averla fatta franca. Di fatto nessuno l'ha cercato per quattro anni e nessuno ha reso noto alla stampa occidentale che noi avevamo il verbale di Gelle; è stata una delle cose che ci siamo tenuti per noi...
PRESIDENTE. C'era Cassini che comunicava le cose! Non c'era problema.
DOMENICO VULPIANI. Io non potevo controllare. Non so se a Mogadiscio sapessero che Gelle avesse parlato.
PRESIDENTE. Un ambasciatore italiano che mette dentro lo stesso aereo attentatore e accusatore! Nello stesso aereo c'erano Hashi Omar Hassan e Abdi! Lei lo avrebbe fatto? Lei non lo avrebbe fatto!
DOMENICO VULPIANI. No, non l'avrei fatto, però ragiono in termini...
PRESIDENTE. In un cervello investigativo certe lampadine rosse si accendono di fronte a contraddizioni così palesi.
DOMENICO VULPIANI. Lui faceva l'ambasciatore, purtroppo per noi.
PRESIDENTE. Non ha fatto l'ambasciatore; aveva avuto l'incarico, da organi istituzionali italiani, di fare tutto il possibile per cercare gli assassini dei due giornalisti.
DOMENICO VULPIANI. Noi abbiamo potuto registrare tutti i fatti che ci sono stati raccontati. Le posso assicurare la mia buona fede; io ho giurato fedeltà alla bandiera a 19 anni...
PRESIDENTE. Anche noi abbiamo giurato fedeltà alla bandiera; tutti insieme stiamo cercando di capire la verità.
DOMENICO VULPIANI. Non ci tenevo affatto a fare... Ha ragione Giannini: ci siamo limitati a dire esattamente le tre cose. Se reggono, reggono - questo è stato il nostro ragionamento -, tanto c'è qualcuno che è in grado di giudicare il nostro operato. La polizia giudiziaria ad un certo punto chiude, non può andare al di là dei suoi compiti e fare le valutazioni sulle motivazioni. Il nostro dovere era di riferire all'autorità giudiziaria, mettendola in condizioni di giudicare. Alì ha testimoniato nei processi ed ha ribadito sempre la stessa versione, vale a dire che l'ha riconosciuto, tant'è vero che ci sono stati vari processi. Gelle non è stato più trovato, ma Alì è andato ai processi, per quanto ne so io.
PRESIDENTE. Ha riconosciuto la persona che poi è risultata essere un'altra. Ma ci arriveremo.
Senta, una domanda un po' più penetrante: qual è stato l'argomento di fatto, il dato specifico in base al quale il signor Abdi, che fino alle 22.30 era stato sulla negativa, ha cambiato versione?
DOMENICO VULPIANI. Intanto poteva non tornare in Somalia.
PRESIDENTE. Voi avete sospeso l'interrogatorio ad una certa ora e lo avete ripreso alle 22.30. Qual è stato, nel frattempo, l'elemento che ha scatenato il signor Abdi da una posizione all'altra?
DOMENICO VULPIANI. Gli abbiamo detto che come testimone non correva rischi e che poteva restare nel nostro paese, che ci rendevamo conto della situazione. Non gli abbiamo fatto pressioni; c'era anche un interprete somalo, che era avvocato. Nessuno ha fatto pressioni su di lui né gli ha messo in bocca delle parole; abbiamo solo detto che i testimoni nel nostro paese godono del servizio di protezione, ed infatti è stato affidato subito, la sera stessa, al servizio di protezione. Lui ci ha chiesto se avrebbe poi potuto far venire i suoi familiari in Italia, e mi pare che si sia acconsentito. Sono tutte quelle cose che...
PRESIDENTE. Poteva rimanere in Italia e poteva far venire i familiari. Poi che altro?
DOMENICO VULPIANI. Nient'altro.
PRESIDENTE. Lei giustamente ha fatto riferimento alla Somalia, che ora abbiamo anche noi imparato a conoscere. Per esempio attraverso l'ambasciatore Cassini abbiamo appreso che l'obiettivo più importante che i somali vogliono raggiungere è proprio andare via dal loro paese e venire in Italia. Quando lei mi dice che la scintilla che ha determinato il signor Abdi, quando avete sospeso l'interrogatorio per riprenderlo alle 22.30, è stata la garanzia che sarebbe rimasto in Italia ed avrebbe fatto venire anche i suoi parenti, beh, sa, è una cosa della quale prendiamo atto. La ringraziamo per questa puntualizzazione, che è importante.
DOMENICO VULPIANI. Gli altri testimoni che erano stati interrogati prima sono stati tutti rispediti in Somalia. Coloro che sono venuti, anche successivamente, hanno detto di avere dei figli, e davano delle versioni... perché qua abbiamo sentito la donna del tè, altri soggetti...
PRESIDENTE. Poi ne parleremo. Dottor Vulpiani, la verità è questa. Lei stesso deve indicare questa circostanza, con assoluta onestà e correttezza istituzionale, perché non ce ne sono delle altre, perché l'audizione di Cassini, dal punto di vista dei contenuti, non serve a niente. Serve soltanto a fargli vedere la fotografia di Hashi Omar Hassan, e domando se fosse davvero necessario mostrargliela, dato che Cassini aveva viaggiato nello stesso aereo. Non c'è un elemento che porti a dire che vi fosse una ragione in virtù della quale Abdi passasse dalla negativa alla positiva. La ragione - sulla quale noi rifletteremo - potrebbe essere proprio l'assicurazione dell'ingresso e della permanenza in Italia per sé e per la sua famiglia. E questo è un dato importante.
Nelle dichiarazioni rese dal signor Abdi davanti al dottor Ionta il 17 luglio egli ad un certo punto ha detto: «Sono arrivati quattro mezzi militari dell'esercito italiano con a bordo soldati italiani. Da uno dei mezzi sono scesi due militari che io conosco con il nome di Alfredo e Fortunato. Questi mi hanno chiesto che cosa era successo ed io ho raccontato loro esattamente quello che oggi ho riferito alla signoria vostra. Dopo i mezzi militari è arrivata una macchina con un altro italiano che so chiamarsi Giancarlo Marocchino e che non è militare», dichiarando dunque che questi Alfredo e Fortunato erano due militari; quindi il racconto che veniva raccolto dal dottor Ionta insieme ai suoi colleghi era stato già fatto a due militari italiani nell'immediatezza del fatto, che poteva essere forse dotato di maggiore dovizia di particolari. Le domando: avete saputo mai di chi si trattasse? Sapete chi siano questi Alfredo e Fortunato?
DOMENICO VULPIANI. Si tratta di una domanda che dovrei rivolgere io a Giannini, perché non ricordo questa circostanza. Probabilmente avremo tentato di identificarli...
PRESIDENTE. Se io le dico che queste sono due persone riferibili - per usare una formula onnicomprensiva - al Sismi, lei ricorda qualcosa di più?
DOMENICO VULPIANI. So che sono stati sentiti degli ufficiali del Sismi da Giannini nel corso delle indagini che sono state svolte successivamente; non so se i due fossero ufficiali o sottufficiali o altro, comunque noi abbiamo sentito del personale del Sismi. Abbiamo sentito tutti quelli che erano stati lì e che potevano avere avuto a che fare con la vicenda. Questo era un mio ordine preciso. Un'indagine svolta dopo quattro anni si basa su delle testimonianze che non sempre sono coincidenti, perché i ricordi delle persone non sempre sono... I testimoni possono avere una coincidenza non molto spesso felice, e questo è un fatto che la Polizia constata sempre; più testimoni troviamo, più riusciamo a riempire il mosaico, ma non possiamo coprire i pezzi bianchi, che rimangono bianchi. Il mio modo di operare è sempre stato analogo a quello del restauratore, che dove non c'è niente lascia
il bianco; se l'immagine è sufficiente a delineare un percorso veritiero, saranno i giudici a verificarlo. La polizia giudiziaria non ha altri compiti che quello di cercare più testimoni possibili, e noi ne abbiamo sentiti 200. Ma non posso ricordare tutto. Giannini è più fortunato di me, perché lui stava alla DIGOS e si è ripreso i fascicoli; io ho potuto guardare le carte che ho fatto io e che ricordavo che riguardavano i momenti topici.
Che Alì fosse spaventato si capiva perfettamente; le posso assicurare che nessuno lo ha forzato. L'unica cosa che gli abbiamo detto è che nessuno lo avrebbe rimandato a casa, che l'avremmo lasciato qui come testimone sotto il servizio di protezione. So che per i somali è una bella cosa...
PRESIDENTE. È come una vincita al lotto!
DOMENICO VULPIANI. Lei ha sentito che c'era addirittura un avvocato come testimone.
PRESIDENTE. Sì, un avvocato che, tra l'altro, è in rotta di collisione con le dichiarazioni rese da Giannini. Ha fatto da interprete. Adesso ci arriveremo.
DOMENICO VULPIANI. Ha fatto da interprete, ma ha visto benissimo tutto. Noi non parlavamo e lui ha assistito a tutto. Nessuno poteva parlare direttamente con Ali, proprio per problemi di lingua.
PRESIDENTE. Chi andò alla Farnesina con lei a sentire Cassini?
DOMENICO VULPIANI. Portai Giannini perché era l'unico che conosceva la vicenda, in quanto aveva interrogato Gelle. L'idea è stata mia e l'ho proposta al magistrato; ho detto anche al dottor Ionta «ci vada lei», proprio per evitare che in futuro...
PRESIDENTE. Scusi se insisto su questo dato: perché durante l'interrogatorio di Abdi, che stava parlando della ricostruzione...
DOMENICO VULPIANI. Perché è arrivata la delega del magistrato per andare a sentire Cassini.
PRESIDENTE. No. Ha detto lei che è stata un'idea sua quella di sentire Cassini!
DOMENICO VULPIANI. Ma a quell'ora mi è venuta!
PRESIDENTE. Ho capito. La delega è venuta, non l'idea.
DOMENICO VULPIANI. L'idea mezz'ora prima.
PRESIDENTE. La nostra domanda - perché credo di interpretare l'idea della Commissione - è questa: qual è stato l'elemento in virtù del quale nel corso dell'audizione di Abdi è emersa l'idea di andare a sentire Cassini? Che c'entrava?
DOMENICO VULPIANI. Erano due cose che viaggiavano in parallelo.
PRESIDENTE. No, avete sospeso l'esame!
DOMENICO VULPIANI. Io non stavo sentendo Abdi; lo stava sentendo Giannini.
PRESIDENTE. Appunto. Lei infatti ha preso Giannini, che ha sospeso l'esame, e se l'è portato.
DOMENICO VULPIANI. Perché l'ho portato lì.
PRESIDENTE. Appunto. Quindi avete sospeso l'esame.
DOMENICO VULPIANI. Abbiamo sospeso l'esame e sono andato con Giannini perché era l'unico che aveva sentito Alì, che aveva sentito Gelle, che conosceva i fatti e che poteva fare domande pertinenti a Cassini, in quanto io non potevo fargliene.
PRESIDENTE. Dottor Vulpiani, lei non può semplificare la cosa in questo modo,
perché sta di fatto che, così come non si capisce per quale ragione siete andati da Cassini al Ministero degli affari esteri, tenendo conto di quello che stava accadendo con Abdi, non si capisce per quale ragione, tornati dal Ministero degli affari esteri, Abdi cambia versione. Queste spiegazioni, se ce le fornisse, ci aiuterebbero ad accertare la verità.
Le dico due cose sbagliate quando affermo che le dichiarazioni fatte da Abdi non c'entrano niente con Cassini e che con quello che avete saputo da Cassini la capitolazione di Abdi non c'entra niente? Se lei riesce a spiegarci...
DOMENICO VULPIANI. Sono due cose diverse...
PRESIDENTE. Appunto. Sono due cose scollegate ma sono collegatissime, perché prima che andaste da Cassini questo non aveva parlato, dopo essere andati da Cassini ha parlato. C'è stata qualche interlocuzione? Qualcuno è venuto a parlare con Abdi? Qualcuno lo ha convinto?
PRESIDENTE. Qualcuno in quel frangente gli ha fatto delle promesse?
DOMENICO VULPIANI. Mentre io e Giannini eravamo al Ministero degli affari esteri Alì è rimasto presso la DIGOS, e lì non è intervenuto nessuno, al di fuori delle persone...
DOMENICO VULPIANI. C'era Belfiore, che badava a tutti e due i soggetti. Belfiore ha parlato in termini normali.
PRESIDENTE. Belfiore ci ha detto anche che voi avete comunicato dal Ministero degli affari esteri che stavate arrivando, dicendo che avevate...
DOMENICO VULPIANI. Che avevamo quasi risolto il problema.
PRESIDENTE. Quale problema avevate risolto?
DOMENICO VULPIANI. Avevamo una possibilità.
PRESIDENTE. Non avevate ottenuto alcun elemento da parte di Cassini attraverso il quale poter...
PRESIDENTE. Scusi, attraverso il quale poter convincere Abdi a dire qualcosa di diverso da quello che aveva detto fino a quel momento. Non avevate alcun elemento nuovo rispetto ad Hashi Omar Hassan, perché sapevate che era l'uomo che era stato portato dal signor Cassini indicandolo in primo luogo come vittima delle violenze, in secondo luogo come l'assassino...
DOMENICO VULPIANI. Che era stato indicato da Gelle.
PRESIDENTE. D'accordo, ma questo già lo sapevate.
DOMENICO VULPIANI. Sì, però non avevamo...
PRESIDENTE. Qual è l'elemento nuovo a carico di Hashi Omar Hassan?
DOMENICO VULPIANI. Torniamo un attimo indietro. In quel momento avevamo un verbale di una persona che non era più reperibile...
PRESIDENTE. Ma qual è stato l'elemento nuovo, dopo l'incontro con Cassini, che ha fatto precipitare la fattispecie indiziaria nei confronti di Hashi Omar Hassan?
DOMENICO VULPIANI. Presidente, io devo fare una premessa: nel momento in cui avevamo Hashi Omar Hassan in ufficio noi avevamo solo un verbale di una persona che non era più reperibile da qualche giorno, che era in gestione alla direzione
centrale della polizia di prevenzione, che non era sottoposta al programma di protezione. Questo verbale, così com'era, non provava assolutamente che la persona indicata fosse...
PRESIDENTE. E allora lo dovevate rilasciate! Che cosa fa cambiare Cassini rispetto a questo quadro?
DOMENICO VULPIANI. Ci ha detto che l'aveva conosciuto in Somalia, che glielo aveva indicato Gelle in Somalia.
PRESIDENTE. Ma lo sapevate! Gelle ve l'aveva già dichiarato! Voi avevate in questura Hashi Omar Hassan perché era la persona che era stata indicata da Cassini attraverso Gelle come la persona che era stata vittima delle violenze e assassino di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin. Che cosa era cambiato?
DOMENICO VULPIANI. Infatti la delega del magistrato era volta ad accertare...
PRESIDENTE. Perché a lei è venuta l'idea di andare da Cassini?
DOMENICO VULPIANI. Per vedere se Cassini potesse darci qualche elemento in più per dire che la persona...
PRESIDENTE. E non ve l'ha dato!
DOMENICO VULPIANI. Ha detto che glielo aveva indicato in Somalia...
PRESIDENTE. Non è un elemento in più, perché lei lo sapeva perfettamente, tant'è che lo avevate tenuto in questura, dato che Bellu aveva scritto che quello era l'assassino... L'ha detto lei prima.
DOMENICO VULPIANI. Lo sapevamo dai giornali.
PRESIDENTE. Ma non è che Cassini le abbia detto di più.
DOMENICO VULPIANI. Noi abbiamo fatto un verbale di fermo che è stato sottoposto all'autorità giudiziaria.
PRESIDENTE. A noi non interessano le forme. Noi non stiamo guardando le forme.
DOMENICO VULPIANI. Lo so, ma questa è la verità. Non è che mi posso inventare...
PRESIDENTE. Noi cerchiamo di capire, con il suo aiuto e con la sua capacità investigativa, come sono andate le cose, perché queste sono delle illogicità manifeste alle quali bisogna trovare il modo di ovviare. Prendiamo atto che questa è la situazione e andiamo avanti.
DOMENICO VULPIANI. Anche altre persone erano con me. Non penso che tutti quanti...
PRESIDENTE. Per la verità qualcuno ci ha rinviato proprio a lei, altrimenti non staremmo qua a fare le domande al capo della DIGOS di allora. Se il dottor Giannini fosse stato esaustivo e non avesse fatto riferimento a lei noi non staremmo qui a chiederlo a lei.
DOMENICO VULPIANI. L'interrogatorio l'ha scritto Giannini. Ci ha dato l'elemento in più...
DOMENICO VULPIANI. ...per dire che Hashi Omar Hassan, che era in Italia in quel momento, era lo stesso...
PRESIDENTE. Qual è l'elemento in più?
DOMENICO VULPIANI. Era una testimonianza in più.
PRESIDENTE. Ma quale testimonianza in più!
DOMENICO VULPIANI. Noi non avevamo in quel momento la possibilità di procedere al confronto tra Gelle e Hashi Omar Hassan. Non avevamo alcun elemento...
PRESIDENTE. E allora lo scarceravate, lo lasciavate libero. Ma che ragionamento è?
DOMENICO VULPIANI. Ma perché non sentire Cassini, visto che...
PRESIDENTE. Ma l'abbiamo sentito, Cassini, che si è scaricato ogni possibilità, dicendo «ma che volete da me?».
DOMENICO VULPIANI. Io l'ho sentito Cassini. Le sue dichiarazioni sono a verbale e le ha firmate. Ha detto «in Somalia mi è stato indicato da Gelle come membro del commando».
PRESIDENTE. L'ha detto anche qua, ma lo sapevate già! Lo aveva detto al dottor Vecchione!
DOMENICO VULPIANI. Ma non sapevamo che era la stessa persona che stava lì!
PRESIDENTE. Come, la stessa persona? Ma ve l'ha portato Cassini, che l'ha pure fotografato!
DOMENICO VULPIANI. Dovevamo prendere la testimonianza.
DOMENICO VULPIANI. Altrimenti il fermo con che lo facevamo?
PRESIDENTE. Il dottor Giannini ci ha dichiarato che, quanto meno telefonicamente, tutte le notizie Cassini le aveva date personalmente a lui. Se lei poi mi dice che lei non lo sapeva, è un altro discorso.
DOMENICO VULPIANI. Vanno santificate in un verbale.
PRESIDENTE. Perché l'interprete somalo ha detto che nelle due ore di sospensione dell'esame del signor Abdi, dalle 20 alle 22.30, Giannini non stava con lei ma era a cena insieme a lui in un ristorante vicino alla questura?
DOMENICO VULPIANI. Questa è una fandonia. Chiamiamo il mio autista, che era con me, che ci ha accompagnato alla Farnesina!
PRESIDENTE. Io non sto parlando di lei, sto parlando di Giannini.
DOMENICO VULPIANI. Ma Giannini stava con me alla Farnesina! Il verbale è stato scritto a mano da lui e firmato da me. Ci può essere anche un errore da parte del testimone, che non si ricorda bene.
DOMENICO VULPIANI. È venuto parecchie volte a fare da interprete alla DIGOS. Avevamo trovato una persona in grado di parlare somalo... Questa circostanza non è vera.
PRESIDENTE. L'accerteremo. Si tratta di una circostanza minimale...
DOMENICO VULPIANI. Minimale? Scusi, ma che io firmo un atto falso?
PRESIDENTE. No, lei ha firmato un atto vero.
DOMENICO VULPIANI. Ma quel che è assurdo è che è manoscritto da Giannini! Ci siamo messi tutti d'accordo, abbiamo fatto un atto e l'ho portato da Giannini... non è possibile! Lei mi dice delle cose...
PRESIDENTE. No, io le dico le cose...
DOMENICO VULPIANI. Giannini stava con me!
PRESIDENTE. Io le sto ribadendo quello che ha detto l'avvocato interprete
somalo, cioè che alle 20, quando si è interrotto l'esame del signor Abdi, sono andati a mangiare lui, Belfiore e Giannini, in un ristorante vicino alla questura.
DOMENICO VULPIANI. Sono dei ricordi diversi. Non era possibile.
PRESIDENTE. Noi prendiamo atto della sua dichiarazione e poi procederemo agli approfondimenti del caso.
DOMENICO VULPIANI. Penso che Cassini abbia confermato che c'era anche Giannini.
PRESIDENTE. Sì.
Veniamo alla questione Gelle: voi avete fatto la fotocopia del passaporto di Gelle. Le do un risultato finale della questione, che tiene in considerazione due filmati, dei quali la Commissione è in possesso e che forse lei avrà visionato, nei quali sarebbe stato ripreso anche questo personaggio. Noi abbiamo del materiale fotografico nel quale sarebbe stata effigiata la persona di Gelle e abbiamo poi la foto segnaletica che avete fatto voi di Gelle. Il fatto è che, visti da tutti gli interessati... Lei sa che Gelle è sempre comparso, nella storiografia di questa vicenda, come l'autista del giornalista dell'ANSA Remigio Benni.
DOMENICO VULPIANI. Mi pare di averlo visto nel verbale.
PRESIDENTE. Credo che a questo punto sia opportuno procedere in seduta segreta. Non essendovi obiezioni, dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno
(La Commissione procede in seduta segreta).
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno.
Dottor Vulpiani, le leggo il contenuto delle dichiarazioni rese il 12 gennaio da Abdi: «Tra queste, ne ho notata una in particolare, ovvero ho riconosciuto quello che si chiama Hashi detto Faudo per uno degli uomini che avevo visto dentro la Land Rover che ci aveva bloccato ed assalito il giorno in cui è stata uccisa Ilaria Alpi ed il suo operatore. Ricordo di aver notato Hashi Faudo dentro la Land Rover, seduto in uno dei sedili posteriori della medesima. Ricordo che era armato di fucile, ma ricordo pure che lui non è stato tra quelli che sono scesi dalla vettura ed hanno aperto il fuoco contro di noi. So che Hashi Faudo fa parte del clan abgal, eccetera». Il signor Abdi fa appunto riferimento a questa posizione: Hashi Faudo dentro la Land Rover, seduto in uno dei sedili posteriori della macchina.
Il signor Gelle, invece, riferisce che dei sette occupanti l'auto degli aggressori, uno è morto per altre cause, gli altri sei vivono a nord; almeno tre di loro appartengono allo stesso clan. «Voglio precisare» -aggiunge - «che il termine Faudo è il suo soprannome, che significa fuorilegge o mafioso. Lui era seduto accanto al guidatore della Land Rover e non è tra coloro che sono scesi».
Allora, mentre Abdi dichiara una cosa, Gelle ne dichiara un'altra.
DOMENICO VULPIANI. Questa è una osservazione che ci siamo posti.
PRESIDENTE. Allora, non debbo insistere sulla contraddizione.
DOMENICO VULPIANI. La contraddizione l'avevamo notata anche noi, però è una contraddizione ingannevole, nel senso che i due testimoni erano in due posizioni diverse...
PRESIDENTE. Quali due testimoni?
DOMENICO VULPIANI. Ali e Gelle.
PRESIDENTE. D'accordo, ma qui è Gelle che parla. Tra l'altro, Gelle dichiara pure di essere arrivato dopo, di non aver assistito all'omicidio, ma di essere arrivato dopo.
DOMENICO VULPIANI. No, questo dovrei controllarlo.
PRESIDENTE. Sì, Gelle dichiara di essere arrivato un attimo dopo; non assiste all'omicidio.
DOMENICO VULPIANI. Ma no, lui racconta dei due che scendono, che uno si mette all'angolo. A me il 10 ottobre ha detto così, me lo ricordo. Il verbale l'ho letto. Comunque, si tratta di una contraddizione possibile, in quanto i due punti di vista erano diversi.
PRESIDENTE. Mi scusi, ma la contraddizione è proprio in corpore vivi, perché si tratta di una situazione relativa a colui che veniva prospettato come il possibile assassino: una persona dice che stava nel sedile anteriore, un'altra persona dice che stava nel sedile posteriore.
DOMENICO VULPIANI. Ma quel tipo di Land Rover è dotato di doppi sedili anteriori - tre su una fila e tre su un'altra - e di due sedili posteriori, uno di fronte all'altro. È una Land Rover grande. Questa contraddizione noi l'abbiamo notata; abbiamo anche cercato di capire.
Però, abbiamo sentito Gelle e Alì a distanza di quattro anni dal fatto: che ci potessero essere delle contraddizioni tra le due testimonianze è anche probabile, però la gran parte delle dichiarazioni fatte da Alì e la ricostruzione fatta da Gelle coincidono. Se per quello, dovevamo prendere le distanze, non potevamo non cercare di approfondire. Tant'è vero che questo fatto lo indichiamo noi nei verbali.
PRESIDENTE. Sì, lo avete messo in rilievo, ma di fronte al nulla di riscontro rispetto alle dichiarazioni che venivano rese da Abdi...
DOMENICO VULPIANI. I riscontri li abbiamo cercati dopo, con gli altri testimoni!
PRESIDENTE. ... e da Gelle, c'è addirittura un riscontro negativo perché la persona indicata come l'omicida una volta può essere una, un'altra volta può essere un'altra.
Il particolare della Toyota, al quale lei fa riferimento, lo ribatto tanto per amor di dialettica: nessuno ha mai dubitato che fosse diverso il posto in cui sedeva Miran Hrovatin (nel sedile anteriore dove fu trovato ucciso) o quello dove sedeva Ilaria Alpi (nel sedile posteriore, dove ha trovato la morte). È vero, queste automobili sono particolari, però hanno sedili anteriori e sedili posteriori, che restano tali! Non si può parlare di ottica diversa.
DOMENICO VULPIANI. Stavo dicendo che queste macchine hanno due file di sedili anteriori, quindi uno può aver indicato un posto anche per errore. Anzi, il fatto che non fossero perfettamente coincidenti può essere visto anche a contrario, cioè che dicano la verità. Anche perché noi abbiamo registrato esattamente tutto quanto hanno detto.
PRESIDENTE. Va bene, è come dicono sempre i magistrati: se le cose coincidono, è perfetto; se non coincidono è ancora più perfetto.
DOMENICO VULPIANI. Sì, però non l'ho fatto io il processo, come non lo ha fatto lei. Quel che voglio dire è che bisogna pur restringere il campo delle nostre attività. Noi ci siamo limitati a registrare delle testimonianze e a fare un semplice fermo di polizia giudiziaria, che abbiamo trasmesso all'autorità giudiziaria. Poi, abbiamo fatto una serie di accertamenti, di indagini volte a chiarire il più possibile. Abbiamo fatto venire il testimone, e così via.
PRESIDENTE. Certamente, però a tutto il vuoto che fino a questo momento abbiamo potuto riscontrare insieme - mi auguro che lei sia d'accordo con noi - si aggiunge quest'altro elemento di forte contraddizione, ovvero che la persona indicata possa essere una piuttosto che un'altra.
Nel verbale di fermo di Gelle, voi riportate questa sua dichiarazione: «Conosco una
delle persone che erano a bordo della Land Rover, da dove sono scesi coloro che hanno ucciso la Alpi e Hrovatin. Si chiama Hashi Faudo, ha al massimo trent'anni» - tra l'altro, costui ne aveva una ventina, non trenta - «abita nella zona Karan di Mogadiscio, nella zona controllata da Ali Mahdi, fa parte del clan, eccetera. Voglio precisare che il termine Faudo è il suo soprannome, che significa fuorilegge. Lui era seduto accanto al guidatore della Land Rover».
DOMENICO VULPIANI. È il verbale da lui sottoscritto.
PRESIDENTE. Sì, lo so. Comunque, lui dice: «Era seduto accanto al guidatore della Land Rover. E non è tra coloro che sono scesi. Lo conoscevo di vista, eccetera».
DOMENICO VULPIANI. Però, tutti dicevano che non era sceso.
PRESIDENTE. Chissà quanti non sono scesi! Non è che tutti quelli che non sono scesi sono Hashi Faudo. Comunque, queste notazioni le faremo successivamente.
Nei rapporti con l'autorità giudiziaria, tutto si è limitato a quelle che sono state le deleghe che vi sono state conferite, ovvero atti assolutamente formali?
DOMENICO VULPIANI. Per la gran parte dei casi, sì.
PRESIDENTE. Non vi è stato nient'altro? Non vi è stato nessun altro tipo di interlocuzioni di carattere informale?
DOMENICO VULPIANI. No, la cosa è iniziata con deleghe ed è proseguita con deleghe, anche con suggerimenti che poi venivano trasformati in deleghe.
PRESIDENTE. E con la questura di Udine vi sono state interlocuzioni?
DOMENICO VULPIANI. Con Udine non ricordo esattamente come stessero le cose, perché non le ho seguite dall'inizio. Francamente, dovrei andarmi a rivedere tutte le carte dal 1994 in poi.
PRESIDENTE. Lei sa se il dottor Giannini si sia attivato per trovare qualche fonte confidenziale, a proposito di questa vicenda?
DOMENICO VULPIANI. Ricordo che nella comunità somala abbiamo fatto delle ricerche per ritrovare Gelle; abbiamo agito moltissimo sulla comunità somala. Era un'indicazione che anch'io avevo dato - cerchiamo di ritrovare questo qui - e ricordo che eravamo riusciti ad arrivare alla Germania.
PRESIDENTE. Lei considera importante ritrovare Gelle?
DOMENICO VULPIANI. Lo considero importantissimo. Non ritrovare Gelle per noi era uno smacco perché comunque ce lo avevamo in mano fino a Natale, poi se ne è andato. Se avevamo Gelle, lui ci avrebbe detto «è» oppure «non è» e avremmo risolto il problema.
PRESIDENTE. Ma non lo avete controllato, non lo avete pedinato?
DOMENICO VULPIANI. Lo avevamo messo apposta in un'officina! Però, era un testimone e comunque non l'ha seguito la DIGOS di Roma, l'ha fatto la prevenzione, in quanto è un compito suo proprio.
PRESIDENTE. Ma perché non avete proceduto con un incidente probatorio?
DOMENICO VULPIANI. È una cosa che si doveva fare, ma l'incidente probatorio lo avrebbe dovuto decidere il magistrato. Questa era la logica.
PRESIDENTE. Ha mai sentito nominare il maresciallo Li Causi?
PRESIDENTE. Sa se avesse dei rapporti con Ilaria Alpi? Ricorderà che il maresciallo Li Causi è stato ucciso.
DOMENICO VULPIANI. Sì, morì in un conflitto a fuoco nella zona del pastificio, mi pare. Noi abbiamo fatto qualche indagine su quel fatto, come attività delegata, però in particolare non lo ricordo. Abbiamo anche cercato di capire se ci fossero collegamenti o altre cose.
DOMENICO VULPIANI. Bisognerebbe chiedere al «santo» Giannini di andarsi a rivedere tutti i fascicoli, perché al riguardo qualcosa abbiamo fatto.
PRESIDENTE. Torniamo alle dichiarazioni di Gelle contenute nel verbale dell'11 ottobre 1997: certo che è una dichiarazione scarna! Mi riferisco alle dichiarazioni fatte da Gelle al pubblico ministero, dottor Franco Ionta, assistito dal dottor Giannini e dal dottor Fabrizio La Vigna. Praticamente sono trenta righe, in tutto, per cui questo soggetto avrà pensato che fosse una cosa all'acqua di rose e che se ne poteva tranquillamente andare!
Gelle dichiara: «Sono sicuro al 90 per cento che la donna era seduta sul sedile anteriore e l'uomo sul sedile posteriore del Toyota. L'autista della macchina era fuori dell'autovettura, così come fuori della macchina era la scorta. Quando è avvenuta la sparatoria, io mi trovavo a circa cento metri». Questo è quanto dice Gelle.
DOMENICO VULPIANI. Mi sembra che coincidano, però, le posizioni. Coincide la posizione di Ilaria Alpi con altre testimonianze.
PRESIDENTE. E no! Lui dice « Sono sicuro al 90 per cento che la donna era seduta sul sedile anteriore»; invece, c'era Miran Hrovatin. Insomma, in trenta righe fa quindici errori. Forse questo testimone bisognava un pochino «metterlo sotto», come sapete fare voi.
DOMENICO VULPIANI. Questo non è l'interrogatorio fatto da me.
PRESIDENTE. No, certo, questo non le appartiene: questo è un capolavoro, diciamo così.
Quali sono stati gli argomenti di fatto in virtù dei quali avete ritenuto non credibile Hashi Omar Hassan, quando continuava a dire che con l'omicidio non c'entrava niente e che era soltanto una vittima della violenza militare italiana? Quale è stato l'elemento in base al quale avete ritenuto inattendibile Hashi Omar Hassan?
DOMENICO VULPIANI. A noi ha dichiarato di avvalersi della facoltà di non rispondere.
PRESIDENTE. E l'argomento di fatto in base al quale l'avete ritenuto inattendibile?
DOMENICO VULPIANI. In base alle testimonianze.
PRESIDENTE. Ho capito, in base alla testimonianza di Gelle.
DOMENICO VULPIANI. Ma non è che dovevamo fare un processo, in quella sede. Dovevamo decidere in poche ore e questi erano gli elementi che avevamo; e li abbiamo messi a disposizione dell'autorità giudiziaria, che doveva decidere.
PRESIDENTE. Com'è che poi questo Hashi Omar Hassan ha continuato nella sua sprovvedutezza a tornare in Italia, per farsi arrestare in caso di condanna, come poi si sarebbe verificato? Le risulta che qualcuno lo abbia consigliato di venire in Italia, anche nella prospettiva di una tranquillità dal punto di vista della conclusione dell'inchiesta giudiziaria?
DOMENICO VULPIANI. Non mi risulta nulla al riguardo.
PRESIDENTE. Anche questo è un dato molto strano sul quale bisogna adeguatamente
riflettere: un cittadino che è assolto dopo essere stato in galera, e dopo aver passato quel che aveva passato, parte e se ne va in Olanda, da quel che abbiamo potuto sapere; poi, alla vigilia della sentenza di condanna, viene in tribunale per assistere alla sua condanna e farsi arrestare!
Le risulta che i familiari di Hashi Omar Hassan, al momento in cui fu arrestato per effetto della sentenza di condanna, abbiano inscenato parecchie proteste nei confronti delle autorità italiane e forse anche nei confronti delle forze di polizia?
DOMENICO VULPIANI. No, non ricordo assolutamente questo particolare. Tra l'altro, non ho seguito il processo. Come le ho detto, non sono stato neanche citato come teste.
PRESIDENTE. Lei ha conosciuto o sentito nominare Giampiero Sebri?
DOMENICO VULPIANI. No, così a memoria il nome non mi dice niente.
PRESIDENTE. È un personaggio che ebbe a riferire molte circostanze intorno al traffico di rifiuti tossici e radioattivi verso i cosiddetti Stati pattumiera...
DOMENICO VULPIANI. Dovrei andare a controllare gli atti della DIGOS.
PRESIDENTE. ...nei quali sarebbe stato coinvolto il generale Rajola Pescarini. Ha mai sentito parlare di queste cose?
DOMENICO VULPIANI. Il generale Rajola mi sembra che lo abbiamo anche interrogato.
PRESIDENTE. E non le risultano indicazioni in tale direzione?
DOMENICO VULPIANI. Non mi ricordo.
PRESIDENTE. Mi riferisco ad indicazioni in concorso - lo dico oggettivamente - con Giancarlo Marocchino rispetto al traffico di rifiuti radioattivi in Somalia.
DOMENICO VULPIANI. Ricordo che abbiamo interrogato sia Marocchino che Rajola, però il nome di Sebri non mi dice nulla, così a memoria. Andando a vedere le carte, potrebbe darsi che ci sia.
PRESIDENTE. Va bene, facciamo una riserva su questo punto.
Lei sa se il dottor Giannini avesse dei rapporti con il signor Marocchino, anche di carattere informativo? È stato mai informato di questo?
DOMENICO VULPIANI. Sì, che lui avesse parlato al telefono in Somalia con Marocchino, questo lo sapevo, me lo ha detto più volte. Poi, ha cercato di farlo venire in Italia per testimoniare; Marocchino era importante.
PRESIDENTE. Avete mai fatto indagini su Marocchino?
DOMENICO VULPIANI. Abbiamo cercato di acquisire tutti gli elementi possibili.
PRESIDENTE. E che vi è risultato, che era una brava persona?
DOMENICO VULPIANI. Bisogna guardare gli atti. Era una persona che viveva in Somalia, attraverso traffici non molto chiari, però noi stavamo un po' lontani per sapere quello che faceva effettivamente.
PRESIDENTE. Torno di nuovo sul fatto che non provenne da lei, ma dal dottor Giannini, l'iniziativa di basarsi sull'autoriconoscimento di Gelle nei reperti fotografici e cinematografici più volte ricordati nel corso di questo esame. L'aver dato assiomaticamente a questa pratica valore talmente assorbente da cementarsi con il giudizio di attendibilità di Gelle, sulla base dell'autoriconoscimento, in mancanza di qualsiasi termine di riferimento, è una procedura un po' disinvolta oppure no, secondo lei?
DOMENICO VULPIANI. Noi abbiamo riferito su come è avvenuto il fatto.
PRESIDENTE. Ho capito, ma le ho chiesto un'altra cosa.
Siccome la Commissione si deve interessare anche di eventuali situazioni anomale verificatesi nel corso dell'inchiesta, volevo sapere se le è capitato nella sua attività professionale, qualche volta, di affermare che Carlo Taormina è la tale persona sulla base del fatto che Carlo Taormina dice di essere quella persona.
Credo che la polizia dovrebbe fare qualche accertamento in più!
DOMENICO VULPIANI. Abbiamo cercato di fare tutti gli accertamenti possibili, dall'Italia verso la Somalia, ma più di tanti non ne potevamo fare. Tutti quelli che erano lì abbiamo cercato di farli venire.
PRESIDENTE. Per quanto mi riguarda, avrei finito.
Dottor Vulpiani, le chiedo scusa e anzi perdono per aver dovuto instaurare questo tipo di confronto, ma è per la verità e per il rispetto delle istituzioni.
DOMENICO VULPIANI. Io sono qui per collaborare.
PRESIDENTE. La parola all'onorevole Schmidt.
GIULIO SCHMIDT. Grazie, presidente.
Dottor Vulpiani, il verbale relativo al fermo di Hashi Omar Hassan è firmato da dieci persone: Vulpiani, Belfiore, Giannini, Conti, Pugliese, Ladislao, Malaspina, Ricciardi, Raho, La Vigna. Di queste dieci persone, qualcuna ha sollevato qualche dubbio o incertezza sul fermo di Hashi?
DOMENICO VULPIANI. Non mi risulta.
GIULIO SCHMIDT. Eravate tutti concordi?
DOMENICO VULPIANI. Almeno, io ho parlato con Belfiore e Giannini. Gli altri erano gli ispettori che avevano partecipato a tutte le indagini in quel pomeriggio. I verbali fatti in maniera così allargata servono anche a lasciare memoria scritta di chi c'era. È una cautela che si applica sempre, al termine di un atto finale quale un fermo di polizia giudiziaria, per avere più persone che l'hanno firmato, quando si va davanti all'autorità giudiziaria.
GIULIO SCHMIDT. Nella fase preparatoria del verbale, credo che tra di voi abbiate fatto anche un minimo di confronto, un minimo di riflessione.
DOMENICO VULPIANI. Il confronto io l'ho fatto con Giannini e con Belfiore.
GIULIO SCHMIDT. E con Ricciardi e gli altri?
DOMENICO VULPIANI. Erano tutti collaboratori di Giannini, che avevano svolto una serie di attività in quel pomeriggio. L'atto finale cristallizzava la situazione, anche per mettere in condizione chiunque, in futuro, compresa l'autorità giudiziaria, a chiamare anche loro come testi. È una forma di autotutela, perché poi con il tempo le persone si dimenticano di esserci state. Tutti dicono: io non c'ero...
PRESIDENTE. E, se c'ero, dormivo!
DOMENICO VULPIANI. Invece, come ha potuto vedere, stavano lì tutti quanti.
GIULIO SCHMIDT. Hashi Omar Hassan dichiarò subito il suo alibi, ovvero, che in quei giorni si trovava in visita dal nonno, il quale non stava bene?
DOMENICO VULPIANI. Da quel che ricordo, non lo dichiarò a verbale. Dichiarò, in un primo verbale che è stato fatto, altre cose. Comunque, fuori verbale lui disse tante cose, parlando soprattutto con i colleghi, non tanto con me, raccontando che il suo paese era impegnato in guerra, che c'erano stati cinquantamila morti, e così via.
GIULIO SCHMIDT. La domanda voleva essere più precisa, perché questo dato è stato poi confermato dalla persona per la quale prestava servizio Hashi, che accompagnò Hashi all'autobus per andare dal nonno proprio in quei giorni.
Rispetto all'interrogatorio da avete fatto ad Hashi, questa rivelazione fu fatta in quell'occasione, prima del fermo, o non fu fatta?
DOMENICO VULPIANI. Non ricordo. Se sia stata fatta dopo, in sede di atti processuali successivi, in questo momento non lo ricordo.
GIULIO SCHMIDT. Se l'avesse fatta, avrebbe attirato la vostra attenzione oppure no?
DOMENICO VULPIANI. L'avremmo messa a verbale.
GIULIO SCHMIDT. Va bene, ma di fronte ad una dichiarazione ben precisa, ovvero che in certi giorni ben precisi lui non era in quel posto, ne avreste tenuto conto oppure no?
DOMENICO VULPIANI. È la dichiarazione di un imputato che può anche mentire. C'è anche il diritto alla menzogna.
GIULIO SCHMIDT. Anche il testimone può mentire.
DOMENICO VULPIANI. In quel momento ci avevano dato la delega per interrogarlo e gli abbiamo comunicato i suoi diritti, tra cui anche quello di mentire.
GIULIO SCHMIDT. Mi permetta di ricostruire un po' la scena. Facciamo uno sforzo di immaginazione. La vettura con Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sta viaggiando e viene superata da una Land Rover che si ferma: ne scendono due persone, che incominciano a sparare. L'autista innesta la retromarcia e cerca di sfuggire agli spari delle due persone che sono scese dalla Land Rover.
Secondo lei, l'attenzione dell'autista su che cosa era concentrata in quel momento?
DOMENICO VULPIANI. L'autista nel fare marcia indietro era concentrato su quelli che l'aggredivano, ovviamente.
GIULIO SCHMIDT. Secondo lei, in quel momento l'autista chi stava guardando?
DOMENICO VULPIANI. Quelli che sparavano.
GIULIO SCHMIDT. Tenuto conto di questo, in quale attimo (addirittura fuggente, a mio avviso) ebbe l'occasione di identificare le altre cinque persone all'interno della macchina?
DOMENICO VULPIANI. Nel momento in cui era in sosta davanti all'albergo, mentre aspettava Ilaria Alpi che era entrata nell'albergo, quindi precedentemente, non nella fase dell'assalto, perché stavano parcheggiati l'uno accanto all'altro. Così, almeno, lui ha raccontato.
GIULIO SCHMIDT. Non le sembra strano che alle 22.30 improvvisamente l'autista dichiari che durante l'azione di fuoco Hashi era rimasto all'interno della vettura?
DOMENICO VULPIANI. Forse perché ha visto i due aggressori, che non erano lui. Lo avrà detto per esclusione, penso. E ciò coincide con la versione di Gelle.
GIULIO SCHMIDT. Per quanto tempo l'autista ha potuto osservare le persone che erano presenti nella Land Rover davanti all'hotel Hamana?
DOMENICO VULPIANI. Qualche minuto.
GIULIO SCHMIDT. Quindi sarebbe stato in grado di identificare tutte le altre persone.
DOMENICO VULPIANI. Lui ha detto che non ne conosceva nessuna, né Hashi Omar Hassan... L'ha individuato quando è andato all'aeroporto, quattro anni dopo. Lì per lì non conosceva i nomi di ciascuno di loro. Questa è la dichiarazione fatta da Alì, e lo ha ribadito anche a noi quando ha detto «io l'ho riconosciuto perché ha viaggiato con me in aereo e ho ricollegato il soggetto all'episodio».
GIULIO SCHMIDT. La vostra dichiarazione in cui tranquillizzate l'autista dicendogli che avrebbe potuto godere della protezione e che poteva stare sereno...
DOMENICO VULPIANI. Era anche malato di cuore. Aveva qualche problema...
GIULIO SCHMIDT. Perché l'ha sentita soltanto alle 22.30 e non all'inizio dell'interrogatorio?
DOMENICO VULPIANI. Gli è stata fatta nel tempo. Penso che gli sia stata fatta nell'intervallo, perché quando abbiamo cominciato ad interrogarlo lui ha iniziato a raccontare i fatti, però vedevamo l'atteggiamento reticente. Per noi Ali era un personaggio nuovo. C'erano due personaggi nuovi: Hashi Omar Hassan e Alì, e li avevamo tutti e due, uno un possibile membro del commando e l'altro un possibile testimone. Quindi, abbiamo cominciato a farci raccontare i fatti, visto che lui i fatti li raccontava; poi è intervenuto il fatto di sentire Cassini e mi sono portato via il dottor Giannini. Alì è rimasto alla DIGOS.
GIULIO SCHMIDT. Non ricorda se sia stato nel pomeriggio o alla ripresa dell'interrogatorio? Ovviamente, visto che è stato dichiarato che questa fu la molla che fece cambiare opinione all'autista...
DOMENICO VULPIANI. Penso che ci abbia parlato soprattutto il dottor Belfiore, che ha la grande capacità di calmare la gente.
GIULIO SCHMIDT. Secondo lei lo fece nel pomeriggio?
DOMENICO VULPIANI. No, il pomeriggio era già passato. Io sono arrivato in ufficio che erano le 17, perché alle 16 ero a casa. Ricordo la telefonata di Giannini che mi comunicava che era arrivata la delega per andare...
GIULIO SCHMIDT. Lo fece prima che voi andaste da Cassini o dopo?
DOMENICO VULPIANI. Mentre noi andavamo da Cassini ha cominciato a parlarci e ha cercato di rassicurarlo, perché la tensione che aveva si avvertiva, ma non può essere santificata in un verbale; sono sensazioni che si hanno. Si è capito che poteva parlare se rassicurato; abbiamo cercato umanamente di rassicurarlo, tenendo conto anche i problemi di lingua. Il dottor Belfiore in questo è molto bravo, è molto rassicurante; l'ha fatto anche in altre circostanze. Tenga presente che loro parlavano una lingua e noi un'altra, quindi dovevamo far capire certi messaggi attraverso un interprete. Ma non tutto risulta nel verbale, perché quando si tratta di scrivere molte cose non vogliono dichiararle.
GIULIO SCHMIDT. È stata posta la domanda precisa all'autista: perché non l'hai detto subito?
DOMENICO VULPIANI. Nella dichiarazione lui ha detto che non conosceva Hashi Omar Hassan prima di averlo visto qua.
GIULIO SCHMIDT. No, un'altra cosa: visto che si decide a parlare soltanto dopo la famosa sosta e soltanto a partire dalle 22.30, nel momento in cui cambia versione e, se non ricordo male, dopo una consultazione con il suo avvocato, e voi acquisite quella che secondo voi è la confessione effettiva del riconoscimento...
DOMENICO VULPIANI. È una testimonianza.
GIULIO SCHMIDT. È una testimonianza, diciamo una confessione. Non gli avete chiesto come mai fino a quel momento non l'aveva fatta?
DOMENICO VULPIANI. Non è stato messo a verbale, ma sicuramente glielo abbiamo chiesto. Probabilmente ha risposto che aveva paura, perché gli altri testimoni venuti in Italia sono stati riaccompagnati... L'altra volta che era venuto non gli era stato detto che poteva rimanere in Italia. La gran parte dei testimoni che abbiamo sentito anche successivamente ha manifestato la stessa paura. C'era gente che aveva interesse a tornare in Somalia che non voleva dichiarare alcunché perché aveva magari mogli e figli.
GIULIO SCHMIDT. Da quanto risulta, la presenza in Italia dell'autista era assolutamente casuale, nel senso che soltanto all'ultimo momento...
DOMENICO VULPIANI. Era casuale anche quella di Hashi Omar Hassan, che si è presentato perché si è messo lui nella lista...
GIULIO SCHMIDT. Casuale, però con una logica, nel senso che guarda caso sale su quell'aereo una persona che viene a testimoniare per altre cose e non certo per questa, e guarda caso la persona che all'ultimo momento viene invitata a salire su quello stesso aereo sarà la persona che poi riconoscerà Hashi Omar Hassan. Non le sembra strano? Questa casualità, questi inviti improvvisi a salire sull'aereo, come a dire «fatti un viaggetto anche tu in Italia» e poi alla fine...
DOMENICO VULPIANI. Alì era disponibile a tanti servizi, anche prima, almeno a quello che risulta dalle carte. Lui l'ha invitato a salire su, lo sapeva bene che era un testimone, quindi probabilmente ha cercato di portare il testimone, in buona fede. Anche Cassini non è che abbia fatto qualcosa... Avrà pensato «questo è un testimone oculare e un probabile... Lo porto in Italia». Ha fatto un'opera secondo me meritoria, finalizzata ad accertare la verità.
PRESIDENTE. Magari mostrandolo anche ad altri testimoni!
GIULIO SCHMIDT. Presidente, ho finito.
PRESIDENTE. Vorrei richiedere un chiarimento sulla delega della procura di Roma. Lei ha detto adesso che Giannini le telefonò mentre era a casa per dirle che era arrivata la delega.
DOMENICO VULPIANI. Delega che c'è stata data tramite la direzione centrale della polizia di prevenzione.
PRESIDENTE. Sì, ma prima mi pareva di aver sentito - forse mi sono sbagliato - che venne in mente a lei di chiedere la delega...
DOMENICO VULPIANI. Questa è la seconda delega, quella per Cassini. Forse non mi sono spiegato bene. C'è stata una seconda delega molto breve, che diceva più o meno: andate ad interrogare Cassini per vedere di identificare l'identità di Hashi Omar Hassan.
PRESIDENTE. A proposito della presenza di Gelle, oltre al fatto che l'ambasciatore Cassini, da noi sentito in questa sede qualche giorno fa, ha riferito che, per quel egli venne a conoscere, Gelle non era stato presente all'omicidio ma è arrivato un attimo dopo, noi abbiamo una registrazione telefonica, sulla quale peraltro stiamo compiendo accertamenti, intervenuta tra un giornalista somalo, tale Sabrie del nostro TG3, e il signor Gelle. Questa intercettazione risale al luglio 2002, all'indomani del passaggio in giudicato della sentenza per essere stato il ricorso per Cassazione respinto dalla Corte suprema.
DOMENICO VULPIANI. Io non me la ricordo.
PRESIDENTE. Voi non l'avete perché fu fatta da questo giornalista che appunto parlò con il signor Gelle, o meglio con quello che dichiarava di essere Gelle.
A questo punto ritengo opportuno segretare i nostri lavori. Non essendovi obiezioni, dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno.
(La Commissione procede in seduta segreta).
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno.
Ringrazio il dottor Vulpiani per l'apporto che ha dato ai nostri lavori e dichiaro concluso l'esame testimoniale.
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