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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di Patrizia Scremin, moglie di Miran Hrovatin.
Signora, lei è stata ascoltata da altre autorità giudiziarie o da altre autorità in genere?
PATRIZIA SCREMIN. Sì, nel 1996 sono stata invitata in una caserma di Trieste e ho redatto un verbale inerente ad un'indagine, forse della procura di Brescia, sul traffico di armi.
PRESIDENTE. È stata poi risentita dopo quella audizione? È stata sentita a Brescia?
PATRIZIA SCREMIN. No, a Trieste.
PRESIDENTE. È stata sentita altre volte?
PRESIDENTE. È stata mai sentita da autorità giudiziarie? Non è stata mai sentita nei processi penali che si sono svolti?
PRESIDENTE. Quindi, sulla vicenda che riguarda suo marito lei non ha mai reso dichiarazioni a nessuno.
PRESIDENTE. Né qualcuno le ha chiesto di renderle.
PRESIDENTE. Può darci le sue generalità?
PATRIZIA SCREMIN. Patrizia Scremin, nata a Trieste il 17 aprile 1954, residente a Trieste.
PRESIDENTE. La devo avvertire che lei è ascoltata dalla Commissione senza che presti formale giuramento, però è tenuta a dire la verità. Mi corre l'obbligo anche di precisare, sul piano formale, che, laddove questo non accadesse, lei incorrerebbe in responsabilità penali per falsa testimonianza esattamente come se avesse prestato giuramento, perché la nostra delibera istitutiva così ha stabilito.
Colleghi, l'onorevole Schmidt è chiamato presso la Commissione affari costituzionali, per cui, col vostro permesso, anteporrei le sue domande a tutte le altre in modo da liberarlo al più presto.
GIULIO SCHMIDT. Grazie, signor presidente. Anticipo brevemente ciò che poi il presidente, a nome di tutti, dirà in premessa del suo intervento.
Signora Scremin, la ringrazio molto per la sua presenza.
PRESIDENTE. Le vogliamo anche dire che lo avremmo fatto comunque, ma l'onorevole Schmidt è stato il più sollecito a chiedere che lei venisse sentita da questa Commissione e soprattutto vogliamo sottolineare - purtroppo i circuiti mediatici molto spesso fanno brutti scherzi - che egli ha invitato i mass media e noi stessi ad indicare questa Commissione sotto il nome non soltanto di Ilaria Alpi ma anche di Miran Hrovatin.
GIULIO SCHMIDT. Grazie, signor presidente, di questa sottolineatura.
Signora, apprezzo profondamente il lavoro dei cineoperatori e dei videooperatori, che considero essenziali per l'informazione televisiva e non solo. Per me essi sono giornalisti che scrivono con le immagini e sono ad essi equiparati.
Le rivolgerò ora alcune domande, anche leggermente private. Vorrei sapere se la figura di Miran, così come viene descritta nel film tratto dal libro L'esecuzione, corrisponda effettivamente alla persona o se le caratteristiche personali e caratteriali di Miran siano diverse.
PATRIZIA SCREMIN. A mio parere, mio marito era l'opposto. Ho visto il film, ho dovuto vederlo, perché non sono stata interpellata, non mi è stato detto niente. L'ho visto e per me è stato scioccante, perché di Miran non c'era niente. Il personaggio del film è una bravissima persona, un uomo degno, un bravo cineoperatore, ma non rispecchia minimamente la personalità di mio marito. È l'opposto.
GIULIO SCHMIDT. Che cosa di suo marito le manca nel film? Dice che è tutto l'opposto, ma quali sono le caratteristiche particolari che mancano?
PATRIZIA SCREMIN. Mio marito aveva una personalità molto spiccata, era un uomo molto deciso che aveva delle idee e assumeva iniziative. Il personaggio nel film, oltreché portare le borse non fa niente altro, invece mio marito era una persona che operava con il giornalista, tanto che era richiestissimo durante tutta la guerra in Bosnia. I giornalisti volevano lavorare con lui per la sua grande professionalità, per la sua conoscenza delle lingue, per la sua cultura. Non era un portaborse, era una persona valida e comunque ci metteva del suo: se qualcosa non andava bene lo diceva e proponeva.
GIULIO SCHMIDT. Era anche molto scrupoloso.
PATRIZIA SCREMIN. Era estremamente scrupoloso e molto attento. Non faceva le cose avventatamente. Ho seguito tutti i suoi preparativi nei viaggi precedenti; lui era uno specialista nel suo settore, nel senso che era un corrispondente di guerra ed era estremamente prudente, perché aveva una famiglia, un bambino piccolo e una situazione familiare non molto semplice, per cui si autotutelava e tutelava chi gli stava vicino. Era molto attento, non agiva di impulso, non era nel suo carattere.
GIULIO SCHMIDT. Ieri sera abbiamo appreso dai genitori di Ilaria Alpi una notizia abbastanza inedita e cioè che Ilaria Alpi volle assolutamente Miran: rifiutò tutte le proposte che fecero per farla risparmiare e chiese la presenza di Miran. Quindi, chiaramente c'erano stima reciproca e condivisione del metodo di lavoro. Lei parlava spesso con suo marito delle missioni e di quello che andava a fare? Le parlava delle missioni per le quali partiva?
GIULIO SCHMIDT. Che cosa le disse della missione a Mogadiscio?
PATRIZIA SCREMIN. Mio marito era stato in Bosnia due o tre settimane (mi sembra tre) ed era stato per lui un periodo molto duro e faticoso. Quando è tornato
era molto stanco ed è rimasto pochissimo a Trieste: tra il rientro dalla Bosnia e la partenza per la Somalia mi sembra che siano passati solamente sette giorni. Aveva avuto un contatto con Ilaria che aveva telefonato più volte richiedendo il suo operato in Somalia. Ricordo che ero rimasta un po' perplessa per la ristrettezza dei tempi, perché di solito lui organizzava in maniera molto dettagliata un viaggio, era estremamente pignolo, ma lui mi aveva tranquillizzata dicendomi che aveva ricevuto dalla RAI l'incarico di riprendere il contingente italiano che partiva dalla Somalia. Mi disse: «Patrizia, non ti preoccupare, sto via solamente una settimana e sarà un lavoro quasi di relax, perché andiamo semplicemente a riprendere il contingente italiano che parte». Quello era il suo impegno e lui era molto tranquillo.
GIULIO SCHMIDT. Quindi, non le disse che Ilaria stava svolgendo una particolare inchiesta all'interno di quella spedizione?
PATRIZIA SCREMIN. No, non mi disse nulla.
GIULIO SCHMIDT. Passo ora ad un aspetto triste: fu lei a chiedere l'autopsia o fu l'autorità giudiziaria a chiederle di poterla fare?
PATRIZIA SCREMIN. Io non l'ho chiesta.
GIULIO SCHMIDT. Lei prese visione del referto dell'autopsia?
PATRIZIA SCREMIN. Ho preso visione di un certificato che mi è arrivato dalla Somalia insieme ai suoi effetti personali. Non ricordo se fosse l'autopsia, ma indicava l'arma che era stata usata. Non ricordo di aver letto il documento dell'autopsia.
GIULIO SCHMIDT. Le risulta che l'autopsia dichiarasse una ferita da arma piccola o da mitragliatore kalashnikov?
PATRIZIA SCREMIN. Non ricordo. Arma da fuoco era specificato. So che aveva delle escoriazioni. C'era scritto che la morte era stata causata dalla fuoriuscita della materia cerebrale e poi c'erano escoriazioni al braccio. Però non ricordo il tipo di arma.
GIULIO SCHMIDT. Quindi probabilmente la perizia balistica non fu fatta?
PATRIZIA SCREMIN. Non ricordo.
PRESIDENTE. Le è stato chiesto se ci fosse una sua disponibilità a che suo marito venisse sottoposto ad autopsia, oppure lei non ne ha saputo proprio niente?
PATRIZIA SCREMIN. Non ricordo se mi abbiano chiesto il permesso, se mi sia stato proposto.
PRESIDENTE. Ricorda se lei ha fatto un'opposizione?
PATRIZIA SCREMIN. No, non ho fatto un'opposizione; l'ho considerata una cosa normale.
PRESIDENTE. Ha visto il corpo di suo marito quando è arrivato?
PATRIZIA SCREMIN. No, sono stati i fratelli ad accoglierlo all'aeroporto.
PRESIDENTE. Quindi non è in grado di dirci se si sia trattato di un accertamento di routine, come succede sempre, anche se in questo caso - non so se lei lo sappia, ma glielo diciamo noi - invece a Ilaria Alpi non fu fatta alcuna autopsia.
PATRIZIA SCREMIN. Non ricordo se sia partita proprio da un'autorità preposta a Trieste, probabilmente sì perché non era una mia richiesta. È stato fatto tutto in maniera molto veloce.
PRESIDENTE. Lei è stata interpellata?
PATRIZIA SCREMIN. Io avevo richiesto la cremazione, perché era un desiderio di mio marito.
PRESIDENTE. È stato cremato poi?
PATRIZIA SCREMIN. Sì. Circa l'autopsia non ricordo.
GIULIO SCHMIDT. Pensa che sia rintracciabile il referto autoptico?
PRESIDENTE. Lei potrebbe non sapere se ci sia stata una richiesta o se vi sia stata un'opposizione non accolta. Potrebbe essere che qualcuno dei parenti di suo marito sia stato interpellato sul punto o no?
PATRIZIA SCREMIN. Può darsi il fratello.
PRESIDENTE. Come si chiama il fratello di suo marito?
PATRIZIA SCREMIN. Sono due, Danilo e Janko Hrovatin.
PRESIDENTE. Dove li possiamo trovare?
PATRIZIA SCREMIN. A Trieste. Se vuole, posso lasciare il numero di telefono, oppure posso chiedere a loro questa sera.
PRESIDENTE. Non basta. Se può lasciarci il recapito telefonico, ci metteremo in contatto con loro.
GIULIO SCHMIDT. Suo marito era socio della Videoest?
GIULIO SCHMIDT. Quindi, probabilmente avete, anche se è passato tanto tempo, qualche bolla d'uscita che indica quante cassette Miran portò per la spedizione con Ilaria.
PATRIZIA SCREMIN. Penso di sì.
GIULIO SCHMIDT. Ritiene che sia rintracciabile questa documentazione?
PATRIZIA SCREMIN. Credo di sì.
GIULIO SCHMIDT. Lei può farsi carico presso la Videoest di capire con quali attrezzature fosse partito e soprattutto con quante e quale tipo di cassette (immagino fossero quelle per la telecamera), se avesse una centralina di montaggio portatile e cassette da 60? Come fu preparata la partenza di Miran? Questo è importante alla luce di alcune presunte sparizioni o mancanze all'interno dei materiali.
Quando le arrivarono gli effetti personali dalla Somalia, non ha trovato nessuna cassetta?
PATRIZIA SCREMIN. No, non c'era niente. D'altronde, il bagaglio che mi è arrivato era un ammasso di vestiti e cose; non era la valigia fatta da lui.
GIULIO SCHMIDT. Le attrezzature come le sono arrivate?
PATRIZIA SCREMIN. Non sono arrivate a me, sono arrivate alla Videoest. A me sono arrivati solamente due bagagli: la valigia degli effetti personali e una valigia di ferro in cui c'erano i doni per il figlio (sabbia e conchiglie).
GIULIO SCHMIDT. Durante la spedizione in Somalia le telefonava spesso?
GIULIO SCHMIDT. Quasi tutti i giorni?
PATRIZIA SCREMIN. No, tutti i giorni no. Mi avrà chiamato tre o quattro volte.
GIULIO SCHMIDT. La chiamò da Bosaso?
PATRIZIA SCREMIN. No, mi chiamò prima della partenza. Le telefonate furono tutte da Mogadiscio.
GIULIO SCHMIDT. Non le comunicò alcuna notizia personale o professionale?
PATRIZIA SCREMIN. No. Parlavamo di cose personali, perché in quel periodo mio padre era stato ricoverato per un infarto. Quindi, si parlava del bambino, di mio padre. Lui stava bene, lo sentivo molto sereno, molto tranquillo. Ripensando al suo tono, posso dire che era tranquillo.
GIULIO SCHMIDT. Conoscendo suo marito e la sua professionalità, se non ci fosse stato un segnale da parte di Ilaria Alpi di interrompere un'intervista importantissima che stava riprendendo, suo marito, di sua iniziativa, avrebbe interrotto la ripresa per poi riprenderla o avrebbe continuato a girare?
PRESIDENTE. Sa la signora a che cosa si riferisce l'onorevole Schmidt?
PATRIZIA SCREMIN. Sì, lo so. Non posso essere stata nella testa di mio marito, ma sicuramente lui cercava di svolgere il lavoro nella miglior maniera possibile, quindi avrebbe fatto la cosa più giusta, più logica, più interessante.
GIULIO SCHMIDT. La ringrazio, signora.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Schmidt.
Signora, sono molto sorpreso dal particolare che lei prima ci ha rassegnato, cioè dal fatto di non essere mai stata sentita dall'autorità giudiziaria.
Nel processo penale che si è svolto a Roma a carico del giovane somalo che poi sarebbe stato condannato, vi siete costituiti parte civile lei e i fratelli di suo marito?
PRESIDENTE. Solo lei. I fratelli di suo marito non si sono costituiti parte civile?
PATRIZIA SCREMIN. Sono andata io.
PRESIDENTE. Tramite chi si è costituita parte civile? Chi è l'avvocato?
PATRIZIA SCREMIN. Non ricordo il nome.
PRESIDENTE. Se lo ricorda, può farcelo sapere?
PRESIDENTE. Si trattava di un avvocato di fiducia? Lo conosceva?
PATRIZIA SCREMIN. Lo avevo trovato a Roma tramite conoscenti. Ho avuto con lui rapporti telefonici e poi l'ho incontrato nel suo studio dove abbiamo parlato del processo e del somalo. Lo conoscevo da anni.
PRESIDENTE. Non le ha mai posto l'eventualità di essere sentita dall'autorità giudiziaria? Una persona, sia pure danneggiata da reato omicidiario, in una vicenda come questa, è stata totalmente assente dalle scene giudiziarie da quando sono cominciate fino a quando sono finite (anche se sappiamo che è ancora pendente un procedimento penale a Roma)! Scusi la franchezza: lei non ha avvertito mai l'esigenza di prendere l'iniziativa presso l'autorità giudiziaria per far sapere le sue ragioni, per conoscere quale fosse l'andamento della vicenda? È possibile mai che con tanti magistrati che si sono avvicendati in questo processo non ce ne sia stato uno che, di fronte alle situazioni controverse che hanno caratterizzato questo accertamento penale (ne abbiamo avuto testimonianza ieri ancora - ma non ce n'era bisogno - dalla famiglia di Ilaria Alpi), abbia sentito il bisogno di capire se, attraverso sue consapevolezze provenienti da confidenze o dichiarazioni di suo marito, potesse essere utile all'indagine? Nessuno per dieci anni?
PATRIZIA SCREMIN. A parte quel verbale dettagliato di cui ho parlato, nessuno mi ha mai chiamato. Sapevo che gli organi
preposti indagavano e quindi seguivo la vicenda che comunque si poteva seguire...
PRESIDENTE. ...anche sulla stampa. Ma non basta.
PATRIZIA SCREMIN. Io, personalmente, non ho forse collaborato attivamente perché... ognuno ha le sue storie ed io mi sono trovata con una storia pesantissima: mio padre era ricoverato per infarto e, alla notizia della morte di mio marito, è morto, perché dopo venti giorni il cuore gli ha ceduto; mia mamma era in dialisi e avevo un bambino di otto anni. I primi tempi, onestamente, sopravvivevo per la mia famiglia, dopo la mancanza di mio marito: non avevo solo un bambino di otto anni, ma anche una madre in dialisi che è morta poco dopo. In realtà, con tutto il rispetto per le indagini che ho sempre seguito e seguirò, il mio fine principale era quello di sopravvivere e più che altro far sopravvivere mio figlio di otto anni.
PRESIDENTE. Ha avuto modo di confrontarsi, quantomeno nei momenti caldi dell'inchiesta o del processo, con i genitori di Ilaria Alpi? Vi siete mai sentiti? Avete avuto contatti, rapporti, avete assunto iniziative insieme?
PATRIZIA SCREMIN. No, non abbiamo assunto iniziative comuni. Ci siamo sentiti e ho spiegato loro col cuore in mano le mie grosse difficoltà. Ho detto loro: «Voi avete perso una figlia ed io capisco questo esporsi personalmente, ma io sono in una situazione diversa». Non apparire pubblicamente non vuol dire disinteressarsi, perché mi sono interessata nei minimi particolari. Il mio non apparire non era dovuto a disinteresse ma alla necessità di vivere una vita al di fuori dei riflettori (i mass media sono anche pesanti).
PRESIDENTE. Anche fuori dai riflettori lei si è interessata ed è stata assorbita dai problemi che ha sinteticamente rappresentato alla Commissione. C'erano ragioni per le quali quello che si articolava intorno alla vicenda dell'uccisione di suo marito e di Ilaria Alpi non era da lei condiviso, oppure c'erano sue consapevolezze che facevano sì che quello che si diceva intorno alle possibili causali potesse non avere un fondamento o potesse essere forzato?
PRESIDENTE. Se lei mi consente, un pizzico di sorpresa da parte nostra c'è non solo per il disinteresse che emerge dal fatto che in dieci anni di processi nessuno l'ha chiamata per sapere che cosa potesse conoscere, ma anche da parte sua. Lei mi perdonerà per questa rilevazione, ma noi dobbiamo accertare come stanno le cose, ma sorprende un po' questo atteggiamento, di fronte al forte attivismo dei genitori di Ilaria Alpi (ne abbiamo avuto dimostrazione proprio ieri sera quando li abbiamo ascoltati) che non girava a vuoto ma ha prodotto dei risultati forti e rilevanti, anche se poi non sempre sono stati seguiti.
Vorremmo sapere se ci sia una ragione particolare per cui quello che può apparire un suo disinteresse potrebbe essere qualche altra cosa, magari una non condivisione di quello che si imbastiva e si è imbastito intorno a questa vicenda, per la quale questa Commissione è stata istituita.
PATRIZIA SCREMIN. No, non si tratta di non condividere. Le indagini andavano avanti ed è giusto che vadano avanti. So che mio marito non operava per un certo tipo di indagini. Aveva accettato questo incarico perché gli era sembrato facile. Non indagava su niente.
PRESIDENTE. Faceva il professionista e basta.
PATRIZIA SCREMIN. In questo senso sì. Nella storia della Somalia, molte volte ho pensato che lui si sia trovato al momento sbagliato nel posto sbagliato, perché lui non aveva un suo progetto di indagine su questo o quell'altro. Aveva accettato questo tipo di incarico perché aveva bisogno di lavorare.
PRESIDENTE. Suo marito era friulano o giuliano?
PATRIZIA SCREMIN. Era nato a Trieste, quindi era triestino di nazionalità italiana, di origine slovena, faceva parte della minoranza slovena a Trieste.
PRESIDENTE. Veniamo ora al rapporto professionale di suo marito con Ilaria. Da quanto tempo la conosceva?
PATRIZIA SCREMIN. Aveva conosciuto Ilaria Alpi in Bosnia, quindi tre settimane prima. Era la prima volta che la signorina Alpi andava in Bosnia e si era sentita rassicurata dall'esperienza di Miran (secondo quanto lui mi ha raccontato) che conosceva il posto perché aveva seguito, in qualità di cineoperatore, tutta la guerra della Bosnia dove andava da anni. L'aveva conosciuta lì e poi al ritorno a Trieste so che era stato contattato.
PRESIDENTE. Quanto tempo prima è tornato a Trieste rispetto alla partenza per la Somalia?
PATRIZIA SCREMIN. Una settimana.
PRESIDENTE. Era stato in Bosnia due settimane.
PRESIDENTE. In Bosnia lavorava con Ilaria Alpi, oppure ciascuno faceva il suo lavoro?
PATRIZIA SCREMIN. Lui era cineoperatore.
PRESIDENTE. Ma non per Ilaria Alpi?
PATRIZIA SCREMIN. Sì, per Ilaria Alpi.
PRESIDENTE. Allora quella somala non era la prima collaborazione? La prima è quella in Bosnia.
PATRIZIA SCREMIN. Loro si sono conosciuti in Bosnia.
PRESIDENTE. Pensavo che la conoscenza non fosse connessa con l'attività lavorativa.
PATRIZIA SCREMIN. Si sono conosciuti in Bosnia, dove lui aveva svolto un ottimo lavoro. Mi ha detto che aveva lavorato bene e tranquillamente come sempre e al ritorno è stato contattato da Ilaria Alpi che gli ha proposto di andare in Somalia. Poi la RAI lo ha contattato con l'ordine scritto di riprendere il contingente italiano che ritornava.
PRESIDENTE. Nel periodo in cui suo marito si trovava in Bosnia in contemporaneità con la presenza di Ilaria Alpi, lei naturalmente teneva sempre i contatti con suo marito?
PRESIDENTE. Le aveva parlato di Ilaria Alpi? Le aveva detto se fosse una giornalista capace di fare particolari inchieste, se fosse a conoscenza di particolari situazioni interessanti dal punto di vista investigativo giornalistico?
PATRIZIA SCREMIN. Non mi ha detto niente di tutto ciò. Quando è tornato a Trieste mi ha detto semplicemente che aveva conosciuto questa giovane giornalista, la quale non dico che era impaurita ma si era trovata in difficoltà perché la guerra era piuttosto cruenta, per cui era stata contenta di lavorare con lui perché le dava fiducia ed una certa tranquillità, in quanto Miran si muoveva bene e con estrema prudenza. Credo che fosse la prima volta che lei andava in Bosnia, per cui si trovava in una situazione nuova.
PRESIDENTE. Suo marito le disse che, oltre alla stima professionale che Ilaria Alpi aveva per lui, c'erano state anche delle defezioni da parte di giornalisti RAI che non volevano andare in Somalia perché avevano paura?
PATRIZIA SCREMIN. Lui non me lo ha detto questo, però l'ho sentito dire.
PRESIDENTE. Lo ha sentito dire o le è stato detto?
PRESIDENTE. Per le voci non abbiamo interesse. Quindi, a lei personalmente non risulta. Suo marito, quando le ha detto che andava in Somalia a fare un servizio con Ilaria Alpi, in collaborazione con la RAI, aveva già fatto altri servizi con la RAI?
PATRIZIA SCREMIN. Aveva curato la guerra in Bosnia. I giornalisti specificatamente volevano lui.
PRESIDENTE. Ma lui era un libero professionista?
PATRIZIA SCREMIN. Sì, era un libero professionista che aveva un contratto con la RAI.
PRESIDENTE. Quando le comunicò che andava in Somalia, suo marito le disse che la situazione era un po' pericolosa, che altri non erano voluti andare e che Ilaria insisteva perché andasse lui?
PATRIZIA SCREMIN. Mi disse che insisteva perché andasse lui. Mi sono resa conto anch'io che insisteva molto, perché chiamava ripetutamente. Però, sono sicura al cento per cento che mio marito è andato in Somalia tranquillamente, come se non sapesse che vi era l'idea del traffico, dell'indagine.
PATRIZIA SCREMIN. No. Si potrebbe pensare che non volesse dirlo alla moglie, però la sera prima della partenza era stato a cena da noi il suo migliore amico. Io sono andata a dormire e loro sono rimasti fino alle 2 a chiacchierare. Quando Miran è morto io ho parlato con questo amico e lui ha ribadito che Miran era partito tranquillamente, dicendo che il lavoro in Somalia, a confronto con quello fatto per tre settimane in Bosnia, dove i proiettili volavano, era di tutta tranquillità. È partito tranquillamente dicendo che sarebbe stato via una settimana.
PRESIDENTE. A proposito dell'attrezzatura, sulla quale già le è stata fatta una domanda, lei ha visto quella con la quale è partito suo marito?
PRESIDENTE. Dove l'ha preparata?
PATRIZIA SCREMIN. Alla Videoest, alla sua agenzia. Di solito lui partiva da casa e andava alla Videoest a caricare ciò che serviva.
PRESIDENTE. Quindi lei non ha visto nulla?
PATRIZIA SCREMIN. No. Ho avuto solamente il bagaglio proveniente da Mogadiscio con i suoi oggetti personali.
PRESIDENTE. Suo marito come si teneva in contatto con lei dalla Somalia? Telefonicamente?
PRESIDENTE. Con quale telefono?
PATRIZIA SCREMIN. Non so se telefonasse dall'albergo o da qualche caserma. Non me lo ha mai detto.
PRESIDENTE. Le ha mai parlato di un'antenna satellitare installata sul suo albergo?
PATRIZIA SCREMIN. Non ricordo.
PRESIDENTE. Cerco di sollecitarle il ricordo. A proposito di questa antenna satellitare, in qualche occasione, suo marito
le ha detto che non era funzionante o che non era perfettamente funzionante?
PATRIZIA SCREMIN. No, non ricordo. Intende dire che non telefonava perché non era funzionante?
PRESIDENTE. Oppure che si sentiva male perché era scarsamente funzionante.
PATRIZIA SCREMIN. No, non ricordo.
PRESIDENTE. Di Bosaso e del viaggio verso questa città e del ritorno a Mogadiscio, suo marito le ha mai parlato per telefono? Le ha detto qualcosa in proposito?
PATRIZIA SCREMIN. Mi ha telefonato prima di partire per Bosaso, poi non l'ho più sentito. Quella è stata l'ultima telefonata.
PRESIDENTE. Le ha detto che partiva per Bosaso. Le ha detto la ragione? Ha fatto qualche puntualizzazione circa i motivi per i quali andava a Bosaso? Andava con Ilaria Alpi?
PATRIZIA SCREMIN. Sì. Mi ha detto che partivano per Bosaso ed era leggermente contrariato, perché lì a Mogadiscio stava bene. Ha detto che sarebbero tornati dopo un paio di giorni. Il suo tono era tranquillo, mi ha anche fatto una battuta «Prepara la valigia» perché dopo il suo ritorno dovevamo andare in montagna per una settimana. Era tranquillo e allegro.
PRESIDENTE. Contrariato in che senso? Perché la missione durava di più?
PATRIZIA SCREMIN. Probabilmente perché voleva stare a Mogadiscio. Ho visto dalle foto che andava anche al mare. Il lavoro non era stressante. Quindi mi ha detto che gli spiaceva andare via da Mogadiscio, ma che comunque sarebbe stata una cosa veloce e sarebbe tornato presto.
PRESIDENTE. E dopo non l'ha più chiamata?
PRESIDENTE. Quindi quella è stata l'ultima chiamata.
PATRIZIA SCREMIN. Sì, il giorno prima della partenza per Bosaso.
PRESIDENTE. E nella telefonata che le fece per comunicarle la partenza per Bosaso le disse quando sarebbe tornato in Italia e con quali mezzi?
PATRIZIA SCREMIN. Non si parlava di date. Mi ha detto che sarebbe tornato presto, entro qualche giorno.
PRESIDENTE. Come sarebbe tornato, con quale mezzo, con chi non glielo disse?
PRESIDENTE. Delle storie di cui si parla ripetutamente e ciclicamente circa le possibili ragioni dell'eccidio che ha colpito suo marito e Ilaria Alpi, forse lei, seguendo i giornali, si è fatta un'idea. Si è parlato spesso di possibili collegamenti con la cooperazione internazionale, con il traffico di armi, con il traffico di rifiuti tossici che sarebbero stati smaltiti in Somalia. Di queste cose suo marito le ha mai parlato, prima o durante il viaggio o nelle telefonate alle quali lei ha fatto riferimento, oppure lei non ha mai saputo niente?
PATRIZIA SCREMIN. Io non ho mai saputo niente. Ho la consapevolezza che lui non stesse seguendo alcuna pista. Non era nelle sue intenzioni questo tipo di lavoro. Questo è il mio parere personale. Comunque, lui non mi ha detto assolutamente niente.
PRESIDENTE. Però, siccome era un giornalista particolare, perché documentava i fatti con la sua telecamera, è chiaro che anche non avendo interesse ad inseguire qualsiasi pista...
PATRIZIA SCREMIN. Non avrebbe seguito una pista pericolosa.
PRESIDENTE. ... tuttavia può essersi trovato, dovendo svolgere la sua attività professionale a beneficio del servizio che stava curando Ilaria Alpi, nelle situazioni ricadenti nelle ragioni alle quali prima ho fatto riferimento. Questo è possibile, però nulla mai le è stato detto da suo marito?
PRESIDENTE. E da persone diverse da suo marito, lei ha avuto in questi anni notizia di situazioni che possano in qualche modo collegarsi con le causali che ho richiamato?
PATRIZIA SCREMIN. No, assolutamente.
PRESIDENTE. Quindi, lei non ha la possibilità di dare nessun contributo sotto questo profilo?
PATRIZIA SCREMIN. No, assolutamente.
PRESIDENTE. Come ha avuto la notizia della morte di suo marito?
PATRIZIA SCREMIN. Nella peggiore maniera possibile.
PATRIZIA SCREMIN. Per telefono: mi è stata data così perché purtroppo le notizie sono andate in onda in televisione senza che nessuno mi avesse avvertito prima. Un'amica mi ha telefonato.
PRESIDENTE. Una sua amica? Perché aveva appreso la notizia per televisione?
PATRIZIA SCREMIN. Sì, era una giornalista. Mi ha detto: Patrizia, dov'è il bambino? Io ho detto: davanti alla televisione. E lei mi ha chiesto: ma la TV è spenta? Ho detto di sì e lei mi ha detto: tienila spenta. Le ho chiesto perché e poi mi ha detto: Miran. Ho chiesto: che cosa? Silenzio. Ho detto: è morto? Lei mi ha detto: sì, è morto. Io ero in giardino con il bambino e così l'ho saputo, per telefono. Sono quelle cose per cui uno dice: è possibile? Sono entrata e sono rimasta così, attonita, bloccata. Poi hanno suonato il campanello, era la mia migliore amica che era in pigiama, aveva visto la televisione e l'unica cosa che le ho detto è stata: non dire niente, non piangere, non fare niente, prendi il bambino - ero proprio lucida - e portalo via. Ha portato via il bambino e poi sono rimasta lì, mi sono preparata un tè, ricordo, pensando che non fosse possibile. Poi hanno suonato il campanello ed è arrivato un mio amico giornalista; gli ho detto: dimmi che non è vero. Lui mi ha detto: sì, è morto.
PRESIDENTE. Ed altre persone? In particolare, dalla RAI lei ha avuto notizie ulteriori, per esempio su dove era successo il fatto, su come era stato effettuato l'agguato? Ha saputo qualcosa da qualcuno?
PATRIZIA SCREMIN. Io l'ho saputo dalla televisione. Nessuno mi ha mai detto niente, nessuno è mai venuto a casa mia.
PRESIDENTE. La RAI le ha telefonato per dirglielo?
PATRIZIA SCREMIN. No, non è venuto neanche nessuno per dirmi: suo marito è morto... i miei amici, amici che lavoravano in RAI, ma tutto quello che sapevo lo apprendevo leggendo i giornali o tramite amici dell'ambiente dei giornalisti, che erano nostri amici da sempre.
PRESIDENTE. Lei si è rivolta a qualche autorità giudiziaria quando ha saputo di suo marito? Che cosa le fu detto? Sulla causale della morte e sulle modalità dell'uccisione non ha saputo niente di ufficiale?
PATRIZIA SCREMIN. Avevo questo foglio scritto, che mi è stato consegnato insieme ai bagagli, in cui era scritto ...
PRESIDENTE. Insomma questo fatto burocratico: le è stato consegnato il foglio in cui era scritto come era morto.
PATRIZIA SCREMIN. ... che aveva riportato delle escoriazioni, eccetera. Poi ovviamente ho saputo tutte le dinamiche precise del fatto, perché me le hanno dette e ridette amici, giornalisti.
PRESIDENTE. Ma non a livello ufficiale. Nessuno le ha mai detto che cosa è successo?
PRESIDENTE. Mi scusi, signora, facciamo un passo indietro. Quando lei fu sentita a Trieste per incarico di Brescia, a lei fu chiesto qualcosa o fu detto qualcosa intorno all'uccisione di suo marito oppure si parlò del traffico di armi soltanto in maniera isolata rispetto alla vicenda di suo marito? Lei ha detto che è stata sentita su un problema relativo al traffico di armi.
PATRIZIA SCREMIN. L'indagine della procura di Brescia era sul traffico di armi. Mi hanno chiamata ...
PRESIDENTE. Ma perché hanno chiamato lei?
PATRIZIA SCREMIN. Non lo so. Mi hanno chiamata e mi hanno fatto delle domande precise, più o meno quelle di oggi.
PRESIDENTE. Ricorda un po' le domande? La sostanza.
PRESIDENTE. Sulla vicenda di suo marito?
PATRIZIA SCREMIN. Esatto, proprio sulla vicenda, su come aveva conosciuto Ilaria, su cosa pensavo. Io sono stata più dettagliata perché era il 1996, quindi sono stata più precisa nei dettagli, nella memoria, erano passati solamente due anni... a grandi linee. Sono stata, appunto, in questa caserma dei carabinieri.
PRESIDENTE. Ma le hanno spiegato che la chiamavano e volevano sapere della vicenda di suo marito perché c'erano delle ragioni che portavano al traffico di armi o no?
PATRIZIA SCREMIN. Me lo hanno spiegato a grandi linee, evidentemente. Adesso non ricordo bene la prefazione del mio interrogatorio, chiamiamolo così. Sono stati gentilissimi, mi hanno detto probabilmente quello che mi sta dicendo lei: la procura di Brescia sta conducendo un'indagine, sappiamo che Miran Hrovatin e Ilaria Alpi sono morti in circostanze misteriose, c'è la possibilità che si interessassero a qualcosa, abbiamo bisogno di sentirla come teste, sa qualcosa di preciso, suo marito le ha raccontato? Io ho detto quello che ho detto a lei.
PRESIDENTE. Lei ha detto che non sapeva niente.
PATRIZIA SCREMIN. No, parlavamo di nostro figlio.
PRESIDENTE. Volevo soltanto sapere questo. Interrompo la formulazione delle mie domande perché, anche per par condicio rispetto all'iniziativa assunta poc'anzi, chiedo la cortesia ai colleghi della Commissione di dare la precedenza all'onorevole Pinotti che deve allontanarsi, affinché possa fare le sue domande. Teniamo presente però che dalle prossime audizioni avremo moltissimo da fare; io sarei felicissimo che tutti quanti noi, quanti più possibile, si possa dare il contributo rilevante per l'accertamento che stiamo compiendo. So perfettamente che sarà sicuramente una ragione istituzionale. Prego.
ROBERTA PINOTTI. Grazie, presidente. Mi dispiace di averla interrotta. Sarei andata via anche senza parlare, ma,
visto che mi è concesso, sono contenta di poterlo fare. Parlerò solo due minuti.
Volevo esprimerle la mia vicinanza per quello che ha detto, mi ha colpito molto quando ha detto che lei ha cercato di sopravvivere per la sua famiglia ed apprezzo anche molto questa immagine, questa voglia di ricordare suo marito come uomo che preservava prima di tutto la sua famiglia, la sua sicurezza e le altre cose venivano dopo.
Mi sembra molto grave che sia avvenuto questo fatto del film a proposito del quale lei non è stata neppure interpellata e dal quale, quindi, esce fuori una figura completamente estranea. Credo sia importante quanto diceva prima il presidente, che è stato ricordato anche dall'onorevole Schmidt, rispetto al fatto che la Commissione vuole indagare sulla morte di Ilaria Alpi e di suo marito, non ci devono essere differenze. Capisco molto profondamente anche questo bisogno di non stare sotto i riflettori rispetto ad una vicenda che lei ha vissuto come tragedia personale e come bisogno di ricostituirsi anche per dare forza al bambino che aveva vicino.
Vorrei far rilevare due cose, non sono domande perché lei non lo può sapere; mettendo in relazione le cose che abbiamo sentito ieri e le cose che abbiamo sentito oggi, mi ha colpito il racconto della valigia. Ieri abbiamo sentito i genitori di Ilaria Alpi, i quali dicevano che dentro la valigia le cose erano perfettamente in ordine, una valigia fatta con un ordine maggiore che se l'avesse fatta Ilaria, che è sembrata un'attenzione particolare, tanto che hanno ringraziato la giornalista che ha fatto la valigia. Lei invece ci racconta di una valigia assolutamente disordinata. Non so se si trattasse della stessa giornalista, ma è una domanda che mi è sorta; lei certamente non lo può sapere, però mi ha colpito questo fatto. Non so se fosse la stessa giornalista; quando hanno raccontato che la giornalista aveva fatto la valigia di Ilaria Alpi, ho immaginato che avesse fatto anche quella di suo marito, però mi ha colpito questa differenza.
L'altra cosa che volevo dire è che mi sembra importante - ma non credo che dobbiamo chiederlo a lei, credo che come Commissione lo dobbiamo chiedere alla Videoest - riuscire a sapere con quanto e quale materiale suo marito è partito e, invece, quale materiale è tornato alla fine, ma non credo sia un suo compito accertare questo, credo sia un'indicazione che debba venire dalla Commissione. La ringrazio, presidente, per avermi dato la parola.
PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Pinotti. Anche se, per la verità, quello che ha trovato ce lo può dire, perché l'ha visto. Innanzitutto, questo materiale - mi consenta, abbiamo fatto la domanda anche alla famiglia Alpi - da chi vi è stato consegnato? Nessuno lo ha mai sequestrato, nessuno mai vi ha detto: non toccate queste cose perché servono per l'accertamento, per le indagini? Quando sono arrivati questi bagagli, ve li hanno dati, punto e basta?
PATRIZIA SCREMIN. Me li ha portati in casa il fratello di mio marito. Non sono andata a prenderli io, perché io abito in una casa che ha 147 scalini, su una montagnola, per cui era inimmaginabile che io portassi una valigia di ferro, piena di sabbia e conchiglie marine, ed un'altra valigia pesante di mio marito. Quindi, sono andati a prendere questa valigia, non so dove, e me l'ha portata appunto il fratello di mio marito. Io ho visto che la valigia non l'aveva fatta Miran, perché Miran era precisissimo e ordinatissimo, quindi calze, maglie, roba sporca ... quella era una valigia - forse mi sono espressa male, nel senso che ho detto che era tutto alla rinfusa - ovviamente fatta in fretta, buttata là, in questo senso. Più o meno le cose c'erano tutte; ricordo che mancava uno di quei giubbotti senza maniche che usano i cineoperatori, che hanno molti taschini, ma non mi sono preoccupata più di tanto, nel senso che mio marito usava anche dare le cose. Era successo anche in viaggi precedenti che regalasse, ma non le cose che magari non gli piacevano. Se aveva una cosa che gli piaceva e qualcuno gli diceva che gli piaceva, è successo a noi due
durante un viaggio che lui se la sia tolta e l'abbia regalata. Quindi, era possibile che anche questo giubbotto, pieno di taschini, comprato la settimana prima, lui l'avesse regalato. Era nella sua natura, era estremamente generoso e, quindi, tornava da un viaggio sempre con metà valigia e l'altra metà regalata.
PRESIDENTE. Invece, di materiali professionali non ha trovato niente?
PATRIZIA SCREMIN. Nella valigia non c'era nulla.
PRESIDENTE. Erano una o due le valigie?
PATRIZIA SCREMIN. Erano due valige, una di indumenti e una valigia di sabbia e conchiglie.
PRESIDENTE. Queste cose erano sigillate? Le ha trovate sigillate, per quello che le è stato riferito? A lei sono state consegnate dai suoi cognati, quindi erano sicuramente già aperte. Quindi, sono sempre i suoi cognati che ci debbono dire se erano aperte o meno.
Lei ha mai sentito parlare di taccuini, sa se suo marito avesse dei taccuini, che utilizzazione abbia fatto di questi taccuini? Sono stati trovati dei taccuini in una delle due valige alle quali abbiamo fatto riferimento fino ad un attimo fa? Sa niente di questi taccuini?
PATRIZIA SCREMIN. Taccuini con appunti di cassette, di lavoro?
PRESIDENTE. Con appunti, certo.
PATRIZIA SCREMIN. No, non c'erano. Taccuini con annotazioni di lavoro nella valigia non ce ne erano.
PRESIDENTE. Suo marito li usava, signora?
PATRIZIA SCREMIN. Non so se nel suo materiale professionale mettesse dei foglietti del tipo: ho consumato cinque cassette, non ne ho idea. Aveva un piccolissimo libricino, che era un libricino di viaggio, in cui scriveva una bella frase, una poesia che aveva sentito.
PRESIDENTE. Non aveva l'abitudine di annotare, come fanno molti, e poi si fanno sequestrare le cose?
Circa i rapporti di suo marito, per quanto lui può averle riferito, con altri giornalisti stranieri o italiani, le ha mai parlato di qualcosa che ha attratto la sua attenzione rispetto al tipo di indagine, di accertamenti che volevano fare?
PRESIDENTE. E lei ha avuto rapporti con giornalisti italiani o svizzeri per capire che cosa ci fosse dietro la vicenda di suo marito?
PATRIZIA SCREMIN. No. Rapporti personali non ne ho avuti. Ho ricevuto tantissime lettere, ma erano tutte lettere affettuose, di persone, di giornalisti che mi dicevano: ho conosciuto tuo marito in Bosnia, era una persona meravigliosa, oppure: tuo marito mi ha raccontato delle cose. Erano lettere di stima, che ho ricevuto da persone sconosciute; ne ho ricevute tantissime, ma erano solo lettere di stima, di ricordo e di affetto, non di altro tipo.
PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di Giampiero Sebri?
PRESIDENTE. È a conoscenza delle indagini e degli esiti, sia pure sempre interlocutori, che provengono dall'inchiesta fatta dai giornalisti di Famiglia cristiana?
PRESIDENTE. Ha avuto contatti con questi giornalisti?
PATRIZIA SCREMIN. No, nessun contatto.
PRESIDENTE. Che significa: ha letto? Soltanto per informarsi? C'è stato qualcosa che ha attratto la sua attenzione, che potesse essere corretto, che potesse essere interessante, che le ha fatto tornare alla mente qualche cosa delle confidenze o delle cose che le ha detto suo marito?
PRESIDENTE. Le devo chiedere una cosa un po' più delicata. Lei sa che da Udine sono provenute delle informazioni molto importanti, perché addirittura si tratta di informazioni nelle quali sarebbe stata svelata la serie di personaggi coinvolti, come mandanti o come esecutori, nella uccisione di suo marito e di Ilaria Alpi. Non ha mai saputo niente nemmeno di questo?
PRESIDENTE. È la prima volta che ne sente parlare?
PATRIZIA SCREMIN. Ne ho sentito parlare, ovviamente.
PRESIDENTE. Come spiega Udine? Udine è un po' più vicina a Trieste che a Roma. Lei si è mai interrogata su questa strana localizzazione?
PATRIZIA SCREMIN. No, perché allora potrei chiedermi: perché Brescia?
PRESIDENTE. A Brescia si fabbricano le armi, quindi è chiaro che i processi sulle armi si fanno a Brescia. A Udine perché? Fra tante sedi, il confidente o i confidenti che sono stati sicuramente utilizzati - questo lo sappiamo con certezza, perché risulta dalle relazioni di servizio che sono state redatte -, fra tante sedi italiane, tenendo anche conto che l'epicentro restava Roma, perché i familiari di Ilaria stanno a Roma e qui hanno maggiormente operato dal punto di vista del loro interesse e delle loro investigazioni, invece queste fonti confidenziali scelgono Udine.
PRESIDENTE. Lei conosce il nome del funzionario di polizia al quale si fa riferimento per la raccolta di queste fonti confidenziali?
PRESIDENTE. Non lo sa. Quindi, è la prima volta che ne sente parlare, cioè diciamo che lei ne ha sentito parlare, ma non si è mai nemmeno interrogata su questo problema e non ha cercato di approfondire. Signora, ha appreso dai giornali che queste fonti confidenziali dicevano chi erano i mandanti e chi erano gli esecutori di suo marito? Lo ha appreso o non lo ha appreso dai giornali?
PRESIDENTE. Le chiedo: non le è venuta la curiosità di sapere se fosse vera quella notizia?
PATRIZIA SCREMIN. Di notizie ce ne sono continuamente sui giornali ed io ho letto continuamente, però le ho detto anche prima che mio marito comunque non era interessato a questo tipo di indagini.
PRESIDENTE. Siamo d'accordo, signora.
PATRIZIA SCREMIN. Quando ti rendi conto che una persona non era interessata a questo tipo di cose ... Come le ho detto prima, è morto come se si fosse trovato là per caso nel momento sbagliato. Tutto sommato, di seguire tutte queste indagini, di questo o di quest'altro - forse non mi capirà, forse mi ha capito di più la signora - ... è come se mio marito non mi tornasse più indietro. Lui questo tipo di indagini non le aveva fatte, non lo interessavano, non era nella sua natura specifica e, di conseguenza, io ho letto, ho seguito come
meglio ho potuto, mi sono fatta un'idea, poi ho cambiato idea, poi mi sono fatta un'altra idea, ma, ribadisco, se non sono andata là di persona non vuol dire che non mi interessi. Avevo anch'io i miei problemi, come ho già spiegato prima, e ho fatto quello che ho potuto. Sono convinta che mio marito abbia apprezzato di più che abbia cresciuto bene suo figlio piuttosto che se avessi fatto altre cose.
PRESIDENTE. Signora, le chiediamo un po' di collaborazione.
PATRIZIA SCREMIN. Faccio quello che posso.
PRESIDENTE. Mi rendo perfettamente conto che entriamo in aspetti personali, però noi abbiamo il dovere istituzionale di cercare di raccogliere tutte le indicazioni possibili e immaginabili. Non sto parlando e la mia domanda non è legata a ciò che mai avrebbe fatto suo marito o a ciò che mai ha fatto suo marito dal punto di vista del giornalismo di inchiesta. La mia domanda è un'altra. Di fronte alla notizia, reiteratamente apparsa sulla stampa, secondo la quale un funzionario di polizia di Udine era in possesso, per fonte confidenziale che aveva ricevuto, della indicazione dei nomi e dei cognomi dei mandanti e degli esecutori dell'omicidio in danno di suo marito, le chiedo: lei ha fatto qualcosa?
PRESIDENTE. Non ha fatto assolutamente nulla.
Lei ha detto: mi sono fatta tante idee. Prima se ne era fatta una, poi è risultata sbagliata, se ne è fatta un'altra. Vuole ripercorrere queste sue opinioni a voce alta?
PATRIZIA SCREMIN. Non so, si è parlato di traffico di armi, di rifiuti tossici, so che Ilaria Alpi seguiva queste tracce. Più o meno so quello che sa una persona qualsiasi che ha letto i giornali; non so niente di specifico.
PRESIDENTE. Qual è l'idea che ha scartato?
PATRIZIA SCREMIN. Non lo so. Può essere stato tutto o niente. Tante volte addirittura mi sono immaginata che li volessero rapire. Non so cosa sia successo, se siano stati uccisi perché hanno scoperto qualcosa loro o Ilaria Alpi, in quel momento o altre volte. Non lo so. Mi creda, non ho un'idea specifica.
PRESIDENTE. Tra le notizie giornalistiche che lei ha appreso, c'è anche quella secondo la quale il giorno della partenza Ilaria Alpi fece una telefonata ad un giornalista di RAI3, Massimo Loche, per dirgli che aveva montato un grosso servizio su una questione molto scottante della quale non poteva parlare per telefono? Ha mai saputo questo?
PATRIZIA SCREMIN. È la prima volta che lo sento.
PRESIDENTE. Non ho altre domande da formulare, salvo riflettere meglio. Cedo, quindi, la parola all'onorevole Fragalà.
VINCENZO FRAGALÀ. Gentile signora, desidero rivolgerle un ringraziamento ed un apprezzamento particolare per quanto lei oggi sta facendo al fine di contribuire ai lavori di questa Commissione.
Abbiamo appreso per la prima volta da lei che non è stata mai interpellata e non le è stata fatta conoscere preventivamente la sceneggiatura del film girato sulla scorta del libro pubblicato e che non è stata coinvolta per far sì che si tratteggiasse la figura del suo compianto marito con accenti di aderenza alla sua personalità. Questo fatto mi stupisce particolarmente perché tutti quelli che hanno avuto rapporti, per motivi politici o di amicizia o di interesse per l'accertamento della verità, con la vicenda che ha colpito suo marito e la giornalista Ilaria Alpi sono stati coinvolti personalmente ed è stata fatta conoscere loro la sceneggiatura del film al fine di dare indicazioni e suggerimenti, in
modo che essa avesse aderenza alla realtà dei fatti e non si trattasse di una fiction o di una vicenda romanzata.
Quindi, lei non ha mai saputo che si stava preparando il film?
PATRIZIA SCREMIN. Ho saputo che si stava preparando il film leggendo un giornale (forse la Repubblica). Mi sono chiesta come mai nessuno mi avesse telefonato e chiesto niente. Ho cominciato così ad agire di impulso e a telefonare a Roma a qualche amico giornalista, ho smosso un po' le acque. A chi di dovere è arrivato il mio messaggio.
VINCENZO FRAGALÀ. Per «chi di dovere» intende i genitori di Ilaria Api?
PATRIZIA SCREMIN. No, il regista. Poi mi è arrivata una lettera in cui il regista mi diceva che era venuto a Trieste e molte volte avrebbe voluto contattarmi ma non aveva mai avuto il coraggio e che aveva intenzione di fare un film. Una lettera che non diceva niente. Io ho risposto con il cuore in mano dicendo che comunque ero contraria al film se non rispecchiava realmente la personalità di mio marito (nessuno più della moglie può raccontare qualcosa) e che non volevo si affrontassero questioni private (esiste un diritto alla privacy). Poi mi sono rivolta ad un avvocato per avere la sceneggiatura.
VINCENZO FRAGALÀ. E l'ha avuta?
PATRIZIA SCREMIN. L'ho avuta abbastanza in ritardo. C'erano delle grandi sciocchezze che non c'entravano niente con la vicenda e ho fatto in maniera che venissero tolte. Ad un certo punto si parlava della malattia di mio marito, che aveva avuto un episodio risolto brillantemente che io avevo tenuto come fatto privato; poiché stava bene, non avevo detto nulla al bambino che aveva otto anni e ora ne ha diciotto. Ora, l'unica frase compiuta che il cineoperatore del film dice è «dovevo morire, avevo un tumore, ce l'ho fatta». Cosa c'entra questo con il film, con il diritto di cronaca, con la vicenda, con l'assassinio? Cosa c'entra questo? Perché lo ha messo? Mi è stato detto «per renderlo più umano», ma per renderlo più umano potevano telefonarmi o scrivermi ed io avrei indicato mille aneddoti di Miran, della guerra in Bosnia, dove aveva portato medicine o denaro o vestiti a gente che aveva bisogno!
Due giorni prima della presentazione a Trieste - ormai era troppo tardi - mi è arrivata la cassetta: c'era la stessa frase. Mi sono chiesta come fosse possibile; abbiamo telefonato e mi hanno detto che avrebbero fatto in maniera di avvertire - è pazzesco - il montatore nelle sale cinematografiche affinché quando si diceva la parola «tumore» fosse alzato il volume.
Sono andata a vedere il film al cinema, dopo che lo avevo visto a casa, ma nessuno ha alzato il volume. Un mese fa il film è tornato nelle sale cinematografiche e la frase c'era ancora.
PRESIDENTE. Vorrei capire una cosa: al di là della questione della sceneggiatura, quando ha chiesto la visione del film, lei già sapeva che in esso si evocava la malattia di suo marito?
PATRIZIA SCREMIN. Cosa intende?
PRESIDENTE. La ragione per la quale lei ha chiesto il film o ha voluto interloquire, come era suo diritto per la privacy alla quale ha fatto riferimento, era legata alla consapevolezza che si sarebbe ricordata la malattia di suo marito, oppure non lo sapeva?
PATRIZIA SCREMIN. Volevo controllare che loro avessero accettato di togliere due scene...
PRESIDENTE. Ma lei aveva già visto il film? Nella sceneggiatura si parlava del tumore di suo marito?
PATRIZIA SCREMIN. Ho chiesto che il riferimento venisse tolto.
PRESIDENTE. Nella sceneggiatura c'era il riferimento alla malattia di suo marito?
PRESIDENTE. Quindi, questa è stata la ragione. Ho capito.
VINCENZO FRAGALÀ. Questo è un aspetto assai strano della vicenda, perché il film, che ha avuto il contributo della Presidenza del Consiglio, i cui diritti di antenna sono stati acquistati dalla RAI ed è stato distribuito dall'Istituto luce, ha avuto un'evoluzione, nella sua sceneggiatura - cioè il soggetto scritto del film con tutte le battute degli attori, che la signora ha voluto controllare per verificare se i suggerimenti di modifica fossero stati riportati nella pellicola - ed è stato rimaneggiato più volte: c'erano aspetti che riguardavano le Forze armate italiane certamente non aderenti alla realtà che sono stati cassati; c'erano aspetti che riguardavano la giornalista che non erano veri e sono stati cassati. Sia il regista che il produttore hanno tenuto ad avere rapporti con i genitori di Ilaria che hanno seguito passo passo l'evoluzione del film, col ministro della difesa che ha visionato la sceneggiatura, con i parlamentari che hanno seguito la vicenda fin dal 1994 con atti parlamentari di vario tipo, proprio perché il film non tradisse la storia.
Che lei sia stata esclusa e abbia dovuto rivolgersi ad un avvocato per avere la sceneggiatura che, nonostante le sue legittime richieste di modifica, ha continuato a contenere non soltanto il travisamento della personalità di suo marito, e quindi un'offesa alla sua memoria, ma addirittura dei fatti che ledevano...
PATRIZIA SCREMIN. ...che non c'entrano con la vicenda e sono di natura personale.
VINCENZO FRAGALÀ. Tutto questo mi stupisce, perché era interesse del regista e del produttore farsi suggerire dai genitori di Ilaria, dai giornalisti amici e - immaginavo - anche dalla moglie...
PATRIZIA SCREMIN. C'è un carteggio; per fortuna ci sono le lettere che ho spedito. Quando è stato presentato il film a Trieste, abbiamo fatto una conferenza stampa alla quale sono venuti gli amici di Miran che hanno avuto una reazione: «Come avete potuto fare un film senza interpellare noi, la moglie, eccetera?». Il regista si è alzato e ha detto: «Ho cercato di parlare con la signora, ma si è sempre negata». Io ho cercato per anni di stare in disparte, di avere una vita normale e ho trovato in prima pagina questa frase «La signora non si è mai occupata»: come vi permettete? Cosa ne sapete della mia vita?
VINCENZO FRAGALÀ. Quindi, non è vero che il regista l'ha cercata.
VINCENZO FRAGALÀ. In quello che lei oggi ha raccontato, ripercorrendo questa amarissima vicenda, c'è un filo di contraddizione che vorrei verificare con lei: da una parte lei dice che suo marito era un grandissimo specialista nelle missioni di guerra, come giornalista cineoperatore, e per questo veniva ricercato dagli altri giornalisti; così aveva conosciuto Ilaria Alpi con la quale aveva fatto la missione in Bosnia. Poi, però lei dice che suo marito aveva accettato di andare a Mogadiscio perché si trattava non di una missione di guerra ma di una «gita fuori porta» dove al massimo si andava al mare.
PATRIZIA SCREMIN. Forse mi sono espressa male. Di solito lui non prendeva mai una missione dietro l'altra, perché non ce la faceva (dormiva poco, mangiava male, eccetera), per cui tornava a casa per stare un po' con la famiglia. Stava via due o tre settimane e poi rimaneva un mese a casa e faceva lavori vicino, a Trieste, lavori più piccoli, meno importanti. Non era mai successo che ripartisse subito, per questo gli chiesi perché partiva e lui disse che aveva difficoltà a rifiutare; era un gran lavoratore e non rinunciava facilmente a lavorare. Inoltre, gli sembrava un'opportunità semplice, dopo due settimane di lavoro durissimo in Bosnia. Non è che
dicesse che andava in Somalia a divertirsi, ma sapeva che andava a riprendere il contingente italiano.
VINCENZO FRAGALÀ. Era una missione senza pericoli.
VINCENZO FRAGALÀ. Si trattava di andare a filmare il contingente italiano a Mogadiscio.
Ho rilevato un aspetto della personalità di suo marito che lei ha molto efficacemente tratteggiato, cioè che per la responsabilità personale e familiare lui non si sarebbe mai esposto in vicende, in attività giornalistiche di inchiesta che potessero comportare un pericolo, addirittura avrebbe evitato il pericolo al compagno di lavoro, al giornalista o alla giornalista che si accompagnava con lui.
Allora, io pongo questo tema per sapere se lei ci possa dare qualche ulteriore indicazione. Non c'è dubbio che la missione a Bosaso fu presentata a suo marito da Ilaria Alpi come una missione di tutta tranquillità, altrimenti suo marito avrebbe assunto delle misure, o avrebbe cercato di sconsigliare la giornalista, oppure avrebbe detto che non era il caso. Quindi la missione a Bosaso era assolutamente normale rispetto al lavoro complessivamente tranquillo che suo marito e Ilaria Alpi dovevano fare in Somalia. Per trovarsi suo marito al momento sbagliato nel posto sbagliato, è evidente che in quell'occasione Ilaria Alpi e suo marito andavano ad espletare un'attività di lavoro o non di lavoro assolutamente tranquilla; evidentemente non si trattava di andare in un posto pericoloso ad intervistare un personaggio pericolosissimo del mondo somalo.
Conoscendo benissimo la personalità, le prudenze, le cautele, le diligenze professionali di suo marito, ha percepito che si è trattato di un agguato assolutamente imprevedibile, non dico per Ilaria Alpi, che aveva minore esperienza, ma sicuramente per suo marito che aveva invece una grande esperienza di missioni di guerra? Lei ha percepito questo aspetto?
PATRIZIA SCREMIN. Posso immaginare che sia così, posso supporlo, perché lui non mi dava l'impressione di essere preoccupato; era tranquillo e sereno. Posso dire quello che so: ho sentito la sua voce ed abbiamo parlato delle cose di cui solitamente parlano marito e moglie. Non mi ha raccontato quello che stava facendo. Era preoccupato perché aveva lasciato la casa, era partito preoccupato per noi, perché eravamo in una situazione pesante di ospedalizzazione, mio padre aveva avuto un infarto e lui era preoccupato perché sapeva che dovevo andarlo a trovare e avevo un bambino piccolo, mentre mia madre era in dialisi. Quindi, nelle telefonate chiedeva «Come va? Come sta papà?».
VINCENZO FRAGALÀ. Lei poco fa ha detto che in altre occasioni, per esempio in Bosnia, suo marito aveva espresso al telefono più di una preoccupazione perché le pallottole vagavano attorno alla testa dei giornalisti.
PATRIZIA SCREMIN. Quando andavano in Bosnia si preparavano nei minimi particolari: con giubbotti antiproiettile, molto spesso con macchine blindate. Quello era il suo territorio e, quindi, si muoveva con più esperienza, perché conosceva la lingua, le persone. Era un'altra cosa, c'erano tantissimi giornalisti, stavano tutti assieme, c'era tanta gente, per cui non si è trovato mai in situazioni di pericolo, in cui gli hanno sparato addosso, anche perché andava con giornalisti, si muoveva nei tempi giusti, facendo anche dei bei servizi, indubbiamente. Ma non era nella sua natura fare servizi in cui poteva rischiare; ovviamente, quando si va in una zona di guerra tutto è un rischio, ma tentava di andare con i piedi di piombo, non si è mai esposto a situazioni tragiche, non è mai stato ferito o cose di questo genere, era abbastanza tranquillo.
VINCENZO FRAGALÀ. Durante le telefonate o quando è stata preparata questa missione in Somalia, suo marito le ha mai detto cose diverse dal fatto che si trattava soltanto, come lei ha detto, quasi di una passeggiata per andare a filmare il contingente italiano, punto e basta?
PATRIZIA SCREMIN. No, ma non solo a me. Magari uno può pensare che non l'abbia detto alla moglie.
VINCENZO FRAGALÀ. A chi lo ha detto?
PATRIZIA SCREMIN. Anche a quel suo amico ha detto le stesse cose che ha detto a me e a chi ha incontrato il giorno prima, ad altri amici che aveva incontrato per strada e che volevano sapere come andasse, ha detto: riparto. Gli hanno chiesto dove andasse e lui ha dato la stessa versione, nel senso che era tranquillo, sereno. Era un po' stanco della missione precedente, però vedeva questo viaggio in Somalia - anche se era lavoro e, quindi, sempre pesante, perché non è un lavoro facile - meno pesante del precedente e meno pericoloso.
PRESIDENTE. Prego, onorevole De Brasi.
RAFFAELLO DE BRASI. Vorrei innanzitutto esprimerle il senso di un grande rispetto per come lei ha reagito al dolore, rispetto alla perdita che ha avuto, soprattutto per salvaguardare suo figlio. Può stupire che esista una differenza di atteggiamento fra la famiglia Alpi e lei su questa vicenda; io non mi stupisco affatto perché non reputo che questa differenza possa essere confusa né con disinteresse, né con reticenza. È un diverso atteggiamento emotivo per colmare il vuoto di una grande perdita.
Vorrei farle solo alcune domande, siccome si è parlato molto di questo film, che in verità non è l'oggetto della nostra Commissione, ma sicuramente rappresenta una ricostruzione, che ovviamente può essere discussa, anche perché è in rapporto con il libro L'esecuzione, scritto dalla famiglia Alpi, dalla Grainer e da Torrealta.
Dove si erano conosciuti suo marito e la giornalista Alpi, che lei sappia?
RAFFAELLO DE BRASI. Forse a Sarajevo?
RAFFAELLO DE BRASI. Quindi, non si sono conosciuti a Trieste?
RAFFAELLO DE BRASI. Questo lo sa con certezza?
RAFFAELLO DE BRASI. Nel film, invece, sembra che si incontrino a Trieste, c'è tutta questa ricostruzione. Quindi, si sono conosciuti a Sarajevo.
La seconda questione: lei ha ripetuto, di fronte alle incalzanti e ripetute domande - ed io ne prendo atto - che Miran Hrovatin non sapeva nulla delle indagini della Alpi. Lo dico perché ne deduco che dal suo punto di vista non è nemmeno vera la ricostruzione secondo la quale ad un certo punto la Alpi e Miran Hrovatin sono andati ad indagare su questo traffico di armi proveniente dai Balcani, dall'est, in rapporto alla famosa nave della Shifco, della cooperazione. Questa, infatti, è un'altra ricostruzione del film. Lei, in qualche modo, nega che siano andati ad indagare sulle coste della ex Jugoslavia rispetto a queste navi?
PATRIZIA SCREMIN. Non mi risulta, per quel che ne so. Lui non me ne ha parlato. Al ritorno dal viaggio in Bosnia non mi ha parlato di questo, ne sono sicurissima: lui non mi ha detto niente, non abbiamo parlato di questo, assolutamente.
RAFFAELLO DE BRASI. Le ha mai parlato, invece, delle sue conoscenze somale, cioè l'autista, le guardie del corpo, altre persone somale che lui aveva incontrato?
PATRIZIA SCREMIN. Durante le telefonate dalla Somalia? No. Ha parlato in generale, gli era piaciuta ...
RAFFAELLO DE BRASI. Della bellezza dei luoghi, delle persone, ma non ha mai espresso in particolare un giudizio su quella o quell'altra persona somala?
PATRIZIA SCREMIN. No, mai, assolutamente.
RAFFAELLO DE BRASI. L'ultima domanda: lei si è fatta un giudizio? La famiglia Alpi ieri ha dato un giudizio molto netto sui processi, ha parlato di processi farsa, ha parlato di capro espiatorio. Lei si è fatta una sua idea su questi processi, che poi hanno portato alla colpevolezza ...
PATRIZIA SCREMIN. Si riferisce a quel ragazzo somalo?
RAFFAELLO DE BRASI. Esattamente.
PATRIZIA SCREMIN. Le posso riferire un'idea emotiva, perché c'ero anch'io e, quindi, ho visto questo ragazzo, ci siamo guardati. Non so come dire, sono quelle cose che forse non fanno testo, ma ho pensato: non sei tu. Quello sguardo era proprio... io ero là e ci siamo guardati. A livello personale, epidermico, è puramente un'impressione.
PRESIDENTE. Lo ha incontrato al processo?
PATRIZIA SCREMIN. Sì, l'ho visto lì. Sono quelle cose... ti guardi e vedi uno sguardo. Non so, sembrava una tigre in gabbia. Si è fermato, ci siamo guardati un attimo... non so.
RAFFAELLO DE BRASI. Suo marito le ha mai parlato di persone italiane. Ad esempio, al telefono ha mai parlato di Giancarlo Marocchino? Ha mai parlato di altri italiani che lui aveva conosciuto in Somalia?
PATRIZIA SCREMIN. No, assolutamente.
PRESIDENTE. Do ora la parola all'onorevole Deiana.
ELETTRA DEIANA. Signora, le esprimo, oltre che la gratitudine per essere venuta, tutta la mia solidarietà per il dolore di cui sicuramente conserva ancora memoria.
Vorrei farle alcune piccole domande, molto precise. Forse lei lo ha già detto, mi scuso per essere arrivata in ritardo, ma avevo un altro impegno in un'altra Commissione. La notizia della morte di suo marito l'ha saputa come ci ha detto. Il corpo di suo marito come è arrivato a Trieste, accompagnato da chi?
PATRIZIA SCREMIN. Io so che i fratelli sono andati ...
ELETTRA DEIANA. Ma chi ha chiamato i fratelli? La famiglia, lei e i suoi cognati, come è stata contattata?
PATRIZIA SCREMIN. Non lo so. Ho ricevuto una visita; ovviamente stavamo assieme ai miei cognati e loro mi hanno detto: andiamo noi a fare il riconoscimento, tieniti fuori, ricordatelo così com'era, perché lui aveva la faccia ... Per cui mi hanno detto: andiamo noi, tu resta a casa - anche perché avevo il bambino -, facciamo tutto noi, mi hanno come protetta, e sono andati loro due. Non so chi li ha contattati, non me lo hanno detto.
ELETTRA DEIANA. È arrivato con un aereo?
PATRIZIA SCREMIN. Sì, è arrivato con un aereo ed i familiari sono andati all'aeroporto.
ELETTRA DEIANA. Anche il bagaglio lo hanno preso i suoi cognati?
ELETTRA DEIANA. Questo bagaglio dove era depositato, all'aeroporto?
PATRIZIA SCREMIN. Non so se fosse arrivato all'aeroporto con la bara, non ho idea. So che poi mi hanno portato queste due valige a casa.
ELETTRA DEIANA. Sempre i suoi cognati?
PATRIZIA SCREMIN. Sì, uno dei due.
ELETTRA DEIANA. Al contrario del corpo di Ilaria Alpi, il corpo di suo marito ha subito l'autopsia, come risulta.
PATRIZIA SCREMIN. Non so se c'entri qualcosa con il fatto che avevo chiesto che venisse cremato, se quindi hanno fatto l'autopsia prima della cremazione per una questione di iter. Non lo so. Io non avevo richiesto l'autopsia.
ELETTRA DEIANA. Nessuno le ha chiesto ...
PATRIZIA SCREMIN. Della famiglia no.
ELETTRA DEIANA. Quindi, è stato un atto automatico dell'autorità.
ELETTRA DEIANA. E lei non ha chiesto perché?
ELETTRA DEIANA. Ilaria Alpi non ha subito l'autopsia, invece suo marito l'ha subita. Lei non ha chiesto perché?
PATRIZIA SCREMIN. No, non ho idea di questi due comportamenti diversi.
ELETTRA DEIANA. A dieci anni dalla vicenda, ripensando complessivamente a quei giorni e a tutto quello che ha letto - mi rendo conto, con uno spirito di distanza, per ragioni di scelta -, cosa pensa di questa vicenda, che impressione ha? Se si deve dare una giustificazione, una spiegazione, sia sulla vicenda sia su come le autorità italiane e la stampa l'hanno affrontata complessivamente, perché si è creato una specie di caso?
PATRIZIA SCREMIN. Evidentemente, è una vicenda misteriosa, una vicenda che ha vari aspetti, perché si è parlato di traffico di armi, di rifiuti tossici. È una vicenda misteriosa e non gioca a favore il fatto che tutto si sia svolto in Somalia, quindi in un paese lontano, l'ambasciata non c'era più, il consolato non c'era più, immagino non ci fosse la possibilità di fare indagini di un certo tipo. Era un paese in cui c'era la guerriglia e, di conseguenza, tutto è stato reso più difficile. Questa è l'idea che mi sono fatta, di una cosa misteriosa. C'erano delle indagini, ovviamente, poi quello che può essere successo in Somalia non lo so.
PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Motta.
CARMEN MOTTA. Innanzitutto, signora, la ringrazio anch'io per la sua presenza. Probabilmente è la prima volta che lei viene in un luogo di questo genere, in una Commissione, ma anche per me è la prima volta, sono una neoparlamentare ed è la prima volta anche per questo tipo di Commissione. Quindi, probabilmente siamo entrambe un po' prese; da questo punto di vista, ci tengo a manifestarle non solo la mia solidarietà, ma anche una vicinanza proprio in termini di emotività. Le dico anche che ho molto rispetto per la sua scelta di vita e per il modo in cui lei ha voluto affrontare questo gravissimo lutto, perché una delle forme di maggior rispetto fra le persone è proprio quello di
capire che ciascuno di noi affronta gli eventi della vita in maniera differente e che non è detto che uno sia meglio o peggio dell'altro. La vita è una e ciascuno la affronta come meglio ritiene.
Dalle sue parole mi sembra di capire, al di là di quello che pensasse suo marito nella sua intimità... sa che ciascuno di noi, signora, conserva dentro se stesso una parte che non rivela forse neanche ai propri congiunti più stretti. Glielo dico per esperienza personale: ho scoperto cose del mio compagno che la vita mi ha fatto scoprire, che riguardano la sua salute - non ho alcun timore a dirlo - e mai mi sarei immaginata che una persona potesse tenerle tanto riservatamente dentro di sé. Quindi, questo non mi meraviglia. Penso anche che sia da comprendere come suo marito avesse scelto la strada di tranquillizzare la famiglia, anche se dentro di sé forse aveva pensieri e consapevolezze, e che a lei dicesse - ma non dicendole una bugia, perché forse davvero aveva scelto questo - che non sceglieva il rischio nel suo lavoro, ma che per il tipo di lavoro che faceva probabilmente era naturale che si trovasse dentro al rischio. Uno può trovarsi in situazioni di rischio, ma non per questo sceglierlo sempre deliberatamente. Ci tenevo a dirle questo, perché credo che ci aiuti anche nel nostro dialogo, e lei è stata molto disponibile.
Mi scuso se all'inizio non ero presente, ma ero con la collega Deiana in un'altra Commissione. Probabilmente lei ha già detto qualcosa su questo; se è così, le chiedo scusa per la ripetizione. So che lei ha avuto rapporti con i genitori di Ilaria Alpi, li ha conosciuti; non so se ha già riferito di aver parlato con i genitori di Ilaria Alpi dei fatti e se lo ha fatto in maniera approfondita. Questa è la prima domanda.
PATRIZIA SCREMIN. Abbiamo avuto dei rapporti, ci siamo anche conosciuti. In effetti, le nostre vite sono molto diverse, cioè io ad un certo punto avevo un po' rifiutato un'immagine pubblica - nel senso che mi hanno chiesto interviste, foto -, soprattutto per il ragazzo; era già dura e volevo fargli vivere una vita normale. In questa città di provincia in cui sarai per tutta la vita il figlio di quell'operatore che è andato in Somalia, volevo salvaguardare questo ragazzo. Dopo queste vicende piuttosto pesanti avevo parlato con i genitori di Ilaria ed avevo detto loro: farò il possibile, seguirò, ma voi avete perso una figlia - ricordo che lo avevo detto a lei - ed è terribile, io ho questo bambino, ho perso un marito, faccio quello che posso, però sono in una situazione tremenda, devo crescere Ian e la sento come un'eredità nei confronti di Miran, mi sembrava che lui volesse questo. Infatti, il ragazzo sta bene, è un ragazzo normale, equilibrato ed io questo volevo, era questo il mio fine. Avevo di fronte due scelte: quando sei ferito o fai così - è la sopravvivenza - o ti butti in un'altra storia per arrivare a sapere, e quella poteva essere sicuramente una scelta, come per i genitori di Ilaria, che io rispetto. Io avevo questo bambino piccolo, di otto anni, che volevo far crescere come un ragazzo normale, che aveva perso il padre; su tutti i giornali, a scuola, la maestra, i compagni, la fruttivendola dicevano: povero piccolo, e così via. La mia scelta è stata proprio di fare quello, di non espormi.
CARMEN MOTTA. Anche in conseguenza di questo, le chiedo se abbia avuto occasione, perché l'hanno cercata o perché lei ad un certo punto ha avuto curiosità, di avere contatti con i giornalisti che hanno ricostruito le vicende con articoli, libri e, in qualche modo, anche in televisione. Questa è la domanda: se per caso ha avuto questa occasione.
PATRIZIA SCREMIN. Mi aveva cercato un giornalista, che è stato forse l'unico per il quale avevo accettato di concedere un'intervista; ora non ricordo se mi era stato presentato da qualche comune amico. Si chiamava Mondani, non so se lavorasse per un giornale o per la televisione, ed era la persona che era venuta proprio a Trieste, a casa mia tra l'altro, e mi aveva fatto varie domande sulla vicenda, su cosa pensavo, su Miran, sulla
sua personalità, e così via. Poi aveva fatto uno «speciale», mi sembra - ora non ricordo, ma era tanti anni fa - inerente alla storia; quindi, c'era l'immagine di Ilaria - la vita di Ilaria, i genitori - e quella di Miran, con il mio apporto. Io avevo cercato di parlare delle sue qualità professionali, si parlava dei cineoperatori di guerra.
CARMEN MOTTA. Signora, le faccio un'ultima domanda: lei non si è mai chiesta, all'inizio - le ha già fatto la domanda la collega Deiana, ma io gliela ribadisco per vedere se si può approfondire un po' -, come mai per suo marito si è fatta l'autopsia e per Ilaria Alpi no? Se lo è mai chiesto? Questo è un punto dirimente rispetto alle modalità con cui queste due persone sono state purtroppo uccise. E lei capisce che l'autopsia in questi casi può essere un apporto decisivo, anche se non risolutivo.
PATRIZIA SCREMIN. Posso pensarci adesso e dare una risposta spontanea. Posso dire che, forse, c'è stata leggerezza da parte della polizia o non so di chi giù, mentre a Trieste sono stati più precisi.
CARMEN MOTTA. È questo che volevo sentire.
PATRIZIA SCREMIN. Ma questa è un'idea mia.
ELETTRA DEIANA. Lei, prima, quando le ho rivolto questa domanda mi ha risposto mettendo insieme due cose che non so se siano collegate. Ha detto di aver voluto che suo marito venisse cremato: questo lo ha fatto sapere all'autorità giudiziaria? E l'autorità giudiziaria ha proceduto all'autopsia perché lei aveva fatto sapere che suo marito sarebbe stato cremato o lo aveva deciso indipendentemente da questa sua informazione?
PATRIZIA SCREMIN. Sinceramente, non lo so.
ELETTRA DEIANA. Questo è molto importante.
PATRIZIA SCREMIN. Lo so, però io lo avevo espresso come desiderio.
PRESIDENTE. A chi l'ha espresso? Com'è possibile, signora che...
PATRIZIA SCREMIN. Ai fratelli, non so...
ELETTRA DEIANA. Cioè lo aveva espresso in famiglia.
PATRIZIA SCREMIN. Non davanti all'autorità, ecco. Non è che sono andata in comune...
ELETTRA DEIANA. Questo è molto importante. Era un desiderio suo, familiare.
PATRIZIA SCREMIN. Era un desiderio di Miran.
CARMEN MOTTA. Dieci anni fa, se si voleva essere cremati bisognava lasciarlo scritto, presidente.
ELETTRA DEIANA. La mia domanda, presidente, è se l'autorità giudiziaria abbia proceduto all'autopsia del corpo di Miran Hrovatin per sua decisione oppure perché doveva, in qualche modo, preservare delle prove documentali in considerazione del fatto che il corpo sarebbe sparito.
PATRIZIA SCREMIN. Mi dispiace, ma non so risponderle.
PRESIDENTE. I contatti con l'autorità, fino a quando suo marito è stato cremato ed a parte la sua partecipazione al funerale, chi li tenuti: lei o i fratelli di suo marito?
PRESIDENTE. Quindi lei è stata totalmente cautelata, diciamo.
PATRIZIA SCREMIN. Sì, sono stata...
PATRIZIA SCREMIN. In quelle giornate, sì.
PRESIDENTE. Dunque, in quelle giornate è stata protetta. Le domando: lei ha partecipato, ovviamente, ai funerali; quando il funerale è stato fatto, suo marito era già stato cremato o no?
PRESIDENTE. Quando è stato cremato suo marito?
PATRIZIA SCREMIN. Dopo, ci sono stati due funerali.
PRESIDENTE. Quanto tempo dopo è stato cremato suo marito?
PATRIZIA SCREMIN. Non proprio subito, non è stata questione di giorni. Forse una settimana. Non so. Non subito.
PRESIDENTE. Quindi, fino a quando è stato fatto il funerale, del problema della cremazione si è parlato o non si è parlato?
PATRIZIA SCREMIN. Non ricordo.
PRESIDENTE. Non lo ricorda. È possibile che della cremazione si sia parlato dopo il funerale? È stato sepolto suo marito senza essere cremato o no?
PATRIZIA SCREMIN. No, no. Tra il funerale e la cremazione sono passati sette giorni poi...
PRESIDENTE. E in quei sette giorni dove è stato suo marito?
PATRIZIA SCREMIN. ...poi lui è andato a Udine, perché non c'è...
PRESIDENTE. È stato in camera mortuaria?
PATRIZIA SCREMIN. È stato mandato a Udine, perché a Udine c'è il posto dove cremano, non a Trieste. Non so se è andato direttamente... Poi da Udine è arrivato...
PRESIDENTE. Mi scusi, signora. Quindi, dopo il funerale... Dove è stato fatto il funerale?
PRESIDENTE. Dopo il funerale, da Trieste la salma è stata portata ad Udine: è esatto? O è rimasta a Trieste?
PATRIZIA SCREMIN. Non ricordo.
PRESIDENTE. Non lo ricorda. Quindi lei non ha ricordo di queste cose.
PATRIZIA SCREMIN. So che è stato cremato ad Udine, però non ho il ricordo di dove lui stesse in questo periodo.
PRESIDENTE. E dopo quanto tempo è stato fatto il funerale?
PATRIZIA SCREMIN. Il secondo funerale?
PATRIZIA SCREMIN. Ma... pochi giorni dopo.
PRESIDENTE. Due giorni, tre giorni?
PATRIZIA SCREMIN. Nella norma.
PRESIDENTE. Nella norma: due giorni, tre giorni?
PATRIZIA SCREMIN. Mi faccia pensare...
PRESIDENTE. Eventualmente, ricostruiremo questo dato documentalmente.
PATRIZIA SCREMIN. Non mi ricordo...
PRESIDENTE. Non si sforzi. La parola all'onorevole Fragalà.
VINCENZO FRAGALÀ. Io credo, presidente, che sia assolutamente semplice ricostruire la vicenda, perché si trattava di un cittadino italiano che era stato oggetto di un atto delittuoso commesso all'estero: sia per il seppellimento che per la cremazione ci voleva il nulla osta dell'autorità giudiziaria. L'autorità giudiziaria per rilasciare il nulla osta alla cremazione ha dovuto necessariamente procedere all'autopsia, perché si sarebbe trattato di atto irripetibile. Quindi, a prescindere dagli intendimenti dei familiari o, comunque, da esigenze investigative, in quel momento l'autopsia era un atto procedimentale obbligatorio.
PRESIDENTE. Mi consenta, però, onorevole Fragalà di osservare, in questa interlocuzione informale, che resta ferma l'osservazione dell'onorevole Deiana, poiché si tratta di stabilire se l'esternazione intorno alla volontà di procedere alla cremazione sia avvenuta prima o dopo.
ELETTRA DEIANA. Se l'autorità giudiziaria abbia esternato prima o dopo, indipendentemente dal fatto di preservare il corpo. Cioè, la conoscenza del desiderio di cremare il corpo può essere stato un elemento aggiuntivo o l'elemento determinante.
PRESIDENTE. Questa è la domanda: fermiamoci qua. Risponderemo con gli atti.
È iscritto a parlare l'onorevole Ranieli, ne ha facoltà.
MICHELE RANIELI. Ringrazio la signora per essere qui presente e, sia pure a distanza di dieci anni, di evocare alcuni fatti, alcune tragedie. Naturalmente il momento è doloroso e lo ha dimostrato il suo disagio, poiché alcuni dolori non possano essere mai cancellati, indipendentemente dalla tensione e dal modo in cui li si vive.
È strano che oggi abbiamo scoperto che la signora non è mai stata interrogata. Innanzitutto le chiedo: a quante udienze ha partecipato dopo essersi costituita parte civile?
MICHELE RANIELI. Una soltanto. E neanche in quella circostanza è stata sentita dal giudice?
MICHELE RANIELI. Né come parte offesa, né come parte civile?
MICHELE RANIELI. Quando è venuta a conoscenza, anche attraverso i giornali, delle indagini avviate ad Udine, ha letto con attenzione...
MICHELE RANIELI. Quando è stata sentita a Brescia...
PRESIDENTE. Cioè, a Trieste da Brescia.
MICHELE RANIELI. ... per quel processo che riguardava un traffico presunto di armi, le hanno chiesto i fatti riguardanti il viaggio di Ilaria e di suo marito, se questo viaggio era collegato al processo per cui lei veniva sentita?
PATRIZIA SCREMIN. Non mi ricordo.
MICHELE RANIELI. Ha mai scritto lei al magistrato di Brescia o di Roma una lettera...
PATRIZIA SCREMIN. Io personalmente, no; i fratelli l'avevano fatto, mi sembra.
MICHELE RANIELI. Ha mai sollecitato di sapere perché questa indagine durò per anni?
MICHELE RANIELI. E in questi anni lei non ha avuto mai notizia?
MICHELE RANIELI. Il suo avvocato?
PATRIZIA SCREMIN. Non avevo un avvocato. Non mi sono affidata ad un avvocato.
PRESIDENTE. Poiché si pone l'esigenza di ascoltare i cognati della signora, se i colleghi fossero d'accordo, senza la necessità di un ulteriore passaggio in sede di ufficio di presidenza, che prolungherebbe i tempi di realizzazione, e in considerazione del fatto che nella prossima settimana sarebbe possibile prevedere tale audizione, il presidente si riterrebbe autorizzato a convocare i signori Danilo e Janko Hrovatin.
(La Commissione concorda).
MICHELE RANIELI. Posso farle un'altra domanda, signora?
MICHELE RANIELI. Di quel film, di quella produzione lei è venuta a conoscenza attraverso la notizia pubblicata su un giornale, dopo di che si è mossa per rintracciare il regista o il produttore, allo scopo di avere la sceneggiatura. Mi pare di aver capito che lei abbia poi apportato alcuni correttivi che, però, non sono stati recepiti.
PATRIZIA SCREMIN. No, qualcosa sì.
MICHELE RANIELI. Qualcosa sì. Ma in quella circostanza lei ha sottoscritto un contratto con il regista? Le è stata richiesta un'autorizzazione scritta?
MICHELE RANIELI. Ha sottoscritto un contratto con il regista?
PATRIZIA SCREMIN. In che senso un contratto?
MICHELE RANIELI. Una autorizzazione che lei assentiva...
PATRIZIA SCREMIN. Io sono sempre stata contraria, anche per una questione di principio. Cioè, non contraria...
MICHELE RANIELI. Le è stato offerto del denaro, ha avuto qualche proposta?
PATRIZIA SCREMIN. No. Io avrei voluto che qualcuno mi avvertisse. Uno non può... non è una passeggiata, insomma. Avrei voluto che comunque avvertissero, che qualcuno mi chiedesse se ero d'accordo o meno, al di là di tutto.
MICHELE RANIELI. Ma lei ha detto che, questa volta, aveva fatto scrivere da un suo avvocato.
PATRIZIA SCREMIN. Per forza. Sono andata dall'avvocato perché non sapevo come fare. Volevo avere una tutela, in qualche misura. Volevo scrivere a questo avvocato, sapere come funzionava...
MICHELE RANIELI. Dopo che ha visto la produzione del film e dopo che alcuni amici di suo marito le hanno evidenziato come non fosse quello suo marito, questo
suo avvocato ha fatto una citazione? Ha chiesto un risarcimento danni al regista, o no?
PATRIZIA SCREMIN. Per il momento, io non sapevo cosa fare. Cioè, io sono convinta di aver subito un danno, uno dei mille danni in questa storia. La ciliegina sulla torta era questo film, che mi ha mandato in crisi profonda, non so perché. Era come un volersi appropriare di nuovo della mia storia... insomma, mi sono vista trattare con leggerezza.
MICHELE RANIELI. Questi avvocati che le sono stati presentati, a quale foro sono iscritti? Al foro di Roma?
PATRIZIA SCREMIN. No, questo avvocato da cui sono andata è un avvocato di Trieste, il quale mi ha tutelato e, grazie a lui, tutto sommato sono riuscita a far togliere due scene del film che non era proprio il caso... Sull'ultima parte, quella che parlava della malattia, loro avevano detto di sì e poi no, quindi io ho fatto le mie rimostranze.
MICHELE RANIELI. Quando è partito, suo marito sapeva che partiva con Ilaria, ma sapeva anche chi fosse l'autista?
PATRIZIA SCREMIN. Guardi, in quella settimana che siamo rimasti a Trieste hanno preparato il viaggio ad una velocità pazzesca. Di solito c'era più tempo ed io so che si era lamentato dei pochi fondi che c'erano a disposizione: e pochi fondi vuol dire meno opportunità di avere, ad esempio, una macchina più protetta, o più guardie del corpo, eccetera. Mi ricordo che disse questa frase: «il budget per questa missione è minimo». E comunque non l'aveva curato lui ed era una delle prime volte che non curava nel dettaglio... In una missione precedente aveva addirittura richiesto dei giubbotti in Olanda, per dire la precisione.
MICHELE RANIELI. Durante la sua permanenza in Somalia le parlò dell'autista o della scorta?
MICHELE RANIELI. L'autista l'aveva già conosciuto prima di andare in Somalia?
PATRIZIA SCREMIN. No. Era somalo, penso. Era somalo, no? Era la prima volta che Miran andava in Somalia, non c'era mai stato.
MICHELE RANIELI. Ma conosceva altri somali suo marito?
PATRIZIA SCREMIN. Non era mai stato in Somalia.
MICHELE RANIELI. Aveva degli amici italiani in Somalia?
PATRIZIA SCREMIN. No, nessuno.
MICHELE RANIELI. Quindi non conosceva nessuno.
PATRIZIA SCREMIN. Assolutamente.
MICHELE RANIELI. Un'altra domanda, signora. Poco fa una mia collega ha detto che, a volte, nel cuore di un uomo ci sono cose che non vengono rivelate neanche a chi vive al suo fianco: ha avuto delle storie suo marito? (Commenti)
PATRIZIA SCREMIN. Non lo so. Che domande sono? Delle storie sentimentali? Delle storie... che cosa!? Che io sappia, no! Eravamo una coppia... Posso dire una cosa? Non lo so. Eravamo una coppia molto felice.
MICHELE RANIELI. È bello sentirglielo dire.
PATRIZIA SCREMIN. Molto. Molto felice. Diciamo che io ero una moglie molto felice. Mi basta.
MICHELE RANIELI. Grazie. Le chiedo scusa, signora. Non ho altre domande.
PRESIDENTE. La parola all'onorevole Lavagnini.
ROBERTO LAVAGNINI. Non avrò domande per la signora, presidente: credo che gliene abbiamo fatte anche troppe. Volevo semplicemente dirle che sono molto dispiaciuto, ma che il lavoro della nostra Commissione, purtroppo, è di appurare il massimo della verità e, quindi, l'abbiamo sottoposta a rievocare dei momenti per lei molto tristi. Le posso esprimere tutta la mia solidarietà e la mia simpatia per le decisioni che ha preso nei confronti di suo figlio, della sua famiglia, e per quello che lei ha fatto per riuscire a coprire quei momenti così duri.
PATRIZIA SCREMIN. Lo rifarei, guardi. Mi creda, come madre lo rifarei.
ROBERTO LAVAGNINI. La ringrazio per essere qui con noi, comunque.
Presidente, le chiedo di esprimere il mio accordo al presidente Taormina per quanto riguarda l'audizione dei fratelli del signor Hrovatin.
PRESIDENTE. Grazie. La parola all'onorevole Cannella.
PIETRO CANNELLA. Innanzi tutto, anch'io le esprimo la mia gratitudine e la mia solidarietà per la dignità, ed anche la sofferenza, con cui si sta sottoponendo a questo incontro e per la scelta che ha fatto, che è personale e, come tale, rispettabilissima. Le rivolgerò una domanda precisa: suo marito ha fatto il cineoperatore in zone di guerra (in Bosnia e, l'ultima volta, in Somalia), le risulta di suoi rapporti, conoscenze, amicizie con elementi delle Forze armate o delle forze di sicurezza italiane? Le ha mai detto di aver conosciuto ufficiali o, comunque, di avere conoscenze in questo ambito?
PATRIZIA SCREMIN. No, non mi ha mai parlato nello specifico. Avrà conosciuto qualcuno durante i suoi mandati, però nello specifico, personalmente non mi ha mai detto nulla.
PIETRO CANNELLA. Perfetto. La ringrazio.
PRESIDENTE. Le voglio rivolgere, signora, solo un'ultima domanda, non me ne voglia. L'ho vista giustamente molto attiva quando si è trattato della questione del film, che non ritraeva l'immagine di suo marito, soprattutto dal punto di vista delle sue caratteristiche personali, cosa che certamente si giustifica con la scelta di una uscita di scena sotto tutti i profili, curando più che altri gli aspetti sostanziali, ma che stride per intensità di iniziative e via dicendo. Le rivolgo questa domanda perché sento il dovere di farlo: lei ha preso questo atteggiamento, questa posizione, perché risponde ad un suo intimo modo di essere, al quale non può sottrarsi, o (non dico oggi ma nel passato, magari in prossimità del periodo in cui si verificarono i fatti) ha ricevuto, diciamo così, qualche consiglio?
PATRIZIA SCREMIN. No, non ho ricevuto nessun consiglio. Assolutamente.
PRESIDENTE. Lei ha capito la domanda e io non ho altro da aggiungere.
PATRIZIA SCREMIN. Le ho risposto sinceramente.
PRESIDENTE. Cioè nessuno: autorità, servizi...
PRESIDENTE. ...magistratura, nessuno mai le ha consigliato di non avere la visibilità che hanno assunto altri?
PRESIDENTE. Quindi è una scelta personale.
PATRIZIA SCREMIN. È solo una scelta personale.
PRESIDENTE. Ne prendiamo atto. Io la ringrazio molto della sua disponibilità e dico a lei quel che abbiamo detto ieri ai familiari di Ilaria Alpi, cioè che tutti i componenti della Commissione (oggi lei ne ha conosciuti solo alcuni), nessuno escluso, hanno voluto far parte della Commissione stessa proprio per adempiere, prima di tutto, ad un loro desiderio di verità, di accertamento dei fatti, costi quel che costi dal punto di vista della individuazione delle responsabilità di chi dovesse aver impedito - e questo è un dato certo - che la verità si facesse strada nelle varie inchieste, giudiziarie e non. Questa Commissione vuole che anche lei prenda atto che non sono le differenze di impostazione politica, di appartenenza partitica che in un caso come questo possono in qualche modo influenzare i suoi lavori. C'è un'armonia assoluta perché tutte le ottiche dalle quali la vicenda può essere guardata siano utilizzate all'unico scopo di fare giustizia, nei limiti in cui a noi è consentito farlo, sulla base delle disposizioni che regolano la nostra attività.
Tutto quello che di collaborazione può esserci da parte sua, laddove lo ritenesse per effetto di ulteriori riflessioni, affinché i lavori di questa Commissione siano agevolati, sarà il benvenuto in questa sede, come utile può essere che segnalazioni, indicazioni, informazioni provengano specialmente dalle persone che hanno vissuto sulla loro pelle una tragedia di questo tipo. Questo le vogliamo assicurare. L'abbiamo fatto con i genitori di Ilaria Alpi, lo facciamo con lei, in memoria di suo marito, affinché abbia la consapevolezza che, per quanto questa sia ritenuta l'ultima sponda, noi ci auguriamo che sia quella giusta.
Ringrazio ancora la signora Scremin e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16,40.
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