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Seduta del 14/7/2004


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Esame testimoniale di Martino Farneti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame testimoniale del dottor Martino Farneti, che è sentito con le forme della testimonianza. Prego il teste di dare le proprie generalità.

MARTINO FARNETI. Mi chiamo Martino Farneti e sono nato a Predappio, in provincia di Forlì, il 23 febbraio 1953. Sono vice questore della Polizia di Stato ed ero direttore della sezione balistica al momento della perizia su Ilaria Alpi.

PRESIDENTE. Attualmente, cosa fa?

MARTINO FARNETI. Attualmente, sono in forza alla scuola allievi e agenti della Polizia di Stato di Casal Lombroso.


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PRESIDENTE. Ci dica di cosa si è interessato, con riferimento a questa vicenda. Mi pare che lei sia entrato in servizio - per quanto riguarda la vicenda di Ilaria Alpi - nel 1996.

MARTINO FARNETI. No, ho iniziato il primo accertamento con l'incarico che mi diede il dottor De Gasperis il 28 maggio 1994. Ne furono oggetto i primi reperti subito dopo il triste evento.

PRESIDENTE. Cioè, dopo tre mesi.

MARTINO FARNETI. Sì, a tre mesi dalla morte. Il primo corpo di reato che mi fu consegnato fu il proiettile trovato nel corpo di Ilaria Alpi a seguito del primo intervento di esame autoptico: era costituito da un nucleo in piombo deformato, prelevato dall'esame autoptico.
Il pezzo di piombo misurava 9 millimetri di altezza e 8 millimetri di diametro nella parte non danneggiata. Successivamente, nel mese di giugno, mi fu consegnata anche una busta nella quale si diceva che si trattava di un proiettile trovato sullo schienale del sedile posteriore, dove era seduta la giornalista. Questa porzione di proiettile, che possiamo visionare dalle fotografie numero 11, 12...

PRESIDENTE. Un attimo, mi spieghi bene. Al primo contatto con l'autorità giudiziaria, nel maggio 1994, le viene consegnato il proiettile ritenuto.

MARTINO FARNETI. Sì, il proiettile ritenuto, che era stato trovato a seguito del primo esame autoptico, fatto nel 1994.

PRESIDENTE. Nel marzo del 1994?

MARTINO FARNETI. Sì, nel marzo 1994. Successivamente, circa un mese dopo, cioè nel mese di giugno, mi viene consegnata una busta completata con un cartoncino di colore giallo, accompagnata da una lettera firmata dal giornalista Vittorio Lenzi. Questi era il giornalista della radiotelevisione della Svizzera italiana. Nella sua lettera era scritto: «Nel giorno dell'attentato, sullo schienale del sedile posteriore» - praticamente dove era seduta Ilaria Alpi - «un proiettile ritenuto», eccetera. Si trattava di una porzione di camiciatura di un proiettile in acciaio decarburato, rivestito di tombacco, cioè il materiale tipico utilizzato per i proiettili 7,62 per 39; era una camiciatura frantumata a causa dell'impatto balistico e misurava 7,64 millimetri di diametro. Sullo stesso vi erano dei solchi di rigatura, precisamente quattro solchi: questo vuol dire che nella parte cilindrica del proiettile vi erano le caratteristiche di classe d'arma, ovvero indicavano quale arma aveva sparato.

PRESIDENTE. E cioè?

MARTINO FARNETI. Nella fattispecie, come è risultato dagli accertamenti effettuati, un Kalashnikov AK-47. Stiamo parlando del proiettile trovato dal giornalista.
Ritorniamo, adesso, al proiettile trovato nell'ambito del nostro esame autoptico. Era un nucleo di piombo. Cosa vuol dire? Il nucleo di piombo è quella parte pesante che si trova all'interno del proiettile. Il proiettile è costituito - lo dico per chi non è esperto della materia - dalla parte superiore della cartuccia, rivestita di una parte metallica, e all'interno si trova del piombo, per poterlo appesantire e quindi proiettarlo il più lontano possibile attraverso la canna al momento dello sparo.
Vi sono diversi tipi di proiettile del calibro 7,62x39 (quello, cioè, identificato): alcuni proiettili all'interno hanno il piombo, altri - del modello perforante - hanno un cilindro in tungsteno inglobato all'interno del piombo. Quindi, all'esterno vi è la camiciatura, poi il piombo (all'interno) e, all'interno del piombo, un altro cilindro, in tungsteno, per perforare elementi di grande resistenza (lamiere, pezzi di ferro, vetri).
Questo proiettile presenta caratteristiche particolari: viaggia nell'ordine di 600-700 metri al secondo - è proprio la caratteristica di questa cartuccia - per cui, se viene sparato a brevissima distanza (tre, quattro, cinque metri al massimo), si


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frantuma al momento dell'impatto e alcuni elementi, fra i quali il piombo (che è la parte interna), continuano nella loro traiettoria mentre la camiciatura - che si apre a forma di fungo - può essere trattenuta, essendo molto leggera, da corpi interposti.
Nel nostro caso, entrando nel sedile della macchina, il piombo va oltre, mentre la camiciatura - che ha una superficie più larga - trova resistenza e, quindi, può darsi che si fermi. Invece, il proiettile in tungsteno - ovvero, la parte più interna - va tranquillamente oltre, in quanto ha una velocità tutta sua.

PRESIDENTE. Invece, il nostro proiettile non è in tungsteno.

MARTINO FARNETI. Quello in tungsteno lo abbiamo all'interno della scatola cranica di Miran Hrovatin: lì è stato trovato proprio questo cilindro, caratteristico della cartuccia 7,62x39.

PRESIDENTE. Questo fatto che cosa l'ha portata a dire, dal punto di vista della comparazione tra i due proiettili?

MARTINO FARNETI. Che i due proiettili sono diversi e dello stesso calibro, verosimilmente.

PRESIDENTE. Questo può significare due armi diverse?

MARTINO FARNETI. Non vi è una camiciatura. Vi è solo la camiciatura di un proiettile, quello trovato dal giornalista sul sedile posteriore dell'auto.

PRESIDENTE. Quindi, potrebbero essere due proiettili sparati dalla stessa arma?

MARTINO FARNETI. Sì. Noi dobbiamo fare riferimento, purtroppo, alle caratteristiche morfologiche. Per identificare un proiettile vi devono essere due elementi fondamentali: innanzitutto, le caratteristiche della classe d'arma presenti sulla parte cilindrica del proiettile, la larghezza del solco prodotto dalla rigatura e l'interspazio fra un solco di rigatura e l'altro (ogni canna ha una rigatura; il kalashnikov ne ha quattro)...

PRESIDENTE. Tutto questo è con riferimento al suo primo intervento. Stiamo sempre parlando del suo primo intervento, vero?

MARTINO FARNETI. Sì.

PRESIDENTE. Poi, nel 1996, lei ha fatto un secondo intervento, insieme ad altri colleghi, tra cui il professor Sacchetti e la dottoressa Liviero.

MARTINO FARNETI. Esatto.

PRESIDENTE. Ha fatto altre indagini? Durante il processo, lei è tornato ulteriormente sulla vicenda, naturalmente dal punto di vista tecnico?

MARTINO FARNETI. Sì, perché ho dovuto sempre controllare tutti gli elementi - come background -, in quanto sono elementi che vanno a sommarsi l'uno all'altro al fine di prendere una decisione ponderata su quel che potesse essere accaduto.

PRESIDENTE. Sempre come consulente del pubblico ministero?

MARTINO FARNETI. Sì, sempre come consulente del pubblico ministero.

PRESIDENTE. E ha partecipato anche alle perizie disposte dalla corte d'assise di primo grado, in qualità di consulente del pubblico ministero?

MARTINO FARNETI. Come consulente, ho partecipato alla perizia relativa all'esame autoptico eseguito il 4 maggio 1996, la riesumazione.

PRESIDENTE. Anche quella era disposta dal pubblico ministero. Durante il


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dibattimento, come lei saprà, è stata disposta un'altra perizia, la cosiddetta super perizia.

MARTINO FARNETI. Non vi ho partecipato.

PRESIDENTE. Nemmeno come consulente del pubblico ministero?

MARTINO FARNETI. Non mi ricordo.

PRESIDENTE. Va bene, andiamo avanti. Torniamo al calibro e alle caratteristiche dei proiettili. Parliamo prima del proiettile che ha colpito Ilaria Alpi, poi parleremo di quello che ha colpito Miran Hrovatin.

MARTINO FARNETI. Per quanto riguarda Ilaria Alpi, abbiamo - come elemento trovato all'interno dell'esame autoptico - questo nucleo di piombo. Su questo nucleo di piombo si osserva che non vi sono principi di rigatura presenti sulla parte cilindrica rimasta intatta rispetto alla parte apicale, la quale invece si è deformata nel momento dell'impatto.
È come se avessimo davanti un fungo: vediamo nella parte apicale un agglomerato di piombo, poi abbiamo la parte cilindrica che, come si vede dalle fotografie, è rimasta intatta. Se fosse stato un proiettile in piombo, quindi senza camiciatura, sullo stesso sarebbero rimasti dei solchi di rigatura dovuti al principio di rigatura dell'interno della canna. Questi, però, non ci sono. Cosa vuol dire? Vuol dire che è un nucleo, è parte di un proiettile. Tra l'altro, non ci siamo neanche con il peso, perché siamo vicini ai 7,9 grammi per il proiettile intero, mentre qui siamo a poco sopra i 3 grammi.

PRESIDENTE. Nel cranio di Ilaria Alpi avete trovato anche frammenti di metallo?

MARTINO FARNETI. Nel cranio di Ilaria Alpi trovammo un pezzo di ferro contorto. Feci dei confronti per stabilire se fosse una camiciatura del proiettile e se sullo stesso vi fossero dei solchi di rigatura lasciati dalla canna. No, su di esso non c'era alcuna traccia che potesse riferirlo ad una camiciatura di proiettile. Addirittura, era leggermente più spesso rispetto ad una camiciatura di proiettile; infatti, nelle mie conclusioni giunsi a dire che era un pezzo di lamiera. Perché? Perché il proiettile aveva senz'altro impattato, prima di colpire Ilaria Alpi, qualcosa.

PRESIDENTE. Ci spieghi bene, per favore.

MARTINO FARNETI. Il proiettile, quando colpisce un elemento resistente - un vetro o un pezzo di ferro - perde la camiciatura, perché a brevissima distanza va a una velocità maggiore.

PRESIDENTE. Parliamo del proiettile che ha colpito Ilaria?

MARTINO FARNETI. Certo. Prima di colpire Ilaria, ha colpito qualcos'altro.

PRESIDENTE. Sta parlando del tetto della vettura?

MARTINO FARNETI. Io ipotizzo il tetto.

PRESIDENTE. E che elementi ha? Il colpo sarebbe stato sparato in modo tale da perforare il tetto e, quindi, colpire Ilaria.

MARTINO FARNETI. Sì, però non il tetto in generale, ma una parte del tetto dove senz'altro vi era un montante oppure qualcosa di spesso, come due lamiere, una dopo l'altra. Infatti, se si spacca la camiciatura - e i proiettili calibro 7,62 per 39 sono tutti camiciati - e preleva un pezzo di ferro, vuol dire che ha già avuto un impatto iniziale e che si è spaccata la camiciatura, si è deformato, poi ha prelevato - diminuendo di velocità - un pezzo di ferro ed è andato a conficcarsi sulla parte della scatola cranica...

PRESIDENTE. Mi scusi, seguiamo un attimo questa sua ricostruzione. Laddove


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ci fosse stato un impatto con quella parte del tetto - quindi, il proiettile avrebbe attraversato il tetto e raggiunto il cranio di Ilaria Alpi -, quale sarebbe stata la direzione possibile del colpo sparato?

MARTINO FARNETI. Dall'alto verso il basso.

PRESIDENTE. Molto alto.

MARTINO FARNETI. Sì, molto alto. Potrebbe essere una persona posizionata su un mezzo affiancato. Nelle fotografie relative al fuoristrada, si vedono dei fori: uno sul cofano, un altro in alto - stimo che sia questo -, poi vi sono stati altri colpi con una dinamica completamente diversa. In questo punto il proiettile entra tranquillamente per intero, non si può frantumare, in quanto la lamiera non lo spacca. Se trova, ad esempio, uno scatolato, allora è possibile quel tipo di frantumazione.

PRESIDENTE. E la collocazione dello sparatore dov'è? È laterale o davanti?

MARTINO FARNETI. È leggermente in alto, sul davanti. Un mezzo che si è affiancato può aver sparato.

PRESIDENTE. Quindi, lei ritiene che l'aggressore abbia sparato stando davanti all'automobile e che, per la sua posizione più in alto, il proiettile abbia traforato lo scatolato del tettuccio e raggiunto il cranio di Ilaria. Qual è l'elemento di generica in base al quale possiamo dare consistenza a questa sua ricostruzione? Le dico subito che finora nessuno ha consegnato una conclusione definitiva, solida; lo stesso professor Pascali, che sta per depositare la propria consulenza alla Commissione, non si sente di dire da dove sia stato sparato il colpo; propende per l'ipotesi dell'esplosione del colpo dalla parte anteriore dell'auto, ma il riferimento da lei fatto al tramite del tettuccio, per lo meno allo stato degli atti, non risulterebbe confortato. Dunque, qual è l'elemento che la fa propendere per questa conclusione, che è per noi di grande interesse?

MARTINO FARNETI. Se il proiettile fosse stato sparato attraverso il vetro, si sarebbe trovato soltanto il piombo e non avrebbe trascinato con sé un pezzo di ferro: questo è il primo elemento.

PRESIDENTE. Il pezzo di ferro, quindi, sarebbe l'esito del transito sullo scatolato?

MARTINO FARNETI. Sì, l'esito del tramite sullo scatolato. Veniamo al secondo elemento importante, da prendere in considerazione. Se il vetro è già tutto rotto e se a colpire Ilaria Alpi è un proiettile normale, così come esce dalla canna, le entrerebbe in testa e attraverserebbe, quanto meno, tutto il corpo, perché ha una velocità talmente elevata...

PRESIDENTE. Nonostante la distanza?

MARTINO FARNETI. Sì, a quella distanza ha una velocità di oltre 600 metri al secondo; è uno fra i più potenti proiettili in circolazione, tant'è che viene utilizzato per spaccare i vetri dei furgoni blindati: dopo tre colpi di 7,62 per 39 su un vetro blindato, al quarto colpo il proiettile entra dentro. Si pensi che i fori sui vetri antiproiettile sono da 8 centimetri: li ho provati io, su un camion blindato. Sono proiettili potentissimi!
Vi è un altro elemento: non può essere un proiettile sparato da una pistola perché in tal caso sarebbe stato completamente camiciato. Innanzitutto, non sarebbe stato sparato con questa traiettoria, ma comunque non avrebbe spaccato la camiciatura, perché l'osso in quel punto è talmente morbido per cui, anche se lo spessore è di 8 millimetri, non spaccherebbe mai la camiciatura.
Quindi, quel pezzo di ferro è stato trascinato da un proiettile che non aveva più una grossa velocità ma che comunque ha preso con sé, nel suo percorso, questo elemento caratterizzante e di differenziazione rispetto ad altre tipologie di sparo.


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PRESIDENTE. Con questo tipo di ricostruzione, siamo lontani mille miglia dalla possibilità di ipotizzare l'esplosione di un colpo a contatto, almeno per quello che riguarda Ilaria Alpi (poi parleremo di Miran Hrovatin).
Conosciamo la sua esperienza e la sua maestria, quindi le chiedo: come è stato possibile che invece, una mera ispezione cadaverica si sia conclusa nel 1994 (l'epoca in cui anche lei, prima a maggio e poi a giugno, prende in considerazione dal punto di vista balistico questa situazione). Come è possibile che i dottor Sacchetti non abbia formulato l'ipotesi, bensì abbia espresso una certezza assoluta, tanto che il dottor De Gasperis, che era il pubblico ministero incaricato dell'inchiesta, soprassedette persino all'autopsia?

MARTINO FARNETI. Veramente sono stato io a richiedere l'esame autoptico.

PRESIDENTE. Lei ha tanta esperienza quanta ne ho io, e sa perfettamente che persino a un cane che muore in mezzo alla strada si fa l'autopsia.

MARTINO FARNETI. Certo.

PRESIDENTE. Allora, come è stato possibile? Anche nella seconda consulenza tecnica che avete eseguito nel 1996 (quando finalmente fu fatta l'autopsia) vi era il dottor Sacchetti. A lei faccio la stessa domanda che ho fatto alla dottoressa Liviero: vi siete confrontati su questa cosa? Prima di tutto mi deve dire la sua opinione, se, s'intende, me la vuole dire. Cioè, come è possibile un fraintendimento di questa portata?

MARTINO FARNETI. Non si può ipotizzare uno sparo a contatto perché un proiettile sparato a contatto, camiciato, rimane camiciato. Invece, noi abbiamo un pezzo di ferro, come ho specificato prima. Bisogna giustificare questo elemento in qualche maniera. Né può darsi il caso che vi sia uno sparo a contatto. Innanzitutto, sparando a contatto, la velocità del proiettile è bassissima, e quindi non ci sono elementi per far sì che questa camiciatura si spacchi. Ho esaminato l'altro giorno un caso di omicidio con una pistola 7,65, sparato ad una persona a brevissima distanza proprio sulla scatola cranica. Il proiettile era perfetto. Soltanto nella parte apicale del proiettile della Browning 7,65, che è il diametro del nucleo di piombo si vedeva appena appena una microincisione, perché la forza non era più di 260 o 300 metri al secondo, ma era di 100-120 metri al secondo. Infatti, il proiettile raggiunge la sua massima velocità a un metro dal vivo di volata della canna. Al di sotto del vivo di volata della canna ha una velocità bassissima, perché non riesce ad assumere quella velocità per poter avere quella forza dirompente. C'è un altro elemento a contatto. Quando si spara a contatto, sotto la cute c'è l'osso. Fra l'osso e la cute si crea una camera di compressione e decompressione che frantuma la nostra epidermide con una forma stellare. In più, se il colpo è proprio a contatto, e la cartuccia non è nuova, c'è addirittura un alone nero.

PRESIDENTE. Il famoso orletto.

MARTINO FARNETI. Sì, il famoso orletto, che è molto marcato. Addirittura a volte si trova l'impronta della guida a molla della pistola. Se si spara a un centimetro la guida a molla non si vede più, e si vede soltanto un tatuaggio della parte della polvere da sparo che, ancora in fase di combustione, va a colpire l'epidermide. Ciò detto, ritengo che non si ritrovino questi elementi nell'analisi del caso di Ilaria Alpi.

PRESIDENTE. Ma, allora, come è stato possibile commettere questo errore nella diagnosi?

MARTINO FARNETI. Purtroppo, nella nostra vita non ci sono libri che spiegano queste cose. Si deve partire da un discorso di esperienza diretta sulle ferite di arma da fuoco.

PRESIDENTE. La ferita che lei ha osservato sul cranio di Ilaria Alpi era agevolmente, anzi sicuramente, interpretabile come colpo a contatto?


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MARTINO FARNETI. Ho visto il corpo il 4 maggio, cioè un anno dopo. Io dico sempre che bisognerebbe fare in modo che agli esami autoptici, cioè al momento del fatto, sia sempre presente un balistico.

PRESIDENTE. Un anno dopo?

MARTINO FARNETI. Io l'ho visto un anno dopo, il 4 maggio, quando il corpo è stato riesumato.

PRESIDENTE. Già, lei aveva visto il proiettile.

MARTINO FARNETI. Non ho visto il corpo di Ilaria Alpi il giorno in cui è stato fatto il primo esame autoptico. Non ho visto il foro sul cranio il giorno del primo esame.

PRESIDENTE. Lei, però, nel maggio 1994, e poi nel giugno 1994 si è interessato di questi reperti balistici su cui ha poi soffermato la sua attenzione. Lei sapeva che il dottor Sacchetti aveva diagnosticato un colpo a contatto?

MARTINO FARNETI. Sì, me ne sono accorto in corte d'assise.

PRESIDENTE. Nel maggio del 1994, lei sapeva che era stato diagnosticato un colpo a contatto?

MARTINO FARNETI. Sì, e infatti sono stato sempre contrario a quello che diceva il dottor Sacchetti, proprio per questi elementi. Io non ho sposato la causa del dottor Sacchetti.

PRESIDENTE. Lo so.
Dunque, il 20 marzo 1994, il dottor Sacchetti fa quella diagnosi. Lei, tra il maggio e il giugno 1994 si interessa della questione balistica. Lei sa che c'è il referto di Sacchetti da cui risulta quella conclusione. Lei adesso mi dice che non era d'accordo. Ma lei, avendo questo reperto (la parte di proiettile ritenuta) che era la dimostrazione del fatto che non potesse essere un colpo a contatto (non fosse altro perché si trattava di un proiettile ritenuto, che invece non sarebbe stato ritenuto laddove fosse stato a contatto), ha contestato questa cosa al dottor Sacchetti? Se sì, che cosa le ha risposto? Che cosa ha capito?
Il risultato del 20 marzo 1994, e tutto quello che è successo dopo, continua sempre a sorprenderci.

MARTINO FARNETI. Ho detto che per me c'era un errore di valutazione. Non gli ho detto: guarda che hai completamente sbagliato. Invece, ho cercato di proporgli le mie teorie sull'esperienza dicendogli: guarda che per me c'è un errore. Non potevo obbligarlo a cambiare la sua ipotesi. Mi ricordo che in corte d'assise - i verbali dovrebbero riportarlo - egli sposò una tesi che il foro non era stato provocato a contatto. Mi ricordo che ci fu una contestazione nel merito.

PRESIDENTE. Ha mai avuto la notizia o l'impressione che ci potesse essere stato non semplicemente un errore nella valutazione del dottor Sacchetti e che potesse esserci un indirizzo o qualche... Non è in grado di rispondere?

MARTINO FARNETI. Gli dissi soltanto che, secondo la mia esperienza, vi era un errore di base sulla questione dello sparo a bruciapelo. Gli dissi che c'era un pezzo di ferro, che non era una camiciatura, che vi era un nucleo di piombo diverso da quello di un proiettile e che vi era un nucleo di piombo con una forma non corrispondente.

PRESIDENTE. E alla fine di questa seconda consulenza tecnica, Sacchetti fu d'accordo con lei?

MARTINO FARNETI. Mi pare di sì, ma adesso non me lo ricordo. Mi sembra che ritornò un po' sulle mie tesi.

PRESIDENTE. Se non sbaglio, lei consegnò i risultati della consulenza tecnica, che iniziò tra il maggio e il giugno 1994, nel gennaio 1995.


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MARTINO FARNETI. Quella con la dottoressa Liviero?

PRESIDENTE. No, prima.

MARTINO FARNETI. Ne ho consegnata una nel giugno 1996 e una nel gennaio 1995. L'ho datata 16 gennaio, quindi nei primi mesi del 1995.

PRESIDENTE. Ha detto prima che lei personalmente ha suggerito di fare l'autopsia ad Ilaria Alpi.

MARTINO FARNETI. Sì, perché non c'erano radiografie.

PRESIDENTE. A chi l'ha suggerito?

MARTINO FARNETI. Adesso glielo dico, dopo aver controllato nelle carte.

PRESIDENTE. Allora, ce lo farà sapere successivamente.
Dunque da parte del dottor Sacchetti c'è stata un'adesione alla conclusione che insieme avete elaborato?

MARTINO FARNETI. Sì. Ricordo che fu in corte d'assise.

PRESIDENTE. Ma ci sarà stata anche prima, nel 1996, quando avete fatto l'autopsia!

MARTINO FARNETI. Sì, quando abbiamo fatto la perizia dell'esame autoptico.

PRESIDENTE. Comunque, lei ricorda di aver dato il suggerimento? A chi lo ha dato?

MARTINO FARNETI. Al dottor Pititto.

PRESIDENTE. Come è venuta fuori l'idea di dare il suggerimento di fare l'autopsia?

MARTINO FARNETI. Perché non c'erano le radiografie.

PRESIDENTE. Lei ha depositato la prima consulenza nel gennaio del 1995. Qual è stato lo spunto, la ragione per la quale lei ha pensato di dare questo suggerimento al magistrato?

MARTINO FARNETI. Perché abbiamo tenuto delle riunioni con il dottor Pititto, che aveva assunto la conduzione dell'inchiesta. Ne abbiamo discusso nel suo ufficio. Infatti, so che sono stati preparati dei rapporti per i quali sono stati chiamati i vari periti (io, Ugolini ed altri) in riferimento ai quali si discusse la problematica relativa allo stato di fatto dell'indagine. Mi ricordo che fu richiesta in quella occasione.

PRESIDENTE. Invece, con il dottor De Gasperis fece solo quell'accertamento del 1994?

MARTINO FARNETI. Sì, perché avevo soltanto quei due elementi: la parte della camiciatura prodotta da Lenzi e il proiettile repertato in sede di esame autoptico (il primo).

PRESIDENTE. Lei ha fatto rilievi sulla presenza di residui da sparo sul cranio e sulle mani di Ilaria in occasione dell'autopsia?

MARTINO FARNETI. No, io feci i prelievi. Non ero titolato a fare accertamenti. Quelli sulle mani furono fatti da altri. Il risultato non l'ho fornito io. Ricordo che io ho fatto il prelievo. Ricordo che nell'esame autoptico feci dei prelievi con dei tampon kit.

PRESIDENTE. A chi li ha consegnati?

MARTINO FARNETI. Al collega della polizia scientifica, dottor Mario D'Uffizi.


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PRESIDENTE. Ha conosciuto poi i risultati di questi tampon kit o no?

MARTINO FARNETI. No.

PRESIDENTE. Lei ha riscontrato la presenza di sabbia metallica sulle mani di Ilaria Alpi?

MARTINO FARNETI. Ricordo che c'erano dei frammenti metallici, perché quando furono fatte le radiografie si vedevano delle fluorescenze di pochi millimetri. Erano metalli, perché nelle radiografie apparivano come tali.

PRESIDENTE. Qual era l'origine di questa sabbia?

MARTINO FARNETI. Molto probabilmente si trattava della detersione del proiettile. Cioè, il proiettile, avendo ricevuto precedentemente un colpo, trascinava con sé, come fosse la scia di una meteora, delle particelle che, al momento dell'impatto con la cute, si sono polverizzate. Oppure, può essere accaduto addirittura che il proiettile avesse una rotazione nel momento in cui è entrato, proiettando tutt'intorno queste microparticelle. È già successo in altri fatti delittuosi che il proiettile, soprattutto a bassa velocità, distribuisca a bassa velocità, a 360 gradi, microparticelle di piombo, quando c'è il piombo. Quando è camiciato, tutto questo non avviene, ma quando c'è soltanto il piombo il proiettile ha sempre una rotazione sul suo proprio asse.

PRESIDENTE. Per quanto riguarda il proiettile che ha colpito Miran Hrovatin?

MARTINO FARNETI. È un calibro 7,62x39 perché è caratteristico il cilindro di tungsteno trovato all'interno della scatola cranica dal medico legale. Eccolo qui (mostra una fotografia). Questo è l'elemento che sta all'interno della cartuccia. È l'elemento di tungsteno che è stato trovato all'interno della scatola cranica di Hrovatin.

PRESIDENTE. Dunque, il proiettile è diverso.

MARTINO FARNETI. Uno è perforante e l'altro è normale.

PRESIDENTE. Possono provenire dalla stessa arma?

MARTINO FARNETI. Possono essere caricati nello stesso caricatore di munizioni.

PRESIDENTE. Prego, onorevole De Brasi.

RAFFAELLO DE BRASI. Lei ha parlato di questo riscontro, di questo corpo metallico. Mi chiedo: lei ha fatto un'ipotesi che abbia un riscontro rispetto alla traiettoria? Cioè, può essere stato un colpo di rimbalzo o di attraversamento, secondo lei?

MARTINO FARNETI. Penso che sia un colpo di attraversamento, perché se fosse stato di rimbalzo, il proiettile avrebbe dovuto presentare, sulla parte apicale, delle superfici piatte. Invece, in questo caso vi sono superfici concave, e quindi non ci sono elementi per dire che ha urtato contro qualcosa e poi sia rimbalzato.

PRESIDENTE. Di quale proiettile parliamo?

RAFFAELLO DE BRASI. Di quello che ha attinto Ilaria Alpi.
Quando abbiamo ascoltato il professor Pascali c'è stata fra di noi una discussione, perché anche il professor Pascali ha detto che essendo il proiettile molto consumato, usurato, prima di attingere Ilaria Alpi doveva avere colpito qualcos'altro. Però dalle copertine del sedile si capiva chiaramente che non aveva attraversato il sedile perché le copertine erano completamente intatte.


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MARTINO FARNETI. In quel caso, però, si sarebbero dovute trovare tracce di cotone indovate nel proiettile.

RAFFAELLO DE BRASI. Il professor Pascali, però, dice che sono state trovate delle fibre nel proiettile.

MARTINO FARNETI. Nel proiettile? Non so a quali fibre si sia fatto riferimento, perché ricordo che esso presentava all'interno delle fibre di tessuto muscolare essiccato (questo è ciò che dissi allora).

RAFFAELLO DE BRASI. L'ipotesi del professor Pascali era che vi fossero delle fibre aderenti.

MARTINO FARNETI. Ovviamente, questo proiettile è stato pulito, deterso. Una cosa di questo tipo potrebbe essere dovuta a inquinamento. Quando il proiettile è stato prelevato vi erano, come scrivo nella mia relazione «frammenti di tessuto muscolare essiccati».

RAFFAELLO DE BRASI. Quindi lei non le ha viste?

MARTINO FARNETI. Non mi ricordo di averle viste. Ci sono delle fibre di colore verde che confermano la mia tesi. Poiché ha bucato la vernice che era sopra può aver indovato frammenti di vernice, microparticelle. Ciò conferma il contatto con il pezzo di ferro che noi abbiamo poi trovato all'interno della scatola cranica, assieme al proiettile.

RAFFAELLO DE BRASI. Qualcuno ha esaminato (chiaramente lei no) questo pezzo che avete trovato?

MARTINO FARNETI. Si riferisce alla composizione di questo pezzo?

RAFFAELLO DE BRASI. Sì. A che cosa poteva essere attribuito?

MARTINO FARNETI. Secondo me, era la lamiera dell'autovettura. Infatti, la composizione della camiciatura era diversa. Era più sottile e aveva un'altra tipologia di conformazione. Anche lo strappo sarebbe stato diverso. Ci sono degli strappi particolari su questo angolo che è a doccia. Non è una parte di camiciatura, che è ben diversa come morfologia. Questa è una doccia e come tale è qualcosa che è arrivato, ha picchiato e ha strappato.

RAFFAELLO DE BRASI. E lo ha accompagnato fino...

MARTINO FARNETI. ...fino all'interno.

RAFFAELLO DE BRASI. Avrei un'altra domanda. Il presidente le ha chiesto come è stata possibile una discrasia, un divario così grande, fra la prima valutazione del dottor Sacchetti e le successive, fatte da lei e anche da altri. Vorrei ricordare che successivamente alle sue perizie c'è stata una cosiddetta superperizia, cioè un'altra perizia (nel 1997) in cui, di nuovo, si è parlato di un colpo ravvicinato con arma corta. La prima constatazione di Sacchetti era stata fatta senza esame balistico. L'ha fatta per conto suo. Ma dopo, ci sono state altre perizie che in qualche modo, parlavano se non di un colpo a contatto, di un colpo ravvicinato con arma corta. Le risulta questo?

MARTINO FARNETI. Sì, ho sentito più volte questo tipo di ipotesi, però dobbiamo ritornare al discorso di un proiettile sparato da un'arma corta a contatto o a brevissima distanza.
Se si fosse trattato di un normale proiettile di piombo non avrebbe potuto - lo dico in base alla mia esperienza di centinaia di migliaia di delitti - avere quella conformazione: doveva rimanere intatto o, quanto meno, leggermente deformato nella parte apicale; comunque, la parte cilindrica sarebbe dovuta rimanere intatta. Infatti, a quella velocità e con lo spessore osseo che ha perforato, non poteva avere una deformazione come quella che è agli atti.


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Era un proiettile camiciato? Perfetto, sarebbe rimasto intatto, se sparato da quella distanza. Qui non abbiamo una camiciatura, abbiamo un pezzo di lamiera, un pezzo di ferro - ritengo che sia la lamiera dell'autovettura -, il che non coincide, dal punto di vista tecnico balistico, con una ipotesi di sparo a breve distanza. Lo dico sulla base della mia esperienza di venti anni in cui mi sono occupato di balistica e di omicidi, a tutti i livelli.
Per quanto riguarda la ferita, voglio precisare che l'ho vista dopo che Ilaria Alpi era stata riesumata; non l'ho vista al momento del primo esame autoptico.
Senza una grande esperienza in materia di fori di proiettile, può accadere che ci si sbagli. Per fare un esempio, non più di un mese fa, è accaduto che dei medici legali abbiano diagnosticato una ferita di uscita di proiettile, quando invece si trattava di una ferita di entrata. Come mai? Perché morfologicamente le ferite hanno caratteristiche simili, ma la certezza la si ha qualora si va a sollevare la parte cutanea e ad esaminare il tavolato osseo sottostante, in quanto il foro di entrata ha una caratteristica di entrata perfettamente circolare - se il proiettile è normale - o altrimenti molto più larga, ma comunque con un'esplosione verso l'interno, a cratere aperto, delle particelle ossee. Invece, in fase di uscita dalla parte opposta, all'interno del tavolato osseo avremo un'esplosione dall'interno verso l'esterno, con la proiezione di microparticelle.
Quindi, facendo un esame di primo acchito, senza avere una grande esperienza in materia di fori di proiettile, può accadere che ci si sbagli. Come ho detto, è successo non più di un mese fa; sono intervenuto personalmente con il bisturi e ho accertato - avevamo anche altri elementi di conforto - che si trattava di una proiezione da destra verso sinistra; e non, invece, da sinistra verso destra, come era stato detto inizialmente.
In conclusione, ci può essere un errore, qualora si proceda ad un esame veloce e senza una esperienza eccezionale rispetto a questo tipo di fori di proiettile, soprattutto di fori cutanei.

RAFFAELLO DE BRASI. E, infatti, posso giustificare di più il dottor Sacchetti rispetto invece ad altri. Siccome le cose che lei sta dicendo mi sembrano evidenti, chiare e logiche, possibile che una logica così coerente, così forte e così ferma come quella che lei ci ha presentato, possa invece non essere stata colta dalla super perizia, che ha ribadito di nuovo che il colpo era stato sparato a distanza ravvicinata e da arma corta?
Allora, questo vuol dire che fra di voi - visto che si è anche parlato di un balletto di perizie - vi sono criteri di valutazione così diversi da portare a due valutazioni difformi. E questo è avvenuto anche dopo che i super periti hanno potuto esaminare tutte le risultanze balistiche. Se non sbaglio, infatti, nella super perizia era anche compresa una perizia balistica. È questo che mi stupisce veramente!

MARTINO FARNETI. Onorevole, forse l'avvocato Taormina ne sa un po' di più, soprattutto perché in Italia, purtroppo, l'attività balistica - o balistica medico-legale - non viene svolta a livello di grosse esperienze o con la previsione di esami cui sottoporre coloro che la esercitano.
Personalmente, ho iniziato nel 1982, con l'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, poi ho seguito tutto il maxi processo di Palermo e i casi della Uno bianca, di Ilaria Alpi e di Marta Russo. Attualmente, sto svolgendo perizie su omicidi e suicidi avvenuti nei dintorni e mi sto specializzando in particolare sulle ferite d'arma da fuoco. In più, sto raccogliendo una grossa biblioteca in materia. Tutto questo, però, lo faccio a titolo personale, non perché qualcuno mi obblighi a farlo. Ho fatto scuola, ho imparato a Scotland Yard e nell'FBI.
Dunque, l'esperienza insegna e se una persona non ha un certo background di esperienze rischia di prendere lucciole per lanterne!


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PRESIDENTE. Dottor Farneti, mi scusi se mi intrometto, ma l'onorevole De Brasi fa riferimento a quella che qualcuno ha esibito come la super perizia del processo Alpi. Lei sta dicendo, praticamente, che coloro che hanno fatto quella perizia, per la parte balistica - ma forse non solo per quella parte, visto che il dottor Sacchetti non è uno specialista in balistica, bensì un medico legale, punto e basta -, non fossero adeguatamente attrezzati, in termini di preparazione, per fare quel tipo di indagine.

MARTINO FARNETI. Non dico che non fossero attrezzati: non avevano alle spalle tanti fatti; non so chi siano queste persone, né li conosco per esperienza - nel nostro campo, più o meno ci conosciamo tutti. Quando parlo di background di esperienza in questo campo, intendo dire che l'esperienza si acquisisce facendo gli esami autoptici, le prove di sparo, le indagini sugli effetti causati dai proiettili sui vetri antiproiettile, sulle lamiere, e così via.
Ad esempio, per la consulenza sulla strage del Pilastro, a Bologna, ho dovuto fare una serie di accertamenti in quanto un proiettile - proveniente da una calibro 38 special - aveva una particolare conformazione, così come risultava dal cranio del carabiniere Moneta; non si riusciva a capire come mai un proiettile che aveva spaccato un vetro fosse ancora intatto; parliamo di una 357 magnum. Ebbene, ho fatto decine di esperienze in materia per capire a quale distanza veniva sparato quel tipo di proiettile e quale fosse l'effetto e ho verificato che si frantumava - rimaneva solo la camiciatura - e si fermava addirittura sull'epidermide.
Dunque, bisogna fare attività scientifica a monte, per poter fare questo tipo di esperienze. Per tornare al discorso che stavamo facendo, non so chi siano quelle persone, ma non so se abbiano una tale esperienza in materia.

PRESIDENTE. Dottor Farneti, le leggo i nomi dei componenti il collegio peritale; cominciamo con il dottor Giampaolo Cartoni.

MARTINO FARNETI. Come balistico, non lo conosco.

PRESIDENTE. Ingegner Augusto Di Gianfrancesco.

MARTINO FARNETI. Mai conosciuto, come balistico.

PRESIDENTE. Ingegner Mario D'Uffizi.

MARTINO FARNETI. Sì, lo conosco per quanto riguarda le analisi sui residui dello sparo, però non come balistico.

PRESIDENTE. Tenente colonnello Giovanni Lombardi.

MARTINO FARNETI. Sì, lo conosco.

PRESIDENTE. Lo conosco anch'io. Professor Giovanni Pierucci.

MARTINO FARNETI. Mai sentito nominare.

PRESIDENTE. Infine, il professor Giancarlo Umani Ronchi, che è medico legale.

MARTINO FARNETI. Sì, è medico legale.

PRESIDENTE. Quindi, praticamente in quel collegio, chi era il balista?

MARTINO FARNETI. L'unico balista è il colonnello Lombardi, che conosce un po' la materia.

PRESIDENTE. E il professor D'Uffizi, che analisi fa?

MARTINO FARNETI. Sui residui dello sparo, che è cosa completamente diversa; è un campo che riguarda la fisica.

PRESIDENTE. Insomma, praticamente il tecnico era il colonnello Lombardi.

MARTINO FARNETI. Esatto.


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PRESIDENTE. Gli altri, che lei sappia, non sono assolutamente nel novero dei balisti.

MARTINO FARNETI. No, assolutamente. Nel campo balistico, possiamo dire che siamo in cinque, titolati dalla Forensic Science Society, a livello internazionale: io, il professor Morin...

PRESIDENTE. Mi chiedo: una superperizia con un solo balista?

MARTINO FARNETI. Le posso dire che se ogni cinque anni non dimostro di essere in possesso dei requisiti per essere perito balistico, mi tolgono il diploma internazionale. Gli altri no. Ecco perché debbo lavorare un bel po'.

PRESIDENTE. Bene. Se non vi sono altre domande, concludiamo qui l'esame testimoniale. Professor Farneti, la ringraziamo molto: lei ci ha dato delle indicazioni importanti e, se ne avremo bisogno, chiederemo di nuovo il suo aiuto.
Ringrazio i colleghi intervenuti e dichiaro conclusa la seduta.

La seduta termina alle 23,10.

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