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Seduta del 17/5/2005


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Audizione del dottor Sergio Dini, presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Sergio Dini, presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari, sulle tematiche oggetto dell'inchiesta parlamentare.
Invito il dottor Dini a svolgere la sua relazione, ringraziandolo per la collaborazione.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Premetto che non vi sono particolari novità rispetto a quanto già scritto nelle ultime lettere.
Si tratta di notizie che sono in parte già note alla Commissione e che in parte confermano il dato di fondo, cioè che negli atti processuali che per cinquant'anni sono rimasti nascosti nell'armadio di via degli Acquasparta c'erano diversi nomi di soggetti che, come risulterà poi successivamente, erano stati inseriti o contattati per un loro inserimento in strutture militari particolari di interesse del Patto atlantico.
Quindi, nell'ultima lettera che vi ho scritto ho indicato alcuni casi che mi sono venuti in mente, come quello relativo alla vicenda del maggiore Hass o quella dell'ufficiale Buttazzoni, insomma, casi di soggetti che avevano fascicoli a loro nome nel famoso armadio e che, forse, proprio per questo fatto sono stati contattati da Servizi segreti occidentali o, viceversa, essendo stati contattati da Servizi segreti occidentali, a quel punto, andavano in qualche modo tutelati dal punto di vista giudiziario (del resto, il maggiore Hass ha anche affermato chiaramente, in occasione dell'indagine condotta dal dottor Salvini, che aveva sostanzialmente pattuito la sua impunità per la vicenda delle Fosse Ardeatine con la partecipazione a strutture di sicurezza atlantiche).
Ciò che invece mi preme affermare è che anche dal 1994 in avanti c'è stata una sottovalutazione del fenomeno, nel senso che quando dal 1994 sono saltati fuori questi fascicoli, in realtà, non ci fu alcuna attività concreta da parte degli organi istituzionali preposti alla gestione di tali fascicoli (in particolare, quindi, la procura generale) per cui tutto questo materiale è stato inviato in maniera assolutamente disorganica, a «spizzichi», senza alcuna


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visione d'insieme del fenomeno che, invece, è risultata un po' alla volta, parlandosi tra loro i colleghi dei vari uffici e chiedendosi l'un l'altro se erano disponibili determinati fascicoli. Così, verificando le varie informazioni, si è giunti ad un calcolo che ha rivelato una massa enorme di documenti che erano stati sostanzialmente sottovalutati. Fin dalla prima emanazione alle procure competenti, non c'è stata una lettura organica, alcuna attività di coordinamento come, invece, si sarebbe potuto e dovuto fare. Quello sarebbe stato forse il momento per chiedere il rafforzamento di certi uffici in termini di polizia giudiziaria, con soggetti che, magari, sapessero parlare il tedesco, facilitando le indagini. Invece, in realtà, la procura generale ha inviato questi fascicoli, ma disinteressandosi successivamente di ciò che avveniva nei singoli uffici.
Per esempio, la procura di La Spezia si è trovata a gestire decine di fascicoli di particolare peso e, solo dopo cinque o sei anni, per iniziativa del nuovo procuratore, è stata istituita una sezione di polizia giudiziaria, con carabinieri che sapevano la lingua tedesca: tutto ciò è avvenuto sotto l'impulso e l'iniziativa del procuratore di La Spezia, senza alcun intervento del livello centrale, senza alcun contatto con il Ministero della difesa o altri al fine di rafforzare la quota di polizia giudiziaria, gli uffici, insomma, per centralizzare il coordinamento delle indagini.
L'unica cosa che fu fatta dalla procura generale fu, nel 1996, quando sulla stampa si diede notizia della vicenda - tali notizie cominciavano ad emergere con particolare vigore nell'estate del 1996 - e la procura generale si attivò per mettere un po' in sordina la vicenda, chiedendo agli organi di sorveglianza di effettuare degli accertamenti tra le personalità militari su coloro che avevano divulgato l'esistenza del famoso armadio e dei presunti insabbiamenti, domandando altresì come mai vi fossero ancora dei fascicoli pendenti (come se si volesse lasciar intendere che i fascicoli arrivati dal 1994 in avanti dovevano essere chiusi nell'estate del 1996). Ciò che insomma traspariva era un atteggiamento tendente un po' a frenare le attività. Questo è l'aspetto che vorrei sottolineare nella gestione post 1994 dei fascicoli.

PRESIDENTE. Vorrei approfittare della sua presenza per fare un chiarimento. Lei, nella sua lettera del 9 febbraio 2005, in qualità di presidente dell'Associazione magistrati militari italiani, al secondo punto, afferma che «a scoprire e denunciare l'abnormità del provvedimento di archiviazione provvisoria non è certo stata la Commissione parlamentare presieduta dalla signoria vostra, bensì furono alcuni magistrati militari - nella specie, il sottoscritto - ad evidenziare tale situazione (come ampiamente ripreso da organi di stampa fin dall'estate 1996) e ad interessare, con apposito esposto, il Consiglio della magistratura militare affinché sulla vicenda fosse fatta chiarezza».
Mi preme sottolineare - credo di poter parlare a nome di tutta la Commissione - che questa Commissione non si è mai sognata di arrogarsi il diritto di affermare la scoperta di questa archiviazione provvisoria, che, peraltro, costituisce il perno della legge istitutiva di questa Commissione. Nessuno si è mai sognato in questa sede di fare affermazioni sulla scoperta dell'archiviazione provvisoria, che peraltro viene già citata nella legge istitutiva. Insomma, quando è stata istituita la Commissione, eravamo già al corrente, così come entrambi i rami del Parlamento, dell'archiviazione provvisoria.
Mi corre l'obbligo di rettificare quanto da lei scritto. Questa è un'occasione anche per chiarire questo punto.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Non vorrei sollevare una polemica, ma quella lettera è stata scritta dopo aver letto una determinata intervista su un settimanale in cui erano virgolettate certe affermazioni. Non mi sono sognato nulla. Probabilmente è anche agli atti.

PRESIDENTE. Sì, ma poiché l'archiviazione provvisoria costituisce il nucleo centrale...


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SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Proprio per questo mi sono sentito in dovere di puntualizzare la questione, perché mi sembrava strano che si dichiarasse che era stato scoperto il provvedimento di archiviazione provvisoria, in realtà già nota da tempo.

CARLO CARLI. Questa Commissione nasce proprio con la motivazione della ricerca delle cause dell'occultamento. Era evidente che questo già si sapeva, perché vi è stata - lei lo sa meglio di me - una indagine del Consiglio della magistratura militare, tra l'altro anche su sua segnalazione, che si è conclusa con la rilevazione dell'illegalità compiuta dalla magistratura militare dal momento che non ha inviato i fascicoli alle autorità di giustizia competenti. Mi sembra strano che si dica che la Commissione pensa di aver scoperto questi fascicoli; semmai ne abbiamo scoperti degli altri, questo sì, perché ci sono pervenuti nuovi documenti.
Entro nel merito di due questioni che lei stasera ha trattato. La prima riguarda le persone che hanno compiuto dei crimini negli anni 1943-1945; persone legate al regime fascista o alla Repubblica sociale, che poi sono passate a collaborare con i Servizi segreti americani e - leggo nella lettera del 9 febbraio - anche in organizzazioni di sicurezza nazionale e/o della NATO. Al riguardo, le chiedo di riferirci, anche in maniera più dettagliata, ciò di cui lei è a conoscenza. Credo che lei si sia occupato di Nino Buttazzoni; considerate queste sue affermazioni, sarebbe molto importante che ci desse degli elementi più precisi in modo da metterci nella condizione di ricercare ulteriori documenti nell'ambito di una missione che abbiamo programmato negli Stati Uniti. Ci sono anche riferimenti precisi a persone che si sono occupate in Italia di questi reclutamenti, come Angleton e Luongo, quindi noi le saremmo molto grati se potesse illustrarci, non solamente gli elementi documentali, ma anche le sue valutazioni, che noi riteniamo siano utili.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Per quanto riguarda la vicenda di Buttazzoni, l'esistenza di questo contatto tra Buttazzoni e l'OSS, per il tramite di Angleton, è emersa quando ancora non era stato scoperto l'armadio della vergogna (solo successivamente ho ritrovato il nome di Buttazzoni nell'armadio e ho fatto caso alla coincidenza).
Avevo sentito Buttazzoni, come persona informata sui fatti, per una vicenda relativa alla cosiddetta stay behind della Decima MAS. Prima della organizzazione Gladio (nome inglese: Stay behind), risultava che ci fosse stata negli ultimi mesi della guerra (nei primi mesi dopo l'armistizio) una struttura analoga della Decima MAS, creata per resistere agli alleati che avanzavano sul territorio nazionale, che doveva rimanere «in sonno» nelle retrovie alleate per poi riprendere vigore successivamente (quindi, lo stesso meccanismo poi applicato effettivamente per la Stay behind-Gladio).
Uno dei promotori di quest'iniziativa della Decima MAS risultò essere questo Nino Buttazzoni, il quale, sentito da me sul punto, oltre a riferirmi qualche elemento su questa struttura, mi disse anche che, nell'immediato dopoguerra, Angleton, dopo essere stato catturato, gli chiese espressamente di collaborare con l'OSS, in chiave anticomunista, per svolgere il ruolo di reclutatore sul territorio nazionale. A me in quel momento questa vicenda non interessava più di tanto, perché l'indagine verteva su altri aspetti; solo successivamente, tra le centinaia di documenti che sono arrivati dalla procura generale dopo il 1994, trovai il nome di Buttazzoni e mi incuriosì. La singola vicenda, in sé per sé, può essere poco significativa, però dobbiamo considerare anche l'ordinanza del dottor Salvini, nella quale si parlava di una analoga vicenda vissuta dal maggiore Hass, a cui è intestato un fascicolo, rinvenuto nell'armadio, relativo alla strage delle Fosse Ardeatine e che, guarda caso, viene contattato - a suo dire - da organismi di sicurezza statunitensi sempre per operare in chiave anticomunista sul territorio


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nazionale. Risultano, quindi, essere due le vicende, che, seppur distinte, sono accomunate da questo dato.
Chiaramente, la mia è una visione parziale, quella del mio ufficio; bisognerebbe valutare se, dalle indagini portate avanti presso diversi uffici della procura militare italiana, risultino altri personaggi coinvolti in vicende del genere.
È stato scoperto che il generale Fritz Polak (si tratta di un accertamento che non era stato fatto), soggetto indagato per una serie di stragi avvenute nell'alto Padovano negli ultimi giorni della guerra (anche lui indicato nominativamente, quindi, indagabile pienamente fin dall'immediato dopoguerra), ricercato dopo il 1994 dall'Interpol, è morto alla fine degli anni cinquanta in Inghilterra. Non so cosa fosse andato a fare in Inghilterra - si trattava di un accertamento che non mi interessava più, poiché stavo ricercando responsabilità penali personali -, ma ho trovato curioso che un soggetto noto agli alleati come potenziale criminale di guerra fosse rimasto, fino al suo decesso, libero in Inghilterra. Non so, però, se lì abbia vissuto da pensionato curando il giardino all'inglese o se, invece, sia andato in Inghilterra per svolgere qualche funzione.
Esiste qualche altro caso di soggetti, già indagabili (i cui nomi erano nei famosi fascicoli), che risultano catturati dagli alleati e poi rilasciati negli anni 1947-1948, nonostante si trattasse di persone che avrebbero potuto essere perseguite dalla giustizia (un certo Donnenburg e un certo Gallasch, per esempio, se non ricordo male). Questi, però, sono solo dati osservati dall'ottica parziale di un singolo ufficio di procura militare; la visione d'assieme non posso averla.

CARLO CARLI. Questo significa, quindi, che lei possiede già degli elementi per potere esprimere un'opinione di questo genere e cioè che i Servizi segreti, in particolare quelli americani (OSS e CIC), hanno fatto in modo che le persone implicate in crimini di guerra venissero protette per poterle poi utilizzare al fine di attuare una politica anticomunista. C'era una strategia precisa nella condotta dei Servizi segreti che, però, evidentemente aveva anche un indirizzo di carattere politico. Lei su questo, mi sembra, si sia fatta un'opinione.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Sì, questa è la mia opinione. Io penso che oltre agli aspetti... (Commenti del senatore Eufemi).

CARLO CARLI. Certo, non sei tu il presidente. Che rimanga a verbale che il collega senatore vuol far tacere l'audito, gli vuole tappare la bocca. Ne prendiamo atto. Il collega ha paura della verità.

MAURIZIO EUFEMI. Siamo al delirio!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Questa è la mia opinione, però ripeto...

PRESIDENTE. La sua opinione quale sarebbe? Sta parlando come presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Certamente da presidente dell'associazione, ma anche da cittadino che ha delle opinioni che possono piacere o no.

CARLO CARLI. Siamo in un paese libero.

ENZO RAISI. Lei parla come cittadino o come magistrato? Lei è audito come magistrato e come tale non può esprimere un'opinione senza avere delle prove, se invece parla come cittadino a me fa piacere, ma...

PRESIDENTE. Scusi, dottor Dini, le voglio ricordare ...(Commenti).

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Mi avete convocato voi, non ho chiesto io di essere sentito.


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PRESIDENTE. Dottor Dini, lei mi ha scritto una lettera abbastanza dettagliata dove espone questi concetti come presidente dell'Associazione magistrati militari; quindi, adesso non può dirci di essere qui in una veste diversa. Lei è stato convocato perché ci ha mandato una lettera nella quale ha affermato certe cose.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Certo, ma io le riaffermo. Ripeto: anche quelle sono opinioni. Il presidente dell'Associazione magistrati militari può avere delle opinioni oppure no? Io ho delle convinzioni basate su dati di fatto che sono assunti, in quanto magistrato, sulla base dei fascicoli che ho gestito direttamente o sulla base di notizie apprese da altri colleghi. C'è da dire, però, che io non ho visto tutti gli atti - che probabilmente voi conoscete meglio di me - perché non ho accesso ai fascicoli affidati ad altri colleghi; quindi, parlo sulla base di dati di fatto e su quelli mi creo delle opinioni. La mia opinione è quella di un cittadino che è, nello stesso tempo, presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari; quindi, non si possono scindere i due aspetti. Quando potrò rispondere alla domanda dell'onorevole Carli dirò quale è la mia opinione nella veste di presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari.

PRESIDENTE. Lei è qui come presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Noi l'abbiamo convocata in questa veste; quindi, ci faccia capire cosa pensa il presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari in merito alla domanda posta dal collega Carli.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Stavo dicendo esattamente questo. La mia opinione è che questi «insabbiamenti» siano dovuti ad una pluralità di ragioni: alcune relative alla politica internazionale e altre, più spicciole, riguardanti la politica militare e di sicurezza per le quali era necessario che in determinati organismi di sicurezza venissero arruolati soggetti di collaudata esperienza bellica e di provato schieramento. È evidente, quindi, che i soggetti che avevano operato bene durante la seconda guerra mondiale, sia dal punto di vista bellico sia secondo un criterio di resistenza antisovietica, dovessero e potessero essere ben accolti piuttosto che altri individui. Questa è l'opinione del sottoscritto in veste di presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari.

CARLO CARLI. Vorrei ora passare ad un altro argomento riguardante la corrispondenza che la Commissione ha ricevuto circa le sue iniziative relative al comportamento della magistratura militare. Su tale argomento lei si è espresso in maniera molto dura affermando che il comportamento della magistratura militare poteva configurarsi come attentato alla Costituzione, secondo l'articolo 283 del codice penale. Queste sono affermazioni molto forti e pesanti.
Riguardo a ciò, però, lei ha aggiunto che questo atteggiamento e queste gravi responsabilità di occultamento non possono essere attribuite completamente alla magistratura militare che, non essendo allora indipendente, avrà avuto degli input in tal senso da parte degli organi politici.
Questo è un argomento molto interessante che stiamo approfondendo nelle ultime audizioni. In una recente audizione tale ragionamento è stato sottoposto al senatore Andreotti che ha affermato di non essere mai venuto a conoscenza della questione perché se lo avesse saputo sarebbe stato il primo a denunciare questa violazione della magistratura militare. Su questo specifico aspetto ci può illustrare le sue valutazioni e gli elementi di sua conoscenza?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. La magistratura militare dell'epoca, a differenza di quella attuale che gode di autonomia ed indipendenza, non era assolutamente una struttura indipendente. Non c'era un organo di autogoverno, i trasferimenti dei magistrati venivano disposti direttamente


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dal procuratore generale presso il Tribunale superiore militare che rappresentava il vertice della giustizia militare; quindi, un magistrato per qualsiasi motivo poteva essere trasferito, dall'oggi al domani, da Torino a Cagliari senza che intervenisse sul punto un qualsiasi provvedimento di un organo di autogoverno. Il procuratore generale dell'epoca era nominato dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro della difesa; quindi, la scelta era, in qualche modo, di carattere politico con tutto ciò che ne consegue in termini di dipendenza dall'esecutivo.
Per questo motivo ritengo non sia pensabile, in maniera assoluta, che all'epoca ci sia stata un'iniziativa autonoma della magistratura militare. È impossibile pensare, infatti, che il procuratore generale dell'epoca, Santacroce (e i suoi predecessori, perché già delle attività prodromiche all'insabbiamento erano state poste in essere da altri), abbia compilato, sostanzialmente nello stesso giorno, tutti i provvedimenti di archiviazione provvisoria di propria iniziativa per ragioni giudiziarie prendendosi la responsabilità di archiviare centinaia di fascicoli contenenti nomi e cognomi bene espressi, se non c'era una direttiva di carattere politico. Questo - a mio giudizio - è assolutamente da escludersi.

CARLO CARLI. Anche dal 1994 in poi la magistratura non ha fatto molto per celebrare i processi tanto è vero che, ad undici anni di distanza, in questi giorni a La Spezia si sta svolgendo il processo sulla strage di Sant'Anna di Stazzema; quindi, queste sono responsabilità che appartengono interamente alla magistratura militare che lei oggi qui rappresenta come presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Queste sono responsabilità forti ed individuabili.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Io penso, però, che si debbano distinguere i due momenti. Infatti, dal 1994 ad oggi probabilmente si poteva fare di meglio, non lo nego, ma credo che tutto ciò possa essere ascrivibile a problemi organizzativi e di negligenza.
Probabilmente, qualcosa di più si poteva fare nel 1994, anche solo sollecitando la creazione di strutture adeguate, attraverso il rafforzamento degli uffici, dell'organico, insomma facendo un po' la voce grossa rispetto al ministero per ottenere, negli uffici più esposti, ufficiali giudiziari dei carabinieri che sapessero il tedesco o, comunque, che avessero la possibilità di viaggiare e condurre le indagini fuori dal territorio italiano. Invece, in questo senso, c'è stato un disinteresse iniziale, tant'è che molti fascicoli hanno languito ancora a lungo.
Tuttavia, la fase di responsabilità fino al 1960 penso sia più di carattere «doloso», mentre dal 1994 in avanti, se ci sono delle responsabilità, queste sono di carattere colposo, cioè, non dovute ad una volontà ulteriore di insabbiamento bensì a difficoltà di gestione. Non dimentichiamo che condurre delle indagini su fatti accaduti sessant'anni fa non è comunque facile. In quei fascicoli c'era un po' di tutto, dall'incendio della stalla nel paese del Rovigotto agli omicidi, spesso elencati insieme, quindi bisognava leggersi carte di cinquant'anni prima e mal leggibili, scremando prima ciò che non era utile da ciò che poteva servire.
Molto spesso vi erano nomi scritti con grafia incerta o diversa. A titolo personale - ma come magistrato della procura militare di Padova - ricordo di avere impiegato degli anni a trovare un individuo che si chiamava Dornerburg, perché in un atto veniva citato come Donnenburg, in un altro come Dornerburg e altrove secondo un'altra grafia ancora; in un atto si parlava di un individuo di nome Karl, in un altro di uno di nome Alfred; insomma, ho impiegato tre anni per trovarlo mentre l'Interpol mi rispondeva che un tizio con questo nome non esisteva.
Nel 1946 sarebbe stato molto più semplice effettuare questo tipo di attività, quanto meno sarebbe stato possibile sentire i testimoni ed accedere con più semplicità agli archivi, mentre una cosa diversa è fare delle indagine dopo cinquant'anni, citando gente che era deceduta. Non solo, ma lei può immaginare


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che tipo di attendibilità possa avere una testimonianza dopo sessant'anni: si provi a chiedere a qualcuno, dopo sessant'anni, se ricorda ancora in che occasione ha visto o meno passare un ufficiale tedesco vicino casa sua. Probabilmente due mesi dopo lo avrebbe potuto ricordare, ma a cinquant'anni di distanza sarebbe stato sospetto il semplice fatto di ricordare un fatto simile. Comunque, la magistratura militare non ha fatto le cose come doveva e c'è stata una sottovalutazione del fenomeno ab initio. Successivamente, si è cercato di fare il possibile per arrivare a concludere qualcosa ma - lo ripeto - in cinquant'anni, di indagati, persone e testimoni ne muoiono molti, quindi, la difficoltà dell'indagine c'è stata fin dall'inizio. Tuttavia, non c'è stata - tendo assolutamente ad escludere questo fatto, come ho scritto fin dall'inizio anche al presidente della Commissione - alcuna linea di continuità fra gli insabbiamenti dell'epoca e le eventuali anomalie di gestione del periodo successivo.
Non dimentichiamo, infatti, che è proprio dall'interno della magistratura militare che è venuta poi la richiesta di trasparenza e la denuncia a livello dell'opinione pubblica di questo fenomeno: se si fosse voluto continuare ad occultare tutto, lo si sarebbe potuto fare anche dopo il 1994; se si fosse voluto procedere secondo quella linea di gestione, si sarebbe potuto continuare a occultare i fascicoli anche dopo il 1994. Invece, questi ultimi sono venuti fuori e si è denunciata la cosa all'opinione pubblica: a quel punto non era più occultabile nulla.

ENZO RAISI. Vorrei fare una premessa: io sono qui per cercare di capire. La ringrazio per il suo pensiero come cittadino, però io vorrei poterle chiedere dei documenti e delle prove, anche perché basarsi su congetture per cui, a seconda di chi passa, la responsabilità è sempre di qualcun altro (chiaramente, chi è venuto prima di lei ha dato la responsabilità ad altri e viceversa), non mi sembra corretto. Ricordo il magistrato che disse di avere trovato i primi fascicoli attraverso una ricercatrice di cui non abbiamo però saputo poi nulla (insomma, ci sono storie confuse sulla magistratura recente oltre che su quella lontana).
Ciò premesso, avendo il massimo rispetto per la magistratura, sia civile, sia militare, insisto nell'affermare che vorrei delle prove, anche sulla base di quanto lei ha affermato. Le faccio un esempio: lei cita un esponente della Decima MAS che, secondo la sua teoria, sarebbe un beneficiato perché ha collaborato, ma io trovo invece scritto nei documenti che egli ha rifiutato ogni collaborazione. Evidentemente, si sentiva talmente nella parte da volere rimanere un fascista integerrimo, rimanendo sulle sue posizioni, forse.
Lei poi cita altri soggetti e parla - si legge nella sua lettera - del colonnello Menschik che il dottor Borsari aveva chiesto agli inglesi (quindi, innanzitutto, Borsari non stava occultando nulla perché egli ha chiesto agli inglesi di consegnarlo). Tuttavia, secondo il suo ragionamento il dottor Borsari dovrebbe essere considerato tra coloro che hanno occultato i documenti (sempre nella versione dei magistrati buoni e cattivi). In questo caso, però, il dottor Borsari chiede agli inglesi di consegnare il colonnello, ma questi gli rispondono che vorrebbero sapere prima le ragioni: che cosa ha commesso il colonnello? A questo punto, però, i documenti sufficienti perché egli venisse consegnato non sono più venuti fuori.
Non nego che ci possano essere state delle responsabilità, però preferirei guardare anche ad un altro scenario: seconda guerra mondiale, guerra civile in Italia, devastazione di uffici, difficoltà di avere contatti, e via dicendo. Lei stesso ha notato che oggi è difficile svolgere delle ricerche dopo sessant'anni, ma si è avvalso dell'Interpol. Si immagini allora, all'epoca, in condizioni di guerra come poteva essere difficile!
Comunque, in quella fase di grande concitazione, nel momento in cui si chiedono poi delle prove, queste devono essere prodotte, in un senso o nell'altro, perché lei sa che in relazione ai nostri militari responsabili di avere commesso dei crimini,


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giustamente, il nostro Governo ha richiesto le prove sugli eventuali crimini commessi (lo è venuto a dichiarare in questa sede anche il senatore Andreotti). È chiaro che tutti quanti cerchino di tutelarsi.
Ancora, lei ha affermato che Polak è morto in Inghilterra e indubbiamente questo è un dato, però è una sua supposizione...

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Io ho fornito solo il dato storico.

ENZO RAISI. Certo, ma quello che voglio dire è che da qui ad affermare che si trattava di un agente dei Servizi segreti inglesi, ne corre abbastanza!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Non era un accertamento che avrei dovuto fare io.

ENZO RAISI. Però, mi permetta, lei è un pubblico ministero ed io sono terrorizzato dai PM che vanno avanti per indizi. Secondo me, infatti, ogni PM dovrebbe portare anche delle prove altrimenti si rischia di venire condannati sulla base di indizi. Anche il filone dei processi che lei citava non è che sia finito benissimo.
Solo l'altro giorno, in occasione della sentenza per la strage di Milano, siamo arrivati ad ammettere che anche in quell'episodio non si è indagato troppo bene. In altre parole, posto che molti settori si intersecano e che lei, in questa sede, ha affermato che, sicuramente, ci sono state delle pressioni - lo ha detto prima - sulla magistratura militare...

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Lo ribadisco.

ENZO RAISI. Perfetto! Può fornirci delle prove su questo punto, al di là delle congetture, per avvalorare quanto lei afferma? Vi sono dei documenti che provano come qualcuno abbia effettuato delle pressioni? Per esempio, il dottor Borsari è uno di quelli da lei indicati, ma di fronte ad affermazioni del genere lei quali prove può portarci? È il magistrato Dini che è qui a riferire, non il cittadino! Quali sono le prove su cui si basano le sue asserzioni? Quali sono le prove di eventuali pressioni da parte dei politici sulla magistratura militare, al di là del fatto che, dal punto di vista gerarchico, la nomina dipendeva dal Governo? Le ricordo che sono passati per questa sede fior di ministri della difesa che hanno affermato di non avere neppure mai conosciuto i capi della procura!
Quindi, o lei dichiara che queste persone affermano il falso oppure mi deve dire qual è la forzatura che questi hanno compiuto. Questo è il dovere della nostra Commissione. Al di là dei pareri, che fa sempre piacere ascoltare, abbiamo bisogno di prove, che continuo a non vedere! Le ripeto: è bellissima la casistica di questa Commissione. Le assicuro che abbiamo visto tutto e il contrario di tutto, compreso lo spostamento dell'armadio che è andato in giro per il palazzo! E a seconda di chi ascoltavamo ci dicevano cose diverse. Allora, la domanda è: lei ha qualche documento in più da fornire alla Commissione, al di là delle sue nobili tesi, che sono, però - come ha giustamente detto lei - , le opinioni di un cittadino privato, che è venuto a conoscenza della morte di una persona in Inghilterra e che, per questo, ha avuto il dubbio che tale persona avesse fatto qualcosa di male nel 1956? Può essere attendibile questa persona della Decima MAS, che fa dei nomi dopo cinquant'anni, dicendo poi che lui non c'entra, perché è integerrimo? La mia domanda allora è: perché lo copre? Non ha accettato, però lo copre! Questa è una domanda che qualsiasi cittadino si potrebbe fare, perché non c'è una linea razionale in tutta questa vicenda. Allora, al di là delle sue congetture nobili, lei è in grado di portare dei documenti a questa Commissione - non oggi, anche successivamente - riguardanti quello che lei oggi ha sostenuto?


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SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Guardi, non sono venuto qui per fare polemica, quindi mi risparmio di risponderle sul discorso delle congetture. Ho esposto dei dati di fatto...

PRESIDENTE. Mi scusi, dottor Dini, la polemica lei l'ha già anticipata con questa lettera, tanto per essere chiari!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Sì, quella lettera è stata volutamente polemica...

PRESIDENTE. Questo non me lo deve dire lei, perché lo abbiamo capito dopo tre secondi. Ma lei continua a ripetere che non vuole fare polemica...

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Non con il commissario...

PRESIDENTE. Se lei ha qualcosa da rispondere all'onorevole Raisi lo faccia! Comunque, quando si affermano certe cose, visto che lei fa il magistrato, occorrerebbe avere delle tesi a sostegno. Questo credo sia un principio fondamentale.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Come ho già detto, la prima tesi a sostegno, che non si può far finta che non esista, è costituita dalla struttura della magistratura militare dell'epoca. Se vogliamo far finta che non esista una differenza rispetto a quella magistratura militare, con quella organizzazione e quella struttura, in termini di dipendenza dal potere politico, facciamolo pure, ma si tratta di un dato di fatto che non si può ignorare!

ENZO RAISI. Cosa c'entra con l'occultamento?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. C'entra! Come ho già detto prima.

ENZO RAISI. Questo è il suo pensiero, ma lei non può provarlo!

SERGIO DINI. Certo, non ho assistito a colloqui tra il ministro della difesa e il procuratore generale dell'epoca, né c'è uno scritto in cui si dicano frasi del tipo: caro dottor Santacroce, abbiamo problemi di carattere internazionale, ci faccia il piacere di archiviare i fascicoli! Questo documento non c'è, o almeno io non ne sono in possesso, ma non credo che esista. Io mi baso su considerazioni di fatto, che non sono congetture, come dice lei: non si può far finta che la struttura dell'amministrazione militare dell'epoca fosse tale e quale a quella odierna! Un problema di indipendenza esisteva, ed era molto grave. Quindi, sono questi gli elementi su cui mi baso per poi esprimere delle considerazioni, che, se mi permette, penso di essere in grado di fare.

ENZO RAISI. Non mi dichiaro soddisfatto della sua risposta. Le faccio un esempio, per affermare esattamente il contrario di quello che sta sostenendo lei. Io porto degli esempi concreti! Nei famosi fascicoli, cosiddetti occultati, ci sono centinaia di lettere di Borsari (non una, due o tre, ma centinaia di lettere), che è l'imputato! E lei ha appena finito di dire che c'era una forte pressione psicologica sulla magistratura! Ripeto: centinaia di lettere di Borsari agli ufficiali di collegamento - in particolare al maggiore Tiglia, se non vado errato -, riguardanti quei soggetti.
Dallo scambio epistolare, si nota chiaramente che il rapporto si attenua e si va incontro ad una serie di difficoltà, anche perché poi gli uffici vengono chiusi. In questo momento, in mano, ho il seguente dato: le lettere di colui che, secondo lei, ha occultato la vicenda in seguito alla pressione dei politici! Proprio colui che però, nel 1947, ha scritto tali lettere (centinaia di lettere!), chiedendo la consegna di coloro che lui riteneva fossero imputati in questo processo.
Questo per me è un documento che va a difesa della persona che per lei è responsabile


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di questo occultamento! Quindi, c'è qualcosa che non quadra. Avrei bisogno di altri documenti che mi dimostrino che magari questa persona ha tenuto un comportamento di facciata oppure che gli inglesi gli hanno risposto e che lui non ha dato seguito alla risposta. Questi sono documenti! Queste sono informazioni serie! Altrimenti, si va per congetture. Per carità, come è nobile la sua tesi, lo sarà quella di altri dieci commissari e dello stesso presidente, che magari a sua volta la penserà diversamente; però, stiamo parlando sempre di congetture, e lei mi insegna che una congettura non è sufficiente per avere una condanna.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Credo che ad un certo punto si noti anche una perdita di interesse...

ENZO RAISI. Chiudono gli uffici!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. L'interesse iniziale poi scema, si ferma, si concentra tutto lì, nonostante ci siano nomi e cognomi! C'erano nomi e cognomi e, in certi casi, anche il luogo di residenza! Vi è stato il caso - tanto per citarne uno - di una persona, citata con nome, cognome e luogo di residenza, per la quale vi è stata l'archiviazione provvisoria, perché ignoti i responsabili! Non si può dire che le indagini erano difficili in quegli anni! C'era nome, cognome e luogo di residenza! Una volta arrivato il fascicolo a Padova, è stato chiesto se esisteva una persona con questo nome e cognome, nata in una certa zona della Germania; è stata fornita una risposta nel giro di due mesi: esisteva e a momenti viveva presso lo stesso indirizzo! Però era sopravvenuta l'archiviazione provvisoria, perché ignoto! Allora, non mi si può venire a dire che le indagini erano difficili!

ENZO RAISI. Qual è il nome di questo individuo?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Wunderle Fritz. Ha ucciso 32 persone a Torlano di Nimis. Ha sparato sotto la gola a quasi tutte, personalmente!
Dovreste già avere a disposizione la documentazione relativa; era nei fascicoli. L'eccidio di Torlano di Nimis! C'era scritto nome, cognome e luogo di residenza dell'epoca! Quindi, non si può dire che c'erano difficoltà! In questo caso non vi erano difficoltà! Magari vi erano nel caso di Polak...

ENZO RAISI. Lei sa che ha usufruito di un sistema, che si chiama Interpol, che all'epoca non esisteva? Si è reso conto di questo?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Guardi, non c'era l'Interpol, però uno che si chiama Wunderle Fritz e che abita a Soekingen probabilmente si trovava anche con l'elenco telefonico! Non ci voleva tanto!

ENZO RAISI. Ma nel 1950 a momenti non esisteva neanche la Germania!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Forse un minimo di anagrafe ce l'avevano anche loro! Non credo che fossero ad un livello da terzo mondo...

ENZO RAISI. Mi sembra fosse un paese abbastanza distrutto!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Lei mi chiede dei dati di fatto e io glieli fornisco...

ENZO RAISI. E io le rispondo!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Sono io che devo rispondere alle vostre domande, non lei! Io le fornisco dei dati di fatto! Dico questo per farvi un esempio, ma ce ne sarebbero degli altri.


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ENZO RAISI. Ci faccia anche altri esempi, allora.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Guardi, quasi tutti i fascicoli, che sono diventati noti, erano già abbastanza agevolmente identificabili, pur con quella premessa di cui parlavo prima, cioè le difficoltà di lettura (in certi casi bastava una lettera diversa per cambiare un po' le cose); però ne sono stati trovati parecchi. Anche con riferimento alla strage avvenuta a Pedescala, sempre nel Vicentino, vi erano nomi e cognomi (tra l'altro questi erano italiani)!
Lei dice che era difficile svolgere le indagini all'epoca, mentre era più facile farle dopo: non è vero! Questi atti, tra l'altro, erano scritti in inglese (neanche tradotti); sono stati tradotti dall'interprete, nominato dal sottoscritto, ed erano ancora spillati; si tratta di decine di verbali redatti da una Commissione di inchiesta americana, che, con propri criteri, aveva svolto le indagini in maniera tutto sommato abbastanza sommaria (se mi si consente il termine), considerato che si è accontentata di mettere a verbale frasi del tipo: «in quel giorno della strage, in paese, si è visto Caneva»! Poi, tra l'altro, è saltato fuori che c'erano due fratelli Caneva: uno che si chiamava Bruno e un altro che si chiamava Adelmo; uno con il braccio paralizzato e un altro no! Ma gli americani - o perché non lo sapevano o perché bastavano questi primi elementi per ritenere sufficientemente istruita la vicenda - si sono accontentati di questo.
Questi documenti non sono stati tradotti quando sono pervenuti, all'epoca, prima del 1960 (erano ancora spillati e ben chiusi!). Una volta tradotti saltano fuori questi verbali abbastanza sommari; però, dopo sessant'anni andare a chiedere al paesano quale dei due Caneva era implicato nella strage difficilmente avrebbe sortito un qualche risultato. Sicuramente, se la cosa fosse stata chiesta due mesi dopo l'eccidio, si sarebbe giunti a qualche esito, ma sessant'anni dopo è quasi impossibile.

ENZO RAISI. Riguardo ai fascicoli ritrovati c'è un dato che mi ha lasciato perplesso e a cui non so dare una spiegazione. Nei vari faldoni sono presenti molti fascicoli inviati nel 1945 alle procure (e ci sono state anche diverse condanne) ed altri su cui non si è mai proceduto.
Come si spiega il fatto che i fascicoli attivati siano mischiati con quelli occultati? Questo per me è un fatto incomprensibile. Lei si è mai dato una risposta su questo punto?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Io penso che la cosa possa, forse, essere spiegata in questo modo: c'è una cesura tra un primo momento di attivismo, seguito da un grosso buco nero, e un secondo momento di attivismo iniziato dal 1994 in poi. Questo è ciò che sono in grado di ipotizzare vedendo lo sviluppo della vicenda.

ENZO RAISI. Comunque ci sono fascicoli già arrivati alle procure che vengono ritrovati mischiati con quelli occultati negli stessi faldoni. Vorrei un suo giudizio su questo.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Francamente questo non saprei dirglielo.

ENZO RAISI. Non ci sarà stata confusione?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Sicuramente c'è stata ed io sono il primo a dire che anche dopo il 1994 c'è stata confusione; infatti, sono arrivati dei fascicoli in cui erano elencati venti episodi descritti uno dopo l'altro su uno stesso foglio ingiallito e poco leggibile senza che ci fosse stato nessun tipo di scrematura a monte. C'erano fascicoli di ogni genere, non c'è stata nessuna attività di coordinamento, come sarebbe stato doveroso fare, e nessuna attività di interessamento e di pungolo. Di questo è chiaro che la magistratura militare, in qualche modo, si deve


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fare carico; però, ribadisco che non si può assolutamente scorgere - dal mio punto di vista ed in base ai dati in mio possesso - una linea di continuità tra gli occultamenti che ci sono stati fino agli anni sessanta e le eventuali irregolarità e anomalie successive. Sono due vicende assolutamente diverse che hanno visto come protagonista, purtroppo in negativo in entrambi i casi, la magistratura militare, ma senza che ci sia un filo di continuità. Stiamo parlando di due magistrature militari diverse come struttura, organizzazione e persone fisiche; quindi, ritengo che una prima fase debba essere considerata, in qualche modo, dolosa, mentre la seconda è dovuta soltanto a negligenza ed incapacità gestionale.

GIAMPAOLO ZANCAN. Vorrei fare una premessa di tipo cronologico per poi formulare una domanda globale. I crimini nazifascisti sono dei fatti noti che sono avvenuti in pubblico, che hanno coinvolto una pluralità di vittime e, quindi, sono nella memoria della collettività esattamente come gli omicidi di mafia.
Il 14 gennaio del 1960 avviene l'archiviazione provvisoria dei fascicoli, ma su questo non sprechiamo più aggettivi perché il giudizio credo sia chiarissimo. Un'altra fase su cui voglio richiamare la sua attenzione riguarda il biennio 1963-1965; infatti, in quegli anni i fascicoli privi di materiale probatorio sono restituiti alle procure territoriali, mentre tutti i fascicoli con la «polpa» probatoria restano archiviati. Dal 1965 al 1994 intercorre un periodo di quasi trent'anni, che sono molto lunghi tenuto conto che la magistratura militare ha assunto un nuovo assetto autonomo nel 1988...

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Dal 1981.

GIAMPAOLO ZANCAN. Addirittura dal 1981. In questi 29 anni è mai possibile che qualcuno non si sia domandato perché non si svolgevano i processi per i crimini nazifascisti? Per chiarire meglio il concetto le faccio un esempio: se un magistrato che svolge funzioni di procuratore della Repubblica a Palermo, dove spesso purtroppo si verificano omicidi di mafia, vede che sul suo tavolo non arrivano i fascicoli riguardanti tali crimini, deve per forza porsi il problema. Noi assistiamo ad un silenzio di 29 anni che - a mio giudizio - deve avere delle risposte soprattutto perché, come lei mi ricorda, la magistratura militare ha cambiato assetto, cioè è diventata autonoma ed indipendente dal 1981.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. I fatti chiaramente, quanto meno a livello di comunità locali, erano più che noti, però il problema è stato quello di farli arrivare all'attenzione dell'autorità giudiziaria. A Padova, ad esempio, quando io ho cominciato a lavorare in quella procura (nel 1990) era pendente la strage di Pedescala, riguardante un'indagine precedente al ritrovamento del cosiddetto «armadio della vergogna», che era nata in seguito ad un esposto di una comunità locale; infatti, il comitato parenti delle vittime aveva fatto un esposto chiedendo di far luce su questa vicenda. Su queste eccidio la procura si era attivata. Inoltre, so che a Napoli c'era un'indagine, anche questa nata per iniziativa locale, riguardante i fatti di Caiazzo; quindi, sporadicamente, sulla base di notizie che in qualche modo erano arrivate direttamente all'attenzione dell'autorità giudiziaria militare, qualche iniziativa c'era stata.

GIAMPAOLO ZANCAN. In questo caso «sporadicamente» significa 12 casi, perché questo è il dato. Non voglio esagerare con gli esempi, ma sarebbe come se una procura in 29 anni avesse 12 casi di rapina, mentre purtroppo, in 29 anni, di casi di rapina ce ne sono 12 mila.
Si tratta dell'assenza di una materia processuale che pure era di competenza del tribunale militare e che, certamente, era più importante e più seria della mancanza alla chiamata o dello stesso reato di diserzione. In altre parole, la routine non


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ha consentito di vedere che, invece, mancavano questi processi, che pure erano fatti notori. Questo fatto mi preoccupa molto.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Sicuramente, non c'è stata un'iniziativa autonoma di ricerca e di avvio sulla base delle conoscenze che si potevano avere in ambito locale. Adesso, col senno di poi, è anche più facile ragionare nel senso che, molto spesso, accade che il magistrato emiliano venga trasferito a Torino e lui, che magari ha notizia, per ragioni personali, degli eccidi avvenuti in Emilia-Romagna, quando comincia a lavorare non sa nulla di quanto è successo nel paese dell'alto Piemonte (non ne ha memoria o scienza propria, ma può apprenderlo da un libro o da un giornale locale).
In realtà, fino al 1994, neanche la stampa ha dato grande rilievo a questi fatti relativi a stragi, a parte i casi noti come Marzabotto. Di tante vicende avvenute sul territorio nazionale si era a conoscenza solo nell'ambito locale: la comunità locale ne era a conoscenza, ma il grande pubblico di cui, in qualche modo, facevano parte anche i magistrati, non ne sapeva nulla.

GIAMPAOLO ZANCAN. Per quanto riguarda il Piemonte, potrei citarle almeno dieci fatti di cui era a conoscenza l'opinione pubblica, da Boves in giù.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Su cui infatti non c'è stata alcuna attivazione! In pratica, si agisce sulla base di una notizia di reato ma - lei capisce bene - tale notizia la si può apprendere anche da un libro.

GIAMPAOLO ZANCAN. Quello che voglio dire è che se si trattasse di un buco di sei mesi, avrebbe ragione, ma un buco di 29 anni è, cronologicamente parlando, un bel buco.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Sono 13 anni: dal 1981 al 1994. Dall'acquisizione dell'autonomia al 1994 sono 13 anni.

GIAMPAOLO ZANCAN. È comunque un bel periodo! Veniamo ora al 1994. Si scoprono i fascicoli (lasciamo stare come, dove e le altre modalità). Su questi fascicoli c'è una certezza: dovevano essere attivati dalla magistratura, ma ciò non è avvenuto (perché erano contenuti in un certo luogo, in un certo posto, sappiamo la storia). La mancata attivazione di un fascicolo è, a dir poco, un'omissione di atto d'ufficio quando il tempo è così lungo che non può essere dovuto alla normale routine.
Lei, nel 2000, e precisamente il 22 maggio, con un documento che abbiamo, fa una certa denuncia al Consiglio della magistratura militare, addirittura, in base all'articolo 233. Sappiamo come la magistratura militare risponda, il 17 ottobre: si dice che i reati ipotizzati sono ampiamente prescritti e che, in ogni caso, i responsabili sono tutti deceduti. Tuttavia, dal 1994 al 2000, rispetto a questa omissione di atti d'ufficio, è mai possibile che non sia mai saltato in mente a qualcuno della magistratura militare che una omissione di iniziativa poteva significare un'omissione di atto d'ufficio e che, quindi, la notizia andava trasferita all'autorità ordinaria?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Per quanto mi riguarda, in particolare, il primo esposto l'ho fatto nel 1996, non nel 2000. Nel 1996 ho scritto il primo esposto al Consiglio della magistratura militare dicendo che c'erano state delle archiviazioni provvisorie e che si trattava di un fenomeno abnorme, sollecitando degli accertamenti. Quindi, non c'è stata un'omissione fino al 2000, perché dopo un anno che avevo ricevuto questi fascicoli mi sono attivato, senza contare il fatto che tale materiale è arrivato in fasi successive: prima uno, poi due, poi tre fascicoli, in forma scomposta, ed è stato necessario un po' di tempo per prendere cognizione del fenomeno. Non sono arrivati tutti insieme


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e non c'è stata un'informazione o un'osmosi tra i vari uffici. Ci si è resi conto un po' alla volta dell'entità della vicenda: è servito un po' di tempo!

GIAMPAOLO ZANCAN. Non mi permetterei mai di tirare in ballo la sua attivazione.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Dopo il 1994, secondo me, non ci sono state omissioni.

GIAMPAOLO ZANCAN. Però, mi segua per un minuto nel mio ragionamento. Lei era alla procura territoriale di Padova. Le arrivano, col tempo e progressivamente, determinati fascicoli e, giustamente, lei ha una visione settoriale della vicenda, ma coloro che invece trovano tutti i fascicoli nel 1994 non hanno una visione settoriale, bensì globale. Lei giustamente ha ricordato che in molti di questi fascicoli c'erano nome, cognome e indirizzo! Allora, era vistosa l'omissione di atto d'ufficio! Lasciamo stare, per ora, l'articolo 233 che è forse un eccesso.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Sono d'accordo.

GIAMPAOLO ZANCAN. Però, l'omissione di atto d'ufficio è certa, perché se la misuriamo addirittura nei decenni, tale omissione è manifesta. È mai possibile, allora, che nessuno abbia ritenuto che fosse il caso di attivarsi o di fare attivare la procura ordinaria, posto che l'omissione di atti d'ufficio era conclamata? Capisce cosa intendo? Quando, ad un certo punto, ci formiamo delle opinioni, ciò non accade su un ritardo di tre giorni, tre mesi o due anni. Dal 1994 alla sua prima denuncia del 1996 e poi alla seconda del 2000, lei si trovava in un osservatorio molto parziale, limitato e territoriale, ma chi ha visto tutto nel 1994 perché non ha ritenuto di mandare alla procura ordinaria tutto il materiale?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Evidentemente, chi ha visto tutto nel 1994 è partito dall'assunto che fosse un'omissione protrattasi per più di trent'anni, magari dovuta a dimenticanza, e che quindi non ci fosse alcun estremo di reato. Lei infatti sa bene che l'omissione d'atti d'ufficio è volontaria e non colposa. Però, io non sono nella testa di coloro che hanno trovato i fascicoli!

GIAMPAOLO ZANCAN. Mi permetta, nessuno è nella testa di nessuno, ma se ci sono 900 fascicoli utili per le indagini, che si trovano in uno scantinato non perché c'è un momento di trasferimento ma perché da trent'anni non si sta facendo nulla, lei capisce che l'omissione colposa - scusate il paragone, pur sempre rispettoso - ha la stessa probabilità dello stupro colposo, che come lei sa è una barzelletta: qui diventa una barzelletta l'omissione colposa!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Evidentemente non ci siamo capiti. Come ho già ripetuto più volte, all'inizio ci fu un'omissione dolosa: quella del 1960 è cartolarmente un'omissione dolosa. Se un magistrato procede con un provvedimento di archiviazione provvisoria, che non esiste giuridicamente, su 695 fascicoli, quella è evidentemente un'omissione d'atti d'ufficio volontaria. Non si può certo dire che è dovuta a negligenza!
Un procuratore generale che scrive 695 provvedimenti di archiviazione provvisoria, evidentemente sa, in quel momento, di omettere atti dovuti e doverosi del proprio ufficio. Quindi, in questo senso affermo che quella del 1960, certamente, dal punto di vista cartolare, fu un'omissione volontaria.
Su questo fatto, con ogni probabilità, si sono innestati una serie di ulteriori passaggi che possono avere portato - questo rientra nel vostro compito di accertamento, non nel mio - ad una perdita di memoria di quanto contenuto in quel famoso armadio fino a diventare, in questo


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senso, un'omissione colposa negli ultimi anni dal 1994.

GIAMPAOLO ZANCAN. Sa quando è stata investita la prima volta la magistratura ordinaria?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Da voi.

GIAMPAOLO ZANCAN. Allora, siamo nel 2004: sono passati dieci anni! Dal 1994!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Il fatto che sia stata investita non vuol dire che sia provata l'omissione!

GIAMPAOLO ZANCAN. Non è così!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. La presunzione di innocenza vale per tutti!

PRESIDENTE. Per lei sembrano valere regole che per noi invece non valgono! Questo non può accadere!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Sto dicendo solamente che non si può affermare: vi è stata sicuramente omissione perché noi l'abbiamo denunciato nel 2004!

PRESIDENTE. Mi scusi, ma lei quel parametro lo deve usare sempre!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Cerco di farlo...

PRESIDENTE. Mi sembra di no! Lo usa a seconda di come le conviene.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Assolutamente no, dico soltanto che la presunzione di innocenza vale per tutti.

PRESIDENTE. Non c'è dubbio, ma non siamo qui per ascoltare le sue lezioni, perché non ne abbiamo bisogno.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Ne sono convinto, ma neanche io devo sentire le vostre lezioni!

PRESIDENTE. Lei è qui in sede di audizione e deve rispondere alle domande; non deve dare lezioni!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Non do lezioni, ma non accetto neanche le prediche!

PRESIDENTE. Lei deve rispondere alle domande! Nessuno le sta dando lezioni!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Non do lezioni né le prendo!

PRESIDENTE. Intanto risponda alle domande!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Ho risposto!

PRESIDENTE. L'accademico lei qui non lo può fare!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Ho risposto! Sono qua per questo.

GIAMPAOLO ZANCAN. Vorrei farle questa osservazione. È un dato di fatto che dal 1994 al 2005 la magistratura militare su questa vicenda non ha mai adito la magistratura ordinaria. Lei ha assunto delle iniziative pregevoli con il Consiglio della magistratura militare, ma è rimasto tutto all'interno della magistratura militare. Io le domando: è mai possibile che non si discuta neanche se sia opportuno o meno investire la magistratura ordinaria? Magari - sbagliando o facendo la cosa giusta ha poca importanza -, al termine di


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questa discussione, si poteva anche decidere di non mandare nulla. In quel caso si sarebbe trattato semplicemente di un errore; invece, la mancata discussione e il fatto di non affrontare il problema mi preoccupa. Il dato di fatto, legato alla storia, è che la magistratura ordinaria viene investita dalla Commissione parlamentare sui crimini nazifascisti nel 2004. La magistratura militare non l'ha mai investita! Questo è il dato di fatto.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Alla luce delle emergenze, può darsi anche che ci fossero gli estremi per la denuncia di comportamenti omissivi pregressi, però, francamente, non saprei dirle le ragioni che hanno portato a questo disinteresse e il perché non sia stata fatta. Non credo - ma ripeto, siamo sempre nel campo delle ipotesi - ci sia stata una volontà di occultamento, perché il fenomeno era diventato così evidente ed eclatante, anche nell'opinione pubblica, che a quel punto non c'era più nulla da tutelare. Una volta che il fenomeno era emerso in tutta la sua enormità, non vi era più niente da tutelare.

CARLO CARLI. Eventuali responsabilità di magistrati!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Considerato che era stato svolto quell'accertamento richiesto al Consiglio della magistratura militare e che la vicenda era uscita sulla stampa con ampio risalto, non credo si possa dire che i magistrati militari abbiano cercato di occultare le proprie responsabilità. Il caso ormai era esploso e una maggiore o minore iniziativa di autodenuncia non avrebbe cambiato molto. Non mi sento di gettare la croce addosso a nessuno.

PRESIDENTE. Manca qualche passaggio.

GIAMPAOLO ZANCAN. Certamente, manca qualche passaggio nella mia storia un po' semplificata, ma ricorro alle semplificazioni perché mi sembra importante restare sulle vicende più importanti. Ripeto, la magistratura militare affronta tale questione nel 1994, ma nel 2005 non ha ancora detto nulla alla magistratura ordinaria. Prendo atto - considerato il suo parere molto autorevole e molto importante - di una discontinuità (ed io sono convinto che ci sia), ma mi domando che cosa significhi discontinuità, perché ci può essere anche una discontinuità molto vicina alla continuità (il concetto di discontinuità è generico). A me non sembra che la reazione della magistratura militare abbia rappresentato un segnale di discontinuità. Questa è la mia opinione, che è basata su dati di fatto: questi dieci anni senza una denunzia alla magistratura ordinaria!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Ripeto quello che ho detto. Sicuramente all'inizio non è stato ben visto il fatto che questa vicenda emergesse in tutta la sua eclatanza; tant'è che, dopo l'uscita delle prime notizie sulla stampa, nell'estate del 1996, ci fu una sorta di attivazione da parte della procura generale, che chiese agli organi di sorveglianza di relazionare su quello che avevano detto alcuni magistrati militari (in particolare il sottoscritto) su questa vicenda. Certo, il fatto di palesare una insofferenza per coloro che avevano fatto emergere all'esterno questo fenomeno sicuramente può essere visto come un segnale non positivo. Lo stesso fatto che era stato chiesto alle singole procure come mai ci fossero ancora dei fascicoli pendenti o non ritualmente conclusi nell'estate del 1996, fra le righe, potrebbe far pensare che l'intenzione fosse quella di chiudere al più presto; tale richiesta, considerato che i fascicoli erano arrivati nel novembre del 1994 (era l'estate del 1996 ed era un po' difficile chiuderli), poteva anche sembrare una forma di sollecitazione a concludere. Questi sono aspetti che possono destare qualche perplessità,


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però, secondo il mio parere, non vi erano gli estremi per una denuncia alla magistratura ordinaria.

PRESIDENTE. Non vi erano gli estremi per cosa?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Non vi erano gli estremi per un'omissione di atti d'ufficio e per una denuncia all'autorità giudiziaria ordinaria.

PRESIDENTE. Mi scusi, dottor Dini, lei viene qui e non solo dice tutto quello che vuole, ma giudica anche una decisione della Commissione. Questa per me è una cosa veramente grave.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Siamo in un regime democratico e ritengo di poter dire quello che penso, ancorché in questo consesso, oppure c'è un Sancta Sanctorum oltre il quale non ci si può spingere?

PRESIDENTE. Non c'è nessun Sancta Sanctorum, ma poiché questa decisione è stata presa all'unanimità...

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. È stata presa da voi, e io posso anche non essere d'accordo, se permette.

PRESIDENTE. Intanto nessuno le ha chiesto se lei sia d'accordo o meno. Lei deve rispondere alle domande!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. E nel rispondere alla domanda ho detto quello che penso!

PRESIDENTE. Dottor Dini, chiariamoci bene, perché altrimenti non andiamo avanti: lei risponda alle domande! Le opinioni se le tenga per sé, perché non ci interessano!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. È stata anche richiesta la mia opinione!

PRESIDENTE. Ritengo molto inopportuno che il presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari venga qui a criticare una decisione di una Commissione parlamentare d'inchiesta.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Sarà anche grave, ma sono convinto di quello che ho detto; l'ho anche scritto nella prima lettera che le ho inviato, non sto dicendo niente di nuovo. Secondo me non vi erano gli estremi. Voi avete fatto altri accertamenti: vedremo la magistratura ordinaria cosa deciderà.

GIAMPAOLO ZANCAN. Lei sa che, in presenza di una denunzia, è un dovere presentare delle prove, anche quando vi è il semplice sospetto della presenza di un reato? Così dice la giurisprudenza consolidata.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Siamo d'accordo, lo sappiamo.

GIAMPAOLO ZANCAN. Bene, allora ritengo che questi elementi di sospetto, dopo nove anni, noi li potessimo avere e che la nostra sia stata una decisione legittima.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Una decisione vostra sulla quale naturalmente si può essere d'accordo o meno.

GIAMPAOLO ZANCAN. Certo, ma non è questa la sede per esprimere opinioni.
Lei ha parlato di attivazione di sorveglianza. È un'espressione generica, che vorrei lei cercasse di esplicitare meglio.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Sostanzialmente, nell'estate del 1996, dopo che furono divulgate, con una certa eclatanza,


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le notizie su questi insabbiamenti e sull'esistenza di questo famoso armadio, il procuratore generale dell'epoca presso la Corte militare di appello chiese all'avvocato generale di Verona, che è quello competente su Padova, di accertare se effettivamente il sottoscritto avesse fatto queste dichiarazioni alla stampa dicendo che era emerso questo fenomeno.

GIAMPAOLO ZANCAN. Mi scusi io avevo capito un'altra cosa; quindi, lasciamo stare qualsiasi valutazione. Dopo trent'anni si scoprono 700 fascicoli utili all'indagine, per cui le domando: c'è stata una riunione in cui il procuratore generale della Repubblica militare ha convocato tutti i procuratori territoriali per invitarli ad attivarsi celermente dato che bisognava recuperare un ritardo di trent'anni nei confronti dei cittadini e delle parti offese? Questa riunione c'è stata o non c'è stata?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Come ho detto sin dall'inizio, non c'è stata nessuna riunione di coordinamento né di attivazione.

GIAMPAOLO ZANCAN. Ebbene, se questa riunione di coordinamento non si è tenuta è legittimo dire che non c'è stata una reazione di discontinuità rispetto all'inerzia durata trent'anni o, quanto meno, che la discontinuità sia stata molto debole e poco avvertita dalla comunità.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Io riporto il dato di fatto che posso ritenere, in qualche aspetto, anche discutibile.

PRESIDENTE. Sospendo la seduta per dieci minuti.

La seduta, sospesa alle 21.30, è ripresa alle 21.40.

PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta. Prego, senatore Zancan.

GIAMPAOLO ZANCAN. Lei ha espresso oggi una sua valutazione sull'assenza di estremi di reato e, quindi, in conseguenza di questa valutazione, ha espresso un parere in dissenso da quello formulato dalla Commissione. Lei ha assolutamente il diritto di avere un'opinione diversa, però le ricordo che, in data 12 maggio 2000, lei aveva un'opinione assolutamente diversa da quella che ci ha riferito oggi e che, peraltro, era in sincrono con la nostra denuncia del 2004. Ricordo le sue parole precise perché ci tengo che rimangano agli atti: «Dagli esiti degli accertamenti espletati dal Consiglio risultano probabili estremi di reato» - lei mi insegna che la presenza di probabili estremi di reato impone a tutti i pubblici ufficiali la denunzia alla procura competente - «anche di notevole gravità a carico di soggetti politici e magistrati ordinari, tuttora viventi e riguardo ai quali non risulta assunta alcuna iniziativa».
Allora, lei può esprimere le opinioni che crede, però ciò che ci ha detto oggi è in contrasto con quanto lei ha scritto nel 2000. Queste sono le sue parole.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Le posso spiegare. A me non sembra una rottura del mio percorso di valutazione.

GIAMPAOLO ZANCAN. A me non sembra una rottura bensì una frattura netta, ma ci tenevo soltanto a ricordare il suo pensiero. Nella risposta che poi il Consiglio della magistratura militare dà alla sua lodevole iniziativa si leggono le seguenti parole: «considerato che i responsabili della costituzione dell'archivio». Secondo lei, dai dati di fatto e a prescindere dall'armadio girato o meno, da dove stesse e via dicendo, le persone che arrivarono lì videro un archivio costituito o, invece, videro dei fascicoli «imboscati»?
Quando il Consiglio della magistratura militare scrive che è stato costituito un archivio non le sembra che compia un travisamento gravissimo dei fatti storici, che pone a base della motivazione, molto succinta per la verità - due righe -, di archiviazione della sua denuncia?


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Mi domando se qualcuno abbia reagito a tutto questo: nessuno può affermare che lì era costituito un archivio! Lei sa che la costituzione di archivio è una cosa legittima, nobile, ordinata: qui, invece, c'è tutto fuorché la nobiltà e l'ordine! Siccome lei ha ricevuto questo foglio - è sulla sua richiesta - e poiché è del plenum del Consiglio della magistratura militare, ritengo che abbia avuto una certa diffusione. Mi domando allora come sia accaduta questa vergogna di qualificare una costituzione d'archivio il fatto storico dei fascicoli citati nascosti in un luogo di non frequente traffico: come è potuto passare per una bonaria costituzione d'archivio?
Basterebbe questo dato per dire che non c'è discontinuità, visto poi che qui non siamo di fronte all'ultimo magistrato militare, bensì al Consiglio della magistratura militare, nel suo plenum, del 17 ottobre 2000. Se volesse darmi dei chiarimenti su tutto questo, le sarei grato.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Sicuramente le azioni non ci sono state e, oggettivamente, non c'è stato alcun riscontro a quella missiva: non mi risulta. Le ragioni per cui si sia deciso in quel senso - che, peraltro, potrebbero avere lasciato inappagato anche il sottoscritto - non le conosco.

GIAMPAOLO ZANCAN. Mi permetta: l'inappagamento si ha di fronte ad una decisione che non risponde a ciò che pensiamo debba essere la decisione. Qui, invece, si tratta di una decisione che si basa su un dato di fatto falso! Se si fosse costituito un archivio si potrebbe sempre affermare che ci siano stati dei ritardi nel suo utilizzo, ma qui non c'è nulla che possa far parlare di un archivio!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. In effetti, si tratta di una dizione impropria.

GIAMPAOLO ZANCAN. Assolutamente no: qui c'è un falso! Visto che lei parla di una dizione impropria, la mia opinione rispetto alla sua è diametralmente opposta. Purtroppo, però, la mia opinione è basata sui fatti mentre la sua no!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Anche la mia!

GIAMPAOLO ZANCAN. Assolutamente no, perché lei non può affermare che è stato costituito un archivio in quel caso; nessuno può dirlo!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Ho solo detto che la parola «archivio» è stata utilizzata in maniera impropria.

GIAMPAOLO ZANCAN. Ma questi sono dei signori magistrati che stanno dicendo che in uno scantinato i fascicoli trovati hanno costituito un archivio! Allora bisognerebbe domandarsi chi fosse l'archivista vivente! Il dottor Conte, che nessuno ha mai qualificato come archivista?
Come si fa a giustificare una cosa di questo tipo?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Non sono qui per dare giustificazioni a nessuno.

GIAMPAOLO ZANCAN. Siccome lei ha parlato di discontinuità, io le contesto questo dato che mi sembra straordinariamente significativo.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Leggo la discontinuità, come ormai ho ripetuto fino alla noia, nei due aspetti che, entrambi, possono avere prodotto lo stesso risultato finale in termini di carenza di risposta giudiziaria (omissione prima e carenza dopo). Tuttavia, è l'animus che secondo me è diverso fra la prima e la seconda fase. Non sto dicendo che tutto è stato gestito bene dopo il 1994. Sono il primo a riconoscere che dopo il 1994 la vicenda non è stata gestita bene.


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GIAMPAOLO ZANCAN. Mi scusi, ma dei giudici corretti avrebbero dovuto scrivere che erano tutti morti - anche se non era vero - i responsabili del nascondimento dei fascicoli: questo era l'unico dato!
Un giudice non può travisare i dati, altrimenti è in malafede. Capisce?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Come in tutti gli organi collegiali, ci saranno state delle difficoltà anche per la prima delibera del consiglio, che tutto sommato era anche più dura, sul tema degli occultamenti. Come in tutti gli organi collegiali, ci saranno state delle difficoltà per arrivare ad un testo concordato.

GIAMPAOLO ZANCAN. Lei faceva parte di questo organo collegiale?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. No, non ho mai fatto parte del Consiglio della magistratura militare.

GIAMPAOLO ZANCAN. Allora come fa a dire che ci sono state delle discordanze? Magari erano tutti d'accordo! Nessuno è entrato in questa camera di consiglio...

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Lo so perché comunque facevo parte di questo organismo dei colleghi...

GIAMPAOLO ZANCAN. Allora, se lei ci vuole dare delle notizie che sono trapelate da quella che forse non è stata una camera di consiglio, ce lo dica. Sentiamo queste voci discordanti!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Stavo parlando più che altro di quella precedente - in risposta all'esposto del 1996 - , che era già più dura e parlava in termini abbastanza concreti di insabbiamento. So che ci furono grosse difficoltà a far passare quella delibera in quei termini.

GIAMPAOLO ZANCAN. Lasci stare quella del 1996...

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Sull'altra non so nulla.

GIAMPAOLO ZANCAN. Questa del 2000 in due righe dice tre cose: in primo luogo, che si è costituito un archivio; in secondo luogo, che sono tutti deceduti; infine, che non sussistono gli estremi per l'attivazione della denunzia. Se lei è a conoscenza di qualche voce discordante...

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. No, francamente di questa non so nulla.

MAURIZIO EUFEMI. Partirei subito da questa frase finale. Lei poco fa ha detto che non sapeva nulla; prima invece mi sembrava parlasse come se avesse avuto qualche confessione da qualcuno o qualche dichiarazione più precisa. Vorrei che lei si esprimesse meglio su questo punto, in maniera chiara e netta.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Come ho detto, sulla prima delibera del CMM, quella in risposta al mio esposto del 1996, so che ci fu una certa frattura all'interno del consiglio per arrivare a formularla. Di questa seconda del 2000 invece non so nulla; non so come ci si sia arrivati, con quali schieramenti eventuali e se all'unanimità o meno, però immagino che agli atti del consiglio risulteranno i verbali delle votazioni. Quindi, basta prendere i verbali del consiglio per vedere chi ha votato a favore e chi contro o se c'è stata unanimità. Lo si può verificare leggendo gli atti del consiglio, non c'è bisogno che lo dica io o chicchessia.

MAURIZIO EUFEMI. Se lei ne ha conoscenza, potrebbe aiutarci, visto che ha cercato di aiutarci in relazione a tante vicende.


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SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Non ne sono a conoscenza.

MAURIZIO EUFEMI. Ho trovato particolarmente gravi, presidente, due affermazioni pronunciate dal dottor Dini, relative a due questioni. In primo luogo, quando, con grande sicurezza, egli ha detto che fino al 1960 vi fu un comportamento doloso e successivamente colposo. Mi sembra di aver capito così.
La seconda questione riguarda il dottor Santacroce. Quali elementi lo hanno portato a dire che non ha deciso da solo quelle archiviazioni? Lei quando è entrato in magistratura?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Nel 1988.

MAURIZIO EUFEMI. Qui stiamo parlando di un periodo storico di quarant'anni prima. Quali elementi lo portano ad assumere questo convincimento?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. So qual era il sistema normativo dell'epoca, so qual era l'organizzazione giudiziaria dell'epoca, so qual era la struttura della magistratura militare dell'epoca!

MAURIZIO EUFEMI. Non è sufficiente per poter fare delle affermazioni così gravi.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Non sarà sufficiente, ma penso sia un punto di partenza da cui non si può prescindere. Non si può far finta che la magistratura militare dell'epoca fosse tale e quale a quella odierna: non aveva, normativamente, quei caratteri di indipendenza e di autonomia che ha oggi. Se non si tiene presente questo dato di fatto - un dato normativo e di fatto della realtà storica -, non si può capire esattamente quale possa essere stato lo sviluppo dell'epoca. Per carità, poi uno può anche sostenere che il procuratore Santacroce si sia svegliato la mattina del 14 gennaio del 1960 ed abbia fatto quello che ha fatto, improvvisando queste archiviazioni senza dire niente a nessuno, agendo in totale autonomia, senza pensare a cosa sarebbe successo se il ministro della difesa, suo referente, non fosse stato d'accordo o se non avesse informato nessuno.
Se non si tiene conto di questo, se non si tiene conto del carteggio, che risulta anche acquisito dal Consiglio della magistratura militare, tra il ministro degli esteri e il ministro della difesa dell'epoca relativamente all'opportunità della gestione giudiziaria di certi episodi, non si possono, secondo me, fare altri accertamenti. Bisognerà partire da quel dato di fatto, da quel dato storico. Poi magari posso anche essere d'accordo sul fatto che non sia sufficiente...

MAURIZIO EUFEMI. Noi lo abbiamo sufficientemente sviluppato, tant'è che abbiamo ascoltato anche Rosin. Ma come può sostenere - anche alla luce della recente sentenza della Cassazione, che ha smontato completamente tutto l'impianto accusatorio e il quadro storico delineato - , nella lettera inviataci il 9 febbraio 2005 (documento 64, n. 1), la responsabilità del potere politico nell'occultamento di crimini di guerra, sulla base della sentenza-ordinanza di piazza Fontana del 1998 (documento 69, n. 1)? Voglio far presente, perché rimanga a verbale, che lei in questo documento scrive anche: «a parere di chi scrive vi è un nesso, un filo comune che unisce certe «scelte giudiziarie» a successive vicende proprie della cosiddetta strategia della tensione, nesso che potrebbe essere interessante discoprire ulteriormente». Ma queste sono affermazioni di una gravità inaudita!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Infatti, le ho scritte alla Commissione stragi, che all'epoca si occupava di compiere gli accertamenti ...

MAURIZIO EUFEMI. Sì, ma la Commissione non deve fare un accertamento,


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deve scoprire le finalità; deve trovare il cosiddetto armadio della vergogna, non deve fare analisi.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Sto parlando della Commissione stragi dell'epoca, non di questa sugli eccidi nazisti. Io l'ho scritto alla Commissione stragi dell'epoca, con altro tipo di intendimento e con altro tipo di finalità, suggerendo di fare qualche accertamento sul punto. Era soltanto uno spunto basato su alcuni dati di fatto, non su mie elucubrazioni. Ho letto la sentenza-ordinanza del dottor Salvini, che tra l'altro è vostro consulente, in cui egli citava (e l'ho appreso leggendo la sua sentenza-ordinanza)...

MAURIZIO EUFEMI. Evitiamo queste commistioni, dottore. Io ho cercato sempre di evitare di fare nomi e cognomi.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Ma tanto è scritto nella lettera.

MAURIZIO EUFEMI. È bene che rimangano fuori da questo contesto, perché è improprio. L'ho detto anche agli altri colleghi ed ho sempre cercato di evitare di personalizzare. Uno degli errori che si fa è quello di personalizzare.
Lei, nella suddetta lettera, definisce «accurata» l'inchiesta del 1996-1999 condotta dal Consiglio della magistratura militare. Sa che l'autore della relazione finale di quella indagine, il procuratore di Verona, Giuseppe Rosin, ha definito, il 25 febbraio 2004, di fronte a questa Commissione, l'archiviazione provvisoria del 14 gennaio 1960 un atto amministrativo dalla rilevanza prevalentemente interna, escludendo così, sulla base di fatti evidenti e non di azzardate e pindariche illazioni, ogni connessione con il potere politico?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Io ritengo che quello sia stato un atto giudiziario abnorme.

MAURIZIO EUFEMI. È una sua personale opinione.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Come quella del dottor Rosin! Visto che lei mi cita quella del dottor Rosin, io le dico la mia...

MAURIZIO EUFEMI. Ma Rosin era il procuratore di Verona e ha posto la questione in tale veste!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Ma era sempre una sua valutazione, o no? La sua valutazione deve forse valere più di quella di un altro magistrato, solo perché è procuratore di Verona?

MAURIZIO EUFEMI. Lei sa che il ministro della difesa di allora, senatore a vita Giulio Andreotti, ha negato di essere a conoscenza di quell'atto di fronte a questa Commissione?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. L'ho letto sui giornali.

MAURIZIO EUFEMI. A proposito dei nomi che lei prima ha citato, tra cui quello di Fritz Polak (nella lettera sui presunti criminali di guerra si fa riferimento al colonnello Menschik e ad Heinz Schaffer), che cosa c'entra il potere politico italiano con l'eventuale liberazione da parte degli alleati, visto che erano autonomi nelle loro azioni giudiziarie?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Non ho detto che su quel caso di liberazione vi sia stata una simile volontà o che sia stato il potere politico italiano a deliberare in questo senso. Dico che anche quella storia va inquadrata in quel complesso di vicende di liberazione, di successive archiviazioni e insabbiamenti che possono costituire un quadro unitario. Ci sono più aspetti, ma sappiamo bene che anche dalla relazione del Consiglio della magistratura


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militare risulta che ci fossero ragioni di politica internazionale che avevano portato a decidere in qualche modo per una linea giudiziaria più che morbida; quindi, le liberazioni di Menschik, di Donneburg o di altri provengono comunque da un certo settore. Questi personaggi erano stati catturati dagli alleati che hanno deciso di lasciarli liberi quando erano indagabili. Questo è il dato di fatto.

WALTER VITALI. Giunti a questo punto dei nostri lavori non voglio certo ripetere cose che già i miei colleghi hanno sostenuto e, quindi, mi richiamerò ai fatti. Mi sembra che il dottor Dini in tutta questa vicenda, che ormai dura da molti anni, abbia avuto un ruolo importante. A tal proposito vi sono tre atti che lui compie e che, in qualche modo, interessano molto i nostri lavori.
Il primo, del 1996, riguarda la denuncia che il dottor Dini presentò al Consiglio della magistratura militare e nella quale evidenziava l'invio frammentario di questi fascicoli, definiva come estraneo all'ordinamento il provvedimento di archiviazione provvisoria del procuratore generale Santacroce e si mostrava molto preoccupato perché a cinquant'anni di distanza era difficile individuare i responsabili di quelle stragi. In questo atto, che poi venne richiamato anche nella relazione conclusiva del Consiglio della magistratura militare, il dottor Dini diceva che bisognava concentrarsi molto sulle cause che avevano determinato quell'insabbiamento.
Nel 2000, successivamente alla relazione conclusiva del Consiglio della magistratura militare, c'è stata un'ulteriore iniziativa nella quale il dottor Dini evidenzia due cose: in primo luogo, che era opportuno investire la magistratura ordinaria del problema riguardante l'occultamento dei fascicoli e, a tal proposito, lui individua un'ipotesi di reato abbastanza forte come l'attentato alla Costituzione circa il fatto che l'occultamento aveva impedito l'esercizio dell'obbligatorietà dell'azione penale; in secondo luogo apre un campo di indagine - a mio modo di vedere - di grandissimo interesse riguardante la presenza di alcuni ex criminali di guerra nazisti e fascisti inseriti nell'ambito dei Servizi e che poi hanno operato per conto degli alleati dopo la guerra e, quindi, la relazione tra questi due fatti che si appoggia su alcuni elementi che sono stati dallo stesso richiamati.
Infine, c'è la lettera del febbraio 2005 in cui il dottor Dini espone un suo pensiero molto netto e chiaro affermando che non c'è continuità tra i due momenti, entrambi fondamentali per l'attività della nostra Commissione: il primo, che lui data fino al 1960, in cui considera l'occultamento sicuramente doloso e, comunque, svolto su indicazioni di carattere politico; il secondo, dal 1994 in poi, in cui, invece, sono prevalse irregolarità e anomalie che sicuramente non hanno più carattere doloso, cioè non hanno più il significato di rispondere ad impulsi politici, ma riguardano una situazione di negligenza che si è determinata all'interno di determinati uffici.
Io cercherò di seguire un ordine anche cronologico perché sono molto interessato a questa sua affermazione, che poco fa il collega Eufemi contestava, riguardante l'esistenza di una indicazione politica sull'occultamento fino agli anni sessanta.
Dopo questa breve esposizione cronologica vengo alla mia prima domanda. La magistratura, avendo acquisito elementi circa il fatto che determinate persone, indicate nei fascicoli come responsabili degli eccidi nazifascisti, erano contemporaneamente reclutate, in nome del nemico comunista, dai Servizi segreti occidentali, come mai non ha indagato?
Io credo che la magistratura militare (investendo, se necessario, la magistratura ordinaria) avrebbe dovuto svolgere quel lavoro di verifica circa i nomi; infatti, non c'è alcun dubbio che un'ipotesi di questo genere, che qui viene documentata solo per alcuni casi, potrebbe acquisire una certa consistenza se si dimostrasse che i casi sono ancora più numerosi di quelli conosciuti. Per poterlo fare, però, è necessario evidentemente compiere un'indagine che al momento attuale io ritengo perfettamente possibile e che non rientra


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nell'ambito dei compiti della nostra Commissione; infatti, noi faremo tutto il possibile per scoprire le cause dell'occultamento perché questo è il compito assegnato dal Parlamento a questa Commissione. A questo punto mi chiedo perché un campo di indagine che sembra così promettente e importante non sia stato preso in considerazione in modo coerente da parte delle autorità giudiziarie che dovrebbero avere la competenza per farlo.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Francamente io non credo che su questi aspetti ci possano essere grandi spazi per un'inchiesta giudiziaria. In Italia la magistratura ordinaria si muove alla ricerca di elementi di prova circa eventuali reati per portare a giudizio e sancire delle responsabilità di carattere personale in ordine a determinati fatti di reato. Andare a vedere se e quanti soggetti che avevano possibili responsabilità di carattere penale relative ai crimini di guerra fossero poi inseriti in una o più strutture di sicurezza militare dell'Alleanza atlantica o di altri paesi, dal punto di vista penale, è un'indagine anomala. A che cosa deve portare?

WALTER VITALI. Ma se si scopre che sono indicati come presunti responsabili di eccidi?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Si fa un'indagine per accertare la loro responsabilità su quei fatti storici. Per fare un esempio: se io trovo Fritz Wunderle, che è indicato come responsabile di 32 omicidi nel 1944, faccio gli accertamenti per processarlo in merito ai 32 omicidi, ma non mi adopero per accertare se questo soggetto poi è entrato in una struttura di sicurezza militare di un qualsiasi paese perché, dal punto di vista della responsabilità penale, la cosa non interessa; quindi, o esiste un'ipotesi di reato diversa e ulteriore su cui lavorare o non posso farla.

WALTER VITALI. La sua risposta è perfetta, ma segua per un attimo il mio ragionamento sul tema dell'occultamento. L'occultamento costituisce un'azione che, come lei stesso ha sostenuto, nel corso del tempo ha avuto un carattere doloso che è stato, in qualche modo, indirizzato anche dall'autorità politica. Ebbene, questo non è sufficiente per attivare un'indagine per accertare le cause che lo hanno determinato verificando, in quella sede, l'esistenza di questo tema che riguarda il reclutamento nei Servizi di criminali fascisti o nazisti?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Io penso che potrebbe essere preso in esame l'attentato alla Costituzione riferito ad un occultamento così massiccio che ha fatto in modo che si eludesse il principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale.
Quindi, quello era un reato che, in teoria, poteva permettere l'attivazione di quel tipo di accertamento per arrivare a dimostrare non solo il fatto storico, ma anche il contesto in cui era maturato e le motivazioni del fatto. Tuttavia, sul perché non sia stato fatto e sulle motivazioni non so cosa dire.

WALTER VITALI. Le sue risposte mi bastano, nel senso che nel 2000, quando lei lo segnalò, riteneva necessario ed utile che la magistratura ordinaria, tramite quell'ipotesi di reato, affrontasse il tema delle cause dell'occultamento. Quindi, almeno in quel momento, lei riteneva necessario coinvolgere la magistratura ordinaria sul tema dell'occultamento. Questo per me è sufficiente. È chiaro che non posso chiederle le ragioni per cui ciò non è accaduto.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. La segnalazione al Consiglio era in questo senso.

WALTER VITALI. Mi permetta di rivolgerle ora una seconda domanda. Nel corso della sua attività d'indagine da magistrato, ha mai considerato anche un'altra


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possibilità (che nell'ambito di questa Commissione è emersa, anche nel corso di alcune audizioni, come quella del senatore Giulio Andreotti), cioè che fra le ragioni del mancato svolgimento dei processi e della mancata richiesta di estradizione dei criminali di guerra nazisti ci fosse anche il problema dei criminali di guerra italiani nella Jugoslavia e nelle altre aree occupate dall'Italia fascista? Questo tema, visto che lei ha formulato un'ipotesi precisa a proposito del reclutamento da parte dei Servizi di informazione, lo ha mai riscontrato?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. No, non ho mai riscontrato dati di fatto o carteggi da cui risultasse un atteggiamento di connivenza tale per cui si potesse pensare di evitare di indagare su determinati fatti nella speranza di coprire nostre eventuali responsabilità altrove, cioè affinché altri non aprissero indagini su di noi in altri campi.
Francamente, da un punto di vista processuale o delle indagini, non mi sono mai imbattuto in alcun atto del genere. Può essere una linea di lettura anche questa, però è più un lavoro da storico o da Commissione di indagine che da magistrato.

WALTER VITALI. Ora le vorrei rivolgere un'altra domanda riguardante il periodo intorno agli anni sessanta, su cui è già intervenuto anche il collega Zancan. Nel 1963-1965, il procuratore Santacroce invia alle procure militari territoriali competenti qualcosa come 1300 fascicoli, che risulteranno poi ulteriori rispetto a quelli individuati nell'archivio di palazzo Cesi nel 1994. Il procuratore li invia con una disposizione che suona quasi come un invito all'archiviazione perché si dice che sono trasmessi fascicoli intitolati a persone assolutamente sconosciute.
Almeno in un caso, che ho avuto modo di verificare personalmente, ho scoperto che vi era una testimonianza a proposito di un eccidio accaduto a Bologna secondo cui si indicava una responsabilità presunta di Walter Reder, che veniva indicato come l'ufficiale delle SS senza un braccio. Ricordo che era la fine di ottobre del 1944 e Reder era comunque da quelle parti (Marzabotto e Monte Sole sono accadute fra settembre e l'inizio di ottobre).
Il pubblico ministero di La Spezia chiese, allora, al giudice istruttore l'archiviazione e questi procedette, nel 1965, archiviando la questione con la motivazione che non c'erano elementi sufficienti per individuare i responsabili: non c'è il nome e cognome, ma è come se ci fosse.
Mi domando: la sua tesi, molto netta, in base alla quale c'è un comportamento doloso, c'è un input politico, come si concilia con il fatto che il comportamento doloso e l'occultamento coinvolgano molte strutture, non solo quella centrale, che possiamo supporre, anche per l'ordinamento di allora, essere in strettissima relazione con il Ministero della difesa, ma anche quelle territoriali? Come è possibile spiegare, sulla base della tesi che lei oggi ci ha molto nettamente esposto, un comportamento di questo genere?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Potrei citare un caso diverso ricordando che, nel 1963, a Padova, fu condannato all'ergastolo un maresciallo tedesco per alcuni omicidi avvenuti nella zona del Bellunese. In questo caso, non riesco a vedere la possibilità di una continuità diffusa, cioè che tutta la struttura della magistratura militare fosse in qualche modo ossequiosa o connivente a quegli impulsi, a quella omissione iniziale del 1960 del dottor Santacroce. Ci sono esempi diversi: c'è quello, del quale non ero a conoscenza, di La Spezia, ma c'è nello stesso periodo anche un esempio di carattere difforme, con una condanna all'ergastolo, per fatti avvenuti in Veneto.
Dopodiché, in realtà, i magistrati rispondono in primis anche alla loro coscienza oltre che a eventuali desiderata superiori per cui non saprei dirle se ci fosse o meno una diffusione, promanante dall'alto, di un tale atteggiamento morbido o se, invece, il giudizio derivi da singole


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vicende processuali vissute da singoli magistrati in particolari casi giudiziari.

WALTER VITALI. Le faccio presente che, almeno nel caso che le ho citato, di coscienza proprio non c'è traccia, perché sarebbe stato sufficiente aprire il fascicolo, leggere quella testimonianza e chiedere. Reder, in quel momento, era a Gaeta e, tra l'altro, sappiamo che quell'episodio era stato esaminato anche nell'ambito del processo svoltosi nel 1951 a Bologna; quindi, le tracce per verificare in qualche modo l'esistenza o meno di una responsabilità di Reder, non solo su Marzabotto ma anche su Casteldebole, c'erano tutte.
Inoltre, sempre a proposito di Bologna - la realtà che ho cercato di approfondire di più - ho verificato che alcuni dei procedimenti avviati dopo l'invio dei fascicoli nel 1994 sono stati, essi stessi, chiusi - in questo caso, mi riferisco sempre a La Spezia - senza fare alcun accertamento.
Siamo di fronte ad alcuni fascicoli di cui non si è neanche chiesta la desecretazione e nei quali vi sono fior di nomi e cognomi di persone che, probabilmente, sono ancora in vita. Ora, certamente non sarò in grado io di affermarlo, ma sono assai certo che nel 1994 non è stato fatto nulla. Allora, le domando se ciò si debba sempre a quella negligenza, fretta, approssimazione, mancanza di coordinamento di cui lei ci parlava prima oppure si tratta di un atteggiamento che ha ancora qualcosa a che vedere con quell'impulso politico di cui si è detto e che risale a qualche decennio prima?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Per quanto riguarda il 1994, alla procura di La Spezia c'erano gravi problemi organizzativi che si riverberavano su tutta l'attività giudiziaria.

WALTER VITALI. Comunque, riconosco anche che, proprio sulla base di quei fascicoli, la procura di La Spezia ha avviato il processo per Sant'Anna di Stazzema, ha riaperto l'indagine per Marzabotto. Io mi riferisco solo ad alcuni episodi.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. La procura militare di La Spezia era in una situazione di grave sofferenza globale, su tutta l'attività giudiziaria, tant'è che il procuratore dell'epoca fu poi trasferito per incompatibilità ambientale ed ebbe anche delle vicissitudini disciplinari per incapacità di gestione dell'ufficio, che riguardavano non solo questi aspetti ma tutta l'attività giudiziaria. Era un periodo nel quale, tra l'altro, c'erano pochi magistrati - forse ce n'era addirittura uno solo presso la procura militare di La Spezia -, insomma, si trattava di un periodo di grave sofferenza.
A questo proposito ritorno a quanto detto fin dall'inizio, cioè al problema della sottovalutazione del fenomeno a livello degli organi centrali (non certo del procuratore militare di La Spezia). Infatti, quando ci si trova davanti fascicoli che saltano fuori da tutte le parti, riguardanti fatti commessi a cavallo della linea gotica, tra l'Emilia, la Toscana e in tutta la zona di competenza di La Spezia, è chiaro che, a quel punto, sono gli organismi centrali che dovrebbero farsi carico della sofferenza di quell'ufficio, che già è in difficoltà e si vede alluvionato da una serie di procedimenti di particolare delicatezza. Invece, in quel caso non fu fatto nulla e non ci fu alcuna attività di appoggio per quell'ufficio, nessuna richiesta di personale di polizia o di magistratura eventualmente da inviare o utilizzare. Per questo motivo, dal 1994, in certi uffici, in particolare quello di La Spezia, ci sono state ulteriori smagliature che sono state trascurate dal livello centrale.

WALTER VITALI. Sono costretto a rivolgerle una domanda a bruciapelo. Pure a fronte di una inadeguatezza strutturale del suo ufficio, lei se la sarebbe sentita di chiudere un fascicolo senza neanche verificare che cosa ci fosse dentro e se ci fossero ancora notizie in grado di individuare


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i responsabili di un determinato fatto criminoso? Non lo avrebbe fatto?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Non lo so.

WALTER VITALI. Ho gli elementi per dire che purtroppo è stato fatto.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Ci credo, però quell'ufficio è stato lasciato solo fino a pochi anni fa.

WALTER VITALI. Per carità, questo l'ho detto prima.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. È stata una nuova gestione che si è presa la briga di cercare personale...

WALTER VITALI. Non voglio sminuire minimamente anche i meriti che ha avuto - l'ho detto prima - a proposito di alcuni grandi processi, però, purtroppo, in alcuni casi questo è successo.
Le faccio le ultime due domande. Sempre a proposito di questa sua scansione temporale così netta, che fa riferimento evidentemente anche ai nuovi ordinamenti relativi alla magistratura militare a partire dal 1981 - forse ripeto cose già dette, ma mi fa piacere sentire la sua risposta -, non le sembra un po' eccessivo un intervallo temporale di 13 anni per avviare una fase nuova? Come si può spiegare l'esistenza di due fasi così nettamente distinte, come lei ce le ha descritte, visto che i nuovi ordinamenti sono del 1981 e il rinvenimento dell'archivio avviene nel 1994?
Le chiedo anche un'altra cosa. Non crede che questo archivio - da quello che progressivamente sta emergendo anche dai lavori della nostra Commissione - anziché essere scoperto dalla sera alla mattina fosse in realtà qualcosa di cui molti conoscevano l'esistenza e che solo ad un certo momento emerge, forse per l'impossibilità di continuarne la gestione secondo i vecchi metodi?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Però queste sono proprio valutazioni di carattere personale, che non so se posso fare. Anche a me sembra strano che nessuno sapesse nulla, però...

WALTER VITALI. Le spiego la ragione della mia domanda. Lei ci ha esposto una tesi molto chiara e netta. Sono pressoché certo che la prima parte della sua tesi sia fondata (non c'è dubbio che in quegli anni vi sia stato un indirizzo politico), mentre ho qualche dubbio sulla seconda parte, perché ritengo che anche successivamente agli anni sessanta si sia operato nel senso di continuare, quasi per forza di inerzia, ad insabbiare ed occultare (è compito nostro fare chiarezza su tale questione).

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Questi uffici giudiziari militari non sono la procura di Palermo, dove non si può pretendere che tutti i magistrati e i cancellieri abbiano memoria di quello che è successo anni prima, ma sono realtà - ormai le conoscete anche voi - abbastanza ridotte, in cui il personale, anche numericamente, è abbastanza esiguo, ed entrano quasi tutti a contatto con tutto. Per cui a me può sembrare strano che nessuno, dal 1960 al 1994, si ricordasse più che c'era questo materiale.

WALTER VITALI. Pur in una magistratura militare che aveva modificato i proprio ordinamenti...

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Certo, sono cambiati gli ordinamenti, ma non so neanche se nel 1994 vi fosse ancora del personale già in servizio nei primi anni sessanta. Può anche essere (magari uno che aveva fatto l'uditore giudiziario nel 1960 - ancora in servizio nel 1994 negli stessi uffici - può avere avuto notizia di questa vicenda), ma io non ne sono a conoscenza. Posso dire che si tratta di realtà talmente contenute e limitate, sia come carichi di lavoro, sia come numero


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del personale, da far sembrare strano che si fosse persa traccia totalmente di questo materiale. Questo è un aspetto che fa nascere qualche perplessità anche in me, però accertamenti sul punto chiaramente non ne ho fatti, spetta a voi farli; la mia è una valutazione basata sui dati riguardanti questi uffici. Ripeto, non si tratta della procura della Repubblica di Palermo o di Napoli, con tutto quello che ne consegue in termini quantitativi, di riciclo di personale e di carichi di lavoro. Conoscete la procura militare di Roma o la procura generale di Roma...

PRESIDENTE. Dal 1981 al 1994, secondo lei, perché non vengono ritrovati?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Serve la risposta finale alla Commissione per poter chiudere i lavori?

PRESIDENTE. Lei una risposta finale me l'ha già data per gli anni precedenti, e non ha avuto alcun dubbio. Ora, di fronte alla domanda del collega Vitali...

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Uno può avere dei dubbi su alcune cose ed essere più sicuro su altre. Relativamente al periodo 1981-1994 posso avere qualche dubbio sul fatto che nessuno sapesse nulla, però è vero che dal punto di vista documentale - se non sbaglio - non c'è niente che, dal 1965 in avanti, comprovi una consapevolezza perdurante dell'esistenza di questi fascicoli; tanto meno, dal 1981 al 1994, non mi risulta che ci sia un elemento documentale che ci porti a dire altrettanto.

CARLO CARLI. Dottore, non erano sulla luna quei fascicoli!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Infatti, sto dicendo che, anche dal punto di vista strutturale, locale e del personale, si tratta di realtà limitate e per questo mi può sembrare strano che se ne fossero perse totalmente le tracce, però è anche vero che - come giustamente mi avete ricordato prima - bisogna basarsi sui dati di fatto e a me non risulta l'esistenza di qualche documento che comprovi che qualcuno abbia avuto visione di queste cose e «se ne sia fregato» di nuovo.

CARLO CARLI. C'era un via vai in quell'ufficio!

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Francamente questo non lo so.

WALTER VITALI. Vengo ad un'ultima domanda. Prima il presidente ha reagito - e io devo dire che sono d'accordo con lui - quando lei ha sostenuto che la nostra Commissione non aveva elementi sufficienti o comunque che non avrebbe dovuto - è un'opinione legittima, per carità, che però non condivido - segnalare alla magistratura ordinaria il comportamento di chi ha trattato un certo numero di fascicoli dal 1994 fino ad oggi.
Ora, però, vorrei richiamare la sua attenzione su un fatto specifico, che personalmente mi fa pensare che vi sia qualcosa di molto inquietante in quello che è successo in questo periodo, rimandandoci proprio ai vecchi metodi di insabbiamento (è nostro dovere capirne la ragione). Poiché lei ha espresso pubblicamente un giudizio di questo genere, che rientrava anche nelle sue competenze di presidente dell'Associazione dei magistrati militari, le faccio una domanda specifica e, se possibile, vorrei una risposta precisa. Noi ci siamo trovati di fronte a 202 più 70 nuovi fascicoli, di cui nessuno sapeva l'esistenza; 70 intitolati a tedeschi (in gran parte svuotati), 202 invece accomunati dalla caratteristica - converrà con me - piuttosto curiosa di essere tutti intitolati a fascisti italiani, brigatisti neri, appartenenti alle SS italiane, ex militi della RSI. Questi fascicoli non sono stati inviati nel 1994, come gli altri, alle procure militari territorialmente competenti, ma sono stati trattenuti. E non è finita qui. Infatti, la questione se dovessero essere mandati o


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meno, in fondo, è opinabile; secondo noi dovevano essere mandati, però si può anche discutere; ma c'è un fatto ulteriore: viene disposta un'indagine storico giudiziaria - lei mi confermerà che anche questo termine non è previsto dall'ordinamento (l'ha detto prima, a proposito della mia domanda sugli ex criminali di guerra reclutati dai Servizi di sicurezza, che non è compito della magistratura svolgere indagini storiche) - che attiva le stazioni dei carabinieri di gran parte dell'Italia coinvolta in questi fatti, le quali rispondono alla domanda rivolta da chi ha disposto questa indagine (cioè i vertici della procura militare di questo periodo). In numerosi casi vengono acquisiti nuovi elementi di reato, tali da poter riaprire dei casi, eppure non succede nulla. Lei ritiene che un fatto del genere possa essere semplicemente ascritto ad irregolarità, anomalie, negligenze successive? Non crede che ci troviamo invece di fronte ad un fatto che quanto meno debba essere valutato, avendo un rilievo piuttosto inquietante?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Solo per poter rispondere in maniera completa: questi fascicoli non erano stati mai portati all'attenzione della magistratura ordinaria in precedenza; non risulta che fossero già stati oggetto di attività processuali delle procure ordinarie?

WALTER VITALI. No.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Nel 1946 questi fascicoli erano stati portati all'attenzione della procura ordinaria? No?
Sicuramente è una grave irregolarità il disporre delle attività di indagine da parte di organi che non sono istituzionalmente preposti allo svolgimento...

WALTER VITALI. Quindi, la Commissione ha fatto bene a segnalarlo alla magistratura ordinaria?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. ...è come se il procuratore generale presso la Cassazione facesse indagini, in autonomia, su un fatto di mafia commesso a Napoli, delegando...

WALTER VITALI. Era un nostro preciso dovere segnalarlo alla magistratura.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Ritengo che sia un atto abnorme questa sorta di delega di indagine fatta con l'attivazione di organi di polizia da parte della procura generale o di altri organi giudiziari che abbiano compiuto questo accertamento.
Il mancato inoltro alle procure militari, invece, potrebbe essere in qualche modo spiegato; infatti, l'interessamento della magistratura ordinaria su questi fascicoli potrebbe chiarire il mancato inoltro successivo alle procure militari. Fino ad anni recenti gli appartenenti alla Repubblica sociale italiana, alle brigate nere o comunque a formazioni fasciste venivano considerati non militari nel senso proprio, ma ribelli all'ordine del legittimo potere costituito dal regno del Sud; quindi, come tali, si riteneva che fossero estranei alla competenza della magistratura militare ed i loro reati dovessero essere giudicati dalla magistratura ordinaria. Può essere, quindi, che sia stato fatto questo tipo di valutazione: la magistratura ordinaria è quella competente sui fascisti, le brigate nere e la Repubblica sociale italiana, quindi non c'è spazio di intervento per la magistratura militare.

WALTER VITALI. Per i casi a mia conoscenza riferiti alla provincia di Bologna non se ne è occupata neanche la magistratura ordinaria.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Per questo avevo fatto la premessa. Il fatto che non sia stato inviato né alla magistratura ordinaria né a quella militare costituisce una evidente irregolarità che può essere dolosa o colposa, ma in questo momento non sta a me giudicarlo. Sicuramente è un fenomeno non rispondente alle norme vigenti.


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WALTER VITALI. Comunque mi conferma quello che ho detto prima, cioè che è molto grave non aver dato corso ad alcuna iniziativa a fronte di nuovi elementi.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Sì. In questa indagine storico-giudiziaria anomala sono emersi elementi nuovi che potevano permettere, quantomeno, l'attivazione delle competenti procure militari; quindi, che questo non sia stato fatto comporta ulteriori perplessità.

CARLO CARLI. Torno ora su un argomento sul quale avevo fatto alcune domande all'inizio, ossia su Gladio ed in particolare sulle dichiarazioni rese nel 1995 da Buttazzoni. Ritengo che queste siano molto importanti e, quindi, penso sia necessario leggerle: «Rappresento che nell'immediato dopoguerra gli americani si rivolsero in diverse occasioni al sottoscritto. Una prima volta alla fine del 1945 fui contattato personalmente da Angleton, allora responsabile dell'OSS per l'Italia. Mi contattò in Roma, per conto di Angleton, un maggiore dell'esercito americano, mio ex compagno di scuola, ebreo, che era riparato negli Stati Uniti prima della guerra. Si chiamava Uberti, nome americanizzato in Hubert. Questi mi chiese per conto di Angleton di recarmi a Trieste per collaborare col Servizio segreto statunitense in funzione antislava e anticomunista. Io non accettai l'offerta perché troppo recente era il conflitto con gli americani e perché quasi tutti i miei commilitoni erano ancora prigionieri degli angloamericani. Io, come detto, rifiutai la collaborazione, però feci sì che numerosi NP». Non so cosa significhi questa sigla.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Nuotatori paracadutisti. Questa era una formazione militare entro la quale era stata creato un ulteriore gruppo.

CARLO CARLI. ...«del regno del Sud fossero richiamati e utilizzati a tali fini. Io misi in contatto l'Uberti e l'Angleton con l'ammiraglio Calosi, all'epoca a capo dei Servizi segreti nella regia marina. Io indicai al Calosi e all'Uberti alcuni soggetti da richiamare. Tra questi ricordo un certo De Boni, non ricordo altri nominativi. Rappresento che il battaglione NP del sud ha una propria associazione il cui capo è Ambrosi Achille, il quale abita a Peschiera del Garda. Qualcosa al riguardo può sapere anche Carlone Angelo, che vive a Roma, in via Bevagna 68. Probabilmente qualcosa al riguardo potranno sapere costoro».
A questo punto le domando, dottor Dini: queste rivelazioni hanno avuto un seguito? In questa dichiarazione, infatti, ci sono elementi molto precisi; quindi, sarebbe molto interessante avere un riscontro ed indagare per capire se sia veritiera la tesi dell'impiego e della copertura dei criminali nazisti e fascisti da parte dei Servizi segreti occidentali in funzione anticomunista. Ritengo, quindi, che sarebbe molto interessante avere anche notizie più diffuse su questa cosa che, peraltro, non esclude le altre strategie di copertura e di occultamento.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Se non ricordo male, questi soggetti furono cercati, ma risultarono deceduti. Comunque quando si parla di NP del regno del Sud bisogna fare una precisazione: Buttazzoni era un nuotatore paracadutista che era rimasto con la Repubblica sociale italiana, mentre alcuni suoi commilitoni erano entrati a far parte del regno del Sud; però, risulta che successivamente gli NP del regno del Sud e quelli della Repubblica sociale italiana mantennero dei contatti ed è proprio di quelli che sta parlando Buttazzoni. Egli, infatti, dichiara che fece arruolare da Angleton alcuni NP del regno del Sud, quindi non fascisti.

CARLO CARLI. Sì, però, c'erano anche altri che avevano operato nella Repubblica sociale italiana e che poi sono stati impiegati in Gladio o nei Servizi segreti americani.


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SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Questo tipo di reclutamento è emerso; per esempio, che nella struttura paramilitare di Gladio siano entrati alcuni ex appartenenti alla Decima MAS e partigiani bianchi è un dato storico. Comunque era logico che fosse così perché se questa doveva essere una struttura di resistenza in chiave anticomunista è chiaro che non arruolassero i partigiani filo sloveni della Garibaldi, ma quelli osovani e gli ex della Decima MAS.

CARLO CARLI. Per restare su questo tema c'è un'altra ipotesi riferita alle probabili protezioni a favore di Valerio Borghese da parte di Angleton. Su questo ci può dire qualcosa di più puntuale?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. No, francamente no. Sulle protezioni date a Borghese non ho fatto mai nessun tipo di indagine; quindi, personalmente non mi risulta niente.

CARLO CARLI. A questo punto le vorrei porre un'ultima domanda concernente il ritrovamento dei fascicoli nel 1994. Io sono tra quelli che ritengono fosse dovere, anzi un obbligo, di coloro che hanno scoperto tale documentazione procedere tempestivamente alla denuncia presso l'autorità giudiziaria ordinaria e chiederne il sequestro giudiziario.
Lei sa che non è stato redatto un elenco di ciò che è stato rinvenuto in quel luogo? Non le sembra molto grave tutto questo? Questo non è di per sé un reato?
Tra l'altro, vorrei notare che compito della Commissione non è solo andare a ricercare le cause dell'occultamento, ma anche quelle dell'eventuale mancata individuazione o del mancato perseguimento dei responsabili di atti e comportamenti contrari al diritto nazionale ed internazionale. Quindi, dobbiamo capire anche perché non sono stati perseguiti questi personaggi.
Non è pensabile che solamente Santacroce sapesse, né è pensabile che solamente i magistrati del 1960 - e solo quelli - fossero a conoscenza di questa giustizia negata.
Capisco che lei è il presidente dell'Associazione magistrati militari, però ritengo che di fronte a fatti di tale gravità non si debba fare una difesa della corporazione ma cercare di guardare, effettivamente, alle responsabilità che ci sono state, indicando altresì quelle che sono poi continuate! Infatti, non è assolutamente pensabile che dal momento del ritrovamento nella primavera del 1994 arrivino dei fascicoli anche dopo un anno e mezzo: non è pensabile! Anche questa, secondo me, è un'inadempienza che nasconde una colpa e una responsabilità: non è pensabile che ciò sia accaduto!
Ancora, lei sa bene che il Consiglio della magistratura militare approva la relazione di Rosin nel 1999, cinque anni dopo il momento in cui sembrano prescritti tutti i reati. Cerchiamo di ragionare: siamo persone che si guardano intorno e leggono, cercando di comprendere la realtà, a fronte di una difficoltà della magistratura militare che, comunque, vorrebbe risolvere tutto al proprio interno senza attribuire delle precise responsabilità, sia perché, sostanzialmente, si autoassolve, non denunciando il fatto all'autorità giudiziaria, sia perché probabilmente si pensava che non ci sarebbe mai stato nessuno che sarebbe andato ad indagare o a vedere cosa aveva effettivamente fatto la magistratura militare. Penso che nel 1999 non si potesse immaginare che il Parlamento avrebbe istituito una Commissione d'inchiesta su questa vicenda. Posso capire la sua funzione, però, francamente, come magistrato mi sarei aspettato una precisa risposta e precise assunzioni di responsabilità.

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Non sono qui per fare difese corporative e, per quelle che sono state le mie possibilità, anche in precedenza, nel far emergere la vicenda ho fatto il possibile. Sicuramente, c'è stata una sottovalutazione del fenomeno.


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Per vostra lettura, ho portato due atti del 1996, provenienti entrambi dalla procura generale presso la Corte militare d'appello di Roma, in cui, fra le righe, si legge un qualche disagio per il fatto che l'opinione pubblica era stata resa edotta su questa vicenda. Si nota anche - perlomeno io leggo questo - che quando nell'agosto del 1996 emerge il problema a livello degli organi di stampa e si scrive alle procure per la prima volta (credo che si sia trattato della prima volta e che quello fosse stato uno dei primi atti ad essere inviato dalla procura generale a quelle militari che avevano ricevuto i fascicoli) chiedendo di fornire con la massima urgenza l'elenco completo dei fascicoli processuali relativi a crimini di guerra ancora pendenti o, comunque, non ancora ritualmente definiti esistenti presso gli uffici giudiziari militari.
Quando arriva un fax del genere, il magistrato che ha in carico i fascicoli si sente quasi messo nel mirino da parte della procura generale. Se infatti egli rispondesse di non avere ancora ritualmente definito i procedimenti, magari, potrebbe partire un provvedimento disciplinare. Questa interpretazione corrisponderebbe ad un tentativo di fare un po' in fretta da parte delle procure per definire le vicende, perché chiaramente sperare che fascicoli arrivati dal novembre del 1994 alla primavera del 1995 in meno di un anno fossero già tutti ritualmente definiti è un po' eccessivo. In quest'ottica, pungolare per una definizione dei procedimenti poteva essere equivalente a pungolare per un'archiviazione degli stessi. Comunque, questi documenti rimangono a vostra disposizione.

PRESIDENTE. Lei da quanto tempo è presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Da quattro anni ma concludo il mio mandato fra due giorni.

PRESIDENTE. C'è un direttivo o una giunta esecutiva?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. C'è un direttivo.

PRESIDENTE. Quanti siete e chi sono i membri?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Ci sono cinque membri. Gli altri quattro sono il dottor Costantini, il dottor Rivello Roberto, la dottoressa Frattarolo Francesca, di Roma, e il dottor Giorgio Rolando, sempre di Roma.

PRESIDENTE. Lei, nel 1996, scrive al CMM?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Esattamente. Scrivo al Consiglio della magistratura militare, dicendo che sono arrivati tutti questi fascicoli in numero sempre più cospicuo e, siccome ci sono dei provvedimenti di archiviazione provvisoria, che sono in qualche misura estranei all'ordinamento italiano, chiedo che vengano fatti degli accertamenti per sapere cosa è successo all'epoca, che abbia portato a una tale archiviazione provvisoria, e dopo per verificare le responsabilità.

PRESIDENTE. Le domando questo perché poi, nell'agosto del 1996, lei rilascia un'intervista su L'Espresso, a Mario Scialoia, in cui afferma che la giustizia militare, di cui lei fa parte, non serve più anzi crea solo dei problemi e la soluzione migliore sarebbe quella di abolirla radicalmente. Più avanti, poi, ribadisce che la magistratura militare è ormai un accessorio inutile ed ingombrante: non resta che abolirla. Questo è ciò che lei dice nel 1996. A distanza di nove anni è diventato presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari; nel 1996 scrive al CMM chiedendo di chiarire la situazione, ma nell'intervista dell'agosto 1996 il tenore delle sue affermazioni è inequivoco.
Lei, all'epoca, era magistrato presso la procura militare di Padova - come adesso


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- però non era presidente dell'Associazione militare magistrati. Ci fa capire la sua posizione?

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. La mia posizione, anche come presidente dell'associazione, è rimasta sostanzialmente invariata. Può darsi che i colleghi che mi hanno chiamato a fare il presidente la pensino come me, da questo punto di vista (almeno la maggioranza di loro). Ho scritto anche al ministro della difesa sostanzialmente usando gli stessi termini e sostenendo che, secondo me, la magistratura militare dovrebbe essere abolita. Per cui non ho cambiato opinione sulla questione.

PRESIDENTE. L'attuale presidente dell'associazione nazionale magistrati militari...

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Capisco la sua perplessità, ma è così. Anche l'anno scorso, in un'altra intervista, pubblicata su Panorama, ho detto le stesse cose, cioè che va abolita la magistratura militare, perché è improduttiva per varie ragioni e non funziona bene.
La mia presidenza è stata confermata, per cui, evidentemente, la pensano così anche gli altri, o quanto meno la maggioranza dei colleghi, altrimenti mi avrebbero detto qualcosa.

PRESIDENTE. Era solo una curiosità...

SERGIO DINI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. Piuttosto ho l'impressione che per alcuni anni l'esistenza di questi fascicoli nascosti sia diventata, per alcuni, la ragion d'essere del mantenimento della magistratura militare. In questi ultimi anni, coloro che all'interno della struttura della magistratura militare non vogliono la soppressione hanno puntato molto sull'esistenza di questi fascicoli, evidenziando la necessità di mantenere i tribunali militari. Dunque, l'esistenza di questi fascicoli da gestire è diventato un po' il paravento per il mantenimento di tali tribunali.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Sergio Dini per il suo intervento, i colleghi intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 22,50.

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