CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA XIV LEGISLATURA Resoconto stenografico della Commissione
parlamentare di inchiesta |
PRESIDENTE. Invito il dottor Rosin a svolgere la sua relazione, ringraziandolo anticipatamente per la collaborazione.
ROBERTO ROSIN. Presidente, sono onorato di partecipare a questa riunione della Commissione. Purtroppo ho ben poco da dire, perché venni assegnato alla procura generale presso la Cassazione il 15 o 16 novembre del 2001 e, quindi, purtroppo non sono a conoscenza di ciò che è avvenuto precedentemente negli uffici di palazzo Cesi, se non attraverso le recensioni della stampa.
Per quanto riguarda l'oggetto specifico della trasmissione da me fatta nel luglio del 2002 ai vari uffici delle procure militari, ribadisco quanto ebbi a dire al procuratore, con il quale poi abbiamo adottato questo provvedimento.
Mi ero reso conto che in un ufficio della procura generale si richiedeva la documentazione relativa a fatti che erano contenuti in «fascicoletti», che non erano fascicoli processuali, ma fascette contenenti esemplari di denunce o di rapporti già a suo tempo inviati.
Siccome ho fatto l'operativo - usando un termine militare - fino al novembre del 2001 e, quindi, sapevo che poteva essere utile ai colleghi che nei tribunali e nelle procure trattavano questi fatti avvenuti durante la guerra, ritenni che queste notizie, i fatti rappresentati in questi fogli informali, molti dei quali neppure siglati, potessero essere utili per i colleghi che svolgevano delle indagini istruttorie a carico di militari tedeschi noti. Si trattava di fatti che erano avvenuti nella giurisdizione di competenza e, quindi, a giudizio del pubblico ministero che svolgeva la sua istruttoria, potevano essere utili per i collegamenti, per i precedenti.
Quindi, d'accordo con il procuratore generale decidemmo di mandarli. Per la verità, io intendevo tutto l'incartamento; invece poi, all'atto pratico, furono fatte le copie delle copie che noi avevamo e furono inviate agli uffici delle procure territorialmente competenti.
Io non saprei dire altro in merito a questa vicenda.
PRESIDENTE. Prego, onorevole Carli.
CARLO CARLI. Ringrazio il dottor Rosin per la collaborazione che ha dichiarato di dare a questa Commissione. Se mi permette, vorrei rivolgerle qualche domanda.
Il dottor Scandurra quanti sostituti procuratori ha?
ROBERTO ROSIN. Tre. Io sono l'ultimo arrivato: il dottor Gentile, il dottor Garino ed io, anche se purtroppo sono il più anziano.
CARLO CARLI. Lei aveva collaborato anche prima con il dottor Scandurra?
ROBERTO ROSIN. No, io sono stato in servizio per vent'anni alla procura militare di Torino, poi per alti vent'anni come presidente del tribunale militare de La Spezia. Alla fine della carriera ho pensato che fosse giusto aspirare ad un posto a livello di Cassazione, ho fatto domanda e, siccome purtroppo, come ribadisco, sono uno dei più vecchi, la mia domanda è stata accolta e, quindi, il 16 novembre del 2001 ho assunto l'incarico di sostituto procuratore generale.
CARLO CARLI. Quindi, il dottor Scandurra le ha affidato questo incarico per proseguire l'indagine storico-giudiziaria che aveva avviato sui 202 fascicoli che si era portati dietro dalla Corte di appello alla Corte di cassazione?
ROBERTO ROSIN. Tengo a precisare che non fu il dottor Scandurra a darmi l'incarico. Essendo nuovo dell'ambiente, cominciai a girare per gli uffici per conoscere gli impiegati, gli ufficiali lì presenti, per vedere che cosa facessero.
Nell'ambito di questi rapporti di cortesia venni più volte consultato da un ufficiale che si occupava della questione - e, in un certo senso, se ne occupa ancora per le vostre richieste - e mi chiese di dargli dei pareri, perché, ad esempio, molti uffici dell'archivio non rispondevano, così come alcuni tribunali o corti d'assise non rispondevano oppure si esprimevano in termini che lui non riusciva a capire.
A quel punto venni a conoscenza che questo ufficiale si occupava dello screening di questi fogli informali - in numero di 202, se non sbaglio - e seppi che si stava cercando di sapere quale fine avessero fatto le denunce a suo tempo inviate alle corti d'assise, alle procure, all'autorità giudiziaria ordinaria.
Dissi a questo ufficiale che era un lavoro dispersivo, ma comunque diedi le spiegazioni del caso e, dopo aver preso visione di buona parte di questi fascicoletti, dissi che i fatti rappresentati potevano essere utili a chi stava indagando in ordine a fatti molto più gravi e magari non aveva l'indicazione delle vittime. Pertanto dissi: perché non mandiamo questi fascicoletti, questi contenitori alle varie procure, alle procure militari?
In sostanza, ero mosso dal desiderio di aiutare, ad esempio, il tribunale militare de La Spezia, di cui mi sono occupato per vent'anni, sapendo quante difficoltà trovavano i miei colleghi nel fare queste indagini.
Ne parlai con il procuratore generale Scandurra proponendogli di agire in tal senso, poiché la ricerca di carattere storico si poteva comunque continuare.
CARLO CARLI. Ma i 202 fascicoli li aveva il dottor Scandurra?
ROBERTO ROSIN. Li aveva l'ufficio della procura generale presso la Cassazione.
CARLO CARLI. Non è la stessa cosa, perché sono figure diverse.
ROBERTO ROSIN. Qualunque capo ufficio rappresenta l'ufficio.
CARLO CARLI. Ma lei nella trasmissione si firma come «procuratore generale militare».
ROBERTO ROSIN. Come sostituto. «Dottor Roberto Rosin, sostituto». È un sistema giudiziario che si usa frequentemente. Avrei potuto scrivere «il sostituto procuratore generale militare», ma di regola si fa così.
CARLO CARLI. Quindi, lei ha visionato tutti i 202 fascicoli?
ROBERTO ROSIN. No. Proprio perché, come dicevo, vengo dalla trincea, a me interessavano soltanto quei fatti che riguardavano i tribunali militari, i fatti avvenuti nel territorio di giurisdizione dei tribunali militari. Quindi, non ho preso materiale visione dei 202.
CARLO CARLI. Allora i 54 come li ha avuti? Chi glieli ha consegnati?
ROBERTO ROSIN. Questo ufficiale.
CARLO CARLI. Può dire nome e cognome dell'ufficiale?
ROBERTO ROSIN. Certo, non è un segreto. Si chiama colonnello Enzo Boro.
CARLO CARLI. Quindi, la scelta l'ha fatta il colonnello Enzo Boro?
ROBERTO ROSIN. La scelta l'abbiamo fatta insieme.
CARLO CARLI. Quindi, avete visto tutti i 202 fascicoli?
ROBERTO ROSIN. Sì, ma forse lei non sa che ad una persona abbastanza esperta basta uno sguardo. Per quei pochi fogli di cui erano costituiti questi fascicoletti - chiamiamoli fascicoletti, ma torno a ripetere che erano contenitori, non erano fascicoli processuali - a chi è esperto basta uno sguardo per accertare dove fossero avvenuti i fatti.
Mentre per i 54 che sono stati inviati c'è stato un esame più approfondito da parte mia, gli altri li ho scorsi ed ho visto che i fatti erano avvenuti in territori diversi o non riguardavano ...
CARLO CARLI. Mi scusi, non ha visto che in alcuni di questi fascicoli c'erano nuove notizie di reato e comunque nuove deposizioni?
ROBERTO ROSIN. Adesso ho capito. In sostanza, quando ho visto che in alcuni fascicoli c'erano deposizioni testimoniali, parti offese, e queste erano state di iniziativa dei carabinieri, ai quali il procuratore generale ...
CARLO CARLI. Non di iniziativa dei carabinieri, dottore. Erano stati invitati a raccogliere notizie ed informazioni.
ROBERTO ROSIN. Ma non sotto il profilo giudiziario. L'intento, almeno per quanto mi è stato detto, era quello di sapere se c'era ancora qualcuno vivente, se la sentenza era stata emessa. Quindi, ritengo sia stata un'iniziativa dei carabinieri per formalizzare queste notizie.
CARLO CARLI. Ma quando voi avete visto che da parte dei carabinieri erano state assunte nuove notizie, per cui doveva scattare l'obbligatorietà dell'azione penale ...
ROBERTO ROSIN. No, mi consenta, onorevole. Ribadisco ancora una volta, ma forse non mi sono spiegato, che erano atti, documenti, fogli relativi a denunce o rapporti già inviati a suo tempo, per i quali erano già stati sentiti i testimoni. Quindi, questi non erano altro che un nuovo ...
CARLO CARLI. No, signor procuratore, ci sono nuove deposizioni negli anni 1997 e 1998, per cui voi, di fronte a queste nuove notizie, avevate l'obbligo di far scattare l'obbligatorietà dell'azione penale.
ROBERTO ROSIN. Lo sappiamo benissimo, soltanto che l'obbligatorietà dell'azione penale era già stata esaudita in quanto il fatto in sé stesso era già stato rappresentato all'autorità giudiziaria. Non erano fatti nuovi, erano nuove informazioni relative ad eventuali testimoni, eventuali parti lese, ma il fatto in sé stesso era già stato denunciato all'autorità giudiziaria ordinaria o militare.
Quindi, a mio avviso, non portavano niente di più di quanto non fosse già stato rappresentato alla procura.
CARLO CARLI. Ritengo di no, perché dai documenti esistenti, che probabilmente lei non ha visto, risulta che vi sono altre deposizioni, altre indicazioni di presunti colpevoli, per cui, anche se l'atto risaliva agli anni 1945-1946, alla trasmissione di quell'epoca, voi avevate ugualmente l'obbligo, di fronte a queste notizie, di rimetterli immediatamente all'autorità giudiziaria competente. Questo voi non l'avete fatto.
Secondo lei, l'indagine storico-giudiziaria era legale?
ROBERTO ROSIN. Fa questa domanda a me, ma dovrebbe farla al procuratore generale. A me piace la storia e, quindi, a me interessa un'indagine storica.
CARLO CARLI. No, era storico-giudiziaria.
ROBERTO ROSIN. Che fosse legale o meno, mi sembra non ci sia nessun riflesso ...
CARLO CARLI. Impiegare i carabinieri per andare a fare nuove indagini, a raccogliere nuove informazioni e nuove deposizioni non appartiene al campo della storia, a parte il fatto che la storia la fanno gli storici.
ROBERTO ROSIN. Deve sapere anche - almeno così mi è stato detto - che era rimasto un registro di tutti questi fascicoli che, come lei sa, ha tutte le finche e naturalmente alcune di queste annotazioni mancavano. Il desiderio di riempire questo registro ha comportato evidentemente questa indagine, che lei chiama ...
CARLO CARLI. Non la chiamo io, l'ha definita così il dottor Scandurra.
Secondo me era illegale. Lei comunque non mi risponde sul punto.
ROBERTO ROSIN. Non so cosa risponderle.
CARLO CARLI. Era legale o no?
ROBERTO ROSIN. Non è che non le voglia rispondere, sia ben chiaro.
CARLO CARLI. No, prendo atto che lei non mi risponde.
ROBERTO ROSIN. Non sono in grado di risponderle, perché non ho gli elementi, gli estremi per farlo.
CARLO CARLI. Preciso meglio la mia domanda: è competenza del procuratore generale militare presso la Corte di cassazione procedere ad indagini di carattere storico-giudiziario utilizzando i carabinieri e le altre strutture territoriali della magistratura e della polizia giudiziaria?
ROBERTO ROSIN. Non lo so.
CARLO CARLI. Lei è un magistrato. Se non lo sa lei!
ROBERTO ROSIN. A questa domanda non sono in grado di rispondere, perché non ho vissuto professionalmente nell'ambito di un ufficio di legittimità e, soprattutto, romano. Come ribadisco, ho vissuto sempre in periferia. Se lei mi chiede, come mi ha chiesto, se era legittimo un atteggiamento di questo genere, io non glielo saprei dire, perché non so se nell'ambito delle funzioni del procuratore generale vi sia anche questo tipo di ricerca storico-giudiziaria.
PRESIDENTE. Lei lascia spazio al fatto che il procuratore possa fare un'indagine di quel tipo.
ROBERTO ROSIN. Lo scopo che mi risulta fosse quello del procuratore generale era proprio quello di completare le notizie che erano in questi fascicoletti e, se non vado errato, si invitavano i carabinieri a riferire se si avessero notizie circa fatti di cui ai rapporti a suo tempo inviati. Che poi i carabinieri - lo si vede dai fascicoletti, ora non ne ho in mano nessuno ...
CARLO CARLI. Può prendere il 22/41, ad esempio.
ROBERTO ROSIN. Io non li ho, perché non li ho portati con me. So che voi li avete.
In sostanza, mi è sembrato di vedere e di capire, sulla base di questi foglietti, che l'iniziativa di sentire dei testimoni era stata dei carabinieri.
CARLO CARLI. Se i testimoni dicono che anche un'altra persona ha partecipato ad un omicidio, perché così viene anche detto, lei mi dice che è tutto regolare.
ROBERTO ROSIN. Non le ho detto questo, mi consenta.
CARLO CARLI. Lei non mi risponde su questo.
ROBERTO ROSIN. Non so rispondere.
CARLO CARLI. Questo mi sembra sia tra quelli che sono stati trasmessi da lei. Se lo guarda, non è composto solamente da due pagine.
ROBERTO ROSIN. Le pagine a cui mi riferivo erano quelle riguardanti il fatto: «ucciso in occasione di rastrellamento di alpini della divisione Monterosa perché si dava alla fuga». Riguarda la divisione alpini Monterosa, è avvenuto in Genova e, quindi, la competenza era di Torino. Infatti, l'ho mandato a Torino.
CARLO CARLI. Poi ci sono anche le deposizioni, mi pare.
ROBERTO ROSIN. Vediamo le deposizioni. Avevano chiesto all'archivio, regione Liguria. I carabinieri, a mio avviso senza averne l'incarico, hanno trasformato ...
CARLO CARLI. Quindi, sono stati i carabinieri, senza averne l'incarico, secondo lei.
ROBERTO ROSIN. È una mia opinione. Hanno trasformato la richiesta di notizie in quella che noi chiamiamo una richiesta processuale.
CARLO CARLI. Ma loro hanno fatto il loro dovere, perché andavano a cercare la verità e se c'era qualche colpevole che ancora doveva rispondere alla giustizia. Non vorrà mica dare la colpa ai carabinieri!
ROBERTO ROSIN. Per l'amor di Dio, ci mancherebbe altro! I carabinieri e le forze di polizia eseguono in maniera approfondita, ma sono abituati ad un certo comportamento e si sono adeguati - intendo dire questo - a quel comportamento, forse andando al di là dell'originaria intenzione del mittente.
CARLO CARLI. Siccome si è ripetuto in altre circostanze, dottore, non si può dire che i carabinieri sono andati per conto loro. Questo mi sembra logico.
ROBERTO ROSIN. Sto cercando una lettera di incarico ai carabinieri: «Dovendo questo generale ufficio ricostruire la vicenda giudiziaria di cui all'allegata segnalazione, si prega voler fornire elementi di riscontro e, dove possibile, acquisire e trasmettere copia del provvedimento giudiziario definitivo», a firma del dottor Brunetti.
EGIDIO BANTI. Mi scusi, per capire bene la questione: questi sono fascicoli che lei ha trasmesso alle procure competenti?
ROBERTO ROSIN. Sì.
EGIDIO BANTI. Più o meno quanto tempo dopo il suo arrivo a Roma, con l'incarico che ricopre attualmente, li ha trasmessi?
ROBERTO ROSIN. Dal novembre al luglio.
EGIDIO BANTI. Alcuni mesi dopo?
ROBERTO ROSIN. Sì.
EGIDIO BANTI. E gli atti che hanno portato all'implementazione di questi fascicoletti, sono stati compiuti quando lei era già a Roma o precedentemente?
ROBERTO ROSIN. No, questa è roba vecchia, è del 1997.
ALBERTO PIETRO MARIA ZORZOLI. Che data ha?
ROBERTO ROSIN. Quello che ho letto è del 25 novembre 1997. Io sono arrivato successivamente.
EGIDIO BANTI. Quindi, è stato il colonnello Boro che le ha rappresentato l'esistenza di questi fascicoli?
ROBERTO ROSIN. Sì, nel senso che Boro è venuto da me una o due volte dicendomi, ad esempio, di aver scritto alla direzione dell'archivio di Stato di Genova per chiedere se avessero qualcosa in ordine ad un fascicolo e l'archivio di Genova magari aveva risposto che i locali erano stati allagati o erano stati distrutti per un incendio. Allora io gli ho chiesto perché si interessasse di cose di questo genere e sono venuto a conoscenza che c'erano questi fascicoletti.
CARLO CARLI. Quindi, era il colonnello Boro che li conservava?
ROBERTO ROSIN. Sì, ma il colonnello Boro, in sostanza, è colui che si interessava fino a poco tempo fa di questa faccenda, in sostituzione del colonnello Brunetti, che era andato in pensione.
Sia Brunetti che Boro, a mio avviso, c'entrano poco, nel senso che sono ufficiali che non hanno la cognizione.
EGIDIO BANTI. Come mai il lavoro istruttorio effettuato dopo il ritrovamento dell'armadio è stato svolto a Roma e non nelle singole procure? Questo lei non lo può sapere.
ROBERTO ROSIN. Torniamo al discorso di prima.
EGIDIO BANTI. Non c'è un atto scritto che lo giustifichi, nessun atto procedimentale?
ROBERTO ROSIN. No, non c'è nessun atto procedimentale.
EGIDIO BANTI. Semplicemente lei, quando ha avuto i fascicoli, li ha trasmessi?
ROBERTO ROSIN. Sì, è così. In sostanza, per voci di corridoio, questi fascicoletti sono stati portati su dal dottor Scandurra al momento del passaggio dalla Corte di appello alla procura generale, a quale titolo saprà dirlo lui.
CARLO CARLI. Quindi, i 54 fascicoli li ha portati il colonnello Boro a lei, perché lei li doveva inviare alle procure militari competenti?
ROBERTO ROSIN. È esatto.
CARLO CARLI. Così le è stato detto.
ROBERTO ROSIN. Non mi è stato detto, è stata una mia iniziativa.
CARLO CARLI. Ma lei come faceva a sapere che c'erano questi 202 fascicoli? Chi glielo ha detto?
ROBERTO ROSIN. Il colonnello Boro mi ha detto che c'erano questo 202 fascicoli.
CARLO CARLI. Ma la scelta dei 54 chi l'ha fatta?
ROBERTO ROSIN. L'abbiamo fatta insieme, ma sulla base di una scorsa veloce del luogo del commesso reato.
CARLO CARLI. Può definire precisamente il criterio che l'ha ispirata a scegliere i 54 tra i 202?
ROBERTO ROSIN. Il criterio era che per alcuni vi era la possibilità di identificazione degli autori, oltre al criterio del luogo del commesso reato ed alla non conoscenza di un esito del processo iniziato negli anni dal 1945 al 1950.
CARLO CARLI. Quindi, si potevano ancora rifare i processi o avviare una nuova azione penale?
ROBERTO ROSIN. Le dico, più semplicemente, che il mio scopo, che era condiviso, perché quando la questione è arrivata al dunque sono andato dal procuratore generale ...
CARLO CARLI. Il procuratore generale Scandurra?
ROBERTO ROSIN. Sì.
CARLO CARLI. Cosa ha detto a Scandurra?
ROBERTO ROSIN. Mi ha autorizzato, tant'è vero che ho fatto questa lettera di trasmissione per tutti i 54 fascicoli.
In sostanza, lo scopo era quello di dare un aiuto nelle indagini ai procuratori militari nelle varie sede, che già istruivano per loro conto processi a carico di appartenenti alle forze armate germaniche, pur sapendo che questi foglietti non erano da unirsi ai processi che stavano già istruendo, perché magari riguardavano fatti diversi, italiani.
Erano fatti che potevano essere di aiuto. Ad esempio, se nelle vicinanze di Stazzema - parlo di Stazzema perché è quello più vicino a me, almeno nel ricordo - c'era stato uno stupro ad opera di militari tedeschi o anche collaborazionisti, poteva esser utile per dare una mano all'istruttore che facesse riferimento ai vari episodi. Era questo lo scopo, perché io sono convinto che gli originali erano già stati inviati ...
CARLO CARLI. Nel 1946?
ROBERTO ROSIN. Sì.
CARLO CARLI. Figuriamoci!
Dottor Rosin, lei esaminando questi fascicoli avrà visto - altrimenti lo sottopongo ora alla sua attenzione - che sulla copertina di ciascuno di questi è scritto: «non luogo a provvedere, 14/11/1994», a firma del dottor Nicolosi. Mi pare che questa decisione non sia legittima.
ROBERTO ROSIN. No.
CARLO CARLI. Quindi, è una decisione illegale?
ROBERTO ROSIN. No, mi consenta. Non è che non sia legittima; la legittimità di un provvedimento di non luogo a procedere esiste nel nostro ordinamento. È un'annotazione errata fatta su un fascicolo così. Evidentemente, non ha nessun significato.
CARLO CARLI. Come non ha nessun significato?
ROBERTO ROSIN. A parte il fatto che bisognerebbe chiederlo al dottor Nicolosi ...
CARLO CARLI. Glielo abbiamo già chiesto.
ROBERTO ROSIN. Allora conosce il motivo.
CARLO CARLI. Ma io lo chiedo a lei. Poiché lei ha esaminato tutti i 202 fascicoli, avrà visto che su ogni fascicolo era riportato questo.
ROBERTO ROSIN. Certo.
CARLO CARLI. Secondo me, era quanto meno illegittimo, se non illegale. Le chiedo, in primo luogo, se il dottor Nicolosi avesse la competenza a prendere questa decisione e in base a quale competenza e norma potesse o dovesse prendere questa decisione.
ROBERTO ROSIN. Sono sempre al medesimo punto, sempre al palo: non lo so. La data del 14 novembre 1994 doveva essere più o meno successiva al rinvenimento di tutti i fascicoli nell'armadio. Quindi, bisogna vedere se il dottor Nicolosi abbia fatto questa annotazione - che per me è un'annotazione che non ha rilievo ai fini processuali - in esecuzione di una delibera del consiglio, in accordo con il procuratore generale Scandurra e con il procuratore generale presso la Corte di appello Bonagura. Non glielo so dire.
CARLO CARLI. Ma aveva la competenza per farlo? Questa è una decisione, non è un'annotazione.
ROBERTO ROSIN. Nel 1994, credo fosse presidente della Corte di appello. È questo il punto, non lo so. Non so se fosse presidente della Corte di appello o procuratore generale presso la Corte di appello.
CARLO CARLI. Ma questi fascicoli, secondo lei, non dovevano essere inviati, insieme agli altri 695, alle autorità giudiziarie competenti?
Io le faccio delle domande e lei non mi risponde!
ROBERTO ROSIN. Non è che non voglia rispondere. Per me avrebbero dovuto essere mandati via tutti.
CARLO CARLI. Questo è importante. Secondo lei, nel 1994 tutti questi fascicoli dovevano essere mandati all'autorità giudiziaria competente?
ROBERTO ROSIN. Sarebbe stata la cosa più semplice, noi non ci troveremmo tutti qui riuniti e sarebbe stato legittimo.
CARLO CARLI. Pertanto, si desume che questa è illegittima, è illegale.
ROBERTO ROSIN. È la conseguenza che io non condivido, il fatto che lei dica che non averlo fatto è illecito o illegittimo, tenuto conto che l'oggetto di queste cartelline era già in possesso delle autorità giudiziarie competenti.
Condivido senz'altro con lei la premessa, l'impostazione: in un certo senso, l'invio di questi fascicoletti ora, nel luglio del 2002, si poteva ricollegare a quella premessa, però non mi sembra di poter condividere la conseguenza che non averli inviati sia illegittimo.
Può essere che il consiglio, nel momento in cui furono rinvenuti questi fascicoli, abbia dato l'incarico - questo non lo so dire - a Nicolosi, Intelisano, Scandurra, Rosin, mio omonimo, di esaminare tutti questi fascicoli.
CARLO CARLI. Ma non era loro competenza, dottore. Di chi era la competenza per decidere?
PRESIDENTE. Quale consiglio?
ROBERTO ROSIN. Il Consiglio della magistratura militare, che poi ha deliberato. Quando venne scoperto questo armadio ...
PRESIDENTE. Che cosa c'entra il Consiglio della magistratura militare?
ROBERTO ROSIN. Io ricordo in proposito - ma sulla base di un ricordo fluttuante perché all'epoca mi interessavo di altri problemi, cioè quelli del tribunale militare de La Spezia - che ci fu una delibera del consiglio in merito al rinvenimento di questo cosiddetto armadio della vergogna, che ora però non ho a disposizione, in cui si dava atto che era stato rinvenuto questo armadio ...
PRESIDENTE. Mi scusi, ma questo che cosa c'entra? Non credo che il Consiglio della magistratura militare possa interferire su una cosa del genere.
ROBERTO ROSIN. No, ma se, ad esempio, avesse dato incarico - non lo so, non sono in condizione di dirlo ...
PRESIDENTE. Secondo lei, il Consiglio della magistratura militare può interferire su una vicenda del genere o no?
ROBERTO ROSIN. No, questo è pacifico.
PRESIDENTE. E allora di quale delibera parla?
ROBERTO ROSIN. Andiamo alla domanda. Mi è stato chiesto se il dottor Nicolosi fosse legittimato a fare questa annotazione.
CARLO CARLI. Questa decisione, non è la stessa cosa.
ROBERTO ROSIN. Sono perplesso sul fatto che sia una decisione.
Io ho risposto dicendo che non so il motivo per cui il dottor Nicolosi abbia messo la sua autorevole firma su questi fascicoli. Può darsi che il Consiglio della magistratura militare abbia indicato i colleghi abilitati, legittimati a prendere materialmente questi fascicoli e a fare una cernita, a mandarli via, come si auspicava prima.
PRESIDENTE. Ma questo il consiglio non lo può fare.
ROBERTO ROSIN. È una questione di ordine generale.
PRESIDENTE. Questi sono fascicoli e il Consiglio della magistratura militare non può interferire in un'attività che è propria del procuratore competente.
ROBERTO ROSIN. Ma non avrebbe interferito, avrebbe soltanto indicato le persone incaricate di prendere materialmente in esame questi fascicoli.
Questi fascicoli, se non vado errato, vennero rinvenuti in un armadio, in un locale di un palazzo che era diviso fra tre o quattro uffici. Ad un certo momento, si voleva liberare questo locale e si trovò questo armadio. Chi era il titolare di questi fascicoli?
CARLO CARLI. Dal punto di vista temporale, la decisione di Nicolosi è del 1994, mentre la relazione della magistratura militare è addirittura del 1999. Quindi, questa decisione non ha alcuna relazione con le decisioni del Consiglio della magistratura militare.
ROBERTO ROSIN. Allora non so perché Nicolosi abbia fatto questa annotazione. Bisogna chiederlo a lui.
PRESIDENTE. Lei ci ha detto che il colonnello Boro l'ha informata di questi fascicoli.
ROBERTO ROSIN. Sono stato io. Poveretto, si trovava di fronte, ad esempio, a problemi relativi all'individuazione dell'archivio di Stato che si interessava del fascicolo processuale, sulla base di alcune annotazioni delle corti di assise o delle corti di assise d'appello, e si trovava in difficoltà perché, essendo un ufficiale d'arma, evidentemente non aveva e non ha le capacità per individuare gli uffici.
Sulla base di queste notizie del colonnello Boro, ho scoperto questi fascicoli, nel gennaio- febbraio del 2002.
PRESIDENTE. Poi lei è andato dal dottor Scandurra?
ROBERTO ROSIN. Certo.
PRESIDENTE. Per dirgli che cosa?
ROBERTO ROSIN. Che era il caso di mandare questi fascicoli alle procure della Repubblica.
PRESIDENTE. Il dottor Scandurra le avrà detto che questi fascicoli erano stati sottoposti a quel provvedimento nel 1994.
ROBERTO ROSIN. No.
PRESIDENTE. Non le ha detto nulla?
ROBERTO ROSIN. No, ma riconosco la firma del dottor Nicolosi, è il presidente della Corte di appello.
Questa annotazione, pur se formulata in maniera processuale - è per questo che non ne ho tenuto conto, altrimenti non avrei preso l'iniziativa di mandare via i fascicoletti - aveva un valore per coloro che materialmente gestivano questi fascicoletti, magari nel senso di non trasmetterli, di lasciarli in deposito, che non vi erano elementi per l'identificazione dell'autore del fatto. Sono tante le cose che potrebbe aver voluto dire Nicolosi, ma io agisco in via interpretativa, come voi. Bisogna chiedere a Nicolosi che cosa volesse indicare con questa formula.
PRESIDENTE. Mi scusi, dottor Rosin. Comunque 54 fascicoli lei li ha visti.
ROBERTO ROSIN. Certo, li ho mandati.
PRESIDENTE. Siccome sono 54, lei avrà visto che sulla copertina c'era quel provvedimento del dottor Nicolosi e si sarà chiesto che valenza potesse avere quel provvedimento.
ROBERTO ROSIN. Dico che si tratta di un'annotazione, perché manca la motivazione, c'è solo il dispositivo e, quindi, non ha un valore di provvedimento. È un'annotazione del capo ufficio dell'epoca, è come se avesse scritto: «agli atti». Allora anche la formula «agli atti» è un provvedimento del capo ufficio, ma evidentemente non ha un valore vincolante.
PRESIDENTE. Ma quelli erano stati trasmessi nel 1946 alle procure ordinarie?
ROBERTO ROSIN. Sì. Ad esempio, in quello che ho sottomano è scritto: «All'ufficio del pubblico ministero presso la sezione speciale della corte d'assise di Genova». Quindi, nel 1946 fu informata. Lo scopo del procuratore Scandurra era proprio quello di sapere che fine avesse fatto la procedura relativa al fatto denunciato nel 1946.
PRESIDENTE. Lei però li ha mandati alle procure militari.
ROBERTO ROSIN. Dopo sessant'anni ho mandato alle procure militari questi fogli informali. Allora si facevano i rapporti in triplice o quadruplice copia; l'originale veniva inviato all'ufficio e la copia, o più copie, rimanevano nel fascicoletto, nel contenitore. Quindi, questi sono esemplari, non l'originale, di quello già inviato.
Io li ho mandati alle procure perché, ad esempio, in relazione all'eccidio del Turchino, a Torino - se non ricordo male - un episodio poteva essere ricollegato sotto il profilo fattuale, perché magari una parte lesa era parente di una persona deceduta al Turchino o perché era avvenuto nelle vicinanze. Chi istruiva il processo principale poteva, quindi, trovare spunti per la sua indagine in queste notizie.
Voglio sottolineare che non li ho mandati come atti processuali al seguito, ma come atti storici, atti di archivio. Mi consenta, presidente, e così credo di aver risposto alla sua domanda: se io avessi dovuto mandare questi atti come atti processuali, avrei dovuto adottare un provvedimento del tipo: «Il PM, letti gli atti ..., considerato che ..., visti gli articoli ..., ordina la trasmissione degli atti». Io non ho adottato questo provvedimento proprio perché erano atti già trasmessi; è una lettera di trasmissione. Invece dell'annotazione «non luogo a provvedere» di Nicolosi avrei potuto mettere «visto, si invii alla procura militare di Torino».
PRESIDENTE. Siccome erano state trasmesse all'autorità giudiziaria ordinaria, secondo me, si dovevano forse ...
ROBERTO ROSIN. Io li ho mandati là, sempre con l'intento di aiutare i colleghi nelle loro indagini. All'epoca in cui ho preso in mano queste «cartuscelle», come dicono i napoletani, a me interessava il fatto che potessero essere utili per i colleghi.
PRESIDENTE. Lei prima ha detto che sarebbe stato bene, nel 1994, trasmettere tutti questi fascicoli, ma poi lei ha fatto una valutazione diversa.
ROBERTO ROSIN. Sarebbe stato bene nel senso che così non avremmo avuto occasione di conoscerci.
PRESIDENTE. Non solo per quello.
ROBERTO ROSIN. L'aspetto processuale nel 2002 era già stato esaurito.
PRESIDENTE. Come fa a dire che nel 2002 era già stato esaurito l'aspetto processuale? Quei 202 fascicoli sono andati tutti a sentenza?
ROBERTO ROSIN. Non lo so. Di questo, ad esempio, non si sa l'esito. Era stato esaurito nel senso che non era di nostra competenza fare un'indagine principale sull'episodio, tenuto conto che ciò era già avvenuto ad opera di altre autorità.
PRESIDENTE. Di chi era la competenza?
ROBERTO ROSIN. In questo caso, mi sembra della corte d'assise e, quindi, dell'autorità giudiziaria ordinaria, che, come vedo, ha risposto: «Non si sono riscontrati procedimenti penali contro ignoti, neppure contro Maggi. Negli anni 1946-1947 e primi mesi del 1948 nessuna sentenza emessa in quel periodo dalla Corte d'assise speciale riportava i nominativi indicati». In questo caso non vi è alcun aiuto da parte dell'autorità giudiziaria.
PRESIDENTE. Appunto. E allora?
CARLO CARLI. Ha il fascicolo 22/41?
ROBERTO ROSIN. Sì.
CARLO CARLI. C'è un verbale della regione carabinieri Liguria, sezione di Uscio: «L'anno 1998, addì 20 del mese di marzo, in Uscio, Genova, all'interno del civico 39, in via Vittorio Veneto, alle ore 9,15» ... Lo ha sotto gli occhi?
ROBERTO ROSIN. Sì.
CARLO CARLI. Da questa deposizione emerge anche un nuovo nominativo. Le leggo, sempre da questo verbale: «Tengo a precisare che nei mesi successivi al fatto in paese circolava voce che l'autore del ferimento di mio fratello era da attribuirsi ad un certo Taverna, militante della divisione nazifascista Monterosa, che operava nella zona di Uscio, Genova».
Di fronte a questa deposizione credo dovesse scattare immediatamente l'obbligatorietà dell'azione penale. Invece, lei ha trasmesso questo fascicolo, in data 17 luglio 2002, semplicemente con oggetto: «atti relativi a carico di ignoti militari italiani (alpini della divisione Monterosa)».
ROBERTO ROSIN. Sì.
CARLO CARLI. Se lei avesse esaminato bene gli atti, probabilmente avrebbe dovuto cambiare l'intestazione.
ROBERTO ROSIN. Quando si trasmettono gli atti, la rilevanza dei fatti che vengono in esame non è solo per chi li invia, ma per chi li riceve. Mi sembra di poter dire che sarebbe stato più grave se davvero avessimo occultato il fatto del ferimento del fratello del dichiarante.
CARLO CARLI. C'è una «piccolezza»: il verbale è del 1998 e l'invio è del 2002. Lei mi dirà di non avere responsabilità, ma prima ci ha detto che questi erano fascicoletti - non so da dove derivi il termine «fascicoletti» ...
ROBERTO ROSIN. Per distinguerli dal fascicolo processuale.
CARLO CARLI. Ma all'interno di questi fascicoletti c'erano delle notizie importanti, di rilevanza penale. È vero o no? All'interno di questi fascicoli, che lei ha inviato - perché questo lo ha inviato lei - c'erano fatti di rilevanza penale o no? Questo lo ha visto lei prima di me, dottore!
ROBERTO ROSIN. Le dico la verità: forse mi è sfuggito. Vi è un aspetto tecnico: in un caso si parlava di omicidio e in un altro di ferimento, che sono lesioni personali. Comunque, a mio avviso, non ha rilievo, una volta che questo fascicolo sia stato inviato.
Il problema, e questo non lo deve addebitare a me, ma al sistema o a chi per esso ...
CARLO CARLI. Brutto sistema.
ROBERTO ROSIN. È il fatto che questi fascicoletti siano stati inviati solo nel luglio del 2002.
PRESIDENTE. In che senso?
ROBERTO ROSIN. Intendo dire che se fossero stati inviati nel 1996, come si diceva prima, non ci sarebbe stato oggetto di discussione, perché questa indagine l'avrebbe fatta il procuratore militare di Torino.
CARLO CARLI. Quindi, l'occultamento dei fascicoli è continuato?
ROBERTO ROSIN. Non si può dire, è improprio parlare di occultamento. Magari si può parlare di ritardo, ma il termine occultamento è improprio. Non si è voluto occultare niente, anzi addirittura si sono fatte le indagini e si sono ottenute delle risposte.
CARLO CARLI. Ma qui c'è una notizia di reato che voi non avete provveduto tempestivamente ad inviare all'autorità giudiziaria competente. Come lo chiama lei, se non occultamento? Mi dica un altro nome tecnico.
ROBERTO ROSIN. Sarà un ritardo semmai.
CARLO CARLI. Ma lei ha detto che lo ha inviato non per avviare una nuova azione penale. Ancora non ho capito perché lo ha inviato.
ROBERTO ROSIN. Non so se lei sia un legale o meno.
CARLO CARLI. Sono un parlamentare.
ROBERTO ROSIN. Intendevo se ha fatto l'avvocato. In sostanza, la trasmissione degli atti comporta per chi li riceve l'onere di leggerli e di verificare se vi siano collegamenti con rilevanza penale, nella specie.
CARLO CARLI. Ma allora lei non li ha letti?
ROBERTO ROSIN. A me può addebitare il fatto di non averli letti, di averli inviati in ritardo, ma non il fatto di averli occultati, che è una cosa diversa.
CARLO CARLI. Se non li ha occultati lei, qualcun altro li ha occultati.
ROBERTO ROSIN. Allora, stiamo parlando tra sordi.
CARLO CARLI. Fatto sta che i processi per Sant'Anna di Stazzema si celebrano oggi. Non vorrà mica dire che la colpa è di qualche altro; probabilmente è anche di altri, di molti altri.
ROBERTO ROSIN. Onorevole, abbiamo tutti ragione a protestare.
CARLO CARLI. No, tutti no.
ROBERTO ROSIN. Abbiamo tutti ragione a protestare, perché questi processi avrebbero dovuto essere svolti non adesso né nel 1996, ma addirittura a suo tempo: su questo nessuno può obiettare.
Il problema che sia avvenuto è stato determinato da fatti contingenti e voi siete qui per stabilire le ragioni e le cause, ma ormai è purtroppo una questione di carattere storico, per certi aspetti.
PRESIDENTE. Prego, onorevole Zanettin.
PIERANTONIO ZANETTIN. A molte domande è già stata data risposta, ma ci sono dei punti che non ho chiari e che mi lasciano ancora delle perplessità.
Lei ha detto che avete scelto questi 54 fascicoli in funzione del luogo in cui furono commessi - lo ha ribadito più volte - e questo proprio non lo capisco. Che rilevanza può avere un luogo piuttosto che un altro?
ROBERTO ROSIN. Poiché erano in corso dei processi, quali quelli di Stazzema e del Turchino, e vi erano determinate località in cui si erano maggiormente attivati i procedimenti nei confronti degli appartenenti alle forze armate tedesche, la località poteva essere interessante per coordinare eventualmente le indagini.
PIERANTONIO ZANETTIN. Premesso che tutti i reati erano stati commessi sul territorio nazionale, immagino che, più o meno, interessassero tutte le procure - magari vi erano zone del paese che erano state più toccate rispetto ad altre - e non riesco a capire perché 54 su 202 fossero interessanti, sotto questo profilo.
ROBERTO ROSIN. Sta di fatto che per questi 54 non ci fosse la prova materiale, nel senso che non si aveva un provvedimento giudiziario.
PIERANTONIO ZANETTIN. Ora non ho tutti i dati, ma mi pare che di questi 202 siano pochissimi quelli sui quali abbiamo avuto un riscontro.
ROBERTO ROSIN. No, ce ne sono.
PIERANTONIO ZANETTIN. È una minoranza.
CARLO CARLI. Un'esigua minoranza.
PIERANTONIO ZANETTIN. Quindi, neanche questo è un discrimine che giustifichi la scelta dei 54 rispetto ai 202.
ROBERTO ROSIN. Come ho già detto, i motivi che mi hanno indotto a prendere questa iniziativa erano proprio questi: il luogo, le persone offese.
PIERANTONIO ZANETTIN. Anche per quanto riguarda il profilo delle persone offese, vorrei capire. Nei 54 fascicoli vi erano persone offese, mentre negli altri 150 no? Qual è il discrimine?
ROBERTO ROSIN. Il discrimine è che le procure militari stavano svolgendo processi a carico di criminali nazisti e, quindi, erano a conoscenza dell'humus, dell'ambiente, riportandosi all'epoca. Chiunque fosse vissuto a quell'epoca o avesse avuto cose da raccontare, poteva dare il suo contributo.
PIERANTONIO ZANETTIN. Torno alla domanda. Premesso che di quei 202 fascicoli solo pochissimi hanno avuto un riscontro da parte delle procure, un criterio oggettivo sarebbe stato quello di mandare tutti quelli che non avevano avuto un riscontro: questo è un primo criterio meramente oggettivo.
Poi lei ha detto che avete scelto alcuni fascicoli perché si sapeva che in quella zona le procure erano un po' più attive di altre. Mi pare un argomento debole, perché comunque le procure, se non erano attive, avrebbero dovuto attivarsi.
ROBERTO ROSIN. Certo.
PIERANTONIO ZANETTIN. Poi lei ha parlato delle parti offese. Immagino che in tutti i fascicoli vi fossero parti offese. Con quale criterio è stata scelta una parte offesa, che doveva essere meglio tutelata rispetto ad un'altra che, invece, doveva essere meno tutelata?
ROBERTO ROSIN. Possono essere criteri labili, ma per chi indaga e conosce la situazione del momento, possono essere utili.
PIERANTONIO ZANETTIN. A fronte di ciò, si sarebbero potuti mandare tutti. Perché si è fatta una scelta?
ROBERTO ROSIN. Con tutta sincerità, la consapevolezza era che questi non fossero fascicoli processuali.
PIERANTONIO ZANETTIN. Questo è un primo aspetto, anche se non mi è del tutto chiaro.
Un altro punto che è stato sfiorato, ma che forse non è stato messo a fuoco adeguatamente è che quei 202 fascicoli erano stati a suo tempo trasmessi alla magistratura ordinaria. Perché questi 54, invece, vengono trasmessi soltanto alle procure militari?
Mi è stato spiegato in questa Commissione che la partizione si basava sulla competenza, nel senso che erano competenti le procure militari quando i responsabili erano militari tedeschi, mentre era competente la magistratura ordinaria quando i responsabili erano i fascisti.
Pertanto, non capisco nemmeno questo. Premesso che erano 202 fascicoli, premesso che la competenza, almeno da una prima valutazione sommaria, era della magistratura ordinaria, perché sono stati trasmessi alle procure militari?
ROBERTO ROSIN. Forse perché io venivo da una procura militare.
PIERANTONIO ZANETTIN. Quindi, c'era una simpatia maggiore.
ROBERTO ROSIN. Venivo dalla procura militare e sapevo quante difficoltà vi erano nell'istruzione ...
PRESIDENTE. Qui non stiamo giocando, dottor Rosin.
ROBERTO ROSIN. Presidente, io mi compenetro nei vostri problemi.
PRESIDENTE. Le ripeto che non stiamo giocando.
Dottor Rosin, lei ci deve spiegare per quale motivo questi fascicoli non li ha mandati all'autorità giudiziaria ordinaria e li ha mandati alla procura militare. Questa è la domanda; se vuole risponda.
ROBERTO ROSIN. Mi sembrava di aver risposto.
PRESIDENTE. Allora, non ho capito. Risponda di nuovo, se vuole, altrimenti non risponda.
ROBERTO ROSIN. Per l'amor di Dio! Ho mandato questi fascicoletti - ripeto, non fascicoli processuali - all'autorità giudiziaria militare perché erano indicati come autori dei militari. Essendo i militari soggetti attivi del reato, la competenza era dell'autorità giudiziaria militare, alla quale ho mandato, quindi, i fascicoletti per dare un aiuto eventuale ai colleghi delle procure che stavano svolgendo delle indagini in ordine a processi con imputati noti.
PIERANTONIO ZANETTIN. Ho un'ultima curiosità: vi è solo un'omonimia con il dottor Rosin che abbiamo già ascoltato?
ROBERTO ROSIN. Sì.
PIERANTONIO ZANETTIN. Grazie, ho concluso.
PRESIDENTE. Prego, onorevole Carli.
CARLO CARLI. Il dottor Scandurra, il 25 maggio 2004, rispondendo ad una domanda del senatore Guerzoni, a proposito dei fascicoli di cui oggi parliamo, dice così: «Perché erano quei fascicoli, nell'ambito di questi 202, in cui l'esito appariva infruttuoso fin dall'inizio. Lui» - è evidente che qui si riferisce a lei - «li ha esaminati e non aveva alcuna possibilità di approfondirli, cioè non c'era alcun elemento a cui appigliarsi, e nessun riferimento che potesse essere suscettibile di altre ulteriori valutazioni. Allora, ha ritenuto opportuno di trasmetterli alle procure militari del luogo in cui il fatto era avvenuto affinché le procure militari potessero valutare questi fatti (lì erano denunziati soltanto sulla base di queste due piccole vergatine che esistono per tutti i fascicoli), affinché trovassero elementi di riscontro con atti che erano in loro possesso o trovassero elementi di riscontro nell'ambito del luogo in cui i fatti erano accaduti, e affinché, essendo state interessate dopo il 1995 per molti fascicoli (sia che riguardassero ignoti o non, sia per attività di indagine che stavano svolgendo attraverso le dichiarazioni testimoniali e attraverso le prove che acquisivano), potessero trovare elementi in relazione a questi episodi che a noi sfuggivano perché non avevamo elementi di riscontro».
Poi prosegue: «i procuratori militari, una volta che li hanno ricevuti, e visto che non c'era nessun addentellato, nessun elemento di congiunzione con i fascicoli in loro possesso o con le indagini che essi stavano conducendo, li hanno mandati tutti all'autorità giudiziaria ordinaria. Ma questa è una questione di pochi giorni».
Quindi, prosegue dicendo che lei, dottor Rosin, ha operato nella funzione di magistrato e collaboratore alla ricerca, cioè il dottor Scandurra dice chiaramente che lei ha proseguito con questa azione di ricerca storico-giudiziaria.
ROBERTO ROSIN. No.
CARLO CARLI. Le rileggo quello che ha detto il dottor Scandurra. Nel resoconto del 25 maggio 2004 è scritto: il dottor Rosin ha operato nella funzione di magistrato e collaboratore alla ricerca. Questo non corrisponde al vero?
ROBERTO ROSIN. No, senz'altro. Il mio compito è stato quello di esaminare ciascun fascicoletto, verificare se potesse essere utile ed inviarlo.
CARLO CARLI. In gran parte dei fascicoli che ha inviato - non in tutti, perché gliene ho mostrato uno che riguardava una notizia di reato grave - vi erano anche reati minori. È solamente il criterio che lei ci ha detto che l'ha ispirata?
ROBERTO ROSIN. Sì, l'intento era quello di dare una mano ai colleghi, indipendentemente dal reato che era stato rilevato, tenuto conto che non si trattava di fascicoli processuali, ma di contenitori di fogli, tra l'altro volanti.
CARLO CARLI. Ma le nuove indagini, anche con nuove notizie di reato, lei come le considerava?
ROBERTO ROSIN. Io non potevo fare e non ho fatto indagini.
CARLO CARLI. Erano nel fascicolo che lei ha trasmesso. Gliel'ho mostrato prima.
ROBERTO ROSIN. Si riferisce alle indagini relative alla comunicazione dei carabinieri? Mi ha fatto piacere che questa persona abbia rappresentato un altro fatto ...
CARLO CARLI. Lei non l'ha considerata una notizia di reato?
ROBERTO ROSIN. No.
CARLO CARLI. È grave, mi pare.
ROBERTO ROSIN. La notizia di reato, in questo caso, avrebbe dovuto rilevarla il procuratore militare di Torino.
CARLO CARLI. Nel 1998?
ROBERTO ROSIN. No, nel 2002.
CARLO CARLI. E nel 1998 chi avrebbe dovuto rilevarla? Voi non siete pubblici ufficiali?
ROBERTO ROSIN. Ma certo che lo siamo!
CARLO CARLI. Anche un semplice cittadino, rispetto ad una notizia di reato, lo deve fare.
ROBERTO ROSIN. Ma certo.
CARLO CARLI. Quindi, oltre che nei decenni precedenti, anche dal 1998 si è continuato nell'occultamento?
ROBERTO ROSIN. Onorevole, mi sembra di aver già risposto esaurientemente sul punto. Lei insiste ed io non so che cosa dirle; più di quanto ho detto non sono in condizione di dirle.
PRESIDENTE. Prego, senatore Guerzoni.
LUCIANO GUERZONI. Nel 1996 il dottor Scandurra, a proposito di questa ricerca, audito dal Consiglio della magistratura militare, dice che la ricerca è conclusa.
Nel 2004 il dottor Scandurra, audito da questa Commissione, dice che l'inchiesta non si concluderà pressoché mai.
Lei che cosa ne pensa?
ROBERTO ROSIN. Perché non si concluderà mai?
LUCIANO GUERZONI. Lo chiedo a lei.
ROBERTO ROSIN. Non lo so. Non so attribuire un valore alle parole del dottor Scandurra.
LUCIANO GUERZONI. È conclusa o non è conclusa? È un'inchiesta conclusa o non conclusa?
ROBERTO ROSIN. Non glielo so dire.
LUCIANO GUERZONI. Grazie.
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica.