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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame testimoniale del dottor Massimo Alberizzi, il quale è sentito con le forme della testimonianza e, quindi, con l'obbligo di dire la verità e di rispondere alle domande che gli verranno poste dal presidente della Commissione e da ciascuno dei commissari. Chiedo innanzitutto al dottor Alberizzi di fornire le proprie generalità.
MASSIMO ALBERIZZI. Mi chiamo Massimo Alberizzi, sono nato il 7 dicembre 1947 a Milano, ove sono residente, in piazza Giulio Cesare numero 9.
PRESIDENTE. La sua professione?
MASSIMO ALBERIZZI. Sono giornalista presso il Corriere della Sera e sono stato consulente del Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite per le indagini sulle violazioni compiute nell'ambito del traffico d'armi in Somalia.
MASSIMO ALBERIZZI. Dal settembre al novembre 2003.
PRESIDENTE. Ha vincoli di segreto d'ufficio, per effetto di tale carica?
MASSIMO ALBERIZZI. No, in quanto il mandato è scaduto.
PRESIDENTE. Bene. Lei sa di cosa si interessa questa Commissione, ovvero dell'uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Credo che lei conoscesse Ilaria Alpi: è esatto?
PRESIDENTE. Quando l'ha conosciuta?
MASSIMO ALBERIZZI. Il 19 dicembre 1992, a Mogadiscio: mi fu presentata da Giuseppe Bonavolontà, l'inviato del TG3 che era lì in quel momento. Ilaria era venuta a dargli il cambio - mi ricordo il giorno esatto, in quanto è il compleanno di mio fratello - ed egli me la affidò dicendomi che si trattava di una giovane collega; con Pucci Bonavolontà avevamo lavorato assieme, eravamo nello stesso ospedale: l'ospedale dell'organizzazione SOS Kinderdorf, un'organizzazione non governativa; eravamo lì, a vivere in quell'ospedale, in quel villaggio del fanciullo.
PRESIDENTE. Dove eravate, di preciso?
MASSIMO ALBERIZZI. A Mogadiscio.
PRESIDENTE. Quindi, il primo incontro con Ilaria Alpi avviene a Mogadiscio.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, avviene a Mogadiscio. Poi, abbiamo vissuto assieme ad altri giornalisti in quell'ospedale, che non è soltanto un ospedale, ma anche un villaggio con scuole.
PRESIDENTE. Nel 1992, lei ha detto.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, nel 1992, a dicembre.
PRESIDENTE. Vorrei che ci dicesse quali sono state, dal 1992 al 1994, le occasioni di frequentazione con Ilaria Alpi. Cominciamo con il 1992: per quanto tempo ?
MASSIMO ALBERIZZI. Nel 1992, fino ai primi di gennaio, Natale e capodanno compresi.
PRESIDENTE. Quindi, pochi giorni.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, fino a verso il 6 gennaio, quindi una ventina di giorni.
PRESIDENTE. Siete stati sempre a Mogadiscio?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, sempre a Mogadiscio, tranne il giorno di Natale, in cui io sono andato a Bardere e lei è andata da un'altra parte, non a Mogadiscio, poi ci siamo rincontrati al ritorno.
PRESIDENTE. Ilaria Alpi era sola?
MASSIMO ALBERIZZI. No, aveva un suo cameraman, naturalmente.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, nel 1992.
PRESIDENTE. Chi era? Se lo ricorda?
MASSIMO ALBERIZZI. Potrebbe essere Alberto Calvi, però se dovessi fare una dichiarazione giurata, non lo giurerei, in quanto non me lo ricordo.
PRESIDENTE. E avete alloggiato nello stesso albergo?
MASSIMO ALBERIZZI. Non era un albergo, era il compound, cioè il quartier generale di quella organizzazione - SOS Children o SOS Kinderdorf, in tedesco -
che era, appunto, un ospedale con annesso un villaggio per orfani, un orfanotrofio.
PRESIDENTE. E voi alloggiavate nell'ospedale?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, nelle case dei dottori, nella parte riservata ai civili; in particolare, nella casa del coordinatore residente di quella organizzazione, il quale si chiama Willy Huber ed è italiano, un altoatesino di Bolzano.
PRESIDENTE. Siamo a cavallo tra il 1991 e il 1992 o tra il 1992 e il 1993?
MASSIMO ALBERIZZI. Siamo a cavallo tra il 1992 e il 1993.
PRESIDENTE. Dopo il gennaio 1993, quando ha rivisto Ilaria? E dove?
MASSIMO ALBERIZZI. A Mogadiscio - e in Somalia, comunque - alla fine di giugno 1993 e a luglio-agosto 1993.
Poi, nel dicembre 1993, siamo andati assieme in Mozambico, ma io sono partito dalla Somalia; l'aereo era venuto in Somalia, era un viaggio ufficiale in quanto in Mozambico vi era una forza italiana di pace; pertanto, io mi sono imbarcato sicuramente a Mogadiscio e Ilaria era su quell'aereo (vi sono delle fotografie che lo dimostrano); siamo andato in Mozambico assieme a quel gruppo di giornalisti; non mi ricordo, però, se Ilaria si fosse imbarcata a Mogadiscio con me.
PRESIDENTE. Un attimo, collochiamo temporalmente questi episodi. Dunque, la seconda volta che lei, nel 1993, frequenta Ilaria Alpi è nel giugno 1993.
PRESIDENTE. Da quando a quando?
MASSIMO ALBERIZZI. Un attimo: io ricordo le mie trasferte e durante tali trasferte, in alcuni momenti, c'era anche Ilaria. Io sono tornato a Mogadiscio il 4 maggio 1993, però non ricordo se Ilaria fosse lì. Poi, sono tornato alla fine di giugno e sono rimasto fino ai primi di agosto.
PRESIDENTE. E in tale periodo c'era anche Ilaria?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, in tale periodo c'era anche Ilaria, però non so dirle quanto Ilaria sia rimasta lì.
PRESIDENTE. Comunque, è dalla fine di giugno fino ai primi di agosto.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, io sono rimasto lì e in parte di questo periodo c'era anche Ilaria. Poi, sono rientrato a metà agosto e sono stato fino alla fine di settembre.
MASSIMO ALBERIZZI. A Mogadiscio. Ho fatto un periodo di vacanza, una decina di giorni, all'inizio di agosto. Poi, l'8 agosto vi è stato un attentato in cui sono morti otto americani, allora il Corriere della Sera mi ha chiesto di ritornare lì; quindi, intorno al 14-15 agosto sono tornato a Mogadiscio. E sono rimasto a Mogadiscio dal 15-16 agosto, dalla metà di agosto, fino al 29 settembre. Il 25 settembre sono stato sequestrato a Mogadiscio e il Corriere della Sera mi ha chiesto di tornare, dopo che mi hanno liberato. Sono stato sequestrato qualche minuto, non qualche giorno.
PRESIDENTE. E successivamente?
MASSIMO ALBERIZZI. Poi, sono tornato il 5-6 dicembre del 1993 e a metà di tale trasferta sono andato in Mozambico, partendo da Mogadiscio; e su quell'aereo vi era anche Ilaria Alpi.
PRESIDENTE. Eravate nello stesso aereo perché siete partiti insieme?
MASSIMO ALBERIZZI. No, era l'aereo di una delegazione ufficiale: veniva da Roma, si è fermato a Mogadiscio ha proseguito per Maputo.
PRESIDENTE. Quindi, nel 1993, lei e Ilaria Alpi vi siete visti per una frazione del mese di gennaio, poi tra giugno e agosto e, infine, a dicembre.
MASSIMO ALBERIZZI. Nel 1994, non abbiamo mai lavorato assieme, a Mogadiscio, perché io vi sono andato prima e lei vi è andata dopo.
PRESIDENTE. Quindi, non vi siete mai incontrati a Mogadiscio.
MASSIMO ALBERIZZI. No, nel 1994 no.
PRESIDENTE. Che faceva Ilaria Alpi a Mogadiscio - o, comunque, in Somalia - la prima, la seconda e la terza volta che vi siete incontrati?
MASSIMO ALBERIZZI. Il suo lavoro. Attenzione, io e Ilaria eravamo molto amici, ci scambiavamo moltissime opinioni...
PRESIDENTE. Per questo gliel'ho chiesto.
MASSIMO ALBERIZZI. ... però non lavoravamo materialmente assieme.
Mi spiego: il lavoro della televisione è molto diverso dal lavoro del reporter, di colui che scrive. Chi lavora per la televisione si deve fermare all'angolo della strada per filmare, mentre io, che scrivo, all'angolo della strada non mi ci fermo. Abbiamo fatto, però, delle interviste in comune. In particolare, abbiamo fatto un'intervista in comune, nel dicembre 1992, ad un'organizzazione islamica di aiuto, di soccorso - la IIRO, International Islamic Relief Organization. Non ricordo il nome del tizio che abbiamo intervistato, il quale era il capo di tale organizzazione a Mogadiscio. Posso controllare il nome, comunque, perché ho tutti i miei taccuini.
PRESIDENTE. Che tipo di organizzazione islamica è?
MASSIMO ALBERIZZI. È un'organizzazione non governativa, caritatevole, di aiuto alla popolazione, alla gente, ai civili, quale potrebbe essere, ad esempio, Médecins Sans Frontières; o meglio, come potrebbe essere la Caritas, che è più caratterizzata in senso religioso.
PRESIDENTE. Quell'intervista si inquadrava in un programma di lavoro che avevate fatto insieme oppure fu occasionale, in quanto eravate entrambi interessati?
MASSIMO ALBERIZZI. No, non facevamo programmi di lavoro assieme; facevamo delle proposte e poi ciascuno poteva dire: se t'interessa, vieni con me.
In quel periodo la Somalia non era in guerra, tutt'altro: erano arrivati gli americani, ed erano stati accolti dai somali con molta felicità; in quel dicembre, si era cominciato a distribuire gli aiuti e gli americani garantivano la sicurezza dei convogli umanitari all'interno del paese. Alcuni di questi convogli erano organizzati: il materiale che trasportavano veniva dai paesi islamici, dall'Arabia Saudita, di cui quella organizzazione è un'emanazione ufficialmente non governativa; però, sappiamo come funzionino le organizzazioni non governative in quei paesi. Dunque, volevamo capire quale funzione potessero giocare le organizzazioni islamiche. Stiamo parlando di dodici anni fa, quando l'islamismo non era al centro del terrorismo internazionale come è adesso.
PRESIDENTE. Di questo ne parleremo successivamente. Dunque, nel dicembre 1992, vi è stata l'unica occasione di lavoro insieme?
MASSIMO ALBERIZZI. No, abbiamo fatto altre cose assieme. Ad esempio, andavamo a fare delle perlustrazioni, per vedere quale fosse la situazione nei campi profughi.
In quel momento, Mogadiscio era divisa tra Mogadiscio nord e Mogadiscio sud. Un giorno, a Ilaria hanno rubato gli occhiali dal finestrino (eravamo sulla stessa macchina, la mia: intendo dire che era la macchina organizzata da me); glieli ha rubati un ragazzo, che ha cominciato a correre; l'autista della nostra macchina si è messo a rincorrerlo in automobile, finché, entrato in un vicolo di Mogadiscio, quel ragazzo è stato bloccato dalla folla inferocita, che ha restituito gli occhiali a Ilaria, mentre noi dicevamo all'autista: attenzione, è inutile che corri ad ammazzare un ragazzino per un paio di occhiali!
PRESIDENTE. Sempre con riferimento a questo viaggio a cavallo tra dicembre 1992 e gennaio 1993, ricorda qualche altro servizio, qualche altra attività che avete svolto insieme?
PRESIDENTE. Quindi, praticamente, lavoravate proprio molto, insieme.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, lavoravamo molto assieme, però...
PRESIDENTE. E che facevate? Vi spartivate i compiti?
MASSIMO ALBERIZZI. No, soprattutto facevamo dei briefing serali in cui ci dicevamo: che cosa andiamo a fare, domani? Ilaria, ovviamente, lavorava con le immagini, cosa che io invece non facevo. Ad esempio, se lei entrava in un campo profughi, rischiava di rimanerci tre, quattro ore, in quanto aveva bisogno di trovare l'immagine giusta, mentre a me interessava di più avere il feeling, parlare con le persone, fare un giro; però, oltre un'ora, in un campo profughi non ci sto! Insomma, lavoravamo assieme, facevamo dei briefing. Soprattutto, facevamo assieme delle interviste. Una intervista con la telecamera è un lavoro che si può fare assieme; invece, il lavoro esterno, dove le immagini divergono...
PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, ma la sera che cosa decidevate? Se ho capito bene, poteva darsi il caso che decidevate, per l'indomani, di visitare il campo profughi. Lei lavorava come giornalista per la stampa e Ilaria Alpi come giornalista per la televisione; tuttavia, vi interessavate dello stesso oggetto?
MASSIMO ALBERIZZI. L'oggetto è la Somalia. Ad esempio, si può fare un briefing in cui uno dei due dice all'altro: senti, andiamo a intervistare il Primo ministro...
PRESIDENTE. Va bene, l'oggetto è la Somalia ma lei ci ha detto che nei briefing serali vi scambiavate idee su quello che avreste fatto il giorno dopo.
MASSIMO ALBERIZZI. Anche sul giorno prima, sulle nostre opinioni.
PRESIDENTE. Quindi, vi era una sinergia forte, sia pure da angoli visuali diversi.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, una sinergia forte.
PRESIDENTE. Allora, completiamo il quadro. Nel periodo tra giugno e agosto, avete fatto qualcosa insieme? Ricorda qualche servizio, in particolare, sul quale avete concentrato l'attenzione?
MASSIMO ALBERIZZI. A quel punto, in Somalia era cominciata la guerra, quindi era abbastanza pericoloso muoversi, andare in giro. Ad esempio, il 12 luglio 1993, a Mogadiscio furono uccisi quattro giornalisti durante un'azione che, se volete, posso raccontare nei dettagli.
MASSIMO ALBERIZZI. Durante quell'azione Ilaria è sparita e siccome abbiamo saputo che erano stati uccisi quattro giornalisti, ci siamo contati per vedere chi non c'era, chi non fosse presente in quel momento; e Ilaria era andata via. Un'agenzia - l'ADN Kronos - l'aveva addirittura data
per morta; invece, con le radio, l'abbiamo in qualche modo rintracciata e così abbiamo appreso che non era tra i morti.
PRESIDENTE. E dove era andata?
MASSIMO ALBERIZZI. Era andata a casa di una signora somala, Starlin Arush, la quale è stata uccisa a Nairobi, nel novembre di due anni fa.
PRESIDENTE. In quel periodo, quali sono state le attività di interesse comune - laddove ve ne siano state - e quali sono state (qualora lei ne sia a conoscenza) le attività di interesse specifico di Ilaria Alpi?
MASSIMO ALBERIZZI. In quel periodo, noi seguivamo molto la cronaca: vi era un bombardamento al giorno, auto che saltavano, bombe che scoppiavano nei mercati. Poi, c'era la parte diplomatica, in quanto gli americani e gli italiani erano in lite sul modo di comportarsi rispetto alla situazione somala: c'era, insomma, una divaricazione sulla politica da usare in Somalia.
Noi cercavamo di approfondire queste tematiche attraverso interviste alle persone, alla società civile, ai personaggi politici, agli ambasciatori - l'ambasciatore americano, l'ambasciatore italiano - e, naturalmente, ai generali, ai militari. Insomma, affrontavamo la questione da questo punto di vista.
PRESIDENTE. Facevate - come dire - i giornalisti di guerra? Facevate la cronaca della guerra?
MASSIMO ALBERIZZI. Ad esempio, se durante la notte c'era stata un'azione dei militari americani - i quali, in quel periodo, tentavano di catturare il generale Aidid -, al mattino successivo andavamo a vedere quel che era successo. Come ho detto, gli americani facevano azioni di commando alla ricerca del generale Aidid.
PRESIDENTE. Dal punto di vista logistico, dove eravate alloggiati?
MASSIMO ALBERIZZI. In quel momento, ci eravamo trasferiti; non eravamo più nella sede di SOS Kinderdorf; che era piuttosto decentrata, mentre prima era molto importante, in quanto era l'unica sede a non essere stata saccheggiata a Mogadiscio, quindi l'unica sede su cui ci si poteva basare. Poi, pian piano, sono nati degli alberghi, in particolare sono nati due alberghi: l'hotel Hamana, dove era il quartier generale di quasi tutti i giornalisti italiani; si trovava di fronte all'ambasciata italiana, dove era in quel momento il contingente italiano.
PRESIDENTE. Lei e Ilaria alloggiavate lì?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, noi abbiamo alloggiato lì, assieme, fino a quel famoso 12 luglio; il 13 luglio siamo andati, invece, nell'altro albergo, che era al centro dell'azione perché era al quarto chilometro, in una zona controllata dal generale Aidid, dove gli americani facevano le loro incursioni.
MASSIMO ALBERIZZI. Albergo Sahafi.
PRESIDENTE. In quella zona comandava Aidid o qualcun altro?
MASSIMO ALBERIZZI. Comandava il generale Aidid, però c'era anche l'ambasciata americana, che era circondata dalle forze del generale Aidid.
PRESIDENTE. Eravate dei giornalisti graditi, in quella zona? Non so se abbiate avuto contatti con emissari di Aidid o con lo stesso Aidid.
PRESIDENTE. Dunque, eravate graditi oppure no?
MASSIMO ALBERIZZI. Vi è un gradimento politico e vi è un gradimento, per dire, del «banditismo»: noi che conoscevamo
la situazione somala approfonditamente, utilizzavamo scorte di tipo neutrale, macchine appartenenti a clan neutrali, macchine non rubate, altrimenti qualcuno avrebbe potuto assalirci per riprendersele. Pertanto, stavamo molto, molto attenti ad utilizzare il clan giusto: ad esempio, se si andava in una certa zona della città, bisognava utilizzare un certo tipo di clan; se si andava in un'altra zona, si doveva utilizzare un altro tipo di clan, possibilmente mescolandoli tutti. In quel momento avevo lo stesso autista che aveva Ilaria quando è stata uccisa; al mattino gli chiedevo sempre: Ali, abbiamo pagato tutti? In macchina, abbiamo tutti?
PRESIDENTE. Queste vostre attività giornalistiche riguardavano gli accadimenti di guerra - per cui, ciascuno di voi li interpretava, li valutava e li registrava per quel che era di sua competenza - oppure vi era qualcosa che facevate insieme?
MASSIMO ALBERIZZI. A quel punto vi erano dei briefing non solo tra noi due, ma tra tutti i giornalisti che, in un grande gruppo, si trovavano in quell'albergo; erano tutti giornalisti internazionali; di italiani vi eravamo solo io ed Ilaria, per le grandi testate, e qualche fotografo free lance; tutti gli altri italiani erano all'hotel Hamana, che era lontano dalla zona di guerra. I briefing che tenevamo erano con la CNN, con la BBC, con il New York Times, con il Washington Post, e così via.
Si trattava, del resto, di briefing spontanei, anche perché gli orari dei giornalisti sono tutti sfalsati: l'inviato del New York Times deve scrivere alle tre del pomeriggio - o, magari, alle tre di notte - mentre io debbo farlo alle sette. Però, ad esempio, si andava a cena e si discuteva; ci si chiedeva: chi hai visto, oggi? Chi vedrai domani? Che cosa c'è di interessante? E così via. Dunque, si metteva in comune un patrimonio quotidiano in termini di raccolta di informazioni, di sensazioni, anche di gossip dal quale uscivano dei servizi. Attenzione, molti dei programmi che si facevano in quel periodo, poi, saltavano perché magari nella notte era accaduto qualcosa; per cui, alla fine, non si utilizzava tutto il materiale - anzi, se ne utilizzava pochissimo - che si era raccolto durante quel periodo di lavoro.
PRESIDENTE. E a dicembre 1993?
MASSIMO ALBERIZZI. A dicembre 1993 - l'8 dicembre - vi è stata l'uccisione della crocerossina Maria Cristina Luinetti.
PRESIDENTE. Ilaria era già in Somalia?
MASSIMO ALBERIZZI. Non me lo ricordo.
PRESIDENTE. Comunque, è venuta lì a dicembre.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, è venuta a dicembre; mi ricordo che abbiamo fatto il viaggio in Mozambico, ma non ricordo se abbiamo lavorato...
PRESIDENTE. Quindi, non c'è stata una permanenza in comune, questa volta, ma soltanto il viaggio in aereo.
MASSIMO ALBERIZZI. No, non dico questo; sto dicendo che non me lo ricordo. Dovrei controllare i miei appunti, dove ho tutto. Comunque, è una vicenda sulla quale abbiamo indagato e sulla quale abbiamo parlato - noi parlavamo anche in Italia, naturalmente: una volta tornati in Italia ci scambiavamo opinioni - e sulla questione dell'uccisione della crocerossina abbiamo indagato in un modo diverso.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, Ilaria l'ha fatto, in qualche modo, e di questa storia ne abbiamo discusso, ne abbiamo parlato perché era piuttosto complicata: secondo noi, non era così semplice come è stata descritta e riportata nei rapporti.
PRESIDENTE. Che cosa è risultato?
MASSIMO ALBERIZZI. È risultato che Maria Cristina Luinetti è stata, secondo le testimonianze che abbiamo raccolto, uccisa da fuoco amico.
PRESIDENTE. E chi sarebbe questo «fuoco amico»?
MASSIMO ALBERIZZI. I carabinieri del Tuscania che erano corsi a liberarla.
PRESIDENTE. Lei aveva saputo questa cosa?
MASSIMO ALBERIZZI. Io avevo saputo questa cosa da alcune testimonianze raccolte; io ero lì, quel giorno, le avevo raccolte e quindi ne avevo parlato con Ilaria.
PRESIDENTE. Quindi, Ilaria ne era a conoscenza.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, ne era a conoscenza.
PRESIDENTE. Aveva fatto qualche servizio su quell'uccisione?
MASSIMO ALBERIZZI. Io ho scritto qualcosa.
PRESIDENTE. Glielo domando anche a proposito di Ilaria.
MASSIMO ALBERIZZI. Per quanto riguarda Ilaria, non lo so, perché quando sono via non seguo niente, non ho la televisione.
PRESIDENTE. Mi racconti bene dell'uccisione della crocerossina: l'accertamento lo avete fatto insieme o è stato lei a farlo?
MASSIMO ALBERIZZI. L'accertamento l'ho fatto io, poi l'ho riferito a Ilaria. Quel giorno, me lo ricordo bene, Ilaria non c'era.
PRESIDENTE. E quando lei le ha dato queste notizie, queste informazioni, Ilaria ha preso appunti? Era interessata?
MASSIMO ALBERIZZI. Non lo so, perché quel giorno lei non c'era, quindi ne abbiamo parlato al telefono. Ripeto, quel giorno lei non c'era. Non mi ricordo se è venuta dopo, ma il 7-8 dicembre (io ero arrivato il 5-6 dicembre) Ilaria non c'era.
PRESIDENTE. Perché lei parla di «fuoco amico»? È risultato da qualche parte, sul piano ufficiale?
MASSIMO ALBERIZZI. Sul piano ufficiale, vi è stata un'inchiesta che si è conclusa con l'archiviazione...
PRESIDENTE. Essendo fuoco amico, vi è stata l'archiviazione, giusto?
MASSIMO ALBERIZZI. Non posso fare illazioni. Il giornalista non fa illazioni, descrive solo quello che sa.
PRESIDENTE. Chi è che ha archiviato? La procura di Roma?
MASSIMO ALBERIZZI. Credo di sì, credo che sia stato a Roma.
PRESIDENTE. Lei fu sentito, a Roma?
MASSIMO ALBERIZZI. Non su questo. Io sono stato sentito sul caso di Ilaria, non su questo, anche se ne ho scritto. L'ho scritto, questo, sul giornale.
PRESIDENTE. Lei ne ha scritto; ma su questa vicenda è stato chiamato dalla procura di Roma?
PRESIDENTE. Comunque, visto che lei ha scritto qualcosa, ci affidiamo alla sua cortesia affinché ce lo faccia pervenire.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, vediamo nell'archivio del Corriere della Sera.
PRESIDENTE. Ci spieghi questo episodio.
MASSIMO ALBERIZZI. Che cosa avevamo trovato dalle informazioni ricavate? Dunque, Maria Cristina Luinetti era stata sequestrata. L'ambulatorio era di fronte all'ambasciata italiana; attenzione, non era proprio l'ambasciata italiana, bensì il comando del contingente italiano...
PRESIDENTE. L'ambasciata italiana era davanti all'albergo?
MASSIMO ALBERIZZI. No, sullo stesso lato dell'albergo.
PRESIDENTE. Come si chiama l'albergo?
MASSIMO ALBERIZZI. Amana; ed è di fronte all'ambasciata, ma un po' spostato, non esattamente di fronte; l'ambulatorio era proprio di fronte; l'albergo è un po' spostato, comunque sul marciapiede di fronte. Io la chiamo «ambasciata» ma, in realtà, l'ambasciata non c'era più.
L'edificio dell'ex ambasciata - forse, sarebbe meglio chiamarlo così - era il comando del contingente a Mogadiscio; di fronte, avevano realizzato un ambulatorio, dove lavoravano le crocerossine. Una di queste crocerossine è stata sequestrata all'interno di uno sgabuzzino da un signore che aveva una o due pistole. C'è stata una richiesta d'aiuto, in qualche modo, e vi è stata una sparatoria; secondo le testimonianze che ho raccolto, sarebbero entrati i carabinieri del Tuscania sparando all'impazzata, mentre quel signore non avrebbe sparato alcuno colpo. Maria Cristina Luinetti è morta, colpita da arma da fuoco.
PRESIDENTE. Le chiedo di rappresentarci quali erano gli interessi giornalistici di Ilaria, per quello che lei ha capito, in quel periodo di frequentazione. Non so se, successivamente, tra voi vi siano state occasioni di incontro o di contatto telefonico, ad esempio nel 1994, prima che Ilaria partisse di nuovo per la Somalia, dove avrebbe poi trovato la morte.
Secondo le sue consapevolezze, quali erano gli interessi giornalistici di Ilaria Alpi?
MASSIMO ALBERIZZI. Ilaria faceva un giornalismo più di tipo sociale ed umanitario che di tipo investigativo. Ero venuto a conoscenza ed avevo dei documenti che riguardavano lo scandalo della cooperazione ed avevo chiesto ad Ilaria di controllarli; li avevo lasciati a Mogadiscio, tra l'altro, quindi avevo chiesto ad Ilaria di controllarli, ma lei non aveva nessuna intenzione di farlo; mi disse: se capita, lo faccio, ma sai che preferisco fare altre cose; questo lo so, perché ne avevamo parlato; così come avevamo parlato del fatto che lei era grafomane, però non prendeva appunti.
Ilaria ha scritto un «coccodrillo» su di me, di suo pugno, però non prendeva appunti. Lo so, perché ne abbiamo discusso. Le chiesi come mai non prendesse appunti e mi rispose che per lei parlava la macchina da presa. Al che io le dissi: però, se registri cento ore, poi te le devi rivedere tutte; mi rispose che non era necessario, perché segnava il numero di giri corrispondenti a ciò che riprendeva; ad esempio, tanto per dire, poteva scrivere: «0.42 - intervista presidente Taormina».
Al contrario, era grafomane, scriveva in continuazione, ma erano cose sue; non prendeva appunti durante le interviste o durante il lavoro. Io, invece, prendo appunti. Non registro mai le interviste, a meno che non si tratti di interviste particolari, per le quali vi potrebbe essere il rischio di smentite. Tuttavia, non lavorando molto in Italia, non l'ho mai fatto. Solo quando ho intervistato l'onorevole Andreotti, mi sembra, ho fatto diversamente. Ilaria, comunque, non prendeva appunti e utilizzava la telecamera come un registratore, per avere le informazioni dalla telecamera.
PRESIDENTE. In una occasione - mi auguro che se ne ricordi - lei parlò di
Ilaria come di una giornalista che cercava (cito testualmente) «di scavare, capire, investigare, in particolare sui temi della mala cooperazione».
MASSIMO ALBERIZZI. Io questa intervista non l'ho mai fatta. È stata un'interpretazione. Lei scavava, ma in un altro modo, nel campo sociale. Infatti, l'intervista che abbiamo fatto alla IIRO era stata proposta da lei per vedere quale fosse l'islamismo all'interno della Somalia, ma non sulla mala cooperazione. Sulla mala cooperazione io le ho dato dei documenti, ma lei non li ha mai utilizzati.
PRESIDENTE. Però, al di là dell'oggetto di interesse di Ilaria Alpi - ovvero, le questioni sociali o relative al mondo islamico, piuttosto che la cooperazione -, alla commissione Gallo che l'ha ascoltata nel 1997, lei ha dichiarato che Ilaria Alpi non era portata per il giornalismo investigativo e che i suoi interessi erano essenzialmente sociali.
Lei ha, inoltre, affermato: «I suoi taccuini erano vuoti ed era impossibile che avesse riempito cinque taccuini in otto giorni». Questo è quanto lei ha detto alla commissione Gallo nel 1997. Come spiega questa diversità? Come mai da una capacità «d'investigare, di scavare, di capire, in particolare sui temi della mala cooperazione» si passa addirittura alla contestazione che Ilaria non fosse portata per il giornalismo investigativo?
MASSIMO ALBERIZZI. Non dico che non fosse portata: non lo voleva fare, non le interessava. Le interessava approfondire altre tematiche di tipo sociale. Se abbiamo anche discusso di cooperazione, di mala cooperazione, mentre io potevo essere interessato a vedere, a scoprire il punto di partenza della mala cooperazione, lei guardava all'impatto...
PRESIDENTE. Va bene ma, insomma, al di là della filosofia, sappiamo a cosa ci riferiamo quando si parla della mala cooperazione in Somalia. Noi abbiamo un frammento dal quale traiamo la notizia secondo la quale lei avrebbe attribuito ad Ilaria Alpi una capacità investigativa proprio nel settore della cooperazione. Successivamente, riferendo alla commissione Gallo il suo giudizio, lei ha messo in dubbio le capacità di giornalista investigativo di Ilaria Alpi: «I taccuini erano vuoti» - leggo - «ed era impossibile che lei avesse riempito cinque taccuini in otto giorni»; invece, noi abbiamo accertato che i taccuini c'erano e che, per la parte che ci hanno fatto trovare, erano anche riempiti. Come lo spiega?
MASSIMO ALBERIZZI. Io non ho mai firmato queste dichiarazioni: è questo il problema.
PRESIDENTE. Che significa che lei non le ha mai firmate? Vuol dire che non gliele hanno mai riproposte, per capire se ci fosse qualche errore?
MASSIMO ALBERIZZI. No. Infatti, io non posso dire: «è impossibile», perché non c'ero! Come faccio a dichiarare che c'erano cinque taccuini, che era impossibile che li avesse riempiti? Posso dire che, secondo me, non li aveva riempiti perché non era una che scriveva, come ho spiegato prima. Ma io i taccuini non li ho visti.
PRESIDENTE. Avete lasciato dei documenti a Mogadiscio?
MASSIMO ALBERIZZI. Io ho lasciato dei documenti.
MASSIMO ALBERIZZI. Ho lasciato dei documenti sulla mala cooperazione. L'avevo sollecitata ad andarli a prendere.
PRESIDENTE. Dove erano questi documenti?
MASSIMO ALBERIZZI. Erano a casa di Starlin Arush.
PRESIDENTE. E sono rimasti lì, che lei sappia?
MASSIMO ALBERIZZI. Sono rimasti lì.
PRESIDENTE. Erano in fotocopia questi documenti che aveva Starlin Arush?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, in fotocopia.
PRESIDENTE. Erano originariamente in fotocopia oppure no?
MASSIMO ALBERIZZI. In fotocopia.
PRESIDENTE. E lei se ne è portato via una copia?
MASSIMO ALBERIZZI. No, li avevo lasciati a Mogadiscio.
MASSIMO ALBERIZZI. Gli originali non li ho neanche mai visti.
PRESIDENTE. Quando parlo di «originali» intendo riferirmi ai documenti dai quali lei aveva tratto la fotocopia che ha lasciato a Starlin Arush. Lei non se li è portati via?
MASSIMO ALBERIZZI. No, avevo portato le mie fotocopie e queste fotocopie le ho lasciate a Mogadiscio.
PRESIDENTE. E non ha fatto altre fotocopie?
MASSIMO ALBERIZZI. No, non ho fatto altre fotocopie, perché lì era impossibile farle. Questo è quanto, che io sappia; magari, qualcosa posso averla, però...
PRESIDENTE. E dove sono questi documenti, adesso?
MASSIMO ALBERIZZI. A Mogadiscio. Anzi, non lo so. Io li ho lasciati là e non li ho mai più visti.
PRESIDENTE. In merito alla cooperazione, lei è stato sentito dalla magistratura?
PRESIDENTE. Ha mai avuto l'idea di prendere tali atti e di farli pervenire all'autorità giudiziaria?
MASSIMO ALBERIZZI. No, in quanto erano atti già nelle mani dell'autorità giudiziaria.
PRESIDENTE. Perché dice che erano già nelle mani dell'autorità giudiziaria?
MASSIMO ALBERIZZI. Qui mi devo tutelare dietro il segreto professionale, scusate.
MASSIMO ALBERIZZI. Può immaginare il perché.
MASSIMO ALBERIZZI. Perché devo tutelare la mia fonte, la fonte che me li aveva dati. È in questo senso.
PRESIDENTE. Va bene. Adesso le leggo un documento: «Da Massimo Alberizzi a Rita Del Prete - 0243799306, eccetera. È difficile capire perché sia stata uccisa Ilaria Alpi. Fare un'inchiesta seria in un ambiente ostile e anarchico, dove non esiste alcuna autorità costituita, come quello di Mogadiscio, è impossibile. Ha ragione, però, il padre dell'inviata del TG3, Giorgio, quando dice che la figlia stava indagando sulle malefatte della cooperazione italiana in Somalia, sui traffici d'armi e sulle connivenze dei servizi segreti, o almeno parte di essi, con strani personaggi in cerca di affari poco puliti sulle coste del Corno d'Africa e ipotizza che qualcosa di estraneo alla semplice rapina potesse essere alla base dell'omicidio. Nei tanti mesi passati a Mogadiscio, in Somalia, durante il 1993, Ilaria Alpi aveva cercato di scavare, capire, investigare, aveva raccolto documenti, realizzato interviste tese a dissipare il mistero che circonda
trame e vicende dei rapporti tra Italia e Somalia»; poi, c'è il riferimento alla strada Garoe-Bosaso, e così via.
Ecco, questo è un documento che lei manda a Rita Del Prete. Che cos'è questo documento?
MASSIMO ALBERIZZI. È una lettera personale inviata a Rita Del Prete.
PRESIDENTE. Allora, come vede, si rileva una contraddizione tra quello che lei scrive a Rita Del Prete in data 29 agosto 1994 e quello che poi dichiarerà alla commissione Gallo: ovvero, che Ilaria Alpi non era portata per il giornalismo investigativo, che i suoi interessi erano essenzialmente sociali, che scriveva molto poco - anche se le immagini che abbiamo visionato ce la mostrano sempre col taccuino in mano -, che i suoi taccuini erano vuoti e che era impossibile che avesse riempito cinque taccuini in otto giorni.
Se vuole, posso mostrarle la lettera.
MASSIMO ALBERIZZI. No, no, conosco questa lettera.
MICHELE RANIELI. Certo che la conosce, l'ha scritta lei!
PRESIDENTE. Le leggo un'altra cosa: «Anzitutto, ringrazio per l'invito che mi è stato rivolto». Così lei si rivolge alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla cooperazione allo sviluppo.
MASSIMO ALBERIZZI. Infatti, io sono stato sentito in questa sede; in quest'aula, sono stato sentito.
PRESIDENTE. Però, prima lei ci ha detto che non era stato sentito. «Anzitutto, ringrazio per l'invito che mi è stato rivolto. Ero molto amico di Ilaria Alpi e quindi fare chiarezza sulla vicenda per me è molto importante. Non sono né tra i minimalisti né tra i massimalisti. Ritengo, però, che poiché Ilaria Alpi stava indagando su alcune vicende relative alla cooperazione, sia importante che questa Commissione si occupi della questione anche se le indagini di Ilaria Alpi potrebbero non essere state direttamente la causa della sua morte»: e questa è la sua valutazione.
MASSIMO ALBERIZZI. Infatti, io gli ho dato questi documenti...
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, prego, faccia la domanda.
PRESIDENTE. No, è lei che mi deve spiegare; io non le devo fare nessuna domanda! Questi documenti, che sono di provenienza da Massimo Alberizzi, dicono che lei aveva di Ilaria Alpi una concezione di giornalista investigatrice e, se vogliamo calibrare meglio, si trattava di un'attività giornalistica indirizzata appunto alla cooperazione.
Poi, però, di fronte alla commissione Gallo, lei dice una cosa completamente diversa: che gli interessi di Ilaria erano di tipo sociale, e così via. Badi bene, non stiamo facendo delle contestazioni, stiamo cercando di chiarire.
MASSIMO ALBERIZZI. Infatti, io cerco di spiegare.
PRESIDENTE. E stiamo cercando di chiarire soprattutto con lei, che è un grande giornalista, un grandissimo giornalista. Cerchi, però, di darci un aiuto per fare chiarezza sulla storia della sua collega: se lei continua in questa contraddizione, tra le dichiarazioni da lei personalmente scritte e rese a questa Commissione e quello che, invece, lei ha raccontato alla commissione Gallo, certamente non fa onore alla memoria di Ilaria Alpi.
Torniamo ora al punto relativo alla documentazione che lei ha dato alla Starlin e che dovrebbe riguardare la cooperazione (c'è anche un elemento di prova documentale rispetto alle dichiarazioni che lei ha reso).
MASSIMO ALBERIZZI. Quando si va in Somalia, poiché è esistito un problema di rapporto tra Italia e Somalia, non si
può fare a meno di occuparsi di cooperazione. Però, un conto è andare a prendere i documenti (quelli che Ilaria aveva, glieli avevo dati io, non se li era procurati da sé)...
PRESIDENTE. Se non aveva interesse per la cooperazione, non avrebbe preso i documenti.
MASSIMO ALBERIZZI. No. Io, infatti, l'avevo sollecitata. Quando mi ha telefonato dicendomi che sarebbe andata a Bosaso, le ho detto di controllare i pozzi perché secondo me non erano stati fatti. Quindi, io le ho dato i documenti. Nella routine di queste cose, si fa anche un lavoro investigativo. Siccome vi sono molti somali che hanno lavorato con la cooperazione italiana, è chiaro che se se ne presenta uno, gli si rivolgeranno determinate domande. Però, un conto è lavorare sulla routine, altro conto è cercare di scavare su questi fatti, e Ilaria era più portata a scavare sul sociale che non sull'investigativo. Questo io intendevo.
PRESIDENTE. Però lei ha riferito alla Commissione che Ilaria Alpi non si interessava e non si era interessata di cooperazione.
Ha ragione il padre di Ilaria quando dice che la figlia stava indagando sulle malefatte della cooperazione italiana in Somalia, sui traffici con strani personaggi in cerca di affari poco puliti. Nei tanti mesi passati insieme aveva cercato - lei conosce il valore della parole essendo un giornalista - di scavare, capire, investigare; aveva raccolto documenti e realizzato interviste tese a dissipare il mistero che circonda drammi e vicende nei rapporti tra Italia e Somalia. Queste sono parole sue e non mie.
PRESIDENTE. Allora, o dobbiamo dire che Alberizzi, un grande giornalista, scrive delle cose che non pensa, oppure le pensa e le sa.
MASSIMO ALBERIZZI. No. Se le pensassi e le sapessi...
PRESIDENTE. Allora che fa: quando scrive non pensa?
MASSIMO ALBERIZZI. Era un periodo particolarmente difficile.
MASSIMO ALBERIZZI. Io non credo che Ilaria avesse fatto delle indagini in modo non superficiale sui traffici della Somalia.
PRESIDENTE. Allora non è vero quello che c'è scritto qui. Due sono le cose: o è vero quello che c'è scritto e quello che lei sta dicendo in questo momento non corrisponde a verità, o non è vero quello che c'è scritto e allora quello che dice in questo momento corrisponde a verità.
MASSIMO ALBERIZZI. Ritengo che quello che è scritto lì sia dovuto anche alla situazione e alle forti pressioni che c'erano state.
PRESIDENTE. Chi le ha fatto pressione?
MASSIMO ALBERIZZI. Pressione dell'ambiente: i genitori di Ilaria cercavano soprattutto, giustamente, di investigare sulla morte, perché c'erano stati degli equivoci e delle cose misteriose (taccuini scomparsi), per cui bisognava assolutamente fare luce...
PRESIDENTE. Quindi, lei ha voluto assecondare i genitori?
MASSIMO ALBERIZZI. Credo che i genitori abbiano ragione quando vogliono arrivare a fondo.
PRESIDENTE. Dottor Alberizzi, qui c'è scritta un'altra cosa, sulla quale ora io formalmente le chiedo spiegazioni, e cioè che era a sua conoscenza che nei tanti mesi passati in Somalia a Mogadiscio durante
il 1993, Ilaria Alpi aveva cercato di scavare, capire, investigare, aveva raccolto documenti e realizzato interviste per dissipare il mistero che circonda trame e vicende dei rapporti tra Italia e Somalia.
MASSIMO ALBERIZZI. In realtà, non credo che avesse raccolto alcun documento, se non quelli che le avevo passato io.
PRESIDENTE. «Ci scambiavamo informazioni ed eravamo gli unici due giornalisti italiani ad alloggiare presso l'albergo (...) avevamo trovato dei documenti che, anche se non direttamente collegati alle navi, trovavano fondamento su una strana vicenda di certi pozzi tra cui alcuni mai realizzati nel nord della Somalia, nelle regioni del Bari e del Sanag. Proprio quando stava per partire per Bosaso, ricordo di avere chiesto ad Ilaria Alpi di controllare l'esistenza di quei pozzi e le loro condizioni. Anch'io mi ero recato a Bosaso nel dicembre 1993 ed avevo operato alcuni controlli».
MASSIMO ALBERIZZI. Quello che ho detto qualche minuto fa.
PRESIDENTE. Lei è stato a Bosaso nel 1993?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, nel dicembre 1993.
PRESIDENTE. I pozzi li avete controllati?
MASSIMO ALBERIZZI. Io avevo fatto alcuni controlli su un paio di pozzi intorno alla città e avevo chiesto di fare dei controlli su altri pozzi.
PRESIDENTE. Quindi si entra abbastanza...
MASSIMO ALBERIZZI. Ma lei non lo sapeva, anzi, l'ho sollecitata ad andare a prendere questi documenti prima di partire. Non so neanche se, alla fine, li avesse presi, perché io poi non li ho più visti. Anche nello scambio di opinioni che avevamo tutte le sere, io le parlavo delle malefatte della cooperazione e lei mi parlava invece della parte sociale. Secondo me questa lettera è molto forzata.
PRESIDENTE. Da noi si chiama «falso».
MASSIMO ALBERIZZI. Su questa lettera che è personale, ritengo di avere forzato, però essa non dà il quadro vero del comportamento di Ilaria. Questo lo avete potuto chiedere anche ad altri colleghi che l'hanno conosciuta bene.
PRESIDENTE. Prendiamo atto che è falsa.
MASSIMO ALBERIZZI. Direi che è forzata.
PRESIDENTE. È vero o non è vero che durante il 1993 Ilaria Alpi aveva cercato di scavare, capire, investigare, che aveva raccolto documenti per dissipare il mistero che circonda le trame e le vicende dei rapporti tra Italia e Somalia?
MASSIMO ALBERIZZI. È forte come frase.
PRESIDENTE. Allora ci dica cosa significa.
MASSIMO ALBERIZZI. Durante tutti i colloqui che abbiamo avuto, abbiamo cercato di scavare, capire, investigare. Ci davamo anche dei compiti a vicenda, nel senso che io le dicevo: «Domani vado ad intervistare il prete islamico» e lei mi diceva «Chiedigli cosa pensa delle mutilazioni femminili» ed ancora io «Vai ad intervistare l'ex sindaco di Mogadiscio», come nel caso dei pozzi in cui le ho detto «Vai a Bosaso? Informati dei pozzi». Se lei avesse già avuto questi documenti (che io le avevo lasciato a dicembre e lei ha preso a marzo) non avrei dovuto dirle io di andarli a prendere. D'altro canto, poteva averli perché l'inchiesta sulla cooperazione era a Roma e non a Milano.
PRESIDENTE. Va bene... si fa per dire.
MASSIMO ALBERIZZI. Io cerco di spiegare.
PRESIDENTE. L'antinomia non è spiegabile.
Lei è sicuro che nel 1994 non incontrò mai Ilaria Alpi?
MASSIMO ALBERIZZI. In Somalia?
PRESIDENTE. Prima ha detto che poi non l'ha vista più.
MASSIMO ALBERIZZI. Non l'ho vista più in Somalia. È tipico questo: stiamo parlando della Somalia ed io mi focalizzo su quel paese. Ci siamo visti a Roma ma non in Somalia.
PRESIDENTE. Capisco che dobbiamo approfondire, ma io prima le ho rivolto una domanda molto chiara: dalla fine di dicembre - periodo in cui lei si è incontrato con Ilaria Alpi in Somalia - cioè da gennaio a 20 marzo, quando Ilaria è morta, lei l'ha più incontrata?
MASSIMO ALBERIZZI. Le ho detto no perché ero focalizzato sulla Somalia, e invece l'ho incontrata a Roma.
PRESIDENTE. Dove, quando e perché l'ha incontrata a Roma?
MASSIMO ALBERIZZI. Non lo ricordo. Comunque è stato un giorno solamente in cui sono venuto a Roma.
PRESIDENTE. Ricorda se fosse in vista un viaggio a Belgrado?
MASSIMO ALBERIZZI. Avevamo parlato per telefono e sapevo che lei era andata nell'ex Jugoslavia.
PRESIDENTE. Quindi, vi siete incontrati dopo che c'era andata.
Ilaria Alpi le ha parlato mai di un viaggio in Algeria? Della volontà di fare un viaggio in Algeria?
MASSIMO ALBERIZZI. Non ricordo. Parlavamo di tantissimo cose. Francamente non ricordo. Comunque parlavamo dei paesi arabi. Lei sarebbe andata volentieri in Algeria; probabilmente me ne ha anche parlato, ma siccome parlavamo quasi tutti i giorni... so che non se la sentiva di andare a Mogadiscio quando c'è andata. Di questo abbiamo parlato a lungo e lei disse «Questa volta non mi sento di andare a Mogadiscio».
PRESIDENTE. Ilaria aveva la possibilità di consultare i documenti che lei aveva lasciato da Starlin? Aveva possibilità di accesso?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, se avesse voluto.
PRESIDENTE. Sa se qualche volta sia andata a visionarli?
MASSIMO ALBERIZZI. Credo che non ci sia mai andata. Non c'erano solo documenti, perché avevo lasciato anche dei cavi elettrici, dei cavi d'antenna, dei proiettili raccolti dopo le azioni americane e che secondo noi erano contro la Convenzione di Ginevra. Avevamo parlato anche del fatto che c'erano questi proiettili - io non mi occupo di armi - appuntiti che sarebbero contro la Convenzione di Ginevra; li avevamo lasciati a Mogadiscio e Ilaria lo sapeva; ne avevamo parlato con lei. Abbiamo parlato di traffici d'armi perché c'erano questi proiettili.
PRESIDENTE. Lei è mai andato a Bosaso?
MASSIMO ALBERIZZI. Due volte, nel dicembre del 1993 e precedentemente con Francesco Forte e quindi ai tempi del FAI, prima della caduta di Siad Barre e della guerra civile.
PRESIDENTE. Francesco Forte è quello che stava al Ministero degli affari esteri?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, era sottosegretario agli esteri e incaricato delegato...
PRESIDENTE. Della cooperazione?
MASSIMO ALBERIZZI. No, del Fondo aiuti italiani, che è cosa diversa dalla cooperazione.
PRESIDENTE. Ilaria Alpi è stata mai con lei a Bosaso?
PRESIDENTE. Sa se qualche volta sia andata a Bosaso?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, è andata a Bosaso poco prima di morire.
PRESIDENTE. Però non doveva andare a Bosaso. Le risulta che fosse andata qualche altra volta a Bosaso nei periodi in cui siete stati insieme in Somalia?
MASSIMO ALBERIZZI. Non ricordo; secondo me no, però a dicembre io sono andato a Bardera e lei è andata da un'altra parte, ma non ricordo dove. Io ho passato il 25 dicembre, il giorno di Natale, a Bardera; so che lei non era rimasta a Mogadiscio, ma era andata da qualche parte.
PRESIDENTE. Le ha detto mai di essere andata a Merka?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, ci siamo andati anche insieme.
MASSIMO ALBERIZZI. Perché c'era un ospedale e c'era Annalena Tonelli, che io ho intervistato nel dicembre del 1992 (non ricordo se quel giorno ci fosse anche Ilaria). Comunque, Merka era una delle basi di Starlin, una delle nostre amiche e informatrici. C'era anche la figlia del sultano. C'era un gruppo di donne attive sul piano umanitario.
MASSIMO ALBERIZZI. A Johar siamo andati insieme.
PRESIDENTE. Sempre per la stessa ragione?
MASSIMO ALBERIZZI. No, io ci sono andato una volta sola quando c'è stato il cambio tra Loi e Fiore.
PRESIDENTE. Erano amici suoi Loi e Fiore?
MASSIMO ALBERIZZI. Avevamo dei rapporti di lavoro.
MASSIMO ALBERIZZI. Erano i generali comandanti ai quali andavamo a chiedere informazioni, notizie, opinioni. Parlare di amici è un po' diverso.
PRESIDENTE. Collaboravate prima con Loi e poi con Fiore?
MASSIMO ALBERIZZI. Ci scambiavamo opinioni, informazioni.
PRESIDENTE. Voi li informavate?
MASSIMO ALBERIZZI. No. Questa parola può avere accezioni diverse.
PRESIDENTE. Lei è suscettibile!
MASSIMO ALBERIZZI. Se io andavo ad intervistare qualcuno e mi chiedevano cosa mi aveva detto, non c'erano problemi. Se mi chiedevano come fosse la situazione in quella parte della città, glielo dicevo.
PRESIDENTE. Lei ha fatto prima un riferimento che vorrei approfondire, anche se non più di tanto. Qual era la situazione dal punto di vista dell'integralismo islamico e qual era l'interesse di Ilaria Alpi verso questo settore? Oppure, nemmeno di questo si interessava?
MASSIMO ALBERIZZI. Di questo sì, però allora non era integralismo islamico, nel senso che nel 1992-1993 si parlava di Islam, di fede, di religione. Quindi, le interviste che abbiamo fatto...
PRESIDENTE. Mi pare che Aidid avesse qualche collegamento con l'integralismo islamico.
MASSIMO ALBERIZZI. È uscito dopo.
PRESIDENTE. No, in quegli anni già si sapeva. I servizi di informazione...
MASSIMO ALBERIZZI. Probabilmente i servizi di informazione.
PRESIDENTE. Ma lei conosceva i servizi di informazione perché aveva contatti con Fiore, e Rajola Pescarini aveva rapporti con Fiore, o no?
MASSIMO ALBERIZZI. No. Non credo che avessero dei rapporti gerarchici.
PRESIDENTE. Stiamo parlando di un contingente militare che stava in Somalia e figuriamoci se parliamo di rapporti gerarchici tra Rajola Pescarini e Fiore! Intendo rapporti dovuti alla presenza sullo stesso territorio di autorità italiane.
MASSIMO ALBERIZZI. Immagino di sì.
PRESIDENTE. Quindi, il rapporto informativo non poteva non esserci.
MASSIMO ALBERIZZI. Questo non lo metto in dubbio, però nessuno ha mai scritto in quegli anni di integralismo islamico.
PRESIDENTE. Il generale Fiore, quando è stata uccisa Ilaria Alpi, nella prima intervista rilasciata a caldo, ha dichiarato che la responsabilità doveva essere attribuita a settori dell'integralismo islamico.
MASSIMO ALBERIZZI. Esatto. Questa dichiarazione del generale Fiore è stata presa da tutti...
PRESIDENTE. Io volevo sapere un'altra cosa: qual era la situazione e soprattutto c'era, ed in che misura, un interesse della giornalista Ilaria Alpi per questo fenomeno?
MASSIMO ALBERIZZI. L'integralismo islamico in quanto tale non era un fenomeno ancora molto forte in quegli anni. C'erano delle organizzazioni islamiche che tentavano di entrare in Somalia (le organizzazioni di carità), ma non era inteso in senso pericoloso come adesso, in senso terroristico.
I rapporti tra il Jihad e il generale Aidid, nel 1993, non erano assolutamente chiari. Certo a Rajola Pescarini e al generale Fiore probabilmente risultavano, ma ai giornalisti no, tant'è vero che non sono stati scritti articoli sulla ripresa del fondamentalismo islamico in Somalia. Le donne non erano velate e la gente beveva alcool. Il problema del fondamentalismo in Somalia sorge dopo.
Io stesso ho considerato superficiale la dichiarazione del generale Fiore «sono stati i fondamentalisti islamici». Anni dopo posso dire, ricordando quella dichiarazione, che aveva un senso; non so se avesse ragione o meno, però aveva un senso. In seguito ho scoperto, investigando sulla società somala e sui rapporti tra Al Jihad, Al Qaeda e la società somala, che le prime infiltrazioni in Somalia sono del 1977, durante la guerra in Ogaden.
PRESIDENTE. Dopo Siad Barre la situazione sicuramente si è aggravata.
MASSIMO ALBERIZZI. Con Ilaria, quindi, non abbiamo mai parlato di fondamentalismo islamico.
PRESIDENTE. «Quando seppe che da una decina di giorni ero alla ricerca del capo del Jihad al Islami, il movimento fondamentalista più agguerrito in Somalia» - sono parole sue - «mi chiese di poter partecipare all'intervista. Era felice quando finalmente arrivammo al cospetto di sheik Abdullah Mohammed Ali, un uomo importante con la barba brizzolata, immerso in un larghissimo camicione grigio. Il nostro interlocutore non parlava né inglese né italiano. Lei si mise a conversare in arabo, traducendomi ogni cosa, senza mostrare il men che minimo fastidio. Era l'unico che in dicembre 1992 aveva minacciato 'spareremo contro tutti gli stranieri'».
PRESIDENTE. E ancora: «La campagna contro l'infibulazione, una pratica che lei definiva selvaggia, l'aveva cominciata negli anni novanta a Merka, a sud di Mogadiscio, controllata allora dagli integralisti. Era stato il loro leader sheik Hassan Daher Awes, indicato ora dall'intelligence americana come il capo di Al Qaeda in Somalia, ad intimarle 'o sloggi o ti ammazziamo'».
MASSIMO ALBERIZZI. Certo. Mi indichi la data di questo pezzo: è del 2003. Infatti, dopo ne siamo venuti a conoscenza ed io mi sono accorto di avere intervistato proprio...
PRESIDENTE. La minaccia «o sloggi o ti ammazziamo» risale al 1993 e non al 2003.
MASSIMO ALBERIZZI. Certo, ma nessuno aveva fatto il collegamento con Al Qaeda. Era un integralista.
PRESIDENTE. Lei racconta di questo episodio: «...ad intimarle 'o sloggi o ti ammazziamo' mentre uno dei suoi scherani le appoggiava la pistola alla tempia».
MASSIMO ALBERIZZI. Questo l'ho saputo nel 2003 ed infatti l'ho scritto nel 2003 e mi sono accorto di avere intervistato...
PRESIDENTE. Quindi non è una cosa che lei ha vissuto?
MASSIMO ALBERIZZI. No, tant'è vero che l'ho scritto adesso.
ELETTRA DEIANA. A cosa si riferisce: ad un episodio di cui era protagonista?
MASSIMO ALBERIZZI. No. Legga il contesto dell'articolo.
PRESIDENTE. Qui, innanzitutto, si sta parlando di Annalena Tonelli e non di Ilaria. Clicca su una foto e si legge «la campagna contro l'infibulazione, una pratica che lei definiva selvaggia, la aveva cominciata all'inizio degli anni novanta». Quando è stata uccisa?
MASSIMO ALBERIZZI. Mi pare il 20 ottobre 2003. Questo si riferisce ad un articolo che ho trovato l'anno scorso. Ho fatto questa investigazione adesso e adesso ho capito di avere intervistato...
PRESIDENTE. Questa è invece del 1992.
MASSIMO ALBERIZZI. Questa è una cosa successiva ed io descrivo cosa è successo nel 1992. Qui ero presente. Il riferimento è del 1992, quando questo signore disse «Spareremo contro gli stranieri».
PRESIDENTE. A chi lo disse? A voi?
MASSIMO ALBERIZZI. No, lo aveva detto in dichiarazioni, non a noi in particolare.
Ho scoperto nel 2003 di avere intervistato il Bin Laden somalo, però l'ho scoperto dopo.
PRESIDENTE. Qual era la situazione complessiva?
MASSIMO ALBERIZZI. C'erano delle organizzazioni islamiche che possiamo definire tradizionaliste, però non erano del tipo «spareremo a tutti gli stranieri». Non c'era il terrorismo islamico, secondo noi. Invece, secondo Fiore sì, ma la condizione è diversa. Noi eravamo accanto al SOS (vivevamo lì) dove c'era questo gruppo di islamici fondamentalisti, anche allora, ma non si vedevano per strada, erano dietro, mentre oggi si trovano per strada nello stesso posto. L'analisi che posso fare è questa: c'erano anche allora, ma io non lo avevo capito.
PRESIDENTE. Ilaria Alpi aveva interesse per questi problemi e per queste situazioni? Stava facendo qualche indagine in proposito?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì. Ad esempio, abbiamo fatto l'intervista a questo signore di cui ho parlato prima. L'integralismo islamico esisteva perché esistevano organizzazioni dell'Arabia Saudita (si tratta di organizzazioni non governative che però poi, in fondo, sono governative), però che fossero dei terroristi, che avessero partecipato alla battaglia di Mogadiscio con il generale Aidid non lo sapevamo a quell'epoca, come non sapevamo che c'erano dal 1977.
PRESIDENTE. Qual era l'interesse di Ilaria Alpi su questi problemi? Vennero esplicitati? Lei sa se avesse svolto o avesse in animo di svolgere inchieste sotto questo profilo?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, sotto il profilo non del terrorismo ma dell'influenza dell'islamismo rispetto alla cultura somala che invece era molto laica. Infatti, la gente beveva e le donne non erano velate. Il problema per lei era vedere e capire come l'influenza islamica in una situazione di guerra potesse conquistare o meno la Somalia. Era un'inchiesta di tipo più culturale che militare.
PRESIDENTE. Con chi ha parlato per raccogliere notizie su queste cose?
MASSIMO ALBERIZZI. Abbiamo parlato con questo signore, però siamo andati insieme una volta da Shek Abba, uno sheik di Mogadiscio vecchia, un tradizionalista (con questa parola bisogna cercare di togliere gli aspetti militari del fondamentalismo militante) islamico di tipo sufi e quindi, fautore del rispetto delle regole islamiche più rigide ma spirituali e quindi, di uno spiritualismo fondamentalista interno e non dell'ammazzare la gente.
PRESIDENTE. Avete contattato o sa se Ilaria abbia contattato settori di diverso tipo?
MASSIMO ALBERIZZI. Che cosa intende? Contattavamo tutti: capi militari, amici di Aidid, politici amici di Aidid e amici di Ali Mahdi. Siamo andati parecchie volte a casa di Ali Mahdi.
PRESIDENTE. Che cosa vi risultava di Aidid?
MASSIMO ALBERIZZI. In quel periodo non si faceva vedere e quindi non lo abbiamo mai visto.
PRESIDENTE. Perché non si faceva vedere?
MASSIMO ALBERIZZI. Perché gli americani lo cercavano (era il nemico numero uno) e se ci avessero seguito avrebbero potuto sapere dove era, per cui non si faceva intervistare. Però i suoi amici, luogotenenti e consiglieri, anche militari, sì.
PRESIDENTE. Li avete intervistati?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, li abbiamo intervistati.
MASSIMO ALBERIZZI. Venivano in albergo a parlarci.
MASSIMO ALBERIZZI. No, erano liberi. Non c'erano problemi.
PRESIDENTE. Anche perché quella era la zona loro.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì. Quando noi eravamo all'hotel Amana, nell'altra zona, andavamo noi ufficialmente.
PRESIDENTE. Lei in varie dichiarazioni, in cui è stato sentito dall'autorità giudiziaria, ha dichiarato che Ilaria Alpi sarebbe andata a Bosaso per caso, senza un programma preciso, senza essere stata indirizzata o avere avuto questo incarico. È un'affermazione questa che lei fa perché ha elementi concreti, oppure è una sua deduzione? In questo caso da cosa la trae?
MASSIMO ALBERIZZI. La sera prima che Ilaria partisse, nel 1994, io ho chiamato Mogadiscio sul telefono satellitare; mi ha risposto Miran Hrovatin, che non conoscevo e non avevo mai conosciuto, perché il telefono era stato messo nella sua camera; ho parlato con lui e lui mi ha detto che sarebbe andato a chiamare Ilaria che però stava facendo qualcosa; ho fatto due chiacchiere con lui sulla situazione e poi Ilaria è venuta all'apparecchio e mi ha detto che voleva andare a Chisimaio, ma il volo dell'ONU era stato cancellato (erano voli non commerciali organizzati dalle Nazioni Unite) per cui aveva deciso di andare a Bosaso. Mi ha quindi chiesto cosa ne pensassi ed io le ho risposto: «Cosa vai a fare a Bosaso, dove non ci sono gli americani?». E lei mi ha risposto (la nostra differenza giornalisticamente era questa): «Vado a vedere Bosaso, dove non c'è mai stato nessuno» - però gli americani ci sono stati due giorni, anche se era stata lasciata fuori dall'operazione Unosom - «perché voglio capire com'è il resto della Somalia dopo l'operazione Unosom».
PRESIDENTE. Perché è casuale questo?
MASSIMO ALBERIZZI. È casuale nel senso che ha visto sullo schermo che per Chisimaio non c'era il volo, mentre c'era per Bosaso, per cui ha pensato di andare a Bosaso.
PRESIDENTE. Le ha chiesto di andare a Bosaso?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, ma lo aveva già deciso.
PRESIDENTE. Quando vi siete sentiti per telefono, aveva già deciso di andare a Bosaso?
PRESIDENTE. E in quella circostanza le ha detto anche le ragioni per le quali voleva andare a Bosaso?
MASSIMO ALBERIZZI. Mi ha chiesto se facesse bene o male, quindi la decisione non era chiara. Mi ha detto «Siccome a Chisimaio non posso andare perché non c'è il volo...
PRESIDENTE. In questa circostanza lei ha fatto riferimento alle informazioni?
MASSIMO ALBERIZZI. Le ho detto: «Dato che vai a Bosaso, Starlin ha questi documenti. Prendili e guardali perché c'è una storia di pozzi che, secondo alcune informazioni, non sono mai stati fatti. Se ti capita vai a controllare».
PRESIDENTE. Parlaste anche della strada Garoe-Bosaso?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, parlammo della strada ma io non avevo documenti in proposito. Poi la strada presumibilmente era stata fatta; magari c'era un ponte
crollato, però era stata fatta. La documentazione di cui disponevo riguardava le commesse per fare i pozzi; non ricordo il numero esatto, però erano parecchi e non tre.
PRESIDENTE. Questa è la dinamica dei fatti.
MASSIMO ALBERIZZI. Le ho detto: «C'è un'inchiesta sui pozzi. Se ti capita vai a vedere se esistano o meno». E lei mi disse che se le fosse capitato lo avrebbe fatto. Ci facevamo spesso questi favori. Parlammo anche della strada ed infatti io le dissi che avevo visto un paio di pozzi dentro la città e le chiesi di andare un po' fuori sulla strada che doveva essere in buone condizioni (era asfaltata).
PRESIDENTE. Che rapporti ha avuto lei con Africa 70?
MASSIMO ALBERIZZI. La presidente era una mia amica e compagna di università che conosco da anni e che mi aveva anche iscritto come socio, ma non ho mai partecipato assolutamente. Conoscevo un po' tutti quelli sul campo.
PRESIDENTE. A dicembre, quando andò in Somalia, ebbe contatti?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì e dormii da loro.
MASSIMO ALBERIZZI. Un giorno, anche perché andai in Somalia con Gemmo Lodesani, il capo del World food programme in Somalia (si viaggiava con voli dell'ONU, e dormimmo nella casa di Africa 70, perché Lodesani, che lavorava per l'ONU, aveva lavorato prima per Africa 70.
PRESIDENTE. Seppe, in questa circostanza, di minacce che Africa 70 aveva ricevuto da parte dell'SSDF?
MASSIMO ALBERIZZI. Avevo parlato con il capo di Africa 70, Donatella Vergari (ora non è più ad Africa 70), che mi aveva chiesto se conoscessi i leader dell'SSDF; io le ho detto che conoscevo un paio di persone e loro mi hanno detto che uno era legato a loro. Io ho sottolineato che poteva essere pericoloso perché lì c'erano dei gruppi, per cui se si era in gruppo e magari si pagava, un altro gruppo poteva non essere contento e fare minacce.
PRESIDENTE. Ha saputo o no di queste minacce?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, ho saputo che c'erano state minacce da parte di questi gruppi, però non ricordo se prima o dopo.
PRESIDENTE. Ha conosciuto Bari Bari?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, però lo chiamerei Beri Beri.
PRESIDENTE. Noi lo chiamiamo Bari Bari.
MASSIMO ALBERIZZI. Yussuf Beri Beri.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì. È un somalo di Bologna, che credo avesse passaporto italiano e aveva lavorato in Italia. Era diventato rappresentante di una delle fazioni dell'SSDF e poi era diventato il contatto in Somalia di Africa 70. Io avevo espresso le mie riserve in proposito.
PRESIDENTE. Quando lei andò in Somalia a dicembre del 1993 lo vide?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì lo vidi. Mi accolse lui in casa. Lo avevo conosciuto in Italia. Ci conoscevamo, ma non era un mio amico.
MASSIMO ALBERIZZI. Le mie riserve non sono sulla persona, perché non sono in grado di giudicarla; le mie riserve sono sul contesto, sull'ambiente somalo in cui non ci si deve legare ad una fazione perché si passa come rappresentanti di questa fazione che comunque si finanzia e la fazione opposta non ne è molto felice.
PRESIDENTE. Ha conosciuto Casamenti?
MASSIMO ALBERIZZI. Valentino? Sì, l'ho conosciuto alla cooperazione italiana di Mogadiscio.
MASSIMO ALBERIZZI. Nel dicembre del 1992.
PRESIDENTE. Nel primo viaggio?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì. Lui lavorava per la cooperazione italiana. Gli ho anche regalato una mia camicia che gli piaceva.
PRESIDENTE. Ha conosciuto il sultano di Bosaso?
MASSIMO ALBERIZZI. No, mai. Che io sappia non l'ho mai visto.
PRESIDENTE. E l'ambasciatore Unosom Dardo Shilovic?
MASSIMO ALBERIZZI. Quello che era a Bosaso? Non quando sono andato a Bosaso. Se l'ho conosciuto è stato «al volo» quando sono andato con l'ONU, ma francamente non è stato un personaggio...
PRESIDENTE. Ha saputo mai nulla di una nave sequestrata a Bosaso nell'epoca dell'ultimo viaggio di Ilaria?
MASSIMO ALBERIZZI. Sono uscite delle agenzie allora su alcune navi sequestrate; era uscita una France press precedentemente.
PRESIDENTE. Prima che partisse Ilaria?
MASSIMO ALBERIZZI. Prima che Ilaria partisse, non dall'Italia, ma da Mogadiscio per andare a Bosaso.
PRESIDENTE. Né lei a Ilaria, né Ilaria a lei?
MASSIMO ALBERIZZI. Parlammo di questa nave, ma si trattava di una nave, non italiana, con a bordo dei filippini, secondo quello che dicevano le agenzie.
PRESIDENTE. Parlaste di questa nave? Ilaria manifestò interesse?
MASSIMO ALBERIZZI. Non ricordo. Potremmo averne parlato. Allora le agenzie non si ricevevano sui terminali satellitari e quindi io le dissi che c'era una serie... Quando lei era in Somalia e ci telefonavamo, io le raccontavo anche le cose che lei non poteva vedere. Può essere che, tra le altre notizie, le abbia detto che era stata sequestrata una nave in Somalia. Comunque l'agenzia è precedente al giorno della sua uccisione. Non so se sia precedente alla sua partenza da Mogadiscio.
PRESIDENTE. Chi è «l'avvocato»?
MASSIMO ALBERIZZI. Non lo so. Non ne conosco il nome e il cognome; so che è - o perlomeno era - un contatto dei servizi di sicurezza italiani a Bosaso.
PRESIDENTE. Quando parla dei servizi di sicurezza italiani a Bosaso, cosa intende?
MASSIMO ALBERIZZI. La presenza italiana era strutturata in questo modo: il contingente italiano, che aveva i suoi servizi di informazione, di cui doveva essere responsabile il maggior (mi pare, allora, e colonnello poi) Angelo Passafiume, ed
erano i servizi di informazione del contingente italiano; l'ambasciata, di cui era ambasciatore Augelli, e poi Scialoja; e i servizi di sicurezza, dove ogni tanto c'era Rajola, ma non sempre. Avevano lì un piccolo gruppo di persone, che a me sembravano - anche perché conosco la struttura - indipendenti uno dall'altro. Poi, che si passassero le informazioni...
PRESIDENTE. Indipendenti i vari servizi, non all'interno dei servizi.
MASSIMO ALBERIZZI. Indipendenti nel senso che il contingente, i servizi e l'ambasciata sono tre cose distinte.
PRESIDENTE. Quindi non si coordinavano.
MASSIMO ALBERIZZI. Se si coordinavano non lo so, perché non è mio compito.
PRESIDENTE. Lei con quali servizi aveva contatti?
MASSIMO ALBERIZZI. Io parlavo con il contingente italiano, quindi con i servizi di informazione del contingente italiano. Parlavo con Rajola e i suoi uomini. Parlavo con Augelli e i suoi uomini, diplomatici. Ma sono tre cose distinti, se sono coordinate lo sanno loro, perché sono cose diverse.
PRESIDENTE. Quindi lei l'avvocato non saprebbe mai...
MASSIMO ALBERIZZI. No, non so proprio chi sia.
PRESIDENTE. Chi le ha parlato di questo avvocato?
MASSIMO ALBERIZZI. Il nome dell'avvocato era uscito, comunque, dopo l'omicidio di Ilaria, non prima. Quindi, io non l'ho saputo prima. Quando l'ho saputo, ho cercato di capire chi fosse, mettendo in moto alcuni contatti che avevo in quell'epoca a Bosaso; però non sono mai riuscito a capire chi fosse.
PRESIDENTE. Il console onorario di Gibuti lei sa chi era? L'ha conosciuto?
MASSIMO ALBERIZZI. Adesso è Rizzo.
MASSIMO ALBERIZZI. Non mi ricordo. Non mi ricordo chi fosse; so che c'era un console italiano, ma non mi ricordo chi fosse. So il nome...
PRESIDENTE. Dove stava, anche a Bosaso?
MASSIMO ALBERIZZI. No. Non è competenza...
PRESIDENTE. Dove stava? A Mogadiscio?
MASSIMO ALBERIZZI. Il console italiano a Gibuti stava a Gibuti.
PRESIDENTE. Sa se nel 1994 stesse a Bosaso?
PRESIDENTE. Potrebbe essere lui l'avvocato?
MASSIMO ALBERIZZI. Questa è una interpretazione... Non lo so. Però posso dire questo: i rapporti tra i signori che stanno a Gibuti e quelli che stanno a Bosaso, i clan, sono molti differenti. Però, siccome di solito i consoli italiani fanno anche affari, avrebbe potuto fare affari. Mi sembra strano, diciamo, che lui potesse essere a conoscenza approfondita di quello che accade a Bosaso; però, poi, i rapporti personali... Io posso dire con sicurezza che i clan che sono a Gibuti, con cui lui, quindi, istituzionalmente dovrebbe tenere le relazioni, e i clan che sono a Bosaso sono profondamente diversi.
PRESIDENTE. Va bene. Ilaria le disse quando sarebbe tornata in Italia?
MASSIMO ALBERIZZI. Non doveva stare molto, perché il contingente era andato via, quindi sarebbe tornata. Però il giorno preciso non me lo disse.
PRESIDENTE. Sa se corrisponde a verità che un mezzo blindato, il 18, l'andò a cercare a Mogadiscio?
MASSIMO ALBERIZZI. Dunque: non so se corrisponde a verità; mi è stato riferito che il generale Fiore, essendo lei andata via senza avvisarlo - però è sempre riferito, non è che me lo abbia detto lei di non aver avvisato il generale Fiore -, abbia mandato a cercarla, non so se con un blindato o con un camion. Però lui cercava di capire dove fossero finiti tutti i giornalisti, quindi in questo quadro cercò anche Ilaria. Mi fu riferito, allora, francamente non ricordo neanche da chi, forse da Marcello Ugolini, della RAI, che era lì anche lui. Della Radio.
PRESIDENTE. Quindi lei Ilaria quando l'ha sentita? Prima di partire e poi non l'ha più sentita?
MASSIMO ALBERIZZI. No, prima di partire è stata l'ultima volta che l'ho sentita. Era la sera prima che partisse.
PRESIDENTE. Lei ha dichiarato - esattamente nel 1995 - di non ritenere che Ilaria avesse «acquisito elementi importanti e nuovi sul traffico di armi», deducendo che questa sarebbe la ragione per la quale non potrebbe identificarsi il traffico e la conoscenza sul traffico di armi come causa dell'omicidio. Sulla base di cosa ha fatto questa affermazione?
MASSIMO ALBERIZZI. Che se Ilaria avesse saputo, me lo avrebbe immediatamente detto.
PRESIDENTE. Cioè le telefonava a Roma?
MASSIMO ALBERIZZI. A Milano. Cioè, sono convinto che siccome Ilaria sapeva che io sono alla ricerca di trafficanti d'armi, se avesse trovato qualcosa... ma è una mia convinzione, non più di questo. Sapeva che io mi interesso di traffico d'armi e cerco di scavare sui traffici d'armi, quindi...
PRESIDENTE. Ma Aidid le armi le comprava, sì?
MASSIMO ALBERIZZI. Le comprava o gliele regalavano, le riceveva!
PRESIDENTE. Ed a chi le dava le armi, Aidid?
MASSIMO ALBERIZZI. Ai suoi miliziani, presumibilmente. E probabilmente anche all'Al-ittihad. Questo è stato scoperto dopo.
MASSIMO ALBERIZZI. Però l'abbiamo scoperto dopo.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, sì. Ai suoi alleati. Ai suoi miliziani, quelli del suo clan e quelli che lo appoggiavano. Attenzione: all'Al-Ittihad...
PRESIDENTE. Ma lei Aidid lo conosceva?
MASSIMO ALBERIZZI. Io sì, lo avevo intervistato due volte, ma prima di Unosom.
PRESIDENTE. Ho capito, va bene. Chi le ha dato notizia che Ilaria era stata uccisa?
MASSIMO ALBERIZZI. Marina Rini.
PRESIDENTE. Chi è Marina Rini?
MASSIMO ALBERIZZI. Marina Rini è una giornalista free lance che era arrivata a Mogadiscio nell'agosto del 1993. Era a Mogadiscio con Ilaria e erano partite assieme.
PRESIDENTE. Dove stava Marina Rini quando le dette l'informazione?
MASSIMO ALBERIZZI. Sulla nave militare.
PRESIDENTE. È stata lei che le ha telefonato?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì. A casa.
PRESIDENTE. E lei cosa ha fatto?
MASSIMO ALBERIZZI. Io ero sconvolto. Sono andato al Corriere e ho avvisato il direttore.
PRESIDENTE. Parlò con Marocchino?
PRESIDENTE. Con chi ha parlato di questa cosa?
MASSIMO ALBERIZZI. Non si poteva chiamare in quel periodo Marocchino. Si poteva chiamare solo sui telefoni satellitari, non c'erano i telefoni cellulari, quindi era complicato. Marocchino non aveva telefoni satellitari, mi pare, a quell'epoca.
MASSIMO ALBERIZZI. Non aveva telefoni satellitari.
PRESIDENTE. Che cosa le disse Marina Rini? Le disse quello che le era stato riferito da chi?
MASSIMO ALBERIZZI. Da chi... non lo so. Lei era su una nave militare. Io presumo che abbia avuto l'informazione dai militari.
PRESIDENTE. E lei con Alì quando ha parlato?
MASSIMO ALBERIZZI. Con l'autista?
MASSIMO ALBERIZZI. Parecchi giorni dopo. Non immediatamente. Non immediatamente, perché era impossibile parlare...
PRESIDENTE. Non è che Marina Rini le disse già allora quello che a lei aveva riferito Alì? Si ricorda?
MASSIMO ALBERIZZI. Ali? Non credo. Perché se lei era sulla nave, non poteva comunicare con Ali. A meno che Ali non l'abbiano portato sulla nave, ma non mi pare che l'abbiano portato.
MASSIMO ALBERIZZI. Io lo chiamavo Ali.
PRESIDENTE. Qui è con l'accento.
MASSIMO ALBERIZZI. Non credo che lei abbia parlato con Ali, però, francamente...
PRESIDENTE. Va bene, non lo ricorda. Lei, invece, quando parlò con questo autista?
MASSIMO ALBERIZZI. Con Ali io parlai al telefono, una volta, da Mogadiscio: lo feci chiamare in albergo, lo feci mandare in albergo perché gli unici...
PRESIDENTE. Quanti giorni dopo la telefonata con Marina Rini, quindi dal 20 marzo?
MASSIMO ALBERIZZI. Non immediatamente. Parecchi giorni dopo.
PRESIDENTE. Parecchi giorni dopo. Lui parla italiano?
MASSIMO ALBERIZZI. Perfettamente. È morto.
PRESIDENTE. È morto: questo è un altro problema che... Da dove le risulta che sia morto?
MASSIMO ALBERIZZI. Ho parlato con la moglie.
PRESIDENTE. Questo potrebbe non bastare. La moglie cosa le ha detto a proposito della morte di Alì?
MASSIMO ALBERIZZI. La moglie mi ha detto che il marito è arrivato sull'aereo che lo portava da Dubai a Mogadiscio, è stato male ed è morto. Era piuttosto vaga: io le ho chiesto «È morto quando è arrivato a terra? È morto sull'aereo? Cioè hanno scaricato il cadavere o lo hanno scaricato che stava male?»; però non mi è stato chiaro che cosa abbia risposto, perché non parla italiano totalmente, quindi lo faceva attraverso degli interpreti, che non parlavano molto bene l'italiano neanche loro.
PRESIDENTE. Alì cosa le disse?
MASSIMO ALBERIZZI. Alì, che parlava bene l'italiano, non ha mai fatto un racconto preciso di che cosa è accaduto, nel senso di scandire bene, secondo per secondo. Infatti io gli chiesi: «Tu eri lì, spiegami». Mi disse: «Guarda, mi ha sconvolto tanto questa cosa, che io non mi ricordo esattamente che cosa è successo. So che c'era una macchina che ci ha bloccato. Quando abbiamo tentato di ripartire, questi hanno puntato le armi». Io ho cercato di chiedere esattamente se qualcuno si fosse avvicinato all'auto e avesse sparato, ma lui è stato sempre molto vago su questo e non è mai riuscito a raccontare una storia molto chiara.
PRESIDENTE. Ne ha raccontate di più di storie, oppure è lei che...
MASSIMO ALBERIZZI. No, a me ha raccontato solo questa. Questa versione in cui diceva: «C'erano questi uomini che hanno sparato da lontano, il nostro ha risposto...» e poi scompare, praticamente, la testimonianza.
PRESIDENTE. Quindi: hanno sparato da lontano e c'è stata la risposta del...? È certo di questo fatto?
MASSIMO ALBERIZZI. Io gli ho chiesto: «Si sono avvicinati o non si sono avvicinati?» Ma la risposta non è stata chiara su questo. Non è stata «no, non si sono avvicinati» o «sì, si sono avvicinati». Non è mai stato molto chiaro.
PRESIDENTE. Ma è stato chiaro sul fatto che la scorta ha risposto al fuoco?
MASSIMO ALBERIZZI. È stata la scorta che ha risposto al fuoco, ma poi è scappato.
MASSIMO ALBERIZZI. No, non Ali. La scorta è scappata.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, l'unico uomo di scorta, Omar, è scappato.
PRESIDENTE. Però ha risposto al fuoco.
MASSIMO ALBERIZZI. Ha risposto, sì. Un'altra cosa che io ho cercato di chiarire è se avesse sparato lui per primo o no, perché è importante.
PRESIDENTE. Esatto. E lui cosa ha risposto?
MASSIMO ALBERIZZI. Non sono mai riuscito a chiarire questo punto. Mi ha detto: «Non lo so. Ero terrorizzato, spaventato». Perché queste due cose erano fondamentali.
PRESIDENTE. Quali erano le coincidenze o le differenze tra il racconto che le ha fatto Alì e quello che le aveva fatto Starlin?
MASSIMO ALBERIZZI. Sull'omicidio di Ilaria?
MASSIMO ALBERIZZI. Starlin non sapeva cosa è successo, perché era la stessa fonte, e secondo lei...
PRESIDENTE. La stessa fonte: Alì?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, la stessa fonte, Alì. Ci siamo confrontati su questo...
PRESIDENTE. Cosa le disse che le aveva detto Alì?
MASSIMO ALBERIZZI. Io le chiesi: «Tu hai parlato?». Mi disse: «Sì, ma lui è terrorizzato e si è scordato tutto. È traumatizzato, quindi non ha un racconto chiaro». Io parlai con Starlin di questa cosa, ma anche lei mi disse che non riusciva a capire. Io le dissi proprio: «Le cose più importanti da sapere sono: 1) chi ha sparato per primo, quindi se c'è stato fuoco di risposta o non c'è stato; 2) se si sono avvicinati alla macchina» e su queste due cose non ho mai avuto una risposta chiara. Neanche Starlin ha avuto una risposta chiara, mi disse.
PRESIDENTE. Quindi, l'unica risposta chiara è che hanno risposto al fuoco.
MASSIMO ALBERIZZI. Che c'è stata una sparatoria. Non è che hanno risposto al fuoco: non è stato chiaro chi ha sparato per primo. Uno dei due ha risposto al fuoco, ovviamente.
PRESIDENTE. Lei un attimo fa ha detto - prendiamo atto che corregge - che la scorta aveva risposto al fuoco. Questo ha detto prima, invece non è così?
MASSIMO ALBERIZZI. Non lo so. Non si sa. C'è stata una sparatoria.
PRESIDENTE. Su questo non c'è dubbio.
MASSIMO ALBERIZZI. Potrebbe anche non esserci stata una sparatoria. Invece, c'è stata una sparatoria...
PRESIDENTE. Perché, cosa poteva esserci stato?
MASSIMO ALBERIZZI. Magari, una parte sola ha fatto fuoco e l'altra no. Invece no: c'è stata una sparatoria, però non sono riuscito a chiarire chi ha sparato per primo.
PRESIDENTE. Quindi, quando lei ha detto, prima, che era stato risposto al fuoco di questi che si erano avvicinati alla macchina, dobbiamo dire che può non essere così.
MASSIMO ALBERIZZI. Può non essere così.
PRESIDENTE. E lei ha creduto a queste dimenticanze, a queste incapacità di riferire, di ricostruire, o le ha considerate delle reticenze, delle preoccupazioni, delle paure?
MASSIMO ALBERIZZI. L'ambiente somalo non ti permette di fare delle delazioni, non permette di dire «è stato Pinco Pallino», altrimenti due ore dopo, o anche meno, sei spacciato. Quindi, poteva essere veramente un trauma, per cui nella confusione non riusciva più a ricordare, ma poteva anche essere un'autodifesa. Infatti, quando Ali fu portato in Italia, io dissi che una persona come lui doveva essere portata in Italia...
PRESIDENTE. Questo poi lo vedremo, tanto ormai non c'è più.
Lei aveva dato una pistola ad Ali?
PRESIDENTE. Quanto tempo prima dell'uccisione di Ilaria Alpi?
MASSIMO ALBERIZZI. Nell'estate del 1993.
PRESIDENTE. Perché gli ha dato questa pistola?
MASSIMO ALBERIZZI. Gli ho dato questa pistola e gli ho detto: «non usarla mai, solo alzala quando ci sono i bambini - »bambini« nel senso di crowd - intorno». Tanto è vero che quando fui sequestrato...
PRESIDENTE. Perché i bambini si mettono paura?
MASSIMO ALBERIZZI. No, perché alcune volte arrivavano questi ragazzini che tentavano di strapparti tutto dalla macchina. Cioè ti aprivano la porta, cercavano di rubare...
MASSIMO ALBERIZZI. Allora, in questo senso ho detto: «usala, ma per carità non usarla mai...
PRESIDENTE. Era carica la pistola? Aveva il caricatore?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, ma con una grande sicura. Con un caricatore solo. Uno solo. E gli ho detto: «non usarla mai».
PRESIDENTE. Lui non l'aveva di suo una pistola?
MASSIMO ALBERIZZI. No, no. Era un bantu...
MASSIMO ALBERIZZI. Calibro 9, Beretta.
MASSIMO ALBERIZZI. No, non l'ha mai usata, neanche il giorno in cui mi sequestrarono, per fortuna. Gli dissi: «bravo, bravo che l'hai tenuta nel cruscotto»; altrimenti si rischiava veramente, e lui non era neanche abile ad usarla e io meno di lui.
PRESIDENTE. Poi, nel luglio 1997, Ali - o Alì, a seconda di quello che si preferisce - riconobbe Hashi Omar Hassan come uno dei componenti del gruppo di fuoco. Mi può ricostruire bene questo particolare? Lei parlò con Alì?
MASSIMO ALBERIZZI. Gli chiesi se veramente lui aveva riconosciuto questo signore.
PRESIDENTE. Perché lei cosa aveva saputo, che lui aveva riconosciuto...
MASSIMO ALBERIZZI. Aveva riconosciuto questo signore...
PRESIDENTE. Chi ha detto a lei che lo aveva riconosciuto?
MASSIMO ALBERIZZI. Non me lo disse Alì, me lo disse...
MASSIMO ALBERIZZI. Io sono stato chiamato al processo...
PRESIDENTE. A lei chi glielo disse?
MASSIMO ALBERIZZI. Formalmente?
PRESIDENTE. Sì. Chi glielo disse?
MASSIMO ALBERIZZI. Non me lo ricordo assolutamente.
PRESIDENTE. Come non se lo ricorda? Chi ha detto a lei che Alì riconobbe in Omar...
MASSIMO ALBERIZZI. Dunque: Hashi viene portato qui dalla Commissione Gallo. Io posso ricostruire come è arrivato...
PRESIDENTE. No. A me interessa chi le disse...
MASSIMO ALBERIZZI. Non me lo ricordo.
PRESIDENTE. Come non lo ricorda? Se lo deve ricordare, questo. Cerchi di fare uno sforzo di memoria!
MASSIMO ALBERIZZI. Io sono stato sentito due volte, durante il processo. Due volte.
PRESIDENTE. Lei quando ha parlato con Alì?
MASSIMO ALBERIZZI. Nel periodo durante quel processo, quindi nel primo grado.
PRESIDENTE. Nel processo di primo grado.
MASSIMO ALBERIZZI. Dove sono stato due volte.
PRESIDENTE. Prima non l'aveva mai più visto?
MASSIMO ALBERIZZI. L'avevo visto a Mogadiscio.
MASSIMO ALBERIZZI. L'avevo rincontrato a Mogadiscio negli anni successivi. Io ogni anno sono andato a Mogadiscio, quindi ho visto Ali a Mogadiscio e gli ho chiesto la prima parte, la ricostruzione - personalmente, non al telefono - di quello che era accaduto. E lui mi disse, appunto, che era stato traumatizzato, quindi non ricordava il punto 1), che sarebbe «chi ha sparato per primo», e il punto 2), che sarebbe «se gli altri si sono avvicinati». Non mi parlò di Hashi, assolutamente.
PRESIDENTE. Almeno per curiosità, in quella occasione in cui gli parla per telefono, gli chiese. «chi è stato?»?
PRESIDENTE. «Sai chi è stato? Sei in grado di dare qualche notizia?»
MASSIMO ALBERIZZI. Disse: «Non lo so».
PRESIDENTE. Mi scusi, lei stava facendo un'indagine.
MASSIMO ALBERIZZI. Certo. Ma per via telefono, una indagine così.
PRESIDENTE. Per via telefono: adesso ha detto di averci parlato personalmente.
MASSIMO ALBERIZZI. Lei adesso mi ha chiesto: «Quando le parlò via telefono...
PRESIDENTE. No, io le ho chiesto quando vi siete incontrati personalmente.
MASSIMO ALBERIZZI. Personalmente gliel'ho richiesto. Io gli ho parlato una volta per telefono e una volta personalmente, a Mogadiscio.
PRESIDENTE. Tutte e due le volte gli ha chiesto chi era....
MASSIMO ALBERIZZI. Esatto: chi era stato.
PRESIDENTE. E tutte e due le volte...
MASSIMO ALBERIZZI. Mi ha risposto che non lo sapeva.
PRESIDENTE. A che distanza di tempo l'una volta dall'altra?
MASSIMO ALBERIZZI. Diciamo un anno.
PRESIDENTE. Ad un anno di distanza. Dunque, per un anno siamo sicuri che lui non sapeva. Che anno era?
MASSIMO ALBERIZZI. Intorno al 1995, 1994-95. È il 1995 quando lo incontro:
lo incontro e gli faccio le stesse domande che gli avevo fatto per telefono, un po' più approfonditamente.
PRESIDENTE. «Un po' più approfonditamente» che significa?
MASSIMO ALBERIZZI. Nel senso che gli chiedo, per esempio: «La Land Rover blu a chi appartiene?» E lui non lo sapeva. Mi dice «non lo so». Mentre per telefono sono stato vago, anche perché sapevo che non avrebbe potuto rispondermi neanche se avesse saputo esattamente il nome e cognome degli assassini, quindi gli ho chiesto «Tu hai capito come è andata, che cosa è, chi è stato?», quando lo vidi personalmente lo presi da parte e abbiamo fatto un discorso approfondito, a quattr'occhi, e gli ho fatto una serie di domande più precise. Ma a queste domande più precise non ha mai risposto.
PRESIDENTE. Quindi, non sapeva chi fosse Hashi Omar Hassan.
MASSIMO ALBERIZZI. No, non sapeva. Cioè, io non gli ho chiesto se...
PRESIDENTE. Certo, non sapeva neanche della sua esistenza.
PRESIDENTE. Invece, al processo come avete parlato? Vi siete appartati? Avete parlato prima di essere interrogati o dopo?
MASSIMO ALBERIZZI. Dopo. Dopo essere stati tutti interrogati. Mi pare che lui fosse stato interrogato prima e io sono stato interrogato dopo.
PRESIDENTE. E lei assistette all'interrogatorio di Hashi?
MASSIMO ALBERIZZI. No, è stato in un altro giorno, addirittura.
PRESIDENTE. Quindi, lei cosa ha fatto? Hanno sentito prima lui e poi lei? O prima lei e poi lui?
MASSIMO ALBERIZZI. Credo prima lui e poi me, perché lui l'ho incontrato dopo. Presumo che se l'ho incontrato, avesse già parlato.
PRESIDENTE. Quindi, quando vi siete incontrati era un'altra udienza, nella quale tutti e due stavate là, anche se uno dei due, essendo stato già sentito, non c'era bisogno... Avete fatto il confronto?
MASSIMO ALBERIZZI. Dopo, successivamente. In un'altra udienza.
PRESIDENTE. Il confronto lo avete fatto dopo che vi siete parlati, essendo stati sentiti entrambi, oppure avete parlato dopo il confronto?
MASSIMO ALBERIZZI. No, abbiamo parlato prima.
PRESIDENTE. Quindi il confronto lo avete preparato.
MASSIMO ALBERIZZI. No. Non sapevamo che ci sarebbe stato, quindi non potevamo prepararlo.
PRESIDENTE. Comunque, vi siete confrontati sulla realtà della situazione. Vi siete dette tra voi «Io ho detto una cosa, tu ne ha detta un'altra»?
MASSIMO ALBERIZZI. No, no. Io gli ho chiesto solamente se conosceva veramente questo Hashi e lui mi disse: «Sì, lo conosco. È stato lui». Però io ebbi la sensazione - e qui di sensazioni si parla - che l'avesse individuato più che altro per venire in Italia.
PRESIDENTE. Cioè che avesse detto il falso.
MASSIMO ALBERIZZI. Che avesse detto il falso.
PRESIDENTE. E al confronto avete parlato di Hashi Omar Hassan?
MASSIMO ALBERIZZI. Il confronto mi ricordo che lo abbiamo fatto soprattutto sulla pistola.
PRESIDENTE. A proposito: la pistola lei dove l'aveva presa?
MASSIMO ALBERIZZI. No, l'aveva presa lui. Io non l'ho comprata, io l'ho pagata.
PRESIDENTE. Lei l'ha solo pagata, ho capito.
MASSIMO ALBERIZZI. Materialmente l'ha comprata lui.
PRESIDENTE. Nel confronto avete parlato solo della pistola. E su quale punto specifico vi siete soffermati? Su chi l'avesse comprata?
MASSIMO ALBERIZZI. Per esempio, è stato chiarito che io l'avevo pagata ma non l'avevo materialmente comprata.
PRESIDENTE. Insomma, lei aveva una certa dimestichezza con questo Alì.
PRESIDENTE. Quindi, quando avete fatto questo colloquio, lui cosa disse? Disse, senza una ulteriore specificazione, «Io lo conosco»; oppure disse «Lo conosco perché l'ho incontrato, perché era amico di Tizio o di Caio», cioè ha fatto qualche puntualizzazione?
MASSIMO ALBERIZZI. No, no, niente. «L'ho riconosciuto» più che «Lo conosco».
PRESIDENTE. E da dove lo aveva riconosciuto: da un documento, da una foto?
MASSIMO ALBERIZZI. Io non gliel'ho chiesto. L'ha visto personalmente, credo che glielo abbiano fatto vedere a Mogadiscio personalmente, prima.
PRESIDENTE. E lei, prima di tutti questi colloqui, aveva parlato di questo problema con Rajola Pescarini?
PRESIDENTE. Mai di nulla avete parlato?
MASSIMO ALBERIZZI. Del problema di Ilaria?
PRESIDENTE. Del problema di Hashi Omar Hassan.
MASSIMO ALBERIZZI. Rajola Pescarini io l'ho visto solamente in Somalia...
MASSIMO ALBERIZZI. No, in quel periodo lì. Al processo non ho mai visto Rajola Pescarini.
PRESIDENTE. Lei non sa le circostanze per le quali Alì venne in Italia? Come avvenne, perché avvenne?
MASSIMO ALBERIZZI. Perché avvenne e come avvenne, no.
MASSIMO ALBERIZZI. So che lui è arrivato in Italia in seguito al fatto che Hashi era stato chiamato dalla Commissione Gallo e quindi arrestato - mi riferisco sempre ad Hashi - durante il viaggio che aveva fatto in Italia, per la Commissione Gallo.
PRESIDENTE. Chi lo ha arrestato?
MASSIMO ALBERIZZI. Non ne ho la più pallida idea. Non lo so.
PRESIDENTE. Lei l'ambasciatore Cassini lo conosce?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì. Ino Cassini. Era a Mogadiscio in quel periodo ed è stato lui che ha organizzato il viaggio dei somali per la Commissione Gallo.
PRESIDENTE. E questo Hashi Omar Hassan...
PRESIDENTE. Intendo dire, come fece Cassini ad arrivare a questo Hassan e a portarlo in Italia?
MASSIMO ALBERIZZI. Per quello che ne so io - però, ovviamente, non è una dichiarazione testimoniale -, secondo quanto avevo io appurato parlando con Cassini e con altri, quando c'è stato lo scandalo delle violenze dei soldati italiani in Somalia si presentarono alcune persone, chiedendo dei risarcimenti. Si presentarono in un centro per la tutela dei diritti umani, Hassan Jumale, o qualcosa di simile, che è un centro riconosciuto da Amnesty International, ha dei rapporti con Amnesty International. Cassini si mise in contatto con il centro Jumale, il quale raccolse una serie di persone che asserivano di aver subito violenze dagli italiani. Tra questi si presentò Hashi e questa gente fu imbarcata in Italia. Come Cassini arrivò a determinare che Hashi poteva essere implicato nell'omicidio di Ilaria, io questo non lo so.
PRESIDENTE. E gli altri come sono stati individuati? Soltanto sulla base di questa presentazione? Voglio dire: quelli che sono stati portati in Italia e che volevano il risarcimento del danno furono quelli che si presentarono spontaneamente, oppure furono indicati da qualcuno come coloro che erano state le vittime di quelle violenze?
MASSIMO ALBERIZZI. Alcuni comparivano nelle fotografie che erano state pubblicate da Panorama. Altri comparivano in due video che avevo fornito alla Commissione. Gli ho fornito anche quello della CNN, anche se non avrei dovuto farlo perché non lo avevo avuto per vie ufficiali.
PRESIDENTE. Come immagini, o con i nomi?
MASSIMO ALBERIZZI. Come immagini.
PRESIDENTE. I nomi e cognomi non li conosceva?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, li conoscevo, perché li avevo intervistati.
PRESIDENTE. Quindi, i nomi a Cassini li ha dati lei.
MASSIMO ALBERIZZI. Non a Cassini. Io li ho dati alla Commissione Gallo, non a Cassini.
MASSIMO ALBERIZZI. Erano già in Italia. Credo che uno fosse sicuramente in Italia, perché erano tre.
PRESIDENTE. Come erano già in Italia? Quando lei ha dato le cassette erano già in Italia, loro?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, quando ho parlato con la Commissione Gallo uno di questi - perché io li avevo intervistati a Mogadiscio - era già in Italia con questo gruppo.
PRESIDENTE. Ho capito. Comunque, questo Omar Hashi Hassan non risultava?
MASSIMO ALBERIZZI. No. Faceva parte anche di un'altra cosa, chiedeva un risarcimento per una vicenda che io non conoscevo assolutamente.
PRESIDENTE. Ma sempre di violenze?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, sì. Mi pare che asseriva di essere stato messo in un sacco e gettato in mare.
PRESIDENTE. Questo che ora le mostro è un foglio che è stato rinvenuto addosso ad Ilaria, il 20 marzo 1994 - come vede, queste sono fotocopie di tracce di sangue della ragazza - ed è un foglio che l'ambasciatore Plaja e l'allora presidente della RAI Demattè prelevarono da una busta sigillata e che poi avrebbero consegnato ai familiari di Ilaria Alpi. Come vede, ci sono dei numeri: lei può dare un significato a questi numeri?
MASSIMO ALBERIZZI. Se vede questa grigliatura, questo è un foglio della RCS e del Corriere della Sera, questo è il foglio mio: è un foglio dei blocchi che loro danno a noi.
PRESIDENTE. Ho capito. Questo è Corriere della Sera.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, se vede quassù: RCS.
MASSIMO ALBERIZZI. Questi sono i blocchi che danno a noi.
MASSIMO ALBERIZZI. Questo era il blocco che era nelle mani di Ilaria, dove erano indicati i numeri di telefono satellitare. Per esempio, il CIS 873 è il prefisso satellitare...
PRESIDENTE. Chi glieli ha dati questi numeri? C'è anche il numero di Ali Mahdi, vede?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, sì, ce li avevamo tutti. Io avevo tutti...
PRESIDENTE. Glieli ha dati lei ad Ilaria?
MASSIMO ALBERIZZI. Alcuni sicuramente sì, perché li avevo anch'io; altri può esserseli procurati. Qua sotto abbiamo, invece, i numeri di frequenze. Ilaria, però, non aveva la radio, quindi questi qui sicuramente glieli ho forniti io.
MASSIMO ALBERIZZI. VHF e HF. Le radio: io avevo fatto comprare al Corriere della Sera due radio e una la utilizzava Ilaria per stare in contatto con noi, anzi con me, perché erano due, e poteva stare anche in contatto con altri. Credo che ci fosse anche Remigio Benni, qui. Save the children... MSF... quindi, queste sono frequenze radio. Alcune sono in ricezione e trasmissione, altre ricevono e trasmettono sulla stessa frequenza.
Qui, invece, sono i numeri di telefono satellitari e ci sono dei numeri, di Osman Atto, per esempio, che era il vice di Aidid in quel momento; l'ambasciata italiana; Remigio Benni. La stessa cosa Navi in porto: questo era Navi in porto.
MASSIMO ALBERIZZI. Per sapere quali navi erano in porto: questa era l'autorità navale.
MASSIMO ALBERIZZI. Questo era quello delle forze armate, erano quelli degli italiani. L'Annalena di Meka...
PRESIDENTE. Annalena chi sarebbe, la crocerossina?
MASSIMO ALBERIZZI. No, l'Annalena era quella di cui parlavamo, di quell'articolo del 2003, l'anno scorso. Uccisa in Somaliland.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, esatto. Caritas...
PRESIDENTE. E come mai il numero dell'Annalena sta qua?
MASSIMO ALBERIZZI. Questo, secondo me, è il prolungamento di questo foglio.
PRESIDENTE. Sì. Ma quello che domando è chi le ha dato il numero di Annalena, Merka. Glielo ha dato lei?
MASSIMO ALBERIZZI. Io non credo di averlo avuto. Però, non so, avevo anch'io un elenco del genere. Ce li siamo scambiati. Devo dire che Ilaria non aveva le radio, quindi, presumibilmente, siccome le radio le avevo io, facevo io la collezione dei numeri di radio. Ilaria, però, aveva il telefono, quindi avrebbe potuto avere benissimo dei numeri di telefono.
PRESIDENTE. Della vicenda della uccisione di Ilaria Alpi, dopo l'arrivo della salma in Italia, lei ha avuto modo di parlare con qualcuno? Le domando: con Rajola Pescarini ha avuto modo di parlare dell'uccisione di Ilaria Alpi?
MASSIMO ALBERIZZI. Subito dopo, no.
PRESIDENTE. In epoca successiva?
MASSIMO ALBERIZZI. Negli anni successivi, quando ho incontrato Rajola Pescarini, che ho incontrato solo in Africa, mai in Italia...
PRESIDENTE. Cosa le ha detto a questo proposito? Avete mai parlato delle possibili ragioni, delle possibili causali?
MASSIMO ALBERIZZI. Rajola Pescarini esclude qualunque tipo di connessione con i traffici d'armi.
PRESIDENTE. Questo mi pare logico.
MASSIMO ALBERIZZI. Quindi esclude qualunque partecipazione dei servizi, della cooperazione...
PRESIDENTE. Quindi cosa pensa, secondo lei, che fu un colpo di freddo? Le ha detto cosa pensa?
MASSIMO ALBERIZZI. No, non ha mai detto cosa pensa. Bisognerebbe fare un'indagine approfondita, ma un'indagine approfondita è molto difficile da fare in quell'ambiente.
MASSIMO ALBERIZZI. Abbiamo concordato su questa cosa, che è difficile fare un'analisi approfondita...
PRESIDENTE. Ma avete parlato, le ha dato possibili scenari?
MASSIMO ALBERIZZI. No, non mi ha dato possibili scenari. Non è che abbiamo parlato approfonditamente di questa cosa.
PRESIDENTE. Di causali e di possibili scenari, per esempio nei rapporti delle due tribù di Ali Mahdi e di Aidid, se ne è mai parlato con Rajola Pescarini?
MASSIMO ALBERIZZI. No, no. Sono stati discorsi mai approfonditi.
PRESIDENTE. E Rajola Pescarini i rapporti - da uomo dei servizi, si intende - li teneva sia con Ali Mahdi che con Aidid, che lei sappia?
MASSIMO ALBERIZZI. Immagino di sì. Io non ho rapporti con Rajola Pescarini.
PRESIDENTE. Lei con chi li aveva?
MASSIMO ALBERIZZI. Potevo avere dei rapporti... Allora: arrivavo lì, cenavamo, anzi pranzavamo, perché a cena non si andava in giro, però i miei rapporti non erano rapporti di informazione, anche perché non credo che lui desse informazioni ai giornalisti. O, veramente, qualcuna la dava.
MASSIMO ALBERIZZI. Scialoja: era lo stesso tipo di rapporto, però magari più approfondito sulle tematiche diplomatiche, sugli scenari diplomatici.
PRESIDENTE. Che ruolo giocava Scialoja?
MASSIMO ALBERIZZI. Lui era l'ambasciatore, l'inviato speciale dell'Italia.
PRESIDENTE. Che rapporti aveva, ad esempio, con le due tribù di Aidid e di Ali Mahadi?
MASSIMO ALBERIZZI. Formalmente, buoni. Informalmente, non lo so.
MASSIMO ALBERIZZI. Soprattutto con Aidid, perché lui è venuto dopo. Con Ali Mahdi gli italiani avevano dei problemi, perché erano accusati di aver lasciato scappare Aidid, di non averlo catturato, e quindi Ali Mahdi si era schierato con gli americani.
PRESIDENTE. Mi scusi, ma io non conosco bene le cose. Scialoja era già un convertito allora, era un mussulmano, che lei sappia?
MASSIMO ALBERIZZI. Quando uscì la notizia che lui fosse mussulmano, tempo dopo, io gli dissi: «Tu non bevevi birra con noi a Mogadiscio?» e lui sorrise. Diciamo che io non mi sono accorto, allora. Non mi sono accorto che fosse un convertito, infatti ero convinto che bevesse birra. Quando ho saputo dai giornali che era mussulmano e gli feci questa domanda incontrandolo, lui sorrise ammiccando, lasciandomi intendere che la birra non l'aveva mai bevuta con me. Però io non me ne ero accorto.
PRESIDENTE. Va bene. Marocchino lo ha conosciuto?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, Marocchino l'ho conosciuto abbastanza bene. Non è un mio amico, ma stando a Mogadiscio avevamo una certa frequentazione. Non ho mai usato i suoi servizi, non ho mai usato le macchine sue, non le ho mai noleggiate, non sono mai stato a casa sua. Intendo dire a casa sua fisso, a dormire: ospite, pagante o non pagante. Sono andato a mangiare parecchie volte, anzi, una notte ho dormito perché essendo lui a Mogadiscio nord e io a Mogadiscio sud - questo nel primo viaggio, dicembre 1992-gennaio 1993 - perché SOS Children era collocato a sud, volevo vedere cosa succedeva a nord. Per questo ho dormito a casa di Marocchino.
PRESIDENTE. E chi ci stava quella sera?
MASSIMO ALBERIZZI. Io da solo e la sua famiglia. E, probabilmente, Carmen Lasorella, perché era lì.
PRESIDENTE. Quindi, Carmen Lasorella c'era.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, era lì.
MASSIMO ALBERIZZI. Dicembre 1992-gennaio 1993.
PRESIDENTE. Dicembre 1992: quindi lei Marocchino l'ha conosciuto subito.
PRESIDENTE. Nel 1992, la prima volta che va in Somalia, lei conosce Marocchino.
PRESIDENTE. Chi glielo ha presentato?
MASSIMO ALBERIZZI. Willy Huber, perché lui lavorava per SOS Children, questa organizzazione dove eravamo tutti ospiti. Lavorando, bazzicava lì, in SOS e quindi l'abbiamo conosciuto, non se se materialmente...
PRESIDENTE. Che si interessasse di armi, per esempio, l'aveva mai accertato? Aveva raccolto informazioni sul traffico di armi da parte di Marocchino?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, gliene ho parlato.
MASSIMO ALBERIZZI. Gliel'ho chiesto.
PRESIDENTE. Glielo ha chiesto?
PRESIDENTE. E lui che le ha detto?
MASSIMO ALBERIZZI. Lui mi ha detto: «Io faccio il trasportatore. Non ho mai trafficato in armi. Trasporto senza chiedere quello che c'è dentro; se uno mi dice che è c'è farina e ci sono armi, io non lo so».
PRESIDENTE. Cioè, è esattamente la stessa cosa! Aveva rapporti con Rajola Pescarini, che lei sappia?
MASSIMO ALBERIZZI. Che io sappia... Lui aveva rapporti con il contingente italiano, perché faceva il logista.
PRESIDENTE. Che tipo di rapporti?
MASSIMO ALBERIZZI. Il contingente italiano gli chiedeva, per esempio, di scaricare delle navi, di utilizzare dei camion che lui aveva per scaricare delle navi. Io parlai al magistrato di una truffa che era stata organizzata a Mogadiscio e che vedeva, comunque, Marocchino tra i protagonisti: non come truffatore, ma in questa truffa c'era anche Marocchino. Non come truffatore, però.
PRESIDENTE. Lei ricorda come si chiamava la guardia del corpo che era stata addestrata in Iraq e che lei utilizza?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, Abdi Nur.
PRESIDENTE. E che le fece il nome di Hussein Gab come proprietario dell'auto?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì. Abdi Nur.
PRESIDENTE. Chi era questo Abdi Nur?
MASSIMO ALBERIZZI. Era uno dei miei migliori informatori sul terreno, nel senso che io gli dicevo «Bisogna andare in questo quartiere: chi ne ha il controllo? Chi dobbiamo prendere perché ci garantisca la sicurezza in questo quartiere?» Oltretutto, lui mi faceva da scout, nel senso che io gli dicevo: «Senti, Abdi, vai tu avanti. Informati. Vedi cosa è successo e vedi se possiamo andare». Per esempio, quando gli americani attaccavano, nottetempo, una villa alla ricerca di Aidid o distruggevano un magazzino alla ricerca di armi, io il giorno successivo mandavo Abdi in avanscoperta, lui mi diceva com'era la situazione sul campo e poi decidevamo se andarci o no e se non era troppo pericoloso.
PRESIDENTE. Che lei sappia, Ilaria Alpi aveva una macchina fotografica? Usava registratori?
MASSIMO ALBERIZZI. No, i registratori non li usava perché usava la telecamera per registrare. Regolarmente non usava registratori. Regolarmente, non usava macchine fotografiche, per lo meno di tipo professionale. Potevamo avere delle piccole macchine fotografiche, come le avevamo tutti, però non mi pare che avesse una macchina ad obiettivi intercambiabili con grandi cose di questo genere.
PRESIDENTE. Adesso le mostro una fotografia per sapere se lei conosce questa persona.
MASSIMO ALBERIZZI. Mohamed Abdi... Il viso non mi è nuovo, però non riesco a localizzarlo, in questo momento.
PRESIDENTE. Potrebbe essere l'autista di Ilaria?
MASSIMO ALBERIZZI. No. Lo escludo.
PRESIDENTE. Può averlo visto da Starlin?
MASSIMO ALBERIZZI. Io ho problemi anche a riconoscere mia madre, per la verità, però potrei averlo visto da Starlin. Il viso non mi è nuovo; sembra uno...
PRESIDENTE. Che stava a Bosaso?
MASSIMO ALBERIZZI. No, a Nairobi, ma francamente ho grosse difficoltà fisiognomiche. Se domani la incontro e non la saluto non pensi che io sia arrabbiato con lei!
PRESIDENTE. Anche perché questo personaggio aveva anche un foglio di accredito come autista di Ilaria Alpi, che mostrò...
MASSIMO ALBERIZZI. Io sto parlando dell'ultimo autista di Ilaria Alpi, non di quelli precedenti. Quando ho detto che potrebbe essere l'autista...
PRESIDENTE. Sì. Lui si presentò con un foglio di accredito della RAI come autista della Alpi.
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, la storia la conosco. Lui non lo ricordo, ma la storia la conosco perfettamente, ed è una delle cause per cui...
PRESIDENTE. Questo che le mostro è il foglio di accredito e questa è la firma...
MASSIMO ALBERIZZI. Sembrerebbe la firma di Ilaria.
PRESIDENTE. E questa è di Ali Mohamed Abdi, colui che è ritratto in questa fotografia.
MASSIMO ALBERIZZI. Può essere.
PRESIDENTE. Però non le dice nulla.
MASSIMO ALBERIZZI. Di che anno è?
PRESIDENTE. Mogadiscio, 13 marzo 1994.
MASSIMO ALBERIZZI. Non l'ho mai vista questa cosa. Questa è una lettera di accredito di ricerca all'ufficio dell'Unosom per avere una carta di identificazione, in modo tale da non essere trattenuti al check point. Le facevamo per gli autisti che potevamo utilizzare. Ricordo sicuramente che quando Ilaria arrivò a Mogadiscio mi disse, durante una delle nostre telefonate, «sai, ho preso il tuo Ali come mio autista».
PRESIDENTE. Quindi non è questo.
MASSIMO ALBERIZZI. Non è questo.
PRESIDENTE. Le guardie del corpo di cui disponeva Ilaria Alpi nel periodo in cui eravate insieme le aveva reclutate lei?
MASSIMO ALBERIZZI. Questo era accaduto in dicembre. Chi all'epoca conosceva meglio la situazione era Remigio Benni, il corrispondente dell'ANSA, che era stato lì diverse volte, anche prima della guerra (io c'ero stato solo un paio di volte, lui andava continuamente). Ci segnalò un signore, Yusuf Ariri, che ora è in Italia, che io definivo il mio «fattore», nel senso che su richiesta trovava le automobili e gli autisti; quando Remigio ce lo presentò bazzicava con l'ambasciata italiana, nel senso vero, in un'altra villa, non quella del compound dell'ambasciata, e quindi conosceva un po' di persone. Apparteneva ad una tribù neutrale in quel momento tra Aidid ed Ali Mahdi e dunque sembrava più affidabile di altri. A molti italiani - non a me, perché io nel dicembre presi un'altra macchina - che andavano da lui per sapere come ottenere delle macchine, lui segnalava Yusuf Ariri, che fungeva da tramite con il proprietario della macchina e l'autista.
PRESIDENTE. Lei ricorda un'intervista che Ilaria Alpi fece nel 1993 ad Ali Mahdi?
MASSIMO ALBERIZZI. Ne aveva fatte parecchie, di interviste, non una in particolare.
PRESIDENTE. Questa è un'intervista nella quale lei, dottor Alberizzi, entra in un secondo momento. La ricorda?
MASSIMO ALBERIZZI. Abbiamo fatto parecchie interviste insieme ad Ali Mahdi; può essere che io sia entrato in un secondo momento.
PRESIDENTE. Lei aveva ricevuto minacce?
MASSIMO ALBERIZZI. Io no. Nel dicembre 1993, no.
MASSIMO ALBERIZZI. Nel settembre ero stato sequestrato qualche minuto, ma non avevo avuto minacce.
PRESIDENTE. Chi l'aveva sequestrato?
MASSIMO ALBERIZZI. Un gruppo di miliziani della tribù di Aidid, o comunque alleati di Aidid.
PRESIDENTE. Lei intervistò la moglie di Ali Mahdi, in qualche circostanza?
PRESIDENTE. Insieme ad Ilaria o da solo?
MASSIMO ALBERIZZI. C'era anche Ilaria.
PRESIDENTE. Chi ha registrato l'intervista? Ilaria?
MASSIMO ALBERIZZI. Io non ho registrato niente. Non ricordo se Ilaria registrò qualcosa, ma io non registro mai; comunque ho gli appunti di quell'intervista, che fu interessante perché si parlò di traffico d'armi.
PRESIDENTE. E la cassetta della registrazione?
MASSIMO ALBERIZZI. Non esiste perché si trattò di un'intervista solamente per iscritto.
PRESIDENTE. Senza registratori, che lei sappia?
MASSIMO ALBERIZZI. Senza, se non nascosti; ma me lo avrebbe detto. Non c'erano registratori e non c'erano interviste con telecamera, anche perché lei chiese il riserbo.
MASSIMO ALBERIZZI. Raccontò come alcuni trafficanti italiani rifornivano di armi le fazioni somale.
PRESIDENTE. Le fazioni somale di Aidid o anche la loro?
MASSIMO ALBERIZZI. Lei parlò anche di Ali Mahdi. Parlò soprattutto di Aidid, perché era il nemico di Ali Mahdi, però il signore di cui parlò era anche amico di Ali Mahdi.
PRESIDENTE. Quindi si parlava del traffico di armi alle fazioni somale, armi provenienti dall'Italia.
MASSIMO ALBERIZZI. Le armi, non so; il trafficante, sì.
PRESIDENTE. Era italiano. E chi era?
MASSIMO ALBERIZZI. Giovanni Giovannini.
PRESIDENTE. Lei ha dei documenti o degli appunti a questo proposito?
MASSIMO ALBERIZZI. Appunti di quest'intervista?
MASSIMO ALBERIZZI. Dovrei avere degli appunti.
PRESIDENTE. Non ha scritto alcun articolo di giornale?
MASSIMO ALBERIZZI. No, perché non c'erano prove.
PRESIDENTE. Però questa è una situazione nella quale Ilaria Alpi viene a conoscenza di queste circostanze che sono oggetto delle dichiarazioni della moglie di Ali Mahdi. È esatto?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, nel senso di dichiarazioni che però non sono suffragate da prove.
PRESIDENTE. Lasciamo perdere. In questo momento non stiamo discutendo di prove.
MASSIMO ALBERIZZI. Dato che mi ha chiesto se ho scritto, le rispondo che non potevo scriverlo, altrimenti mi prendevo una querela.
PRESIDENTE. No, scritto nel senso di appunti personali. Ce li ha?
MASSIMO ALBERIZZI. Dovrei averli, perché ho tutti gli appunti di ogni cosa.
PRESIDENTE. Se magari li trovasse, insieme all'articolo di giornale di cui abbiamo parlato prima, e ce li facesse avere, farebbe una cortesia alla Commissione.
MASSIMO ALBERIZZI. Ricorda di cosa parlò?
PRESIDENTE. Parlò di armi fornite alle opposte fazioni somale da parte di un italiano, di cui lei ha fatto il nome; parlò delle modalità con le quali queste armi venivano portate alle opposte fazioni somale...
MASSIMO ALBERIZZI. Lei parlò di una nave che doveva sbarcare in un porto vicino Mogadiscio, che poi era andata a Chisimaio e dopo era finita davanti alle acque di Mombasa.
PRESIDENTE. Questo quanto tempo prima?
MASSIMO ALBERIZZI. Parecchio tempo prima, all'inizio della guerra civile, quindi prima dell'arrivo di Unosom.
MASSIMO ALBERIZZI. Nel periodo dal 1991 al novembre 1992, ed in anni precedenti, durante l'epoca di Siad Barre.
PRESIDENTE. La nave che era andata a Chisimaio da dove era partita?
MASSIMO ALBERIZZI. Avrebbe dovuto sbarcare con delle armi destinate ad una fazione ed invece erano finite in un porto dove ce n'era un'altra; avrebbe dovuto scaricare lì, ma poi in realtà era andata a finire davanti a Mombasa.
PRESIDENTE. Da dove provenivano queste armi?
MASSIMO ALBERIZZI. Non lo so. Le armi normalmente vengono dall'arsenale dell'ex Unione Sovietica e non dall'Italia; gli italiani si occupano solo di mediazione. Però lei non era a conoscenza del tipo di armi, per cui non poteva dirmi la produzione.
PRESIDENTE. E da dove proveniva la nave?
MASSIMO ALBERIZZI. Che bandiera battesse la nave...
PRESIDENTE. Non ci interessa la bandiera, ci interessa da dove provenisse.
MASSIMO ALBERIZZI. Ho chiesto se provenisse da Livorno, ma lei fu molto
vaga su questo, perché non lo sapeva neanche lei. Lei sapeva solo che la nave arrivava in Somalia.
PRESIDENTE. E come si è arrischiata a dire queste cose?
MASSIMO ALBERIZZI. Lei odiava Aidid, e poiché queste armi alla fine sarebbero state destinate a lui (la prima fazione era quella vicina al marito, e se non del marito comunque alleata del marito) aveva tutto l'interesse di denunciare il fatto che Aidid riceveva armi. Il problema è che lo ha fatto senza prove.
PRESIDENTE. Siamo a marzo 1993. Ilaria Alpi le disse di voler andare a Chisimaio e di non poterlo fare perché l'aereo non partiva: non poteva essere questa la ragione della direzione verso Chisimaio?
MASSIMO ALBERIZZI. Noi non abbiamo parlato di questo...
PRESIDENTE. Noi sapevamo che si recava a Mogadiscio e che poi da lì si preparava per andare direttamente a Chisimaio. Adesso che lei ci illustra questa circostanza, che io ignoravo, vale a dire che la moglie di Ali Mahdi nel 1993, quindi tre mesi prima, parla...
MASSIMO ALBERIZZI. Ma parla di avvenimenti vecchi, del periodo 1991-1992, quando la situazione era completamente diversa: non c'era l'ONU, non c'erano i Belgi a Chisimaio e c'era una guerra tra fazioni.
PRESIDENTE. Anche nel 1993 però c'era la guerra.
MASSIMO ALBERIZZI. C'era una guerra, ma non tra fazioni; la guerra era contro gli americani, non tra due fazioni somale, che comunque erano ugualmente antagoniste. La grande guerra di Mogadiscio è tra il 1991 ed il 1992.
PRESIDENTE. Sullo sfondo c'erano poi i rapporti con le organizzazioni che cominciavano ad essere espressione dell'integralismo islamico.
MASSIMO ALBERIZZI. Di cui però a noi...
PRESIDENTE. Questo non ci interessa. Questa dunque è la situazione che è in grado di illustrare alla Commissione.
Sa se Ilaria Alpi conoscesse un certo Josè Lopez di Mozambico, implicato nel traffico di uranio? Le ha mai parlato di questi problemi?
MASSIMO ALBERIZZI. No. Non mi risulta l'esistenza di un traffico di uranio.
PRESIDENTE. Do ora la parola al collega De Brasi.
RAFFAELLO DE BRASI. Dottor Alberizzi, prima di porle alcune domande vorrei fare un ragionamento. La sua testimonianza mette in luce una contraddizione sul lavoro che Ilaria Alpi svolgeva in Somalia: nel rappresentare il lavoro della giornalista lei ha di fatto neutralizzato quelli che sono tra i principali moventi dell'omicidio sul quale la Commissione deve indagare, anche perché è uno degli obiettivi che il Parlamento le ha affidato. Infatti, sulla mala cooperazione ha detto che lei non se ne occupava, anzi era talmente refrattaria che, una volta messi a sua disposizione dei documenti in suo possesso, lei non se n'è assolutamente servita. Sul traffico di armi ha detto che lei non aveva un interesse specifico di carattere investigativo. Quanto al traffico di rifiuti, ci ha detto che avevate parlato dei pozzi ma in riferimento all'esecuzione dell'appalto e non tanto per l'ipotesi secondo cui sotto la strada Garoe-Bosaso sarebbero stati interrati dei rifiuti tossici o radioattivi. Poi ci ha detto che lei va a Bosaso quasi per caso, come conseguenza del fatto che non è riuscita ad andare a Chisimaio. Inoltre ci ha detto che lei non voleva andare a Mogadiscio. Quindi, da
tutto ciò deduco che lei ritenga che il movente dell'omicidio sia un altro, e su questo le chiedo di rispondere.
Le dico che la contraddizione appare a noi evidente perché abbiamo appurato l'esistenza di un appunto di Ilaria Alpi in cui si dice dove sono finiti i 1.400 miliardi della cooperazione, in cui si parla della strada Garoe-Bosaso, della Shifco e di Mugne. Poi ci risulta che lei abbia cercato assolutamente di andare in Somalia e non tanto per fare un servizio sul rimpatrio dei nostri soldati, al punto tale da insistere per avere un operatore; Calvi non ci vuole andare perché dice che non ha interesse e che è troppo pericoloso, per le condizioni di scarsa sicurezza (come poi si è potuto verificare), perché i soldi sono pochi e non può procurarsi un minimo di scorta. Quindi lei cerca Miran Hrovatin e parte con i pochi fondi che le sono messi a disposizione. Loche dice che quando gli telefona è molto eccitata e gli parla di un servizio molto importante che lei deve trasmettere; c'è la vicenda della Shifco sequestrata, l'intervista al sultano: non so se questi fatti potessero essere considerati importanti o meno o se ci fossero altri elementi che poi sono stati tagliati o che non ci sono pervenuti.
Nella sua testimonianza lei ci ha riferito parole di Ilaria Alpi, ma noi, dal lavoro che abbiamo svolto fino ad oggi, abbiamo avuto una percezione piuttosto diversa dalla sua. Sicuramente Ilaria Alpi nel suo lavoro aveva un'attitudine molto forte - ciò è evidente anche da quanto abbiamo potuto vedere, dalle cose che ha scritto ma anche dalla documentazione video del viaggio che ha fatto - ed una propensione verso il sociale ed il culturale; contemporaneamente però non possiamo escludere - ed anzi ci pare di averne le prove - l'esistenza di un interesse vero sul giornalismo di indagine; una serie di elementi ci dice che, se ne avesse avuto occasione ed opportunità, questo lei avrebbe potuto e voluto fare, almeno per quanto riguarda quest'ultimo viaggio.
Le chiedo la sua opinione su questa mia osservazione e soprattutto se ritenga che il movente sia un altro, visto che dalle sue parole emerge, anche se non in maniera esplicita, che lei non crede assolutamente che il movente possa essere stato rappresentato dalle informazioni ricavate sulla mala cooperazione, sul traffico d'armi e sul traffico di rifiuti.
MASSIMO ALBERIZZI. Quello che ha detto è importante: se ne avesse avuto l'opportunità. Io credo che qualunque bravo giornalista, di fronte all'opportunità di svolgere un'inchiesta di questo tipo, non si tiri indietro, anche uno che si occupa di terza pagina. Ilaria sicuramente non si sarebbe tirata indietro, ma se si fosse trovava a dover scegliere tra l'intervista alla femminista islamica e il traffico d'armi avrebbe scelto l'altra strada. È chiaro che se ce ne fosse stata una sola avrebbe investigato. È per questo che su tutti i taccuini dei giornalisti italiani in Somalia in quel periodo credo ci sia scritto Shifco, Mugne, mala cooperazione; solo un cattivo giornalista avrebbe potuto non farlo. In decine di interviste emergono questi argomenti. Mi pare evidente.
Lascio aperto il campo a tutto; lo scacchiere somalo è molto complicato e difficile: lo conosco da anni e ogni volta che ci vado mi informo nuovamente, perché cambia in continuazione; è difficile riuscire a dire e a spiegare perché, ma i misteri della Somalia sono veramente tanti, non sono rappresentati solamente dal traffico d'armi, che è come il pane. Che cosa arrivava in Somalia? Pane e armi. Questo era evidente a qualunque giornalista ma anche a qualunque osservatore si recasse in Somalia. Che esistesse un traffico d'armi in quel paese era chiaro; si diceva per esempio che i contingenti, compreso quello italiano, vendessero le armi; probabilmente quelli del terzo mondo lo facevano, e francamente non credo che gli italiani lo facessero, ma non ho prove su questo. I misteri della Somalia sono la mala cooperazione, sono i soldi spariti; si diceva che fossero spariti, ma non ne abbiamo avuto le prove.
È chiaro che abbiamo discusso di queste cose, che ci hanno anche appassionato; si raccontava di container di merci avariate
arrivate in Somalia alle Forze armate e buttate in mare e di chi guadagnava in questo giro, ma sono cose su cui non siamo mai riusciti ad investigare e su cui non abbiamo mai avuto documentazione. Io ho cercato di investigare parecchio; nel corso dell'intervista alla moglie di Ali Mahdi io ho cercato di indagare sulle cose ed è chiaro che Ilaria comunque mi seguiva, non stava a guardare pensando al resto. Però io Giovanni Giovannini lo conoscevo da prima, perché l'avevo incrociato in ordine alla questione dei rifiuti tossici in Somalia nel 1992, quando ho scritto tutti gli articoli sui rifiuti tossici, trovando i conti in banca dei signori somali e le promissory note. Avevo degli strumenti che lei in quel momento non possedeva; ne aveva altri, diversi, forse migliori e più importanti. Per carità, se a Bosaso avesse incontrato il presidente Taormina con la bomba atomica o con l'uranio non avrebbe girato la testa dall'altra parte (mi scusi il paradosso). Non escludo che sia accaduto, però le violenze in Somalia io le ho denunciate ad un magistrato, uno dei tanti che mi hanno chiamato (mi scusi, sono stato anche in quest'aula, lo avevo scordato; mi sono confuso con la commissione Gallo).
Ho portato i due video in cui si vedono i somali arrestati e poi picchiati e torturati nell'ospedale dell'ONU prima delle foto di Panorama; anche Marina Rini ha denunciato queste cose, e non è successo assolutamente nulla. Dopo le foto di Panorama, tutti quanti interessati! Quelle accadute in Somalia sono cose gravissime; raccontano che si pagavano i sacchetti di sabbia in un paese desertico - lo raccontano, ma non ho le prove - e che i sacchetti fossero comprati da un certo signore della guerra e che gli altri fossero arrabbiati. L'ambasciata italiana è stata assalita a colpi di mitra: ci sono le ANSA che parlano di battaglia intorno all'ambasciata italiana, dentro la quale c'erano i nostri soldati armati fino ai denti; eppure, i somali assalivano. Perché hanno assalito l'ambasciata italiana? Io non lo so, però ci sono tutta una serie di cose che possono essere...
Io ho riferito che Ilaria mi ha telefonato da Roma e mi ha detto: questa volta proprio non ho voglia di andarci. Tra l'altro io ero ritornato appena qualche giorno prima e le avevo descritto un po' la situazione. Queste sono parole di cui io mi assumo la responsabilità.
PRESIDENTE. Che non avesse voglia di andare in Somalia è un cattivo ricordo.
MASSIMO ALBERIZZI. Un giornalista, soprattutto come noi, che viene mandato in Somalia, ci va anche se non ne ha voglia. Era stancante andarci.
PRESIDENTE. L'ultima volta no. A noi non risulta.
RAFFAELLO DE BRASI. Dalle testimonianze della RAI pare che non volessero mandarcela.
MASSIMO ALBERIZZI. Io vi dico quello che ha detto. Io avevo un rapporto molto profondo con Ilaria; conoscevo per esempio le storie dei suoi amori, ne parlavamo a lungo. Magari me lo ha detto in un momento di sconforto, di non voler andare, perché si mangiava male, perché c'era una situazione di disagio e di tensione. Ma è ovvio che poi un giornalista si reca sul posto e fa i servizi.
RAFFAELLO DE BRASI. Passo a domande un po' più precise. Lei ha lasciato dei documenti alla signora Starlin sulla Shifco e su Mugne? Si tratta di aspetti importanti.
MASSIMO ALBERIZZI. Io ho alcuni documenti sulla Shifco, per esempio sui permessi di pesca che avevano avuto; ho l'atto notarile in virtù del quale i vari pescherecci avevano cambiato di proprietà. Ce li ho ancora.
MASSIMO ALBERIZZI. Nel mio ufficio.
PRESIDENTE. Ce la dia, questa documentazione.
MASSIMO ALBERIZZI. L'ho data a tutti, è agli atti di tutti. In commissione Gallo dovrebbe esserci.
RAFFAELLO DE BRASI. C'è, ma a me interessava sapere se...
MASSIMO ALBERIZZI. Io ho dato a tutti tutto quello che avevo.
RAFFAELLO DE BRASI. Lei ha lasciati là i documenti.
MASSIMO ALBERIZZI. La gran parte dei documenti sulla cooperazione l'ho lasciata là.
RAFFAELLO DE BRASI. E quelli rimasti li ha qui.
MASSIMO ALBERIZZI. Credo di aver consegnato tutto, tranne qualcosa che...
RAFFAELLO DE BRASI. Però, a parte i movimenti delle navi, sulla vicenda della Shifco ha mai trovato dei riscontri, durante le sue indagini, che queste navi servissero....
MASSIMO ALBERIZZI. A trasportare armi?
RAFFAELLO DE BRASI. Armi o altre cose?
MASSIMO ALBERIZZI. Io non ho trovato riscontri se non dalle inchieste condotte su questo da Giovanni Porzio. Non escludo che trasportassero armi, come non escludo che Marocchino trasporti armi. Che facessero traffico d'armi vero, che le navi venissero utilizzate solo per quello, ho qualche dubbio, ma è un dubbio personale, perché per il traffico d'armi si utilizzano anche navi più grandi. Però queste venivano da Livorno, quindi potevano...
RAFFAELLO DE BRASI. Le armi per quel mercato potevano essere magari più piccole, visto il livello...
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, ma ci sono mercati molto più vicini, come lo Yemen.
RAFFAELLO DE BRASI. Ricorda la data della telefonata che Ilaria Alpi le fece prima di partire per Bosaso? Lei ci ha parlato di una telefonata che lei...
MASSIMO ALBERIZZI. Che io feci a Mogadiscio. Era il giorno prima che partisse per Bosaso. Non ricordo esattamente la data, ma posso controllare. Infatti non ci sentimmo più perché lei non era più sul satellite; non si era portato il telefono perché allora era una cosa gigantesca.
RAFFAELLO DE BRASI. Il Ministero degli affari esteri sapeva che la nave Shifco era stata sequestrata a Bosaso. Lei era al corrente di questo?
MASSIMO ALBERIZZI. No. Io avevo una notizia d'agenzia circa una nave sequestrata, che non era della Shifco; parlava di un equipaggio filippino, o per lo meno non menzionava la Shifco.
RAFFAELLO DE BRASI. Quindi non ne avete parlato prima che lei andasse a Bosaso.
MASSIMO ALBERIZZI. Della nave della Shifco no.
RAFFAELLO DE BRASI. Lei ha detto, parlando di Hashi Omar Assan, che all'autista glielo hanno fatto vedere prima che fosse portato qui in Italia.
MASSIMO ALBERIZZI. Vedere, o gli hanno parlato di questo... L'ha riconosciuto prima che fosse portato in Italia, comunque. Sì.
RAFFAELLO DE BRASI. Glielo hanno fatto vedere? Lo ricorda?
MASSIMO ALBERIZZI. Non lo so. Non è che non mi ricordo. So che lui era stato portato a testimoniare qui, e quindi presumibilmente...
RAFFAELLO DE BRASI. Sembrava dal suo ragionamento che, dato che lei ha avuto la percezione che questo autista avesse detto il falso...
MASSIMO ALBERIZZI. Parlandogli. Parlando all'autista gli ho detto: sei sicuro di questo?
RAFFAELLO DE BRASI. È chiaro. Contemporaneamente ha detto che gliel'hanno fatta vedere e sembrava una sequenza di una cosa costruita. O no?
MASSIMO ALBERIZZI. A me è sembrato così, però è una sensazione del tutto personale.
RAFFAELLO DE BRASI. Non ha avuto un riscontro preciso sul fatto che le avessero fatto conoscere prima che venisse qui e riconoscesse come testimone oculare...
MASSIMO ALBERIZZI. No. Lui è stato portato qui - ne ho parlato in commissione Gallo - come testimone.
RAFFAELLO DE BRASI. Ho capito, però non sa se il suo autista l'abbia visto prima di venire qua.
MASSIMO ALBERIZZI. Visto in fotografia o personalmente, no. So che è partito come testimone a carico.
RAFFAELLO DE BRASI. Poiché lei aveva detto che glielo avevano fatto vedere, volevo capire in che senso...
MASSIMO ALBERIZZI. Non lo so. Ho avuto la sensazione che era stato costruito. Io ho criticato le modalità, perché non si offre ad un somalo di venire in Italia a testimoniare, perché quello denuncia pure la madre, per venire a testimoniare. Se io a Mogadiscio offro dei soldi ad uno perché mi porti l'assassino di Ilaria, trovo centinaia di persone, a cento dollari l'uno, che si autodenunciano, dicendo: sono stato io, sono stato io! Io ti porto e tu hai comunque il permesso... probabilmente prima di riconoscere la gente.
RAFFAELLO DE BRASI. Lei sa che Marocchino ad un certo punto è stato cacciato dalla Somalia perché accusato dagli americani di traffico d'armi, e noi sappiamo...
MASSIMO ALBERIZZI. Accusato di traffico d'armi, no. Lui è stato accusato di qualcosa...
PRESIDENTE. Di traffico d'armi. E le hanno anche trovate.
RAFFAELLO DE BRASI. A lei questo non risulta?
MASSIMO ALBERIZZI. Marocchino aveva parecchie armi in casa, e quindi sicuramente le hanno trovate, non c'è dubbio. Aveva anche dei mortai. Mi pare che Carmen Lasorella avesse quindici persone per difendere una macchina. L'ambiente...
PRESIDENTE. Ilaria una, invece!
MASSIMO ALBERIZZI. Perché non aveva la telecamera. Se l'avesse avuta, avrebbe avuto più gente. Io circolavo da solo, senza neanche la scorta armata, sulla mia Panda, perché si trattava di una macchina con due porte, quindi non appetibile da rubare. Quando mi hanno sequestrato avevo quella. Non è appetibile perché non ci puoi mettere dentro i miliziani, disponendo solo di due porte.
PRESIDENTE. Quindi non c'era l'interesse a fare una rapina ad Ilaria Alpi.
MASSIMO ALBERIZZI. In quel momento, no. Di sequestrarla, sì.
PRESIDENTE. Dato che lei ha detto adesso...
MASSIMO ALBERIZZI. Certo: si ha meno scorta perché si ha meno da difendere. Si riduce la scorta perché si ha meno da difendere. Io andavo in giro anche senza scorta - non sempre - perché ritengo che in alcuni casi la scorta ti fa diventare un target: più scorta la gente vede più immagina che dentro ci sia qualcosa da difendere e più si rischia una rapina. A quel tempo non c'erano ancora i problemi di sequestri che esistono oggi in Iraq. Io partendo ho regalato ad Ali......il mio paio di scarpe, e quando sono tornato aveva ancora le ciabatte, perché se le avesse indossate lo avrebbero accoltellato all'angolo.
PRESIDENTE. Però gli agguati c'erano.
MASSIMO ALBERIZZI. Certo. Anch'io sono stato sequestrato.
PRESIDENTE. Anche dei giornalisti sono stati sequestrati.
MASSIMO ALBERIZZI. Nel momento in cui vi era stato un bombardamento pesante, in cui erano rimaste uccise una cinquantina di persone, noi giornalisti siamo corsi a vedere e la folla che era piuttosto seccata. A quel punto c'è stata una reazione su un attacco ed una battaglia violentissima.
PRESIDENTE. C'è stato anche un agguato ad alcuni giornalisti, tra i quali c'era anche Ilaria, che si salvò.
MASSIMO ALBERIZZI. Io parlo di quello, quando sparì.
RAFFAELLO DE BRASI. Quando ha parlato con la moglie di Ali?
MASSIMO ALBERIZZI. Adesso. Sono andato giù per l'anniversario della morte di Ilaria, e le ho parlato due o tre giorni prima.
RAFFAELLO DE BRASI. Sa come è morta la signora Starlin?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, in un agguato a Nairobi. Ho parlato anche con i suoi parenti ed amici. Ufficialmente si è trattato di una rapina a Nairobi, dove le rapine sono frequentissime; infatti il mio autista è stato ucciso lì a marzo in un agguato.
PRESIDENTE. Do ora la parola all'onorevole Deiana.
ELETTRA DEIANA. Vorrei ritornare sulle notizie che lei ci ha fornito circa il poco interesse o comunque la fatica di Ilaria Alpi, come lei ci ha detto, a partire l'ultima volta per Mogadiscio. L'interesse o il non interesse per questa partenza, a fronte della ricostruzione che abbiamo fatto fino ad ora, rappresenta un punto abbastanza importante per capire, per orientarci nella vicenda. A noi risulta che l'interesse di Ilaria Alpi per questo viaggio era fortissimo, al punto di affrontarlo nonostante la riluttanza della direzione della RAI, i pochi soldi, la mancanza del cameraman con cui era solita fare questi viaggi; addirittura, stando ad una delle testimonianze che abbiamo avuto, lei avrebbe detto, più o meno, che si trattava dell'occasione della sua vita. Evidentemente è qualcosa che contrasta molto con quanto lei ci ha riferito.
Lei prima ha detto che poteva trattarsi di una frase buttata lì, come succede, però da quanto ci ha dichiarato lei ed Ilaria Alpi eravate in stretta amicizia, c'era uno scambio continuo, sia professionale sia amicale. Lei non ricorda nulla di quel colloquio? Io parlo di me: se un mio amico parte per una situazione così complessa e difficile di cui io so tutto, come giornalista sul campo, anche che c'è un inasprimento della situazione per la partenza dei militari italiani, il caos e tutto quello che sappiamo, io approfondisco i motivi e cerco di dissuaderlo, dicendo: chi te lo fa fare, perché ci vuoi andare comunque e così via. Diventa, vista la relazione di amicizia, un elemento di discussione. Voglio capire se lei ricorda qualcosa in più o se ha soltanto...
MASSIMO ALBERIZZI. Le due cose non sono in contraddizione. Il fatto di dire che si tratta di un servizio difficile, che si è stanchi... Io sono in Africa dal 14 marzo e questa sera sarei dovuto partire a mezzanotte per Nairobi (invece partirò alle 6 di domattina) e sono tornato quattro o cinque giorni fa. Sono stato in Darfur a dormire per terra, e domani riparto; non ho molta voglia di andare, francamente, perché sono stanco, ma questa è l'occasione della mia vita. Non è una contraddizione in termini: io sono il giornalista italiano... Scusate se parlo di me, ma voglio farvi capire come funziona il mondo del giornalismo: una cosa è dire, dovendo andare ad intervistare il Papa, che ho 40 di febbre e non ci vado, un'altra cosa è farlo. No, corro.
ELETTRA DEIANA. Sì, dottor Alberizzi, questo lo capisco bene.
MASSIMO ALBERIZZI. È chiaro che era l'occasione della sua vita; si trattava di un grosso servizio che sarebbe andato in prima pagina in apertura del TG3 per cinque o sei giorni. In questo senso non è contraddittorio. Anche se è un po' pericoloso, si va sicuramente. Non abbiamo neanche discusso sul fatto di non andare. Io le avrei detto di andare immediatamente. Come, non ci vai? Mi ha detto che Calvi non andava, che avrebbe trovato un altro, che non sapeva se sarebbe stato simpatico o meno, però che ci sarebbe andata, anche se fosse stato antipatico. Lei non conosceva Miran... Anzi, non sapeva ancora chi sarebbe andato. Questo non va visto in contraddizione con altri colloqui; è chiaro che poi si lavora con passione e quindi i servizi si fanno tutti, se questo mestiere piace. Però ogni tanto si fa fatica.
ELETTRA DEIANA. È la psicologia del giornalista. È chiaro, sono cose abbastanza note.
Il problema è che dalla sua ricostruzione di tutta la vicenda relativa all'ultimo viaggio, perlomeno nella ricostruzione precedente, emergeva una casualità sia del viaggio sia degli spostamenti interni sia della materia trattata.
Vorrei chiarire un altro punto. Sulla sparatoria lei prima ha detto giustamente che è importante. Sulla base delle note che sono state predisposte, l'autista Ali in tribunale nel 1997 e nel 1999 ha riportato una testimonianza diversa sull'inizio della sparatoria, su chi sia stato il primo a sparare. Nel 1997 ha detto che la prima a sparare è stata la scorta e poi nel corso del confronto con lei in tribunale ha dichiarato invece che prima della scorta hanno sparato due assalitori, che l'uomo della scorta era scappato perché era stato ferito e, quindi, i due assalitori avevano sparato per primi.
Ovviamente, sarebbe abbastanza importante appurare la dinamica della sparatoria non solo per capire tale dinamica in sé, ma anche le ragioni. Lei dice di non ricordarlo.
MASSIMO ALBERIZZI. Ali non lo ricorda, non io.
MASSIMO ALBERIZZI. Io non c'ero.
ELETTRA DEIANA. Non lo ricorda Ali, ma lei non ha cercato di indagare?
MASSIMO ALBERIZZI. A Mogadiscio, sul campo?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, ho cercato di indagare anche su questo. Ho cercato di indagare sulla macchina, sulla Land Rover, di capire di chi fosse. L'ho cercata più volte, mi hanno indicato un garage, ho cercato di andarci, poi è stata cambiata e ormai non c'è più. Anche l'ultima volta che sono andato, il 20 marzo scorso, ho cercato sempre di indagare, di trovare questa macchina.
Non si riesce. Anche il nome che mi fece Abdi - che prima il presidente ha citato e che in questo momento non ricordo - è sparito, nel senso che quel nome non dice più niente a nessuno. L'ambiente di Mogadiscio è troppo pericoloso per
parlare con un giornalista o per denunciare una cosa del genere. Si finisce immediatamente morti ammazzati.
È stato veramente impossibile. Avevo individuato questo garage e poi non sono riuscito ad andarci, non lo hanno più trovato, dicevano di non trovarlo. Passavamo davanti, su questa strada - ricordo - poi non si trovava più questo garage, questo cortile dove doveva essere ricoverata questa macchina. Più volte, ogni volta che sono andato ho cercato questa macchina, anche l'ultima volta.
Vorrei però puntualizzare che la casualità non riguarda il primo viaggio. Non aveva voglia di andare in Somalia, ma ci è andata e non è stato causale, ha approfondito, abbiamo parlato: tu sei appena arrivato, che cosa succede?
La casualità, secondo me, riguarda il viaggio che doveva essere a Chisimaio mentre poi va a Bosaso. Poteva scegliere perché c'erano altri voli su Baidoa, abbiamo parlato di questo e ricordo che lei disse proprio: voglio vedere un posto che non è stato toccato dall'ONU. La sua scelta è secondaria: ha scelto apposta Bosaso, perché poteva scegliere tra quattro o cinque destinazioni ed ha scelto Bosaso, ma quello che lei voleva fare era andare a Chisimaio, perché anche lì i belgi erano stati accusati, ancora a dicembre e, quindi, parecchio tempo prima, di violazione dei diritti umani e questo era un aspetto interessante, poiché a lei interessava la violazione dei diritti umani.
ELETTRA DEIANA. Quali erano i documenti che lei ha lasciato a Mogadiscio?
MASSIMO ALBERIZZI. Un'inchiesta giudiziaria sulla malacooperazione.
ELETTRA DEIANA. Chi glieli aveva dati?
MASSIMO ALBERIZZI. A questo proposito devo apporre il segreto professionale.
ELETTRA DEIANA. Perché li ha lasciati a Mogadiscio?
MASSIMO ALBERIZZI. Perché era un pacco di documenti alto così.
ELETTRA DEIANA. Ma erano preziosi per lei.
MASSIMO ALBERIZZI. Qualcosa era prezioso, ma altre cose - il presidente Taormina mi può venire incontro - erano gli atti dei processi.
ELETTRA DEIANA. Lei se li era portati dall'Italia?
MASSIMO ALBERIZZI. Sì, li avevo portati dall'Italia e nel dicembre del 1993 li avevo lasciati.
ELETTRA DEIANA. Sono andati persi?
MASSIMO ALBERIZZI. Potrebbero essere ancora a casa di Starlin, però io ne ho perso le tracce, non li ho più cercati. Sono andato più volte e non li ho più cercati, anche perché mi pare che l'inchiesta sia stata archiviata. Avevo parlato di questo alla commissione Gallo.
PRESIDENTE. Comunque, si potrebbe fare qualcosa per recuperare questi documenti, perché potrebbe darsi che vi sia qualcosa di nostro interesse. Non so se lei abbia occasione di tornare in Somalia.
MASSIMO ALBERIZZI. Ho occasione di tornare a Mogadiscio o posso anche telefonare. Adesso i telefoni ci sono.
PRESIDENTE. Le chiedo di farci questa cortesia.
Rispondendo all'onorevole Deiana, a proposito della non contraddizione tra la frase «l'occasione della mia vita» e la mancata volontà o la svogliatezza, per così dire, rispetto al viaggio in Somalia, lei ha detto che di fronte al grosso servizio, che sarebbe andato in onda nella prima pagina del TG3, qualunque giornalista si sarebbe comunque mosso.
Di quale grosso servizio si trattava?
MASSIMO ALBERIZZI. Il servizio sul ritiro delle truppe dell'ONU, e degli italiani in particolare.
PRESIDENTE. Ma questo non è un grosso servizio.
MASSIMO ALBERIZZI. Come no? Lo hanno coperto tutti.
PRESIDENTE. Lo hanno coperto, ma tre giorni di prima pagina sul TG3 per il ritorno del contingente, che poi è solo una cerimonia di partenza ...
Le dico questo perché dalle testimonianze che abbiamo raccolto avevamo capito che ad Ilaria Alpi - scusi la franchezza - del contingente italiano non interessava molto. Avevo colto in questa sua affermazione - «di fronte al grosso servizio» - forse il segno di un ricordo migliore da parte sua della ragione per la quale Ilaria Alpi era andata in Somalia, nonostante non ci volesse andare, perché appunto aveva davanti a sé una bella prospettiva professionale.
MASSIMO ALBERIZZI. Il mio errore è aver detto che tutti ci sarebbero andati. Questo non è vero, perché magari chi è già arrivato alla posizione di inviato può permettersi ... Il grosso servizio è quello che sarebbe andato in prima pagina e l'occasione era il ritiro dei soldati.
PRESIDENTE. Lei ha detto di aver parlato con il suo autista Ali anche dopo le dichiarazioni che aveva reso all'autorità giudiziaria e prima del confronto, quando da parte del suo stesso autista era stato detto, come è stato ricordato anche dall'onorevole Deiana, che egli aveva riconosciuto in Hassan l'autista.
Quando ha parlato con Ali, prima del confronto al processo di Hassan, non gli ha contestato che a lei - Alberizzi - in due circostanze precedenti, a distanza di un anno una dall'altra, aveva detto che non conosceva nessuno degli assalitori?
MASSIMO ALBERIZZI. Lui non conosceva nessuno degli assalitori, infatti dopo l'ha riconosciuto. Io l'ho interpretato in questo modo. «Conosci qualche assalitore?» ...
PRESIDENTE. Siccome per due volte le ha detto che non conosceva gli assalitori e invece poi in Hassan riconosceva l'assalitore, quando vi siete incontrati in tribunale prima del confronto, lei gli ha contestato: perché stai dicendo cose che a me non hai mai detto, hai detto al tribunale che lo conosci e a me hai detto per due volte che non hai mai conosciuto nessuno?
MASSIMO ALBERIZZI. Non l'ho contestato, ma ho cercato di chiarire questa cosa. Gli ho chiesto: «Ma tu sei sicuro di aver riconosciuto questo signore come facente parte del commando?». E lui mi ha detto: «Sì, l'ho riconosciuto». Non gli ho detto che prima non conosceva nessuno e dopo lo riconosceva.
PRESIDENTE. Ha negato per due volte.
MASSIMO ALBERIZZI. Prima gli ho chiesto se lo conosceva. Un conto è conoscere: c'è stato un attacco, lo conosci, sai chi può essere stato ... È un discorso più complicato.
Avrei avuto interesse anch'io a capire, dopo aver fatto lì delle ricerche non molto semplici.
PRESIDENTE. Dottor Alberizzi, la ringrazio e dichiaro concluso l'esame testimoniale.
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