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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame testimoniale del giornalista, dottor Giovanni Porzio, al quale faccio presente che è qui ascoltato in veste di testimone,
con l'obbligo, quindi, di dire la verità, e lo avverto, solo per dovere d'ufficio, delle conseguenti sanzioni penali in caso di testimonianza falsa o reticente.
Le chiedo, innanzitutto, le sue generalità.
GIOVANNI PORZIO. Giovanni Porzio, nato il 2 maggio 1951, residente a Robecco sul Naviglio, provincia di Milano.
PRESIDENTE. Attualmente in servizio sempre a Panorama?
GIOVANNI PORZIO. A Panorama, sì.
PRESIDENTE. È stato ascoltato in altre occasioni, da altre autorità giudiziarie?
GIOVANNI PORZIO. Dal giudice De Gasperis, dal giudice Pititto, dal giudice Ionta, dalla Commissione Gallo, che, però, non c'entrava con questo ma era sulle torture fatte dai soldati italiani, e dalla Commissione parlamentare sulla cooperazione.
PRESIDENTE. Benissimo. Ha detto sempre la stessa cosa, naturalmente?
GIOVANNI PORZIO. Sì, ma più passa il tempo, più i miei ricordi sfumano.
PRESIDENTE. Ma noi cerchiamo di indirizzarci sulle cose che riguardano più specificatamente l'uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
GIOVANNI PORZIO. A questo proposito, se mi posso permettere, io ho una documentazione fotografica che riguarda il corpo di Ilaria sia al momento dell'uccisione, sia quando l'abbiamo trasportata al porto di Mogadiscio ed è intervenuto il medico militare per cercare di rianimarla. Sono delle foto che, forse, vi possono interessare come documentazione.
PRESIDENTE. I nostri reperti fotografici non riguardano quella parte, quindi se ci fa avere quelle foto gliene saremo grati.
RAFFAELLO DE BRASI. Non ha mai consegnato quelle foto a nessuno?
PRESIDENTE. Questa è una «bellissima» notizia, nella tragedia di cui ci stiamo interessando. Lei abita a Roma?
GIOVANNI PORZIO. No, a Milano.
PRESIDENTE. Se vuole, possiamo mandare qualcuno Milano.
GIOVANNI PORZIO. Io le posso raccogliere: in parte sono diapositive, che farei duplicare, per mantenerne una copia.
PRESIDENTE. Dunque, il dottor Porzio ci comunica di avere a disposizione il materiale fotografico relativo ai momenti successivi all'agguato ad Ilaria Alpi e sino al momento in cui fu caricata sull'elicottero e dichiara di mettere a disposizione della Commissione l'originale. La Commissione lo ringrazia e si riserva di stabilire le modalità in cui tale materiale potrà essere acquisito agli atti.
Nel marzo 1994 lei dove si trovava?
GIOVANNI PORZIO. Il 20 marzo 1994 a Mogadiscio. Ero arrivato da un giorno o due.
PRESIDENTE. Da un giorno o due?
GIOVANNI PORZIO. Sì, credo di essere arrivato proprio il 19 o il 18. Non ricordo bene, comunque ero appena arrivato.
PRESIDENTE. È arrivato da solo o in compagnia di qualcuno?
GIOVANNI PORZIO. Ero con la mia attuale compagna, Gabriella Simoni.
PRESIDENTE. Quindi, c'è da presumere che siate arrivati il 19.
GIOVANNI PORZIO. Mi pare nella tarda mattinata, da Mombasa.
GIOVANNI PORZIO. Arrivati all'aeroporto, prendemmo un auto privata, una specie di taxi...
PRESIDENTE. Quindi, non avevate nessuno che vi aspettasse.
GIOVANNI PORZIO. No, anche perché l'orario di arrivo dell'aereo era sempre molto variabile.
PRESIDENTE. Sapevate già dove avreste alloggiato?
GIOVANNI PORZIO. No. Generalmente, a seconda delle circostanze, a seconda delle situazioni di pericolo che incontravamo sul terreno, noi andavamo ad alloggiare a Mogadiscio nord o a Mogadiscio sud, in albergo o presso organizzazioni non governative. In quella occasione era nostra intenzione andare all'hotel Sahafi, dove, peraltro, alloggiavano anche Miran e Ilaria, e infatti ci facemmo portare dall'auto davanti alla albergo. Quando arrivammo davanti all'albergo, però, la macchina fu attorniata da un gruppo di uomini armati, con aria molto minacciosa.
GIOVANNI PORZIO. La nostra, quella sulla quale eravamo. Decidemmo, a quel punto, di non fermarci al Sahafi, che ci sembrava poco sicuro, e di andare a casa di Giancarlo Marocchino, che era l'unica persona che sapevamo che era sul posto e poteva ragguagliarci sulla situazione di pericolo e consigliarci dove andare a dormire.
ELETTRA DEIANA. Ha detto di essere arrivato a Mogadiscio il 19?
GIOVANNI PORZIO. Sì, da Mombasa, con un volo militare italiano.
GIOVANNI PORZIO. Quindi andammo da Giancarlo Marocchino, nella sua casa, e lui, in effetti, ci disse subito che la situazione a Mogadiscio era molto tesa e c'erano dei problemi di sicurezza gravi, peggiori rispetto alla volta precedente - io mancavo da Mogadiscio da alcuni mesi -, per cui ci consigliava di rimanere a dormire a casa sua dove, peraltro, alloggiava anche Carmen Lasorella, la collega del TG2. Carmen era sul posto, mentre il suo operatore, Romolo Paradisi, era già a bordo della nave Garibaldi, perché avrebbe dovuto fare il viaggio di ritorno con il nostro contingente; infatti, il giorno successivo, 20 marzo, era il giorno in cui è l'esercito doveva lasciare Mogadiscio.
PRESIDENTE. In questo frangente lei ha conosciuto il generale Fiore?
PRESIDENTE. Quando lo ha conosciuto?
GIOVANNI PORZIO. L'ho conosciuto a Mogadiscio, non ricordo... Io sono stato a Mogadiscio moltissime volte in quel periodo, andavo e venivo...
PRESIDENTE. Quindi già lo conosceva il 19?
GIOVANNI PORZIO. Sicuramente lo conoscevo da prima. Se l'ho conosciuto due o tre mesi prima, non lo ricordo.
PRESIDENTE. Quando si verifica questa situazione all'hotel Sahafi, per cui decideste di andare da Marocchino, lei ebbe modo di contattarlo o di essere contattato dal generale Fiore?
GIOVANNI PORZIO. No. Il generale Fiore era già a bordo della nave Garibaldi, come tutto il resto del contingente, tranne un piccolo gruppo di carabinieri che stava con il nostro ambasciatore Scialoja a Mogadiscio sud.
PRESIDENTE. Dunque, arrivate il 19. A che ora?
GIOVANNI PORZIO. Credo nella tarda mattinata.
PRESIDENTE. Siete andati verso l'hotel Sahafi e da lì...
GIOVANNI PORZIO. Ci rendiamo conto che non è sicuro e decidiamo di andare da Marocchino. Troviamo Marocchino, troviamo Carmen Lasorella...
GIOVANNI PORZIO. La moglie di Marocchino e il bambino (un bambino adottato, piccolo). Basta.
PRESIDENTE. Chi altro avete incontrato?
GIOVANNI PORZIO. A casa di Marocchino c'erano solo queste persone.
PRESIDENTE. Complessivamente chi avete incontrato sino al momento dell'uccisione di Ilaria Alpi? Marocchino, Lasorella, poi?
GIOVANNI PORZIO. Marocchino, Lasorella, la moglie di Marocchino...
PRESIDENTE. Il suo operatore, Paradisi, l'avete conosciuto?
GIOVANNI PORZIO. Io lo conoscevo da prima, ma non l'abbiamo visto perché era già sulla nave Garibaldi. L'ho incontrato poi il giorno dopo, a bordo della nave. No, non incontrammo altre persone. Quel giorno rimanemmo così, per ambientarci un poco, perché eravamo stanchi del viaggio, a casa di Marocchino. E lì per la prima volta sentimmo parlare della questione di Ilaria.
PRESIDENTE. Da chi, da Carmen Lasorella?
GIOVANNI PORZIO. Da Carmen e da Marocchino.
PRESIDENTE. A casa di Marocchino?
GIOVANNI PORZIO. A casa di Marocchino.
PRESIDENTE. Presente Marocchino, tutti e due insieme?
GIOVANNI PORZIO. Presenti Marocchino e Carmen Lasorella. E ci dissero che erano stati molto preoccupati per Ilaria e Miran perché, sostanzialmente, non avevano dato loro notizie per un paio di giorni. Ci dissero - questo è quello che ricordo - che sarebbero dovuti partire con un volo dell'Unosom perché volevano andare nel sud, a Chisimaio, ma che questo volo non lo avevano più preso, non so se perché avevano cancellato il volo o c'era stato un cambio di programma, e invece avevano preso un volo per Bosaso, nel nord.
PRESIDENTE. Mi scusi: Chisimaio cosa rappresenta?
GIOVANNI PORZIO. È una città nel sud, dalla parte opposta di Bosaso.
PRESIDENTE. Quindi loro due giorni prima...
GIOVANNI PORZIO. Due o tre giorni prima...
PRESIDENTE. Due o tre giorni prima. Siamo al 19, quindi il 16 o il 17...
GIOVANNI PORZIO. Se due, tre o quattro giorni adesso non ricordo, anche perché non c'ero.
PRESIDENTE. Dovevano andare...
GIOVANNI PORZIO. Volevano andare a Chisimaio. Chisimaio, in effetti, era interessante e molti di noi ci volevano andare, perché era una zona di forti combattimenti, dove c'era una situazione molto interessante dal punto di vista giornalistico e pochi giornalisti erano riusciti ad andare. Avevano saputo che c'era questo voto per Chisimaio e volevano salirci sopra.
GIOVANNI PORZIO. Sì, un volo Unosom.
PRESIDENTE. Che partiva da dove?
GIOVANNI PORZIO. Da uno degli aeroporti di Mogadiscio, non so da quale, per andare a Chisimaio.
PRESIDENTE. Quindi questo fa presupporre che fossero a Mogadiscio nei due o tre giorni prima. Se dovevano partire da Mogadiscio alla volta di Chisimaio, si presume che fossero a Mogadiscio.
GIOVANNI PORZIO. Certo, certo che erano Mogadiscio.
PRESIDENTE. Questo è importante.
GIOVANNI PORZIO. Però non so dire se fossero tre giorni o quattro.
PRESIDENTE. A noi questo punto interessa molto, dottore. Lei sta parlando del 19 marzo?
PRESIDENTE. Carmen Lasorella e Marocchino parlano della preoccupazioni che avevano per Ilaria Alpi perché da due o tre giorni non davano notizie.
GIOVANNI PORZIO. Non davano notizie.
PRESIDENTE. E lì lei apprende anche che si sarebbero voluti recare a Chisimaio.
PRESIDENTE. Chi le ha detto questo?
GIOVANNI PORZIO. Marocchino e Lasorella.
PRESIDENTE. Volevano andare a Chisimaio partendo da Mogadiscio.
GIOVANNI PORZIO. Partendo da Mogadiscio. Invece, poi, si erano tranquillizzanti perché avevano scoperto che erano andati a Bosaso e stavano bene. Lo avevano scoperto, credo, attraverso la RAI; cioè, Miran e Ilaria si erano fatti vivi con la loro redazione, a Roma, dicendo che stavano a Bosaso e stavano lavorando là. Questa notizia poi è arrivata, penso, a Carmen, poiché lavoravano nella stessa azienda, per cui si sono tranquillizzanti, perché sapevano che erano a Bosaso.
PRESIDENTE. Quindi, la notizia era che volevano andare a Chisimaio, non che volevano rientrare. Volevano andare in una località diversa da Mogadiscio.
GIOVANNI PORZIO. Sì, certo. Rientrare non credo proprio. Loro volevano andare a fare un servizio a Chisimaio. Non trovando l'aereo, magari perché il volo era stato cancellato - i voli erano molto aleatori - , hanno trovato però un volo che andava a Bosaso: altra storia interessante, perché era nel nord della Somalia e non c'erano mai andati (nemmeno noi, del resto), per cui probabilmente hanno deciso di andare a Bosaso, approfittando di quell'aereo che ci andava, e di fare qualche giorno a Bosaso. Questo è quello che io so.
PRESIDENTE. Quindi, la notizia che voi avete da Marocchino e da Carmen Lasorella non è che Ilaria e Miran dovessero rientrare da Bosaso?
GIOVANNI PORZIO. Rientrare verso l'Italia, lei dice?
GIULIO SCHMIDT. È in partenza da Mogadiscio.
PRESIDENTE. Lui dice il contrario. Il dottor Porzio dice questo: la notizia è che loro si trovavano a Mogadiscio e da Mogadiscio volevano andare a Chisimaio; invece, poi, si apprende che erano andati a Bosaso.
PRESIDENTE. La domanda successiva è: allora non corrisponde a quello che ricorda (dobbiamo considerare che parliamo a dieci anni di distanza) che, invece, la notizia avuta da Carmen Lasorella e da Marocchino è che Ilaria Alpi e Miran Hrovatin dovevano rientrare da Bosaso quei due o tre giorni prima?
GIOVANNI PORZIO. No, quello che io ricordo è che loro ci dissero: sono a Bosaso e devono rientrare a Mogadiscio; li stiamo aspettando.
PRESIDENTE. La ragione per la quale non sono andati a Chisimaio è che non trovarono l'aereo, quindi andarono a Bosaso.
GIOVANNI PORZIO. «Non possiamo andare a Chisimaio. C'è un aereo che va a Bosaso: sì, andiamo a Bosaso».
PRESIDENTE. D'accordo. Quindi, non viene detto in quella circostanza che loro avevano perso l'aereo o non avevano trovato l'aereo per tornare da Bosaso.
PRESIDENTE. Questo è quello che volevo sapere.
GIOVANNI PORZIO. Un momento: poi c'è anche questa circostanza.
PRESIDENTE. C'è la seconda circostanza.
GIOVANNI PORZIO. Perché perdono anche l'aereo per tornare da Bosaso.
PRESIDENTE. Una cosa per volta.
PRESIDENTE. Dunque, questo è il contenuto del colloquio. Poi cosa succede?
GIOVANNI PORZIO. No, il colloquio va avanti. Noi chiediamo: «Allora cosa fanno, rientrano qua a Mogadiscio?». «Sì, dovevano rientrare oggi» o qualcosa del genere, o «Dovevano rientrare ieri, però non sono rientrati, allora di nuovo ci siamo preoccupati. Però sembra che abbiano perso l'aereo per rientrare da Bosaso a Mogadiscio».
PRESIDENTE. Quindi sono due aerei diversi.
GIOVANNI PORZIO. Sì, esattamente.
PRESIDENTE. Le risulta che Ilaria Alpi avesse proposto a Lasorella o Lasorella avesse proposto e Ilaria Alpi di andare insieme a Bosaso?
GIOVANNI PORZIO. No, non mi risulta.
PRESIDENTE. E di questa ragione di andare a Bosaso da parte di Ilaria conosce qualche particolare? C'erano motivi giornalistici che potevano indurla? Per Chisimaio, lei ha detto che si trattava di un posto di guerra molto attivo, per così dire, per cui per i giornalisti era di particolare interesse. Per Bosaso?
GIOVANNI PORZIO. Non sono a conoscenza di motivazioni specifiche. Quello che posso supporre, sapendo come lavoriamo noi e conoscendo Ilaria, è che
essendosi trovati già all'aeroporto, pronti per partire per un'altra destinazione e avendo perso questa opportunità, scoprono che c'è un altro aereo, che va in un altro posto, sicuramente meno interessante di Chisimaio dal punto di vista militare, e decidono di approfittarne. I voli che uscivano da Mogadiscio erano molto rari, era molto difficile spostarsi da Mogadiscio, tutti cercavano di fare dei servizi un po' diversi e chi andava nel nord, chi nel sud; quando c'era un opportunità, un aereo che partiva, si cercava comunque di prenderlo, magari anche senza avere uno scopo preciso, ma tanto per andare a vedere un posto diverso da Mogadiscio e fare un servizio un po' diverso. Questo è quello che io suppongo. Se poi lei avesse altre motivazioni più precise per andare a Bosaso, questo non lo so.
PRESIDENTE. Dottor Porzio, quando Carmen Lasorella diceva che avevano raccolto notizie tranquillizzati su Ilaria e su Hrovatin, le ha anche detto da chi le avevano ricevute?
GIOVANNI PORZIO. No. Non me lo hanno detto, ma io penso che le notizie siano arrivate attraverso la RAI, perché so per certo che Ilaria si è messa in contatto da Bosaso con la sua redazione, forse con il direttore Giubilo, e Carmen, probabilmente, si sarà informata attraverso la sua redazione, che le avrà comunicato «stanno a Bosaso, stanno bene». Questo è quello che ricordo.
PRESIDENTE. Le risulta di un interpello fatto alle autorità militari ancora presenti a Mogadiscio da parte di qualcuno, a cominciare da Carmen Lasorella, per capire se fosse successo qualcosa ad Ilaria e a Hrovatin?
GIOVANNI PORZIO. No, non mi risulta. Credo, però, che o Fiore o Scialoja dovrebbero saperlo.
PRESIDENTE. Lei è mai andato a Bosaso?
PRESIDENTE. Quindi, il 19 succede questo: rimanete lì a casa di Marocchino...
GIOVANNI PORZIO. Facciamo questa chiacchierata, ci raccontano di Ilaria...
PRESIDENTE. Avete cenato, poi siete usciti, avete fatto qualcosa?
GIOVANNI PORZIO. Abbiamo pranzato ma no, credo che quel giorno non siamo neanche usciti di casa. Il 20 sì, ma il 19 no.
PRESIDENTE. Ci dica bene tutto quello che avete fatto il 20 mattina.
GIOVANNI PORZIO. Il 20 mattina ci alziamo, ovviamente, facciamo colazione, dopodiché decidiamo di andare all'hotel Hamana.
PRESIDENTE. Che cos'è l'hotel Hamana?
GIOVANNI PORZIO. L'hotel Hamana era interessante perché era l'ufficio dell'ANSA. Remigio Benni, che era il corrispondente dell'ANSA, aveva ormai da vario tempo installato il proprio ufficio in una stanza dell'hotel Hamana.
PRESIDENTE. Ci siete andati con la scorta?
GIOVANNI PORZIO. È stata una stupidaggine. Comunque, ogni tanto si fanno, purtroppo.
Lì all'hotel Hamana ci dovevano essere anche altri colleghi che solitamente vi alloggiavano e che pensavamo fossero ancora lì, cioè Vladimiro Odinzoff di la Repubblica... poi c'era la troupe di RAIUNO, doveva esserci Cervone con l'operatore Mauro Maurizi... queste erano le persone che ricordo dovevano stare
all'Hamana. Invece, andiamo all'Hamana e scopriamo... Intanto andiamo senza scorta: Marocchino ci aveva assolutamente sconsigliato di girare senza scorta e ci aveva detto che ce l'avrebbe procurata lui, però quella mattina la scorta ancora non era arrivata, non era pronta e siccome l'hotel Hamana è molto vicino a casa di Marocchino, abbiamo preso una Panda che era lì nel compound di Marocchino, con un autista, e ci siamo comunque fatti portare all'hotel Hamana, perché volevamo parlare con i colleghi presenti a Mogadiscio in quei giorni, in particolare con Remigio Benni dell'ANSA, che era l'uomo che stava fisso a Mogadiscio.
PRESIDENTE. Invece non c'erano.
GIOVANNI PORZIO. Invece arriviamo all'Hamana e scopriamo che da pochissimi giorni (due o tre giorni, o addirittura uno) erano tutti andati via, sia i colleghi della RAI che quelli di Repubblica, che Remigio Benni, erano tutti andati a Nairobi.
PRESIDENTE. E perché a Nairobi?
GIOVANNI PORZIO. Il problema è questo: lì ci si dava un po' dei turni...
PRESIDENTE. E Marocchino non sapeva che erano andati via?
GIOVANNI PORZIO. Non glielo abbiamo chiesto. Era stata una nostra iniziativa questa e Marocchino era già uscito presto quella mattina. Remigio, dell'ANSA, che era stato lì molti, molti mesi, essendo ormai finita la missione del contingente italiano probabilmente riteneva che fosse arrivato per lui il momento di andarsi riposare qualche giorno o qualche settimana a Nairobi (ogni tanto si andava un po' a riposare a Nairobi, perché a Mogadiscio era pesante). Quindi, arriviamo all'hotel Hamana e i guardiani ci dicono che non c'è nessuno, che sono andati via tutti e ci raccontano questa cosa. A quel punto, noi risaliamo in macchina e ritorniamo...
PRESIDENTE. Mi scusi. L'hotel Hamana è quello dove poi si sarebbe recata Ilaria?
PRESIDENTE. Dunque, quando voi siete andati a questo albergo - ha detto che ci siete andati con una Panda e senza scorta - è stata una grande imprudenza, però non è successo niente, grazie a Dio.
PRESIDENTE. Ma le chiedo: avete notato movimenti o altro? Che distanza temporale c'era dal momento in cui voi siete andati all'hotel Hamana e quello in cui ci è andata Ilaria?
GIOVANNI PORZIO. Quattro ore, direi.
PRESIDENTE. Quindi, quattro ore prima lo scenario era completamente tranquillo.
GIOVANNI PORZIO. Lo scenario era tranquillo. Tenga conto che era mattina e la città cominciava ad animarsi più tardi, anche perché nelle prime ore del mattino i somali...
GIOVANNI PORZIO. Più che il caldo, il fatto è che masticano tutti il qat, una droga più o meno leggera che però assumono in grosse quantità, per cui tendono a dormire fino a tardi la mattina. È un motivo molto banale. La mattina il risveglio della città è molto lento, la mattina la città è torpida, la gente che va in giro è poca.
PRESIDENTE. La zona antistante l'albergo era presidiata? C'erano poliziotti?
GIOVANNI PORZIO. No, c'erano come sempre alcuni banchettini: la venditrice di tè, che stava sempre là di fronte, poi qualche passante. Là di fronte, nel compound della nostra ex ambasciata c'era la
polizia somala, quindi, sì, c'era qualche poliziotto sfaccendato lì davanti. Comunque, dicevo che siamo risaliti in macchina e siamo rientrati alla casa di Marocchino.
PRESIDENTE. Avete pranzato lì?
GIOVANNI PORZIO. No, mi pare che quel giorno non abbiamo pranzato, o stavamo per pranzare. Perché nella tarda mattinata - era forse mezzogiorno, ormai....
GIOVANNI PORZIO. No, Marocchino era fuori.
PRESIDENTE.. Da quanto tempo era fuori?
GIOVANNI PORZIO. Quella mattina non lo abbiamo visto.
PRESIDENTE. Quando siete partiti da casa per andare all'hotel Hamana era in casa o era già uscito?
GIOVANNI PORZIO. No, era già uscito. Era uscito presto.
PRESIDENTE. Verso che ora siete rientrati?
GIOVANNI PORZIO. Intorno a mezzogiorno.
PRESIDENTE. Intorno a mezzogiorno Marocchino non c'era?
PRESIDENTE. Quindi quella mattina non lo avete visto mai. L'avete visto soltanto al momento dell'agguato.
GIOVANNI PORZIO. Sì, sì, dopo l'agguato.
GIOVANNI PORZIO. Insomma, rimaniamo lì in casa, un può incerti sul da farsi. Nel frattempo, Carmen Lasorella era partita, per rientrare in Italia. Quindi, siamo rimasti in casa io, Gabriella e la moglie di Marocchino, Faduma.
PRESIDENTE. E arriva una telefonata.
GIOVANNI PORZIO. Questo più tardi, verso le tre del pomeriggio.
PRESIDENTE. E Marocchino non è tornato.
GIOVANNI PORZIO. No. Verso le tre del pomeriggio, forse stavamo bevendo il tè, insomma in una situazione molto tranquilla... C'era sempre una radio accesa in caso di Marocchino, perché i telefoni non funzionavano, non esistevano telefoni, quindi le comunicazioni avvenivano soltanto via radio, col walkie-talkie, e Marocchino aveva una base radio proprio nel salotto di casa, sempre accesa, con la quale comunicava con la moglie. Ad un certo punto, la radio comincia a gracchiare e sentiamo la voce di Marocchino, molto agitata, che dice: «Giovanni, Giovanni, Gabriella, ho sentito che hanno ammazzato due italiani dalle parti dell'hotel Hamana». Noi ci alziamo in piedi allibiti, eccetera, eccetera, ci avviciniamo alla radio per prendere il ricevitore e di nuovo un'altra comunicazione di Marocchino, molto agitato, che dice: «È Ilaria, è Ilaria. Prendete subito la scorta e venite davanti all'hotel Hamana». Noi, a quel punto, ci precipitiamo fuori dalla casa, chiamiamo gli uomini della scorta, che erano chi a dormire, chi da una parte, chi dall'altra, li raduniamo velocemente e nel giro di pochi minuti riusciamo a partire dalla casa di Marocchino e ci dirigiamo verso l'hotel Hamana.
GIOVANNI PORZIO. Come tempo, ci avremo messo non più di cinque minuti ad arrivare. Poi non c'era traffico, siamo andati velocissimi. Ci siamo fermati, lungo
il percorso, presso un'altra casa, a poche centinaia di metri di distanza, per imbarcare altri uomini armati: avevamo due macchine e, quindi, avevamo una decina o una dozzina di uomini armati con noi.
PRESIDENTE. Quando siete arrivati là Marocchino c'era?
GIOVANNI PORZIO. Quando siamo arrivati quello che mi ricordo di aver visto è una folla di somali intorno a questa macchina.
PRESIDENTE. Civili o militari?
GIOVANNI PORZIO. Civili armati. Fra cui anche le guardie dell'albergo Hamana, anche loro armate, che erano uscite fuori.
PRESIDENTE. Militari italiani ce ne erano?
GIOVANNI PORZIO. No, no. Nessun militare in divisa. Poi, la macchina... Marocchino è praticamente in mezzo alla strada, al telefono, cioè alla radio, che sta urlando pesantemente non so se direttamente con il nostro ambasciatore, ma forse con i carabinieri dell'ambasciata, i quali dicevano che non potevano recarsi sul posto per qualche motivo.
PRESIDENTE. I carabinieri dell'ambasciata italiana?
GIOVANNI PORZIO. Sì, italiana.
GIOVANNI PORZIO. Io ricordo questo: Marocchino era molto innervosito dal fatto che, avendo avvertito subito l'ambasciata italiana, che stava...
PRESIDENTE. Mi scusi: una domanda interlocutoria. Altri giornalisti ce ne erano?
GIOVANNI PORZIO. Quando siamo arrivati noi, no.
PRESIDENTE. La TV svizzera se la ricorda?
GIOVANNI PORZIO. È arrivata dopo.
PRESIDENTE. È arrivata dopo di voi?
PRESIDENTE. Quindi Marocchino, sempre col walkie-talkie...
GIOVANNI PORZIO. Sempre col walkie-talkie...
PRESIDENTE. Aveva telefonato due volte a voi, adesso chiamava i carabinieri.
GIOVANNI PORZIO. Stava finendo la telefonata al nostro contingente dei carabinieri, che stava presso l'ambasciata che si era trasferita a Mogadiscio sud.
GIOVANNI PORZIO. Sì, dall'altra parte della cosiddetta linea verde, che separava la città.
PRESIDENTE. Quindi, quanti chilometri?
GIOVANNI PORZIO. Chilometri... La strada era un po' tortuosa, perché era piena di macerie, ma non sono grandi distanze: saranno stati forse tre o quattro chilometri. E i carabinieri gli avrebbero risposto che per arrivare all'Hamana avevano bisogno di autorizzazione; perché ci sono delle procedure, non è che i carabinieri prendono ed escono, evidentemente avevano bisogno di autorizzazione dell'ambasciatore, consultazioni... Insomma, tardavano ad arrivare. A quel punto, Marocchino si è rivolto direttamente alla nave Garibaldi, ai militari. Davanti a me ha chiamato la nave Garibaldi: non so chi gli abbia risposto, non so se il colonnello Cantone o il generale Fiore stesso o qualche ufficiale di bordo. Comunque gli hanno risposto: d'accordo, cercate di portare
i corpi al porto vecchio, rampa nord, e faremo arrivare un elicottero per portarli sulla nave.
PRESIDENTE. Ma i corpi... dati già per morti?
GIOVANNI PORZIO. I corpi... i termini che hanno usato non me li ricordo... poi, io non sentivo cosa dicevano dall'altra parte. Dunque, Marocchino finisce questa chiamata e mi dice: «Dobbiamo portarli al Porto Vecchio, perché mandano un elicottero dalla nave Garibaldi». Nel frattempo, noi ci siamo avvicinati alla macchina, abbiamo visto...
PRESIDENTE. Le cose che lei sta dicendo servono per descrivere quello che nel frattempo Marocchino faceva.
PRESIDENTE. Ma voi già vi eravate avvicinati.
GIOVANNI PORZIO. Sì, è la prima cosa che abbiamo fatto.
PRESIDENTE. Ci descriva bene quello che ha visto, anche perché dobbiamo metterlo in raccordo con i ricordi di sua moglie, che, per qualche parte, dobbiamo ancora approfondire. D'altra parte, siccome sappiamo bene che parliamo di ricordi, non stiamo facendo nessuna inquisizione; stiamo solo cercando di ricostruire.
GIOVANNI PORZIO. Il mio sforzo è quello di essere il più preciso possibile.
PRESIDENTE. Non si preoccupi di essere pedante: più pedante è, meglio è.
GIOVANNI PORZIO. Premetto che a me è capitato più di una volta di trovarmi in situazioni di quel tipo - colleghi ammazzati - e la cosa che sempre mi è capitata è che la memoria fa degli scherzi curiosi. In quella circostanza noi eravamo sotto shock, chiaramente, anche se in quel momento non ce ne rendevamo conto, quindi io ho come delle immagini fotografiche di questa scena che, curiosamente, a volte non coincidono con quelle di mia moglie; perché ci sono certi particolari, magari insignificanti, che colpiscono in maniera feroce e rimangono impressi nella memoria, mentre altri no. Ad esempio, per quanto riguarda il colore della macchina, io sono sempre stato convinto che fosse azzurrina, invece poi ho visto che la macchina era bianca. A volte la memoria fa brutti scherzi, per le circostanze, per la carica emotiva che avevamo in quel momento.
PRESIDENTE. La psicologia della testimonianza.
GIOVANNI PORZIO. È veramente impressionante: il tempo si dilata in una maniera incredibile, le immagini si sovrappongono. Comunque, quello che io ricordo sicuramente è la posizione di Miran e quella di Ilaria. Ilaria era sul sedile posteriore della macchina, accasciata in avanti. Miran era sul sedile davanti, a destra rispetto al volante, accanto al conducente quindi e, se ben ricordo, aveva la testa appoggiata all'indietro. Ricordo i vetri rotti e la macchina sforacchiata dai proiettili, l'autista fuori dalla macchina.
PRESIDENTE. L'autista fuori dalla macchina?
GIOVANNI PORZIO. Sì, era già uscito dalla macchina.
PRESIDENTE. Fuori dove, rispetto alla macchina?
GIOVANNI PORZIO. In mezzo alla strada.
PRESIDENTE. Lontano dalla macchina o vicino?
GIOVANNI PORZIO. A qualche metro dalla macchina.
PRESIDENTE. A qualche metro dalla macchina.
GIOVANNI PORZIO. Invece il ragazzo della scorta, questo Mohamud, non l'ho visto al momento.
PRESIDENTE. La macchina com'era?
GIOVANNI PORZIO. La macchina era contro il muro.
GIOVANNI PORZIO. Cerco di farle uno schizzo. Il mio ricordo è che la macchina era in una posizione per cui sembrava che facendo retromarcia avesse urtato contro il muro. L'autista mi ha detto che ha cercato di fare retromarcia quando ha visto gli uomini armati e facendo retromarcia, non so se a causa di una prima sparatoria o per l'agitazione, è andato a sbattere con la parte posteriore destra, o più esattamente con la fiancata destra della macchina ha strusciato contro il muro di cinta di questo edificio.
PRESIDENTE. Alleghiamo a verbale lo schizzo che è stato redatto dal dottor Porzio - su cui lo invito ad apporre la sua firma - dal quale risulta che l'auto fu trovata dallo stesso testimone con la parte posteriore destra addossata al muro, mentre per la relativa fiancata destra l'auto fu trovata scostata, sia pure non di molto, dal muro. Il dottor Porzio dichiara che gli è stato riferito che questa posizione dell'auto fu dovuta ad una marcia indietro ingranata dall'autista di fronte all'aggressione armata.
Lei Ilaria l'ha toccata, l'ha vista?
GIOVANNI PORZIO. Aveva soltanto un buco dietro la testa, sopra la nuca. E poi il dito.
PRESIDENTE. Sua moglie ci ha riferito di avere visto Ilaria distesa nella parte posteriore della macchina di Marocchino, alla quale adesso verremo.
PRESIDENTE. Ma nella macchina in cui è stata uccisa rimane nella parte posteriore, non c'era un ripiano. O c'era un ripiano nella macchina?
GIOVANNI PORZIO. No, no, perché era un pick up.
PRESIDENTE. Esatto. Invece, successivamente lei avrebbe notato sanguinare dalla parte sinistra dietro l'orecchio: lei ha proprio descritto una sorta di buco dal quale usciva del sangue.
GIOVANNI PORZIO. Era in questa posizione, se ricordo bene... Io questo ricordo: non ho visto altri fori, ho visto poco sangue...
PRESIDENTE. Come ha detto lei, qui si tratta di fotogrammi...
GIOVANNI PORZIO. Il fotogramma che ho io è di un foro, piccolo peraltro; capelli appiccicati dal sangue, ma l'impressione di un solo foro e poi, a parte l'anulare della mano destra, che era proprio scavato da un proiettile, per cui io ho pensato che avesse cercato di ripararsi e il proiettile le aveva trapassato il dito, altro... Invece Miran aveva più di un colpo.
GIOVANNI PORZIO. Devo dire la verità: in quei momenti il corpo di Miran non l'ho esaminato con attenzione...
PRESIDENTE. Perché era sicuro che fosse morto?
PRESIDENTE. Ilaria non era morta?
GIOVANNI PORZIO. Guardi, quello che mi ricordo è che il corpo era caldo. Se fosse già morta o se stesse morendo, questo, francamente, credo che solo un medico potesse capirlo. Aveva sicuramente gli occhi rivoltati, però.
PRESIDENTE. Ma perché è stata trasportata sulla macchina di Marocchino?
GIOVANNI PORZIO. Dunque, perché... I pick up, in effetti, sono molto piccoli, perché c'è il posto del guidatore, il posto a fianco e poi questo sedile lungo dietro, molto stretto, perché poi è tutto pianale posteriore. Quindi, per portare i due corpi giù al porto abbiamo deciso di portarli con la macchina di Marocchino, che era molto più grande, perché era un gippone...
PRESIDENTE. La ferita che ha descritto adesso lei l'ha vista quando Ilaria era ancora nella macchina in cui è stata uccisa o l'ha vista fuori?
GIOVANNI PORZIO. Quando l'abbiamo tirata fuori.
PRESIDENTE. Perfetto. Quando l'ha tirata fuori, va benissimo. Quindi, diceva che l'avete fatto perché la macchina di Marocchino era più comoda. Però c'era anche un maggior rischio: si dice che in queste situazioni sia meglio non muovere i corpi, perché rimuovendoli si può determinare qualche ulteriore pericolo.
GIOVANNI PORZIO. Ma non c'era alternativa, perché lì non sarebbe mai arrivato nessuno.
PRESIDENTE. Non potevate andare verso l'elicottero con la macchina in cui stavano?
GIOVANNI PORZIO. Avevamo tutti gli uomini della scorta da caricare, c'era anche un'altra persona insieme a Marocchino, l'autista...
PRESIDENTE. Tutta questa operazione l'avete fatta senza un militare che vi aiutasse, né italiano né straniero?
GIOVANNI PORZIO. No, nessuno. Ovviamente, dal punto di vista medico noi non potevamo far niente, non eravamo in grado di fare niente. L'unica cosa che ci era stata detta dai comandi italiani era di portarli al più presto al porto e questo abbiamo fatto. Li abbiamo estratti dalla macchina in cui erano e li abbiamo caricati sulla parte posteriore della macchina di Marocchino, di cui io ho le foto.
PRESIDENTE. Insieme lo avete fatto? Lei ha aiutato Marocchino? Chi ha fatto l'operazione, lei e Marocchino?
GIOVANNI PORZIO. È molto curioso come siano pesanti i corpi inanimati. Miran in particolare era molto robusto, quindi lo abbiamo trasportato in tre o quattro, almeno.
PRESIDENTE. Lei lo ha già detto in altre occasioni, in testimonianze che ha già reso, per cui si tratta di chiederle una conferma, una precisazione. Anche adesso ha detto di aver visto personalmente il foro nella testa di Ilaria. Ha visto un solo foro, vero?
PRESIDENTE. Lei ha parlato in varie occasioni di un colpo ravvicinato.
GIOVANNI PORZIO. A breve distanza?
GIOVANNI PORZIO. Non ricordo di avere detto questo.
GIOVANNI PORZIO. Che non posso dire da quale distanza fosse stato sparato, perché non sono un esperto di balistica e nemmeno di ferite di guerra. La cosa che mi colpì fu sicuramente la piccolezza di questo foro.
PRESIDENTE. «Esecuzione premeditata e ben organizzata» lei dichiara a De Gasperis il 27 maggio 1994. «Poteva essere stata colpita presumibilmente da qualcuno che si era avvicinato alla macchina, probabilmente attraverso il finestrino»: deposizione al PM Pititto.
GIOVANNI PORZIO. Sì. Nel senso che se un giudice mi chiede: «Secondo lei può essere stata colpita da distanza ravvicinata?», rispondo «Sì, potrebbe», perché potrebbero essersi avvicinati per sparare da vicino. Invece, magari, il colpo è stato sparato da una distanza di dieci metri o di quindici o di cinque. Potrebbe essere stata...
PRESIDENTE. Il foro che lei ha visto ce lo può descrivere?
GIOVANNI PORZIO. Evidentemente non ho esaminato con la lente di ingrandimento tutto il foro, ma l'unica parte del corpo di Ilaria dove si vedeva del sangue, sebbene già rappreso, perché non fluiva sangue... Sembrava che non fosse neanche stata colpita, ci ho messo un attimo per capire dove fosse la ferita ed era, appunto, dietro la nuca, dove una parte dei capelli era come schiacciata, sporca di sangue, incrostata. Io non ho scostato i capelli per guardare il buco, ma si vedeva che era di piccole dimensioni: il cranio non era sfondato, per essere chiari, non c'era fuoriuscita di materia cerebrale, non c'erano queste cose, c'era semplicemente un foro.
PRESIDENTE. Avete pensato a come potesse essere successo il fatto, alla sua dinamica? Ne avete parlato con Marocchino?
GIOVANNI PORZIO. Ricordo che la situazione era molto tesa, c'erano parecchi somali armati in giro. La nostra principale preoccupazione era di mettere in salvo i corpi dei colleghi, di portarli al porto dove, tra l'altro, sapevamo che sarebbe arrivato un elicottero con a bordo un medico militare, quindi era nostra preoccupazione arrivare il più velocemente possibile a questo appuntamento con l'elicottero per vedere se fosse ancora possibile fare qualcosa per i colleghi. Non ci siamo messi tanto a guardare la dinamica, a chiedere, eccetera. La nostra preoccupazione era di portare al più presto possibile i corpi giù al porto e questo abbiamo fatto.
PRESIDENTE. Lei si è preoccupato degli effetti personali di Ilaria? Avete raccolto materiali?
PRESIDENTE. Avete avuto l'impressione che qualcuno avesse potuto sottrarre qualcosa o abbia sottratto qualcosa?
GIOVANNI PORZIO. Noi siamo arrivati sul posto approssimativamente, penso, circa una mezz'ora dopo il fatto. Quindi, ovviamente, il tempo per sottrarre qualunque cosa certamente c'è stato. Io non ho avuto questa impressione, ma...
PRESIDENTE. Gli effetti personali li avete recuperati?
GIOVANNI PORZIO. La maggior parte degli effetti personali era in albergo, direi quasi tutto. Se ben ricordo, c'era a bordo della macchina un taccuino, un block-notes, che però Marocchino aveva già preso, e qualcos'altro. Adesso non ricordo se fosse il passaporto o il portafoglio o il registratore: qualcosa di piccolo.
GIULIO SCHMIDT. Una macchina fotografica?
GIOVANNI PORZIO. Una macchina fotografica, forse. Sì, non ricordo se una macchina fotografica piccola, di quelle compatte, o un registratore, comunque una cosa del genere, un oggetto di questo tipo. Ma sicuramente un taccuino... poi c'era una specie... Se ricordo bene, Ilaria aveva una specie di borsello di stoffa, con dentro, forse, il passaporto e qualche soldo: sì, qualcosa del genere.
PRESIDENTE. Lei ha guardato se dentro c'erano i soldi?
GIOVANNI PORZIO. No, in quel momento non ho aperto niente. La nostra preoccupazione, con la calca di somali che ci circondava, era prendere...
PRESIDENTE. E l'autista che fine aveva fatto, stava sempre lì?
GIOVANNI PORZIO. L'autista era tremante...
GIOVANNI PORZIO. Stava lì in giro, non sapeva che fare. Noi l'abbiamo un po' ignorato in quel momento, non ce ne siamo occupati, e siamo scesi al porto.
PRESIDENTE. E quelli della scorta? Quelli che avevano fatto da scorta, si fa per dire...
GIOVANNI PORZIO. La scorta nostra?
PRESIDENTE. No, la scorta di Ilaria.
GIOVANNI PORZIO. Ce n'era uno solo.
PRESIDENTE. Ne aveva uno solo. Aveva l'autista e l'uomo...
GIOVANNI PORZIO. Era un ragazzino. Credo che avesse 16 o 17 anni.
PRESIDENTE. Non l'autista, ma quello che faceva la scorta.
GIOVANNI PORZIO. A bordo con Ilaria e Miran c'erano due persone: l'autista Ali, e la scorta, che mi sembrava si chiamasse Mohamed o Mohamud. Io in quel momento non l'ho visto, poi dopo mi hanno detto che era scappato spaventato.
GIOVANNI PORZIO. No, il ragazzo di scorta.
PRESIDENTE. Poi cosa avete fatto?
GIOVANNI PORZIO. Siamo scesi con la macchina al Porto Vecchio, che non è lontano.
PRESIDENTE. E la macchina dove stava Ilaria è rimasta lì?
GIOVANNI PORZIO. È rimasta lì.
PRESIDENTE. Vi siete preoccupati di andare a vedere chi l'avesse presa, se fu presa?
GIOVANNI PORZIO. Dopo? No. Avevamo altre priorità in quel momento. La prima, come ho detto, era di arrivare al porto. Ecco: all'ingresso del porto, che era presidiato, se non erro, da militari nigeriani, ci hanno fatto entrare; quando hanno visto la situazione ci hanno fatto passare e appena siamo entrati dal cancello è sopraggiunta una camionetta di militari italiani, che venivano dall'ambasciata. Finalmente sono arrivati, sono arrivati al porto, ma a quel punto ci siamo scambiati una stretta di mano e abbiamo detto che stavamo andando alla rampa nord, perché già si vedeva che l'elicottero si era alzato dalla nave Garibaldi e stava arrivando. E i militari credo se ne siano andati, per cui se hanno fatto le loro indagini non lo so.
PRESIDENTE. Voi siete saliti sull'elicottero?
GIOVANNI PORZIO. No, no. A questo punto, noi siamo andati con la macchina fino alla rampa. L'elicottero è atterrato e sono scesi alcuni militari e un medico militare in divisa, il quale aveva anche una o due barelle. Abbiamo, anzi hanno, perché a quel punto io non ho più toccato i corpi... Loro hanno preso i corpi, li hanno adagiati su dei teli grigioverde, dei teli militari, e per prima cosa il medico ha infilato un tubo di plastica nella gola di Ilaria e ha cominciato a pompare aria... non so cosa fosse... Ha cominciato a pompare aria forse per cercare di rianimarla, per vedere se respirava, ma ha desistito quasi subito, dopo forse neanche un minuto, scuotendo la testa e dicendo «È morta, non c'è niente da fare». Allora li hanno caricati sulle barelle, li hanno portati sull'elicottero e sono andati sulla nave.
PRESIDENTE. Lei non è andato sulla nave?
GIOVANNI PORZIO. No, sono andato più tardi. Non sono andato sulla nave perché a quel punto abbiamo pensato di andare a ritirare tutti i bagagli e gli effetti personali dei colleghi all'hotel Sahafi.
PRESIDENTE. Sull'elicottero chi è salito?
GIOVANNI PORZIO. Nessuno. Solo i militari.
PRESIDENTE. Ma Marocchino stava con voi?
GIOVANNI PORZIO. Marocchino stava con noi.
PRESIDENTE. Quindi è venuto via con voi.
GIOVANNI PORZIO. Sì. Ci siamo separati: a quel punto, se ben ricordo, siamo andati all'ufficio di Marocchino...
PRESIDENTE. Sul posto dover era successo il fatto non siete più tornati?
GIOVANNI PORZIO. Ci siamo ripassati...
PRESIDENTE. Quando, andando da Marocchino?
GIOVANNI PORZIO. Tornando da Marocchino...
PRESIDENTE. E la macchina l'avete vista?
GIOVANNI PORZIO. Sì, sì. Perché Marocchino aveva l'ufficio e il magazzino proprio in cima alla strada dell'Hamana, sulla destra; quindi ritornando per andare nel suo ufficio siamo ripassati davanti all'Hamana, dove abbiamo visto questa macchina lì ferma, abbandonata, con un po' di gente intorno. Abbiamo proseguito e siamo andati in ufficio da Marocchino e nell'ufficio finalmente abbiamo visto...
PRESIDENTE. E i due, l'autista e la guardia del corpo?
GIOVANNI PORZIO. Esatto. Lì abbiamo ritrovato l'autista...
PRESIDENTE. Nell'ufficio di Marocchino?
GIOVANNI PORZIO. Nell'ufficio di Marocchino, perché era venuto a chiedere i soldi.
GIOVANNI PORZIO. L'autista diceva che lo dovevano pagare.
PRESIDENTE. Per l'operazione fatta!
GIOVANNI PORZIO. I soldi del noleggio della macchina.
GIOVANNI PORZIO. Gli ho dato io 1.200 dollari.
PRESIDENTE. Cioè due milioni e mezzo!
GIOVANNI PORZIO. Sì, che era il noleggio della macchina.
PRESIDENTE. Di quale macchina?
PRESIDENTE. Quindi lei torna da Marocchino... Aveva un ufficio Marocchino? Cosa aveva?
GIOVANNI PORZIO. Sì, un ufficio. Torniamo all'ufficio di Marocchino e lì troviamo l'autista, questo Alì...
PRESIDENTE. E l'altro non lo trova, solo Alì?
GIOVANNI PORZIO. Mohamud non lo ricordo. Forse era giù in cortile, ma non me lo ricordo. Io ricordo soltanto l'autista. Marocchino mi chiede: «Adesso cosa pensate di fare?», ed io gli dico: «Vogliamo andare al Sahafi a prendere il bagaglio e poi lo portiamo qui». Perché c'erano da sbrigare queste faccende amministrative, diciamo; cioè c'era da pagare l'albergo...
GIOVANNI PORZIO. Di Ilaria e di Miran: erano due stanze, la 203 e la 204 dell'hotel Sahafi. C'erano da smontare tutte le apparecchiature, satellitare, eccetera, eccetera; recuperare tutto il materiale; riportarlo a Mogadiscio nord e pensavamo, poi, di portarlo a casa di Marocchino, dove noi stavamo, in attesa di istruzioni sul da farsi, sulle dove dovessimo portarlo.
PRESIDENTE. Quando arrivaste l'autista già stava lì?
GIOVANNI PORZIO. Sì, stava lì.
PRESIDENTE. Quindi aveva lasciato la macchina dove stava. Se ne va a casa di Marocchino e aspetta il suo ritorno. Certo, un giorno Marocchino sarebbe tornato, ma non aveva un orario, un appuntamento...
GIOVANNI PORZIO. Non so se Marocchino gli avesse detto «Tu intanto aspetta qui, vai nel mio ufficio». Non so.
PRESIDENTE. Comunque, lei lo ha trovato lì che aspettava, tranquillo.
GIOVANNI PORZIO. Tranquillo no: era molto agitato, poverino!
PRESIDENTE. Comunque aspettava i soldi. Da chi li aspettava?
GIOVANNI PORZIO. Appunto, lui diceva «Chi paga, a questo punto? Chi mi dà i soldi del noleggio della macchina?». Allora io gli ho detto: «Te li do io, stai tranquillo».
PRESIDENTE. Marocchino non è intervenuto, non ha detto «Te li do io»?
PRESIDENTE. E ha preso solo i soldi che gli ha dato lei, questo ragazzo, o ha preso soldi anche da Marocchino?
GIOVANNI PORZIO. Questo non lo so. Da Marocchino non avrebbe avuto ragione di prenderne.
PRESIDENTE. Ma ha detto che doveva avere soldi anche da Marocchino, o quando ha chiesto i soldi li ha chiesti a Marocchino e lei è intervenuto dicendo «Pago io per Ilaria»?
GIOVANNI PORZIO. No. Quello che ricordo è che Marocchino mi dice: «OK, andate a prendere i bagagli. Però attenzione perché è pericoloso. Vi do io la scorta, Vi do ho io la macchina. Vi faccio accompagnare io da un mio uomo di fiducia». In più ha detto: «C'è anche da pagare l'autista, che reclama i soldi del noleggio della macchina». E io ho detto: «Va bene, adesso vediamo. Questo non è un problema. Pago io o paghiamo noi, in
qualche modo. Non c'è problema. Digli di aspettare qua». E siamo partiti alla volta dell'hotel Sahafi, con una delle macchine di Marocchino e con un suo autista di fiducia, perché c'era da attraversare la linea verde due volte, all'andata, per andare all'hotel Sahafi, e soprattutto al ritorno, quando ormai il sole cominciava calare e, ovviamente, viaggiare di notte, al buio, per Mogadiscio era più pericoloso.
PRESIDENTE. Mi scusi, un passo indietro: quando voi ripassate per andare all'ufficio di Marocchino e trovate che la macchina è ancora lì, polizia, carabinieri...
GIOVANNI PORZIO. No, non c'era nessuno. Era considerata una zona pericolosa e i nostri militari venivano malvolentieri.
GIOVANNI PORZIO. Lenzi è il collega della televisione svizzera. Io l'ho visto arrivare quando eravamo ancora lì, sul luogo dell'agguato e stavamo, più o meno, decidendo di trasportare i corpi sull'altra macchina. È arrivato: mi pare che fossero in due, lui e un operatore; o lui faceva anche da operatori, non ricordo - tra l'altro, io non avevo mai conosciuto questo collega, l'ho conosciuto lì, al momento -, e comincia a filmare. Filma la scena e tutto quello che viene fatto. Poi, mi sembra che fosse arrivato anche un altro collega non italiano, non ricordo se della BBC o qualcuno...
PRESIDENTE. Ricorda se Lenzi intervistò Marocchino?
GIOVANNI PORZIO. Sì, sì. Non ho ricordo di quella scena, ma l'ho vista poi in televisione tante volte, per cui mi sono reso conto che lo aveva intervistato. Ma in quel momento stavo forse guardando altrove, stavo facendo altre cose.
PRESIDENTE. E all'Hamana con chi parlaste?
GIOVANNI PORZIO. All'Hamana quando andammo la mattina?
PRESIDENTE. Dopo siete tornati all'Hamana? No?
GIOVANNI PORZIO. La mattina siamo andati lì per chiedere di Benni e degli altri e i guardiani ci dissero che non c'erano più.
GIOVANNI PORZIO. Con i guardiani addetti alla sicurezza dell'albergo. Ogni albergo aveva degli addetti alla sicurezza armati, che stazionavano davanti alla porta. Le porte erano tutte chiuse, sbarrate, quindi si chiedeva di entrare.
PRESIDENTE. Lei sa se sono stati mai sentiti da qualche autorità italiana o straniera il direttore e le guardie dell'albergo?
PRESIDENTE. Avete telefonato a qualcuno?
PRESIDENTE. Attraverso il satellitare di Benni?
PRESIDENTE. A chi avete telefonato, quella mattina?
GIOVANNI PORZIO. In effetti, quella mattina... Vede che i ricordi... Certo, ecco, tornando verso l'ufficio di Marocchino ci siamo fermati eccome. Ci siamo fermati all'hotel Hamana per telefonare... Ci siamo fermati perché, giustamente, Gabriella ha detto che dovevamo avvertire l'Italia. Nessuno aveva avvertito ancora nessuno; quindi, ci ricordiamo che lì c'era l'ufficio
di Benni, che lasciava sempre lì il telefono satellitare, e l'accordo era che i colleghi che passavano bastava che si facessero aprire la stanza: c'era il telefono in funzione, si segnava quanti minuti di telefonata e dove, e poi il pagamento lo si regolava dopo. Quindi, andammo all'hotel Hamana e Gabriella telefonò. Telefonò sicuramente al TG3 e credo che parlò con il direttore, per informarlo dell'accaduto. Poi, se non sbaglio, chiamò anche l'ANSA.
GIOVANNI PORZIO. Forse anche Italia 1, che era il suo giornale.
PRESIDENTE. Forse anche la mamma.
GIOVANNI PORZIO. La mamma di Ilaria?
PRESIDENTE. No, la mamma di sua moglie.
GIOVANNI PORZIO. Forse sì, per tranquillizzarla. Fece una serie di telefonate, sì.
PRESIDENTE. Poi, uscite dall'hotel Hamana...
GIOVANNI PORZIO. Usciamo dall'albergo, andiamo da Marocchino, decidiamo di recuperare i bagagli e andiamo all'hotel Sahafi. All'hotel Sahafi arriviamo, andiamo alla reception, parliamo con il proprietario o con il figlio...
PRESIDENTE. La macchina per quanti giorni fu pagata? 1 milione e 200 mila perché?
GIOVANNI PORZIO. Erano 1.200 dollari: probabilmente per 12 giorni, perché erano circa 100 dollari al giorno. Evidentemente, lei l'aveva noleggiata prima e anche se si è spostata a Bosaso o altrove, la macchina rimaneva a noleggio e si pagava sempre.
PRESIDENTE. Avete pagato così, senza ricevuta, senza niente, o vi ha fatto una ricevuta?
GIOVANNI PORZIO. Credo di aver chiesto una ricevuta e credo di averla messa insieme ai bagagli di Ilaria.
PRESIDENTE. Poi siete andati al Sahafi?
GIOVANNI PORZIO. Andiamo al Sahafi e alla reception spieghiamo quello che è successo e ci facciamo dare le chiavi delle due stanze. Lì c'erano molti giornalisti, in particolare c'erano i colleghi della CNN, che ci fecero un'intervista, per spiegare quello che era successo, e poi i tecnici della CNN ci aiutarono a smontare il materiale tecnico, anche perché allora, si parla del 1994, erano macchine piuttosto complicate questi satellitari. Ora sono delle cose molto più semplici. Allora c'erano dei cavi che passavano sul tetto, cose da smontare, eccetera, quindi i tecnici di CNN ci aiutarono a smontare le apparecchiature.
PRESIDENTE. Chi ci ha pensato, lei e sua moglie?
GIOVANNI PORZIO. Io e mia moglie, sì. E lì nelle camere incominciamo...
PRESIDENTE. C'erano videocassette?
GIOVANNI PORZIO. ...incominciamo a raccogliere meticolosamente tutto quello che c'era, dallo spazzolino da denti in bagno a...
PRESIDENTE. E anche a riprendere.
GIOVANNI PORZIO. No a riprendere... Non mi pare che Gabriella avesse la telecamera... Sì, ce l'aveva...
PRESIDENTE. A me pare che qualcuno riprese.
GIOVANNI PORZIO. Lenzi, forse. Ma non Gabriella.
PRESIDENTE. Ricordo la signora e lei che...
GIOVANNI PORZIO. Sì, questo fu fatto da Lenzi. Tra l'altro... non capisco... non aveva un operatore Gabriella? È possibile? Dovrei telefonare, perché mi sembra impossibile. Io ho sempre il ricordo di me di Gabriella, ma non...
PRESIDENTE. Io ho ricordo della ripresa.
GIOVANNI PORZIO. Questa l'ha fatta Lenzi, ne sono sicuro.
ELETTRA DEIANA. Lenzi era venuto con voi?
GIOVANNI PORZIO. No, era venuto per conto suo.
ELETTRA DEIANA. Lo avete trovato là?
GIOVANNI PORZIO. Sì, sì. Lui praticamente ha seguito tutta la storia, perché a quel punto per lui era anche una storia. Ma la cosa che non riesco a ricordare è come mai Gabriella non avesse un operatore. Perché non ricordo la presenza di una terza persona? È impossibile. Questa cosa va appurata, subito. Posso chiamare Gabriella?
PRESIDENTE. Alla fine, magari.
GIOVANNI PORZIO. Perché è importante se c'era una terza persona. Ma non c'era, perché me ne ricorderei. Eravamo io e lei da soli. Forse perché spesso lei usava degli operatori free lance che si trovavano sul posto; penso che sia così, però voglio appurarlo.
PRESIDENTE. Che avete trovato, in sintesi?
GIOVANNI PORZIO. Una quantità di roba, perché c'erano, ovviamente, tutti gli abiti, indumenti, effetti personali, quaderni...
GIOVANNI PORZIO. ...taccuini, ovviamente, cassette, telecamera...
PRESIDENTE. Quante cassette: dieci, venti, trenta?
GIOVANNI PORZIO. No, no, le cassette erano molte meno. Forse una decina o meno di dieci.
GIOVANNI PORZIO. Sicuramente più precisa di me può essere Gabriella, perché ci eravamo un po' divisi i compiti. Essendo lei una televisiva, si occupava un po' più di tutto il materiale televisivo, telecamera...
PRESIDENTE. Block-notes se ne ricorda?
GIOVANNI PORZIO. Block-notes me ne ricordo.
PRESIDENTE. Macchine fotografiche?
GIOVANNI PORZIO. Macchine fotografiche oltre quella che era nella macchina non mi pare. Mi ricordo sicuramente la telecamera, le cassette, una quantità spaventosa di cavi...
PRESIDENTE. Lei ha parlato di cinque block-notes...
GIOVANNI PORZIO. Cinque block-notes, sì.
PRESIDENTE. Uno fitto di appunti, uno fitto di time codes, uno con vari appunti e due vuoti. Conferma?
GIOVANNI PORZIO. Stavano in parte nella valigia, che era mezza sfatta, in parte in giro per la stanza, uno sul comodino...
PRESIDENTE. E voi dove avete sistemato questa roba?
GIOVANNI PORZIO. Praticamente, noi abbiamo fatto le valigie, sostanzialmente ripiegando tutto, cercando di mettere in ordine tutta la roba che abbiamo trovato (vestiti, indumenti, effetti personali, taccuini, eccetera). Però, siccome sapevamo che le cose più importanti erano i taccuini e le cassette, questi li abbiamo tenuti da parte.
PRESIDENTE. Soldi ne avete trovati?
GIOVANNI PORZIO. Sì, c'erano i soldi.
PRESIDENTE. Quanti soldi? In tutti e due le stanze o in una stanza sola?
GIOVANNI PORZIO. Con esattezza non ricordo. So che sicuramente abbiamo trovato soldi a sufficienza per pagare il conto dell'albergo, che ho pagato subito, i 1.200 dollari che poi ho dato all'autista per la macchina e altri soldi che sono avanzati, che poi io ho messo insieme al portafoglio e ho restituito insieme al resto. Potrebbero essere stati qualcosa come due o tre mila dollari, ma sto andando molto a spanne. Non mi ricordo quanti soldi ci fossero.
PRESIDENTE. E documenti particolari che avete esaminato, che avete ritenuto potessero essere particolarmente importanti?
GIOVANNI PORZIO. Al momento non abbiamo esaminato nulla, nel senso che...
PRESIDENTE. Quando parla delle somme pagate intende sia per Ilaria sia per Miran?
GIOVANNI PORZIO. Sì, esattamente. Come le dicevo, siccome il tempo passava e il sole scendeva e il lavoro era lungo, perché è stato molto meticoloso e non dovevamo lasciare indietro niente, non ci siamo soffermati troppo a guardare, ma abbiamo cercato di raccogliere tutto il più velocemente possibile. Poi sapevamo che dovevamo andare alla reception per il conto, che è una cosa laboriosa...
PRESIDENTE. Avete fatto i conti, ricevute, tutto quanto?
GIOVANNI PORZIO. Tutto quanto, sì.
PRESIDENTE. Il ponte per inviare i servizi chi lo pagava, la RAI?
GIOVANNI PORZIO. La RAI utilizzava l'EBU, l'European broadcasting unit...
GIOVANNI PORZIO. Quella veniva pagata direttamente in Italia, anzi in Svizzera, dall'azienda. È la RAI che paga direttamente, infatti non ci siamo occupati di questa cosa.
PRESIDENTE. Dove avete portato i bagagli?
GIOVANNI PORZIO. Li abbiamo caricati sulla macchina, abbiamo riattraversato la linea verde e siamo tornati sempre all'ufficio di Marocchino, anche perché la macchina era la sua. Quando siamo arrivati da Marocchino lui ci dice: «Mi è arrivata una comunicazione dalla nave Garibaldi. C'è non possiamo chiamarlo un ordine, ma un invito pressante, quasi un aut aut da parte del comando italiano, perché tutti voi passiate almeno questa notte a bordo della nave. Quindi manderanno un elicottero a prelevare voi e i bagagli di Ilaria». A quel punto io pago l'autista; quindi, diciamo che a quel punto erano terminate tutte le pratiche burocratico-amministrative per i pagamenti e tutto era sistemato. I bagagli rimangono sulla macchina con cui eravamo arrivati e ripartiamo per il porto, quando era già buio. Scendiamo giù al porto e arriva un altro elicottero, mandato dalla nave. Saliamo sull'elicottero io, Gabriella e tutti i bagagli, e arriviamo sulla nave.
GIOVANNI PORZIO. Verso l'ora di cena. Era buio, saranno state le 6, le 7 o le 8. Non so essere più preciso.
PRESIDENTE. Chi avete trovato a bordo?
GIOVANNI PORZIO. A parte, ovviamente, tutto il contingente militare, c'era il generale Fiore, c'era l'ammiraglio Tale dei Tali, che era il comandante della Garibaldi, c'era il colonnello Cantone, che conoscevamo molto bene...
PRESIDENTE. Giornalisti ce n'erano?
GIOVANNI PORZIO. Sicuramente c'era Romolo Paradisi, che era l'operatore di Carmen Lasorella, che era a bordo dal giorno prima perché doveva partire con il contingente.
GIOVANNI PORZIO. Non ricordo. Ci doveva essere forse qualcun altro, ma non mi ricordo.
GIOVANNI PORZIO. Somali non ne ho visti in quella circostanza.
GIOVANNI PORZIO. No. Seppi poi che c'erano a bordo anche dei somali, ma non li incontrammo, non li vedremo in quella circostanza.
PRESIDENTE. Da chi lo seppe e chi sarebbero stati questi somali?
GIOVANNI PORZIO. La storia dei somali è venuta fuori mesi dopo, quando fui chiamato dal generale Fiore, qui a Roma, al Ministero della difesa, perché lui fece una conferenza stampa per smentire le illazioni che sulla stampa erano apparse circa il rimpatrio di un certo numero di donne somale che si era detto fossero delle prostitute o altro. Somali e somale. Io questa storia non l'avevo seguita, non sapevo nulla; ma ricordo che in quella conferenza stampa il generale raccontò la sua versione dei fatti. Disse che erano somali che avevano lavorato per il contingente, che avevano chiesto di essere portati in Italia perché si sentivano in pericolo di vita, appunto perché avevano lavorato per il contingente italiano, eccetera, eccetera, e insieme a questi uomini somali c'erano anche delle donne, che erano mogli, parenti. Questo è quello che so dei somali che erano a bordo della nave. Non li vidi in quella circostanza anche perché noi fummo subito portati nel quadrato ufficiali e ci fu una specie di debriefing, perché anche loro volevano sapere...
PRESIDENTE. Adesso ne parliamo del debriefing. Quando siete arrivati a bordo della Garibaldi siete stati contattati da qualcuno, della RAI in particolare o comunque da qualcuno? Nessuno vi ha contattato via..?
GIOVANNI PORZIO. Io non ho parlato con nessuno dall'Italia. Non so se Gabriella ha avuto delle comunicazioni telefoniche con l'Italia, ma io no.
PRESIDENTE. Quando voi stavate sulla Garibaldi, i taccuini di Ilaria li avete visionati, riguardati?
GIOVANNI PORZIO. Sì, certo. Taccuini e cassette.
PRESIDENTE. A questo riguardo deve essere non preciso: cronometrico.
GIOVANNI PORZIO. Dico quello che mi ricordo. Dunque, noi veniamo ospitati nel quadrato ufficiali, accolti con bevande, rinfresco...
PRESIDENTE. È il minimo dopo avervi lasciato tutto il giorno senza soccorso con una persona che stava morendo! Era il minimo che potessero fare.
GIOVANNI PORZIO. Comunque, ci ospitano, eccetera, eccetera. Strette di mano, saluti, eccetera. Poi ci fanno una specie di debriefing, ci chiedono «Cosa è successo? Cosa avete fatto?» e gli raccontiamo quello che abbiamo visto. Dopo di che, siccome c'era anche Romolo, il cameraman, noi avevamo grande curiosità di visionare queste cassette, perché pensavamo che nelle cassette e nei taccuini ci potessero essere delle indicazioni, qualche indizio. È ovvio che questa è la prima cosa che abbiamo pensato; tanto è vero che cassette e taccuini, invece di metterli nelle valigie, nei colli, eccetera, Gabriella giustamente li aveva tenuti da parte e messi in una borsa. Borsa che Gabriella non ha mai mollato.
PRESIDENTE. Per chiarire: la signora li ha messi in una borsa che non ha mai mollato. Domando: dopo che li avete visionati, dove li avete messi? Nelle valigie di Ilaria?
GIOVANNI PORZIO. No. Poi parliamo di tutto l'inventario che è stato fatto. Gabriella ha tenuto con sé la borsa con i taccuini e con le cassette sicuramente fino al momento in cui abbiamo visionato le cassette e guardato gli appunti sulla Garibaldi. Dopo di che, tutto il bagaglio e, mi pare, anche questa famosa borsa sono stati messi sotto chiave dal commissario di bordo della Garibaldi, in una stanza apposita. Dove poi io sono ritornato nel corso della notte. Perché non è finita la storia.
GIOVANNI PORZIO. Sì, sì. Li ho trovati tutti. Dunque, tornando al momento in cui siamo arrivati: decidiamo di visionare le cassette e di visionarle nella telecamera che Romolo aveva con sé.
PRESIDENTE. Chi c'era oltre a lei e sua moglie?
GIOVANNI PORZIO. Sicuramente io, mia moglie, Romolo, che era il cameraman e, mi sembra di ricordare, il colonnello Cantone.
GIOVANNI PORZIO. Fiore c'era ma...
PRESIDENTE. C'era ma andava e veniva.
PRESIDENTE. Come fa sempre lui.
GIOVANNI PORZIO. Chi stava con noi era il colonnello Cantone, anche per l'amicizia con cui... Quindi, abbiamo guardato le cassette, una per una. Poi abbiamo guardato i taccuini.
PRESIDENTE. Li avete guardati o li avete letti?
GIOVANNI PORZIO. Li abbiamo letti.
PRESIDENTE. Quanti erano questi taccuini? Quelli di prima?
GIOVANNI PORZIO. Sì. Di quelli scritti io ne ricordo sicuramente uno, che però era tutto di time codes, (quando si fa un video e in sala di montaggio si devono mettere insieme i vari pezzi, i time codes indicano il punto dove inizia e dove finisce il pezzo che uno vuole montare, per sapere dove andarlo a prendere nella cassetta), quindi era un taccuino tecnico, di appunti di lavoro.
PRESIDENTE. Presumibilmente, dei materiali che aveva fatto in Somalia.
GIOVANNI PORZIO. Dei materiali che doveva montare, eccetera, eccetera. Sicuramente di quello. Poi c'era un taccuino con degli appunti, scritto molto fitto, con varie cose.
GIOVANNI PORZIO. «Siamo arrivati a Mogadiscio...
PRESIDENTE. C'era la storia del viaggio.
GIOVANNI PORZIO. Sì, appunti di viaggio, il diario delle giornate.
PRESIDENTE. Lei lo ha letto tutto?
GIOVANNI PORZIO. Lo abbiamo letto.
PRESIDENTE. E non avete trovato nulla di significativo?
GIOVANNI PORZIO. Non ci parve di riscontrare nulla.
PRESIDENTE. Dopo essere arrivati a Mogadiscio, cosa hanno fatto? Se lei dovesse fare una carrellata su quei giorni, dall'11 marzo, giorno in cui sono arrivati a Mogadiscio, al 20, cosa direbbe che hanno fatto?
GIOVANNI PORZIO. C'erano dei nomi, i numeri di telefono, persone contattate...
PRESIDENTE. Città? C'erano scritte città dove è andata?
GIOVANNI PORZIO. Adesso non ricordo tutto quello che c'era scritto, però quello che mi ricordo è che, avendolo letto, ci è parso un normale...
GIOVANNI PORZIO. Non ricordo, ma presumibilmente ci sarà stato scritto, visto che si parlava della strada Bosaso-Garoe e queste cose qua. È probabile, ma non mi ricordo, perché la lettura è stata attenta, ma anche abbastanza rapida; non è che ci siamo fermati a ragionare su ogni parola. Però non ci è parso...
PRESIDENTE. Però, magari, con il tempo, una cosa che all'inizio sembrava non avere alcun significato, come, ad esempio, Garoe, che è una città che torna spesso in questa nostra inchiesta...
GIOVANNI PORZIO. Lo so perfettamente.
PRESIDENTE. Vorremmo capire se c'è stata o non c'è stata.
GIOVANNI PORZIO. In questo momento non glielo so dire a memoria. Non ricordo.
PRESIDENTE. Vorrei sapere se lei, per esempio, ricorda che in questi appunti ci fosse scritto: abbiamo alloggiato all'hotel di Garoe, oppure in un altro posto.
GIOVANNI PORZIO. No, non lo escludo, ma non lo ricordo. Quello che ricordo, perché poi ne abbiamo parlato a lungo, la sera stessa, un giorno dopo e dopo ancora, è che né nelle cassette, né negli appunti ci parve di aver notato cose particolarmente interessanti dal punto di vista dell'accertamento dei motivi dell'agguato. In sostanza, indizi specifici e chiari, che saltassero all'occhio non ne abbiamo visti (non siamo investigatori).
PRESIDENTE. Insomma, non c'era scritto: ho scoperto questo o quest'altro.
GIOVANNI PORZIO. Esatto. Non abbiamo notato niente di scottante che potesse far pensare a cose di quel tipo. Questa era la cosa fondamentale. E noi cercavamo proprio quella guardando i taccuini e le cassette. Non ci parve di trovare niente del genere.
PRESIDENTE. I taccuini erano quelli che voi avevate visto in camera?
GIOVANNI PORZIO. Sì, erano quelli, più quello di Marocchino, quello che ci consegnò Marocchino.
PRESIDENTE. E in quello di Marocchino, che cosa c'era? Niente? Era quello che aveva in macchina?
GIOVANNI PORZIO. Non so dirle se quello che aveva in mano Marocchino era il taccuino dei time code o quello dei numeri di telefono.
GIOVANNI PORZIO. Posso fare delle supposizioni: lei aveva telefonato verso mezzogiorno in Italia, al suo giornale, perché quel giorno doveva fare un pezzo.
PRESIDENTE. Certo, ha telefonato a Fusi.
GIOVANNI PORZIO. Infatti, siccome quello era il giorno in cui partivano i soldati, quelli volevano un pezzo alla partenza dei nostri soldati da Mogadiscio.
PRESIDENTE. E lei il pezzo non ce lo aveva.
GIOVANNI PORZIO. Per questo era andata da Benni. Siccome lei era arrivata in ritardo, allora si doveva informare da Benni su cosa fosse successo e su dove fossero gli italiani. Doveva fare questo pezzo, quindi, presumo che avesse in mano il taccuino tecnico, di lavoro, che poi doveva andare a montare all'EBU. Forse era quello dei time code o quello dei numeri di telefono. Non glielo so dire. È una mia supposizione.
GIOVANNI PORZIO. I numeri di telefono c'erano. Poi, si è molto parlato del fatto che sul taccuino ci fosse scritto Shifco, che si parlava delle navi, eccetera. Quello lo si sa. Ma anche sui miei taccuini è pieno di Shifco e di Marocchino ...
PRESIDENTE. C'è un riferimento alla nave sequestrata?
GIOVANNI PORZIO. La nave sequestrata non me la ricordo. Tra i numeri di telefono c'era Shifco, Mugne, eccetera. Però, lo ripeto, la cosa non ci incuriosì nemmeno perché anche sul mio e su quello di Gabriella c'era scritto Shifco, Mugne, Marocchino. Sono i nomi delle persone con cui ha a che fare chi lavora in Somalia. Comunque, arriviamo alla serata.
PRESIDENTE. Invece, avete guardato le cassette?
PRESIDENTE. E nemmeno nelle cassette avete trovato nulla? Che cosa riguardavano? Riguardavano tutte Bosaso?
GIOVANNI PORZIO. Quelle che riguardavano Bosaso, che io mi ricordi, erano soprattutto dei camera car.
GIOVANNI PORZIO. Erano soprattutto delle riprese fatte dalla macchina in movimento e quindi si vedevano strade, paesaggi, case, ma niente di particolare.
PRESIDENTE. Qualche volta è stata ripresa Gardo? Lei conosce Gardo, la cittadina?
PRESIDENTE. Ha mai trovato scritto Gardo nei taccuini?
GIOVANNI PORZIO. Non me lo ricordo, anche perché è la prima volta che sento questa parola.
PRESIDENTE. E poi, la sera? E nelle videocassette, c'era Bosaso e che altro?
GIOVANNI PORZIO. Gli appunti li abbiamo guardati insieme, io, Gabriella, eccetera, però, siccome bisognava guardare queste cassette attraverso il mirino della telecamera, perché non avevamo un visore ovviamente, bisognava guardare uno per volta. Quindi, non è che ognuno di noi le ha guardate tutte dall'inizio alla fine, ma ci alternavamo. Più che altro erano Romolo Paradisi, essendo l'operatore che
maneggiava la macchina, e Gabriella, in quanto giornalista televisiva, a guardare le cassette. Io mi sono concentrato di più sugli appunti, in quel momento. Quindi, non le ho viste tutte, dall'inizio alla fine. Quello che ricordo di aver visto sono queste camera car di Bosaso e dintorni. Niente che ci avesse colpito.
PRESIDENTE. Poi, la sera avete cenato?
GIOVANNI PORZIO. La sera abbiamo cenato con la truppa. A quel punto, eravamo veramente stremati, ci hanno assegnato delle cabine e siamo andati a dormire. Se non che, verso la mezzanotte, ha squillato il telefono interno della cabina. Era il commissario di bordo che mi pregava di raggiungerlo sul ponte del commissario di bordo, perché dovevamo procedere all'inventario di tutto il bagaglio e degli effetti dei due colleghi. Avevano bisogno della presenza di un giornalista perché c'era del materiale tecnico che loro non sapevano che cosa fosse, e quindi avevano bisogno di assistenza per catalogare questo materiale. Perciò, mi sono rivestito, sono risalito dal commissario di bordo, e ci siamo messi a fare insieme questo lunghissimo lavoro, durato più di due ore, che è stato l'inventario e la catalogazione di questo materiale con una precisione ed una meticolosità che mi sorprese, perché addirittura segnavano il numero e la marca delle penne, e se era biro o stilografica. Questo prese moltissimo tempo. Fu annotato il numero ed il tipo dei cavi, in modo molto preciso. Tutto fu riportato per iscritto con macchina per scrivere o computer. Furono compilati numerosi fogli di inventario dal commissario di bordo, con tutto il materiale. C'erano numerosi colli, c'erano le valigie, c'erano le casse del materiale televisivo, c'era la telecamera, e man mano che venivano chiusi, venivano sigillati con del piombo.
PRESIDENTE. Dall'autorità militare?
GIOVANNI PORZIO. Dal commissario di bordo.
PRESIDENTE. E quando hanno fatto questo inventario, c'era qualcosa che non andava, o avete trovato tutto?
GIOVANNI PORZIO. Quello a cui noi stavamo attenti erano i taccuini, le cassette e gli effetti personali, e gli abiti.
PRESIDENTE. Lei, in una delle audizioni per le quali si è reso disponibile, ha dichiarato, con riferimento a questo inventario: non vidi le borse con le videocassette, e i taccuini e i documenti, perché erano stati messi sotto chiave perché importanti. Che cosa significa?
GIOVANNI PORZIO. Significa che, in effetti, la borsa delle cassette e dei taccuini più, credo, un'altra borsa, un involucro contenente gli abiti che i due colleghi avevano indosso, cioè gli abiti insanguinati, non erano insieme al bagaglio che avevamo inventariato, perché, proprio per la loro importanza, erano stati messi sotto chiave, non so se nell'infermeria o in un locale adibito a cassaforte, ovvero un locale chiuso. Però vedemmo le borse con i taccuini il giorno successivo.
GIOVANNI PORZIO. Quando furono sbarcate all'aeroporto. Ci assicurammo che fossero caricate sull'aereo.
PRESIDENTE. Vedeste il contenitore, ma non avete potuto vedere il contenuto.
GIOVANNI PORZIO. Il contenuto, no.
PRESIDENTE. Ecco, avete visto le borse, che venivano caricate insieme con le valigie, ma non vi siete potuti accertare di quello che c'era dentro.
Avete fatto un verbale di questo inventario? Vi fu rilasciato qualche documento da cui risultavano le cose che erano state riscontrate? Infatti, mi pare di capire che in quell'inventario non ci fu la descrizione delle cassette e dei taccuini, perché rimasero in quelle borse. Infatti, nell'occasione dell'inventario non avete visto queste cose,
ma le avete viste quando sono state caricate sull'aereo, o sbaglio? Ricostruisco male o è corretto?
GIOVANNI PORZIO. Sto cercando di ricordare, però c'è qualcosa che non mi quadra. A me sembrava di ricordare che nell'inventario fossero menzionati i taccuini, anche con la precisazione di quanti fossero scritti e quanti vuoti. Quindi, non riesco a ricordare se, a un certo punto, finito l'inventario del bagaglio fossero andati a prendere anche quest'altra borsa e l'avessero inventariata insieme alle altre cose. Però, dall'inventario fatto dai militari, dovrebbe risultare. Non ne ho avuto copia in quel momento, però mi sembra che il giudice De Gasperis, e poi tutti gli altri giudici, avessero copia di questo inventario, da cui risultavano anche i taccuini.
PRESIDENTE. Le risulta che siano stati fatti riscontri medici sui cadaveri di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin?
GIOVANNI PORZIO. No. Quello che so è che i cadaveri sono stati quasi subito sbarcati dalla nave Garibaldi e portati nella morgue del contingente militare americano, credo, all'aeroporto di Mogadiscio perché sulla nave Garibaldi, da quello che avevo capito, non c'erano celle frigorifere. Però mi sembra strano, anzi impossibile, che non ci fossero celle frigorifere in una nave militare.
GIOVANNI PORZIO. Comunque li sbarcarono.
PRESIDENTE. Questi bagagli vennero sigillati così come mi ha detto, e lei li ha visti sigillati al momento della partenza?
PRESIDENTE. Dalla nave vengono portati sull'aereo?
GIOVANNI PORZIO. Un aereo arrivato da Mombasa.
PRESIDENTE. Quindi, lei ha visto la partenza di questi bagagli?
GIOVANNI PORZIO. Io sono anche salito a bordo.
PRESIDENTE. A parte questo, i bagagli saranno stati portati in qualche stiva.
GIOVANNI PORZIO. No, io ero accanto ai bagagli.
PRESIDENTE. Quindi lei ha controllato i bagagli fino in fondo ed erano perfettamente sigillati?
GIOVANNI PORZIO. I bagagli erano tutti sigillati e addirittura erano su un pallet, cioè erano coperti da una rete (il pallet è un ripiano di legno).
PRESIDENTE. In questo volgere di accadimenti, vi siete visti con Marocchino, poi vi siete visti con i militari, insomma, avete avuto tante occasioni di confronto per dire ciascuno la sua. Non voglio le opinioni perché le opinioni non ci interessano, ma ci interessa quello che si è sentito dire da altri o quello che si è detto. Per esempio, che cosa ha detto Marocchino di cosa lui pensava - non mi interessa la fondatezza del pensiero - che fosse accaduto, e perché fosse accaduto questo attentato (se attentato è)? Della Garibaldi mi ha detto che avevate un ottimo rapporto con Cantone, e poi c'era il generale Fiore, che ha fatto anche delle dichiarazioni sulle possibili cause eccetera. Le domando: che cosa ha sentito lei?
GIOVANNI PORZIO. Mi ricordo chiaramente che il generale Fiore disse subito che si trattava di fondamentalisti islamici, la qual cosa a noi parve fin da subito ben poco plausibile. Infatti, non so su che base lui facesse questa affermazione. La pista del fondamentalismo islamico con Bosaso non c'entrava assolutamente niente, per cui ci parve ben poco plausibile.
I fondamentalisti islamici a quell'epoca, in Somalia, si trovavano soprattutto nella zona di Lugga, al confine con l'Etiopia, oltre Baidoa, in una zona completamente diversa sia da Mogadiscio che da Bosaso e da Chisimaio.
PRESIDENTE. Questo è importante.
GIOVANNI PORZIO. Era un'opinione ma a noi parve poco credibile.
Se ben ricordo, Marocchino fece due dichiarazioni contraddittorie. Infatti, nell'intervista con Lenzi fece una dichiarazione, di cui non ricordo esattamente i termini, nella quale non si riferiva ai fondamentalisti islamici e nella quale affermava che si era trattato di un'esecuzione, di una cosa voluta. Disse una cosa di questo tipo, anche se non ricordo esattamente. Ma il senso era questo. Senza attribuirlo a nessuno in particolare, parlò di una specie di esecuzione, di una specie di omicidio premeditato. Invece già il giorno dopo, e anche successivamente, perché ho rivisto Marocchino moltissime altre volte, ha sempre detto che era stato un tentativo di rapina andato male, secondo lui. Che si era trattato di uno scontro a fuoco, che la scorta aveva sparato, che aveva ferito uno di questi, insomma diede una versione diversa rispetto a quella che aveva dato a caldo in questa intervista televisiva.
PRESIDENTE. Lei non ha mai detto niente? Lei ha mai espresso una sua opinione sui fatti?
GIOVANNI PORZIO. All'inizio la mia posizione era quella di dire che non si sapeva nulla e che tutte le ipotesi erano valide. Piano piano, mi sono fatto le mie convinzioni. Ho escluso quasi da subito la pista islamica.
PRESIDENTE. Ha fatto qualche analisi o ricerca?
GIOVANNI PORZIO. Ho compiuto qualche indagine.
PRESIDENTE. Qualche indagine? Ci riferisca l'esito delle indagini, se lo crede.
GIOVANNI PORZIO. Sì, certamente, anche perché l'ho riferito già ad altri giudici i quali però non ne hanno mai tenuto conto da quello che risulta, purtroppo. Adesso ve la illustro.
Una delle prime ipotesi che sono state fatte, sui motivi o le ragioni che hanno portato a questo omicidio, è stata quella di un presunto traffico di armi sulle navi della Shifco. Non sto a raccontare la storia della Shifco, perché immagino che tutti la conosciate.
Ad un certo punto, Mugne mi telefonò. Premetto che nessuno poteva escludere, né tanto meno io, la pista del traffico di armi. Essa si basava sostanzialmente sulla testimonianza di un marinaio che si chiamava Mohamed Samatar, imbarcata sulla nave 21 ottobre II, che era la nave frigorifera delle flotta. Questo marinaio, in un'intervista rilasciata a un giornale (non ricordo con esattezza se fosse Liberazione o un altro), sosteneva di aver visto con i suoi occhi a bordo di questa nave un carico di armi nel porto di Tripoli di Libia. A quanto mi risulta, questa era l'unica testimonianza che convalidasse questa ipotesi del traffico di armi.
Dunque, come dicevo, alcuni mesi dopo mi chiama Mugne e mi dice: quella storia sul traffico di armi sulla flotta Shifco sta portando praticamente alla rovina la nostra società, perché l'Unione europea ci ha tolto le licenze, noi non sappiamo più a chi vendere il pescato. Mi dice, insomma, che quella storia prima o poi doveva finire. Ci invitò a recarci a bordo per fare un'indagine di persona, a parlare con il comandante, a parlare con i commissari. Ci disse che avevano fatto delle indagini e altro.
Comunicai questa cosa anche ai genitori di Ilaria che, devo dire, ebbero una reazione che mi lasciò perplesso. Infatti, mentre io manifestavo loro la mia intenzione di recarmi a Gibuti, dove sostava la flotta Shifco in quel momento, per fare questa mia personale indagine giornalistica su questa storia delle navi, loro
ebbero una reazione che mi lasciò perplesso perché mi dissero che non potevo andare a trovare questo assassino. Risposi che non sapevo se fosse un assassino o meno, ma che mi veniva data l'opportunità di recarmi a bordo di queste navi a fare una ricerca, che forse poteva essere utile e forse no, ma che io ci andavo.
Andai a Gibuti, ovviamente con il consenso del mio direttore, a bordo di questa nave, la 21 ottobre II. Lì feci una scoperta che a me parve piuttosto interessante, dopo aver consultato tonnellate di carta, non solo tutti i libri di bordo (sapendo che vengono scritti dal comandante della nave), ma soprattutto i certificati delle assicurazioni. La nave era assicurata, come credo sia ancora, con i Lloyds di Londra, che pretendono ovviamente ogni qualvolta si carica e si scarica una nave di avere dei certificati. Sono loro che certificano lo stivaggio, il materiale contenuto, sigillano le stive e poi gli agenti dei Loyds di Londra nei vari porti salgono a bordo delle navi e tolgono i sigilli alle stive per fare il controllo del carico. Nel controllare questi documenti e questi certificati, scoprii che questa nave, la 21 ottobre II, fece un solo viaggio in Libia in quegli anni, in certe date. Effettivamente, aveva fatto scalo nel porto di Tripoli, in Libia. Allora, siccome era quello il viaggio incriminato, cominciai ad interessarmi in particolare di questo viaggio, e chiesi al comandante di darmi il ruolino di bordo dell'equipaggio della nave di quel viaggio, che mi fu consegnato. Il nome del marinaio Mohamed Samata non compariva in questo elenco. Mi domandai come mai. Il comandante, tra l'altro, era lo stesso, un comandante rumeno. Era proprio quello che aveva fatto quel viaggio. Allora, gli chiesi se si ricordasse di quel marinaio, Mohamed Samata. Venne fuori con un documento e disse che in effetti qualche mese prima di quel viaggio erano stati sbarcati alcuni marinai nel porto di Livorno. Insomma, mi fece vedere questo documento e venne fuori che questo marinaio, Mohamed Samata, era stato sbarcato a Livorno prima del viaggio della nave a Tripoli di Libia, e quindi non poteva assolutamente aver visto nessun carico di armi su quella nave perché lui su quella nave non era a bordo.
Mi parve una scoperta interessante per il magistrato che stava indagando, tant'è vero che, non appena tornato, feci subito copia di questi documenti e li mandai al magistrato che stava conducendo le indagini, e naturalmente anche una copia ai genitori di Ilaria. Stranamente, poi, la testimonianza di questo Mohamed Samata, anche successivamente, è stata ritenuta interessante, importante e probante, e quindi evidentemente i documenti che ho portato all'attenzione del giudice non sono stati ritenuti sufficientemente validi. Non lo so.
PRESIDENTE. Lei è in ottima compagnia, stia tranquillo.
GIOVANNI PORZIO. Quindi, mi feci la convinzione che la storia del traffico di armi fosse una pista che non portava da nessuna parte, anche perché un carico di armi di quel tipo (si parlava di casse di munizioni e di kalashnikov), aveva un valore infimo rispetto al valore della nave. Nel senso che Mugne stesso mi disse che sarebbe stata una follia (le acque intorno alla Libia erano controllate dalla VI flotta americana, c'era blocco navale e un embargo da vari anni) attraversare la zona del blocco navale, superare i controlli della VI flotta americana con un carico di munizioni e di kalashnikov, che al mercato di Mogadiscio si potevano comprare per pochi dollari. Diverso sarebbe stato trasportare degli stinger che costano un milione di dollari l'uno, e per i quali il gioco sarebbe valsa la candela, ma solo un pazzo avrebbe rischiato la nave per una roba del genere. Questo ragionamento mi convinse abbastanza. Poi, magari, nelle stive chissà cosa aveva (questo io non posso saperlo), e non escludo nemmeno che questa storia possa essere fondata, però mi fece cominciare a propendere per un'ipotesi che non c'entrava con il traffico di armi.
PRESIDENTE. Comunque voi non andaste in Italia, ma andaste a Mombasa, mi pare, lei e Gabriella Simoni.
GIOVANNI PORZIO. Sì, e per una ragione precisa, perché avevamo intenzione di tornare a Nairobi per intervistare il generale Mohamed Aidid che stava in quel momento a Nairobi, per chiedere conto a lui, che in quel momento era il più potente signore della guerra di Mogadiscio, qualche ragguaglio, spiegazione o commento su questo omicidio. Infatti, sbarcammo dall'aereo militare, un G222 dell'aeronautica militare italiana, a Mombasa, e poi proseguimmo.
PRESIDENTE. Da dove eravate partiti?
GIOVANNI PORZIO. Da Mogadiscio. Quindi, proseguimmo con mezzi nostri fino a Nairobi.
PRESIDENTE. Eravate soli in viaggio verso Mombasa?
GIOVANNI PORZIO. A parte i militari, sì.
PRESIDENTE. Avete poi intervistato il generale?
GIOVANNI PORZIO. Sì, credo il 22.
PRESIDENTE. E che cosa vi ha detto Aidid?
GIOVANNI PORZIO. Aidid fece un ragionamento che a me parve veramente poco credibile. Lui cominciò a parlare di manovre politiche, di paesi terzi interessati a destabilizzare la Somalia e a sabotare le trattative di pace, gli accordi, eccetera, facendo vari riferimenti all'Egitto. Mi ricordo questa cosa.
PRESIDENTE. Tornando un attimo ai bagagli, questi furono distinti tra Miran Hrovatin e Ilaria Alpi, oppure furono messi tutti quanti insieme?
GIOVANNI PORZIO. Siccome avevano due stanze separate...
PRESIDENTE. ...li avete fatti in maniera separata già da allora.
GIOVANNI PORZIO. Sì, separatamente in camera di Miran e in quella di Ilaria.
PRESIDENTE. Quando siete rientrati in Italia?
GIOVANNI PORZIO. Il 22 eravamo a Nairobi, e penso che siamo rientrati poco dopo. Non siamo più tornati a Mogadiscio.
PRESIDENTE. Per quanto riguarda la fine che hanno fatto questi bagagli, voi li avete visti partire separati?
GIOVANNI PORZIO. Abbiamo visto partire questo pallet. Devo dire che noi eravamo molto tranquilli perché francamente abbiamo tenuto d'occhio la borsa con i taccuini e le cassette dall'inizio alla fine, tranne quando erano sotto chiave in mano al commissario di bordo.
PRESIDENTE. Certo, non potevate pensare... e nessuno è autorizzato a pensare. Certo, sta di fatto che mancano.
GIOVANNI PORZIO. Resto convinto che fino a Mombasa c'erano.
PRESIDENTE. Forse pure fino a Roma.
GIOVANNI PORZIO. Molto diverso è il discorso Mombasa-Luxor e Luxor-Ciampino. A questo punto, però, le mie diventano ipotesi, personali considerazioni, perché non ero a bordo e non ho visto nulla di preciso, però di alcune cose sono venuto a conoscenza.
PRESIDENTE. Quando ha saputo questo fatto dei taccuini che si erano persi?
GIOVANNI PORZIO. Eravamo convinti che i bagagli sarebbero arrivati esattamente come li abbiamo messi sull'aereo a destinazione (a Ciampino o a Fiumicino) e consegnati ovviamente alle famiglie. Poi, naturalmente, arrivati in Italia apprendemmo che sostanzialmente questi bagagli erano stati aperti. Infatti, la mamma di Ilaria Alpi mi mandò un biglietto molto bello di cui le sono ancora riconoscente.
Ringraziava sia me che Gabriella per la cura che avevamo messo nel fare i bagagli della loro figlia, perché nella cura avevamo manifestato affetto. Noi dicemmo ai genitori che avevamo sigillato tutto, ma lei mi disse che quando glieli avevano consegnati a Ciampino non erano in quello stato. Mi disse cioè che non c'erano i sigilli e che non erano nelle condizioni nelle quali noi le avevamo detto di averli lasciati a bordo dell'aereo. Poi, non mi ricordo in che tempi, venne fuori quasi subito questa storia dei taccuini mancanti. Su questo ha cominciato ad incentrarsi l'attenzione di tutti, quella dei genitori di Ilaria, la nostra, e quella dei magistrati.
PRESIDENTE. Ha visto più la macchina?
GIOVANNI PORZIO. Sì l'ho rivista.
PRESIDENTE. Dove? Quando è tornato per l'inchiesta?
GIOVANNI PORZIO. Non sono mai tornato a fare un'inchiesta sulla morte di Ilaria, ma sono tornato varie volte a Mogadiscio, successivamente.
PRESIDENTE. E la macchina dove l'ha vista?
GIOVANNI PORZIO. In una di queste mie visite, ma non ricordo in quale, a un certo punto, dal momento che ho rivisto l'autista.
PRESIDENTE. Quanto tempo fa ha visto l'autista?
GIOVANNI PORZIO. Prima del 2000 sicuramente. Era il periodo in cui era ambasciatore in Somalia, o più precisamente, inviato speciale della Farnesina in Somalia, Giuseppe Cassini.
PRESIDENTE. Che lei ha conosciuto?
GIOVANNI PORZIO. Lo conosco molto bene ed è un mio amico da trent'anni. Naturalmente, quando fu assegnato a questo incarico in Somalia, ci sentimmo spesso al telefono perché anche lui fu investito di questo problema dell'indagine su Ilaria Alpi.
PRESIDENTE. E dove avete trovato questa macchina? Gliel'ha indicata Cassini?
GIOVANNI PORZIO. No, non me l'ha indicata Cassini, ma semplicemente mi venne la curiosità di andare a cercare questa macchina. Mi fu indicato, non so se proprio dall'autista o da qualcun altro, che questa macchina stava nel garage di un ricco e potente somalo locale di cui posso recuperare il nome, che ora non ricordo (credo che fosse un ex ministro del governo di Siad Barre, o qualcosa del genere, o forse ministro delle finanze, se ricordo bene). Questa era una delle sue macchine. Infatti, lui aveva un parco macchine che affittava ai giornalisti. Questa era una delle sue macchine che lui aveva recuperato e stava in questo garage. Andai a vederla.
PRESIDENTE. Ci può far sapere poi il nome di questa persona?
PRESIDENTE. Conosce un certo Alfredo?
GIOVANNI PORZIO. Alfredo? Alfredo è un po' poco.
PRESIDENTE. Conosce Casamenti?
GIOVANNI PORZIO. Casamenti è un tecnico. Non è un ingegnere ma è un tecnico, un perito, mi pare di ricordare, che ha lavorato molti anni per la cooperazione italiana, che io ho conosciuto a Mogadiscio prima dei fatti noti. Con Africa 70, costruiva dei pozzi, stava ristrutturando l'ospedale a Mogadiscio nord. Faceva
vari lavori per le organizzazioni non governative o per le Nazioni Unite, o per chi gli commissionava dei lavori. Adesso mi pare che lavori per un'organizzazione non governativa e che si trovi tra il Ruanda e lo Zaire. Ci siamo sentiti recentemente. Lui è importante perché quando Ilaria e Miran andarono a Bosaso furono ospiti a casa sua. Fu Casamenti a mettere a disposizione la macchina per andare in giro e per accompagnarli più o meno ovunque a Bosaso in quei giorni. Dormivano a casa sua e stavano a casa sua. Così almeno lui mi ha raccontato. Tant'è che lui si stupì molto all'inizio di queste indagini per il fatto che nessun magistrato lo avesse mai convocato. Si parlava tanto dell'intervista al sultano di Bosaso, di quello che avevano fatto lì, della nave sequestrata, eccetera, ma nessuno aveva mai sentito lui, che era la persona che li aveva portati in giro in tutte quelle circostanze sia durante l'intervista con il sultano sia quando c'era la nave sequestrata. Infatti, in quei giorni loro vivevano insieme. So anche che Casamenti avrebbe scritto una lettera ai genitori di Ilaria.
PRESIDENTE. Dottor Porzio, le faccio vedere adesso alcuni appunti di Ilaria, che lei sicuramente già conosce (Mostra un documento).
Qui, per esempio, alla pagina 3 del taccuino marca tipo by Pigna, c'è questa annotazione: monday, 8.30, thursday, eccetera, 14 marzo, 16 marzo, wednesday, ore 9.
GIOVANNI PORZIO. Sembrano gli orari di un aereo che va a Chisimaio.
PRESIDENTE. Chisimaio. Vede che viene fuori quello che diceva lei.
GIOVANNI PORZIO. Volevano andare a Chisimaio.
PRESIDENTE. Allora, si parla di lunedì 14 marzo alle ore 8,30.
GIOVANNI PORZIO. Il 15 non c'era. C'era invece mercoledì 16 alle 9. Questi erano i voli previsti per Chisimaio.
PRESIDENTE. Allora, mostrata al dottor Porzio la pagina 3 del taccuino tipo by Pigna, le indicazioni contenute nella prima fascia, è riconosciuta come riportante gli orari degli aerei per Chisimaio da lunedì 14 marzo al sabato successivo.
Sotto è scritto Baidoa, saturday 10, thursday 8.30...
GIOVANNI PORZIO. E poi c'è un wednesday, un mercoledì tra parentesi.
PRESIDENTE. Anche questi sono orari di aereo?
GIOVANNI PORZIO. Presumibilmente sì, senz'altro.
PRESIDENTE. Così anche, con riferimento a Baidoa nella seconda fascia della stessa pagina.
Poi, vede queste annotazioni? Se le ricorda? Le tornano in mente?
GIOVANNI PORZIO. Sì, queste sono quelle che mi ricordo.
PRESIDENTE. Pesca, strada a Bosaso Garoe, colera, Mugne. Ma c'è una cosa più importante che le voglio far vedere. Sono questi nomi: Garoe, sultano Bogor, Abdullahi Mussa. Le dice niente questo nome? Bogor è il sultano di Bosaso.
GIOVANNI PORZIO. Ma non si chiamava così il sultano di Bosaso.
PRESIDENTE. Si vede che è un altro. Non sa chi è?
GIOVANNI PORZIO. Qui c'è scritto B. Mussa.
GIOVANNI PORZIO. Sì, Abdullahi Mussa è lui. Bogor è il titolo.
PRESIDENTE. Ancora, è scritto Shifco a pagina 11 dello stesso taccuino: società di navigazione cooperazione più governo somalo, sei navi più quattro sono state consegnate; il porto di Bosaso è il centro economico e finanziario di tutta la regione del nord est della Somalia; sono la pesca e le tasse portuali i maggiori introiti della città, ma proprio per questo negli ultimi mesi...
GIOVANNI PORZIO. ... si è scatenata una specie di pirateria giustificata all'inizio come una lotta alla pesca di frodo.
PRESIDENTE. Questa, come altre cose, come Bosaso, il futuro dell'aiuto umanitario, e altre, non sono risultate di un qualche interesse in quella prima visione che fu fatta sulla nave?
GIOVANNI PORZIO. Assolutamente no, perché erano cose notissime a tutti noi su cui avevamo già scritto articoli, come la storia delle navi, e come la storia della mala cooperazione.
PRESIDENTE. Ancora, leggo 1.400 miliardi di lire; dove è finita questa impressionante mole di denaro? E poi: alcune opere, come la conceria e il mattatoio, sono semplicemente inattive e i coinvolgimenti con la Somalia di Barre prima e poi il fatto di privilegiare Ali Mahdi... accusa di Aidid... adesso le accuse non sono finite... la regione centrale di nuovo al di fuori degli aiuti.
Questa è un'intervista che è stata preparata, vede?
GIOVANNI PORZIO. Sì, queste sono domande per un'intervista, certo. Probabilmente, è quella al sultano.
PRESIDENTE. Allora, cosa mi può dire del Cefa, cioè di una nave che da quasi un anno doveva partire per la Somalia, che è stata bloccata e alla quale è stato chiesto di scrivere che la coop...?
GIOVANNI PORZIO. La cooperazione.
PRESIDENTE. Dunque, mostrata la pagina 6 al dottor Porzio, vi riconosce gli appunti per un'intervista in preparazione.
GIOVANNI PORZIO. Sì, e lo scritto continua.
PRESIDENTE. Sì: Saddam ha parlato di guerra ai nemici di Dio, eccetera.
Va bene così. Prego, onorevole De Brasi.
RAFFAELLO DE BRASI. Dottor Porzio, una parte della sua testimonianza è riferita alla programmazione dei viaggi di Ilaria Alpi e in qualche modo è sembrato che lei ci dicesse che il viaggio a Bosaso era casuale nel senso che voleva andare a Chisimaio, non è riuscita ad andarci, c'era un aereo per Bosaso, lo ha preso e ci è andata. In realtà, per lo meno da quello che noi abbiamo appurato, lei voleva andare sia a Chisimaio, sia a Bosaso. Infatti, alla fine, quando lei ritornò e telefonò alla madre, le disse che voleva andare il 21 a Chisimaio. Cioè, lei non voleva partire subito, ma voleva restare, perché riteneva evidentemente che Chisimaio fosse una località interessante dal punto di vista giornalistico. Invece, Carmen Lasorella (ed è per questo che mi stupisce che invece non gliel'abbia detto) ci ha riferito esplicitamente che Ilaria Alpi le chiese di andare con lei a Bosaso e Carmen Lasorella disse: non ci vado perché ci sono già andata - due volte, mi sembra di ricordare in una sua deposizione - quindi Carmen Lasorella sapeva benissimo che Ilaria Alpi voleva andare a Bosaso. Quindi, direi che la sua impressione sulla casualità di questo cambio di marcia del suo programma non ha molto...
GIOVANNI PORZIO. Mi permetto di dissentire da questa sua affermazione. Mi sono trovato molte volte con altri colleghi ed anche con Ilaria a Mogadiscio, il ventaglio di opportunità è molteplice. Andare a Chisimaio, a Bosaso, a Garoe, a Baidoa, e qualunque possibilità di uscire da Mogadiscio è interessante. Il suo intento principale era il nostro intento principale, cioè
quello di tutti noi era di andare a Chisimaio perché era in corso una guerra a Chisimaio, tant'è vero che, come risulta in questi appunti, si era appuntata i voli per Chisimaio e per Baidoa, che era l'altro punto caldo. Penso, ma magari ha ragione lei, che - se poi Carmen dice questo, non lo so - lei fosse andata all'aeroporto per andare a Chisimaio, almeno questo era quello che mi avevano detto a Mogadiscio e che poi, non trovando il volo per Chisimaio, avesse ripiegato su Bosaso, che, comunque, era una destinazione interessante dove, magari, comunque voleva andare, in quell'occasione o in un'occasione successiva. Ma il suo intento principale - continuo a sostenerlo - era quello di andare a Chisimaio, tant'è vero che è anche quello che risulta dagli appunti che ha preso sul taccuino. Quello che io ho affermato non è in contraddizione con quello che lei dice.
RAFFAELLO DE BRASI. Sì, infatti.
GIOVANNI PORZIO. Credevo che dicesse che non era vera la mia affermazione...
RAFFAELLO DE BRASI. No, assolutamente, dico solo che il viaggio a Bosaso non è casuale. Fin dall'Italia, c'era l'intenzione di andare a Bosaso e lo disse esplicitamente a Carmen Lasorella, e noi dobbiamo prendere per buono quello che ci ha detto. E mi ha stupito il fatto che parlando con lei non avesse fatto riferimento a questo viaggio a Bosaso anzi, in qualche modo, di primo acchito, le avesse detto che sarebbe andata a Chisimaio, se non ho capito male dalla sua...
GIOVANNI PORZIO. No, no, quello che mi ricordo è che lei disse che sostanzialmente il problema era che non davano notizie di loro da alcuni giorni. Loro presupponevano che fossero andati a Chisimaio, perché quella era l'intenzione che avevano, poi, però, hanno saputo che erano andati a Bosaso.
RAFFAELLO DE BRASI. Lei capisce che Carmen Lasorella ci ha detto in audizione, sotto testimonianza, che Ilaria Alpi le aveva chiesto di andare con lei in quei giorni a Bosaso. Lei capisce?
GIOVANNI PORZIO. Si vede che se lo ricorda meglio di me. Io ero preso dalle mie cose.
RAFFAELLO DE BRASI. Le riferisco solo quello che lei ha detto. Invece, rispetto al discorso dell'aereo, lei ha dichiarato al magistrato che due giorni prima lei doveva rientrare da Bosaso.
RAFFAELLO DE BRASI. Sì, Ilaria Alpi. Abbiamo questa dichiarazione.
GIOVANNI PORZIO. Due giorni prima?
GIOVANNI PORZIO. Un giorno o due giorni prima, adesso non mi ricordo.
RAFFAELLO DE BRASI. Su questa questione non può darci una testimonianza più precisa?
GIOVANNI PORZIO. Sì, precisissima.
RAFFAELLO DE BRASI. Infatti, ad un certo punto lei ha detto: due giorni prima. E ha detto: perché ha perso l'aereo.
GIOVANNI PORZIO. Sì, esattamente. È molto semplice. Basta chiamare Casamenti, che li ha accompagnati all'aeroporto.
RAFFAELLO DE BRASI. Casamenti ce l'ha detto, ma Casamenti ha detto anche una cosa diversa.
GIOVANNI PORZIO. Il testimone è lui e non io.
RAFFAELLO DE BRASI. Dunque, riferisce di Casamenti una cosa che Casamenti, però, quando l'abbiamo audito, ci ha detto in maniera diversa.
GIOVANNI PORZIO. Mi è stato detto da Casamenti, ma non solo da Casamenti, che loro erano andati all'aeroporto un giorno prima o due giorni prima per prendere questo aereo per rientrare a Mogadiscio, e che l'orario dell'aereo era cambiato, che gli era stato detto che l'aereo non c'era e che allora erano dovuti restare altri due giorni. Questo è quello che so.
RAFFAELLO DE BRASI. È chiaro che lei riferisce di Casamenti, quindi noi prendiamo atto di quello che ci ha detto Casamenti quando lo abbiamo audito.
Sulla questione delle minacce, invece, perché questa questione delle minacce è ritornata diverse volte nel nostro lavoro, lei dice: a Mombasa, i militari mi avevano avvertito che c'è qualcuno che voleva attentare alla vita di italiani. E lei riferisce che anche Marocchino aveva confermato questa minaccia. Lei non è che credesse molto a questa minaccia, oppure dava poco peso a questa minaccia. Infatti, ci dice che è andato all'hotel Hamana senza scorta. Quindi, questo avviso, questo allarme era forte, era consistente, lo prese sul serio, o la prese come una cosa che più o meno si percepiva sempre quando si andava a Mogadiscio? Era una minaccia specifica?
GIOVANNI PORZIO. L'ho interpretata come una minaccia generica. Sono i giorni in cui il contingente italiano se ne sta andando, evidentemente si creano delle forti tensioni con i somali per motivi che poi posso specificare - ce ne sono di precisi - quindi è un momento per gli italiani particolarmente rischioso, quindi fate attenzione, non andate troppo in giro, e così via.
RAFFAELLO DE BRASI. Invece il generale Cantone ci ha detto che erano state raccolte delle informazioni e quindi che questo allarme non fosse generico. Poi, però, ad una domanda specifica, non ha saputo rispondermi quali fossero queste informazioni, quali fossero queste fonti, chi aveva fatto questo report, eccetera. Questo è un punto che io vorrei che fosse presente nel lavoro della Commissione.
GIOVANNI PORZIO. Non ho parlato con l'allora colonnello Cantone che non mi ha comunicato un bel niente. Ho soltanto sentito dei militari ad un bar di Mombasa. Si trattava di alcuni piloti che dovevano accompagnarci il giorno dopo a Mogadiscio. Essi lanciarono questo allarme di tipo generico. Come tale io l'ho interpretato. Ma mi sembrava abbastanza fondato come ragionamento. Tanto è vero che quando siamo arrivati all'hotel Sahafi, vista la malaparata, cioè questa esplosione di tensione, abbiamo creduto bene di non stare all'hotel Sahafi, ma di andare da Marocchino, proprio perché eravamo stati messi in preallarme da questi militari. Poi Marocchino argomentò un po' più precisamente questa questione delle minacce, perché io chiesi a Marocchino cos'era questa storia delle minacce, se fosse o non fosse vera, che cosa poteva significare e che cosa poteva accadere.
Allora, lui mi elencò una serie di questioni. Mi disse che molti somali ce l'avevano con gli italiani per vari motivi. Per esempio, c'era un somalo a cui era stata danneggiata l'automobile da un mezzo militare italiano e che rivendicava un risarcimento di diecimila dollari. Il comando non aveva creduto di farvi fronte, e quindi questo somalo aveva già sparato contro il muro dell'ambasciata italiana, per raccontare un episodio specifico. Questo era un caso. Poi c'erano altri somali che avevano lavorato con il contingente italiano o come informatori, o come addetti alla sicurezza, che ritenevano di non essere stati pagati in modo adeguato. È una cosa tipica che si verifica in tutte queste situazioni. Cioè, c'era tutta una serie di somali e di persone presenti sul posto che accampavano pretese, volevano
soldi, non si ritenevano abbastanza pagati, s'inventavano anche danni inesistenti, eccetera.
Queste erano le cose specifiche che mi aveva detto Marocchino, poi, se il colonnello Cantone avesse avuto delle informazioni più precise dalle sue fonti o dai servizi, io questo non lo so.
RAFFAELLO DE BRASI. Poteva saperlo se Carmen Lasorella, che ci ha riferito che il generale Cantone l'aveva accolta all'aeroporto di Mogadiscio dicendole di queste minacce, avendola incontrata a casa di Marocchino, glielo avesse semplicemente detto.
GIOVANNI PORZIO. No, assolutamente non mi ha detto nulla di cose più precise. Ha confermato questa situazione di grande tensione e di rischio, ma senza elaborare di più.
RAFFAELLO DE BRASI. Lei, dottor Porzio, quando Ilaria Alpi ritornò a Mogadiscio, la sentì in qualche modo?
GIOVANNI PORZIO. No, non ci parlai assolutamente.
RAFFAELLO DE BRASI. Ad un certo punto, lei fa una dichiarazione in cui dice: Ilaria Alpi parlò con i rappresentanti dell'agenzia AP o ABU. Lei si ricorda chi erano queste persone?
RAFFAELLO DE BRASI. Chi le riferì questo?
GIOVANNI PORZIO. Mi fu riferito all'albergo Sahafi.
RAFFAELLO DE BRASI. All'albergo le riferirono che lei aveva parlato con questi.
GIOVANNI PORZIO. Sì, perché io, naturalmente, quando andai a prendere i bagagli per pagare l'albergo, eccetera, cercai di sapere se l'avevano vista e a che ora fosse uscita, che cosa aveva fatto, con chi fosse, se aveva la scorta. Feci un minimo di indagine, e lì seppi queste cose.
RAFFAELLO DE BRASI. È importante conoscere i nomi dei rappresentanti di questa agenzia con i quali Ilaria Alpi avrebbe parlato, per capire che cosa si sarebbero detti. Questo mi pare interessante.
Invece, per quanto riguarda Marocchino, dal nostro lavoro di audizioni e di testimonianze, in maniera anche esplicita, anche dalla magistratura, ci viene detto che Marocchino, non solo per le conoscenze che aveva della Somalia, che fosse un agente del SISMI... prendo atto della sua espressione.
GIOVANNI PORZIO. Ne ho sentite molte su Marocchino, ma che fosse un agente del SISMI...
PRESIDENTE. Se no, che agente sarebbe stato, se lo si fosse saputo?
GIOVANNI PORZIO. Dunque, ha fatto bene il suo lavoro. È la prima volta che lo sento.
RAFFAELLO DE BRASI. Dunque, questa è la prima volta che lei sente una cosa di questo genere. E non ha mai avvertito che esistesse un rapporto particolare tra Marocchino e gli agenti, o gli agenti del SISMI che pure erano presenti a Mogadiscio? Lei conosceva qualcuno dei responsabili?
GIOVANNI PORZIO. Certamente, ma adesso i nomi mi sfuggono, uno era Rayola Pescarini e l'altro non mi ricordo come si chiamava. Rayola me lo ricordo molto bene.
Intanto, ci tengo a precisare che circa il mio rapporto con Marocchino, non è che ci frequentassimo molto, perché io non sono mai andato a dormire a casa di Marocchino, prima di quell'unica notte in cui io vi ho dormito, cioè la notte di Ilaria. Infatti, prendevo altre strade. Però, ovviamente, lo conoscevo e l'ho incontrato varie
volte, ma sempre in maniera abbastanza episodica. L'ho incontrato, per esempio, l'ultima volta, proprio in Somalia, insieme all'ambasciatore Cassini, quando io, l'ambasciatore Cassini e Marocchino andammo a visitare una specie di porto che lui aveva organizzato a nord di Mogadiscio. Le parlo di quattro o cinque anni fa. Quindi, ho avuto tanti contatti con lui, ma mai una frequentazione tale da potermi rendere conto se lui avesse particolari rapporti con questo o quel personaggio del SISMI. Sicuramente, Rajola e Marocchino si conoscevano.
RAFFAELLO DE BRASI. Lei non ha mai verificato?
RAFFAELLO DE BRASI. Lei si è fatto un'idea di Marocchino? Ha una sua percezione da poterci comunicare?
GIOVANNI PORZIO. Marocchino è un personaggio abbastanza complesso, nel senso che è stato accusato di tutto: di essere il mandante dell'omicidio di Ilaria, di fare traffico di armi, di fare traffico di rifiuti tossici.
PRESIDENTE. Sempre assolto, sempre assolto, come Ustica.
GIOVANNI PORZIO. Comunque, non ho mai avuto evidenze né conoscenza di traffici del genere in cui lui sia stato mai coinvolto. Quello che so di lui è la sua storia. La sua biografia credo che sia nota: da Genova, al suo arrivo in Somalia, il suo lavoro di trasportatore, i lavori che lui ha fatto per conto dell'ambasciata d'Italia e per conto del contingente italiano. Credo siano stati lavori alla luce del sole, regolarmente pagati, con fatture e non so cosa. Che lui evidentemente fosse un personaggio che dovendo vivere in un ambiente di quel tipo fosse circondato da tutta una serie di personaggi di dubbia connotazione, questo è altrettanto innegabile. Ovviamente, lui aveva una scorta armata numerosa. Non sempre così numerosa, ma in certi periodi veramente il numero di questi addetti alla sicurezza aumentava. Tenga conto che ad un certo punto lui ha tenuto, per conto delle Nazioni Unite, e credo anche per conto della nostra ambasciata, del nostro contingente, alcune tonnellate di materiale nel suo magazzino. Questo materiale doveva essere naturalmente difeso dai ladroni e dai banditi che infestavano Mogadiscio. Perciò aveva assunto nuovo personale di sicurezza. Quindi, è stato anche descritto come una specie di signore della guerra locale, con un esercito privato. In realtà, a mio parere, erano solamente gli uomini necessari che lui doveva usare per mantenere in sicurezza non soltanto la propria abitazione e i suoi uffici, ma soprattutto il materiale che lui teneva per conto, per esempio, del nostro governo. Il magazzino gli è stato anche incendiato una volta, se non due. Quindi, chiaramente aveva bisogni di questi uomini di scorta e di protezione.
Ad una mia domanda precisa (insomma, questo traffico di armi lo fai o non lo fai?), lui mi rispose: guarda, quello che io scarico dalle navi sono container che io devo trasportare da un posto all'altro. Non mi chiedo che cosa ci sia dentro. Ci può essere di tutto ma non è il mio compito quello di guardarci dentro.
Tutto ciò non escludeva il fatto che magari alcuni di questi trasporti potessero trasportare cose diverse, ma lui sosteneva di non esserne a conoscenza e di fare semplicemente il lavoro di trasportatore.
RAFFAELLO DE BRASI. Quindi, lei non ha percepito la complessità del personaggio?
GIOVANNI PORZIO. L'abbiamo percepita, e come, la complessità.
RAFFAELLO DE BRASI. Siccome noi abbiamo intercettazioni in cui sicuramente Marocchino si occupa di riciclaggio di rifiuti, lei non ha potuto...
GIOVANNI PORZIO. Non ne sono a conoscenza. Né sono a conoscenza di traffici di rifiuti in Somalia. Le rispondo per quello che so.
RAFFAELLO DE BRASI. Certo, ed è per quello che le ho detto che la complessità del personaggio Marocchino spesso sfugge perché la sua capacità di simulazione è notevolissima.
Per quanto riguarda l'automobile abbiamo avuto diverse immagini per quanto riguarda la posizione dell'automobile. Per esempio, lei ha dato un'immagine che contrasta con altre immagini che ci sono state riferite da altri.
PRESIDENTE. Anche con quella che è stata data dalla signora.
RAFFAELLO DE BRASI. Cioè, nella sostanza, a noi interesserebbe il discorso della retromarcia. Infatti, guardando il suo disegno, è coerente con la retromarcia, nel senso che si va indietro e si urta. Invece, le altre immagini sono opposte. È il muso che è contro il muro. Il muso contro il muro potrebbe essere in parte contraddittorio con l'ipotesi della retromarcia. Su questo può aggiungere qualcosa?
GIOVANNI PORZIO. È anche possibile che la macchina fosse messa in questa posizione perché se avesse fatto una retromarcia un po' sgangherata, sbandando qua e là, potrebbe avere urtato e poi potrebbe essersi spostata quando si è fermata, ma non lo so.
PRESIDENTE. Infatti, per questo, onorevole De Brasi, noi abbiamo precisato che lui dichiara che gli era stato riferito che ci sarebbe stata una retromarcia.
GIOVANNI PORZIO. Sì, questo è quello che ha detto l'autista.
RAFFAELLO DE BRASI. Questo è importante, e poi c'è anche l'immagine che il dottor Porzio ha dell'auto per come era collocata, che sembra essere diversa...
PRESIDENTE. Sicuramente diversa.
RAFFAELLO DE BRASI. ...come ha detto il generale Blandini e da quello che si vede anche nelle immagini video.
GIOVANNI PORZIO. Le immagini video saranno sicuramente superiori alla mia memoria.
RAFFAELLO DE BRASI. Era per cercare di capire se lei ricordava in maniera precisa questo momento. Poi lei ha parlato di un'auto sforacchiata dai proiettili. Mi pare che lei prima abbia pronunciato la parola sforacchiata.
GIOVANNI PORZIO. Sì, c'erano vetri rotti, credo fosse il parabrezza.
RAFFAELLO DE BRASI. Lei dunque ha avuto l'impressione che fossero stati sparati...
GIOVANNI PORZIO. ... vari colpi, e che alcuni avessero infranto se non tutti i vetri, almeno il parabrezza. C'erano dei fori sulla portiera dell'autista.
RAFFAELLO DE BRASI. I fori sulla portiera dell'autista erano arrugginiti? Lei ha avuto l'impressione che fossero fori vecchi o fori nuovi?
GIOVANNI PORZIO. Al momento ho pensato che fossero fori nuovi.
RAFFAELLO DE BRASI. Sa, questo è stato un tema di discussione tra di noi.
GIOVANNI PORZIO. Sembra curioso che uno vada in giro con una macchina già sforacchiata.
RAFFAELLO DE BRASI. Dunque lei ha avuto l'impressione che fossero nuovi.
GIOVANNI PORZIO. Non ho pensato che potessero essere vecchi. C'era stata un'aggressione, due morti dentro, proiettili che sicuramente hanno infranto i vetri, c'erano dei buchi sulla portiera, non ho pensato che potessero essere vecchi, francamente.
RAFFAELLO DE BRASI. Lei riferisce che Casamenti le avrebbe detto - mi soffermo su questo perché poi non ho più
sentito Casamenti dire questa cosa - come se Ilaria fosse indecisa rispetto all'intervista fatta dal sultano di Bosaso sul suo peso e sul suo valore.
GIOVANNI PORZIO. Sulla validità della sua intervista, se mandarla in onda oppure no, se ne valeva la pena, se diceva cose veramente importanti, oppure stupidaggini.
RAFFAELLO DE BRASI. Lei ricorda che questa cosa fosse stata detta da Casamenti?
GIOVANNI PORZIO. Sì, sì, lui ha detto questo.
RAFFAELLO DE BRASI. Lei è riuscito a riguardare le cassette che aveva visto precedentemente o che anche la sua signora aveva visto, per verificare che fossero le stesse?
GIOVANNI PORZIO. Ho consegnato le cassette alla RAI e non le ho più viste. So che le ha visionate il giudice Ascione.
RAFFAELLO DE BRASI. Era per capire se queste cassette fossero sempre le stesse. Comunque, lei non ne ha più avuto la possibilità?
GIOVANNI PORZIO. Non le ho più viste.
PRESIDENTE. Prego onorevole Deiana.
ELETTRA DEIANA. Lei conosce il signor Menicacci?
ELETTRA DEIANA. E che cosa sa di questo signor Menicacci?
GIOVANNI PORZIO. So che è l'avvocato di Giancarlo Marocchino.
ELETTRA DEIANA. Lo conosce di fama o lo conosce personalmente?
GIOVANNI PORZIO. No, mi ha chiamato varie volte. Lo conosco telefonicamente e sono andato a casa sua a Roma, qualche mese fa.
ELETTRA DEIANA. E che tipo di rapporto lei ha con questo avvocato Menicacci, se posso chiederlo?
GIOVANNI PORZIO. Credo che Marocchino abbia nominato questo avvocato come suo legale di fiducia qui in Italia. Lui mi ha chiamato una prima volta, un anno o due fa, in occasione di uno dei vari processi nel quale Marocchino era stato coinvolto e mi ha chiesto se ero disponibile ad essere ascoltato come teste, cioè se mi poteva citare come testimone in un processo, o una cosa del genere. Poi, invece, non mi citò.
ELETTRA DEIANA. Lei ha testimoniato in un processo?
ELETTRA DEIANA. Le ha chiesto di testimoniare come persona informata sull'attività di Menicacci?
GIOVANNI PORZIO. Sì. Mi ha detto: se avessimo bisogno di una sua testimonianza, lei sarebbe disponibile a venire? Io risposi di sì.
ELETTRA DEIANA. E si riferiva al processo che non c'è stato?
GIOVANNI PORZIO. Non so proprio a quale processo si riferisse. Mi disse che aveva vari processi in corso, tra i quali uno ad Alessandria o uno ad Asti.
ELETTRA DEIANA. Per che cosa sarebbe stato processato, il signor Marocchino?
GIOVANNI PORZIO. No, credo che Marocchino debba aver querelato alcuni giornalisti di Famiglia cristiana. Questa fu l'ultima cosa che mi disse. Poi, mi ha chiamato per la storia del film che è uscito
recentemente sulla morte di Ilaria Alpi. Anche per quello mi ha telefonato e voleva fare una denuncia, voleva far ritirare il film e quindi mi ha chiamato due o tre volte nell'ultimo anno per parlare di queste questioni, come rappresentante di Marocchino.
ELETTRA DEIANA. Posso chiederle perché abbia telefonato a lei? Come amico di Marocchino? Perché la chiamava?
GIOVANNI PORZIO. Marocchino mi ha chiamato, incazzatissimo, per dirmi: hanno fatto un film in cui io figuro come il mandante dell'omicidio di Ilaria. Lo voglio far ritirare. Che cosa devo fare? Fammi un'intervista su Panorama. Io gli risposi: ti faccio un'intervista su Panorama? Ma fammi parlare prima con il tuo avvocato (Marocchino è un personaggio che si esprime anche in maniera molto rozza) e vediamo se posso esservi utile in qualche modo. Questo qui ha irritato molto anche me.
ELETTRA DEIANA. Lei conosceva Marocchino già prima del giorno in cui è arrivato, cioè prima del 19 marzo 1994?
GIOVANNI PORZIO. Sì, lo conoscevo da quando ero andato in Somalia, dal 1991 o 1992.
ELETTRA DEIANA. Questo lo abbiamo capito, è un personaggio che, per chi va in Somalia, è obbligatorio conoscere.
GIOVANNI PORZIO. Sì, lo si incontra per forza.
ELETTRA DEIANA. Sempre su Marocchino, che per noi è un personaggio chiave: lei prima ha negato di sapere che Marocchino fosse un uomo del SISMI.
GIOVANNI PORZIO. Mi giunge nuova.
ELETTRA DEIANA. Sì, ma una cosa è essere un uomo del SISMI, nel senso agente inquadrato nel servizio segreto militare, e un'altra cosa è essere uomo a disposizione dei servizi, cioè un uomo di cui ci si serve. Quindi le risulta...
GIOVANNI PORZIO. Mi risulta che lui, adesso non so se in misura formale, dietro incarico, passasse informazioni ai servizi.
ELETTRA DEIANA. Dunque, collaborava con i servizi italiani?
GIOVANNI PORZIO. Anch'io collaboravo con i servizi italiani. Infatti, se mi recavo a Baidoa, e poi Rayola mi chiedeva quale fosse la situazione...
ELETTRA DEIANA. Sì, ma ci sono livelli diversi.
GIOVANNI PORZIO. La parola collaboratore...
ELETTRA DEIANA. È un informatore. Tutti si collabora, perché lei è italiano e collaborava con i servizi.
GIOVANNI PORZIO. Quando si usa la parola collaboratore del SISMI o informatore del SISMI, si allude ad una cosa molto precisa, cioè ad una persona che lavora per il SISMI, con un rapporto magari non continuativo, con un rapporto non formalizzato, ma che comunque lavora per il SISMI. Io questo non lo so. Questo voglio dire. Che poi lui passasse informazioni all'ambasciata italiana, al SISMI, al contingente italiano, ai giornalisti...
ELETTRA DEIANA. Da tutte le testimonianze di chi è stato in Somalia in quel periodo, si evince che questo Marocchino fosse una sorta di perno di tutte le possibili attività, addirittura anche logistiche. Allora, la domanda che le faccio è questa: secondo lei potrebbe essere che i servizi segreti italiani, o alcuni esponenti dei servizi, per servirsi di Marocchino in funzione di collaboratore, informatore, eccetera, abbiano coperto, nascosto, depistato attività illecite di Marocchino medesimo? Qual è la sua idea? Si è fatto un'idea di questo?
GIOVANNI PORZIO. Non me lo sono mai chiesto.
ELETTRA DEIANA. A suo giudizio, era così importante questo Marocchino per l'agibilità logistico-territoriale dei militari italiani in quel periodo, da far chiudere un occhio su sue eventuali attività?
GIOVANNI PORZIO. Sì, potrei rispondere di sì. Era importante. Se facesse o no attività illecite non lo so. Se avessero o no chiuso un occhio non lo so. Ma se la sua domanda è quella che mi ha fatto prima, la risposta è sì, lui era così importante che probabilmente avrebbero anche potuto chiudere un occhio su attività che non fossero altamente criminose, immagino.
ELETTRA DEIANA. Ci risulta che Ilaria Alpi, a parte un brevissimo periodo, o pochi giorni, di norma non alloggiasse presso il signor Marocchino. E neanche in quei giorni lì, di smobilitazione del contingente italiano e quindi di grande rischio.
GIOVANNI PORZIO. Come nessuno di noi, credo.
ELETTRA DEIANA. Non sa perché non alloggiasse lì?
GIOVANNI PORZIO. Perché non alloggiasse da Marocchino?
GIOVANNI PORZIO. Intanto, non credo che Ilaria abbia mai alloggiato da Marocchino. Forse qualche volta è capitato.
ELETTRA DEIANA. Sì, ci risulta, all'inizio.
GIOVANNI PORZIO. Le ripeto, dipende molto dalle circostanze. Lei era arrivata molto prima di me, almeno due settimane prima. Probabilmente due settimane prima la situazione era più tranquilla. Tutti gli altri giornalisti, CNN ed altri, erano all'hotel Sahafi, dove, del resto, pensavo di andare anch'io. Se io e Gabriella non ci siamo andati è soltanto perché avevamo avuto quel preallarme a Mombasa (situazione di allarme per gli italiani) e poi perché arrivati all'hotel siamo stati circondati da uomini armati che urlavano contro di noi con il fucile spianato. Per cui ci siamo detti (quello non era il posto giusto dove stare): andiamo da Marocchino. Altrimenti, anche noi saremmo andati al Sahafi, dove peraltro andavamo regolarmente, essendo quello l'albergo dei giornalisti. Infatti Sahafi vuol dire giornalisti.
ELETTRA DEIANA. Questa situazione di grande allarme e di pericolo davanti all'hotel Sahafi sarebbe successa il 19.
ELETTRA DEIANA. Durante la giornata, però, non è successo niente davanti all'hotel Sahafi?
GIOVANNI PORZIO. Non lo so, perché noi siamo andati via subito. Non ci sono stati episodi specifici. Mogadiscio è una città in cui si avverte la tensione. In una città in cui regna la totale anarchia è molto facile capire quando l'aria non è quella giusta. Da un momento all'altro, da un secondo all'altro, un assembramento di persone apparentemente pacifiche può trasformarsi in un linciaggio. A noi diede quell'impressione. Magari era sbagliata, non lo so. Magari erano solo curiosi, ma dava quell'impressione.
ELETTRA DEIANA. Lei ha notizie di una disistima che Ilaria Alpi aveva nei confronti di Marocchino?
GIOVANNI PORZIO. Reputo di sì, anche se devo dire che questo convincimento l'ho potuto far discendere da altre testimonianze e anche da questo film che è uscito, che, però, ritengo completamente inattendibile e pieno di errori.
Penso di sì, perché non lo frequentava mai, non aveva molto a che fare con lui,
probabilmente non lo riteneva utile o non lo stimava. Comunque, nessuno aveva stima di Marocchino. Marocchino è un personaggio che può essere utile o meno. È stato utile al contingente, utile in certe situazioni e a certi giornalisti, anche per salvarsi la pelle, utile come informatore. È un personaggio che vive lì e che quindi conosce tutti i segreti e le sfumature e le atmosfere. È chiaro che è un personaggio che può essere utile.
ELETTRA DEIANA. Vorrei farle una domanda relativa a quanto lei ci ha detto sulla protesta dell'ingegner Mugne e al viaggio che lei avrebbe fatto a Gibuti per visitare la nave 21 ottobre II. Lei non ci ha detto l'anno, ma suppongo che fosse successivo alla morte di Ilaria Alpi.
ELETTRA DEIANA. Lei ci ha detto che un marinaio imbarcato su questa nave, e poi sbarcato a Livorno, ha rilasciato un'intervista al giornale Liberazione, che non è di larghissima diffusione.
GIOVANNI PORZIO. Sì, ma poi è stata ripresa da l'Unità, dal Corriere della Sera e da tutti.
ELETTRA DEIANA. Allora, le chiedo, siccome, secondo quello che lei ci ha riferito Mugne le avrebbe telefonato molto allarmato dal chiasso mediatico in seguito al quale gli affari, i suoi traffici, eccetera, avrebbero subito detrimento...
GIOVANNI PORZIO. Sì, la sua attività è stata praticamente bloccata.
ELETTRA DEIANA. Volevo capire l'ampiezza, perché io non mi ricordo affatto questo episodio, cioè se effettivamente c'è stato un grande chiasso su questa intervista.
GIOVANNI PORZIO. Per quello che ricordo, l'intervista è stata pubblicata prima su Liberazione, poi ripresa da l'Unità, poi ripresa da tutti gli altri giornali, da Repubblica, dal Corriere della Sera ed altri. Questa era diventata la testimonianza chiave che avrebbe dimostrato il coinvolgimento di questa flotta nel traffico di armi, e che Ilaria avrebbe scoperto.
ELETTRA DEIANA. E che questo ingegner Mugne l'ha invitata a Gibuti per fare una controinchiesta positiva per la sua flotta. È così?
GIOVANNI PORZIO. Positiva? Forse nelle sue intenzioni, io direi obiettiva.
ELETTRA DEIANA. Lei ha poi prodotto del materiale informativo?
GIOVANNI PORZIO. Ho pubblicato su Panorama un articolo nel quale riproducevo le fotocopie dei documenti che poi ho dato al magistrato.
ELETTRA DEIANA. Presidente, tutto questo lo possiamo acquisire, o lo abbiamo acquisito?
ELETTRA DEIANA. Sì, sia il materiale che dall'intervista di questo marinaio a Liberazione si è diffuso mediaticamente, sia...
GIOVANNI PORZIO. Ho trasmesso al magistrato tutte le fotocopie del mio articolo, ma anche dei documenti originali.
PRESIDENTE. Allora, ce li abbiamo.
ELETTRA DEIANA. Sì, ma a me interessava conoscere la quantità di spazio che i media avrebbero dato, successivamente all'intervista pubblicata da Liberazione, alla testimonianza di questo marinaio, che dovrebbe essere tale da suscitare la preoccupazione di Mugne.
GIOVANNI PORZIO. La preoccupazione di Mugne non è data dal clamore mediatico, ma dal fatto che l'Unione europea gli ha tagliato le assicurazioni sulle navi. Cioè, lui ha avuto un danno preciso.
ELETTRA DEIANA. Sì, ma è stato in seguito a questa testimonianza?
GIOVANNI PORZIO. È stato in seguito all'intervista e alle indagini della magistratura, che insistevano sul fatto che vi era un traffico di armi in cui questa flotta era coinvolta.
ELETTRA DEIANA. Lei ha visitato la nave? Si ricorda se ha visitato le celle frigorifere? Si ricorda se queste celle frigorifere erano normali?
GIOVANNI PORZIO. Erano piene di pesci. Stava imbarcando tonnellate di pesce. Infatti, funziona in questo modo: la nave frigorifera sta ferma, i quattro o cinque pescherecci d'altura fanno la campagna di pesca che dura alcuni mesi, congelano il pesce, lo trasferiscono sulla nave frigorifera che, quando è piena, parte, in questo caso per Gaeta, dove va a scaricare. A quel punto, le celle erano strapiene di pesce di vari tipi, a temperature bassissime.
ELETTRA DEIANA. Lei, prima, parlando dei taccuini che ha visionato nella stanza di Ilaria Alpi, ha detto che tra le cose che si ricorda di aver letto c'era qualche notazione sulla strada Garoe-Bosaso. È così? Lo conferma?
GIOVANNI PORZIO. Veramente avevo detto il contrario, cioè che non mi ricordavo della parola Garoe.
PRESIDENTE. Però, poi l'abbiamo trovata.
GIOVANNI PORZIO. Poi l'abbiamo vista, ma non mi ricordavo di aver letto in maniera specifica della strada Garoe-Bosaso. Adesso l'ho vista sul taccuino e vedendola me la sono ricordata.
ELETTRA DEIANA. Mi riferisco al taccuino dove erano segnati i time code. Si ricorda quante pagine erano riempite?
GIOVANNI PORZIO. Probabilmente un paio di pagine, due o tre pagine, poche pagine, perché erano fitte di numeri, perché i time code sono numeri. Si tratta di un minutaggio.
ELETTRA DEIANA. Lei si ricorda che cosa ha detto Casamenti relativamente al giorno della partenza di Ilaria Alpi a Mogadiscio?
GIOVANNI PORZIO. Sì, lui mi disse che erano andati all'aeroporto per partire il giorno 18 - mi sembra di ricordare - per prendere l'aereo per Mogadiscio, e che invece, arrivati all'aeroporto, l'aereo era già partito. Quindi, c'è stato un disguido, un cambiamento di programma del velivolo, che è partito in orario diverso da quello previsto, e per questo motivo loro sono dovuti rimanere.
ELETTRA DEIANA. Quindi era il 18?
ELETTRA DEIANA. Dunque, Ilaria Alpi sarebbe rimasta ancora a Bosaso...
GIOVANNI PORZIO. ... il 18 sera, il 19 e il 20 mattina.
PRESIDENTE. Per concludere, vorrei mostrare un documento al dottor Porzio (Mostra un documento). Lei ha mai avuto in mano questo documento?
Viene mostrato al dottor Porzio un documento recante vari numeri, e, lateralmente, sporco di sangue.
Chi l'ha preso questo?
GIOVANNI PORZIO. Secondo me è stato preso dal SISMI.
PRESIDENTE. Perché dai servizi? Quando, i servizi?
GIOVANNI PORZIO. La mamma di Ilaria mi disse che alcuni fogli contenenti numeri di telefono erano stati prelevati a sua insaputa da funzionari del SISMI, dei servizi segreti, e che lei ha saputo di questo solo quando le furono restituiti.
GIOVANNI PORZIO. Dai servizi. Credo che a questo punto le siano stati riconsegnati dai servizi. Immagino che siano questi.
PRESIDENTE. Guardi, la restituzione non avviene attraverso i servizi ma avviene attraverso il presidente della RAI Demattè, però a noi interessa l'altra notizia che lei ci ha dato. Se fosse esatto il suo ricordo - stiamo analizzando - Demattè (morto anche lui il 20 marzo) avrebbe ricevuto questo documento dai servizi, probabilmente dal SISMI. Questo le è stato detto da chi?
GIOVANNI PORZIO. Dalla mamma di Ilaria. Luciana Alpi mi disse in più d'una occasione quei «puntini puntini» dei servizi avevano sottratto degli effetti personali di Ilaria, cioè dei fogli, dei numeri di telefono, eccetera, senza dire nulla e che lo avevano saputo soltanto quando le erano stati restituiti.
Ora, non mi ricordo se mi abbia detto chi glieli avesse restituiti.
PRESIDENTE. Comunque, lei non ha mai visto questo foglio?
GIOVANNI PORZIO. No, non mi pare.
PRESIDENTE. Si tratta di capire da dove viene. Che questo stesse in Somalia non c'è ombra di dubbio, che stesse nella macchina dove è stata uccisa Ilaria, non c'è altrettanto dubbio.
GIOVANNI PORZIO. Questa non è una fotocopia del taccuino.
GIOVANNI PORZIO. Sono fogli di protocollo, e mi pare di ricordare che lei avesse un taccuino anche di questo formato e forse vi aveva strappato dei fogli che si portava dietro perché c'erano i numeri di telefono che potevano servirle mentre andava in giro a lavorare, perché ci sono i numeri di Stockwell, del comando americano, Annalena Tonelli, quella cara amica che è stata uccisa proprio a Bosaso, qualche mese fa. Sì, sicuramente, lo portava in tasca perché vi erano questi numeri.
PRESIDENTE. Ha mai visto questi documenti (Mostra dei documenti)?
Al teste vengono esibiti tre blocchetti di annotazioni sotto la lettera a), in prosecuzione, con il secondo, e sotto la lettera b).
Li può osservare?
GIOVANNI PORZIO. Questo non l'ho mai visto, quest'altro sembra un foglio preparatorio di un'intervista alla Croce rossa, e quest'altro non l'ho mai visto.
PRESIDENTE. Esibito al teste il blocco sotto la lettera a), il teste risponde: non ho mai visto queste annotazioni.
Se lo ricorda invece questo?
Mostrati al teste i due blocchi di annotazioni, sotto la lettera b), mentre riconosce quello iniziale sotto la medesima lettera, non ha ricordo della sua prosecuzione.
Onorevole Deiana, prego.
ELETTRA DEIANA. Mi è venuto in mente un altro particolare. Prima lei ha parlato di un inventario fatto nella notte del 20, a mezzanotte, molto meticoloso, al punto da registrare tutto. Ma poi, nel rapporto di questo inventario, si parla molto genericamente, per esempio, di alcune videocassette. Come mai questa meticolosità è poi approdata a questa formulazione?
GIOVANNI PORZIO. Io non ho scritto il rapporto. Questo lo scriveva il commissario di bordo.
ELETTRA DEIANA. Dunque, il commissario guardava tutto attentamente.
GIOVANNI PORZIO. Mi chiedevano: cos'è questo? E io rispondevo: questo è un trasduttore per la telecamera. Poi mi chiedevano quante penne vi fossero e di che marca, e io glielo dicevo, ma poi, che cosa loro abbiano scritto non lo so, ma immagino che loro avranno l'originale di questo inventario. Mi era parso molto meticoloso, tanto da andare a scrivere la marca dei taccuini, il tipo di penna eccetera.
ELETTRA DEIANA. È stato necessario un lungo tempo. Lei ha detto due ore.
GIOVANNI PORZIO. Sì è durato parecchio. Poi, però, mi pare di ricordare un elenco sommario del materiale inventariato. Forse era in mano a qualche giudice. Sicuramente, negli atti deve esserci, perché è stato trasmesso dall'esercito al magistrato.
ELETTRA DEIANA. C'è un aspetto che credo interessi a tutti. È stata resa una testimonianza molto precisa, o forse due, adesso non mi ricordo, e comunque, nelle ricostruzioni che sono state fatte in questi anni da parte di chi ha seguito la vicenda, c'è poi l'idea che Ilaria Alpi volesse andare preminentemente a Bosaso con delle intenzioni predeterminate. Addirittura, c'è stato detto dall'operatore che solitamente lavorava con lei e che poi non partì con lei, che sarebbe stata predeterminata da prima. Invece, altre testimonianze ci dicono che questo viaggio fu casuale. Lei che idea ha?
GIOVANNI PORZIO. Le due cose non sono in contraddizione. Ovviamente, io non so che intenzioni avesse Ilaria. Immagino che se pensava di andare a Bosaso era perché voleva indagare sulla cooperazione, perché Bosaso era stato uno dei simboli della mala cooperazione: il FAI, la strada Garoe-Bosaso eccetera. Quindi l'unico motivo per cui a quell'epoca poteva essere dal punto di vista giornalistico andare a Bosaso e non a Chisimaio dove invece si combatteva, poteva essere rappresentato dalla storia della cooperazione, dalla storia della pirateria sulle navi (erano le due storie sulle quali si poteva indagare lì) e forse anche il fatto di raccontare di questo Somaliland dove nessuno andava perché tutti si concentravano su Mogadiscio, ed invece fare un servizio sul nord della Somalia, ex colonia inglese. Questi erano i motivi di interesse che ci potevano essere.
Non posso sapere se lei avesse programmato già in Italia di recarsi a Mogadiscio, questo però non è in contraddizione con il fatto che dicevo prima. Infatti, uno sfrutta le possibilità che ha sul campo. Ad esempio, se vado a Mogadiscio, e ho in mente di andare a Chisimaio per un servizio sulla guerra, a Baidoa per un servizio sulla fame, a Bosaso per un servizio sulla cooperazione, poi al momento vedo che possibilità pratiche ci sono per andare in questi posti. Magari la cosa più importante era quella di andare a Chisimaio? Allora tento di andarci. Non trovo l'aereo per Chisimaio? Ce ne è uno che va a Bosaso? Benissimo, tanto mi interessava comunque andare a Bosaso. È in quel senso casuale; non che fosse casuale che per caso si finisce a Bosaso; certamente, c'era un interesse. E in quel senso non è in contraddizione.
ELETTRA DEIANA. Il fatto che avesse tentato di andare a Chisimaio lei lo ha saputo il 19, a casa di Marocchino?
ELETTRA DEIANA. Chi le ha parlato del fatto che avesse intenzione di andare a Chisimaio ma abbia, poi, perso l'aereo?
GIOVANNI PORZIO. Marocchino e Carmen Lasorella.
ELETTRA DEIANA. Carmen Lasorella o Marocchino? Lo ricorda? Se ben ricordo, nella testimonianza che ha reso in questa sede Carmen Lasorella ha detto di aver fatto più o meno come diceva lei, cioè andava dove era possibile. E ci ha detto
che avevano parlato insieme, si erano un po' confidate e Ilaria Alpi le avrebbe detto che sarebbe andata, a seconda dell'aereo che avesse trovato, o a Merca o a Bosaso. Chisimaio Carmen Lasorella non ce lo ha nominato.
GIOVANNI PORZIO. A Merca non è possibile, a Merca si andava in macchina.
ELETTRA DEIANA. Quella sera chi le ha nominato Chisimaio? Non lo ricorda?
GIOVANNI PORZIO. Non me lo ricordo. Si stava lì a parlare insieme, c'era Carmen, c'era Marocchino... Uno dei due. Si facevano anche ipotesi su cosa potesse essere successo, come mai fosse finita a Bosaso, come mai non fosse tornata il giorno in cui era previsto il suo ritorno. Si parlava un po' così, non era una cosa precisa, tipo «voleva andare a Chisimaio», però a me pare di ricordare che l'impressione che io ebbi è che la sua prima intenzione, come obiettivo prioritario, fosse di andare a Chisimaio e che poi, non avendo trovato il modo per andare, avesse optato per l'altra cosa interessante, che era Bosaso. Ma sono un po' supposizioni.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Porzio, dal quale acquisiremo, come d'accordo, il materiale fotografico che ha offerto di mettere a disposizione della Commissione.
Dichiaro concluso l'esame testimoniale.
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