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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame testimoniale del dottor Remigio Benni, giornalista dell'ANSA, al quale faccio presente che è ascoltato con le forme della testimonianza e, quindi, con l'obbligo di dire la verità e di rispondere alle domande, salvo che non siano autoincriminanti, alle quali ha diritto di non rispondere, ma non mi pare che sia assolutamente questo il caso. Faccio questa comunicazione solo per dovere d'ufficio.
Ci può dare intanto le sue generalità?
REMIGIO BENNI. Remigio Benni, nato a Bari il 1o ottobre 1947, residente al Cairo, 86 El Nil street, Giza, Cairo.
PRESIDENTE. Quando ha conosciuto Ilaria Alpi?
REMIGIO BENNI. Collocare esattamente il primo incontro con Ilaria mi è difficile. Comunque, credo di averla incontrata in Somalia, se non ricordo male la prima volta a Mogadiscio, e deve essere stato nel 1993.
PRESIDENTE. Quindi, sicuramente l'anno prima della sua uccisione, non l'anno ancora precedente?
REMIGIO BENNI. Potrebbe essere.
PRESIDENTE. Comunque, in occasione di un viaggio in Somalia.
REMIGIO BENNI. Io sono stato in Somalia dal dicembre del 1992; anzi, vi ero stato anche prima, nell'ottobre del 1992, ma dal 7 dicembre 1992 fino al marzo 1995 sono stato lì, non dico ininterrottamente, ma sempre con brevi intervalli, andando e venendo da Nairobi, che era la mia sede di corrispondenza, ma con incarico di inviato in Somalia, per tutta la copertura del servizio dell'operazione Restore hope, alla quale partecipava un contingente di 2.500 soldati.
PRESIDENTE. Dopo l'uccisione di Ilaria Alpi lei è tornato in Somalia?
REMIGIO BENNI. Sì, sono tornato a distanza di qualche giorno con il collega Vladimiro Odinzoff de la Repubblica perché volevamo cercare proprio di capire le circostanze ...
PRESIDENTE. Poi ne parleremo. Nell'ultimo viaggio di Ilaria e di Miran Hrovatin lei incontrò Ilaria Alpi? Se sì, dove, in quale occasione? C'è stata una frequentazione?
REMIGIO BENNI. Io ricordo che Ilaria dovrebbe essere arrivata - i ricordi sono un po' vaghi - in Somalia, in quell'occasione, il lunedì, che doveva essere il 14 marzo; non ricordo bene, ma più o meno doveva essere quella data. Arrivò dall'Italia e credo che ci incontrammo brevemente. Non vorrei dire una sciocchezza, ma il ricordo di Ilaria per me era molto importante, perché avevamo stabilito un'amicizia con lei ed avevamo lavorato abbastanza spesso insieme nei periodi precedenti. Ad esempio, c'era stato un servizio all'ospedale di Johar: quando stavano per chiudere l'ospedale di Johar, eravamo andati insieme in elicottero.
PRESIDENTE. In epoca precedente?
REMIGIO BENNI. Sì, in epoca precedente. Era stato circa un mese prima.
PRESIDENTE. A noi però interessa discutere purtroppo, come lei sa, dell'ultimo viaggio.
REMIGIO BENNI. Non vorrei dire inesattezze, ma mi sembra che lei mi avesse portato delle caramelle di liquirizia che le avevo chiesto di portarmi, e quindi ci vedemmo prima che andasse a Bosaso. Per quello che ricordo io, lei doveva andare a Chisimaio; aveva chiesto una prenotazione per Chisimaio, ma poi il servizio delle Nazioni Unite di trasporto dei giornalisti e degli operatori umanitari era stato annullato. Era stato cancellato il volo per Chisimaio
per ragioni di sicurezza e, quindi, lei era andata a discutere lì in aeroporto ...
PRESIDENTE. In aeroporto dove, a Mogadiscio?
REMIGIO BENNI. Sì, a Mogadiscio.
PRESIDENTE. Per quello che lei ricorda, da Mogadiscio lei doveva andare a Chisimaio.
PRESIDENTE. Invece, per ragioni di sicurezza, il volo fu annullato.
PRESIDENTE. Ed allora andò a Bosaso.
REMIGIO BENNI. Lei chiese: dovunque sia, io vorrei andare a fare un servizio, perché qui a Mogadiscio in questo momento non mi sembra vi sia niente di importante.
REMIGIO BENNI. Chiese agli addetti ai servizi dei voli delle Nazioni Unite, quelli che organizzavano i voli delle Nazioni Unite. C'era un ufficio proprio presso l'aeroporto di Mogadiscio, che era il nostro interlocutore per l'organizzazione.
PRESIDENTE. Mi scusi, non è che fece scegliere agli altri di andare a Bosaso. Fu lei che voleva andare a Bosaso.
REMIGIO BENNI. Questo non so dirlo con precisione. Credo che lei disse: quello che mi potete dare. Che cosa c'è disponibile? C'è Bosaso? Va bene, prendo Bosaso.
PRESIDENTE. Questa è una sua ricostruzione oppure è basata su circostanze di fatto, su dichiarazioni?
REMIGIO BENNI. Non alle quali sono stato presente.
PRESIDENTE. Che qualcuno le ha riferito?
REMIGIO BENNI. Su dichiarazioni che mi hanno riferito e che, in particolare, mi ha riferito il nostro collaboratore che era in Somalia in quel tempo, che si chiama Ali Mussa ed era un giornalista somalo con il quale noi avevamo contatti.
PRESIDENTE. Le riferì che Ilaria fece questo tipo di discorso?
REMIGIO BENNI. Che fece questo tipo di discorso e addirittura che si alterò all'aeroporto perché non le davano un volo.
PRESIDENTE. Come lei ha detto, siamo al periodo precedente al viaggio a Bosaso. Prima che si verificasse questo fatto, cioè che invece di andare a Chisimaio andasse a Bosaso, lei aveva visto Ilaria o no?
REMIGIO BENNI. Io ricordo di sì.
REMIGIO BENNI. Certo. Credo di averla vista ...
PRESIDENTE. Rispetto al giorno di arrivo? Lei ha detto che sono arrivati lunedì 14.
REMIGIO BENNI. Credo di averla vista lunedì o martedì, anche perché c'era l'usanza tra di noi, quando arrivavamo a Mogadiscio, di metterci in contatto l'uno con l'altro, anche per una questione di sicurezza. Un po' ci informavamo su quali erano le ultime novità della situazione in loco; inoltre, conoscere i nostri movimenti era ...
PRESIDENTE. Da allora non l'ha più vista?
REMIGIO BENNI. No, perché lei è partita.
PRESIDENTE. Quindi, lei l'ha vista una volta sola?
REMIGIO BENNI. Credo di sì, per quello che mi ricordo, anche perché poi io il giovedì 17 partii con Vladimiro Odinzoff per Nairobi, perché era previsto che cominciasse un incontro di leader somali, che dovevano firmare uno dei soliti trattati.
PRESIDENTE. In quel periodo c'era anche Carmen Lasorella in Somalia?
REMIGIO BENNI. Non mi pare. Onestamente, mi pare di no.
PRESIDENTE. Conosce Marocchino?
PRESIDENTE. Ricorda se in quel periodo, in quella settimana vi fu data ospitalità, se fu data ad Ilaria?
REMIGIO BENNI. Ospitalità no. Forse una cena, può darsi che facemmo una cena.
PRESIDENTE. C'era anche Ilaria Alpi?
REMIGIO BENNI. Non glielo so dire; veramente non ricordo. Ricordo però che proprio in quel periodo Marocchino ci aveva avvertito che era in preparazione qualcosa a danno di italiani, perché da qualche parte si erano riuniti dei somali ed avevano deciso che dovevano recuperare dei soldi o altre cose.
PRESIDENTE. Ilaria le disse qualcosa dei suoi programmi, di quello che voleva fare?
REMIGIO BENNI. No. Onestamente, non c'era nessuna indicazione precisa, anche perché il 10 marzo i soldati italiani erano andati via, il contingente si era allontanato dalla sua base, che era nella ex ambasciata d'Italia a Mogadiscio, e, se non ricordo male, prima era andato in aeroporto e poi si era trasferito sulla nave.
PRESIDENTE. Quando lei si è incontrato con Ilaria, quanto tempo siete stati insieme? Un'ora, due ore, una giornata, mezza giornata? Di che cosa le ha parlato?
REMIGIO BENNI. Di solito parlavamo della situazione, degli avvenimenti sul territorio in quel momento e di cosa si prevedeva potesse succedere.
PRESIDENTE. Di Bosaso parlaste o no?
REMIGIO BENNI. No, non ricordo proprio.
PRESIDENTE. Quindi, lei del viaggio verso Bosaso da parte di Ilaria Alpi sa soltanto per effetto ...
REMIGIO BENNI. Di questo collaboratore. Non ero al corrente, tant'è vero che lo seppi dopo che era partita.
PRESIDENTE. Lei conosceva Bosaso?
REMIGIO BENNI. Sì, c'ero stato l'anno precedente con l'allora plenipotenziario inviato della Farnesina, Enrico Augelli.
PRESIDENTE. Lei ha detto che avete parlato di alcune situazioni. Quali situazioni avete preso in considerazione?
REMIGIO BENNI. Si parlò della pericolosità della situazione - in base ai miei ricordi, non posso essere preciso -, di questo incontro che si preparava, di questo ennesimo incontro che tutti ritenevamo non sarebbe stato particolarmente fruttuoso, ma si sperava desse qualche risultato. Si parlò appunto della partenza degli italiani e della sostituzione, credo, da parte di altre truppe che erano arrivate per rilevare i compiti di vigilanza e di sorveglianza sul territorio, della pericolosità comunque di muoversi a Mogadiscio,
sempre con scorte. Abbiamo fatto discorsi molto generici, ma non abbiamo parlato di nessuna circostanza specifica, che io ricordi.
PRESIDENTE. E di nessuna intenzione puntuale, esplicitata da Ilaria Alpi, per quello che è il suo ricordo?
REMIGIO BENNI. Assolutamente no. Quello che io ricordo - questo mi sembra che mi fu comunicato da Ilaria, ma non potrei giurarlo - è che volesse andare a Chisimaio, perché secondo lei Chisimaio poteva essere una fonte di notizie.
PRESIDENTE. Che tipo di notizie?
REMIGIO BENNI. Lì c'era una situazione in cui, pochi mesi prima, se non ricordo male, era stato ucciso un rappresentante della Croce rossa, mentre era seduto ad un caffè vicino Chisimaio, mentre sembrava tutto tranquillo, e c'era anche un movimento di vari gruppi, da quello capeggiato dal cosiddetto generale Morgan a quello del colonnello Omar Jess, che erano gruppi etnici diversi che continuavano a contendersi il territorio nella zona di Chisimaio.
PRESIDENTE. Lei a che titolo era interessata a questo tipo di problemi? Perché era un problema attuale oppure perché aveva delle specifiche ragioni di curiosità?
REMIGIO BENNI. Non so se avesse un motivo particolare per andare a Chisimaio.
PRESIDENTE. Non si andava per turismo a Chisimaio.
REMIGIO BENNI. Assolutamente no. In generale, i luoghi che sceglievamo per andare a fare i sopralluoghi erano quelli in cui ritenevamo potessero esserci interlocutori interessanti.
PRESIDENTE. A Bosaso si andava per turismo?
PRESIDENTE. A Chisimaio non si andava per turismo?
REMIGIO BENNI. Da nessuna parte si andava per turismo.
PRESIDENTE. Quindi, l'alternativa di Bosaso era ugualmente di interesse, dal punto di vista del giornalismo investigativo? Forse dico cose scorrette.
REMIGIO BENNI. Vorrei precisare un dato: il giornalismo investigativo è un termine che noi non abbiamo mai adoperato. È un'attività che si svolge, ma nel nostro gruppo ci occupavamo prevalentemente di seguire i dati di cronaca e, quindi, di riportare le attività dei vari contingenti e naturalmente, in particolare, di quello italiano.
Partito quello italiano, cercavamo di capire che cosa stesse succedendo e quali fossero gli sviluppi che potevano determinarsi sul territorio: analisi, registrazione di avvenimenti, però questo dato del giornalismo d'inchiesta onestamente non ha mai fatto parte in modo integrante della nostra attività né era un dato sul quale ci consultavamo.
PRESIDENTE. Probabilmente sono stato impreciso, anzi scorretto, come ho detto prima, però nell'immaginario collettivo andare a fare un servizio a Chisimaio o a Bosaso dove, come abbiamo detto - e siamo tutti concordi - non si andava per turismo, è chiaro che significa poter captare determinate realtà, determinate situazioni concrete, che hanno un interesse anche dal punto di vista dell'inchiesta.
REMIGIO BENNI. Questo senz'altro. Faccio questa precisazione perché il giornalismo investigativo o di inchiesta è una branca specifica, è un determinato settore che prevede di dedicarsi particolarmente a questo tipo di attività, anche perché richiede una metodologia di lavoro che è abbastanza diversa da quella che noi utilizzavamo
di solito, che era quella documentaristica, di prendere contatti giorno per giorno.
PRESIDENTE. Noi, ad esempio, qui in Commissione abbiamo visionato delle interviste che Ilaria Alpi ha fatto quando è andata a Bosaso, dove si è interessata di problemi sociali, dell'allevamento degli animali, di quello succedeva al porto, della cooperazione. Lo abbiamo visto con i nostri occhi. Questa per me è un'inchiesta.
PRESIDENTE. L'interesse è forte. Se non c'è un interesse, non si fa.
REMIGIO BENNI. Mi riferisco a quello che invece nell'immaginario collettivo - per esempio, nella cinematografia, nella filmografia - viene indicato come giornalismo d'inchiesta, cioè qualcuno che determina uno specifico argomento sul quale indagare, si documenta in proposito e, quindi, poi va a cercare i riscontri. È un'attività specifica.
PRESIDENTE. Lei mi ha parlato più volte di questo personaggio, Ali Mussa. Lei lo conosce?
PRESIDENTE. Lo riteneva una persona seria, corretta, affidabile?
PRESIDENTE. Che faceva nella vita?
REMIGIO BENNI. Faceva e fa tuttora il giornalista. Adesso credo che viva a Nairobi e collabori ancora con il collega che rappresenta l'ANSA a Nairobi. È venuto via dalla Somalia perché anche lui ad un certo punto è stato spaventato, credo che abbia subito delle aggressioni, sia stato rapinato ed avendo anche famiglia e figli - nel frattempo, si è sposato - ha deciso di lasciare la Somalia.
Noi lo ritenevamo particolarmente attendibile ...
PRESIDENTE. Come giornalista ?
REMIGIO BENNI. Come giornalista, come fonte di notizie, ma ovviamente anche come persona, perché non era di Mogadiscio, non è di uno dei clan di Mogadiscio, ma è originario del Somaliland ed è del clan degli Isaq. Quindi, era una persona tutto sommato meno coinvolta.
REMIGIO BENNI. In questo senso.
PRESIDENTE. Lavorava solo per l'ANSA?
REMIGIO BENNI. No, credo lavorasse anche per la France presse. Oltretutto, in quelle situazioni era anche disponibile ...
PRESIDENTE. Ilaria Alpi lo conosceva?
PRESIDENTE. Lo aveva conosciuto in precedenza?
PRESIDENTE. Glielo aveva presentato lei?
REMIGIO BENNI. Non glielo so dire.
PRESIDENTE. Comunque lo conosceva?
REMIGIO BENNI. Credo proprio di sì.
PRESIDENTE. Andò lui a prenderla in aeroporto, che lei sappia, quando arrivò, lunedì 14?
REMIGIO BENNI. Lunedì 14 non credo. Penso che lui fosse presente - questo per lo meno mi disse successivamente -
quando lei arrivò da Bosaso a Mogadiscio, tant'è vero che lei gli chiese se io ed Odinzoff fossimo presenti a Mogadiscio e lui rispose - almeno così mi disse - che eravamo andati a Nairobi e che, quindi, non eravamo presenti in città.
PRESIDENTE. Questo quando sarebbe avvenuto?
PRESIDENTE. Cioè il giorno dell'uccisione?
REMIGIO BENNI. Esatto, il giorno dell'uccisione.
PRESIDENTE. Quando lei andò all'albergo.
PRESIDENTE. Avendo saputo da questo personaggio che lei in albergo non c'era. Chi glielo ha detto questo?
PRESIDENTE. Le specificò bene come avvenne questo incontro, dove si verificò?
REMIGIO BENNI. All'aeroporto di Mogadiscio. Credo che lui fosse lì per vedere se c'erano altri giornalisti che dovevano partire, per aiutarli a partire, e quando arrivò Ilaria si incrociarono.
PRESIDENTE. Ilaria arrivava da Bosaso?
REMIGIO BENNI. Sì, Ilaria e Miran arrivavano da Bosaso. Non so se lui li accompagnò addirittura all'albergo Sahafi. Può anche darsi, ma non ne sono sicuro.
PRESIDENTE. C'è qualche altro particolare che le ha riferito questo signore?
PRESIDENTE. Per quello che riguarda l'informativa sulla sua presenza o meno in albergo, è un'informativa che viene chiesta ed alla quale egli risponde in aeroporto.
PRESIDENTE. Lei sa se poi li ha accompagnati lui?
REMIGIO BENNI. Potrebbe essere, ma non lo saprei dire con certezza. Mi pare di ricordare di sì, ma non vorrei essere impreciso.
Ricordo che poi ho sentito Ali Mussa e l'ho incontrato quando sono tornato a Mogadiscio, naturalmente ponendogli domande soprattutto su questo tipo di circostanze, perché evidentemente mi bruciava molto l'ipotesi, che era stata avanzata da qualcuno, che fosse andata a cercare me ed il collega Odinzoff all'Hamana, ed appunto per questo poi fui portato ad escludere che fosse andata in quell'albergo per cercare noi, quando Ali Mussa mi rassicurò dicendomi che le aveva detto che non eravamo più in città.
PRESIDENTE. Le disse se aveva incontrato altre persone in questo frangente, all'aeroporto oppure, laddove lui stesso li avesse accompagnati verso l'albergo, se avesse incontrato qualcuno, una volta scesi all'albergo?
REMIGIO BENNI. No, mi sembra di ricordare di no. Non mi fornì altre circostanze di questo tipo.
PRESIDENTE. Della permanenza a Bosaso Ilaria riferì qualcosa a questo nostro personaggio, Ali Mussa?
REMIGIO BENNI. Che io sappia, non mi pare.
PRESIDENTE. E quel contrattempo?
REMIGIO BENNI. Ricordo che lei doveva rientrare prima da Bosaso. Credo dovesse rientrare venerdì e fu costretta, sempre per l'aereo, a ritardare la sua
partenza, il suo rientro, tant'è vero che ricordo una comunicazione che ricevetti dal comando italiano, prima di partire per Nairobi, in cui mi chiedevano se avessi notizie di Ilaria
PRESIDENTE. Chi glielo ha chiesto?
REMIGIO BENNI. Credo un ufficiale del comando italiano. Non saprei farle il nome, perché non ricordo chi fu personalmente.
PRESIDENTE. È possibile che fosse Cantone?
REMIGIO BENNI. È possibile, ma non metterei la mano sul fuoco. È possibile che fosse Cantone, così come un altro ufficiale che era addetto ai rapporti con la stampa, che a quel tempo forse era il colonnello Carlini. Non saprei essere determinato.
PRESIDENTE. Cerchi di essere preciso nel ricordo. Questo Ali Mussa avrebbe saputo da Ilaria Alpi che il contrattempo che non le aveva consentito di partire il venerdì da Bosaso era la perdita di un aereo?
REMIGIO BENNI. La perdita o il ritardo di un aereo, il rinvio nella partenza di uno degli aerei delle Nazioni Unite che riportavano operatori da Bosaso a Mogadiscio.
PRESIDENTE. Una questione di aereo, che non aveva preso in tempo.
REMIGIO BENNI. O che era stato cancellato.
PRESIDENTE. Per quello che ha potuto capire dalle dichiarazioni che fatto questo suo amico, era contrariata per aver perso questo aereo che avrebbe dovuto portarla da Bosaso a Mogadiscio oppure lo narrava come un accadimento normale?
REMIGIO BENNI. Purtroppo era abbastanza frequente che i nostri piani venissero modificati per via dell'indisponibilità di chi doveva trasportarci. Credo che lo avesse accettato, mentre ricordo le circostanze per cui si era molto seccata per non essere potuta partire quando avrebbe voluto per Chisimaio.
Posso aggiungere che quando era arrivata a Mogadiscio, il 14, aveva prenotato la partenza per Chisimaio ed è per questo che fu molto infastidita nel momento in cui cercò di partire e non riuscì a trovare l'aereo.
PRESIDENTE. Come abbiamo detto prima, Ilaria venne a conoscenza che lei, Benni, non era in albergo.
REMIGIO BENNI. Almeno questo è quanto mi ha detto Ali Mussa.
PRESIDENTE. Disse perché voleva andare ugualmente in albergo o no?
REMIGIO BENNI. Ahimè, no. Questa è la circostanza più vaga, tant'è vero io avanzai anche l'ipotesi che magari, se il suo satellitare non funzionava, pensasse di utilizzare quello che io avevo lasciato lì in albergo e che veniva utilizzato da tutti i colleghi.
PRESIDENTE. In albergo che cosa c'era di suo?
REMIGIO BENNI. C'era l'attrezzatura, il mio computer, parte degli effetti personali che avevo con me.
PRESIDENTE. Chi voleva poteva utilizzarli?
REMIGIO BENNI. Sì, assolutamente.
PRESIDENTE. C'era un'intesa tacita tra di voi?
REMIGIO BENNI. Sì, perché l'ANSA aveva avuto dal gennaio al maggio del 1993 una vera e propria foresteria organizzata per i giornalisti italiani. In quell'occasione era stata allestita una casa, addirittura con camerieri ed una cuoca, con questo telefono satellitare ed una
struttura di accoglimento, con dei letti in cui dormire, tant'è vero che in quei mesi vari colleghi vennero ad usufruire di questa struttura.
PRESIDENTE. Lei quale stanza occupava?
REMIGIO BENNI. Posso dirle la posizione in albergo, ma il numero proprio non me lo ricordo.
REMIGIO BENNI. Al primo piano. Era una stanza anche abbastanza grande.
PRESIDENTE. Per salire a questo primo piano bisognava chiedere il permesso a qualcuno?
REMIGIO BENNI. Eravamo tutti abbastanza conosciuti.
PRESIDENTE. C'era un portiere d'albergo? Ilaria era conosciuta?
PRESIDENTE. Quindi, può essere benissimo entrata senza chiedere il permesso a nessuno?
PRESIDENTE. Usciamo dalla testimonianza per entrare nelle ipotesi: secondo lei, quale potrebbe essere stata la ragione per la quale, sapendo che Benni non c'era, Ilaria Alpi non solo abbia ugualmente fatto accesso in albergo - abbiamo già acquisito dichiarazioni in questo senso -, ma abbia salito le scale verso quel primo piano dove stava la sua stanza?
REMIGIO BENNI. Lei lo sa per certo?
PRESIDENTE. Ci è stato detto questo.
REMIGIO BENNI. Non so. Siccome c'era un altro collega della RAI, Rino Cervone, che era anche lui all'hotel Hamana ed era partito il sabato, cioè il giorno prima che arrivasse Ilaria, immagino che forse potesse essere andata a cercare lui.
PRESIDENTE. Perché avrebbe cercato Rino Cervone? Mi pare che su Rino Cervone lei abbia fatto un'affermazione piuttosto inquietante, cioè mi pare che lei abbia detto di aver pensato che l'aggressione di cui furono vittime Ilaria Alpi e Miran Hrovatin potesse riguardare invece proprio Cervone ed il suo operatore.
Se lei dice che potrebbe essere andata in albergo per incontrare Cervone, la cosa potrebbe essere di nostro interesse.
REMIGIO BENNI. Ovviamente non ho alcun elemento specifico. L'ipotesi è che volesse utilizzare il mio telefono satellitare oppure che cercasse qualche altro collega che poteva essere presente, e nella fattispecie l'unico che mi viene in mente è Rino Cervone, che però era partito il giorno prima.
PRESIDENTE. Quindi, non per ragioni legate a quelle causali che le hanno fatto dire che potesse essere accaduto ad Ilaria quello che si sarebbe voluto che accadesse a Cervone?
REMIGIO BENNI. No, perché sono altri i motivi per cui ho fatto quell'affermazione. I motivi risiedono, ad esempio, nel fatto che il pick up, la vettura con la quale Ilaria era arrivata all'hotel Hamana era dello stesso tipo e degli stessi colori della macchina di Cervone. Non so se fosse proprio la stessa, ma era molto simile. Peraltro, come le ho accennato prima, c'era questa voce che si stesse preparando qualche cosa contro gli italiani.
PRESIDENTE. Di questo poi parleremo. Ma Cervone poteva essere un obiettivo per una specifica ragione o si trattava soltanto di uno scambio dovuto al fatto che la macchina era quasi uguale?
REMIGIO BENNI. La mia sensazione era che non solo qualunque giornalista,
ma anche qualunque operatore umanitario italiano che fosse lì in zona potesse essere in qualche modo oggetto di interesse da parte di chi voleva realizzare un'azione criminosa.
PRESIDENTE. Con Ilaria Alpi lei ha mai parlato, in questa o in altre occasioni, di problemi relativi a qualche traffico illecito che poteva verificarsi in Somalia? Mi riferisco alle armi, ai rifiuti tossici, alla cooperazione. Avete mai parlato di questi problemi, dell'interesse a documentarli in qualche modo?
REMIGIO BENNI. Credo di ricordare che, se ne abbiamo mai parlato - ma non ne sono sicuro -, lo abbiamo sempre fatto con estrema genericità e come di un'ipotesi eventuale che poteva essere alla base di alcuni accadimenti, quali sparatorie o cose di questo genere, che erano state segnalate.
PRESIDENTE. Dottor Benni, lei è un giornalista raffinato.
PRESIDENTE. Alla sua raffinatezza aggiunge anche un'altra particolarità: conosce bene la Somalia.
REMIGIO BENNI. La Somalia di quel tempo, sì.
PRESIDENTE. Noi certamente non abbiamo la prova provata, però c'è una convergenza di dichiarazioni - tra l'altro personaggi come Marocchino, anche per quello che sappiamo da altri processi, ci fanno sicuramente pensare a determinati traffici - da cui risulta che la Somalia era una sorta di piattaforma sulla quale si facevano dei traffici illeciti.
Voi siete giornalisti, e giornalisti di particolare rango. È possibile che ancora oggi - mi rendo conto che sono passati dieci anni - il vostro ricordo sia quello di discorsi generici che avreste fatto, senza riferimenti specifici, senza un minimo di consapevolezza?
Voi siete stati là. È vero che i traffici illeciti si svolgono in maniera nascosta, altrimenti non renderebbero, ed è vero che lei non fa giornalismo d'inchiesta, però è anche vero che documentare determinate situazioni era un po' la vostra professione. Lei non sa assolutamente nulla di questo tipo di traffici?
REMIGIO BENNI. No. Io posso dirle questo, posso dirle con molta precisione che prima di partire per la seconda volta per la Somalia... perché una prima volta sono partito e sono arrivato a Nairobi nei primi giorni di agosto del 1992 e ho presso possesso dell'incarico e della sede di corrispondente dell'ANSA da Nairobi, qualche giorno dopo sono andato in Somalia e ci sono rimasto quattro o cinque giorni, giusto per documentare la crisi, la fame, la disperazione, eccetera. Le condizioni erano veramente tragiche. Ritorno a Nairobi e mentre sono a Nairobi prendo contatto con alcuni gruppi di rappresentanti somali che erano lì a Nairobi. Uno di questi gruppi, che faceva capo al generale Aidid mi documenta, ad un certo punto, la presenza di un accordo esistente con il governo di Ali Mahdi, in particolare firmato del cosiddetto ministro della sanità del governo provvisorio di Ali Mahdi, per un traffico di rifiuti tossici e nocivi con una società che aveva sede in Svizzera. Era un accordo che prevedeva un compenso di vari milioni di dollari (adesso non ricordo l'ammontare) e che si sarebbe concluso nel 2011, come durata, questo perché, appunto, avrebbero dovuto trasportare rifiuti tossici e nocivi scaricandoli in Somalia.
REMIGIO BENNI. La società era svizzera, però il trasporto non si sa da dove avvenisse. Tanto è vero che io cercai di approfondire questa storia, cercai dei riscontri presso l'ambasciata Svizzera di Nairobi: trovammo l'indirizzo che era segnato sulla fotocopia di accordo che mi era stata consegnata, però il nome della società era leggermente diverso, sembrava
che ci fosse stato un errore di battitura o qualcosa di questo genere. Cercammo di metterci in contatto con questa società, perché con me c'era un altro collega, che era Zamorani, del Giornale nuovo, che era arrivato in quei giorni, ma purtroppo non arrivammo concludere nulla.
PRESIDENTE. In che lingua era scritto questo documento?
PRESIDENTE. E i rifiuti tossici come li chiamavano?
PRESIDENTE. Così, a cielo aperto.
REMIGIO BENNI. Si, non c'era nessun... Forse, se cercassi tra le mie carte, da qualche parte del mondo riuscirei anche a trovare quell'accordo! Se riuscirò a trovarlo, ve lo farò avere. Può contarci.
PRESIDENTE. Questo è un fatto importante. Finalmente un elemento di concretezza. Altri fatti di questo genere, oppure constatazioni, qualche posto che lei ha visto?
REMIGIO BENNI. Devo dire, onestamente, che le condizioni con cui ci muovevamo in Somalia, e per la sicurezza e per il modo in cui ci capitava di andare a registrare gli avvenimenti, non erano tali da permetterci molto facilmente di andare a verificare delle cose. Ricordo, per esempio, una circostanza: eravamo arrivati da poco e ci era stato detto che c'era un complesso nel quale si stavano accumulando le armi dei due, Aidid e Ali Mahdi; allora andammo con una nostra macchina, con altri colleghi, a cercare di entrare in questo complesso, naturalmente con una scorta di quattro signori armati che ci sedevano alle spalle, un autista, eccetera. Arrivammo in questo complesso...
REMIGIO BENNI. Sì, Mogadiscio.
REMIGIO BENNI. Quello era Mogadiscio nord. Entrammo in questo complesso; ci si presentarono tre o quattro scherani, con i loro kalashnikov, e qualcuno di noi chiese «è qui che sono accumulate le tecniche, le armi, eccetera?». Naturalmente questi cominciarono a guardarci un po' storto. Io, che non ero esperto, perché era la prima volta che mi trovavo in un contesto di quel genere, ebbi l'inavvedutezza di dire «ma noi siamo giornalisti, vorremmo sapere, ci è stato detto...». Dietro di me c'era il collega Sommaruga, de Il Messaggero, che, invece, era molto più esperto di me e mi dette uno scappellotto perché tacessi e disse all'autista di innestare subito la retromarcia. Infatti, non passarono molti secondi che sentimmo togliere la sicura dalle armi di questi signori e ci fu qualche raffica in aria, non contro di noi ma in aria e la macchina ebbe il tempo di allontanarsi senza che ci succedesse nulla. Ecco, questo era il contesto nel quale ci muovevamo.
PRESIDENTE. E sulla cooperazione qualche rilevazione di questo genere? Delle navi Shifco ha mai sentito parlare?
REMIGIO BENNI. Come no, certo! Durante il nostro periodo, in particolare nel giugno 1993, io ebbi notizia che c'era una nave sequestrata a Bosaso.
PRESIDENTE. Sequestrata da chi? Perché dicendo «sequestrata» sembra che si parli di autorità giudiziaria!
REMIGIO BENNI. No! Sequestrata da pirati, perché i pirati lungo quella costa erano numerosi.
PRESIDENTE. Ma lì c'era un pirata particolare che sequestrava. Infatti, abbiamo accertato anche che il sequestro di quel peschereccio non fu fatto proprio dai pirati; sì, la categoria è sempre dei pirati, però...
REMIGIO BENNI. Erano dei pirati politicizzati, diciamo così. Erano quelli dell'SSDF.
PRESIDENTE. Qualcosa di interessante sulle navi Shifco lei non l'ha trovata?
REMIGIO BENNI. Io ho cercato sempre di documentare qualche cosa. Poi, successivamente, quando sono tornato a Nairobi ho incontrato...
PRESIDENTE. Lei le ha viste nel porto di Bosaso le navi Shifco?
REMIGIO BENNI. No, no. Perché sono andato a Bosaso, ripeto, con l'inviato della Farnesina Enrico Augelli ed abbiamo fatto dei giri che erano incontri ufficiali, in qualche modo dei colloqui. Abbiamo anche fatto un giro nel porto...
PRESIDENTE. Non penso che il Ministero degli esteri la portasse a Bosaso per vedere navi Shifco!
REMIGIO BENNI. Lo escluderei! Peraltro, c'era anche il fatto che se non avevamo, in qualche modo, un accreditamento era molto difficile muoversi. A volte, siamo stati invitati dalle Nazioni unite o dalle forze armate italiane o americane...
PRESIDENTE. Da somali di traffici illeciti ha avuto mai notizie, informazioni?
REMIGIO BENNI. Quando sono arrivato a Mogadiscio, proprio sulla base di quella segnalazione di cui le dicevo, ho cercato dei contatti che mi dessero informazioni di questo genere. Naturalmente, il governo di Ali Mahdi smentì decisamente che ci fosse mai stato un accordo di questo tipo; gli uomini di Aidid ne parlavano come se non sapessero dove fosse possibile rintracciare dati, anche perché non escluderei che quel documento che mi era stato fornito fosse una sorta di provocazione per creare, da un certo punto di vista, disinformazione e, dall'altro, per tentare di mettere sulla pista qualcuno, però senza dargli elementi concreti perché potesse avere notizie.
PRESIDENTE. Prenda nota, per cortesia, di inviarci quel documento.
REMIGIO BENNI. Certamente. Se posso lasciami andare a qualche considerazione, che non è, evidentemente, quella del cronista che riferisce le cose, direi che il contesto nel quale tutto questo succedeva era un contesto estremamente disarticolato, estremamente sfrangiato, estremamente privo di riferimenti reali. Più di una volta, per esempio, ci era stato detto di forze di polizia che, in qualche modo, esistevano; ma poi, in realtà, quando si andava a cercare un interlocutore in queste forze di polizia l'unico al quale riuscivamo ad arrivare era un signore che era diretto collaboratore di Ali Mahdi, capo della polizia del nord, che fu anche arrestato dagli americani con una operazione molto eclatante, in quanto pensavano di avere preso Aidid, invece avevano sbagliato persona. Peraltro, dicevano che questo fosse proprio l'informatore del comando americano.
Voglio dire che il contesto in cui tutto questo succedeva era un contesto nel quale poteva bastare una mossa da nulla per scatenare una reazione. Allora, la nostra ipotesi era sempre quella di muoverci...
PRESIDENTE. I militari italiani cosa facevano? C'era la presenza di servizi, del SISMI...?
REMIGIO BENNI. Per il SISMI c'era sicuramente...
REMIGIO BENNI. Lui è venuto qualche volta, ma non era sempre presente. Costantemente
c'erano due agenti: uno era Alberto Tedesco e l'altro Fortunato... non ricordo altro.
PRESIDENTE. Cosa facevano rispetto alle cose delle quali abbiamo parlato fino a questo momento, che lei, come giornalista, poteva sapere fino a un certo punto ma loro, come investigatori di professione...
REMIGIO BENNI. Le devo dire che i nostri contatti con questi signori non erano frequentissimi, anche perché quando li incontrammo la prima volta ci raccontarono di essere dei tecnici di qualche cosa, quindi, insomma, non si capiva bene.
PRESIDENTE. Ma erano ben integrati con il mondo somalo, con il mondo di Aidid, con il mondo di Ali Mahdi?
REMIGIO BENNI. Certo, perché loro erano anche...
PRESIDENTE. Con tutti e due erano integrati?
REMIGIO BENNI. Direi di sì, direi proprio di sì, perché erano, tra l'altro, non novellini della Somalia; avevano anche partecipato all'attività dell'ambasciata precedente, sino al 1991; avevano partecipato, credo, alle operazioni di salvataggio, di fuga, insomma, dalla Somalia degli italiani, quindi erano persone che avevano i loro contatti.
PRESIDENTE. E da loro non ha tratto mai... non parlavano? Parlavano poco?
REMIGIO BENNI. Decisamente, neanche noi privilegiavamo questi rapporti.
PRESIDENTE. Ma, ad esempio, vi avvertivano della pericolosità di certe zone?
PRESIDENTE. Indicandovi le ragioni di questa pericolosità? Ad esempio perché là si faceva traffico di armi, oppure perché era una zona territorialmente controllata...
REMIGIO BENNI. Ci dicevano: c'è una tribù più ostile, c'è un gruppo meno disponibile, c'è un gruppo di banditi...
PRESIDENTE. Di integralismo islamico si parlava in quel periodo?
PRESIDENTE. In maniera spiccata?
REMIGIO BENNI. No, c'era una zona determinata nella quale gli integralisti facevano base, che era la regione del Gedo.
PRESIDENTE. Distante da Mogadiscio?
REMIGIO BENNI. Sì, abbastanza. Nel sud-ovest della Somalia, verso il confine con il Kenya e l'Etiopia.
PRESIDENTE. L'influenza su Mogadiscio c'era o non c'era?
REMIGIO BENNI. C'era una presenza, ma non marcata.
PRESIDENTE. Ilaria si interessava di questi problemi?
REMIGIO BENNI. Specificamente non mi pare, forse come potevamo interessarci tutti, come tutti quanti registravano questa cosa, ma non in particolare.
PRESIDENTE. Noi abbiamo notizia, ad esempio, che Ilaria Alpi fosse molto sensibile ai problemi della condizione femminile, delle donne islamiche. Le risulta questo dato?
REMIGIO BENNI. Della condizione femminile in generale, direi. Lì sono tutte donne islamiche, di conseguenza interessarsi delle donne significa interessarsi delle donne islamiche..
PRESIDENTE. C'era una virgola: «della condizione femminile, delle donne islamiche». Molti suoi colleghi sono venuti qui a dirci che c'era questa particolare attenzione per la condizione delle donne islamiche, sotto il profilo dei rapporti familiari, del costume e via dicendo.
REMIGIO BENNI. Io non seguivo... non avevo modo di vedere i servizi che realizzava.
PRESIDENTE. A parte questo, nei colloqui di quella settimana o precedenti? È vero che in quella settimana l'ha vista una volta sola, ma in precedenza? Lei parlava arabo, vero?
REMIGIO BENNI. So che aveva seguito un corso di arabo al Cairo per un anno, che aveva vissuto per un anno al Cairo.
PRESIDENTE. Lei prima parlava di un attentato che si voleva fare nei confronti di cittadini italiani.
PRESIDENTE. Ci può dire meglio di questo problema?
REMIGIO BENNI. Sì, c'era questa voce.
PRESIDENTE. Ad Ilaria questa voce lei l'ha riportata oppure no, le l'unica volta in cui l'ha incontrata?
REMIGIO BENNI. Non so se avessimo già ricevuta...
PRESIDENTE. «Già ricevuta» la voce?
REMIGIO BENNI. Sì. Perché ad informarci di questa cosa, come ho detto prima, è stato proprio Marocchino, che, peraltro, ci offriva un servizio di scorta.
PRESIDENTE. Questa voce ve l'ha data Marocchino?
REMIGIO BENNI. Sì, che ci offriva un servizio di scorta. Naturalmente, poi, noi non lo prendemmo molto in considerazione, anche se in qualche modo l'allarme si era accentuato. Siccome lui offriva le sue scorte e noi avevamo i nostri riferimenti, pensavamo che fosse un modo...
PRESIDENTE. Con Marocchino Ilaria non andava molto... O sbaglio?
REMIGIO BENNI. Sa, Marocchino è uno strano personaggio, che qualche volta è in qualche modo intervenuto anche a risolvere alcuni problemi logistici; per cui è capitato non di rado che ci informasse di alcune cose che sapeva. Lui aveva, per esempio, molti rapporti con entrambe le parti, ma in particolare, ovviamente, essendo a Mogadiscio nord, con il gruppo di Ali Mahdi e anche la moglie era una donna del clan di Ali Mahdi. E organizzava delle feste a casa sua nelle quali convocava vari esponenti politici, vari rappresentanti politici, diciamo così.
PRESIDENTE. Anche militari italiani?
REMIGIO BENNI. C'erano anche militari italiani, sì.
PRESIDENTE. Anche Tedesco e gli altri?
REMIGIO BENNI. Non mi ricordo di aver mai visto Tedesco a casa sua.
PRESIDENTE. Ma aveva rapporti con Tedesco?
REMIGIO BENNI. Sì, credo proprio di sì. Non posso documentarlo, ma suppongo che li avesse.
REMIGIO BENNI. Insomma, questa figura ambigua ma allo stesso tempo disponibile a volte era...
REMIGIO BENNI. Non necessaria, ma utile. Poteva dare una mano.
PRESIDENTE. E Marocchino la informò di questo agguato che si stava tendendo a qualcuno?
REMIGIO BENNI. Che c'era stata una riunione nella quale avevano deciso di preparare un attacco contro italiani.
REMIGIO BENNI. Questo non so: perché se ne erano andati, perché volevano portargli via soldi, perché avevano bisogno di prendere soldi, perché volevano, in qualche modo, bloccare la partenza degli italiani. Alcuni, in questo modo, avevano intenzione di esprimere la propria protesta perché gli italiani se ne erano andati e altri, invece, voleva semplicemente recuperare soldi.
PRESIDENTE. Ali Mussa sapeva di questo possibile obiettivo di italiani da parte dei somali?
REMIGIO BENNI. Non mi ricordo se ne abbiamo parlato con lui. Onestamente, non le so dire.
PRESIDENTE. Le ha mai riferito questo Ali che Ilaria gli aveva detto di avere una lettera da consegnare ad una persona?
PRESIDENTE. Quindi, lei il 20 marzo stava a Nairobi?
REMIGIO BENNI. Sì, il 20 marzo ero a Nairobi.
PRESIDENTE. Ed era partito da Mogadiscio il 17?
REMIGIO BENNI. Il 17. Giovedì, sì.
PRESIDENTE. Quindi a Nairobi ha saputo dell'uccisione di Ilaria.
REMIGIO BENNI. Mi telefonò... Giovanni Porzio, probabilmente. Prima mi avvisò Roma e poi mi telefonò Giovanni. Io tentai di chiamare il mio telefono satellitare, sperando che qualcuno rispondesse. Nessuno mi rispose e poi, mi pare, mi telefonò Giovanni Porzio.
PRESIDENTE. Lei alle 14,33 fa il primo lancio ANSA.
PRESIDENTE. «La giornalista del TG3 Ilaria Alpi e il suo operatore, del quale non si conosce ancora il nome, sono stati assassinati in circostanze non chiare. Lo ha reso noto Marocchino, un auto trasportatore italiano che vive a Mogadiscio».
REMIGIO BENNI. Ecco, adesso mi aiuta a ricordare. Allora: quando telefonai, è possibile che mi rispose Marocchino, dicendomi questa cosa.
PRESIDENTE. Quando telefonò chi, lei?
REMIGIO BENNI. Io al mio telefono satellitare.
PRESIDENTE. Ma non sapeva che era stata uccisa Ilaria?
REMIGIO BENNI. Mi avevano avvisato da Roma. Era già a Roma la notizia. Era già arrivata la segnalazione tramite i canali del TG, tramite i canali della RAI.
PRESIDENTE. E a Roma chi l'ha detto?
REMIGIO BENNI. La redazione estera mi telefonò dicendo: «tu sai niente...?»
PRESIDENTE. La redazione estera ha un nome e un cognome?
REMIGIO BENNI. Un collega di turno.
REMIGIO BENNI. Non ricordo, no.
PRESIDENTE. Questa agenzia l'ha fatta lei?
REMIGIO BENNI. Sì, credo di sì. Se c'è la mia sigla, senz'altro.
PRESIDENTE. Anche le successive agenzie le ha fatte lei?
REMIGIO BENNI. In questi casi si incrociano le varie fonti. Alcune le ho fatte io, altre le hanno fatte colleghi da Roma, sulla base di altre segnalazioni.
PRESIDENTE. Parlò con qualcuno dei militari a Mogadiscio o con altre autorità?
REMIGIO BENNI. Più tardi riuscii a parlare...
PRESIDENTE. Con l'ambasciatore Scialoja ci parlò?
REMIGIO BENNI. Più tardi, credo. Sì.
PRESIDENTE. Più tardi nella giornata?
REMIGIO BENNI. Sì, tanto con Scialoja quanto con il generale Fiore.
PRESIDENTE. E Fiore, per esempio, cosa le disse?
REMIGIO BENNI. Mi disse «sono stati i fondamentalisti che l'hanno uccisa».
PRESIDENTE. Fiori disse che erano stati i fondamentalisti. L'ambasciatore Scialoja cosa disse?
REMIGIO BENNI. L'ambasciatore Scialoja non mi seppe dare nessuna spiegazione, per quello che mi ricordo. Mi disse: «stiamo accertando, stiamo cercando di sapere...».
PRESIDENTE. Invece Fiore era sicuro.
REMIGIO BENNI. Fiore fu stranamente preciso riguardo a questa cosa.
PRESIDENTE. E altri che interpellò quali versioni fornirono? Naturalmente siamo nel campo delle ipotesi, ma che lei ci riferisce come circostanze di fatto.
REMIGIO BENNI. Nell'immediato, mi ricordo che non ci furono altre ipotesi se non una sparatoria, una circostanza casuale. Altre fonti che io sentii furono Giovanni Porzio sicuramente...
PRESIDENTE. Con Giovanni Porzio ci parlò quella sera stessa? Sia con Porzio che con la Simoni?
REMIGIO BENNI. Subito dopo aver parlato con Marocchino, chiaramente.
PRESIDENTE. Loro stavano sul posto.
REMIGIO BENNI. Stavano sul posto, sì.
PRESIDENTE. Quindi Marocchino le disse che si trovavano sul posto Porzio e Simoni? Come ha saputo che erano sul posto?
REMIGIO BENNI. No, credo che mi chiamò Giovanni più tardi. Credo.
PRESIDENTE. Da dove la chiamarono?
REMIGIO BENNI. Dal mio telefono satellitare.
PRESIDENTE. Ma dove si trovavano quando l'hanno chiamata? Si trovavano già sulla Garibaldi? Le dissero dove si trovavano?
REMIGIO BENNI. No, quel pomeriggio stesso.
PRESIDENTE. Ancora quel pomeriggio, da Mogadiscio.
REMIGIO BENNI. Subito dopo quello che era successo.
PRESIDENTE. Della storia dei bagagli, che a noi interessa sempre di più, ha mai saputo niente lei?
REMIGIO BENNI. Non so molto, nel senso che Giovanni Porzio mi raccontò...
PRESIDENTE. E Gabriella Simoni.
REMIGIO BENNI. Giovanni Porzio e Gabriella Simoni mi dissero che erano andati all'hotel Sahafi, nella stanza di Ilaria, avevano raccolto i suoi effetti personali e li avevano messi in valigia. Anche perché io, dopo 24 ore, credo, raggiunsi di nuovo Giovanni Porzio sulla Garibaldi, per telefono, e mi feci raccontare un po' di cose. Dovevo documentare quello che era possibile e mi feci raccontare che cosa era successo.
PRESIDENTE. Dei bagagli le disse qualcosa Giovanni Porzio?
REMIGIO BENNI. Non mi ricordo circostanze particolari riguardanti i bagagli.
PRESIDENTE. Con Marocchino lei ha mai cercato di capire, in quella circostanza oppure successivamente, perché lei torna a Mogadiscio dopo sette-otto giorni (se non sbaglio, esattamente il 27)? La domanda è duplice: quando lei sa della uccisione di Ilaria, Marocchino che versione le dà e quale motivazione dà all'uccisione? E quando lei torna in Somalia, a Mogadiscio, incontra Marocchino e, se sì, parlate delle possibili causali, delle ragioni? Le disse la stessa cosa che aveva detto la prima volta o prima non le aveva detto niente e le dice qualcosa soltanto dopo?
REMIGIO BENNI. No. Mi ricordo che quando noi andiamo lì con Odinzoff per cercare di sapere qualcosa...
PRESIDENTE. Lì dove, a Mogadiscio, a casa sua?
REMIGIO BENNI. A Mogadiscio. Andammo in giro a Mogadiscio. Sicuramente andammo anche a casa sua, ma facemmo varie cose, fra cui facemmo anche fotografie dell'automobile su cui erano stati uccisi; fotografie che, tra l'altro, io ho consegnato ad una delle precedenti Commissioni.
PRESIDENTE. Dove stava l'automobile?
REMIGIO BENNI. Era in un garage di proprietà di un signore che si chiama Yusuf, che era se non il proprietario, un gestore di questa automobile.
PRESIDENTE. E lui disse che quella era la macchina?
REMIGIO BENNI. Sì, sì. Ci portarono a vedere la macchina, facemmo delle fotografie, io descrissi in un reportage.
PRESIDENTE. Allora, cosa le disse Marocchino, prima e dopo?
REMIGIO BENNI. Ripeto, Marocchino non sapeva darsi, diceva lui, una spiegazione di questa cosa. Raccontava molti dettagli sul suo tentativo inutile di soccorso e la sua disperazione, perché diceva di essere molto legato ad Ilaria.
PRESIDENTE. Cosa che non è vera, tant'è che Ilaria non andava nemmeno a casa sua.
REMIGIO BENNI. Onestamente, io non saprei metterci la mano sul fuoco. Non sono così sicuro di questa cosa. Né posso dire che ci è andata, né posso dire che non ci è andata.
PRESIDENTE. Sappiamo che ci è andata una sola volta e poi non ci è voluta più andare. Abbiamo accertato anche questo.
REMIGIO BENNI. L'importante è che siano elementi di certezza. Ripeto, io non ho la sensazione...
PRESIDENTE. Cosa le disse? Le dette una motivazione? Per esempio, da una
intercettazione telefonica che è agli atti dell'ufficio risulta che Marocchino, interloquendo con altra persona, dice di essere a conoscenza di mandanti, esecutori dell'omicidio e via dicendo; tant'è che l'autorità giudiziaria che capta questa comunicazione si preoccupa di inviarla immediatamente all'autorità giudiziaria romana che aveva in carico il processo per l'assassinio di Ilaria e di Miran Hrovatin. Abbiamo, dunque, questo spezzone da cui risulta che egli stesso dichiara, in un momento non sospettabile e con persona assolutamente non interessata, di essere a conoscenza di ogni cosa. Le domando: questa posizione di Marocchino di non essere in grado di dare una motivazione è stata una posizione di sempre o lei ha notato delle differenze tra la versione (se versione vi è stata) del giorno in cui fu uccisa Ilaria e lei gli parla per telefono e la versione che potrebbe averle dato, se gliel'ha data, quando lei tornò a Mogadiscio?
REMIGIO BENNI. Cercando di essere il più preciso possibile, io mi ricordo di una serie di genericità di cui si parlò in questa circostanza, senza nessun motivo particolare, e mi ricordo che qualcuno - ma adesso non saprei dire se Marocchino o un'altra fonte - cercò di venderci l'ipotesi di una vendetta contro i proprietari dell'Hamana hotel come motivazione dell'uccisione di Ilaria.
PRESIDENTE. Cioè come scredito per l'hotel?
REMIGIO BENNI. Esatto. Da parte di un cugino della proprietaria che aveva dei conti in sospeso o qualcosa del genere. Però, ripeto, non so se fosse lui o qualcun altro. Naturalmente, a tanta distanza di tempo è difficile mettere esattamente fuoco.
PRESIDENTE. Con chi altri lei ha parlato di questa storia?
REMIGIO BENNI. Con molte persone, ovviamente.
PRESIDENTE. Le persone che lei ha interpellato che versione le hanno fornito?
REMIGIO BENNI. Ripeto: molte versioni, nessuna delle quali ci è sembrata particolarmente credibile. C'è stata una soltanto...
PRESIDENTE. Ci dovrebbe dire anche quelle che ha ritenuto non credibili.
REMIGIO BENNI. Certo e quella della vendetta contro la proprietaria dell'albergo era una delle versioni non credibili.
REMIGIO BENNI. Altre versioni non credibili? Io credo di aver documentato queste cose, di averle scritte nei miei reportage, a suo tempo.
PRESIDENTE. La credibile quale era?
REMIGIO BENNI. La credibile, cioè quella che reputammo credibile con il collega Odinzoff, era quella che ci raccontò un morian (si chiamano così i ragazzi, i banditi che stanno in giro per Mogadiscio) che alcuni mesi prima, per la precisione nel luglio 1993, aveva partecipato ad una azione contro gli italiani al check point pasta: c'era stata una famosa sparatoria nella quale erano morti tre soldati italiani ed altri venti erano rimasti feriti e lui era uno di quelli che avevano partecipato a questa azione.
PRESIDENTE. Lui chi, questo che racconta?
REMIGIO BENNI. Questo che racconta. Questo signore, nei mesi successivi, era stato in qualche modo recuperato come contatto utile dai militari italiani e dava informazioni su quello che succedeva nella parte di Mogadiscio sotto controllo degli italiani. Noi, con Vladimiro Odinzoff, lo incontrammo a casa di Starlin, che era una signora...
REMIGIO BENNI. Questa signora ci disse che lui doveva sapere qualche cosa. Addirittura lo mandò a chiamare. Lo incontrammo e gli chiedemmo che particolari potesse darci. Lui ci rispose che conosceva qualcuno che aveva partecipato all'azione nella quale erano stati ammazzati Ilaria e Miran, però se volevamo dettagli dovevamo pagargli qualche soldo perché potesse avere un incontro notturno in cui, masticando chat, potessero tirar fuori la verità su questa storia. Noi, ovviamente, decidemmo di spendere questi soldi. Il giorno dopo, questo signore viene a raccontarci quella versione che io, appunto, ho scritto nei miei servizi: cioè che c'era stato questo gruppo di quindici banditi somali che facevano rapine, assassini e terrorizzavano Mogadiscio nord, che erano stati arrestati durante una operazione molto cruenta, fatta da un gruppo della Col Moschin della Folgore (sembra che in quella occasione anche qualche soldato rimase ferito). Era una operazione combinata tra soldati italiani e polizia somala. Comunque, i quindici furono arrestati e furono anche picchiati, al momento dell'arresto, come reazione per la resistenza che avevano opposto. Portati in carcere, la polizia somala aveva ripetuto ed accentuato moltissimo questi pestaggi, al punto che uno di questi quindici banditi era rimasto privo dell'uso delle gambe.
Nel gennaio-febbraio 1994, la metà di questi, circa sette-otto, riescono ad uscire, non si capisce in quale modo, dalla prigione e devono pagare coloro che li hanno fatti uscire; così come devono pagare anche per far uscire i loro complici che sono rimasti in prigione. Si incontrano, dunque, per organizzare un piano, perché vogliono raggiungere un duplice obiettivo: quello di far pagare agli italiani l'arresto, l'operazione, i maltrattamenti, eccetera e quello di prendere dei soldi. Come fare questo? Prendendo ostaggi italiani. Organizzano una operazione nella zona della albergo Hamana, con una Land Rover e con un pick up simile a quello a bordo del quale giravano giornalisti ed operatori umanitari italiani, tanto è vero che questo pick up sarebbe stato sistemato in una stradina parallela a quella dell'hotel Hamana. Arrivano Ilaria e Miran all'hotel Hamana; entrano e ci sono questi sette banditi che sono seduti proprio di fronte all'ingresso dell'albergo, che stanno bevendo il tè. Ilaria e Miran entrano ed escono subito dopo; nel frattempo, l'autista del loro pick up aveva girato e si era parcheggiato esattamente davanti a questi signori, un poco più in giù. Ilaria e Miran escono dall'albergo, risalgono in macchina. Come la macchina si avvia, i sette saltano sulla Land Rover che era messa di traverso sul marciapiede e, senza neanche pagare il tè, inseguono la macchina. La superano, arrivano all'incrocio, le tagliano la strada, bloccandola. A bordo del pick up di Miran c'era un uomo di scorta soltanto, che, contravvenendo a quella che è una tradizione, un'abitudine, una disposizione consolidata per cui quando il numero della scorta è inferiore a quello degli assalitori deve alzare le mani e arrendersi, spara. Spara dieci colpi, forse anche di meno, e il mitra gli si inceppa. Lo butta via e scappa. Dalla Land Rover incominciano sparare. L'autista della macchina di Ilaria e Miran innesta la retromarcia, nascondendosi in parte sotto il volante, per cercare di sfuggire ai proiettili che stavano arrivando, fa 50-100 metri indietro e gli assalitori continuano ad inseguire la macchina e a sparare. Subito dopo risalgono sulla macchina e scappano. Dice questo testimone...
REMIGIO BENNI. No, non ricordo il nome.
PRESIDENTE. Quello che masticava?
REMIGIO BENNI. Quello che masticava, non ricordo se Abdi, Omar o cosa. Dice che loro non avevano neanche capito di aver ammazzato Ilaria.
PRESIDENTE. Le ha detto anche i nomi di questi sette del commando?
REMIGIO BENNI. Assolutamente no.
REMIGIO BENNI. No, purtroppo no. Eravamo anche disposti ad aumentare il prezzo, pretium sceleris, ma non è servito.
PRESIDENTE. E questo Abdi chi era?
REMIGIO BENNI. Può essere che sia il nome di questo signore con cui ho parlato, ma un nome inventato, perché non era un nome da rendere pubblico. Chiedeva la riservatezza su questa cosa.
PRESIDENTE. Per chi lavorava quest'uomo?
REMIGIO BENNI. È difficile dire. Probabilmente, era passato a lavorare per...
REMIGIO BENNI. In un primo tempo lavorava per Aidid, quando fece l'aggressione agli italiani. Nei momenti successivi, penso che abbia addirittura avuto rapporti con le Nazioni unite o cose di questo genere.
PRESIDENTE. Quindi, questo le ha raccontato.
REMIGIO BENNI. Questo è il racconto che, dato il dettaglio... Lui ci parlò - e ricordo che questa fu una cosa che ci lascia abbastanza perplessi - anche di uno del commando che aveva una pistola di fabbricazione belga, con un caricatore di 14 colpi. Ci disse anche che nei giorni precedenti, per preparare questo agguato e per fare in modo che la polizia somala fosse, in qualche modo, considerata coinvolta, uccisero un poliziotto somalo ed uno di loro ne indossò la divisa, tanto è vero che nel commando che uccide Miran e Ilaria qualcuno testimonia di aver visto anche uno o due poliziotti.
PRESIDENTE. Quanto gli ha dato, 200 dollari?
PRESIDENTE. Questo della persona con la divisa è un riscontro. Altri riscontri a questa ricostruzione ne ha potuti fare?
REMIGIO BENNI. Onestamente no, anche perché tutti gli altri testimoni che abbiamo consultato con Odinzoff, tra cui, per esempio, il capo della sicurezza dell'Hamana, sono stati sempre molto vaghi, molto imprecisi. Mi ricordo che ci raccontò di questo essere uscito dall'albergo quando ha sentito sparare colpi e di aver sparato dalla porta dell'albergo contro gli aggressori, ma non gli davamo grande credito.
PRESIDENTE. Quindi, erano criminali conosciuti dalle forze di polizia o dalle apparenti forze di polizia?
REMIGIO BENNI. Si, sembrerebbe di sì.
PRESIDENTE. Quindi, sarebbe stato anche facile individuarli.
REMIGIO BENNI. Ma il rapporto che la polizia somala fece sull'argomento non ha mai fornito circostanze precise in questo senso. Io, infatti, mi sono sempre riservato, e forse è stata anche una mia mancanza, di chiedere magari alla Folgore un rapporto sull'operazione degli arresti compiuta in gennaio per individuare il nome di questi signori che erano stati arrestati. Non l'ho mai fatto. Non so neanche se ci sia stato un rapporto in quell'operazione, che risale, appunto, al gennaio 1993.
PRESIDENTE. Lei ha avuto notizia di chi intervenne per primo al momento dell'agguato? Le risulta che sia stato Marocchino il primo ad arrivare?
REMIGIO BENNI. Credo di sì, credo che sia stato lui, perché raccontò che si trovava in zona: stava venendo da Mogadiscio sud, stava arrivando in zona quando per radio sente qualcuno che grida «stanno
sparando» o cose di questo genere. Arriva sul posto e vede qualche cosa, capisce qualche cosa.
PRESIDENTE. E gli uomini della sicurezza dell'hotel Hamana, che lei sappia?
REMIGIO BENNI. Gli uomini della sicurezza dell'Hamana sono quelli che dicono di essere intervenuti, in qualche modo, per tentare di fermare i banditi. Che l'abbiano fatto veramente, dubito, anche perché, poi, di fronte all'Hamana c'era la caserma di polizia ed è stranissimo che la polizia somala non interviene minimamente; anzi, forse, addirittura si nasconde, scappa.
PRESIDENTE. Sa che cosa è il CISP?
REMIGIO BENNI. Sì, è il Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli, mi pare.
PRESIDENTE. È il CISP che chiama Marocchino?
REMIGIO BENNI. Io credo che ci fossero molti gruppi che chiamavano Marocchino. Lo chiamava il CEFA, lo chiamavano altri enti che erano sul territorio. Marocchino era uno che poteva fare un tipo di servizi di trasporto, per esempio, che altri non facevano. Sicuramente lui aveva fatto dei trasporti di viveri e di generi di soccorso che altri non erano riusciti a fare, in alcune zone della città.
PRESIDENTE. Lei con l'autista ha mai parlato?
REMIGIO BENNI. L'autista di Ilaria? Certo, come no.
PRESIDENTE. Che le ha detto? Di quale clan faceva parte questo autista?
REMIGIO BENNI. Se non ricordo male, doveva essere uno shecal, mi pare di ricordare.
PRESIDENTE. E cosa le disse questo autista?
REMIGIO BENNI. Quello che le ho detto, cioè che lui era in macchina, che si era nascosto sotto il cruscotto, che aveva messo la retromarcia...
REMIGIO BENNI. No, questo assolutamente no.
PRESIDENTE. Non gliel'ha detto o non gliel'ha chiesto?
REMIGIO BENNI. No, non gliel'ho chiesto e non me lo ha detto.
PRESIDENTE. Ora le mostro due fotografie: qual è l'autista?
REMIGIO BENNI. È questo che le indico, mentre l'altro è l'uomo di scorta di Ilaria.
PRESIDENTE. E questo signore che le indico ora chi è?
REMIGIO BENNI. Non lo so, non ne ho proprio idea.
PRESIDENTE. Ho mostrato al teste la foto retroindicata con il n. 1 e le due foto collocate a pagina 1 del dossier Sezione rilievi tecnici, nucleo operativo Carabinieri di Roma, ed egli ha dichiarato di non conoscere la persona di cui alla foto n. 1 e di identificare in quella di cui alla prima pagina sopra indicata l'autista di Ilaria Alpi, esattamente la persona che indossa una camicia di colore celeste. La persona che gli è accanto e che indossa una camicia di colore rosa era l'unico uomo di scorta di Ilaria Alpi, di nome Omar.
REMIGIO BENNI. Mentre l'autista era Ali, che era stato per lungo tempo autista di Alberizzi.
PRESIDENTE. Ora mostro al teste una piantina redatta su un foglio di carta
intestato «Questura di Roma - divisione investigativa generale ed operazione speciale».
Dottor Benni, conosce questa piantina?
REMIGIO BENNI. C'è anche la mia firma!
REMIGIO BENNI. Forse non l'ho fatta io, forse l'ha fatta il maresciallo che raccoglieva la mia deposizione, sulla base delle mie indicazioni, di quello che io gli avevo raccontato.
PRESIDENTE. Conferma questa piantina?
REMIGIO BENNI. Corrisponde alle cose che ho descritto.
PRESIDENTE. Ce la può illustrare sinteticamente?
REMIGIO BENNI. Sì. C'è la vettura di Ilaria e Miran che arriva da Mogadiscio sud, si ferma davanti al cancello dell'Hamana hotel; non si vedono ovviamente Ilaria e Miran che scendono, ma era per questo che si fermavano lì. La macchina gira, si ferma poco più giù rispetto al punto in cui si trova la Land Rover con i sette banditi che sono fuori della macchina; evidentemente quando Ilaria e Miran risalgono sul loro pick-up i sette salgono sulla loro Land Rover, partono, affiancano la macchina, la superano e bloccano la strada al pick-up di Ilaria e Miran.
PRESIDENTE. Perfetto. Chi la portò nel garage dove lei poi trovò la macchina, quando tornò a Mogadiscio?
REMIGIO BENNI. Credo sia stato proprio Yusuf Ariri, il proprietario, e forse anche l'autista...
PRESIDENTE. E come contattò Yusuf Ariri? Chi la portò da questa persona?
REMIGIO BENNI. Yusuf Ariri era un personaggio che noi conoscevamo molto bene perché si era occupato proprio nella fase di cui le raccontavo prima, cioè dell'allestimento della sede dell'ANSA a Mogadiscio, di trovare la palazzina nella quale prendemmo alloggio, di procurarci il personale...
PRESIDENTE. I colpi erano ancora visibili?
REMIGIO BENNI. Sì, nelle fotografie sono abbastanza evidenti.
PRESIDENTE. Il giorno 20, che lei sappia, Cervone era o no a Mogadiscio?
REMIGIO BENNI. No, era partito il 19.
PRESIDENTE. E l'auto che aveva in dotazione Cervone e che, come diceva prima, le sembrava che fosse la stessa...
REMIGIO BENNI. La stessa o molto simile.
PRESIDENTE. Non sa dove Cervone l'avesse presa?
REMIGIO BENNI. Non so dirle, ma credo sempre nel giro di Yusuf Ariri, perché era uno che ci procurava le automobili, gli autisti, le scorte.
PRESIDENTE. Lei con Aidid e con Ali Mahdi ha parlato mai dopo l'uccisione di Ilaria?
REMIGIO BENNI. Con Aidid no, con Ali Mahdi sì.
PRESIDENTE. Che le disse Ali Mahdi?
REMIGIO BENNI. Che lui pensava che dovessero svolgere un'indagine molto seria per individuare i responsabili... No, no, a Nairobi parlai anche con Aidid, il quale tra l'altro si profuse in condoglianze e via di seguito. Naturalmente ipotizzavano l'un l'altro che ci fossero responsabilità dell'altra parte in questa vicenda.
PRESIDENTE. Lei ha mai saputo di un contrasto, di un alterco, addirittura che ci sarebbe stato tra Ilaria e Ali Mahdi, a cagione del fatto che Ali Mahdi la riteneva più vicina ad Aidid piuttosto che a lui?
REMIGIO BENNI. Non me ne ricordo proprio, onestamente.
PRESIDENTE. Lei sa se Ilaria Alpi intendesse intervistare Aidid?
REMIGIO BENNI. In quella circostanza specifica?
REMIGIO BENNI. Non me ne ricordo.
PRESIDENTE. E in altre circostanze?
REMIGIO BENNI. Credo che lei lo abbia anche intervistato.
PRESIDENTE. Salvo poi stabilire se quell'intervista andò mai in onda.
PRESIDENTE. Aidid andò in onda?
REMIGIO BENNI. Non glielo so dire.
REMIGIO BENNI. È una cosa che proprio mi sfugge.
PRESIDENTE. Lei parlava di Ariri. Chi era?
REMIGIO BENNI. Era un signore che aveva case e proprietà a Mogadiscio e che peraltro fu ferito due volte dagli americani, e quindi ci interessammo anche di aiutarlo in qualche modo nelle circostanze in cui rimase ferito. Era una persona estremamente disponibile, bisogna dire, che naturalmente sapeva fare i suoi affari: ricavava compensi da queste attività, aveva contatti soprattutto con Aidid.
PRESIDENTE. La vostra sede dell'ANSA era presso i suoi locali?
REMIGIO BENNI. No, non erano suoi locali.
REMIGIO BENNI. Era una villa di un signore che...
PRESIDENTE. Ve l'aveva messa a disposizione lui?
REMIGIO BENNI. L'aveva rintracciata lui e ci aveva messo in contatto con il proprietario.
PRESIDENTE. Chi era Gelle? L'ha conosciuto?
REMIGIO BENNI. Guardi, questo nome... è una cosa un po' buffa, nel senso che uno degli autisti che avevamo a Mogadiscio nord di una Land Rover, peraltro, si chiamava Gelle ed era un ragazzino abbastanza piccolo, estremamente attivo, che ci aveva protetto molte volte, nel senso che aveva scelto gli itinerari più giusti per evitare che ci fossero ferimenti. In un momento successivo qualcuno mi ha parlato di un Gelle che diceva di conoscermi, ma che non corrispondeva affatto alla descrizione del signore che io conoscevo. Dipende da qual è il Gelle.
PRESIDENTE. Ha mai conosciuto un certo Ginni?
REMIGIO BENNI. Forse era Ginni piuttosto che Gelle. Potrebbe essere.
PRESIDENTE. E Casamenti l'ha mai conosciuto?
REMIGIO BENNI. Era il tecnico assistente della cooperazione italiana a Mogadiscio sud.
REMIGIO BENNI. Dopo, ma in un primo momento era nella cooperazione italiana.
PRESIDENTE. Avete mai parlato di Ilaria?
REMIGIO BENNI. Certo. Ne abbiamo parlato perché lui è venuto a Nairobi qualche tempo dopo, non ricordo se uno o due mesi dopo e venne a trovarmi in ufficio. Tra l'altro, avevamo stretto una certa amicizia con Valentino, quando lui...
PRESIDENTE. Le disse che Ilaria era stata ospite per alcuni giorni di Africa 70?
REMIGIO BENNI. Come no! Mi disse questo ed anche che si erano recati al mare insieme, con Miran e con Ilaria e che avevano fatto bagni di mare. A me disse - perché io ovviamente gli chiesi specificamente se lui avesse avuto qualche impressione negativa degli incontri che Ilaria aveva avuto a Bosaso - che a lui avrebbe detto che l'intervista che aveva fatto con il cosiddetto sultano era assolutamente una noia, che non era emerso nulla di utile e di importante.
PRESIDENTE. Le ricordò qualche particolare relativo al giorno in cui Ilaria arrivò a Bosaso o, meglio, ad Africa 70 per essere ospitata lì? In particolare, le raccontò che si trattava del giorno in cui Africa 70 tornava da Gibuti, dove si era dovuta rifugiare per l'intimidazione ricevuta dall'SSDF?
PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Deiana.
ELETTRA DEIANA. Gradirei ulteriori ragguagli rispetto alla voce relativa al piano d'attacco agli italiani che lei avrebbe appreso da Marocchino. Vorrei sapere se quanto è stato raccontato da Marocchino corrispondesse, nel momento in cui lei lo ha sentito, a quanto lei poi ha saputo dal suo informatore, dal somalo di cui non ricordo il nome.
ELETTRA DEIANA. A me interessa soprattutto sapere quando lei ha appreso di quest'ipotesi di attentato agli italiani da parte di Marocchino; è molto importante, perché come lei sa Marocchino è un personaggio chiave in tutta questa vicenda. Lei dovrebbe fare uno sforzo di memoria per ricordare se quest'ipotesi lei l'abbia sentita contemporaneamente alla raccolta di dati fatta da lei sul campo. In sostanza, se si tratti di un'ipotesi ex post rispetto alla morte dei due giornalisti italiani.
REMIGIO BENNI. Credo di poter dire - oserei arrivare a pensare - che questa comunicazione Marocchino ce la fece addirittura prima dell'arrivo di Ilaria.
ELETTRA DEIANA. Lei prima ha detto che forse la fece dopo.
REMIGIO BENNI. No, sicuramente la colloco in un arco di tempo ovviamente anteriore alla mia partenza per Nairobi, e quindi prima di giovedì 17; diciamo una settimana prima della partenza ci viene data questa comunicazione, ma non sono in grado di stabilire se prima o dopo l'arrivo di Ilaria; però, credo sia stato prima e, ripeto, con una relativa credibilità da parte nostra di questo avviso, perché la sensazione era che, essendo venuta meno la presenza dei militari italiani, e quindi anche con la sua perdita di alcuni compensi per la presenza dell'esercito italiano, lui cercasse in qualche modo di vendere i suoi servizi a chiunque potesse. Generalmente non inventava cose di questo tipo, però poteva aver gonfiato, anche perché il fatto che fossero in preparazione attività criminose a Mogadiscio nord non era insolito; si trattava di avvenimenti piuttosto frequenti.
ELETTRA DEIANA. Lei conosceva bene Marocchino?
REMIGIO BENNI. Abbastanza, perché in due anni e mezzo si immagini quante occasioni di incontro possono esserci state.
ELETTRA DEIANA. Che idea aveva ed ha lei di Marocchino?
REMIGIO BENNI. Di una persona che deve aver fatto molte cose, ed anche molte cose strane per poter sopravvivere dal 1984, quando è arrivato in Somalia, fino... adesso non so se lui sia ancora in Somalia.
ELETTRA DEIANA. Sì, è in Somalia.
REMIGIO BENNI. Sicuramente deve aver avuto molti contatti, deve essere stato capace di barcamenarsi tra i diversi interessi dei diversi gruppi; lui era socio di un collaboratore di Aidid, che se non ricordo male si chiamava Duale, con il quale aveva un deposito tra l'altro non lontano dalla sede del comando americano; si trattava della vecchia ambasciata americana sullo stradone del quinto chilometro. Infatti poi ebbe una querelle con questo signore. Si tratta di un personaggio che viaggiava sempre armato, quando si muoveva con la sua jeep o con i suoi camion, tant'è vero che ci mostrò un librone che lo aveva protetto in una sparatoria contro di lui.
ELETTRA DEIANA. Che ruolo aveva, secondo lei, rispetto alle autorità militare italiane e rispetto ai Servizi segreti del nostro paese? Secondo lei aveva un ruolo?
REMIGIO BENNI. Sicuramente lui aveva contatti tanto con le autorità militari quanto con i Servizi. A questi ultimi credo fornisse informazioni o contatti; alle autorità istituzionali militari forniva servizi, nel senso che per esempio...
ELETTRA DEIANA. Ma era un tipo prezioso oppure era una variabile... era essenziale?
REMIGIO BENNI. Questo è difficile stabilirlo, perché non ero in contatto o non ero presente ai contatti che stabilivano, ma credo fosse abbastanza utile. Definirlo prezioso ed insostituibile... non lo so, onestamente non so valutarlo. In una situazione di quel tipo ci sono molti che offrono servizi: alcuni li garantiscono ed altri no.
ELETTRA DEIANA. Lui c'è sempre, è sempre in mezzo. Era normale che fosse presente, che lo chiamassero? Prima ha detto che Marocchino risponde addirittura al suo satellitare.
ELETTRA DEIANA. Marocchino arriva per primo sul luogo dell'agguato. Insomma, è un po' onnipresente: è normale?
REMIGIO BENNI. Ma quella è casa sua, è zona di suo controllo. Tra l'altro, io avevo anche detto al capo del servizio di sicurezza dell'Hamana che nel caso in cui ci fosse stata qualche emergenza lui stesso mi avrebbe chiamato mentre ero a Nairobi. Quindi non mi meraviglia che lui avesse consentito l'accesso al telefono satellitare; non ho i tabulati delle chiamate dal mio telefono, ma posso anche pensare che magari, senza neanche dirmelo, Marocchino abbia fatto qualche telefonata.
ELETTRA DEIANA. Lei aveva una certa conoscenza personale di Ilaria Alpi.
ELETTRA DEIANA. A suo giudizio era una persona avventata, un po' avventurosa, un po' temeraria, oppure era prudente ed attenta?
REMIGIO BENNI. C'era stato un precedente che aveva destato una certa preoccupazione (tra l'altro è stata salvata proprio da questo Ali Moussa che ci assisteva e ci forniva notizie) il giorno in cui, mi pare fosse il 20 luglio 1993, furono uccisi cinque giornalisti di nazionalità keniana,
tedesca, americana: nel corso di un'operazione fatta da un gruppo d'élite americano per catturare Aidid, si era radunata una folla in una certa zona di Mogadiscio, e siccome i giornalisti erano presenti, Ilaria si trovava proprio in quella zona con la macchina; Ali Moussa le consigliò abbastanza energicamente di far cambiare direzione all'autista per evitare che si mettesse nei guai.
ELETTRA DEIANA. Il giorno che è stata uccisa si recò all'hotel Hamana e, anziché scendere dall'auto nel viale interno dell'albergo, risulta che sia entrata dalla porta esterna e che poi, uscita dall'albergo, abbia attraversato la strada passando davanti a questa Land Rover carica di uomini armati.
REMIGIO BENNI. Non c'erano ancora; erano seduti lì, poi sono saliti subito sulla macchina.
ELETTRA DEIANA. Sì, ma era visibile che si trattava di uomini armati?
REMIGIO BENNI. Questo non lo so, non c'ero, però presumo di sì, perché non c'erano macchine sulle quali non ci fosse gente armata. La posizione in cui era questa macchina, dalla ricostruzione attraverso il disegno, indica uno stato di allerta, di essere pronti a fare qualche cosa, di essere pronti a partire, per lo meno. Poteva trattarsi quindi della scorta di qualcuno o altro.
ELETTRA DEIANA. Quindi, il racconto di questi passaggi di cui Ilaria Alpi fu protagonista negli ultimi momenti della sua vita le sembrano normali, conoscendo il contesto?
REMIGIO BENNI. Io ho sempre avuto il dubbio che se doveva essere un'esecuzione, perché non ucciderla quando passa davanti alla macchina e prima di salire sul pick-up oppure, cosa più consueta nelle esecuzioni, perché non sparare attraverso i vetri quando la Land Rover affianca il pick-up. È un mio dubbio, per quel che vale, ovviamente.
ELETTRA DEIANA. Comunque, anche dal punto di vista della dinamica dei fatti, il sequestro, questi personaggi che cominciano a sparare inseguendo a ritroso la macchina sparando contraddice l'ipotesi del sequestro.
REMIGIO BENNI. Sostanzialmente sì, però occorre considerare che cosa succede in un momento come quello. Non possiamo contare su una ragionevolezza ed una determinazione di azione da parte di questi ragazzi, gente molto impulsiva. Ho raccontato prima quanto era accaduto quando siamo andati a visitare questo presunto deposito di armi; insomma, i contesti e i comportamenti in quei momenti non sono tutti razionalizzabili in maniera chiara. Ovviamente questo non significa nulla, è solo un raccogliere elementi e metterli insieme, senza però che, dopo tanti anni che è avvenuta la vicenda e che leggo di queste cose, io sia riuscito a trarre una conclusione ragionevole sulla questione.
ELETTRA DEIANA. A proposito del contratto di cui ha parlato prima per l'interramento di rifiuti tossici, si ricorda il nome della società svizzera?
ELETTRA DEIANA. Non può essere tra le sue carte, nei suoi archivi?
REMIGIO BENNI. È possibile che ne rintracci il nome.
ELETTRA DEIANA. Ricorda con quali mezzi e in che modo i rifiuti sarebbero dovuti arrivare in Somalia?
REMIGIO BENNI. Non era indicato nel contratto, però io ricordo che, a seguito di questa notizia che io diedi e che fu pubblicata dai giornali, ci fu qualcuno che avviò un'inchiesta, non ricordo se fosse
proprio Massimo Alberizzi o un altro, e arrivarono, credo, ad indicare nel porto di Talamone la base dalla quale dovevano partire navi cariche di rifiuti tossici.
ELETTRA DEIANA. E questo da chi lo avrebbe saputo?
REMIGIO BENNI. Ho letto sui giornali di questa inchiesta fatta credo da Massimo Alberizzi, ma non ne sono certo. Io mi ero limitato a dare un input con la notizia che avevo ricevuto. Peraltro, c'è un'altra circostanza che stavo dimenticando: su questa vicenda si era sviluppata un'inchiesta dell'UNDP, cioè dell'agenzia dell'ONU per la protezione dell'ambiente di Nairobi, che a quel tempo era diretta da un signore egiziano, che oggi tra l'altro è anche responsabile di una società di protezione ambientale. La notizia fu pubblicata sul Daily Nation, uno dei due quotidiani di Nairobi, e poiché si faceva riferimento anche a presunte responsabilità italiane ricordo che arrivò il ministro degli affari esteri Colombo a Nairobi, il 9 settembre, per recarsi a Mogadiscio nei tentativi che c'erano per definire la missione italiana (di cui già si parlava) e io chiesi, mostrando il giornale al ministro, se fosse al corrente di quest'informazione; mi rispose «sì, ne ho sentito parlare, c'è qualcuno che sta accertando, ma io credo che siano tutte accuse assolutamente infondate». Credo che fu data anche notizia di questo.
ELETTRA DEIANA. Quando lei era giù ha saputo se il porto di Merca fosse uno dei punti attraverso cui passavano i traffici illegali?
REMIGIO BENNI. No. Merca era il porto nel quale io ero andato più di una volta perché c'era in attività Annalena Tonelli, che lavorava nell'ospedale per i bambini tubercolotici, e andai ad intervistarla. Sapevo anche però che intorno a Merca si stava creando a quel tempo un insediamento fondamentalista, che poi sarebbe stato anche alla base di un paio di aggressioni all'ospedale. Però, rispetto a traffici particolari...
ELETTRA DEIANA. Ma lei, complessivamente, quanti mesi è stato in quel periodo?
REMIGIO BENNI. Ripeto, nell'arco di tempo tra dicembre 1992 e marzo 1995, sono stato tantissimo tempo.
ELETTRA DEIANA. Quindi, notizie precise su traffici di rifiuti tossici, di armi...
REMIGIO BENNI. Ripeto, io ho cercato di avere informazioni rispetto a queste cose; ho domandato a chi mi capitava e mi sono state sempre negate e smentite.
ELETTRA DEIANA. Lei prima ha dato con molta sicurezza la notizia che Ilaria Alpi volesse partire per Chisimaio.
REMIGIO BENNI. Questo mi risulta.
ELETTRA DEIANA. Ma le risulta perché glielo ha detto Ilaria Alpi?
REMIGIO BENNI. O me lo ha detto lei personalmente o me lo ha detto Ali Moussa, che l'aveva aiutata a prenotare per Chisimaio.
ELETTRA DEIANA. Ma non è la stessa cosa.
REMIGIO BENNI. Lo so, però è passato un po' di tempo!
ELETTRA DEIANA. Per noi non è la stessa cosa.
REMIGIO BENNI. Lo capisco perfettamente, però onestamente...
ELETTRA DEIANA. A noi risulta da altre fonti che lei volesse andare a Bosaso.
REMIGIO BENNI. Posso dire con una certa sicurezza che Bosaso venne fuori - ci sono alcune circostanze che si fissano - come ripiego rispetto ad altra destinazione che non aveva potuto...
ELETTRA DEIANA. Può darsi che gliel'abbia detto questo...
REMIGIO BENNI. Può darsi, però ricordo che incontrai Ilaria...
ELETTRA DEIANA. Ilaria non le disse che voleva andare forse anche a Merca?
REMIGIO BENNI. Non lo so, può darsi. Questo proprio non mi è presente.
ELETTRA DEIANA. Lei, come ha detto anche prima, è stato a Bosaso con Augelli.
ELETTRA DEIANA. Ricorda le ragioni di questo suo viaggio a Bosaso?
REMIGIO BENNI. La presenza italiana era anche collegata ad operazioni di cooperazione. Credo di ricordare che gli incontri che ebbe quel giorno l'ambasciatore Augelli con i maggiorenti di Bosaso fossero legati alla richiesta di aiuti, così come a Ghedo, dove mi recai con Augelli...
REMIGIO BENNI. Sì, Ghedo è l'altra regione, quella che riferivo prima come base dei fondamentalisti. Questa presenza era su due piani, ovviamente, aveva due obiettivi: il primo, di stabilire in qualche modo contatti politici che potessero servire a quello che si sperava si avviasse, il processo di riconciliazione e la creazione di uno Stato somalo; il secondo, operazioni di soccorso e di aiuto concreto tanto in termini alimentari quanto in termini di realizzazione di progetti (ospedali o altro tipo di strutture) che potessero favorire il primo degli obiettivi, vale a dire la riconciliazione e la ricostruzione della Somalia.
ELETTRA DEIANA. Quindi, lei andò per interesse giornalistico.
REMIGIO BENNI. Assolutamente sì. Non mi sono mai mosso per altro.
ELETTRA DEIANA. È stato a Gardo?
REMIGIO BENNI. Credo sia sotto Bosaso, sopra il Mudug.
ELETTRA DEIANA. Lei ha mai avuto notizie o voci che la strada Bosaso-Garoe potesse coprire interramento...
ELETTRA DEIANA. ...di rifiuti tossici?
REMIGIO BENNI. No, che era stata costruita anche con l'aiuto di Marocchino, che quest'ultimo ci andava sopra e sotto, era uno che trasportava i materiali da costruzione. Questo sicuramente.
ELETTRA DEIANA. Il contratto sui rifiuti di cui ha parlato prima è lo stesso che denunciò Mustafa Tolba?
REMIGIO BENNI. Esatto. Era il nome che non riuscivo a ricordare del direttore dell'ONDP.
ELETTRA DEIANA. Lei prima ha fatto riferimento ad una segnalazione che sarebbe arrivata - mi sembra di aver capito - a lei dal comando italiano circa il tentativo di avere notizie su quanto era accaduto.
ELETTRA DEIANA. Mi può ricostruire questa circostanza? Lei dove si trovava?
REMIGIO BENNI. In quel momento io ero a Mogadiscio.
ELETTRA DEIANA. Cioè, prima della sua partenza per Nairobi?
ELETTRA DEIANA. Quindi, il 16, visto che lei è partito il 17.
REMIGIO BENNI. Esatto. Mi telefonò uno degli ufficiali del comando italiano, uno dei collaboratori del generale Loi, che comandava la missione italiana; no, a quel tempo era il generale Fiore. Chiedo scusa, i nomi si sovrappongono, può succedere. Mi telefonò per dirmi che la RAI aveva cercato di contattare Ilaria, ma non c'era riuscita, e mi chiese se io avessi modo di parlarle e di metterli in comunicazione. Risposi che a me risultava che fosse partita da Mogadiscio, e quindi che non avevo alcuna possibilità di rintracciarla; però, non avevo informazioni di alcun genere su motivi di allarme per quel che la riguardava.
ELETTRA DEIANA. Questo sarebbe accaduto il 16?
REMIGIO BENNI. Credo proprio di sì, perché non è possibile collocarlo in nessun altro momento.
ELETTRA DEIANA. Ma è normale che la RAI telefonasse?
REMIGIO BENNI. Se l'ANSA mi avesse cercato e non mi avesse trovato avrebbe chiamato il comando italiano, che era il riferimento intorno al quale si potevano rintracciare i giornalisti, gli italiani.
ELETTRA DEIANA. Grazie, ho concluso.
PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Motta.
CARMEN MOTTA. Dottor Benni, lei ha avuto notizia che la comunità di Saman, comunità terapeutica fondata da Rostagno... Ce l'ha presente?
REMIGIO BENNI. Rostagno sì. Non sapevo il nome di Saman.
CARMEN MOTTA. Sapeva che questa comunità aveva intenzione di costruire un ospedale, un ambulatorio, comunque un presidio sanitario a Bosaso?
REMIGIO BENNI. Non ne ho ricordo.
CARMEN MOTTA. Quindi, lei non sa se nei giorni in cui Ilaria era presente a Bosaso poteva essere eventualmente presente Vincenzo Cammisa, che faceva parte della comunità?
REMIGIO BENNI. Ahimè, no. Ci sono alcune cose che, chissà perché, ricordo con molta lucidità, ed altre no.
REMIGIO BENNI. Questo è anche oggetto di polemica con mia moglie!
Purtroppo questo nome non mi dice niente. Magari guardando i miei appunti di quel tempo potrei trovarlo, ma lo escluderei.
CARMEN MOTTA. Se fosse, sarebbe sempre in tempo a segnalarcelo.
PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Bulgarelli.
MAURO BULGARELLI. Dottor Benni, relativamente al maresciallo Li Causi, ritengo che avrà seguito anche questo caso.
MAURO BULGARELLI. La domanda concerne i rapporti che potrebbero essere intercorsi tra Li Causi ed Ilaria Alpi.
REMIGIO BENNI. Direttamente, non ne ho informazione. Ovviamente eravamo in contatto con molti degli ufficiali e dei quadri militari, quindi non posso escluderlo, ma non ho diretta conoscenza di rapporti tra di loro.
MAURO BULGARELLI. Lei aveva rapporti con il maresciallo Li Causi?
REMIGIO BENNI. No, tant'è vero che quando lui fu ucciso rimasi abbastanza sorpreso di non sapere della sua presenza lì.
MAURO BULGARELLI. Non lo aveva incontrato in precedenza?
MAURO BULGARELLI. In secondo luogo, non so se lei ricorda, ma circa 18 giorni prima della morte di Ilaria, se non erro il 2 marzo, in Sardegna un elicottero della finanza con due elicotteristi a bordo, per cause a tutt'oggi ignote, è esploso in aria mentre stava sorvolando per controllo un'imbarcazione, e l'unica cosa di cui si è certi è che si trattava di una nave che portava container, come immagino tante altre. Pare che questo elicottero sia stato proprio abbattuto, stando al racconto di una delle poche persone che hanno assistito al fatto. Si ricorda di questo avvenimento?
MAURO BULGARELLI. Anche perché si parlò poi dell'arrivo di un carico di armi intorno al 16 marzo in Somalia proveniente dall'Italia. Lei prima ha parlato di Talamone; non sa se in Sardegna sia mai accaduto qualcosa di questo genere?
REMIGIO BENNI. Le uniche circostanze di cui sono a conoscenza, peraltro indirettamente, attraverso gli articoli di giornale, sono quelle che ho riferito. Ricordo di aver sentito in televisione un'intervista ad un marinaio che era in servizio su una delle navi della Shifco, che dichiarava di aver visto casse di armi, ma poi sembrò che quell'intervista non avesse alcuna logica, in quanto la dichiarazione risaliva ad un periodo... Rispetto a circostanze non somale, non riguardanti quel territorio, non ho mai avuto particolare attenzione, se non per cose che avevo avuto modo di conoscere in Somalia o a Nairobi, mentre ero lì.
PRESIDENTE. Do nuovamente la parola all'onorevole Deiana.
ELETTRA DEIANA. Desidero formulare ancora due domande. La prima è questa: Carmen Lasorella ha avuto mai modo di raccontarle che il 18 marzo (secondo quello che noi abbiamo ricostruito), poiché aspettavano il ritorno di Ilaria Alpi, che invece aveva perso l'aereo, fu attivato un meccanismo di ricerca che investì i militari italiani?
REMIGIO BENNI. No. Adesso non...
ELETTRA DEIANA. Secondo quanto lei ci ha detto, la ricerca di Ilaria Alpi sarebbe scattata due volte.
REMIGIO BENNI. Evidentemente sì. Sempre che la mia memoria non mi faccia spostare le cose. Ma siccome il 18 io non ero a Mogadiscio, lo escluderei.
ELETTRA DEIANA. Lei poco fa ha detto di ricordare come possibile una cena da Marocchino prima della sua partenza per Nairobi.
ELETTRA DEIANA. Ricorda chi poteva essere presente a questa cena? Ha memoria dei partecipanti?
REMIGIO BENNI. No, non credo. Credo che ci fosse Odinzoff con me, poi...
ELETTRA DEIANA. Carmen Lasorella c'era?
REMIGIO BENNI. Non mi sembra proprio. No, c'erano dei somali, probabilmente.
ELETTRA DEIANA. C'erano dei somali?
REMIGIO BENNI. Mi chiede veramente tanto.
ELETTRA DEIANA. Lei ha memoria di gente che normalmente incontrava a Mogadiscio, oppure no?
REMIGIO BENNI. Sì, c'erano dei maggiorenti somali, c'erano degli esponenti di varie fazioni, che cercavano alleanze, sembrava che stessero raggiungendo in qualche modo un qualche accordo politico.
ELETTRA DEIANA. C'era l'ingegnere Mugne?
REMIGIO BENNI. Io l'ingegnere Mugne l'ho incontrato soltanto a Nairobi, molto tempo dopo, perché mi fu presentato da un collega, Pietro Petrucci, che lui conosceva. Ma in Somalia non l'ho mai incontrato.
PRESIDENTE. Desidero, a questo punto, rivolgerle io ancora una domanda. La strada Garoe-Bosaso le dice qualcosa?
REMIGIO BENNI. Ne abbiamo parlato prima. È una strada che è stata costruita con i fondi della cooperazione italiana ed alla quale ha contribuito, in qualche modo, Marocchino con trasporti, credo, di cemento, materiali, eccetera.
PRESIDENTE. Fu una strada che costò parecchie centinaia di miliardi.
REMIGIO BENNI. Sì, questo lo sapevo. Avevo letto qualche cosa che riguardava un po' uno scandalo.
PRESIDENTE. Uno scandalo nel senso, appunto, che si trattava praticamente di una spianata di asfalto sulla sabbia del deserto. Sostanzialmente questo.
MAURO BULGARELLI. Un vero pozzo senza fondo!
PRESIDENTE. Sì, un pozzo senza fondo. Ha mai sentito parlare della utilizzazione di questa strada per la trivellazione di pozzi in cui interrare rifiuti tossici o addirittura radioattivi?
PRESIDENTE. Non ha mai sentito parlare di questo?
PRESIDENTE. Altra cosa: in quel momento, marzo 1994, tra le due fazioni, tra Aidid e Ali Mahdi, chi era più forte?
REMIGIO BENNI. Io ritengo che fossero deboli entrambi.
PRESIDENTE. Allora, chi era il meno debole?
REMIGIO BENNI. Ali Mahdi tentava sicuramente di avere più accreditamenti presso le Nazioni unite e presso gli americani, anche perché Aidid aveva perso, in qualche modo, il suo aplomb dopo le vicende del 1993. In realtà, poi, nel dicembre 1993 gli americani accompagnarono Aidid ad Addis Abeba a fare una delle tante trattative di pace. Dunque, misurare con precisione chi fosse più potente e chi meno è abbastanza difficile. Ali Mahdi sembrava sicuramente più in controllo del suo territorio, della sua area di Mogadiscio nord, però c'erano molti dei suoi alleati che si stavano distaccando da lui.
PRESIDENTE. E chi era più vicino all'integralismo islamico, Ali Mahdi o Aidid?
REMIGIO BENNI. Non glielo so proprio dire, perché credo che tutti e due tentassero degli accordi e dei contatti, forse Ali Mahdi in maniera più coperta, Aidid in maniera più evidente. Però per tutti e due era un problema, credo, di credibilità. Ali Mahdi si aspettava dei soldi, e credo che ne abbia anche avuti,
dall'Arabia Saudita per aprire delle moschee e per istituire dei tribunali islamici; però non mi ricordo se era in quel periodo o subito dopo.
PRESIDENTE. Lei ha avuto notizia che il giorno prima dell'uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sia stata uccisa un'altra giornalista americana a Mogadiscio?
REMIGIO BENNI. No. Se posso, vorrei chiedere io se questa storia della giornalista americana sia una notizia recente.
PRESIDENTE. Sì, è una notizia che abbiamo avuto un mese fa. Anzi, mi scusi, ma, secondo quanto mi sta dicendo un consulente della Commissione, devo correggermi: la giornalista americana è stata uccisa il 19 giugno.
Ha chiesto nuovamente la parola l'onorevole Deiana.
ELETTRA DEIANA. Torno sull'accesso all'albergo Hamana per chiederle quale fosse, normalmente, per lei e gli altri giornalisti che soggiornavano in questo albergo, la prassi per entrare.
REMIGIO BENNI. Ci spalancavano il cancello e entravamo con la macchina.
ELETTRA DEIANA. Il cancello nel viale interno o all'esterno?
REMIGIO BENNI. Non c'era un viale, c'era uno spiazzo. Si entrava...
REMIGIO BENNI. No, proprio dall'ingresso principale. C'è uno spiazzo: si apriva il cancello, si entrava nello spiazzo...
ELETTRA DEIANA. Era un'unica entrata?
REMIGIO BENNI. Sì, perché c'era un cancello piccolo che si apriva quando entravano i pedoni, mentre quando entravano le macchine si apriva tutto il cancello e si accedeva a questo spiazzo.
ELETTRA DEIANA. E le macchine entravano nel cancello?
ELETTRA DEIANA. Quindi arrivavano in una zona protetta rispetto alla strada.
REMIGIO BENNI. Direi di sì, senz'altro. Senz'altro, perché si temeva che scendendo dalla macchina ci fosse qualcuno.
ELETTRA DEIANA. Invece Ilaria Alpi non entrò dentro.
ELETTRA DEIANA. Si fermò fuori dal cancello.
REMIGIO BENNI. Almeno, questa è la ricostruzione che ci raccontano. Certo.
ELETTRA DEIANA. Ma questo era normale? Succedeva che alcuni facessero una cosa del genere?
REMIGIO BENNI. Poteva succedere se si prevedeva che fosse una sosta rapida, se non si prevedeva di fermarsi a lungo, anche per una ragione di semplificazione delle procedure, diciamo.
ELETTRA DEIANA. Lei, prima, ha detto di aver conosciuto Mugne attraverso la presentazione di...?
REMIGIO BENNI. Pietro Petrucci, sì.
REMIGIO BENNI. È un giornalista che oggi lavora, se non sbaglio, presso l'Unione europea, a Bruxelles, e che, addirittura, dirigeva la rivista della cooperazione italiana durante il regime di Siad Barre. Credo che abbia seguito una serie di famosi progetti della cooperazione, tra cui, probabilmente, anche le tre navi della Shifco; non so della strada di Bosaso, perché di questo non abbiamo mai parlato, ma sicuramente, per esempio, l'impianto
di urea, fuori Mogadiscio. Insomma, era uno che sapeva le cose ed aveva lunga consuetudine di rapporti con la Somalia, con il regime di Siad Barre.
PRESIDENTE. Di questo prendiamo nota.
REMIGIO BENNI. Tra l'altro, in quel periodo collaborava con L'Espresso, scriveva cose per L'Espresso.
PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, possiamo ringraziare Remigio Benni.
REMIGIO BENNI. Sono io che ringrazio voi. Spero di essere stato utile.
PRESIDENTE. Utilissimo.
Dichiaro concluso l'esame testimoniale del signor Remigio Benni.
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